ULANOWSKI                via Walter Ulanowski

 

 

TARGA:

San Pier d’Arena – via – Walter Ulanowski – caduto per la libertà – 1923-1944

                                                  

 

QUARTIERE ANTICO:  san Martino                                        

 da MVinzono, 1757. Ipotetico tracciato della strada, con rossa la chiesa di s.Giovanni Decollato (don Bosco).

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   posteriore

 da Pagano/1961 in due immagini affiancate; quando la strada ancora non esisteva.

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   62820

UNITÀ URBANISTICA: 25 – SAN GAETANO

 da Google Earth, 2007

CAP:  16151

PARROCCHIA:   san Giovanni Bosco

STRUTTURA:  strada che si sviluppa ad L, dapprima rivolta a levante e poi a mare. Doppio senso veicolare, da via C.Rolando, finisce chiusa con alcuni paracarri che la separano da via P.Cristofoli, lasciando tra loro accessi  interscambiabili solo pedonalmente.

Nelle parte finale del primo tratto, caratteristico il muraglione che probabilmente è vecchio di 4-500 anni essendo delimitante la proprietà dei Pallavicini proprietari della ‘villa Bianca’ (comperata dai salesiani e distrutta con metodi ...idraulici discutibili, per edificare una delle palazzine attuali).

È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera

Nel dic.03 ed ago.04 appare inclusa nell’elenco delle ’vie private di interesse pubblico’ e quindi programmate a divenire municipali per acquisizione gratuita; ma con in cambio avere diritto alla manutenzione ed ai servizi di asfaltatura, spazzatura, fognature, illuminazione, ecc.

 

STORIA:  nella carta del Vinzoni del 1757, le proprietà terriere erano  più vaste e non è facile una precisa collocazione; ma la presenza del Tempietto (già cimitero)  ci aiuta a  scorgere l’esistenza di un confine tra il terreno dei  RR.Padri Teatini gestori della chiesa di san Giovanni Decollato (oggi san G.Bosco), e quello dei signori Ghezzi che avevano la casa sulla via principale (allora anonima ma poi chiamata strada san Martino)  nel tratto tra la Nostra qui trattata e via V.Armirotti (anch’essa allora non esistente).

   Nel 1872 appare aperta come sentiero; con -al di sopra –verso est- dell’attuale limite della strada, la proprietà del marchese Pareto.

Famiglia Pareto = Possiedo molto poche notizie:

Antecedente, un Gio.Agostino, del sec.XVIII, diplomatico genovese che al congresso di Vienna difese le ragioni della Repubblica Ligure.

Suo figlio, Lorenzo (Genova, 6.12.1800-19.6.1865). Fu anche lui statista, patriota e geologo. Nelle sue biografie, nessun accenno a proprietà in SPdA; quindi non siamo sicuri sia lui il vago “marchese Pareto” citato in tutte le carte e piantine (vedi quelle dell’Ist. don Bosco). Dopo i primi studi in città, li completò a Siena e a LaFlèche (Francia); tornò finito l’impero napoleonico dedicandosi –e divenendo un esperto- a studi sulla geologia. Nel 1821 partecipò a dei moti insurrezionali che lo costrinsero a tornare all’estero. Nel 1848 fu Ministro degli Esteri del primo gabinetto costituzionale (presidente Cesare Balbo); l’anno dopo fu prima deputato eletto a Genova; e poi presidente della Camera subalpina e infine anche presidente della Camera dei Deputati. Fautore dell’annessine della Lombardia, di Modena e Parma; nonché della 1ª guerra d’Indipendenza e del primo tricolore da sventolare in battaglia, dopo Salasco si dimise assumendo l’incarico di comandare la Guardia Nazionale di Genova fino al 9 febbraio 1849. Trasferito a Torino con l’incarico di Presidente della Camera, tornò in città schierandosi col popolo quando scoppiò la rivolta. Ciò malgrado fu amnistiato da Vittorio E.II, riconfermato deputato e rieletto presidente della Camera. Nel 1861 senatore.

Importanti suoi scritti sulla geologia  del Veneto, della Liguria marittima, dell’Appennino settentrionale (in francese).

Corrispondenti alla data, esistono due – omonimi divenuti famosi - ma ambedue antecedenti ad essa; quindi forse un nipoti del primo o figli del secondo, Agostino (con figli Lorenzo e Giovanna) e Giovanni.

 La loro villa invece, in una carta del 1891 (nel libro di don Bosco) appare all’apice est-nord-est della proprietà dei salesiani (gialla e verde). Nella carta del Vinzoni, corrisponde (in viola – non sono sicuro -)–per posizione e rispetto alla villa Currò (in celeste)- ma non è sicuro - alla casa (o neocostruita dopo, sul suo sedime) che era all’apice della proprietà dei sig.ri Ghezzi la cui casa principale appare sulla via s.Martino, non evidenziandosi se non una strada di accesso -che definirei secondaria- facente ampia curva passando alle spalle dei teatini e come andando a finire dove ora passa via N.Ardoino. Potrebbe quindi essere la villa che, in quella via, viene attribuita in tempi più recenti ai Landi; e sempre con il ‘potrebbe’, essere quella


che spunta a sinistra delle case nella foto -dell’area della Fornace - databile  a  pochi  anni                                                           prima del 1900.

 la villa come si intravede dietro la casa

Quindi in successione, i proprietari= sig.ri Ghezzi (1875), marchese Pareto (1890-nello stesso  tempo in cui via san Martino divenne via A.Saffi-vedi sotto a 1890), famiglia Landi (1930 ca).

   Nel 1890, su delle mappe catastali, nella proprietà Pareto compare bel definito il tracciato della nostra strada, sotto il nome di un “nuovo passaggio di proprietà dell’Ospizio, acquistato dal Marchese Pareto”, poi ceduto dal Comune di San Pier d’Arena ai salesiani, in precario di servitù di passaggio, per raggiungere dei terreni ex-Pareto ed ex-comunali, siti alle spalle del cimitero ed acquistati dai sacerdoti per allargare il settore femminile dell’istituto.

    Verso il 1904 il marchese Pareto vendette il terreno alla ‘società anonima Cooperativa di Produzione(questo nuovo organismo –nato a fianco della cooperativa di consumo per merito nato dall’instancabile attività sociale di Carlo Rota e dei suoi successori (primo ad esserlo fra tutti, fu Valentino Armirotti)- è il capolavoro della classe operaia. Personaggi che proposero alla massa operaia, emarginata dal mercato dei potenti imprenditori, di svincolarsi da loro che  genericamente sfruttavano la mano d’opera; un percorso tutto in salita per iniziare autonomamente una attività produttiva, orientata sia verso la costruzione di case popolari per i meno abbienti, sia per la produzione meccanica. L’operaio compie così un enorme salto di qualità. A mio avviso è l’elemento base che ha dato forza alla classe operaia; invece mai abbastanza  è stato rappresentato, perché invece si parla-si scrive-si vanta una ‘classe operaia’ sempre intesa come dipendente, succube e passiva nell’iniziativa del lavoro, identificati nell’ esplodere clamorosamente di rabbia negli scioperi. Invece no: la qualità e la dignità  degli operai emergono da queste iniziative che dimostrano la possibilità di essere completi: imprenditori, produttori e consumatori autonomi perché capaci). (il dBosco pag.52.57.61)

Un terreno, che da coltivo diviene costruttivo e cementificato: nel 1905 compare sulle carte il nome alternativo di  ‘società   metallurgica’ 

In seno all’«Ass.Gen.M.Soccorso e Istruzione degli Operai di SPd’A.» nacque nel 1864 la «Soc.Cooperativa di Produzione e Consumo di SPd’A». Mentre prendeva avvio subito l’offerta in campo alimentare (Produzione di farine, pane, pasta; consumo di tutti i più vari generi alimentari), occorsero vari decenni perché si allargasse l’attività all’edilizia (1875; nel 1895 la coop. era presieduta dall’ing. Brenno Salvatore; eletto al Comune, la società fu posta in liquidazione nel 1899) ed alla meccanica: quest’ultima è poi rimasta per antonomasia il sinonimo di “Produzione” o “Meccanica”.

L’attività col metodo Cooperativo trovò proliferazione, coinvolgendo numerose categorie di lavoratori (muratori (1897), ferrovieri (1897), turacciolai, falegnami, spazzini, pescatori, ecc.) e creando un vastissimo tessuto, curato con congressi e convegni svolti anche nella nostra città –divenuta culla di questo movimento-,  mirato a proteggere il più possibile le varie categorie stesse fino a creare una “Lega nazionale delle soc. Cooperative”. A fine secolo in SPd’A esistevano le tre principali, nate dall’Universale (Produz. e Consumo; Case economiche; Meccanica) e la “Consumo LigureLombarda”.

La Produzione meccanica, nacque come idea il 12 ottobre 1873 nella sede dell’Associazione Universale Operaia, quando rimasero senza lavoro ben 400 operai dell’Ansaldo, su idea e proposta del socio Piero Botto. Promosse di aprire un’iniziale  fucina  in cui potessero lavorare gli operai disoccupati. Quando dopo 10 anni si stilerà uno Statuto, al primo articolo si porrà lo scopo: «...raccogliere i mezzi sufficienti per l’impianto di un opificio meccanico o d’altro genere di lavoro, onde togliere la preponderanza del capitale sul lavoro, emancipando l’Operaio col renderlo compartecipe all’utile.» L’anno dopo 1874, sotto una tettoia nei giardini a fianco della Coop. di Consumo e con strutture molto modeste, il primo operaio che iniziò a lavorarvi fu Gerolamo Bagnasco (detto ‘Giromin’), aiutato dall’attivissimo Pilade Derchi e dagli altri soci che li affiancarono nelle ore libere e la domenica; la tettoia divenne un baraccone chiuso (Giromin, diventato maestro, dopo aver assunto incarichi organizzativi e preparatori nella società,  non seguì sino in fondo le sorti della Coop. ma, dopo la sistemazione di essa in via A.Saffi, si mise in proprio rilevando un laboratorio, aperto nei palazzi  vicini)

 Con le quote versate dai soci, nel 1883 (Tringali scrive 1882) la Coop. poté costituirsi legalmente: scrivendo uno statuto «con lo scopo di usare i propri risparmi per impiantare un opificio meccanico, emancipando l’operaio con il renderlo compartecipe all’utile»; chiamandosi ‘società anonima Cooperativa di  Produzione fra gli Operai in San Pier d’Arena’; affittando e trasferendosi in locali  più ampi in via Battista Agnese (poi successivamente distrutti a favore delle case da abitazione attuali), con reparto di tornitori, calderai, aggiustatori meccanici e fonderia.

Nel 1886 ha già 530 soci.  1887: la Coop aumenta i soci, arrivando a 627, e muta nome in «Soc.An.Cooperativa di Produzione». L’evento è stato reso possibile dall’aver occupati cento operai, aver ottenuto importanti commesse dal governo, da privati, dalla consorella di Consumo (un mulino a vapore da 50cv),  e subappalti. Viene nominato ingegnere tecnico Torriani Davide (che nel 1907 aprirà uno stabilimento proprio chiamato Acciaierie e Fonderie Liguri, vedi a via s.Fermo). Viene affittato un locale nella strada oggi via G.Buranello, di 1200 mq dalla ditta Franchini per creare l’officina dei calderai.

Marzo 1889; l’apporto di commissioni provenienti anche dalla Marina militare (caldaie e natanti in ferro) contribuì ad aumentare il lavoro ed i soci (oltre 700).

Nel 1890 immobili ed impianti valevano 27mila lire: non grandi capitali quindi,  se confrontati con la vicina azienda meccanica Storace con capitale 60mila e con l’Ansaldo milionaria) ove lavoravano oltre 100 operai, con un dividendo negli anni 1887-90 del 10%.

Nel 1892 l’incremento del lavoro e degli occupati, determinò la ricerca di nuovi spazi; pressati non si sa da quali urgenze (spazio o sfratto), occuparono inizialmente un terreno ove ora scorre via B.Agnese, allora ancora prati incolti al bordo dei giardini. Il 1892 fu anno delle feste colombiane, re Umberto I venne a Genova a visitare l’esposizione ed approfittò per ammirare la produzione meccanica genovese (Lamponi dice che venne anche nell’opificio operaio, e compiaciuto comprò  con gesto di fiducia un buon numero di azioni societarie a titolo investimento privato). Dopo pochi mesi, nell’anno dopo:

1893,  si ritrasferirono definitivamente in via A.Saffi 27 (v.C.Rolando, al di là del vicoletto anonimo chiuso in fondo dai muri dei salesiani, posto a nord del tempietto-cimitero di san Gaetano; ed ivi restò fino agli anni del 1950. Diretti da Fossati, resero la coop capace di rilevare alla spiaggia del Canto della città  un cantiere navale acquistandolo (Tringali scrive che fu Giromin ad acquistare per se stesso il cantiere, poi si smentisce) dalla ditta Baracchini e producendo così anche piccoli natanti e loro parti. Avvenne così il primo varo di un rimorchiatore interamente realizzato dalla coop. (dall’elica, al motore, lo scafo).

1897, gli operai occupati arrivarono a 177. Direttore fu Eugenio Broccardi (?-pag.58 del libro 2421)

1906 gli operai occupati arrivarono a 244; gli uffici erano in via V.EmanueleII (via G.Buranello) e la società si autodefiniva di ‘costruttori meccanici e navali’. In questo anno, subì l’inflessione coinvolgente la cantieristica con alcuni anni di crisi e licenziamento di un quarto dei lavoratori.

Pare che nel periodo bellico del 1915-18,  abbia anche prodotto cannoni. Nel Pagano/1920 la leggiamo sempre nelle due sedi: in via A.Saffi 27 ed in via Vittorio Emanuele non specificato dove.

Nel 1926 ne erano direttori gli ing. Eugenio Broccardi (nel 1920 è anche consigliere provinciale) e Luigi Derchi; con loro l’installazione di sempre più attrezzati impianti e l’acquisto di un modesto cantiere navale, riuscendo ricevere importanti commissioni:  costruire rimorchiatori in acciaio, motori a vapore per grandi e piccole navi, ponti in metallo, grosse barche, ed altre strutture importanti in ferro e acciaio.

 Nel 1957, quando dava lavoro a 120 soci, per una ennesima crisi nel settore, e per concomitanti circostanze negative, cessò la produzione malgrado lo statuto indicasse che ‘non può cessare di esistere che per cause di forza maggiore, né potrà sciogliersi se non verificandosi perdite considerevoli.

    Dal 1905 quindi, il viottolo rimase “privato”, e chiuso alla fine: non appare aver mai ricevuto un nome ufficiale rimanendo diramazione di via C.Rolando, ove aveva apertura il civ. 19.

    Solo nel gennaio 1963,  eliminato lo stabilimento metallurgico, sul terreno –messo in vendita per 200milioni- furono costruite a nord le case attuali che si aprono col portone nella galleria (che fa parte di via C.Rolando); con esse e col recupero comunale della strada, ne derivò in quell’anno dal Consiglio Comunale la titolazione al partigiano.

 

CIVICI   solo pari e progressivi (senza rossi e neri)

Anno 2007*: = da 2 a 58 (mancano dal 42 al 46)

 

Acquisita autonomia, cambiarono i primi civici: da civ. 19 nero di via Rolando a civ. 52; il 67rosso divenne 54.

===civ. 14r apre con breve rampa in discesa, a dei box sotterranei

===civ.       si aprono i vani degli uffici postali, con ingresso anche nella galleria.

===civ. 52-4 presso il muro che delimita a nord la proprietà, ha posto una piccola lapide a ricordo di quattro  dipendenti morti nel conflitto: “La Coop. di produzione ai suoi caduti di guerra 40-43  -  Assereto Riccardo, Lanza Guido, Morchio Giulio, Neri Aldo . 4/6/55 “.

===civv. 56 e 58 furono assegnati successivamente (1967) alla scuola  liceo scientifico  E.Fermi.

   Edificato sul terreno ove finiva la fabbrica di carpenteria meccanica e sul cui retro scorre la ferrovia (che va dal parco del Campasso al porto in zona Di Negro tramite la galleria dei Landi). Nato nell’ottobre 1960 come succursale del liceo scientifico genovese “Cassini”, ed ospitato dapprima nei locali di via Chiusone, nel 1961 (altrove si scrive con l’anno scolastico 1962-3) divenne autonomo sotto la presidenza del prof. Orzalesi. Gli studenti, sempre numerosissimi, provenienti per la maggior parte da famiglie operaie, hanno spesso rappresentato la cosiddetta ‘scuola calda’, ovvero sempre in primo piano nella ricerca di nuovi impegni scolastici, anche se troppo spesso politicizzati a senso unico, in parallelo alle tensioni sociali dell’epoca. Nel 1970 fu aperta una succursale a Teglia. Nel 1989 si gemellò con il liceo scientifico francese di Nantes; altri gemellaggi e corsi estivi all’estero completano l’insegnamento aggiornato. Nel 1993, unico in Liguria e fra 11 in campo nazionale, scelse di aggiungere l’aggiornamento telematico e dei laboratori; così oltre all’indirizzo ordinario ha come sperimentali un indirizzo bilingue, naturalistico, sport e spettacolo, PNI.  Ha una succursale in via Rolando,12.

Nell’anno scolastico 2006-7 si scrive che, causa il numero degli iscritti, quattro classi (90 studenti) sarebbero state trasferite in via Dino Col (dove già sono l’Abba-geometri e GastaldiGiorgi-industriale); e quando alcuni del Fermi erano già ospiti presso la scuola media Barabino, di via C.Rolando, ed altri al liceo classico Mazzini di via SPdArena (sic sul Secolo; il ‘classico’ è nei giardini Pavanello-vPReti).

Nel 2007 appare composto da sede direzionale in via Ulanowski 56, tel 010 645.1229; tre succursali (via C.Rolando 12, via P.Reti 25, via D.Col 30/32) e quattro indirizzi sperimentali tutti convergenti nella maturità scientifica (bilingue, naturalistico, sport e spettacolo, PNI)-. L’intenzione è però accorpare tutti alla ex-marittima, via Cantore-Milano non appena ristrutturati i locali (acquistati dalla Provincia per 8milini di € ed affidati alla impresa Davide Viziano). Nel 2009 si apprende che la succursale utilizza la palestra dei VVFF non potendo usufruire della propria.

 

DEDICATA  al partigiano triestino, figlio di Casimiro e Pecenco Giuseppina là nato il 6 lug.1923, studente della facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Genova , antifascista per ideologia politica acquisita in casa e negli studi. Si dedicò dapprima a fare propaganda avversa al regime fascista finché nel gennaio 1944 fu costretto alla fuga in montagna per non essere arruolato di forza . Ben presto, dopo pochi mesi sui monti, acquistò fiducia e capacità divenendo capitano nella ‘3.a brigata Liguria’  ed assumendo il soprannome di “Josef”. Ricevette poi l’incarico di ufficiale dello stato maggiore.

   Durante un rastrellamento nella zona delle Capanne di Marcarolo, nella Pasqua del 1944, il 10 aprile fu catturato e trasferito a Marassi (la primavera del ’44 era stata particolarmente feconda di arresti: da renitenti ai bandi di arruolamento, dal raffreddato consenso degli operai alla lotta clandestina organizzata, dalla disorganizzazione dei molti avversi al regime che operavano in nuclei slegati come il VAI, la Giovine Italia, gli appartenenti alla OTTO ed i partigiani stessi di città e sui monti  rastrellati).

   Il 15 maggio successivo, un attentato gappista (deciso in una riunione svoltasi a SanPierd’Arena e presieduta da Germano Jori, mirato a trattenere notevoli forze nemiche in città per presidiare i punti nevralgici, creando in loro insicurezza e demoralizzazione), provocò nel cinema Odeon di via Ettore Vernazza in Portoria la morte di quattro soldati tedeschi ed il ferimento di altri sedici, di cui quattro gravi  (il locale, era stato requisito ed adibito ad esclusivo uso delle truppe tedesche con proiezioni nella loro lingua e rigorosamente vietato ai civili italiani; dei militari controllavano rigorosamente tutti quelli che entravano ed uscivano dal locale; una bomba a miccia lenta fatta di un kg. circa di tritolo compresso in un tubo di acciaio, nascosta in una borsa  fu introdotta da un gappista rimasto anonimo, travestito da ufficiale tedesco; fu fatta esplodere alle 19,30 durante la rappresentazione di un film).

   Fu posta una taglia, enorme per allora: 3 milioni di lire.

   La rappresaglia, sulla base del 10 italiani per ogni tedesco voluto da Hitler, già adottata a Roma dopo l’attentato di via Rasella di due mesi prima, determinò il giorno dopo (16 maggio) un processo del Tribunale Speciale ed il 17 la definitiva modalità: condanna a morte dei detenuti, nonché luogo e modalità di esecuzione (la più totale segretezza per evitare disordini ed altre rappresaglie in città: dovevano essere giustiziati lontano, in luogo appartato e nascosto; si dovevano seppellire le salme da non doversi sapere dove fossero. Avrebbero dovuto essere 40; poi 50 perché un ferito morì nei giorni seguenti; divennero 59 non si sa perché (o sbagliato il conto, o i morti tedeschi furono sei e non cinque; il 60°, Ricci Raimondo (88enne nel 2009), allora sottotenente assegnato alla Capitaneria di porto di IM; catturato e trasferito dopo spiata di un marinaio; ebbe salva la vita miracolosamente (dopo essere stato incluso nell'elenco, non fu chiamato nel contro appello: mai si è saputo perché; trasferito a Mauthausen; divenuto poi penalista e parlamentare del PCI).  In totale 42 politici più 17 partigiani superstiti da Pasqua dalla Benedica, tutti praticamente già condannati a morte (bugia, perché non tutti già processati). Gli scavatori della fossa furono inviati sul posto scelto il 18 mattino (una squadra di ebrei,  poi fatta rientrare di notte tenendola segregata). Fu scelta la località detta Fontana Fredda (altri scrive alture di Riofreddo; poste tra la galleria del Turchino ed il valico a 542 m slm; era raggiungibile con una mulattiera che poi arriva alla Cappelletta di Masone;  fu suggerita da qualche ufficiale che era stato a  controllare le postazioni militari sul passo)).

Il 19 maggio 1944, immaginando la sentenza, commoventi risultano le lettere che il giovane scrisse, con pacata e controllata emotività ma di forte carattere, ai suoi più intimi parenti. Il ventunenne Ulanowsky – fu caricato prima dell’alba con i compagni (assieme - ed anche a lui è stata dedicata una strada sampierdarenese- c’era il 19enne Bruno Ghiglione) su due corriere di linea sequestrate appositamente. Sorvegliati da circa 200 tedeschi - delle SS e di soldati della marina (Kriegsmarine) - più vari italiani simpatizzanti, furono trasportati nella località, legati due a due; ed in un’ora e più, avvenne la fucilazione di 59 prigionieri

 Prefetto a Genova era Emanuele Basile e, da parte tedesca, deus ex machina fu Friederich Engel, comandante della Sd (la polizia delle SS) che alla fine degli anni 90 fu condannato (morirà nel 2006, a 95 anni) nel 1999 (?) a  4 ergastoli dal tribunale militare di Torino (mentre il tribunale tedesco di Amburgo lo aveva condannato nel 2003 a otto anni di carcere; ed a Dresda fu disposta l'archiviazione essendo prescritto il reato).  

Sui giornali, il giorno 20 apparve un laconico comunicato segnalante che  “59 comunisti e dinamitardi erano stati giustiziati all’alba del giorno 18” dando il fatto  per già compiuto due giorni prima, anziché uno (i familiari, sapendo vivi il 18 i propri congiunti prigionieri, poté dedurne erroneamente che la fucilazione non era toccata a loro; il padre di Walter, Casimiro, seppur conosceva il tedesco più volte si scontrò con un muro di silenzio e di paura).  Cosicché solo dopo il 23 i familiari iniziarono ricerche in quella direzione seguendo vaghe indicazioni, bisbigli e notizie sussurrate. Finché non identificarono la zona e, dolenti, riesumarono le salme per il riconoscimento (ben 12 non furono identificate). Alzarono sul posto una croce in alluminio e poi un sacrario. Le salme dei caduti dapprima furono composte nella terra stessa dell’eccidio; poi trasferite nella cappelletta di Masone; e solo il 20 giugno del 45 dapprima trasportate nella parrocchiale del paese, poi a Genova da dove ognuno seguì la via indicata dalle famiglie.

       Nella lunga poesia intitolata “i fucilati del Turchino”, Carlo Pastorino, pubblicata il 22 giugno 1945 sul quotidiano genovese “il Nuovo Cittadino”, fa cenno al ragazzo come rivolgendosi al padre: “Bevettero (sic) i cari martiri del Turchino la loro ultima luce nel profumato mattino di maggio:…e anche era con loro, o Ulanowski, il tuo figliuolo, il tuo figlio della grande e sventurata nazione polacca; …”.

 

BIBLIOGRAFIA

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-Gimelli G.-Cronache militari della Resist.-Carige.1985-vol.I-pag.236-8  

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-Lamponi M.-Sampierdarena- LibroPiù.2002- pag.127.157.165

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-Morabito L.-Il mutuo soccorso-Ist.Mazziniano.1999-pag.343

-Pastorino&Vigliero-Dizion.delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pg.1397.1792

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova- Marsilio 1995- tav.21.22

-Tuvo&Compagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag.266
UMBERTO                                    via Umberto I

 

Corrisponde alla attuale via P.Reti-W.Fillak .

   Finché per secoli e secoli dall’epoca romana, la strada ufficiale per uscire da Genova fu quella a monte, che passa ora a livello del cimitero della Castagna, il tratto stradale fondovalle, parallelo al torrente fu inesistente o comunque in totale disuso se non per traffici e scambi locali  che avvenivano transitando generalmente per il primitivo antico asse centrale del borgo (via DeMarini-via Daste-viaRolando-via Campasso).

    La viabilità subì un netto miglioramento dopo il 1630 con le ultime mura ed il nascere della strada dalla Lanterna. Da questo nuovo asse viario, per arrivare a Rivarolo si potè iniziare ad usare sempre più sia la antica direttiva al centro del paese che quella nuova  lungo il litorale; ma ambedue in zona Mercato si congiungevano e per arrivare alla parrocchia (san Martino) e Rivarolo, unica strada era l’attuale via C.Rolando.

Solo dopo il 1700 in quest’ultima direzione si migliorò la viabilità lungo il torrente (fu a spese personali del doge G.B.Cambiaso, poiché era per proprio interesse: poter raggiungere le proprie tenute a Rivarolo ed oltre).

    Aperto questo esercizio, anche il commercio, ne trasse vantaggio. La nuova strada fu però percorsa nei due sensi più volte anche dall’ esercito  austriaco in aggressione di Genova.     

   Solo a fine dell’epoca napoleonica - e poi ancor di più con i Savoia - le condizioni di mantenimento stradale  migliorarono; così iniziano a metà del 1800 le prime denominazioni delle strade più importanti e di maggior conoscenza popolare ( vaghe indicazioni legate a punti di riferimento di rilievo, non ancora ufficialmente denominati);   tipo – per la strada in trattazione - “stradone della Palmetta” e poi dopo dal Porro: “strada reale di Torino”, e dall’ Alizeri: “strada Nuova provinciale”.

   Nelle carte, questi nomi persistono a lungo, anche oltre la nominazione ufficiale del regio decreto del 1857,  che finalmente riconosce il nome di “via Vittorio Emanuele” (comprendente tutto il percorso, dalla Lanterna a Rivarolo, particolareggiando il tratto, come ‘via Vittorio Emanuele alla Palmetta’ ).

    Nel luglio del 1900, con l’assassinio del re Umberto I, il solo tratto - lungo  un chilometro e cento metri circa, da piazza V.Veneto  a Certosa ed oltre -, fu dedicato al re ucciso. In quell’epoca per la prima volta fu applicata in modo più razionale anche una numerazione civica, e fu chiarito il modo ufficiale il confine tra la città di San Pier d’Arena e Certosa (dalla strada al torrente Polcevera fu specificatamente titolata  una “via del Confine” oggi via G.Frassinello);  e dalla strada al colle, fu indicato il torrente che dall’alto scende fino a  via Brin (oggi, dalla metropolitana).

   Nel periodo in cui fu applicata la tassa del dazio - fino all’ ultima guerra -, il casotto – per ragioni di spazio di collocazione - fu posto a mare del cavalcavia ferroviario, ma ancora il confine era cento metri più a nord (un altro posto di controllo fu istituito in alto, a forte Crocetta). 

   Per motivi non conosciuti – forse numero di abitanti - dopo l’ultimo conflitto mondiale il confine è stato per noi accorciato, passando ora per via Campi ed il ponte dell’Autostrada (ed escludendoci  l’ultimo tratto di via W.Fillak, metà via del Confine, via M.Bercilli  e via A.Ristori, via Pietra, tutte allora di nostra competenza). 

   Appena denominata, un censimento delle case esistenti al fine di elaborare anche la numerazione (che già preesisteva ma appartenente alla più lunga via V.Emanuele, per cui il civ.1 attuale corrispondeva al 30 della precedente), vedeva, dapprima il tratto oggi via P.Reti: sul lato destro al civ.1 (ex 30) casa Castello; al 2,3,4 casa Carpaneto (ex 31); all’angolo con via san Cristoforo il civ.5 di Chiesa e C, e di fronte casa Razzetti al civ.6   (ex 33); civ. 7 assegnato nuovo all’ingresso stabilimento Tramvai; civ.8 alla ‘casa d’abitazione del Tramvai’( ex 33B);  civ. 9 (ex 33C) ingresso stabilimento Torriani (aperto nel 1895, con indirizzo di stabilimento meccanico navale, arrivò ad avere 200 operai quando, in espansione, si aggiunse un secondo fabbricato “per l’impianto di macchine perfezionate per l’esecuzione dei lavori secondo gli ultimissimi sistemi e le migliori regole dell’arte”); civ 10 (nuovo) all’ingresso stabilimento Repetto  a me sconosciuta la sua funzione; civ. 11 (ex 34) alla casa custode giardino; civ 12 (ex 34K già ingresso dello stabilimento Produzione) alla casa Franenini; civ. 14 (ex 34A) casa Galeazzo; civ.18 (ex 34B) casa Movegno. Sul lato sinistro civ 13 (ex 34D) casa Guiducci; civ 15 (ex 34E) casa Morando fabbrica mole; civ.16 (ex 34L) ingresso stabilimento Sasso; civ.17 (ex 34F) casa Sasso (evidentemente in via WFillak ancora non c’erano case).

 

   In corrispondenza, nel Pagano 1902 «ne compare solo uno perché, gli esercizi commerciali sono ancora alla voce via Vittorio Emanuele:  all’ 1 Rolla Vittorio e Rolla E. separatamente sono commissionari e rappresentanti, si interessano di articoli tecnici, oli e grassilubrificanti, e fabbricano cinghie per trasmissione, lavorano ferro-acciaio-ghisa, filetti per macchine. tel 813;---

      Nel Pagano 1908 compaiono nella via al civ.5 il ferramenta Serra Ercole;--- al 20 la farmacia di Grosso Agostino (nel 1919 il civ. è divenuto 29 ed il farmacista successore fu Lanfranchi Filippo con tel 44-95).

Civ non specificato, la sede di un impresario edile tal Merlo Bartolomeo;--- il venditore di automobili Campora Antonio;

   Viene descritta l’esistenza di un ‘cinema Eden’ , con sala per solo 50 spettatori, aperta negli anni attorno al 1910, cinquanta metri dopo verso Rivarolo rispetto all’attuale collocazione del ex-cinema Massimo (allora cinema Verdi); fu chiuso nel 1918.

   La strada compare ufficializzata nell’elenco delle strade, pubblicato dal Comune nel 1910:”da sotto il passaggio Umberto I al confine territoriale con Rivarolo Ligure” (ovvero dal sottopasso ferroviario di piazza VVeneto); aveva civici sino al 62 e 65.

a sinistra, inizio di via Umberto I con eculissi del tram; a destra via N.Bixio

 

   Nel Pagano 1911 e 1912 sono citati al civ.5 negozio di ferramenta di Serra Ercole; Robba Andrea (→’25 civv. dal 9r al 15r) di casalinghi e chincaglieria; al 18 la levatrice Ferrarini Luigia; al 19 (dal 1912 al ‘25) la levatrice Migliara Carolina; al 29-6 Brizzolara Emilio esercita ancora nel 1925 da dentista; al 32r rivendita pane di Parodi Giacomo, al 34r di Derchi Marcello;


al 45r la Coop. fra muratori ed affini dell’edilizia (tel. 3778 – nel 1904 fanno reclame sul giornale “L’azione socialista” specificando avere sede in piazza Omnbus; nel 1905 assunsero l’incarico di restaurare il palazzo del Monastero (vedi) prevista sede del Municipio; nel 1908 il Pagano li descrive in via Vittorio Emanuele al civ. 8r sotto la ferrovia ed attivi nell’erigere la vasca di piazza Settembrini (vedi); nel 1913 pubblicano il bilancio consuntivo dell’anno: presidente Repetto Giovanni, ha un movimento di £.1105,60 con un utile di 209,65);


 

 al 48r Bottaro GB; al 55 (dal 1912)  la levatrice Pedrini Carolina; al 59 rivendita di pane (di Bagnasco Maria, al 60 delle sorelle Lonzi);

(i numeri a seguire, il Pagano li colloca sempre a Sampierdarena)=al 67r di Franzone Paola;  al’83r Porcile Gaetano (Giacomo) ha un negozio di commestibili e rivendita pane; forni (all’88r il di Melchiore Elisa, al 102r quello di Cocchiano Emilia, al  128r quello di Goffi Natalina, al 130 e 243 r di Moscato Feder.; al 173r di Colombato Teresa ed al 211r quello di Penna Malvina); 163r la Coop.Ligure Lombarda (anche in via Daste 46r);

Non specificato il civico: Sobrero Antonio di cartoleria; la farmacia san Martino del dr. Caraccino; Bertorello Remo ha un negozio di articoli tecnici tipo cinghie per trasmissione (e deposito di quelle di pelo di cammello) macchina per filettatura; corderia Nazionale Carrena e Torre ha fabbrica, macchinari ed un deposito aperto;  Morando Giuseppe (in altre righe è Francesco), tel.937,  fabbrica cavi ed altri lavori in crine; gli eredi Merlo Bartolomeo gestiscono una impresa edilizia; un libraio Vernazza e Zai; Campora Antonio che vende velocipedi; Lucotti Paolo, tessuti;  la ‘Coop Muratori ed affini’ quale impresa edilizia; Moris Gaetano panettiere; G.Gatto & figli (nome rilevato su una cartolina postale il cui timbro postale è di Rivarolo- “fabbrica botti e tini, fusti per esportazione per liquidi  ed imballaggi; riparazioni a domicilio e in Stazione Ferroviaria”; vedi 1933).

      Nel 1915 il notaio Bonini ha ‘di fronte’ in una lite, Emanuele Vittorio Parodi, presidente della soc.an. Corderia Nazionale già Carena e Torre, e Pasquale Merlo, per questioni di immobile sulla via (vedi a vico Chiusone).

   In una seduta straordinaria del Municipio, datata 31.3.1921, si decise l’aumento delle tasse agli stabilimenti sampierdarenesi aperti sulla strada: al civ. 16, Sasso fratelli, lavorazione lastre e tubi in piombo (ove ora è Metallegno). Un loro opuscolo indica la stessa strada, ma il civico 10, telef. 16-47 (vedi via P.Reti); civ. 20 spa Commercio Metalli e Ferramenta¨ ; civ.41.43r. la soc.an. già Torriani fu Davide, fonderie e officine meccaniche e cantiere (ove ora è l’AMT, a monte).

Non specificato il civico:   soc.Corderia Nazionale Carrena e Torre (con sede a Genova, e deposito aperto, che nel 1908 fu in via UmbertoI, poi in piazza Palmetta); soc. Unione Italiana Tramways Elettrici (ove ora è l’AMT, terreni a mare); soc.an.Gio Ansaldo macchine agricole; cinematografo Eden (di Parodi B e C.); negozio di chincaglierie di Robba Andrea; negozio di calzature di Porta Primo;  negozio di cinghie per trasmissione di Remo Bertorello;

Nello stesso anno la stessa Giunta deliberò anche il cambio del nome, mirato ad onorare –come in tutta Italia, con grosse, imponenti e solenni onoranze- il nome del Milite Ignoto (vedi).

   

                                                                              1917 – collez. Canepa

Ma ancora nel Pagano 1925-6 compaiono indifferentemente come via UMBERTO I (UI) e come via Milite Ignoto : civ. 10 i succ. Morando che ancora nel ‘33 si interessano di macine per molini; -civ. 19 levatrice Migliara Carolina ed i successori (UI) della vedova G.B.Repetto,tel 849, in una officina meccanica;- civ. 20 la Società Commercio Metalli e Ferramenta, tel.41-373;- civ. 31r Piccardo Bartolomeo di Filippo ha negozio di ardesie e materiali da costruzione (poi andrà a finire in via Pastrengo-v.Stennio);- civ.40 il Linificio & Canapificio Nazionale (stabilimento di Sampierdarena), fabbrica di cordami, spaghi e corde per imballo, tel, 41139;--- civ. 44r “la antica farmacia Sibelli,  di DeBernardis Giuseppe (civ.18 tel. 45-25) nel 1919§; e di Mauro Giuseppe nel 1925, tel 41169);- civ.54-1 levatrice Pedrini Carolina;- civ. 89-91r la farmacia “Lanfranchi Filippo (Laboratorio chimico farmaceutico, tel 41242);- civ.168r  impianti elettrici di Tronca Umberto-; civ. 181r negozio di tesuti di Caratti Caterina;--- civ. 265r Pellegrini Michele ripara copertoni-; civ. 267-271r: alla voce ‘velocipedi’, una “Agenzia Sportiva”;-

Non specificato dove: levatrice Pambianchi Emilia---; impresa edilizia degli eredi Merlo Bartolomeo---; Gotti Lisandro ha negozio di macchine per cucire (‘vicino al deposito tramway’=forse il negozietto all’angolo con via Stennio)---; Lucotti Paolo negozio di tessuti---;

       Ancora nel Pagano 1925 si segnala in più,  al civ. 168  il terzo calzaturificio nella via, questo  di Tronca Angelo; al 163r  il negozio commestibili della Cooperativa Ligure Lombarda

Quando nel 1926 tutte le città vicine a Genova furono assorbite nell’unico comune della Grande Genova, numerose erano le delegazioni che possedevano questa titolazione si programmò sostituirne il nome (Apparizione, Bolzaneto, Centro, Bavari, Borzoli, Cornigliano, Nervi, Pegli, Pontedecimo, Prà, Quarto, Quinto, Rivarolo, SPd’Arena (di 2a categoria), S.Quirico).

   La strada aveva lo stesso nome Umberto I ancora nel 1933 quando fu appaltata la pavimentazionecon lastroni di porfido preventivando una spesa di 1milione100mila lire; in effetti con una spesa di 600mila lire venne completata fino al confine con Rivarolo (e continuata oltre con altrettanta spesa) la lastricatura con masselli di granito, posti su apposito sottofondo di calcestruzzo (nella delibera, la via viene ancora genericamente chiamata ‘via dei Giovi’ oppure ‘per l’entroterra’).

   Già vi esistevano le tre farmacie ( la Sibelli di G.Mauro al civ.40; la Failla già Lanfranchi oggi Croce d’Oro al 107 ; la san Martino di A.Perrone al 96. Però in un elenco non datato, al civ.18 viene segnalata una quarta farmacia di proprietà del dott. Bernardis Giuseppe); dal 9r al 15r il chincagliere-articoli casalinghi Robba Andrea; al 10 il bottaio Gatto Giuseppe ed la succursale di macine per molini di Morando¨;  il cinema Verdi; al 20 la soc. Commercio Metalli e Ferramenta (fabbrica e negozi); al 54 era il Linificio e canapificio Nazionale, sede/Milano (fabbrica cordami e spaghi-funi metalliche); al 215r calzaturificio di Porta Primo; al civ. 235r  l’Azienda Autonoma Annonaria cittadina (per la vendita di generi alimentari di prima necessità, a prezzi minimi); 265r negozio di cereali di Rabbino Amilcare e di riparazione copertoni di Pellegrini Michele; al 267.269.271r l’agenzia sportiva di Velocipedi.

Non precisato dove:  la fabbrica di cinghie per trasmissione di Bertorello Remo; calzaturificio Torinese (dal 1925 ha anche una sede in piazza Ferrer); il negozio di idraulica-elettricità-casalinghi dei f.lli Curti; il negozio di articoli tecnici di Bertorello Remo; i costruttori edili ‘Eredi Merlo Bartolomeo’. .

   La giunta sampierdarenese decise mutare il nome in ‘via Milite Ignoto; il 19 agosto 1935. Il podestà divise la strada in due tratti : quella a mare divenne ‘via Martiri Fascisti‘ e quella a monte ‘via delle Corporazioni’. Nel 1945 , per la legge del ‘chi vince ha diritto all’ultima’  divennero rispettivamente ‘via P.Reti’  e ‘via W.Fillak’  

 

 

DEDICATA al secondo re d’ Italia, soprannominato“re buono”.

   Umberto di Savoia nacque a Torino il 14 mar.1844 da Vittorio Emanuele II e da Maria Adelaide d’Austria.

Da giovanotto, per ovvietà sociale e forse anche per contrastare il naturale carattere mite ed incerto, fu avviato alla carriera militare; a 22 anni partecipò con distinzione nella perduta battaglia di Custoza (1866 - 3ª guerra di Indipendenza, fece parte del famoso quadrato del 49° reggimento) ove si meritò una medaglia d’oro al VM. 

    Divenuto re per successione nell’anno 1878, ebbe un periodo di governo assai difficile sia per le difficoltà economiche legate a tutte le guerre affrontate sino ad allora; sia per il contrasto con le forti forze repubblicane che –nella sua ottica- stavano quiete solo nei periodo bellici a cui partecipavano in massa come volontari ma che in pace innescavano irrequietudine nelle popolazioni sollevando gravi problemi sociali; sia per le difficoltà burocratiche nell’amministrare uniformemente tutte le terre unificate, legate come ideale ma con ciascuna abitudini burocratiche ed amministrative diverse: quindi una Italia unita politicamente e militarmente, ma non ancora nell’assetto ideologico e produttivo; sia infine per delle scelte -a posteriori giudicabili inopportune ed infruttuose, se non addirittura portatrici alla nazione solo di lutti e difficoltà economiche- come la guerra d’Africa, la Triplice Alleanza, il dissidio con la Francia. Quindi in sostanza ‘buono’ per modoi di dire e molto di parte.

    Sposò Margherita di Savoia, nata a Torino e figlia del Duca di Genova;

 la quale politicamente fu sempre più legata alle destre (fino al fascismo) e che assai spesso riuscì ad influenzare anche il consorte, costringendolo ad una personale condotta ‘cerchiobottista’.  Tipici esempi sono, per di qua, le scelte neo assolutiste,  tipo  decorare il generale Fiorenzo Bava Beccaris (che aveva –poco gloriosamente - soffocato nel sangue le rivolte della Lunigiana (1894) e di Milano (1898, arrestando nelle patrie galere riformisti (Anna Kuliscioff e Filippo Turati), anarchici, cattolici progressisti (don Davide Albertario), socialisti e poeti schierati nella protesta (Pietro Gori, assente da Milano ma compositore di una poesia contestatrice); oppure tentare una svolta del regolamento parlamentare somigliante ad un colpo di stato mirato a diminuire o annullare l’appena inaugurata svolta democratica (sorretto dai ministri Starabba march.di Rudinì e dal gen. Pelloux, ma sventato dai liberali giolittiani, dai radicali e socialisti (tra essi –in Parlamento- Leonida Bissolati, moderato, dopo essersi azzuffato in aula di Montecitorio contro Sidney Sonnino e Prampolini,  rovesciò nell’aula l’urna della pericolosa votazione). Per di là, anche se ammansito da questa pesante sconfitta elettorale, avallando infine - o meglio, politicamente costretto -  la svolta liberale  giolittiana, riconoscendola nel successivo – e per lui ultimo - discorso alla Camera (16 giu.1900) di inizio legislatura.

   L’errore più grave fu di non aver capito e quindi non aver affrontato il malumore e l’agitazione popolare; illuso da lusinghe imperialiste e glorie esteriori, non prese decisioni per arginare le gravi incrinature dovute ai dissidi sociali interni, che gli causarono ben tre attentati alla vita, di cui l’ultimo fatale per mano dell’anarchico Gaetano Bresci il 29 lug.1900 a Monza, ove era per una premiazione scolastica.

Il Bresci anarchico pratese, trentunenne, tessitore di seta, schedato come sovversivo ha però la fedina penale pulita; venuto apposta da Paterson in America e sistematosi momentaneamente  dalla sorella presso Bologna dove riusciva anche ad esercitarsi al tiro a segno con la pistola. Senza una organizzazione più vasta, per propria iniziativa quindi, riuscì a saltare sul predellino della carrozza ed a sparare a bruciapelo tre colpi (uno al cuore, uno alla spalla, ed uno al polmone. Fu subito catturato; nel preparare il processo chiese essere seguito a Filippo Turati che però rinunciò; fu difeso da un altro anarchico avv.Francesco Saverio Merlino, non trovando nessuno che si arrischiava a provare a difenderlo pubblicamente; difatti nemmeno poté sviluppare la tesi difensiva quando il Presidente sbrigativamente interruppe l’arringa. Ergastolo. Ma il 22 maggio dell’anno dopo, 1901,  fu trovato morto in cella nel penitenziario di santo Stefano, suicida per impiccagione o -per i suoi  amici- ‘suicidato’. Emotivi di sospetto ce ne sono tanti, dall’uso giornaliero del ‘santantonio’ ovvero percosse a dosi quotidiane, all’abbandono anche dei suoi simpatizzanti politici (che intravvedevano nel re le aperture a riforme di liberalizzazione, all’assenza di qualsiasi documento nella cartella a lui intestata  dell’Archivio di Stato).

   La salma fu tumulata a Roma, nel Pantheon.

  Alla sua morte, il successore diede il via  ad una serie di riforme in senso liberale e sociale (età giolittiana).

   Nel 1898, il re aveva stipulato una polizza vita con i Lloyd londinesi: la famiglia non poté intascare la somma per vari motivi (tra i quali il congelamento dei beni all’estero durante l’embargo -quando l’Italia invase l’Etiopia-; e l’ultimo conflitto). La cifra più gli interessi (2 miliardi nel 1950) fu prelevata dai Savoia dopo un tentativo dell’avvocatura di Stato della Repubblica di rivendicarne la riscossione.

 

BIBLIOGRAFIA

 -Alizeri F.-guida illustrativa per la città di Ge.-Sambolino.1875-pag.667

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 4525

-A.sconosciuto-Storia del trasporto pubblico a Ge.-Sagep.1980-pag.204

-Ciliento B-Gli scozzesi in piazza d’Armi-DeFerrari.1995-pag.55.56.92

-Cevini-Torre-Architettura e industria-Sagep.1994-pag.117

-DeLandolina GC–Sampierdarena-Rinascenza .1922 – pag. 57

-Doria M.-Sampierdarena 1864-1914 mutualismo e...-Ames.2005-p.66

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzoagno  

-Gazzettino Sampierdarenese  :  7/80.7  + 

-Genova Rivista municipale     6/32.   +   2/33.121.209  +  7/33.5  +

-Il Secolo XIX  del 29 luglio2000.pag. 24 +

-Lamponi M-Valpolcevera come eravamo-Mondani.1993-pag.2

-Naniglio.Calcagno-Giardini, parchi e paesaggi...-Sagep.1991-67-80

-Novella P.-Strade di Genova- Manoscritto b.Berio.1900-pag.14.19

-Pagano/1908-pag.873-9—-/19-pag.1015-—/33-pag.1690-7---/61-pag.444

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1793

-Pescio A.I nomi delle strade di Genova-Forni.1986-pag.350

-Quaini M.-Carte cartografi in Liguria-Sagep.1986-pag.57

-Stradario Comune di Genova –edizione 1953-pag.-59.77

-


UNIONE                          vico (dell’ ) Unione

 

 

      Ora si chiama vico P.M.Ciurlo (nella targa stradale, in basso a sinistra è registrato:”già vico dell’Unione”); ed è una traversale di congiunzione tra via della Cella e via G.Giovanetti .

     Evidentemente fu scelto in onore alle numerose Società di Mutuo Soccorso e cooperative che si organizzarono nel borgo e poi nella piccola città, per mettere in pratica quella parte dei dettami mazziniani, di solidarietà, fratellanza ed unione.

    Fu così chiamato negli anni attorno al 1850 quando una delibera comunale approvò di dare nome ad alcune strade, tra cui questa; e sarà poi confermata, nel regio decreto del 1857 ove compare esistente ed ufficialmente riconosciuta.

    Nel 1901 risulta vi abitassero al civ. 1 Sala Pasquale e C; al civ.2 eredi Lavino e Carrozzini; al civ. 3 Vernazza.

    Nell’elenco delle strade comunali, pubblicato nel 1910,  compare ‘vico dell’Unione, da via Cella a via A.Doria’ con un unico civico.

   Nel 1926, solo due centri possedevano una titolazione eguale: SPd’Arena con il vicolo, e Voltri con una piazza

   Il nostro ancora era con questo nome nel 1933, di 5.a categoria, con civici sino all’ 1 e 4 .

    Fu il podestà che il 19 agosto 1935 deliberò cambiare il nome; non si conosce con quale logica o tipo di scelta fu preferito Voltri o forse, fu eliminato in ambedue perché scomparve definitivamente dalla toponomastica cittadina.

In alcuni testi è senza, in alcuni con la scritta “dell’ “.

Nell’elenco comunale è senza la particella.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale  Toponomastica - scheda 4530

-DeLandolina GC.-Sampierdarena -Rinascenza.1922 – pag. 57

-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto b.Berio.1900-pag.19

-Pagano/1933-pag.249
UZIEL                               vico Enrico Uziel

 

 

TARGHE:

vico – Enrico Uziel – patriota dei Mille – 1842-1860 – già vico Maddaloni

 

in angolo con via della Cella

 

in angolo con via G.Giovanetti

 

QUARTIERE ANTICO: Castello

 da MVinzoni, 1757. In rosso la chiesa della Cella; giallo, via della Cella, celeste ipotetico tracciato di via BGhiglione.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:  2859       Categoria:  3

 da Pagano 1967-8

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:  63000

UNITÀ URBANISTICA: 26 – SAMPIERDARENA

 da Google Earth, 2007. in celeste via BGhiglione; giallo, via della Cella; la freccia verde indica il vicolo.

 

CAP: 16149

PARROCCHIA:  N.S. della Cella

STRUTTURA: collega via della Cella (inferiore), con via G.Giovanetti: teoricamente è doppio senso veicolare non essendoci divieti, ma in pratica è agibile solo da motocicli essendo impossibile per le auto voltare dalla parte di via della Cella.

    Strada comunale carrabile, lunga 32 metri e larga 3, senza marciapiedi.

CIVICI:

2007= NERI   =  da 1 a 3

           ROSSI =  da 1r a 3r    e da 2r a 10r

 

Nel Pagano/40 è strada che – come oggi - va da via G.Giovanetti a via della Cella e sono sono segnalati i civv. 1 e 3.

STORIA:  con l’erezione delle case e la delimitazione della stradina, il primo nome ufficiale fu di “vico Maddaloni” (vedi), di 5.a categoria e quando via Giovanetti ancora si chiamava via A.Doria . E tale rimase sino alla famosa data del 19 agosto 1935, quando il podestà di Genova firmò il cambio col nome attuale.

DEDICATA  al genovese di adozione, essendo nato a Aronne (Venezia) il 13 ott.1842. La famiglia, fuggiasca quando lui aveva sette anni, col padre esiliato dopo una perduta rivolta in città, raggiunse Genova ove crebbe coltivando gli ideali dell’indipendenza. Due cugini, Giuseppe e Davide, anch’essi rifugiati a Genova, più maturi d’età divennero Cacciatori delle Alpi combattendo nel 1859 la seconda guerra di Indipendenza. Ma appena anche lui ebbe raggiunta l’età di diciotto anni,  volle partecipare: seppur con non semplici difficoltà, si propose per la spedizione dei Mille. Aiutato dalla soc.di Mutuo Soccorso, fu incaricato di coordinare i volontari che arrivavano da più regioni; allo scopo su un manoscritto autografo di tre fogli (conservati al Museo del Risorgimento), scrisse le “istruzioni per la radunanza e l’itinerario di coloro che prendono parte alla spedizione di Sicilia per raggiungere il punto di partenza“; minuziose le raccomandazioni per passare inosservati alla polizia sabauda.  La polizia, su istruzioni di Cavour sorvegliava la zona, ma “lasciava fare” purché non si creassero sul momento complicazioni che potessero portare a problemi diplomatici; era ben a conoscenza che molte confederazioni operaie, da tempo lavoravano di nascosto per contribuire alla missione, e che i due vapori   -Piemonte e Lombardo- non erano là per caso ma pronti per la partenza per disposizioni accordate tra Bixio e G.B.Fauché (dipendente del proprietario Raffaele Rubattino; le navi sarebbero state da arrembare con l’inganno ed il proprietario era ben consapevole che sarebbero andate perdute).

Facendo parte degli esperti nel tiro con la carabina, riuscì a partire con questo corpo (dei carabinieri), comandato da Antonio Mosto, costituiva un reparto a sé pur essendo di solo trentadue persone;  questi , armati di carabina, erano i migliori tiratori scelti tra i tanti che andavano ad esercitarsi sui campi di tiro cittadini.

  Costituirono l’arma vincente per i garibaldini: ben appostati, seppur a discreta distanza, formavano ampi vuoti nelle file dei soldati borbonici ancor comandati a marciare affiancati a ranghi serrati per essere pronti a far quadrato, ma altrettanto così ravvicinati che ad ogni colpo ne cadeva matematicamente uno.

  Ebbe il battesimo di fuoco appena sbarcato, e combatté eroicamente  a Calatafimi, e via via fino  a Palermo.

  In questa città, il 27 mag.1870, il giovane appena diciottenne, mentre scambiava battaglia con soldati borbonici appostati nei pressi del palazzo Reale, venne colpito da un proiettile di cannone, rimanendo ucciso con la gola recisa. Questa battaglia durò tre giorni: i Mille affiancati da pochi volontari locali, e da alcuni cittadini insorti, tennero testa a 18mila borbonici, combattendo per le strade barricate e sotto il cieco bombardamento delle navi del re. Il momento drammatico si raggiunse quando truppe fresche borboniche erano sul rientro in città dopo essere state distolte da un fasullo inseguimento creato da Garibaldi con ingannevole diversivo: ma fortuna volle che in contemporanea il generale borbonico Lanza, non consapevole né delle sue forze né della precarietà dei garibaldini, ma anzi  preoccupato per la tenacia degli insorti e per i troppi feriti e morti tra i suoi, chiese la resa.

 Le sue spoglie mortali andarono confuse con quelle degli altri caduti nell’offensiva di Palermo.

  Il cugino Giuseppe Uziel, comandante della 1.a compagnia del battaglione dei volontari genovesi, cadde gravemente ferito al petto a Monterotondo, morendo dopo pochi giorni.                 

  A Genova, in via G.Alessi 5, una targa muraria ricorda il cugino David.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 4537

-AA.VV.-Annuario.guida archidiocesi—ed./94-pag.451---ed./02-pag.487

-Codignola A-Genova e l’imprea dei 1000-Canesi 1961-I-pag. 338.340

-Genova rivista  municipale :  12/1937.37ritratto

-Milani M.-Garibaldi e i 1000-Igiemme 1960-

-Morabito Costa-Universo della solidarietà-priamari.1995-pag.170

-Lamponi M-Sampierdarena- LibroPiù.2002-pag.90

-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto b.Berio.1900-pag.18

-Pagano ed.1933-pag.70- ; ed.1961-pag.417

-Pastorino.Vigliero-Dizion. delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1795fot

 

non citato da Enciclopedia Sonzogno e Motta