RAFFETTO                                   vico Angelo Raffetto

 

 

TARGHE: San Pier d’Arena – vico -  Angelo Raffetto

                  vico Angelo Raffetto

 

   

angolo via San Pier d’Arena

  

angolo via G.Buranello                                                                      

 

QUARTIERE ANTICO: Coscia

 da MVinzoni, 1757. In giallo, via Albini

 

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2834,  CATEGORIA 2

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   51980

UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA

  da Google Earth 2007-In giallo la Fortezza; in celeste villa Centurione-Rebora; in verde vico ARaffetto.

 

CAP:   16149

PARROCCHIA: s. Maria della Cella

STRUTTURA:

Inizia da via San Pier d’Arena, con targa  preceduta da un piccolo marmo con inciso «PROPRIETA’ - ANGELO RAFFETTO»; e con un sottopassaggio (dalla volta a vela, tutta di mattoni) inserito nel palazzo col civ. 19 che si apre in via san Pier d’Arena; arriva fino a via G.Buranello dove è chiusa al traffico veicolare da due paletti centrali.

È la prosecuzione a mare di via A.Albini; anche se la ferrovia e via Buranello hanno sfalsato la direttrice rendendola a baionetta.  

È una strada comunale pedonale, lunga m. 75,15 e larga m. 3,24, con marciapiedi; numerazione progressiva verso monte, a levante sino al civ.5 (sul cui portone, 22 nov.2004 è affisso un foglio scritto a mano, che dice esplicitamente «i clienti delle case di appuntamento che operano in questa via, sono vivamente pregati...»); ed a ponente sino al  civ.4.

A sinistra, subito dopo il voltino, due abitazioni assai vecchie; e dopo, le uscite di sicurezza del cinema.

È servita dagli acquedotti  Nicolay e DeFerrari Galliera

     

da via Buranello                                verso lo sbocco in via SPdArena

 

STORIA

dalla carta del Vinzoni del 1757, prima del taglio effettuato dalla ferrovia, si recepisce che già esisteva un sentiero-carrettiera, unico tragitto, dalla strada Centrale (via N.Daste) al mare, con - a levante - la proprietà di Christoffaro Imperiale Lercari (con villa –ancor oggi eretta- posta sulla strada Centrale, e con una grossa casa nell’angolo a mare). A ponente  della stradina, c’era invece la proprietà del mag.co Giorgio Spinola (anch’essa estesa fino al mare, ove all’angolo aveva altra casa intestata a Giò Gio Spinola).

Nel 1850 circa la ferrovia tranciò in due quel tragitto, pressoché a metà, ed essendo la stradina in diagonale –mentre la ferrovia doveva fare il voltino ortogonale al percorso ferroviario, come per via della Cella- la rese asimmetrica.

Nel dic.1900 il regio Commissario propone alla Giunta comunale il passaggio dal comunemente chiamato “vico detto Raffetto” (evidentemente, già vi abitava la famiglia dei Raffetto) a “vico capitan Bavastro(vedi). E così avvenne.

L’anno dopo 1901, presumo all’atto di apporre la targa, all’amministrazione comunale venne posto reclamo dalla famiglia Raffetto che rivendicava il vicolo quale privato e personale;  quindi, seppur concedendo l’uso pubblico per il passaggio, non venne consentito al  Comune la possibilità di interferire nella antica toponomastica.

Pertanto nel 1906 (dopo evidenti controlli catastali e di proprietà) tornò a chiamarsi “vico Angelo Raffetto”, con la titolazione più precisa riguardante il nome del titolare (ma non sufficiente a distinguere due illustri omonimi). Così appare, quindi, nello stradario ufficiale del Comune, pubblicato nel 1910: “vico Angelo Raffetto (già vico Capitan Bavastro) da via Vitt.Emanuele a via C.Colombo; con civv. sino a 2 e 5”.

Nel 1927 la strada compare unica come titolazione, nell’elenco comunale della Grande Genova; di 4ª categoria.

Nel 1933 univa via Vittorio Emanuele con via C.Colombo, ancora di 4ª categoria; ed aveva civici sino al 5 e 18 (mancando però dal 4 al 10).

Nel 1961 il Pagano scrive che aveva solo civici neri 1-1a-2, ma non appare vero.

 

CIVICI

2007= NERI   = da 1 a 5    (compreso 1A);  e da 2 a 4

           ROSSI =  da 1r a 25r                         

                           da 2r a 24r (compreso 1Ar; mancano 18r e 22r).

Nel Pagano/40 il vico è delimitato da via II Fascio d’Italia e via N.Barabino; ha civv. neri 1,2,3,5. E rossi: 2 panif.; 10 Soc.an.Rottami ferro e met.; 13 acciai; 21 latteria.

 

===civ.2  nel cortiletto interno, è visibile la torre detta dei Frati. accessibile da via SanPier d’Arena civ. 17: risale agli anni attorno al XIII secolo, eretta per il controllo della spiaggia, specie per l’avvistamento di eventuali incursori saraceni o pirati o guelfi-ghibellini: possedeva una campana di allarme, ed ai suoi piedi ormeggiavano le barche, quando –a quei tempi- il mare la lambiva.

===civ.3  Il Pagano/61 vi pone l’autorimessa Boccardo S.

===civ. 4 è una uscita di sicurezza laterale del cinema Eldorado che si are all’altezza del civ.12 di via G.Buranello.

===2-4r  nel decennio 1911-20 il Pagano segnala l’esistenza di un forno per pane, di Casale Celestino  (il quale non c’è più nel Pagano/1921, né è sostituito nel vicolo). Ricompare nel Pagano/1961 un panificio di proprietà di Casademonti Augusto

===6r Il Pagano/33 vi pone Passalacqua Eugenio con officina di riparazione, montaggio di motori marini ed industriali.

===10r  lo stesso/33 segnala la Soc.An.Rottami, ferro e metalli. Il Pagano/61 conferma con la presenza di Caviglione G. -rottami (il cui padre Enrico, nel 1931 aveva la stessa attività in via Bombrini 30r).

===civ. 13-15r ed ancora lo stesso Pagano/33 vi pone Barabino Angelo (in altra pagina dello stesso anno lo chiama Duilio: questi è presente nel P/25 nel settore acciaierie) rappresent. acciaio utensili;

===civ. 19r sempre nel 61, una merceria delle s.lle Rossi

===civ. 21r  nel 1961 una latteria, di Bassini G.

Il Pagano/1967  non cita alcuna attività commerciale.

 

DEDICATA: è, molto probabile, una autodedica familiare, considerato che precede quelle ufficiali del Comune che in genere accetta come proprie quelle che denominavano strade private (Currò, R.Parodi, G.Mignone ecc). 

Sulla scia del ‘Dizionario delle strade di Genova’, anche Lamponi scrive che il titolare fu in città uno dei precursori della lavorazione della latta (lamiera usata per confezionare scatole idonee alla conservazione degli alimenti, specie il pesce); aggiunge che la prima officina era localizzata nel vicolo dove anche abitava, e che a lui fu intestato dai successori che però si erano trasferiti in via della Cella aprendovi una fabbrica di latta da conserva con possibilità di litografare sul metallo.

A conferma, nel Pagano/1908 compaiono alla voce ‘Lattai’ i “successori Raffetto e C., in via C.Colombo, con telef. n. 710”.

In quello del 1925 e 1933 essi risultano nell’elenco delle società addette alla lavorazione della latta, recipienti, scatole, ecc., sempre quali ‘successori Raffetto & C’ con sede in via C.Colombo tel.41-327’ (via San Pier d’Arena). Personalmente nulla so di questo personaggio.    I suoi successori, evidentemente trasferiti, li leggiamo negli anni 20 tra  i generosi benefattori dell’istituto don Bosco.

Dopo il 1933 qualsiasi attività di questa famiglia appare già cessata.

 

Della famiglia potrebbe essere l’omonimo farmacista, attivo in via Ghiglione a fine 1800, in quanto pure lui personaggio pubblico e di rilievo. Il 18 dic.1873, assieme ad altre tre farmacie (Domino, di via Giovanetti; Levrero Attilio nella crosa dei Buoi; Delpino Angelo <credo> di via Cassini; e quando in città  esistevano solo sette medici, un ospedale con 60 posti letto -diretto dal dr. GB.Botteri (vedi), aiutato da tre medici, ed ancora ubicato in villa Masnata (vedi via A.Cantore)-), partecipò al concorso indetto dall’ospedale per le forniture, e vinse l’asta. Così il giorno dopo stipulò il primo contratto con l’amministratore Montano, per la fornitura di medicinali necessari per l’ospedale, dietro un compenso forfetario di 40 cent. per malato e per giorno di malattia, e con l’obbligo di provvedere tutte le medicine prescritte dai medici ( tutte preparazioni galeniche, non esistendo ancora le specialità già confezionate); ed una aggiunta di lire 200 annue, per trasporto ed eventuali rotture.

   Nella seconda gara, condotta nel 1881, il Raffetto propose una riduzione inferiore ad un altro collega, così perse l’appalto; ma per nulla offeso, continuò ad offrire gratuitamente all’ospedale i medicinali per le urgenze notturne; e quando il nosocomio decise di provvedere autonomamente alla fornitura del materiale farmaceutico (1912), il Raffetto fu chiamato quale Consigliere -nel ramo specifico- del Direttore sanitario.  Nel Pagano/1908 compare quale titolare della farmacia sita in ‘via Mazzini 1 angolo via della Cella’.  Anche il  De Landolina/1923, seppur ricco di errori e valutazioni, descrive la strada intitolata al farmacista “membro di varie opere pie, uomo benefico, n. a Neirone in Fontanabuona, m. a Sampierdarena”.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale  Toponomastica  - scheda 3762

-AA.VV.-Annuario.guida archidiocesi- ed./94-pag.434—ed./02-pag.471

-Cavallaro G.-Ospedale civile di SPd’A.-Pagano.196_-p. 12.68.73  

-DeLandolina GC- Sampierdarena -Rinascenza.1922 – pag. 51

-Gazzettino Sampierdarenese :  3/76.8

-Lamponi M.- Sampierdarena- LibroPiù.2002- pag.73

-Novella P.-Strade di Ge-Manoscritto b.Berio.1900-pag16

-Pagano annuario /1933-pag.248---/1961-pag.353---/67-pag.940

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1561

 


 

 

                                                                         

RAYPER                                     via Ernesto Rayper

 

TARGA:  via - Ernesto Rayper – pittore – 1840-1873

                                                         

 

angolo con via P.Cristofoli

 

QUARTIERE  ANTICO: Mercato

 da MVinzoni, 1757. Ipotetici tracciati: in giallo, salita Belvedere; fucsia di via GBMonti; celeste, via Farini, rosso, via FAnzani.

 

N° IMMATRICOLAZIONE: 2835, CATEGORIA  2

 da Pagano/67. Non scritto il nome ad indicare la                                  .                                                                              strada.

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°  :   52520

UNITÀ URBANISTICA: 25 – SAN GAETANO

 da Google Earth 2007. In giallo, via GBMonti; celeste, via Farini; fucsia, via PCristofoli.

 

CAP:   16151

PARROCCHIA:  (9 e 16)= NS del ss.Sacramento; (12 e 14)= s.G.Bosco.

STRUTTURA:  brevissimo tragitto non superiore ai 40 m., racchiuso tra via P.Cristofoli e via GB.Monti; tagliato a metà da via L.C.Farini. Sia il tratto inferiore che superiore, possono dare accesso ad autoveicoli; ma ambedue sono chiuse a monte da una scalinata (la inferiore non è segnalata nella carta del Pagano/67).

  

tratto superiore                                              tratto inferiore

 

CIVICI

I civici sono ancora collegati -e ne sono la conclusione- a via C.Dattilo: quindi mancano i numeri iniziali 

2007*= neri: da 9 a 11 (mancano da 1 a 7);      e da 12 a 16 (mancano da 2 a 10)   

           rossi solo pari: da 64r a 70r (mancano da 2r a 62r)

   Controllati ago/07, manca il 23r (da uffici di corso Torino erroneamente messo in via Dattilo)

   Nel Pagano/40 , va da via E.Mazzucco a via P.Cristofoli; ha civv. neri a privati, e al 3n  soc.telef.Tirrena; 6n Cappello Filippo edilizia; 9 pt vaccheria Migone T.;  Civv.rossi1 osteria; 2.4.6 bar; 3 la Provvida; 7 uff.collocamento; 7 patronato naz.p.assist.sociale e sindacati fasc.industria; 8 polliv.; 10 latteria; 12 salumi; 13 Calderoni riproduz. disegni; 14 macell.; 16 Macciò ferram.; 17 mobili; 22 rappr.; 24 fruttiv.; 30 chiesa Cristiana Evangelica; 34 commest.; 38 macell.; 44 casse mutue ind. amb. n2; 54 parrucch.

 

=== il civ. 14 è del 1930

===civ. 23r.   Nel 1950 era aperta una osteria, allora di Massini Ida

STORIA:  Inizialmente e fino al tardo 1800, dove ora è la sede stradale, erano giardini ed orti di proprietà private (vedere carta del Vinzoni: proprietà di Lorenzo Lomellini).

   In essi avvenne dapprima, l’insediamento di una fabbrica di lavorazione dell’argilla e mattoni di proprietà di un Carosio, famiglia residente al Campasso ma proveniente da Voltaggio-Ronco: pur senza documentazione, è deducibile perché la zona –corrispondente a quella racchiusa tra via F.Anziani-C.Rota e via san G.Bosco, venne popolarmente chiamata “la Fornace”.

 

Per ovvietà attribuiamo questo titolo alla fornace dei Carrosio, piemontesi trapiantati qui per impastare argilla e fare mattoni: fu attiva sino alla fine del secolo.

Difficile la ricostruzione dell’evoluzione dello sfruttamento della zona, apparendo che l’area -chiamata la Fornace - in realtà non fu tutta – ma solo in piccola parte - occupata dall’opificio, il quale però diede indicazione a tutto l’intorno essendo l’epicentro di una vasta zona che prima era occupata ad orti e palazzi; poi, i primi, abbandonati e lasciati a prati incolti e piatti ed i secondi abbattuti e cambiati.  Questa deduzione, è perché dalle foto disponibili, riferibili a pochi anni prima dell’anno 1900, si notano sia una area piatta (direttamente a levante della antica via san Martino (oggi v.C.Rolando); in altre, l’area è più limitata all’estremo levante, vicino all’attiuale via P.Cristofori (foto sopra). Essendo vere entrambi, possiamo supporre che anche se impropriamente rispetto l’opificio posto ai piedi delle colline, tutto il terreno – che una volta era  sfruttato a orti e giardini dai nobili proprietari - una volta sgomberate le ville ed i loro orti era divenuto libero e pianeggiante, e quindi usuruibile anche per attività ludiche) sia un contorno di palazzi che oggi non ci sono più e quindi anteriori al 1900, convertiti in altri edifici datati 1902).

Infatti, in altra foto <Fornace> anno 1904; non si riesce a ricuperare ulteriori riferimenti validi: nella cornice dei prati, è possibile che i palazzi a destra siano stati modificati nella facciata, perché oggi non ci sono più o comunque non corrispondono. Può essere anche che la cartolina fu timbrata in quella data, ma scattata alcuni anni prima, perché a) tutto il gruppo di case al di là del muro limitante lo spiazzo –compreso i collegi e la villa soprastante, che potrebbe essere quella di via GBMonti dietro il palazzo degli invalidi- non esiste più. E b) poiché quelli costruiti nell’attuale via Amoretti sono stati ceduti agli inquillini proprio in quella data 1904 ed erano stati iniziati nel 1902, non comparendo essi nella cartolina significa che furono abbattuti nell’anno 1900-01) e pertanto infine, che la foto è anteriore al 1900).

 Al termine della demolizione di detta fabbrica, nello spiazzo rimasto, adiacente a campi e prati più o meno momentaneamente abbandonati, negli anni vicini al 1900 venne praticato il primo foot-ball degli inglesi (quasi tutti dipendenti dall’Ansaldo e quindi facilmente raggiungibile da loro, ovviamente a piedi), per cui popolarmente conosciuta come “a ciassa du futt-ballun”. È dove si andavano ad allenare la società Sampierdarenese e la Croce d’Oro (in alternativa alla più lontana piazza d’Armi), anche se non aveva né le misure né le attrezzature neppure di un micro-stadio (come poi lo avrà per primo quello aperto dietro a villa Scassi), essendo adatto solo a imbastire partitelle tra dilettanti.  Poco a poco, fu invaso dall’edilizia.

 

La strada vera e propria nasce con l’edificazione selvaggia  sulla traccia dell’antica crosa dei Disperati, nome non ufficiale anche se usato nelle carte comunali . 

Già nell’anno 1910 tutto il tratto -dall’attuale via C.Rolando a via Gb Monti- fu chiamato, dapprima vico, poi via Pastrengo. Ma all’atto dell’unione comunale con Genova, essendo questa titolazione un duplicato con il Centro, fu deciso sostituirla: solo il 19 ago 1935   venne firmato dal podestà una delibera col nome di via E.Rayper.

Così rimase sino al periodo fascista quando il podestà il 20.12.43 deliberò si tramutasse tutto in via Manlio Oddone. 

Il 19 lug.1945 tutto il tratto stradale fu ridenominato, dedicandolo a Cesare Dattilo.

Fino al 26 mag.1947 quando la giunta comunale deliberò –sino ad oggi definitivamente- di separare il tratto a monte-levante, oltre via P.Cristofoli ridedicandolo, di nuovo, al pittore; ed il tratto a valle-ponente lasciandolo al Dattilo.

 

DEDICATA  al pittore genovese, nato il 2 nov.1840, da Giuseppe (agiato proprietario di una fonderia) e da Angela Prato, savonese di Gameragna.


 

Dopo aver seguito i classici studi inferiori presso gli Scolopi di Carcare e poi quelli superiori nel collegio dei Tolomei a Siena, a 19 anni -1859- preferì abbandonare l’università per  iscriversi all’ Accademia Ligustica genovese alla scuola di prospettiva, con insegnanti GB.Novaro, T.Luxoro e Tubino (la RotondiTerminiello scrive che frequentò i corsi di incisione di Raffaele Granara).


Sentendosi maggiormente attratto dal riprodurre i paesaggi, frequentò il più specifico studio di Tammar Luxoro, il quale riuscì a stimolare in lui l’interesse alla pittura del paesaggio, appoggiando le novità che portavano ad uscire dai rigidi schemi settecenteschi,  per entrare  - tra polemiche, dissensi ed entusiasmi nell’ambiente - in una visione e descrizione pittorica più aperta,  favorendo l’istinto artistico di ciascuno.       

Su questa strada, la sua pittura sempre più confermò l’apertura ad uno stile veramente libero e molto espressivo sia nel descrivere l’ambiente vivo -  quasi in movimento -, sia con l’uso di toni cromatici più accesi. Con questi stimoli, il maestro lo avviò a frequentare e studiare Alexandre Calame (a Ginevra, nel 1861), i francesi Corot, la scuola di Barbizon, ma sopratutti quella di Daubigny (che lascerà più di tutti una profonda traccia nello stile pittorico), ed in Italia le Promotrici di Torino (ove espose nel 1863; prima e dopo aver esposto a Genova dal 1862 al 1873) ma soprattutto di Ernesto Bertea che gli fece conoscere Fontanesi, ed i macchiaioli toscani (a Volpiano, ed a Firenze nel 1864).

Rientrato a Genova, a 23 anni (1863 in questo anno espose alla Promotrice genovese l’oper ‘Motivo sulla Bormida presso Carcare’) iniziò a frequentare un gruppo di artisti allievi di Tammar Luxoro come Alfredo De Andrade, Alberto Issel, Serafin DeAvendano, tutti felicemente accomunati  al desiderio di rinnovarsi e quindi dall’avversione verso quanto imposto nelle scuole (in genere soggetti storici ed artistici): dal favorire la libera invenzione nel descrivere la natura ricercata andando all’aria aperta, “en plein air”. Queste giovani forze artistiche locali, diventano senza saperlo il primo nucleo di una nuova scuola di paesaggio (detta goliardicamente ‘scuola degli spinaci’).

Così lo troviamo -specie d’inverno- nella spiaggia di s.Nazzaro o nelle fasce di Albaro e di Fassolo (ove, nel palazzo del principe D’Oria di via san Benedetto, aveva lo studio GB.Villa, un bigio camerone frequentato ed usato oltre che dal Rayper, anche da DeAndrade, F.Gandolfi e S.Bertelli, Varni, Issel, Semino).

D’estate invece divennero punto di ritrovo le rive del Bormida. Nella vallata- era allora un vedere, come fossero funghi, ombrelli aperti a proteggere dal sole i singoli artisti; e, tra loro, si consigliavano impasti cromatici caratterizzati da toni chiari, mezze tinte e grigio-argentate, ma soprattutto rifuggendo il nero: da questo concetto presero più responsabilmente il nome di “scuola grigia”.

In questo gruppo, il Rayper si ritrovò ben presto il più degno caposcuola e l’allegro animatore (viene descritto ‘bella persona, amato e ricercato per la sua giovialità’; recitando nell’Otello (1869 A Rivara), da un critico presente fu descritto “bello…sicuro di sé…; a sentirlo pareva Shakespeare in persona…; a vederlo lo avresti detto il più matto dei buontemponi, e ... avreste indovinato”).

 

Carcare–olio su cartone 33x48  datato 1863              Tramonto a Porretta Terme

(valutato oltre 10mila e)                                             –olio su tela 23x30 (valutato 6mila e)

 

Errabondo, col bel tempo lo si trovava ad errare per la riviera o nelle campagne di Carcare (la sua frequente presenza ed il suo dipingere dal vero lungo la Bormida furono descritti nella trama di un romanzo ’Amori alla macchia’ di A.G.Barrili, e la vediamo nei suoi quadri intitolati ‘Carcare’ anno 1861, 1862, 1863), fino a Rivara ove esisteva una “scuola di Rivara” gergalmente chiamata “cenacolo ligure piemontese”, il più avanzato nell’innovazione della pittura di macchia, frequentato anche da Telemaco Signorini, e di cui –anche qui- divenne per il suo carattere gioviale, l’animatore, il riconosciuto ‘fondatore di una nuova scuola di paesaggio’, sia per lo stile e sia calamitando le unanimi simpatie.

Ma in contemporanea manteneva seppur fugaci, contatti anche con artisti di tutta Italia (scuola di Posillipo; macchiaioli (evidenti nell’opera - esposta alla P.di Ge nel 1864 - chiamata ‘il gombo’; ora alla GAM); piemontesi), faceva sì che ciascuno di essi riconoscesse l’influsso positivo tratto dalle conoscenze della scuola genovese, anche se poi –in campo nazionale- l’apertura mentale dei maestri si aprì a questi innovatori molto prima che a Genova: fu solo dopo il 1870 che l’Accademia Ligustica di BA –fino ad allora arroccata nelle posizioni antiche- si arrese accettando dare il via ufficialmente ad un corso di scuola di paesaggio.

 il gombo

A 26 anni (1866; ma già dal 1864 frequentava a Firenze il caffè Michelangelo, ove conosceva Signorini, Serneso, Borrani, DeTivoli. In particolare, il ‘Paesaggio a Baveno’ del 1867, ora al museo dell’Accad.Ligustica è significativo delle suggestioni toscane), e per alcuni anni a seguire, espose in galleria, assieme al già famoso Lega, alla Promotrice di Torino e poi a quella di Genova.

Tele, acquarelli, disegni, incisioni (era stato allievo di R.Granara): tutto segna la progressiva maturazione dell’artista che già nel 1865 -dando dimostrazione di equilibrio e di spessore artistico notevole-, raccolse i primi significativi riconoscimenti: medaglia d’oro e poi accademico di merito, dalla Ligustica (1869).

 A trent’anni (1870) fu iscritto all’Albo dei professori accademici di merito dell’Accademia Ligustica nella classe ‘pittori’; divenne socio della Accademia torinese, e di Urbino; medaglia d’oro all’esposizione nazionale di Parma (1870)  per un ‘paesaggio storico’ (titolo provocatorio e volutamente scandaloso per i maestri genovesi i quali, di fronte alla premiazione, dovettero cedere nell’ostinata difesa del vecchio stile ed aprire la strada –anche se in ritardo- al nuovo stile).

Nel 1872, l’ultima esposizione, alla Promotrice di Genova

L’artista, che teneva aggiornato un taccuino-diario, iniziò nel 1872 a registrare l’inizio di quello che fu un male incurabile ed inesorabile insorto sulla lingua.

Gli ultimi due anni della vita, trascorsero miseramente sconvolgenti, alla ricerca di una impossibile via di uscita: Roma (febb.’72), forse Bologna, Torino (dal 17 febb.’72 fu ricoverato nella casa di salute Sperino, ove rimase ricoverato 58 giorni e dove fu solo curato. Il  5 apr.1872 scrisse “ io muoio tra breve: lo so, nel vigore dell’età, e dopo aver passata una vita priva d’ogni reale dolcezza”) divennero tappe di un conosciuto, lento, straziante e pauroso  struggersi.

Dopo i primi consulti, doveva già essere realisticamente assai sconfortato, disperato e di pessimo umore: “tagliare la lingua” scrive sul taccuino: il 10 feb.1873 andò a Novara a consultarsi con famoso chirurgo Bottini il quale i 4 aprile 1873 lo operò; nell’occasione scrisse “ ho sofferto molto ma non ho mai perduto i sensi, mentre il chirurgo Bottini sudava…”. Tutti i suoi ultimi scritti dimostrano la desolante coscienza della propria fine.

Le sue possibilità divennero sempre più limitate sia nel parlare che nel masticare; ovviamente straziato nell’animo e nel fisico si ritirò a Gameragna -frazione di Stella, nell’entroterra savonese- ove stremato e consunto, dal dolore e dal male, produsse le ultime immagini e paesaggi, fino al tragico momento, che troncò la raggiunta maturità artistica, dimostrata con opere di alta qualità.

Morì il 5 ago.1873, a 32 anni: effettivamente dopo una troppo breve esistenza.    

Molti suoi quadri, sono alla Galleria d’Arte Moderna a Nervi (oltre a disegni, la ‘veduta del Gombo quadro donato dal principe Oddone di Savoia al municipio; ‘i pittori’, ‘paesaggi’, ‘studio dell’incisore); alla accademia Ligustica in DeFerrari (ove alcuni furono danneggiati da incendio secondario a bombardamento, ‘in cerca di legna, ‘riviera ligure’. Qui esiste un marmo scolpito da Giulio Monteverde con il suo volto e sotto inciso: ”questa effige- di Ernesto Rayper- pittore paesista- che l’indirizzo dell’arte- a nuovi principi informato- comprese e promosse- onde giovine ancora- ebbe plauso ed onori-tributo di stima e di affetto- gli amici qui posero-1874”); alla Carige; galleria d’arte moderna di Firenze e Torino; in Prefettura.

A lungo la bravura artistica del Rayper rimase relegata ad una ristretta cerchia di intenditori, ed ignorata da cataloghi e libri d’arte prima di essere ufficialmente riconosciuto il pittore più valido dell’ottocento ligure, il più rappresentativo nell’esprimere i paesaggi sia per la costanza lirica  che per la sensibilità dei toni. Per primo, fu O.Grosso direttore dell’Ufficio di Belle Arti e Storia, che  acquisì dal fratello del pittore per conto del Comune un certo numero di dipinti per la collezione d’arte moderna. Nel 1926 ad opera di M.Labò fu aperta una mostra di ‘pittura ligure dell’800’ con esposizione di oltre venti sue produzioni (acquarelli e fusain. Moltissimi di proprietà privata). Altre e sempre più capaci di dare la dovuta importanza dell’artista, seguirono nel 1938 (anno in cui la sua bravura venne riscoperta : ‘giovane miracolo dell’800 genovese’; e riconosciuta anche oltre regione  “‘il più pittore’ … i suoi verdi densi, profondi, i suoi grigi delicati, acquosi, d’una rara bellezza tonale, fanno di lui uno dei più sensibili coloristi ottocenteschi dell’Italia settentrionale”.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda  3797

-AA.VV.-Annuario.guida archidiocesi-ed./94-pag.435—ed./02-pag.471

-AA.VV.-La pittura a Ge e in Liguria-Sagep.1987-vol.II-pag. 454.480  

-AA.VV.-E.Rayper- mostra all’Acc.Lig. -Ente Manif.Genov..1974-

-AA.VV.-Il museo dell’Accad.Lig.di Belle A.-Carige-.75

-Bruno GF.-La pittura in Liguria -Stringa-.27.472

-Bruno GF.-I «grigi» maestri del paesaggio ligure-LaCasana 1/78-pag.5

-Fracesca R.-Vite immaginarie-DeFerrari.1997-pag.58

-Frangini GB.-Enciclopedia dei liguri illustri-ERGA-vol.2°-

-“Genova” Rivista municip.:6/37/p.31+ott/38.p13 +ott./40.p24+5/67.p.49

-Lamponi M.-Sampierdarena –Libro Più.2002- pag.151                                   

-Museo S.Agostino- archivio uff. toponomastica

-Pagano 1961-pag.356.446; /40-pag.388; /67-

-Pastorino&Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.’85-p.554.1572

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.34

-RocchieroV.-Carnet segreto di E.Rayper-CARIGE.-Ritratto incisione pg.3

-Rocchiero V.-Luigi Gainotti-opuscolo per galleria d’arte s.Andrea-1960

-Rotondi Terminiello.G.il patrimonio artistico di b.Carige-Silvana08-p.402

-Tuvo T.-SanPierd’Arena come eravamo-Mondani.1983-pag.79.179   +  

REALE                                strada Reale da Genova a Torino

 

   Genova fu per secoli e secoli una Repubblica.

   Questo aggettivo poteva comparire solo dopo il trattato che ci consegnava nelle mani dei Savoia nel 1815.

   Vedere anche ‘strada della Marina’ e ‘via San Pier d’Arena’.

   Così, le strade che da Genova erano da percorrere per  uscire dalla città, dopo l’obbligo della sottomissione ai reali torinesi, divennero tutte “reali”, esclusa l’unica antichissima (v.DeMarini-Daste) detta Comunale o interna.

   Ed è solo dopo questa data che iniziarono a costruire edifici su quella strada a mare, e – in essa - sul lato mare di proprietà del Demanio: nel 1827 il magazzino del Sale; 1832 il teatro Ristori; le case di Bellotti, Bavastro e Bertucci del 1834 (quest’ultima alla Fiumara, in vicinanza del palazzo del Vento).

È datato 21 marzo 1817 un editto stampato dall’ Intendenza Generale del Ducato di Genova, firmato dal vice intendente marchese G.Spinola,  in cui “si previene il Pubblico che il giorno di Mercoledì 26 del corrente mese di Marzo... si procederà... all’appalto al minor offerente... dei lavori da eseguirsi al tratto di Strada che si estende dal Portone della Lanterna lungo tutto il Borgo di Sampierdarena”.

   Prima dell’anno 1857, le strade non avevano nomi specifici e venivano chiamate e scritte con nomi genericamente dettati dall’uso popolare in base ad un riferimento locale (fabbrica, abitazione, usanza, ecc.).

   ===L’attuale via San Pier d’Arena (ovvero ’Strada reale alla Marina’) fu così chiamata pochissimi anni dopo l’annessione. Ma esisteva già, da parecchi secoli, anonima. Infatti in carte del 1700 si evidenzia la cosiddetta “palizzata” ovvero fila di case poste a monte della strada (e con solo la torre del Castello eretta sulle rocce dalla parte a mare e distante dalla battigia di una decina di metri. Dalla parte a mare della strada, solo a fine di questo secolo compare, nella zona del Canto al limite con la Fiumara, la casa Dufour; quando la spiaggia era profonda  anche 100 m (dalla Cella), e 70-80m. alla Coscia. Genova allora aveva 80mila abitanti, e SPd’Arena qualche migliaio).

   La strada invece è segnalata nel 1813, quando già ben strutturata fu dal mare parzialmente distrutta; ed altrettanto nella notte tra il 28 e 29 settembre 1814 quando una tempesta aveva  fatto franare il muraglione di sostegno alla salita che dal piano della Coscia portava alla Lanterna; e nel sett.1819 quando le autorità piemontesi chiesero ai proprietari pagamento nel riparare i danni subiti  per il suo riassetto (evidentemente una mareggiata; si fece allora programma di abbandonare questa strada troppo spesso disastrata valutando eccessive le spese per mantenerla illesa dagli insulti del mare (sono del 1839 alcune prospettive di apertura a metà tra il mare, e la strada comunale (via DeMarini), praticamente dove oggi è via Buranello la quale fu aperta dopo la ferrovia nel 1850); in attesa fu creato un terrapieno che -se ‘accecava’ il piano terra delle case- però sorreggeva la strada larga 5 m.,  e che dal 1939 in poi resse saldissimo alle grosse mareggiate)-; nel 1820 vi passò il corteo reale (la cittadinanza fu invitata ad annaffiare il percorso per renderlo meno polveroso); nel 1830 si dovette ripulire da abbondanti rottami provenienti da una discarica (allora chiamato ‘scaricatoio’) posta sotto la Lanterna ed ivi trasportati da una sciroccata (vento proveniente da sud-est);  e nell’agosto 1840 avvenne un attentato con una sassata contro sua altezza reale ed imperiale arciduca d’Austria di passaggio in carrozza, il violento contestatore non fu trovato. Nel 1841 si dovette irrobustire le case con lavori di sottomurazione, compreso la casa comunale che fu rinforzata anche nel 1853 quando le fondamenta del palazzo del sale si trovarono scoperte e praticamente lambite dalle onde.

   Nel 1848-9  si concesse il ‘servizio della regia strada alla marina per una grande officina metallurgica stabilimento Taylor che utilizzerà specialmente la ‘regia strada ferrata’

    Lungo la strada a quei tempi esistevano grandi depositi di olio (proveniente dalle due riviere, raccolto in capaci ed enormi cisterne, dalle quali veniva smistato nel mondo via nave); ed era limitata da robusti paracarri,  posti per proteggere i bordi  -ovviamente senza marciapiedi- i quali erano oggetto di troppo frequenti pericolosi scontri e ribaltamento di carrozze o inciampi specie di notte al buio.

   Il 16 marzo 1854 il Comune  si convenzionò con il Ministero dei LLPP ricevendo in concessione una striscia di terreno per far scorrere la ferrovia a cavalli (soliti espropri laddove doveva passare su terreni privati, nel caso i fratelli Armirotti alla Coscia) che però veniva continuamente danneggiata dal mare e richiedeva continue manutenzioni;          Negli anni subito appresso,  i fabbricati sulla riva del mare divennero assai fitti, ma soggetti alle mareggiate che con la sua forza o demoliva le case (dei Dufour e della tintoria del Rolla (vicino alla Fiumara), del Marasso (vicino al Municipio), un baraccone di un Ferrando GB), o ne rovinava gli avancorpi facendo brecce sui muri (nelle case di DeLucchi, Morando, Cabella, Scaniglia e del Teatro).

   In una lettera datata 12 aprile 1853, indirizzata al ‘sindaco di S.Pierd’Arena’ dall’ Intendente applicato, con riferimento alla ‘strada Reale’ ,si scrive :“il tronco dalla crosa Larga fino al ponte (non si specifica quale, si presume quello sopra il rio san Bartolomeo)… l’11 corrente mese si andava ad aprire il passo pel nuovo, testè costrutto per conto dell’Amm.ne delle Strade Ferrate”.

   È del 9 settembre 1886 il primo progetto di apertura di esercizio di uno stabilimento balneare in località Coscia; la stipula del contratto col regio Demanio è datata 8 giugno 1887 dal sig. Bonifacini Angelo. Porta la data del 16 dicembre 1887 un altro contratto con il sig. Lagorara Carlo, per concessione di uso dell’arenile per apertura di stabilimento balneare. A seguire, un altro progetto del 6 ottobre 1890 prevede un prolungamento a mare dello stabilimento balneare ‘Flora’ (potrebbe anche essere uno nuovo o uno dei due sopra): il contratto ha la data del 22 novembre 1892.

 

    ===Via G.Buranello, dapprima venne detta ‘Strada reale nuova’ in quanto, essendo contemporanea con l’apertura della strada ferrata 1848-53, veniva dopo la strada della Marina (che da allora fu chiamata ‘vecchia’).

In base al decreto di esproprio – essendo stata dichiarata opera di pubblica utilità - dell’aprile 1839, l’Intendente Generale della Provincia invitò il Sindaco di S.Pier d’Arena a riunire ‘i proprietari dei terreni da occuparsi per la sistemazione della Strada Reale di Genova nell’abitato, colla direzione della medesima entro terra fra gli orti” e dare loro 8 giorni di tempo per presentare ricorso se non accettavano amichevolmente (o, dopo ricorso, con la forza di un decreto legge) l’indennità offerta per il sequestro del terreno  o immobili, periziata dal sig. arch.Ing. Matteo Leoncini. Si presentarono il sig. Morando Ignazio; fratelli Grimaldi, eredi Ansaldo (delegati con Fidecommissione); prete Emanuele e Giuseppe fratelli Derchi (porzione di orto di metri quadrati cinquecento quaranta cent.mi sessanta), Giovanna  Geronima Carlotta Cambiaso (“delegata; una porzione di terreno ortivo di 1ª qualità con vigna, regione della crosa delle catene, coerente a nord colla strada Com.le, all’Est cogli eredi del marchese Dom.co Pallavicini, al sud colle case dei fratelli Pittaluga, all’o. coi fratelli Derchi e Fra.sco Casanova, dell’estensione di m.i q 486”); marchesi fratelli Pallavicino fu Domenico (“delegati; per un tratto di terreno ortivo di prima qualità con vigna, in regione Crosa delle Catene confinante a nord colla strada Comunale (via Dottesio), all’Est col fossato di san Bartolomeo, a sud con altra strada comunale (via San Pier d’Arena), all’ovest colla signora Giovanna Cambiaso, dell’estensione di metri quad.ti 1144,80 per un valore di lire 2,78 per metro; …rimanendo la proprietà tagliata in due di cui la porzione a sud di 2886 metri q. sarà praticato un passaggio sotto al suolo stradale onde porre in comunicazione le due porzioni, e metà passaggio  servirà pure per l’orto vicino della sig.ra Cambiaso”);  marchese Giò Carlo DeNegri (e Dinegro) fu Giacomo nato e domiciliato in Genova (porzione di orto di prima classe con vigna nella regione detta Crosa delle catene  per metri q. 121,5); fratelli Ballaydier nativi d’ Anneiy domiciliati in S.Pier d’Arena una porzione di orto di prima categoria con piantagioni di vigna, nella regione della Coscia, per metri quadrati diecinove centimetri trentasei; fratelli GioBatta ed Emanuele  Favaro fu Bar.meo nati e domiciliati in Genova (delegati ; piccola porzione di terreno di m.q. 55, coerenziata a nord dalla strada Com.le, all’est dalla casa di essi Proprietarj e dalla pubblica strada, al sud pure i proprietarj medesimi ed all’ovest F.lli Balleydier). Non si presentò il sig. GB Luxardo proprietario di un magazzino.  Incaricato della sistemazione della strada fu l’impresario GB Vassallo fu Alessandro con contratto datato 9 febb.1841 .

da Porro 1835. via Pacinotti e Spataro. In rosso la chiesa di s.Gaetano

 

   Via P.Reti e via W.Fillak (strada reale a Torino); ma in tempi diversi, anche via  Pacinotti e Spataro erano “reali a Torino”.   In quegli anni, non esisteva a San Pier d’Arena la densità abitativa di oggi: erano tanti ancora i prati, sparse le ville, e più addensate le casupole attorno alle chiese (della Cella e di san Gaetano), qualche mulino vicino ai torrenti; un paese: senza bisogno di grandi riferimenti. Le strade per andare fuori dal borgo verso nord, erano poco usate: dalla romana Postumia,  al 1772 (quando il doge GB.Cambiaso per uso proprio fece aprire una via che attraversando la Palmetta arrivava a Rivarolo, più comoda, lunga 9 km) poco o nulla era cambiato come viabilità. Furono i francesi nei primi anni del 1800 a progettare il passaggio dai Giovi anziché dalla Bocchetta, come avveniva da sempre prima. Fu infine nel 1818, che si diede avvio ad una miglioria sensibilmente  accettabile della “reale strada”. 

  Negli anni precedenti al 1857, non esisteva una toponomastica ufficiale: con quella data, il Comune di San Pier d’Arena chiese il permesso a Torino di dare nome ad alcune strade più importanti: con firma di Urbano Rattazzi, Vittorio Emanuele II approva la delibera per la nomenclatura delle vie. Così nacque la  ‘via Vittorio Emanuele’, che  dalla Lanterna a Rivarolo  soppiantò la denominazione ‘strada reale a Torino’; e tale rimase finché negli anni attorno al 1900, per necessità sopraggiunte,  non la  spezzettarono in tanti tratti locali.

 

 

BIBLIOGRAFIA

-Ascari-Baccino-Sanguineti-Le spiagge della riv.-Aternum.1937-p.111

-Archivio Storico Comunale  

-Archivio Ferrovia   + 

-Gazzettino Sampierdarenese  :   4/94.7 + 7/94.5

-Gazzo E.-I 100 anno dell’Ansaldo-Ansaldo.1953-pag. 94cartina

-Ragazzi F.-Teatri storici in Liguria-Sagep.1991-pag. 80.82cartina

-Tuvo T.-Sampierdarena come eravamo-Mondani.1983-pag.251


RELA                                    via Urbano Rela

 

TARGA: via – Urbano Rela

 

 

 

angolo con piazza V.Veneto

 

angolo con via A.Cantore

 

 

QUARTIERE MEDIEVALE: Mercato

 da MVinzoni, 1757. In giallo, crosa dei Buoi con –fucsia- villa Centurione Carpaneto; blu, via Carzino con villa del Monastero; verde, ipotetico tracciato di via URela sino alla ferrovia.

N° IMMATRICOLAZIONE:   2836,        CATEGORIA:  1

 da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   52680

UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA

 da Google Earth, 2007

 

CAP:   16149

PARROCCHIA:   s.Maria della Cella

STRUTTURA: strada comunale carrabile, senso unico viario, da piazza Vittorio Veneto a via A.Cantore, lunga m. 123,29 e larga 7,02 con due marciapiedi larghi circa m.1,2 alcuni di proprietà condominiali piastrellati.

   Nella parte slargata verso monte, dal garage alla strada, è doppio senso veicolare ed adibita anche a parcheggio libero.

 

STORIA:  Nella carta del Vinzoni - nella parte conclusiva della ‘strada Centrale’ (oggi via NDaste, ma proprio dove sarà tagliata all’apice da via ACantore) si vede che tra casupole anonime ed una casa -con piccolo terreno a mare, dei RR.PP. della Cella - si apriva un sentiero che sfociava nei terreni del mag.co Giuseppe Doria. Quando a fine 1700 tutto divenne precarialmente incolto, si iniziò a dire popolarmente che questo sentiero andava  “in ti prôi” o “in scî prôi” perché liberi da abitazioni: faceva tutt’uno con l’attuale piazza Montano e vi si giocava a bocce o dava ospitalità a saltimbanchi girovaghi. Sicuramente è per questo che, il primo nome assunto, alla costruzione delle prime case nel periodo 1850, fu via  Prato (vedi - comprensivo ed assieme, in unico, col tratto che fiancheggia la ferrovia, oggi via Orsolino). In questo mezzo secolo i terreni iniziarono ad essere comprati da imprenditori locali ed essere occupati da primite costruzioni.

   Nel dic.1900 un regio Commissario straordinario propose alla Giunta comunale di lasciare il nome di via Prato al tratto che ancor oggi fiancheggia la ferrovia; e neonominare ‘via Urbano Rela’ la direzionale sud-nord. Evidentemente fu accettata perché nel 1901 già c’era la targa in marmo.

   In quegli anni, la strada era separata da via NBixio e dai giardini facenti parte della villa di piazza Montano, da casupole adibite a stalle e depositi di carriaggi, dai quali è derivato il toponimo popolare dato alla zona de ‘le stalle’; ed al sommo c’era l’oratorio della Morte ed Orazione di prete Giordano (vedi via A.Cantore).

      Nel Pagano/1908 - nella via - sono segnalati (anche nel 1912) il negozio per illuminazione ad acetilene di Emilio Roncagliolo ed il negozio di foraggi di Barabino Agostino.

      Nel 1910 la strada era ufficialmente riconosciuta; in questo elenco ufficiale, congiungeva ‘via V.Emanuele con via N.d’Aste (sic)’; aveva civici sino a 3 e 10.

   Il Pagano 1911-12-19-20-25 segnalano al 3-26 l’impresa edilizia di Vallini Giovanni (1911-12); e civico non precisato: un negozio di commestibili e di foraggi, di Barabino Agostino (1911-25); l’officina meccanica di Roncagliolo Lorenzo (12-19) (nel 1925 era al civ.17, officina auto-moto-ciclistica; il figlio N.E. era sopranominato “Milio de’ biciclette”); il pasticciere Tuo GB (11-20); ed il salumiere –con enormi magazzini di formaggi- Ivaldi Silvio (1911-25) fu Giuseppe.

Nel 1925¨ all’1  Musso Cesare & C., telef. 41-292, hanno fabbrica di profumi e la ‘concess. della tintura Lavinia’;--- all’1-18  Banchero Agostino¨ vende carbone fossile;--- 26r Caorsi Giovanni fa il tappezziere e fu soprannominato “Giuanin o tappessê”;--- civico non precisato l’osteria di Barabino Agostino;---

   Nella parte a levante, non è precisato quando, fu soppresso il ‘vico Traverso’ (o Traversa), chiuso; cancellato, fu inglobato nella strada principale. Nel 1927 era ancora in atto.

      Nel 1927 la strada compare nell’elenco comunale della neoformata Grande Genova, distinto da via del Prato.

 Classificata di 3a categoria.

 Essendo unica intestazione tra tutte le delegazioni, passò indenne all’epurazione dei doppioni.

   Nel 1933 era di 3.a categoria e civici sino a 5 e 10. Al civ.1 si apriva la fabbr. profumi Musso Cesare & C. (concess. della tintura Lavinia); al 17 l’officina di Roncagliolo Lorenzo, per auto, moto, ciclistica; al 39r il macellaio Morasso Giacomo un salumificio; probabilmente l’attività venne ereditata dal figlio Francesco, detto dagli amici ‘Kaiser u maxellâ’; una macelleria; un negozio legnami di Risso Domenico che aveva rilevato il deposito e macchinari per la lavorazione del legno, dalla ditta Serra.

   Posta nel centro vitale cittadino, è sempre stata sede di fiorenti attività artigianali e commerciali, le cui botteghe per operosità meriterebbero essere ricordati più approfonditamente, anche se ogni generazione di abitanti ricorda con nostalgia i suoi coetanei (antichi negozi dei Collareta carbonai; un formaggiaio e falegname, sono stati sostituiti da due banche; ed una tavola calda; il fruttivendolo Calvi (popolarmente detto ‘Beppin di Landi’: bisagnino; aveva un magazzino dove in via Catore c’è la sbarra e andava dietro a Gragnani –negozio di dolciumi all’angolo-; ed ancora negozio anche in cima a via Venezia; gli ortaggi in buona parte provenivano da proprietà terriere nella zona del Campasso –con parente una certa Zulema- e  da via GB.Monti,  dal quale –forse- lassù han preso il nome la via, scalinata e galleria del treno);un parrucchiere; latteria al 51r; Angelucci di articoli elettrici).

Roncagliolo ricorda degli anni 1920-30 anche una generazione di carbonai; una vaccheria dei Lagorio che durante la guerra del 1915-18 ospitò delle mense chiamate ‘cucine economiche’; un ufficio postale gestito successivamente da Cascapera,Bertacchi, Capurro,Macciò. Abitanti famosi il notaio Martino jr; il dott. Bonanni Carlo; il dott. Roncagliolo; Tubino, detto ‘Baccicin’ l’olimpionico di ginnastica di Anversa1920.

 

     

anni 1970 - zona occupata da un ‘Luna park’    -  il circolo sociale Dopolavoro Ansaldo

 

CIVICI

2007= NERI   = da 1 a 13 (nessuno pari)

           ROSSI = da 1r a 69r

                                 2r a 34r (mancano 14r, 16r, 22r, 24r)

Nel Pagano/40 la via va da Pzza V.Veneto a v. A.Cantore; nel civv. neri: privato (medici, avvocati); 4 legnami; 9 levatrice. Rossi: senza civ. Fossati G&f.lli, lav. latta; 1 trattoria Bolognese, di SassiT.; 5 art.casal.; 6 carboni; 7 riparaz.calzat.; 8 vini; 11 commestib.; 14 parrucch.; 15 pastif.; 16 mode; 17 biciclette; 18 orolog.Schiffo; 20 ricami; 21 pasticcer.; 22 cappelleria; 43 fabbro Macciò; 61 fruttiv. ; 65 macell.;  69 ottoniere.

CIVICI DISPARI

===civ.1-3r Nell’appendice subito a nord della ferrovia, il caseggiato ad un piano il cui tetto fa terrazzo al primo piano del palazzo, ospitò per molti anni degli uffici postali, poi trasformati nel 1950 in trattoria-ristorante, chiamati ‘Bolognese’ di Sassi T. -poi Bigozzi Mario; poi ‘Landi Bolognese’; poi di nuovo ristorante ‘Luna Caprese’ (negli anni ‘60) e del ‘Toscanaccio’; poi (anni ’70) il Circolo Ansaldo; poi una palestra; ed ora la Chiesa Valdese (che occupa anche un appartamento nel civ. 1 (ex dopolavoro Ansaldo).  Dal 2008 (forse anche da prima) è della Chiesa evangelica Valdese.

===civ. 1: Sora il civ. 7r vicino al portone c’è una nicchia che doveva ospitare un san Giuseppe, tolto “per restauro”…da un po' troppi anni.

Vi aveva sede il  Dopolavoro aziendale Ansaldo, che è stato uno dei più grandi circoli ricreativi aziendali Enal di Genova, ed occupava a piano terra, anche il 3rosso. Probabilmente è da essi che negli anni 1910-30 partì l’iniziativa di aggiustare la fontana della piazza antistante, procurando il basamento della vasca con scalini.

 

  Nel 1889 l’attuale unico palazzo era composto di due costruzioni di 4 piani, ed allora civv. 3 e 4 di via del Prato; i proprietari, fratelli Chiesa fu Francesco (vedi via Prato) in quella data, considerato il cattivo stato, proposero unire le due costruzioni e rifare anche la facciata nuova. I timbri di autorizzazione della giunta sono apposti però su un progetto di facciata che non corrisponde alla attuale lasciando presupporre che malgrado l’approvazione, non fu realizzata. Attualmente, il portone da adito ad una scala che sale sino all’ultimo piano; ma a livello del primo – come si evidenzia anche dalla facciata -  una scalinata sale ad un ballatoio trasversale da cui si accede ad un’altra scala che sale indipendente fino alla sommità, dimostrando essere stati due palazzi distinti, uniti in seguito al primo piano, per una entrata unica.  Vi ha ospitato l’Ist.A Manzoni all’int.1 ed al “p.2°” il regio notaio G.Martinoja (negli anni 1919-20).

Il palazzo finisce col civ. 13r.

--2° palazzo successivo, attaccato al primo, ha civici rossi da 15r a 23r.

Ricordati:  il ===civ.17r nel 1950 il bar di Roncagliolo Nicolò detto ‘Nicoletto di fidê sottî’;

===civ.21r  nel 1950 il bar di Odino C.(che ne possedeva un altro nell’angolo pza Montano-pza Settembrini). 

===civ. 3 , con portone molto semplice, sormontato dalla sigla in ferro con le lettere M e V intrecciate e floreali.

 

--VICOLO, una volta con nome proprio (vedi vico Traverso). Ha civv. dal 25r al 51r e civv. neri dal 5 all’11 (da controllare)

===civ. 47r :  Nel vicolo, per più generazioni, e quindi un classico nella delegazione, da oltre 140 anni vi lavorano i Macciò (ultimo, Emilio) artigiani del ferro battuto; erano chiamati popolarmente ‘Masonin’ (perché le primitive lontane origini sono del paese nell’entroterra ove erano conosciuti per la produzione di chiodi piccoli e grandi, fatti a mano e con testa larga), mentre quelle più recenti sono della Coscia. Da fabbri, seppero aggiornarsi con cancelli, balaustre, serrande e sbarre elettriche, particolari lavori artistici esistono in città e fuori, usciti dalla forgia incudine e martello dei Macciò (così nelle nostre chiese alla Cella ed  a san Gaetano in particolare, al CAP, nelle grosse industrie, piccoli commercianti ecc.). Nel Pagano/33 non c’è.

 

--3° palazzo con civv. dal 53r al 61r; e 13

===civ. 57r : l’orologiaio Giuseppe Schiffo per i sampierdarenesi è punto centrale e determinante dell’orologio (come per Genova allora era Oscar Linke a DeFerrari), da quando possederne uno rappresentava quasi un salto sociale. Giunto da Udine quando il territorio era appena stato sottratto agli austro-ungarici, portò qui nel 1927 il suo lavoro e la passione collezionistica, attività tramandata poi al figlio. Porta e vetrina sono del 1927; nell’interno sono conservati utensili ed oggetti vari originali del primo ‘900 (un compasso per ingranaggi, una punzoniera per il montaggio dei rubini, un tornio ad archetto, una fresa per anelli ovali degli orologi da taschino, un orologio a cipolla contapassi). L’arredo comprende una cassaforte austriaca del 1954 e molte foto. Nel Pagano/33 non c’è.

===civ.63r è un cancello che dà adito ad una aia tra i due palazzi, ad uso del civ. 61r (che è stato una rosticceria negli anni 80)

--4° palazzo

===civ.67r  la vecchia rivendita di sementi Curletto che pur cambiando

gestione ha mantenuto il primitivo nome.

 

CIVICI PARI (posti a ponente)

---1° Palazzo con ingresso in piazza Settembrini

===civ. 2r e 4r nel 1950 esercitava commercio di legnami esteri e nazionali, con segheria, la ditta Risso Domenico &figlio, di Risso Carmela &C..

Sino al 2008 è stata una rivendita di borse, gestita da un cinese.

===civ. 6r il cancello per entrata auto,  di proprietà dell’8r

---2° Palazzo con

===civ. 8r: Demolita una fila di case (ancora nel 1954 erano i civv 6-8; poi nel 1985 anche il civ. 4), vi rimase per anni uno spiazzo di proprietà Gadolla, sul quale via via si succedettero Luna park, giostre, un autolavaggio, ed altre attività transitorie.

  Nel 1982 fu richiesta la concessione edilizia, prevedendo una nuova sede dell’ ente Poste italiane; dopo un rigiro di polemiche e trattative tra ordinante (le PPTT,  che imponevano il tutto o niente), Comune e CdC (che proponevano una parte del costruito da destinarsi ad uso sociale, ma che ottennero solo la promessa di altra superficie equivalente), e costruttore, i lavori procedettero coinvolgendo -come previsto dal progetto- anche il palazzo prospiciente piazza Settembrini-piazza Montano. Finché nel 1987 fu completata la costruzione. La facciata che si affaccia in piazza Montano, fu ricostruita con lo stile liberty di come era la precedente costruzione, mentre il rimanente retrostante è in stile moderno cemento-acciaio, col tetto a terrazze degradanti da permettere una più ampia luminosità.

 il palazzo delle PT,  a fine erezione negli anni ’80.

  Vi ha avuto sede la direzione compartimentale ligure delle Poste, le quali essendosi privatizzate nel 1999, ora il nome è solo Ente Poste.

  Dal febbraio 2002 vi si sono traslocati gli uffici della sede ligure del Ministero del Tesoro (la targa spiega: Ministero dell’Economia e delle Finanze – dipartimento Provincia di Genova – direzione provinciale dei servizi vari – ragioneria provinciale dello Stato). Provenienti dalla Corte Lambruschini, trattano tutte le pratiche dei dipendenti dei vari ministeri statali (stipendi, pensioni, ecc). Si aggiungeranno pure la

===civ. 10r “Commissione medica di verifica”, e la Ragioneria Provinciale dello Stato.

===civv. 12r in angolo, e 18r a metà del

 

VICOLO che unisce via URela con piazza NMontano. Mancano il 14r e 16r. Questo, potrebbe essere una strada (anonima) se non fosse divisa a metà da un muretto: nella striscia a mare è libero passaggio pedonale; nella striscia a monte risulterebbe come il retro dei palazzi di via ACantore e quindi proprietà privata (da ponente: la veranda del bar di Pza Montano seguita da deposito di Squillari –stacco- banca

---3° palazzo  facciata laterale di via ACantore, con civv. dal 28r al 38r con

===30r ingresso del garage sottostante il palazzo

 

DEDICATA al comandante sampierdarenese di una nave trireme, varata sulla nostra spiaggia tre anni prima, ed armata con 150 uomini di equipaggio tutti del borgo, che domenica 7 ott.1571 erano presenti alla battaglia di Lepanto, nel mar Ionio lungo la costa greca tra il capo di Corinto e quello di Patrasso, vicino all’arcipelago delle isole Curzolari.

   Le premesse vedono l’Europa assediata ed invasa dai musulmani che nel 1389, col sultano Murad I, iniziarono a riscattarsi dalle sconfitte delle crociate e poco alla volta ricuperare il terreno perduto. Anzi con estrema intrapprendenza (presa turca di Costantinopoli 1453; la jihad -la loro feroce guerra santa- predicata dai muezzin; i corsari barbareschi vassalli del sultano che dalle coste dell’Africa-Turchia- Croazia-Albania-Grecia seminano terrore nelle riviere dalla Spagna all’Italia, acquisendo il dominio del Mediterraneo; conquista dei Balcani compresa Ungheria, fino a Ratisbona, in assedio di Vienna, 1529) favoriti da un’Europa dilaniata da rivalità religiose e politiche. La minaccia fu seriamente valutata dal nuovo -1566- papa PioV (il domenicano AntonioMichele Ghisleri) malgrado le rivalità tra se stesso ed i  protestanti,  le Repubbliche marinare fra loro, tra Venezia e Spagna, tra Francia e CarloV, riuscì a riunire sotto il segno della Croce  tutte le potenze cristiane con la mira di difendersi dalla morsa invadente della mezzaluna dell’Islam.

 

una galea genovese (già presente nel 1298 a

Curzola).  Museo del mare

 

   Un altro capitano, presente e capitano di altra galera genovese fu Centurione Giorgio, divenuto  ricchissimo bancario e poi doge e padre della beata Virginia CenturioneBracelli.

   La battaglia La flotta turca comandata da Ali Pascià, era  forte di 282 navi  (222 galee e 60 galeotte) armate di 750 cannoni e con 88mila uomini imbarcati (34m soldati, 13m marinai, 41m rematori;  ma soprattutto godeva a vantaggio del  leggendario mito dell’ invincibilità, spietatezza e dominanza) si scontrò con la flotta cristiana comandata da don Giovanni d’Austria (imbarcato sulla ‘Real’; fratello di Filippo II di Spagna, figliastro dell’imperatore CarloV) e formata da 170 galee (comprese le galeazze, veri e propri alti castelli fortificati ed armati dei primi archibugieri)  più una settantina di navi minori), 1815 cannoni (che contribuirono a fare la differenza: quelle grosse e lente navi dei cristiani, apparvero come ghiotta e veloce preda: quando da esse ne uscì un inferno di fuoco e di palle,  per gli arabi fu l’indigesto antipasto della sconfitta) e 74mila uomini (forti della fede religiosa).

Gli arabi ebbero 80 navi affondate contro 14 (–altri scrivono 15-: 10 veneziane, una di Malta, Savoia, pontificia, genovese); 147 catturate; 30 mila morti contro 8mila (4800 veneziani); 5-10mila prigionieri da mettere ai remi; furono liberati ben 15mila prigionieri (10m italiani) che erano stati messi ai remi.

La vittoria della flotta cristiana, fu eclatante dopo cinque ore di scontro: alle ore sedici l’esito appare già evidente. Marginali, mille episodi, mille pezzetti di puzzle relativi a gesti da eroi o da conigli in una bolgia di sangue e confusione: Miguel de Cervantes Saavedra, futuro grande scrittore, abbe la mano sinistra storpiata; Agostino Barbarigo, vice comandante veneziano, perse la vita alzando la visiera per meglio gridare gli ordini e fu colpito da una freccia; gli schiavi incatenati sulle galee ottomane che boicottarono l’efficenza  islamica. Non marginale però l’ombra di un giudizio negativo che coinvolse la manovra compiuta da Gianandrea Doria, comandante –sulla ‘Perla’- l’ala  (detta anche ‘corno’) destra con 58 galee (spagnole, genovesi, romane e maltesi): allargò in fuori così tanto, da quasi non partecipare alla battaglia (ed infatti il Rela non partecipò ai combattimenti), quasi permettendo invece ai nemici di incunearsi tra lui ed il centro dello schieramento cattolico con conseguente grave pericolo per il settore centrale (ove era a comando don Giovanni, con 61 galee) e per l’ala sinistra (comandata da veneziano Barbarico con 51 galee) che stavano sostenendo la vera battaglia; per cause sconosciute, il suo avversario, il terribile spietato e famigerato Uccialli (o Occhialì), schierato di fronte a lui -all’ala sinistra dei turchi, con parità di forze-, dopo aver travolto le prime quindici navi, non approfittò della manovra ma anzi si fermò e rinunciò al piano di incunearsi ed aggredire i cristiani sui fianchi speronandoli con i rostri.

Grandi e severe critiche furono riservate al comportamento del genovese, nipote del grande Andrea Doria, reputato il più abile ed astuto tra i condottieri di tutte le nazioni che partecipavano alla preparazione, ma fondamentalmente un pirata e già fin da prima contrario ad uno scontro diretto con la flotta turca.   Il suo comportamento (definito da LaGravière ‘manoeuvres énigmatiques’) e l’equivalente del turco ancor oggi non sono ben spiegabili: disorganizzazione nelle comunicazioni; disattenzione agli ordini generali; contrasti  tra condottieri. I difensori (spagnoli) scrissero che la manovra del genovese fu astuta perché così impedì al turco, rimasto sconcertato dallo schieramento assunto dall’ala cristiana, di partecipare alla lotta, temendo essere colto sul fianco a sua volta; i denigratori (veneziani)\ constatarono che l’ala del Doria non combatté per nulla.  Dopo 5 ore, concluso lo scontro con la disfatta dei mori, lo videro comparire sul campo di battaglia in tempo per appropriarsi di parte del bottino,  ma dando il fianco a terribili sospetti.  L’accusa calcò la mano denunciando  paura di perdere il suo naviglio che il genovese aveva appaltato agli spagnoli per 10mila scudi a nave  (era risaputo che i genovesi armavano di propri marinai e soldati le proprie navi,  e le affittavano per servizi come mercenari: ovvio che se in battaglia il legno affondava, l’affare era a scapito del proprietario, da qui l’accusa di essere stato più pronto nella ritirata che nella lotta) o addirittura patteggiamento col nemico, visto che il loro scontro si risolse con focolai isolati di combattimento, completato dalla fuga dell’Uccialli quando -al centro- gli avvenimenti presero brutta piega per i turchi, accusato anche lui di essere stato desideroso più di salvare i suoi legni privati, che di fare guerra: infatti furono le uniche 40 a rientrare a Costantinopoli.

   La vittoria della grande battaglia non fu solo nella distruzione della flotta turca, e nell’arresto dell’espansionismo islamico, quanto nella dimostrazione che il turco poteva essere vinto (il contrario si era inculcato per paura nella gente, soggetta alle crudeli scorribande ed alla incapacità delle flotte cristiane di difendere le coste).

   In quegli anni, esisteva a Genova  il Magistrato dei Triremi, il cui scopo era coordinare  la costruzione e la conservazione delle navi della Repubblica.

   Nel chiesa della Cella (ora nel museo) fu posta una lapide che in alcuni punti è di difficile lettura; comunque – compresi gli errori - recita:

« D.O.M.   /   PRESTATISS. VIRO URBANO RELLA NAVALIS DISCIPLINA  /  UNDEQUAQ SOLLERTISS. QUI SER  DNO JOANE AUSTRIACO  /  TOTAM CLASSE TUM PII V PONT. MAX. TUM PHILIPPI  /  HISPANIORU. REGIS ATQ REI PUBLICA VENETA IN  /   UNU CONNIXA CONTRA TURCAS GUBERNATES TANTA  /  IN ORDINANDI TRIRREMIBUS COLLOCANDISQ  /  FALLANGIBUS IN ISTO  CONFLICTA IN ORIS LEPANTI  /  HABITO PRELIOQ COMITTENDO EST USUS PRUDENTIA  /   VAVALISQUE MILITIA PERITIA SIT MAXIMO SIBI II O  /  NORE PATRIAQ SUE LAUDEM  AC OMNIBUS CHRISTIANIS  /   DE..IS..C..UNDIQUE CONTRACTIS HOSTIBUS  /  TANDEM SI_NIO CONFECTUS V_NICO NIMIV PUISAT US  /  AC LABORI DEFISSUS HUNC LAPIDEM AD PERPETUA  /  REI   MEMORIA  ... FRUENS  SIBI POSTERISQ SUIS  /  POSU ..IUSSIT   ANO DOM. MDLXXII »

In succinto si traduce “a Urbano Rela, uomo capacissimo nella disciplina navale, e solertissimo, che servì don Giovanni d’Austria e il Pontefice Pio V e Filippo II re degli Spagnoli e la Repubblica di Venezia in una unica contesa contro i governatori turchi”.

 

DeLandolina/1922 conferma che è scritta in latino, e che è datata 1572. Certo è che se non ci fosse questo scritto, nessuno mai avrebbe ricordato questo figlio di San Pier d’Arena; e condivido il parere  nel constatare che l’averlo immortalato in una targa ancora poco influisce sulla conoscenza del personaggio da parte della cittadinanza.

   Il destino della trireme sampierdarenese è sconosciuto; nessun testo specifica se il Rela sia stato uno che ritornò in patria o se invece fu uno degli affondati e dispersi. Alcuni cittadini attuali di San Pier d’Arena, con questo cognome, vantano – senza prove - delle ascendenze con capitano. Si dice persino che il  Rela era nativo di SestriP e solo poi residente nel nostro borgo.

   Il Novella ricorda che sulla spiaggia del nostro borgo fu varata nel XVI secolo la nave battezzata ‘CAPITANA’, che fece parte della flotta genovese nello specchio di Lepanto (non è dato sapere se fu quella comandata dal Rela, o -visto il nome- dallo stesso principe GioAndrea Doria).

Sappiamo che Ettore Spinola era uno dei tre comandati di altrettante galeee presenti nello schieramento (le altre due furono ‘la Piemontesa’ dei savoiardi e la ‘Fiorenza’ dei toscani), poste al centro della flotta, direttamente ai lati delle tre ammiraglie centrali. La galea genovese si chiamava la “Grifona”; e il comandante morì in quella battaglia. 

Un archibugiere genovese, GB Contusio, imbarcato sulla Grifona, nave del papa, uccise il famoso corsaro Carascosa.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Museo della chiesa di SM della Cella

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica -  scheda 3808

-AA.VV.-Annuario.guida archidiocesi—ed./94.pag.435—ed./02-pag.472

-AA.VV.-SPd’Arena dall’antico borgo marinaro-Agora.1995 -pag.39

-AA.VV.-Guida alle botteghe storiche- DeFerrari.2002- pag. 128

-Cappellini A.-Dizionario biografico di genovesi ill.-Stianti1932-pag.131

-Capponi N.-Lepanto, 1571-Il saggiatore.2008-

-DeLandolina GC.-Sampierdarena- Rinascenza.1922 -pag.2452

-Gazzettino Sampierdarenese : 1/73.2  +  3/73.10  +  1/74.5   +   2/79.16  +  9/79.6  +  2/84.9  +  5/88.1   +   1/89.9  + 

-Granzotto G.-La battaglia di Lepanto-Mondadori

-Il Secolo XIX :  12.12.01  +  30.01.02 + 7.10.05 +

-Lamponi M.-Sampierdarena-LibroPiù.2002-pag.73

-Levati PL-Dogi biennali- Marchese e Campora.1930 -pag.216

-Novella P.-Strade di Ge.-Manoscritto b.Berio.1900 -pag.7.19

-Oreste G.-narrazione inedita della battaglia-SLSPatria-v.76-II-pag207

-Pagano annuario/1933-pag.248; /40-pag.389; /61-pag.357.598

-Petacco A.-La Croce e la Mezzaluna-Mondadori2005-

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995 - tav.34

-Quarti GA-Lepanto-Ist.AvioNavale.1930.VIII-pagg.49.69

-Tuvo.Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag.19

 

-E.Motta +   E.Sonzogno non c’è

 

La battaglia di Lepanto

Palazzo del Principe-Genova-arazzo su disegno di Luca Cambiaso e Lazzaro Calvi, manifattura di autori fiamminghi


REMORINO                              piazza Remorino

 

 

Così si chiamava quella che poi, nel 1906 venne battezzata ufficialmente piazza dei Mille (che a sua volta poi venne cambiata in piazza A. Ghiglione).

Posta a nord di via Currò, portava questo nome, ma non è dato sapere perché e chi fosse.

Si presuppone che, come d’uso a quei tempi -ante anno 1900, in cui non esisteva una toponomastica ufficiale del Comune-  una zona era popolarmente nominata in rapporto a quanto vi era di più significativo: quindi un negozio, una attività (Remorino fu forse il costruttore delle case adiacenti) o una proprietà.

 

BIBLIOGRAFIA

Archivio Storico Comunale  


R.E.S.                                         via  R.E.S.

 

 

   Nella vecchia targa di “via Istituto Tecnico”, in basso era apposta la scritta “già via RES”: significa “Rinnovamento  Edilizio Sampierdarenese” (oppure altri scrivono, ma non corretto, Rinascita E.S. che invece è il nome di una rivista degli anni 1920), e la strada corrisponde alla attuale via Spinola di San Pietro.

  Alla fine della conflitto del 1918, con l’industria che “tirava” grazie alle commesse di guerra, la popolazione di San Pier d’Arena  era più che triplicata in pochi anni. Da  16.756 abitanti del 1871, era salita a 42.421 nel 1911; e 60.000 nel 1920 quando c’erano solo 8.000 appartamenti circa: ovvia la “fame” di abitazioni .

Questa “società anonima di costruzioni”, che aveva comperato il maggior numero di lotti edificabili possibile,  espose al comune di San Pier d’Arena nel 1919 una sua prima proposta  di piano regolatore (di cui tanto si parlava allora, ma che non decollava mai); ovvia  la finalità di valorizzare i terreni acquistati nella zona, facenti parte di orti e vigneti di ville di aristocratici e borghesi decaduti economicamente.

Non è citata nel Pagano/1919.

Compare nel 1920 una proprosta da parte della RES di ‘piano regolatore’ riguardante i terreni della villa Doria-Ist.Don Daste di salita Belvedere, allora di proprietà Serra e Bonanni le quali sono di competenza della villa Doria Serra di salita Belvedere 2 (della quale si vede bene in basso il viale di ascesa anulare, e come verrà ‘tagliato’ dalla nuova strada costruenda (via A.Cantore).

 Il foglio descrive « Piano regolatore della proprietà Serra e Bonanni in Sampierdarena acquistate dalla società R.E.S.»

   L’impresa compare finalmente nelle “edilizie” del Pagano/1920 e /21( sede a Genova, via Roma 10). Direttore era l’ing. Cuneo.  Nel Costa/22, come soc. an., ha sede in corso dei Colli. Non c‘è più tra le nove imprese edilizie esistenti in San Pier d’Arena nel /1925.

 Fu approvato questo piano per quello che riguardava la zona a monte della ‘via Larga’ anche se il progetto volava più ambiziosamente e su scala più vasta, già prevedendo anche la grande arteria centrale tesa tra la stazione ferroviaria ed il colle di san Benigno (una attuale via A.Cantore) ed un’altra grande arteria a monte, a quota 40 , più tortuosa, di circonvallazione.

 

 in giallo l’attuale corso Martinetti e fucsia salitaBelvedere; in blu  la villa Serra-Bonanni con il viale a scendere;  verde la caserma dei Carabinieri ed arancio le Pietrine con la chiesa di s.Pietro in Vincoli; celeste via GB Monti.

 

Tra le varie realizzazioni edilizie, su terreni della RES sorse anche la Chiesa delle Grazie. Un compromesso fu firmato il 7 marzo 1921. L’iniziale idea di progetto comparve sul n° 2 del Bollettino parrocchiale; il campanile arretrato ma  centrale sopra la facciata e davanti alla cupola; invece il primo ufficiale fu dell’ing. Barbieri con due torri ai lati della facciata.

Nel libro della chiesa, il contratto per il terreno viene interpretato quasi come una favorevole disponibilità; quando invece presumo che fu –per l’azienda- una vendita in più per concludere l’impegno economico  investito, visto che solo il terreno era valutato a  mezzo milione di lire.

Con la realizzazione di quanto preventivato e realizzato nella zona compresa tra le attuali via Palazzo della Fortezza-via D.Chiesa e via Spinola, la RES perdette consistenza e scomparve con l’assorbimento nella Grande Genova nel 1926 .

Alla toponomastica non si conserva una scheda con questa dicitura.

Nel frattempo, il Comune di SPd ’Arena nel 1924 aveva approvato il piano regolatore ovvero di sistemazione del territorio di “Tre Ponti” (sic), nei territori già dei Grimaldi della villa della Fortezza, ora racchiuso tra le strade “generale A.Cantore (N.Daste-L.Dottesio)-J.Ruffini (via Palazzo della Fortezza)-Vittorio Emanuele (G.Buranello)-Goito (via A.Albini) da adibire a mercato (ma anche questo non verrà realizzato come progettato, venendo variato dopo l’annessione nella Grande Genova).

Solo il 3 apr.1925 la consulta municipale sampierdarenese approvò il primo piano regolatore generale accettando l’idea delle due strade longitudinali fondamentali (più la terza a mare), ed il taglio del colle di san Benigno (quest’ultima operazione combaciava perfettamente con la prevista costruzione del porto sulla spiaggia di San Pier d’Arena e quindi con il bisogno del materiale di riempimento).

Tutto il progetto, passò di mano nel 1926 al comune di Genova, che lo rivide. Riapprovò l’arteria centrale diretta (prevista di palazzi con portici, esclusi quelli ormai già costruiti specie nel tratto dal centro a levante) che  sarà ultimata nel 1937 nei suoi 1750 metri, dopo aver espropriato e poi demolito tre edifici che erano sulla traiettoria).

Nel 1930 fu approvata la sistemazione di corso Dante Alighieri (corso L.Martinetti). 

Nel 1934 verrà approvato il piano di ristrutturazione dell’area piazza Vittorio Veneto-via Cavour (via S.Dondero)-via Garibaldi (via A.Pacinotti)-via C.Colombo (via San Pier d’Arena), con l’apertura di via F.Avio là dove da tempo ormai erano inattivi i capannoni e fabbricati dello stabilimento Carpaneto.

Nel 1937 verrà approvata l’allargamento  della strada dalla Crociera.

La grande guerra pose un alt alle grosse trasformazioni, finché nel 1960 venne chiusa completamente la zona del porto e furono riempite le colline di cemento.

Negli anni dal 1990 fu sconvolta e distrutta la zona della Coscia con la creazione del centro direzionale detto di ‘san Benigno’, e con il WTC come primo immobile.

Nel 2000 fu la volta della zona Fiumara (Coop7), in atto ancora nel 2001.

 

 

BIBLIOGRAFIA

-Balletti.Giontoni-Una città tra due guerre-DeFerrari1990-pg.72.74 cartina.78

-BricolaGrosso R.-La parrocchia di SMdGrazie-Status.2004-pag.38

-Novella P.-Guida di Genova-Manoscritto Bibl.Berio.1930ca-pag.18     


RETI                                                via Paolo Reti

 

 

TARGA:

San Pier d’Arena – via – Paolo Reti – caduto per la Libertà – 1900-1945

via – Paolo Reti – Caduto per la libertà –

 

in piazza Masnata

 

QUARTIERE MEDIEVALE: Mercato

 da MVinzoni, 1757. Ipotetico tracciato della via PReti.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:  2837

          

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:  52860

UNITÀ URBANISTICA: 24 – CAMPASSO

                                           25 – SAN GAETANO

                                           26 - SAMPIERDARENA

  da Google Earth 2007. L’arco della via.

 

CAP:  16151

PARROCCHIA: s.G.Bosco

STRUTTURA: tre carreggiate per doppio senso viario, da piazza N.Montano a piazza R.Masnata; prosegue per via W.Fillak sino al “confine”. In realtà sono solo due le corsie in quanto, in direzione verso il centro, esiste la famigerata (giusta, dal lato del servizio; ingiusta per la severità contro i trasgressori e per la gravosa congestione dovuta alla limitazione del trafficio ad una corsia) “corsia gialla” riservata alle linee pubbliche.

È lunga 752 m.; larga da 12 a 13,15 m.; con pendenza del 2%.

È una delle strade ad altissima densità di traffico, con transito giornaliero di decine di migliaia di veicoli. Tale congestione è in buona parte secondaria all’essere – ancora nel 2011 - l’unica strada larga (via Rolando era a una corsia solo e ora è parzialmente chiusa),  diritta nella direzione verso l’entroterra; nonché all’allargamento abitativo periferico ed alla sua necessità di collegamento col centro.

È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera.

 

CIVICI  nel 2007: 

UU26- NERI   = da 3 a 5 (manca 1 e civici pari)

            ROSSI =  da 9r a 25r (mancano da 1r a 7r e da 11r a 15r)

UU25- NERI  = da 7 a 25 (mancano da 1 a 5, 11, 13, 17; compreso 25AB)

            ROSSI= da 27r a 59r (mancano 35Ar, 37Ar, 39r,41r)

UU24-NERI   = da 27 a 31    e da 6 a 12

           ROSSI = da 61r a 91r   (compresi 61ABCDr, 63ABCr, 65ABCr)

                         da  8r a 28r (compresi 16 ABCDEr, 18ABCr)

(RIASSUMENDO =

NERI : 1 manca;                               ROSSI: da 1r a 7r mancano

             da 3 a 5   = UU26                              da 9r a 25r   = UU26

            da 7 a 25  = UU25                               da 27r a 59r= UU25

            da 27 a 31= UU24                               da 61r a 91r= UU24)

===al civ. 37r nel 1950 c’era, ed occupava il primo piano del palazzo, l’albergo Martini Giuseppe di quarta categoria.

 

STORIA:   Dall’anno 1850 circa, il lungo, malefico e deturpante muraglione della ferrovia delimita una strada a seguirlo in parallelo, che fu chiamata all’inizio “Nuova Strada Reale” (qualcuno –Lamponi per es.- puntualizza ‘Albertina’ precisando il re allora al trono ed alla cui benevolenza si volevano –da cui il nome stesso- tutte le realizzazioni; ma in nessun testo a mie mani esiste questo aggettivo, anche se a quei tempi l’ossequio a sua maestà non era mai poco. Neanche mi risulta si fosse chiamata ‘provinciale’ essendo in pieno centro cittadino, anche se vi fu a quei tempi un periodo di generica confusione a chi attribuire la responsabilità della gestione delle strade)” oppure “Strada Nazionale”; andando ad aiutare e snellire il traffico un po' congestionato – già a quei tempi - dell’attuale  via C.Rolando.

   Divenne nel 1857 via Vittorio Emanuele II.  Tutto il tragitto, da Largo Lanterna a Rivarolo assunse questo nuovo nome. Ma dal 1901, con la morte di Umberto I, dalla nostra stazione a Rivarolo fu intestata al re assassinato (si provvide in contemporanea anche a cambiare la numerazione per cui le case Carpaneto divennero 2-3-4; lo stabilimento tramways il 7-8; lo stabilimento-fonderia Torriani il 9; lo stabilimento del piombo  Sasso (con la torre dei pallini) il 16;  gli altri numeri erano per le case private).

   Dopo la guerra del 15-18, fu chiamata “via Milite Ignoto(vedi), a cui seguì con decreto del podestà del 19 agosto 1935 la titolazione del governo fascista “via Martiri fascisti” (comprendeva anche il tratto dell’attuale  piazza R.Masnata, che divenne autonoma nel 1946).

      Ai piedi del muraglione, di fronte a via Stennio, c’è una colonnina per l’acqua, ora non più funzionante; a fianco, con una arcata in mattoni,  ci sono i segni di due accessi  pare ad una stalla posta sotto la massicciata, che dava riparo -attorno agli anni 1870-  al cambio  dei cavalli degli omnibus; per un certo tempo dopo ospitò un ciabattino; ed infine il tutto è stato chiuso con muro di mattoni. Rimane nella parte centrale uno dei pochi vespasiani esistenti in città.

                                                  

 Il 5 luglio 1945 la Giunta comunale decise la denominazione attuale.

   Con l’apertura di via A.Cantore e la possibilità di passare davanti alla villa Carpaneto di piazza Montano, la nuova strada acquisì primario interesse veicolare anche per recarsi a ponente usando il sottopasso ferroviario. Negli anni 60 fu allargato a doppia carreggiata (venne detto che sia la larghezza, sia l’inclinazione combaciavano con la prospettiva di demolizione delle case che impedivano una rettificazione con via Cantore; progetto che se fu presentato, per fortuna  non fu  attuato).

   

anni 1980 – traffico ... ?

 

CIVICI

===civ. 3r e 5r, negli anni 1945, c’era il negozio di Robba.

===Dopo ed in angolo con via A.Stennio, il deposito dei tram, dedicato al tranviere Carlo Rolando.

La sua storia inizia l’11 mar.1873 con la nascita della Compagnia Ligure Trasporti che iniziò (con capitale belga) un servizio omnibus - cioè di vetture trainate da un cavallo, ed ancora senza rotaie (il cui deposito vetture principale fu istituito alla Coscia, usufruendo del terreno con villa signorile acquisito da una famiglia Armirotti. In esso si aprirono anche abitazioni per i dirigenti, le scuderie ed una officina. Dopo fortunose vicende la società fu messa in liquidazione perdendo tutto il capitale sociale).

                                                                    Deposito alla Coscia        

 

Dopo soli 5 anni, il 10 mar.1878 tale servizio fu soppiantato da uno eguale ma con carrozze su rotaie, affidato dal Comune alla Compagnia Generale Francese Tramways e che assunse il nome di Società Anonima del tramvia (Essa, tramite il suo amministratore delegato Adolfo Otlet, aveva fatto domanda cinque anni prima: aveva promesso ---ristrutturazione del deposito della Coscia con miglioramento dei sevizi ---aprire in “direttissima”  il colle di san Benigno (proprio vicino all’uscita del deposito della Coscia ed in linea quasi diretta con via Vittorio Emanuele; usando il sistema Grandis-Sommeiller-Grattoni  come ricordato da una lapide murata all’imbocco della galleria del tram); ---il pagamento di un canone al Demanio; ---la costruzione di un posto di  guardia daziale all’uscita sampierdarenese della galleria; ---la costruzione (negli ex orti della villa Spinola di-via A.Saffi, abbandonati dall’epoca dell’erezione del muraglione della ferrovia) di un altro deposito detto “centrale” (di 8mila mq., in via Vittorio Emanuele 33B (via P.Reti), da erigere completo di scuderie, magazzini, fabbricati per uffici-abitazioni del direttore ed impiegati, e tettoie varie; il tutto chiuso con muro di cinta confinante con via Montebello (via A.Stennio), a sua volta delimitante due terreni   su cui rispettivamente erano impiantate due officine meccaniche: lo stabilimento Torriani,(vedi via VEmanuele) e la Storace-Roncallo & C. (quest’ultimo che 1899 ricevette commissioni statali e poté aumentare il suo capitale da 20 a 60mila lire, appare sia nato da due proprietà separate: la Roncallo Angelo che nel 1887 aumentò la produzione meccanica favorita da una legge che aveva raddoppiato il dazio per il ferro ed acciaio, ma che entrò in crisi nel 1892 chiudendo l’anno dopo; e la  ‘Storace Frioli’). 

 

Prima vettura Omnibus su rotaie     scritta “DA GENOVA piazza raibetta A SAMPIERDARENA”

Nel giu 1891 ci fu una agitazione del personale, contro gli orari che prevedevano un servizio continuato di 13 ore senza interruzioni (lo sciopero ottenne riduzione a 12 ore più un intervallo per una colazione). Dopo pochi anni fu evidente però che la società a capitali francesi non era in grado di affrontare ulteriori oneri richiesti da una adeguata estensione delle linee parallela allo sviluppo edilizio nella periferia e delegazioni viciniori

Dopo breve intervallo legato ad una iniziativa svizzera e italo belga, tutto il complesso fu poi acquistato per 430mila lire con prevalenti capitali tedeschi (Deutsche Bank ed AEG; i quali permisero di impadronirsi anche della ‘Società di elettricità’ genovese che divenne OEG, che fornì l’energia motrice) dando vita all’ UITE  (Unione Italiana Tramways Elettrici ) all’atto della sua costituzione il 10 sett.1895, quando Genova contava  350mila abitanti, con rilevante fenomeno della mobilità tra luogo di lavoro e residenza. Già si aveva iniziato - dal 1893 - ad usare in città le prime vetture  a trazione  elettrica; nel giro di sei anni le linee arrivarono a 114,5 km di estensione, con trasporto da: inferiore a 10 milioni di passeggeri ad oltre 31,8milioni   (a San Pier d’Arena l’impianto elettrico entrò in atto nell’anno 1900, dopo aver rimosso tutte le difficoltà con l’amministrazione comunale e le ferrovie - specie per gli incroci e la sovrapposizione delle due linee).
Nell’anno 1912 legge gioà attiva la “Lega tranvieri”, probabilmente una sorta di sindacato dipendente infatti dalla Camera di Lavoro locale.

  

                                                 nel 1912 si potevano permettere ancora chiamarsi con la w

 

Nel 1921 l’UITE iniziò l’uso degli autobus; e nel 1938 dei filobus.

Nel 1930, soppresso il deposito della Coscia, la soc. comperò l’area di 4700 mq. dell’ex stabilimento siderurgico Torriani (chiuso all’atto della morte del titolare, con maestranze incapaci di procurare commesse idonee alla prosecuzione del lavoro. Al contrario la ‘filiale’ di via san Fermo riuscì a proseguire la produzione per un altro ventennio) adiacente a nord del deposito, per allargare il garage delle vetture costruendo nuove tettoie a vetri e sempre lasciandovi la sede direzionale periferica.

 

       

 a sinistra, a metà: via P.Reti; a destra il campanile

di san Gaetano, al centro ciminiera  - forse ancora         a destra, la casa la cui facciata è  quella

di Torriani (ma se fuma...); dietro manca via Agnese      interna di via Stennio

Foto di Svicher; di proprietà Biblioteca Gallino       

                                                                                        

Ed è probabilmente nella stessa epoca l’acquisto anche dei terreni limitrofi che la portarono a ‘sbucare’ in via A.Saffi (v.C.Rolando) occupando tutto il terreno tra via A.Stennio e via C.Abba (erano lotti di terreno assai appetiti per la posizione favorevole e centrale; l’amministrazione fascista  aulicamente ne aveva previsto l’uso per case operaie “ariose, festose ed economiche”; e nel 1947 fu anche ipotizzato un mercato).

Nel 1933 ospitava una propria società di mutuo soccorso Tranvieri.  

Ingenti danni, subì il complesso dai bombardamenti, durante il conflitto 1940-45, che miravano sia alla ferrovia sia a terrorizzare la popolazione.

1939 - littorina

Nell’ago.1950 i tranvieri (arrivato a 650 elementi tra addetti alle manutenzioni e viaggianti, per un parco di circa 200 macchine),  ottennero che il deposito fosse intitolato alla memoria del collega Carlo Rolando, apponendo una targa marmorea all’ingresso.

 

rinnovo 1964

 

 

Nel 1964, anno in cui l’UITE divenne AMT (Azienda municipale tranviaria) tutte le vetture dei tram furono vendute alla Compagnia tramways di Neuchatel, con smantellamento degli impianti e conversione di tutto il servizio con autobus (il primo “celere” con sosta capolinea, fu collocato dove ora è la fermata dei bus, in fondo a via A.Cantore dal civ. 50: era la linea E -Sampierdarena-Nervi; per la delegazione passavano anche la linea A, C, D);  allo scopo furono apportate modifiche alle strutture del deposito con, in particolare,  l’arretramento del frontale di ingresso per favorire l’ingresso e l’uscita delle vetture.

Nel giugno 2005, iniziano piani più pratici di trasformazione dell’area con richiesta di modifica del Piano Urbanistico Comunale: la riqualificazione ambientale vorrebbe far scomparire certi servizi dal centro della delegazione; il terreno verrà utilizzato e valorizzato dall’AMI (Azienda mobilità ed infrastrutture =una costola dell’AMT mirata alla valorizzazione del patrimonio immobiliare), trasferendo il deposito ed officina (a Campi) e realizzando un’area verde, negozi, parcheggio per circa 300 auto (sotterraneo e sopraelevato) ed abitazioni (40% del volume). Questo coinvolge il giro di milioni di euro; e quindi la politica la fa da regina e direttrice d’orchestra.

Nel 2007 iniziano a ricircolare i filobus elettrici, con itinerario via GBuranello, piazza Montano, via ACantore

===Di fronte all’entrata del deposito AMT, sul muraglione della ferrovia sono ancor oggi infissi otto grossi anelli di ferro, adatti per legare i cavalli trainanti le vetture necessarie al trasporto dei materiali d’uso della fonderia di Davide Torriani  (vedi via san Fermo e V.Emanuele).

                         

 

===dopo l’incrocio con via D.Storace, si estendono i giardini comunali intitolati a C.Pavanello (vedi) che fu necessario proteggere dallo smog e dal rumore con una cinta in ferroplastica.

 

===Nell’area dei giardini si aprono, di via P.Reti:

=il civ.23 che ospita la scuola materna “Bacigalupo”; e la elementare “A.Cantore”.

          

=il civ.25 il Liceo classico statale G.Mazzini (che possiedeva una succursale in piazza Bonavino,6), tel 010.6423057. Nel 2008 ha come indirizzo ordinario il diploma di maturità classica; quello sperimentale, una prosecuzione delle lingue nel triennio. Fu aperto nel palazzo Centurione in piazza del Monastero, con regio decreto di Vittorio Emanuele III, del 16 settembre 1933;  il Consiglio dei professori, scelse dopo due anni dalla nascita il nome a cui intestarlo –non sappiamo con quanta gioia da parte di sua maestà, che si dedicasse ad un repubblicano il centro più prestigioso di una città-.

Terzo liceo genovese, dopo il D’Oria (1824)  ed il Colombo (1860); sia per  anzianità e sia per importanza.

È infatti il punto di riferimento preciso per la cultura locale, ed anche una garanzia di preparazione seria, classica e moderna assieme; definito “motore culturale di tutto il Ponente”. Per lunghi anni, fu ospitato nella villa Masnata di via Cantore. E’ gemellato con il liceo francese di Saint Dizier presso Reims, chiamato ‘liceo Saint Exupery’). Ha una succursale nell’ambito 1 di Pegli.

Nel 1940 era ospitato in piazza del Monastero (aveva corpo insegnante: D’Amato cav.Ferdinando preside; Urbanaz Guglielmo latino e greco; Crema Edoardo francese; Zanoni Giuseppina scienze naturali; Campanella Mario+Santini Vasco+Rolla Matilde+Boccaleri Maria+MarianiPesce MLetizia+Mascherpa Enrica, lettere nel ginn.infer; Massimelli Clemente+Montanari Fausto+Pesce Luigi+Cantelli Giuseppina+Bertelli Ernesta ital e latino ginn. sup; Leale Vittorio storia e filosof.; PanelloMignone Alma matem e fisica; LoraLamia Mansueta inglese; sac Chiappori Giacomo relig.; Marcenaro Caterina storia dell’arte; - più altri supplenti e incaricati).

Poi fu trasferito in via A.Cantore

 

Suoi presidi (oggi, direttori scolastici) sono stati: G.Ziccardi (1933-35); F.D’Amato (-41); M.Ciravegna (-44); I.Nembrot (-45); V.Leale (-54); E.Aubel (-58); A.Vembacher (-59); C.Pala (-77); C.Vielmetti (-79); A.Corsello (-93); L.Barbieri (-2000);

Allievi famosi sono Franco Malerba (astronauta); Renzo Piano (architetto); Giuseppe Siri (arcivescovo); Bruno Orsini (politico DC); Fausto Cuocolo (questore); Lorenzo Coveri (linguista); Paolo Lingua (giornalista); Gianni Pastine (medico); Alberto Lupo (attore);   

Come doveroso in tutti i licei, anche qui esistono diverse ‘correnti di pensiero politico’; i vari eventi internazionali (guerre per es.) evidenziano l’insoluto confine tra cultura generica da apprendere nelle scuole e partecipazione studentesca a finalità non inerenti prettamente lo studio, ma pur sempre cultura. Lascia perplessi la scelta dei temi, troppo spesso stabiliti ed imposti da una minoranza che però è più impegnata ed attiva,  ma di parte. Mio personale pensiero, sia doveroso la libertà dell’espressione del singolo da effettuarsi in discussioni in aula, senza manifestazioni fuori di essa, nel rispetto della pluralità e del confronto: comportamento democratico, che appunto si impara a scuola.

   

v.Reti, visibile all’estrema sinistra                                  foto 1965

Casa delle Ferrovie . Foto 2001

 

  

partic di cartolina del 1903. La torre spicca                come è nel 2009, ‘segata’

nel panorama vicino a torrente e ferrovia    

 

===civ. 10 Sulla strada, prima di terminare in piazza Masnata, a ponente c’è un grosso emporio: sul libro “Un’idea di Città” a pag.11 è riportato un “progetto per costruzione di uno stabilimento per manifattura Piombo” da erigersi in Sampierdarena località denominata san Martino per conto dei signori Giovanni Minelli (o Mannelli) e Trojelli, del 1888, previsto con una alta torre per i pallini; posteriormente –ed attivo ancora negli anni 1950 con telef. 41-297- divenne stabilimento della soc.an. fratelli Sasso, specializzato per tubi, pallini e pallettoni da caccia: per preparare i pallini (usati in lega al 3 per mille con arsenico), in tre grossi forni veniva fuso il piombo e come tale trasportato in alto presso il  tetto della torre che sovrastava l’edificio; sotto il terrazzo altri due forni permettevano il mantenimento della fusione e la colata dal crogiolo; questa veniva frammentata con setacci del diametro voluto, ed i pallini o pallettoni così formati, in caduta si raffreddavano,  terminando infine dentro una vasca d’acqua di consolidamento. Con questo sistema,  i pallini non erano perfettamente rotondi , ma volutamente un poco a goccia così da creare -quando sparati- meno attrito con l’aria ed arrivare più lontano. Nel tempo i laminatoi o forni a piano terra divennero due (uno grande ed uno piccolo) e sul tetto ne rimase solo un terzo.

 una fattura datata 30 dic. 1887

Nell’angolo, un opuscolo –dal n.telefonico: 16-47, risale alla prima decade del 1900-  indicante peso e dimensione dei tubi a disposizione: partendo da un calibro interno di 5mm, aumentante di un mm sino a 120mm; per ognuno ci sono circa cinque possibilità di diverso spessore (e quindi di diverso peso). Possibilità anche di richiedere forniture diverse di diametro e spessore.

 

Dai Sasso, passò a Bertelli Franco (Bertelli; omonima famiglia 80 anni fa c.a. vendette il terreno alla soc.M.S. in sal. Millelire per aprire i locali), che circa nel 1979 aprì i finestroni esterni, facendoli diventare vetrine; verso la fine della sua attività, prima della cessione dell’immobile al successivo proprietario, gli fu imposto la scelta tra restaurare o abbattere dimezzando l’altezza della torre (perché ormai inutile, essendo cessata la produzione dei pallini; e poco prima che diventasse centenaria e quindi intoccabile per le Belle Arti. Con la ovvia scelta, vendette l’immobile con quel caratteristico campanile umilmente tronco). Infine subentrò la ditta Metallegno  di Patrocinio Bartolomeo che ha portato poche modifiche all’aspetto esterno dell’edificio utilizzando l’interno come self-service del fai-da-te; ma nel 2003 sta trasformando l’interno a box per autovetture con accesso da via Tavani.

 Madonnina della Guardia nell’ingresso della Metallegno

 

===civv.__ Di fronte ai “pallini”, nel dopoguerra per alcuni decenni lavorò il pasticciere Tosca i cui locali si aprivano anche in via Orgiero e via C.Rolando; ove ora  2005 ci sono un call-center telefonico (al posto di un rivenditore di motocicli); Russo il fotografo ed un corniciaio.

   Il Pagano 1950 segna  essere aperti le osterie di Pietrasanta Paolo al 45r, e di Olla Erenesto all’ 83r; il bar di Pino P. al 29r e di Mussi Elena al 28r; la trattoria di Martini Giuseppe al 37r.

  Il Pagano 1961 segnala: civici neri (non chiaro perché i dispari saltano dal 29 al 61; i pari sono dal 2 all’8): 10n=l’Unione Ind.Lav.Piombo; 15n=UITE con circolo ricreativo tranvieri e cancelli del deposito vetture; 23=scuola elementare ACantore e scuola materna omonima; 25An=OMNI, opera nazionale maternità e infanzia.

Civici rossi invece, 26 commercianti tra cui:  6r cartoleria; 22r  vetri e cornici; 24r sali&tabacchi; ed a salire di civico, non in ordine,  latteria; un bar e tre osterie; orefice; 31r ardesie di Piccardo Franc.; sarto; 37r il ristorante Martini; carbonaio; due panifici; 63r officina meccanica di Pizzuti O;   calzolaio; 89r pasticceria Perlino T.; ed ultimo 91r parrucchiere.

 

 

DEDICATA all’ingegnere dell’Ansaldo, nato a Fiume il 24 feb.1900.

      Usufruendo della sua carica direttiva nell’azienda per i mesi che vi rimase in attività,  rese importanti servizi e notizie all’organizzazione partigiana, nonché un sostanziale appoggio a scioperi (quello del 13 gennaio aveva avuto la partecipazione degli impiegati dell’Ansaldo, ed il comm. P.Reti fu individuato dal Partito Fascista Repubblicano come organizzatore).

La sua condanna fu determinata dall’aver fatto uscire dall’officina un motore prototipo: questo fu applicato ad un gozzo, usato per portare  un gruppo di ex prigionieri inglesi -liberati e protetti dai  partigiani liguri-  in Corsica (già in mano Alleata). Lo scopo era duplice: rimandarli in patria, ma soprattutto cercare di stabilire un collegamento con i comandi alleati per ottenere gli aiuti necessari (magari con lanci paracadutati: il primo di essi avvenne nel genn.1944 ed il materiale fu distribuito dai GAP genovesi e -in buona parte- tenuto nascosto in delegazione in attesa dell’uso nei giorni giusti. 

Scoperta questa collaborazione,  dai tedeschi che indagavano su lui, fu costretto alla fuga rientrando in terra natale.  A casa,  riuscì a impegnarsi più intensamente al movimento, divenendo segretario del CLN triestino     (comitato di liberazione nazionale), camuffandosi da rappresentante di orologi per poter girare destando meno sospetti, sapendosi sempre braccato dalle SS.

Assunse così l’incarico politico dirigenziale nella DC locale (democrazia cristiana) e svolse incarichi di alta responsabilità specie nei contatti con i partigiani slavi.

Scoperto il suo appartamento a Milano, e lui sottovalutando informazioni ricevute, dopo vari giorni di appostamento fu  catturato a Barcola.

Barbaramente torturato per carpirgli informazioni, fu infine fucilato a Trieste nella risiera di san Sabba, all’alba del 7 apr.1945 proprio quando tutto ormai stava per finire.

Nel 1991 fu insignito della medaglia d’argento al V.M. alla memoria; nel 1991 fu riconosciuta d’oro (come a Pieragostini, Buranello, Quartini).

Il circolo ACLI di Sampierdarena, che porta il suo nome, dal 1988 ricorda annualmente il suo sacrificio con manifestazioni, orazioni ufficiali, ed un premio laurea per un neo laureato ingegnere genovese ed un altro per un triestino.

 

BIBLIOGRAFIA

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-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 3818

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-Annuario.guida archidiocesi—ed./94-pag.435—ed./02-pag.472 

-AA.VV.-Archivio St. Autorità Portuale-vol.I-pag.110.205

-AA.VV.-Contributo di SPd’Arena alla Resistenza.PCGG.1997-p.133.141

-AA.VV.- -35° Spd’A  

-Cappelli.Gianelli.Pedemonte-Trasporto pubblico..-DeFerrari.1991-pag.29

-Doria G.-Investim. e sviluppo economico a Ge.-vol.II-Giuffrè.1973.p.38 

-Gazzettino Sampierdarenese : 1/73.8  +   6/73.10  +  3/87.15   +   4/87.15   +  6/88.11  +  4/89.6  +   6/91.3  +  5/96.7 cita erroneamente una piazza Reti dove ci fu una piazza capitano Bove   +  

-Gazzo E.-I 100 anni dell’Ansaldo-Ansaldo.1953-pag.33

-Gimelli G.-Cronache militari della resistenza-Carige.1985-pag.80-2

-Il Secolo XIX del 9 luglio 1999

-Millefiore.Sborgi-Un’idea di città-CentroCivico SPdA-1986-pag.11

-Pagano/1933-pag.874---/1950  pag. 725---/1961.358.597

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1586

-Poleggi E. &C-Atlante di genova-Marsilio.1995-pag.21.33

-Tuvo T.-SanPierd’Arena come eravamo-Mondani.1983-82-3.93.95

 


 

RIMEMBRANZA                              parco della Rimembranza

 

 

l’antico “giardino pubblico di san Martino” divenne parco quando nel 1922 si volle onorare i sampierdarenesi caduti in guerra.

Lo spazio, è straordinariamente sopravvissuto a tutti i golosi tentativi di sfruttamento edilizio che portarono alla distruzione  di pressoché tutti i giardini delle ville della città (ed ignominiosamente anche degli spazi immediatamente adiacenti ad esse: tipici esempi quelli di villa Spinola soffocata dall’abusivismo, e villa Scassi,  costretta a mostrare come principale , quella che era la facciata interna secondaria).

Nel 1885,  nello spiazzo probabilmente ancora a “ prato”, fu eretta una pista di 350 m. per gare ciclistiche (la prima era stata aperta nella zona del Campasso e, la dizione di “vico della Pista” in corrispondenza di via Bezzecca lascia presupporre che là fosse; ed una terza fu costruita in via A.Cantore -davanti al civ. 47- dove resistette fino al 1910). Il 31 mag.1885, fu festa grande per la città: uno spettacolo nuovo, e finalmente non di mare!:  provenienti dalla Lanterna, giunsero gli atleti ciclisti (detti “i matti a due ruote”), preceduti da sindaco, banda, gagliardetti di società e  folla festante.

La gara “Sampierdarena” fu vinta da Davidson, unico atleta fornito di ciclo da corsa, che doppiò tutti andando a 30 km/ora; la gara “Garibaldi” fu vinta da Cesare Buttolo. Il ricavato andò pro monumento a Garibaldi.

Negli anni vicino al 1905, nel centro, fu innalzata la grande statua a Nicolò Barabino, che ora troneggia nella piazza omonima.

 

scuola N.arabino, con monumento                                               un ingresso delle antiche scuole

 Fu sostituita dopo il 1920 con un cippo (che doveva essere provvisorio e che invece c’è ancora), preparato nel 1905 e poi dedicato al generale A.Cantore.

Nel 1922, l’amministrazione fascista propose - sull’onda enfatica della vittoria - uno sfruttamento meglio organizzato dell’area, con risvolti patriottici: la strada adiacente assunse il nome di via Milite Ignoto (via P.Reti); fu recintata la zona con cancellata; lo spiazzo suddiviso in aiuole rettangolari; si piantarono  alberi d’alto fusto (non i platani attuali che sono più recenti, ma simbolici lecci  dei quali alcuni ancora resistono ai due estremi) proponendo  un ambiente quanto mai suggestivo per commemorare i nomi dei caduti associandoli con dei simboli -gli alberi- che restassero sacri alla memoria: una targhetta col nome del soldato, per ogni albero, messo a dimora dagli scolari. Nel 1925 venne bandito  il concorso per un monumento di grandi dimensioni, da dedicare ai caduti per la Patria: da tutto questo programma deriva il nome di ‘parco della Rimembranza’. 

 

                                              

                                                          1920 circa - Mancano i palazzi di via B.Agnese- la torre

                                                          dei pallini -             

 

 Ma l’assorbimento nella Grande Genova ed il passaggio delle consegne a Tursi fece abbandonare ogni progetto in tal senso anche se erano già pronti i bozzetti del monumento e già dichiarato un vincitore (vedi Pavanello).

L’ultima guerra, perduta, è riuscita a smorzare ed annullare l’enfasi della precedente; i nuovi morti hanno soppiantato i precedenti dando praticamente dimostrazione che morire per la Patria è sostanzialmente un merito momentaneo, che fa comodo fin che fa comodo a chi è rimasto per portare avanti i propri interessi.

   Per anni i giardini  perdettero una titolazione specifica rimanendo genericamente “ i giardini delle scuole Cantore”; finché non fu decisa la dedica al ginnasta olimpionico C.Pavanello.

 

BIBLIOGRAFIA

-AA.VV.-SPd’A nella sua amministrazione fascista-Reale.1926-pag.15.18fo   

-Bozzo.Dagnino-Monasteria Nova-Donati.1998-pag.45

-Castruccio A&C-Ge. e paesi circostanti-Mondani.1983-SPd’Arena

-Novella P.-Strade di Ge.-Manoscritto b.Berio.1900-pag.8.14

-Tuvo T.-Sampierdarena come eravamo-Mondani.1983-pag. 46.67foto  

-Tuvo.Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag. 272-3foto  
RISTORI                                       piazzetta Ristori

 

 

Fu dato il nome dell’attrice allo slargo formatosi sul lato a mare di via C.Colombo (via Sampierdarena), tra il teatro ed un altro edificio. 

Il teatro, già censito come presenza nel 1828, in realtà formalmente fu richiesto di essere edificato, al Comune, il 7 nov.1831, non appena raggiunto il finanziamento ottenuto accomunando ben 56 capi famiglia  desiderosi sia di entrare in antagonismo ed autonomia dalla non del tutto vicina Genova, sia cercando di mettere in evidenza lo sviluppo sociale ed economico raggiunto.

Accettata la costruzione da parte del Comune l’anno dopo, si  impose fosse  eretto “fra la casa Lavagnino e il magazzino Delucchi, in un’area dichiarata “privata” (in quanto di proprietà di re Carlo Alberto, cioè demaniale perché lungo l’arenile, il quale generosamente  la concesse a titolo gratuito, per un’opera a carattere sociale, purché impiegando operai poveri“) .

Il progetto fu dell’architetto Angelo Maria Scaniglia.  L’inaugurazione avvenne ufficialmente il 28 ago.1833, con 600 spettatori entusiasti dell’opera del bergamasco G.Donizetti ‘L’elisir d’amore’ e de ‘L’orfana di Ginevra’ di M.Ricci. Il sipario era stato dipinto da Fontana e riproduceva ‘Alcide al bivio’.

Chiamato dapprima ‘Teatro nuovo di San Pier d’Arena’, popolarmente soprannominato “ o rossiggio”, venne in seguito dedicato all’attrice, però non è ben chiaro quando. 

La costruzione del Modena, lo mise in crisi. Fu posto all’asta e chiuso nel 1884.

Finì per essere poi demolito;  ed al suo posto dopo anni  fu eretto un palazzo per abitazioni.

 

Nel dic.1900, a teatro già distrutto,  un regio Commissario straordinario, incaricato della toponomastica cittadina, aveva proposto alla Giunta comunale  l’ufficializzazione di “piazzetta Ristori” per quello spazio, già chiamato “piazzetta al teatro Ristori presso la marina”.

La proposta attese quindici anni. Nel 1915 fu deciso il trasferimento del nome dell’attrice (vedi a ‘via A.Ristori’) in una via di Certosa, a quei tempi sempre nell’area di competenza del comune di San Pier d’Arena: l’operazione fu ufficializzata nel 1916.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Ragazzi F.-Teatri storici in Liguria-Sagep.1991-pagg.15.95n.192


RISTORI                            via Adelaide Ristori

È una strada divenuta di competenza di Certosa, Rivarolo;  ma  ancora nel 1953 era sampierdarenese se l’elenco delle strade del Comune  edito in quell’anno, assegna a San Pier d’Arena tutti i numeri dispari e dal civ.10 in poi  (ed a Rivarolo i civv. dal 2 all’8).

A conferma, il numero di immatricolazione è sampierdarenese: 2838 (quelli di Rivarolo sono dal 3900 in poi). Su una delle due targhe in marmo è scritto chiaro in alto “San Pier d’Arena”. Altro testo che conferma il fatto è del Novella manoscritto dell’inizio del 1900: la pone decisamente nell’elenco delle strade nostre, “da via Giordano Bruno” (cioè da via Campasso).

Nel 1910 non è inclusa nell’elenco delle strade, pubblicato dal Comune; ma vi compare aggiunta a penna (da via della Pietra a sal. V.Bersezio); queste furono poi incluse ufficialmente  negli anni 1914-20.

Il 21 apr.1915, notando il formarsi di una nuova strada delimitata da 4 caseggiati, già costruiti in località Certosa (allora di San Pier d’Arena), tra via della Pietra ed il piede della salita V.Bersezio, si propose la denominazione alla attrice: ciò fu approvato nel 1916 (traslocando la denominazione dalla piazzetta posta alla Marina (vedi “piazzetta Ristori”).

Il Pagano/21 colloca nel civ. 9 della via il negozio di vetrocromia di Traverso e Roccatagliata (nel 1919 non c’era).

La relazione dell’Amministrazione sampierdarenese del 1926, parlando di Quota 40, programma che essa proseguirà fino al Campasso abbassandosi  fino ad  unirsi a via A.Ristori per poi raggiungere il confine col comune di Rivarolo.

Unificati nel 1926  i vari Comuni  nel titolo di Grande Genova, si dovette procedere ad eliminare le titolazioni doppie: essendo unica quella di SPd’Arena, non fu modificata, catalogata di 5ª categoria.

Nel 1933 era sempre di 5ª categoria ed aveva civv. sino a10 e 15 iniziando da via della Pietra, ai monti; la numerazione dei civici  prosegue unica quella di via Bercilli nata dopo come titolazione. In quell’anno Serra Luigi aveva una rivendita di tubi in cemento;  ed al civ.9 Traverso & Roccatagliata producevano vetrocromia da oltre dieci anni.

Il Pagano 1950 la colloca in ‘Ge-Sampierdarena’, ed al 2r segna la fonderia ghisa “La Certosa”.

Quindi sino al 1953 il confine con Rivarolo era lungo il torrente che è  costeggiato da via Brin, dove c’è la stazione della metropolitana.

Quando fu deciso l’arretramento dei confini circoscrizionali, non è dato per ora di sapere; ma ovviamente dopo quella data. La scheda della toponomastica la pone in ‘zona storica San Pier d’Arena-Rivarolo Ligure’.

 

DEDICATA all’attrice di prosa, nata a Cividale del Friuli il 29 gennaio 1822 e chiamata Adelaide Teresa Gaetana. Primogenita, figlia di attori comici girovaghi (Antonio e Maddalena Pomatelli), fu da loro portata sia sui carri con le misere scene fondamentali per rappresentare delle farse, e sia sul palco in un cesto, ancora in fasce (a quei tempi era normale la conduzione familiare, e mestiere da tramandare; spesso viaggiavano in carrozzoni, vestiti e abituati come gli zingari) nella loro compagnia chiamata Cavicchi, di tipo popolare o di 3° ordine mentre rappresentava -alla flebile luce delle lampade a gas- una farsa dal titolo ‘I regali del Capodanno’:  lei era il regalo.

Cosicché a 3-4 anni –adeguandosi all’età- già interpretava la parte di fanciulli in drammoni cari alle folle; a 6 anni, ricevette un primo elogio scritto da un critico, su un foglio milanese; a 8 fu un “paggetto”; a 14 “l’ingenua”, “la servetta o l’amorosa o la giovane attrice” ma anche già primadonna quando recitavano la ‘Francesca da Rimini’ di Silvio Pellico. Così, a 15 anni la sua bravura riuscì a farla conoscere, nominare, ed infine entrare nella Compagnia Reale Sarda,  finanziata dalla corte; e dove, l’anno dopo,  era praticamente una prima attrice, a fianco del noto Ernesto Rossi (allievo di G.Modrena). Ma dovette proseguira l’escalation, con ruoli adeguati all’età: viene descritta a 17 sempre in ruoli giovanili come “la servetta o l’amorosa”. Solo quando raggiunse i 18 anni le toccò rappresentare finalmente la “prima attrice” perché già capace di spaziare da Goldoni all’Alfieri, dal Pellico allo Schiller. 

A 19 anni lasciò la Compagnia Reale Sarda per entrare in una al servizio di Maria, duchessa di Parma.

A 23 anni, recitando a Livorno, fu ascoltata da Tommaso Salvini che la volle con sé: per quattro lunghi anni divennero la coppia più famosa dell’arte del palcoscenico, specialmente in Toscana.

A 24 anni la ragazza fu conosciuta dal marchese Giulio (o Giuliano) Capranica Del Grillo, manager proprietario di alcuni teatri, il quale se ne invaghi e la volle in sposa, mirando ad introdurla nella nobiltà romana; l’unione fu ovviamente ostacolata dai genitori non consenzienti a questo legame. Lui però ricambiato nell’amore  insistentemente la seguiva nelle varie rappresentazioni, finché la nobile famiglia cedette quando nel 1847 nacque la primogenita. Poterono così sposarsi anche se per lei questo vincolo determinò l’abbandono delle scene, sia per implicito invito della famiglia del marito, sia per curare la propria famiglia con quell’intimità mai goduta da piccola.  Ebbero quattro figli, dei quali solo due –Giorgio e Bianca- sopravvissero. In questo periodo si racconta di lei a Roma durante l’assedio francese, andata a curare i feriti; e di un capocomico andato in crisi per la guerra, minacciato per debiti, alle cui recite lei si affiancò per tre sere aiutandolo così a risolvere il problema economico.

Solo dopo parecchi anni tornò ad interpretare alcune parti, con un successo così immediato e vertiginoso, da essere invitata a tentare la conquista del pubblico parigino (che -era il 1855- rappresentava il massimo della qualità e  quindi dettava le leggi della cultura teatrale; Parigi era già metropoli ed il teatro era già industria intesa in senso moderno): dopo alcuni mesi di preparazione, investendovi denaro ed energie, debuttò con clamoroso successo. I più famosi sarti di allora fecero a gara per vestirla (anche negli abiti teatrali sfarzosi di Lucrezia Borgia, di Maria Antonietta, di Elisabetta d’Inghilterra; tra essi viene citato Charles Worth famoso già capace di ricreare abiti di regine e nobili dame con precisione; nel contempo lei era puntigliosamente  precisa, nei monili ed acconciature, riferendosi a quadri dell’epoca). La sua folgorante carriera, oscurò persino Rachel, prima attrice francese, giudicata allora la più grande del mondo. Un fratello della Ristori, avendo trovato impiego  quale direttore di palcoscenico, scrisse minuziosamente l’elenco dei manifesti, degli scenari e comparse, per ogni singola rappresentazione in programma, facilitando la stesura delle sue memorie (due libri sono citati sull’attrice: di Teresa Viziano “il palcoscenico di A.R.”; di Eugenio Bonaccorsi “l’arte della recita e la bottega”). Interessante è anche notare l’iniziale –pari alla moderna- promozione pubblicitaria, alla quale l’attrice fu molto sensibile; ‘battage’ in francese, ‘business’ in americano, significavano far concomitare alle sue rappresentazioni innumerevoli eventi: dagli allestimenti di vetrine dei negozi, a feste promozionali, incontri di alta società ed articoli sui giornali; e far ricorrere il nome ‘Ristori’  su carta da lettere, caramelle, cosmetici e quant’altro si poteva proporre.

Alessandro Dumas le esclamò “ecco l’arte vera che ho sognato e sospirato: è giunta!”.

I successi si seguirono ininterrotti per ancora trent’anni ed in tutto il mondo: lei essendo poliglotta, fu presente anche in America -1867-  (ove le fu destinata una carrozza ferroviaria personale, attrezzata ad appartamento; così portò i suoi spettacoli in sessantadue città); a Londra (ove ottenne i suoi più memorabili trionfi recitando in inglese); in Nuova Zelanda ed Australia. Ma soprattutto in Italia (ancora incompleta e divisa; a Venezia fu espulsa perché offese un commissario austriaco dicendogli “un italiano, commissario austriaco!: un giuda, un rinnegato!”) dove si fece amare da tanti  perché –per esempio- nella ‘Giuditta’ di Paolo Giacometti, dichiarò il suo patriottismo con calore tale da addirittura indurre molti giovani ad arruolarsi;  oppure con rappresentazioni mirate a finanziare le truppe garibaldine.

A San Pier d’Arena recitò al Modena. Non sappiamo se anche al “Teatro Nuovo”, poi a lei intestato,  in via C.Colombo.

Anche il Cavour  sfruttò le sua capacità affidandole contatti ed incarichi che tornassero utili alla neonata nazione italiana ma soprattutto dichiarandole per scritto essere “la prima artista d’Europa e la più efficace cooperatrice dei negozi diplomatici”, sia con Napoleone III che con lo zar Allessandro III fino ad essere dama di corte della regina Margherita.

In questo nuovo peregrinare, se pur grande artista di eccezionale talento e capace di primeggiare in tutti i repertori dell’arte scenica, (soprattutto in quella tragica), seppe dimostrare di essere anche madre attenta e sposa di grande virtù.

Si ritirò dalle scene nel maggio 1885, dopo aver dato voce alle opere di Goldoni, Alfieri, Pellico, Giacometti, Shakespeare.

Rimasta vedova, si dedicò ai nipoti, ed a scrivere un libro di memorie destinando i proventi ad opere di bene.

Morì a Torino ottantaquattrenne, il 9 ottobre 1906 (due giornalisti, scrivono che ella morì a Roma; ed uno, che nacque nel 1821)

A suo nome Genova dedicò un archivio personale nella torretta del civico Museo-Biblioteca dell’attore, all’Acquasola nella villetta Serra. Questo museo  è unico al mondo del suo genere, dedicato alla storia del teatro e degli attori;  conserva costumi, copioni, fotografie, recensioni, lettere. La ricca documentazione relativa all’attrice, fu donata nel 1967 assieme ad una collezione di splendidi vestiti-costumi dell’epoca realizzati da sarti parigini.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica -   scheda 3857

-Astolfi E.-Regine del Teatro- Historia n.68- pag.I

-Bottaro.Paternostro-Storia del teatro a Ge.-Esagraph.1982-pag.155.164

-DeLandolina GC- Sampierdarena -Rinascenza.1922- pag.52

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzogno

-Il Secolo XIX del 29.1.2002 + 30.07.02 + 01.10.02 + nov.2006 

-Novella P.-Strade di Ge.-Manosritto b.Berio.1900-pag.16

-Pagano annuario/1933-pag.248

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-p.1594

-Ragazzi F.Teatri storici in Liguria-Sagep.1991-pag. 93.95n.192   

-Vivicittà


RIVAROLA                           via Stefano Rivarola

 

 

TARGA:

via – Stefano Rivarola – diplomatico-politico – 1755-1827 – già via Verdi.

  

angolo via Arditi                                                   

 

 angolo via G.Malinverni

 

 

QUARTIERE ANTICO: Coscia

 il territorio del principe di Francavici, ove si formerà, tra le case, la nostra strada. In basso, via Centrale (LDottesio); la sommità della crosa Larga (v.Palazzo della Fortezza); la villa Spinola.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2839        CATEGORIA:  2

 da Pagano/1961

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   53600

 

UNITÀ URBANISTICA: 28 –s.BARTOLOMEO

 da Google Earth 2007. La strada, racchiusa tra color fucsia, via Malinverni; e, celeste, via Chiesa delle Grazie.

CAP:  16149          

                                                                                                                                                                                                                                         

PARROCCHIA: s.Maria delle Grazie

 

STRUTTURA: libera viabilità. Nella cartina ha una struttura a T capovolta; unisce via G.Malinverni con via degli Arditi.

Nel nov.03+ago/04 è inclusa nell’elenco delle ‘vie private di interesse pubblico’ e quindi programmata a divenire municipalizzata con acquisizione gratuita in cambio di manutenzione e dell’usufruire di servizi quali illuminazione, asfaltatura, rimozione spazzatura e fognature.

da via Degli Arditi

 

STORIA: la strada nasce con l’edificazione della zona, forse concomitante con l’operazione R.E.S. (vedi).

   La denominazione fu ufficialmente riconosciuta dal podestà con delibera del 19 agosto 1935.

   I palazzi che la delimitano, hanno in comunione i muri con i palazzi delle vie vicine (Arditi  e Malinverni) rendendo difficile riconoscerli singolarmente.

   Il Pagano/1940 descrive non esserci numeri civici nella via; ma esistendo anche allora i palazzi dell’attuale 1 e 2, probabilmente non sono segnati essendo solo abitazioni.  

 

CIVICI

2007= neri   =   1     e    2

           rossi  =  da 5r9r (mancano 1r e 3r)       e da 2r30r.

 


Il Pagano/40 riporta solo i confini della strada “da via G.Balbi Piovera a via degli Arditi. Non cita civici né neri né rossi.


 

 

 

 

 

DEDICATA: al patrizio genovese, marchese, di famiglia originaria di Chiavari ascritta all’albergo dei De Marini, nato nel 1755.  Ricoprì numerose cariche ufficiali governative, tra cui primo ed unico ambasciatore genovese alla corte di Caterina di Russia (1783-5) a San Pietroburgo; ed a Parigi durante il periodo napoleonico.

ritratto del Rivarola


   Nel 1791 (15 apr), quale governatore di Chiavari (seppur subordinata a Genova, godeva di ampia autonomia economica-amministrativa. In quella seconda metà del secolo, stavano fiorendo Accademie non più orientate a fine filosofico-umanistico ma  verso discipline più tecniche, quali economia, matematica e fisica), fondò – nel salotto di casa sua - assieme a 21 dei 54 ‘colti’ personaggi locali che si erano impegnati per iscritto a fare da imprenditori di una associazione (coinvolgente agricoltura, manifatture, commercio e territorio); e ne fu il primo presidente-  la “Società Economica(sorella della genovese “società Patria delle Arti e Manifatture” nata nel 1787; oggi Ente Morale e della quale il Rivarola ne era stato presidente  nel 1786)  il cui statuto fu riconosciuto dalla Repubblica Ligure il 3 febbr.1799 e confermato nel febb.1806 dal governo napoleonico (con decreto del prefetto del Dipartimento degli Appennini Roland de Villarceaux).  Lo statuto, che prevedeva soprattutto ampliare le attività locali (agricoltura, artigianato, commercio),  venne formulato dal p. Giuseppe Solari (1737-1814).

Nelle riunioni, si trattarono argomenti burocratici (lo stemma con i tre dei corrispondenti: Cerere, Mercurio, Vulcano; il motto “vitam excoluere per artes=onorarono la vita con le arti”; le promozioni in denaro; i soci; l’archivio); ed anche agrari (uliveti, con produzione ed estrazione di olio; vino; patate; rimboschimento; alveari) ed  industriali (fabbrica di remi, ebanistica, lavorazione del lino, filande e scuole femminili, biblioteca). Con essa si garantì alla città di Chiavari una produzione agricola (specie le patate, olio, grano saraceno e vino; ed appoggiandosi ai parroci per superare le diffidenze dei contadini), ed una tessile di alta qualità (quest’ultima, era particolarmente ben organizzata già dai livelli iniziali di formazione artigianale e professionale con scuole apposite a cui indirizzare le fanciulle povere o orfane, accompagnata da propaganda e promozione a livello internazionale con esposizioni, premi, esportazione.  A fine secolo 1800, la lavorazione dei tessuti: garantiva con 48mila telai casalinghi –dati in dote-  lino, di damaschi, velluti, pizzi, raggiunse l’apice produttiva con allargamento del ceto benestante e, di conseguenza, dell’educazione, dell’istruzione e dell’inserimento politico. Nel 1793 Chiavari organizzò una grande esposizione (seconda solo a quella di Genova del 1789; ma prima ancora di quella parigina di cinque ani dopo). La Società Economica ebbe ulteriore sviluppo organizzativo, divenendo punto di riferimento per tante ulteriori attività aperte all’innovazione: banche;  asili; scuole; biblioteca (patrimonio prediletto con edizioni di fine 1400); illuminazione elettrica (iniziata nel 1796, un anno prima che Genova); ecc.

 

Nel 1797 a Parigi, davanti al Direttorio, facendo parte del governo provvisorio (assieme a Corvetto ed altri) difese i diritti di Genova ormai divenuta parte della Repubblica Ligure;

Altra volta, di ritorno da una missione parigina (1807), portò alla Società alcune seggiole   particolarmente belle invitando i falegnami a migliorarle: fu Giuseppe Gaetano Descalzi - detto Campanino, che su tutti le studiò, modificò e differenziò a tal punto da creare ed essere promotore di uno specifico artigianato di una qualità di sedie che per leggerezza, robustezza, eleganza e praticità vennero introdotte in tutte le corti reali europee ed oltreoceano, facendo di Chiavari un centro unico, la “seggiola di Chiavari”.

Nel 1824, sotto il regno sabaudo, re Carlo Alberto lo nominò sindaco di Genova, favorendo la costruzione del teatro Carlo Felice (1825) ed il rinnovamento urbanistico affidato a Carlo Barabino (nel 1830, diverrà sindaco di Genova Onofrio Scassi, che diverrà consuocero e concluderà il teatro ospitando le loro maestà, e continuerà il rinnovamento).

Sua figlia Rosa, il 13 ago.1834 andò sposa ad Agostino Scassi, figlio del medico Onofrio, residente in villa Scassi a San Pier d’Arena. Nella villa nacquero prima un maschio il 13 agosto 1836, al quale fu dato il nome del nonno (questo nipote, come ufficiale di cavalleria,  il 20 mag.1859 sacrificò la vita combattendo a Montebello ricevendo la medaglia d’argento al Valore militare; ma con lui così, si estinse la discendenza degli Scassi) ed una femmina poi sposata con un Sauli.

Morì nel 1827

Un Rivarola Agostino, forse parente, quasi coetaneo, nato a Genova nel marzo 1758, fu un ecclesiastico nominato governatore di Roma nel 1814, cardinale e legato pontificio a Ravenna (1824-6) ove ostacolò e represse il movimento liberale romagnolo.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale -  Toponomastica , scheda n. 3865

-AA.VV.-Annuario guida archidiocesi- ed.1994-pag.436; ed.2002-pag.473

-Baccheschi E._Le sedie di Chiavari-La Casana 1/86-pag. 14

-Landò E.-Fondazione Carige- rivista

-Il Secolo XIX del 25.11.03 + 23.08.04

-Lamponi M.-Sampierdarena- LibroPiù.2002-pag.29

-Pagano/40- pagina 391

-Pastorino-Vigliero-Dizionario delle strade di Genova-Tolozzi.1985-pag.1596

-Ragazzi Corallo-Chiavari-Sagep 1982- pag.59.165

-Rivarola G.-Vitalità e rinnovamento della Società...-La Casana 2/1976-pag. 11

-non citato ES  +  EM


ROLANDO                                  via

 

 

 

 

 

TARGHE:

S.Pier d’Arena–via Carlo Rolando-caduto per la Libertà-1879 – 9-7-1944

via - Carlo Rolando – caduto per la Libertà – 1879-8.7.1944

via – Carlo Rolandocaduto per la Libertà – 1879 – 8-7-1944

                                                       

 

inizio strada, angolo con via G.B.Monti

 

angolo con via A.Scaniglia

 

di fronte a via D.G.Storace

 

angolo con via Currò, rimossa nov.2007

                                                                

fine strada; in angolo con via A.Caveri

 

QUARTIERE MEDIEVALE: san Martino

 da MVinzoni, 1757.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2840      CATEGORIA: 2

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°   54180

    da Pagano 1967-8

                    

 

UNITÀ URBANISTICA: 24 – CAMPASSO

                                           25 – SAN GAETANO

                                           26 - SAMPIERDARENA

 da Google Earth, 2007.

CAP:   16151

PARROCCHIA:   san G. Bosco e san Gaetano

STRUTTURA: senso unico veicolare da mare a monte: da via A.Cantore-piazza Montano, a piazza R.Masnata-via W.Fillak.

È lunga 550m; larga da 6,5 a 8,95m: con pendenza del 2%.

È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera.

 

STORIA:   Le strade romane, prima la Postumia e poi l’Aurelia, sovrapposte per arrivare a Genova chiusa nelle prime cerchie di mura, passarono alte sul colle di Promontorio (la attuale strada del Cimitero, in pratica).

Il borgo iniziò ad avere case isolate dopo Cristo; e, nel 1000, già aveva una forma,  anche se limitata lungo la marina e frazionata; più o meno in quell’epoca quindi,  che all’interno della marina, si aprì il primo tracciato corrispondente alla attuale via N.Daste. 

Più ben definito e numericamente importante fu dopo il 1200, dimostrato dal primo documento scritto riguardante le guardie e l’erezione della prima chiesa parrocchiale. Importanti queste per dimostrare l’agglomerazione attorno ad esse, anche -se non soprattutto- per meccanismi di difesa dalle incursioni di pirati e saraceni. É di quest’epoca, anche se prevalentemente e praticamente solo per andare alla chiesa-abbazia di san Martino, l’apertura della ‘strada s.Martino’, attuale via C.Rolando. Scrivo ‘solo’, perché a quei tempi i traffici con l’interno (attraverso PonteX e la Bocchetta) avvenivano  passando a mezza costa –specialemente di inverno per le ostili condizioni di percorrimento del Polcevera straripante o attraversamento del Campasso allagato nei periodi piovosi.

Nei secoli dopo, e fino ancora a metà del 1800, gli scambi commerciali della città con l’entroterra avvennero seguendo anche altri sentieri più diretti anche se fin da subito bisognosi di arrampicare le erte salite dei monti a ridosso della città.

   Solo nel XVI secolo, gli Spinola ed i Lomellini comprarono vasti appezzamenti di terreni estesi da questo asse viario al torrente; vi costruirono alcune ville aumentando l’importanza di questa “deviazione verso l’interno”, fino ad allora trascurata.

   Nel 1700: tre carte,  una della prima metà del secolo; quella del Vinzoni del 1757 (ma presumibilmente stilata molti anni prima – anche una quindicina e più);  terze quelle del Porro e del Brusco, ambedue circa del 1781, tutte evidenziano le proprietà che si susseguirono lungo l’asse stradale già descritte in ‘strada san Martino’.

Riporto -usando riferimenti alle strade di oggi- per comprendere le dimensioni delle proprietà composte come dei rettangoli sovrapposti, e sulla base della carta del Vinzoni, la più completa di dati, iniziando dal Mercato:

a ponente della strada. Primi, i terreni a rettangolo di Tomaso Spinola, con villa (attuale civ.4), estesi col lato più lungo da via Scaniglia sino a circa l’inizio di via Degola; affiancati in successione verso nord, dai secondi, quelli di Giovanetta Lomellini, con villa (oggi civ.8), estesi ad L fino a Largo Jursé, poi ereditati nel 1781 da Agostino Spinola; terzi di Domenico Spinola, con villa e torre (oggi la scuola, al civ.12) anch’essi estesi ad L  sino a via Eridania circa;  quarti del Magistrato degli Incurabili con villa, e terreno fino al limite dell’attuale via B.Agnese (nessun documento attesta che qui vi fu un ospedale, neanche come inteso con questo termine a quei tempi; quindi si presume che casa e terreno erano stati donati in eredità all’ente: l’istituzione ‘degli Incurabili’  fu istituita in città -dapprima da alcuni cittadini locali- per gli infermi di malattie incurabili ed i pazzi. Dal seme di questa loro opera spontanea, il Senato stabilì in seguito che si dovesse la nomina formale di un Magistrato al quale dare tutta la autorità di provvedere e determinare qualunque affare fosse spettato al servizio: tra i cittadini facoltosi e volenterosi furono nominati dodici ‘Protettori’ perpetui, , quattro dei quali erano da eleggersi tra loro per formare il Magistrato, con la facoltà di eleggere pure il successore qualora uno di essi volesse appartarsi); quindi per quinti le terre del sig. Ventura all’altezza dell’attuale civ. 22, con ampio giardino fatto a L fino a via Spataro; sesti fino a piazza Masnata la proprietà (prolungata lungo la parte sud di via G.Tavani e con la casa sulla strada) del mag.co Giacomo Dinegri divenuta poco dopo del m.co Stefano Lomellini (vedilo a Daste103) -.

A  levante  la strada inizia fiancheggiata da prati posseduti da Ferdinando Spinola, divenuti nel 1781 di proprietà  di Tomaso Spinola; seguita da quelle seconde di GioGiacomo Grimaldi e subito dopo per terze di GioBatta Grimaldi, nel 1781 ambedue in mano agli eredi; quarta è quella dei Teatini della chiesa di san Giovanni Battista-san Gaetano; seguita come quinta, a livello di via Ulanowsky dai terreni di un sig. Ghezzi fino a via Armirotti; dove, sesta, iniziava la proprietà già del generale Luca Pallavicini (vedi villa Pallavicini-Currò, oggi aperta in di via dei Landi),  divenuta in quel tempo dei sigg Rovereti comprendente al centro via Currò fino alla villa; ed infine, settima, -sino a via Caveri, allora vico Cicala- la abbazia ed Oratorio di san Martino, oltre il quale era –ottava- una vasta ’area Cicala’,  definita -solo nella carta del 1781- zona ‘la Palmetta’.

dic. 1781-ASG Raccolta cartograf. Busta 18 n.900 - progetto Brusco G - allargamento strada di 30 palmi da Mercato a Palmetta. I proprietari sono, dal Mercato→nord: ---a ponente: Mercato+ (ove civ.4) Tomaso Spinola+ ove civ.8 Giovanetta Lomellini ora del mag.co Ago.ino Spinola  ---a levante A=piccole case distruggibili+prati del fu Ferdinando Spinola ora di Tomaso Spinola + eredi del q. GioGiacomoGrimaldi+ eredi del GB Gimaldi+ RRPP Teatini con s.Gaetano+ sig. Ghezzi+ delli mag.ci Rovereti+s.Martino-la Palmetta+ (sulla strada) Principio della strada di Rivarolo.

Nel  1800 avvennero cambi e moltiplicazioni di proprietà. A seguito della rivoluzione e successiva dominazione francese-napoleonica, scomparvero molti nomi di aristocratici e comparirono quelli dei ricchi borghesi che comprarono parti di territori per lottizzarli ed edificarli.

Intanto nel 1857, con  il regio decreto leggiamo il riconoscimento ufficiale delle strada: è descritta come “via san Martino”, quarto ed ultimo tratto della  “strada Superiore” (quest’ultima tutta, era composta da via De Marini -via sant’Antonio-via del Mercato-via san Martino). 

Quindi il tratto stradale con quel nome andava ‘dall’incrocio con via san Cristoforo (via A.Scaniglia),  alla casa Morasso in san Martino’ (le case, a quei tempi erano usate come punto di riferimento; con l’indicazione di questa casa però la strada risulta rispetto ad oggi cento metri più lunga, essendo stata essa localizzata all’angolo con via san Fermo, vicino a via Bezzecca. Però si sottolinea che a quei tempi sempre le misure erano assai imprecise e non determinanti).    

Nel 1875, una parte di terreno posta a mare dei Teatini, appare di un DeMarchi Gerolamo: in quegli anni la venderà ai Salesiani da poco subentrati nella proprietà. Nel 1876 i terreni appartenuti nel 1700 a GioGiacomo Grimaldi, sono divenuti di ‘Enrichetta Rebora in Cristofoli Conserve Alimentari’; e quelli di  Gio Batta  Grimaldi, già passati  ai Grimaldi-Pallavicini, sono acquisiti da ’Ospizio don Bosco e san Gaetano’; mentre la proprietà dei Ghezzi appare divenuta del marchese Pareto.

Nel 1899 le venne imposto il nome di via Aurelio Saffi (vedi).

Nel 1903, favorito da agevolazioni creditizie relative alle cooperative (legge Luzzatti), il costruttore Pittaluga crea la soc.an.Cooperativa Domus e fa costruire nel terreno successivo a via Currò –speculandoci- un voluminoso stabile, contestato nel quartiere. 

Nel 1905, ai lati già compare la strada comunale ‘Giovanni Bosco’ (senza il ‘san’, ovviamente); mentre i terreni del Pareto appaiono occupati dalla società Metallurgica, con accenno a quella che diverrà via Ulanowsky.  La villa di Domenico Spinola è diventa appartenenza di un sig. Grasso, a cui subentrerà il Comune che la farà distruggere (rimane solo la torre, alla cui base ora esercita un tabacchino).

Nel 1910 è ancora via A.Saffi.

Nel 1935, il taglio di via A.Cantore, sopprimendo la parte terminale di via del Mercato, allungò la strada -nel tratto iniziale- di 50 metri,  determinando una precisa distinzione tra via N.Daste e via C.Rolando, prima di allora conseguenziali.

Nel pieno del ventennio fascista (lug.1935), il nome venne cambiato in via Egidio Mazzucco, e tale rimase  sino alla fine del conflitto quando ovviamente dopo il 1945 fu ricambiato:- all’inizio con la dedica a L.A.Martinetti (19 lug.1945),  e poi (14 mar.1946) con l’attuale.

 

 

    È una delle più importanti e vive strade della delegazione, qualificata dalla presenza di opere d’arte, e di vecchi importanti attività commerciali che ritroviamo costantemente come punti di riferimento: non in ordine storico, la Cooperativa di Produzione tra gli operai,  Upim, Morassutti, l’osterie Casella e Pronzati; riferiti agli anni 1945-50 l’ottico Zino, la farmacia san Gaetano, l’erboristeria Mancini; la pasticceria Graglia (poi Arnoldi), il panificio dei Solia, la cartoleria Celoria, la torrefazione di Armanino***, il calzaturificio di Andrea Vernazza detto “Drïa o caigà (il negozio, aperto nel lontano 1870 era noto in tutta la città per la qualità –tutto cuoio ovviamente- quantità e varietà della fornitura, dalle robuste scarpe per ragazzi a quelle con i ‘lustrin o pomelletti’ per le signore. Vedi anche sotto, al civ.35);  ultimi più recenti (anni 2000) tabaccaio Sciamà Fernando,  il bar Franco, libreria  Roncallo, rilegatoria e libreria salesiana, il bar Ciao Ciao, ecc.

Nel 1998  viene scritto che amici di un certo Andrea morto a Rivarolo in circostanze misteriose, lo vedono aggirarsi in questa zona di inizio strada e via Cantore; e - chi ha tentato di trattenerlo - si è trovato a stringere l’aria, quale spettro motorizzato.

Negli anni 1999 nacque (con presidente Angelo DellaRovere, a cui successe l’ing. Enzo Rubino) il consorzio CIV denominato ‘il Rolandone’, con sito internet www.rolandone.it. All’inizio raggruppante una cinquantina di esercenti, divenuto promotore di iniziative  mirate a sfruttare la  strada quale isola pedonale-commerciale non transitata da veicoli ed animata da bancarelle e iniziative varie; coinvolgente alcune strade collaterali  come via Agnese  dove è aperta la ludoteca e le altre ad uso parcheggi e vie di sfogo; la sua iniziativa, fece nascere altri due consorzi  chiamati ‘CIV’ (centri integrati di via- gli altri in zona via Cantore e piazza Modena), con progetti per controbilanciare l’effetto attrazione della Fiumara.


 

ono  state previste possibilità di allagare i marciapiedi, di sfruttare meglio le zone parcheggio (progettavano il sottosuolo dei giardini Pavanello, ormai compromesso dai lavori fatti in superficie; e l’utilizzo dell’area AMT se si spostasse altrove il deposito); addirittura pensato un tunnel collegante via Reti-via Cantore (per decongestionare il traffico nella piazza Montano).


Le numerose iniziative mirate a vivacizzare la strada, hanno portato al fortunato esito di farla divenire la strada principale della piccola città, il passeggio, al punto di mirare a divenire pedonalizzata. Nel giu/2000 l’iniziativa presentò musica jazz e rap; il presidente Dellarovere Angelo era in attesa –da parte del Comune- della perimetrazione della competenza del CIV

Nel 2002 la strada fu chiusa e sconvolta dal rifacimento delle fognature bianche e nere da parte dell’ASTER (agenzia che esegue i lavori per conto del Comune), dal deposito AMT alla piazza Masnata (la prosecuzione dei lavori sia in profondità che in superficie verso il mare è sulla carta, mancando i mezzi finanziari). Ciò non preservò l’anno dopo dal solito allagamento dopo acquazzone, risultando la via come collo di bottiglia tra l’ampia sponda del Belvedere ed il deflusso verso lung.Canepa ed il Polcevera, essendo il territorio tutto cementificato ed asfaltato. Presidente del CIV ing.Enzo Robino, gli interessi restano dei parcheggi e lancia il ‘CIV delle antiche botteghe’ sperando dare spazio a nuovi arrivi di vecchio artigianato (sarti, calzolai, falegnami, ecc.. Questo mentre i salesiani tentano –associandosi a Teleliguria e Sat2000- di. dare spazio ad una TV cattolica (Tg, messa, conferenze)

Nel 2003 il Corriere Mercantile confermava la copertura economica  (907mila e.) della Regione  per realizzare un programma triennale fino alla ‘isola commerciale’ comprendente  anche la valorizzazione delle vie attorno (fino via Degola),  del patrimonio edilizio e storico, dello sgombero dell’AMT ed un ‘parking’ sotto i giardini Pavanello; pedonalizzazione a tratti (per consentire i collegamenti) con panchine; restauri esterni. Il CdC inserisce la strada nell’iniziativa “domenica ecologica” (bande musicali, animazioni teatrali, negozi aperti, ecc.)

Il 2004 la vede nominata “la Main street” locale, per le iniziative del CIV a cui collaborano l’Atletica Universale, il Genova basket, lo Judo marassi, il Paladonbosco, Progetto80, gli Squali Genova, il TennisTavolo Olmeda. In giugno, la Giunta ha approvato l’investimento complessivo di circa 1,4milioni di euro (Regione, con fondi europei; Comune; CIV; Amga (59mila e.); acquedotti DeFerrariGalliera (205mila e.) e Nicolay (113mila e.).

Nel 2005 inizia un nuovo restauro di riqualificazione: rifacimento delle reti di scarico –bianche e nere, non completate nel 2002-; pavimentazione in tasselli di porfido dopo allargamento dei marciapiedi e ridimensionamento della strada con a tratti zone pedonalizzate e comunque ad una sola corsia senza zone di sosta; nuova illuminazione; sistema di videosorveglianza; nuova segnaletica. Il tutto in attesa di reperire posteggi (nella autorimessa AMT o sotto i giardini Pavanello). Spesa programmata di 1milione e 400mila euro. Nel 2007 è ancora un cantiere, da via Storace (ad agosto da via Agnese) alla fine.

Nel 2008 è completata con tutti i marciapiedi allargati e pavimentati a masselli di porfido; alterna tratti di strada pedonali (pavimentati a porfido; tali da v.Dattilo a v.Stennio -escluse-; da via s.GBosco a v.Storace –escluse-; da v.Currò a via Bazzi –escluse-) da altri  aperti al traffico veicolare per concedere sbocchi alla strade laterali (pavimentati in asfalto, tali dall’inizio a → via Dattilo; da v.C.Rota a ← via s.G.Bosco; da v Storace a← via Currò; da via C.Bazzi →alla fine).

Nell’anno il CIV ha promosso la ‘giornata del libro’ con banchetti sulle strade pedonali e coinvolgimento delle scuole; ben cinque negozi sono di cinesi (via Callo Lolando); 

 CIVICI 2007

UU26= NERI = (nessuno dispari)             il 2

             ROSSI= (“            “        )              il 2r e 2Ar   

UU25=NERI  = da 1 a 25 (manca 17)      e da 2A a 20 (mancano 6, 14)

            ROSSI= da 1r a 151r (manca 69r; compresi 7Ar, 13Ar, 15Ar, dal 19Ar al 29Ar,    .                                                     .                         61ACEHILMNORr).       e da 2Dr a 120r (mancano 2ABCr, 38r, 46r, 86r;  .                  .                           compresi 52Ar, 56ABCDEr).

UU24=NERI  = da 27 a 35                     e da 20ABC a 26

            ROSSI= da 153r  a 205r              e da 122r a 178r (compresi 142Ar, 144EFr)

____________________________________________________________________

(RIASSUMENDO (controllato):

NERI :                             il 2                =UU26  |    ROSSI:                                     da     2     →  2A   =UU26

                  1→25                2A→20     =UU25  |                     da 1      a 151       e  da     2D  → 120   =UU25

                27→35               20A→26   =UU24   |                    da  153 a 205        e  da    122  → 178   =UU24

 

Il Pagano 1950 segnala tra gli esercenti, ben 13 bar: al 9r di DellaFiore C.; 10r di Torrielli Luciano; 13r di Serpero A.; 31-33r di Enrico Pierino; 36r di Bormida G. (forse corrisponde a quella più conosciuta col nome ‘dalla Elvira’, posta nell’angolo con via A.Stennio);  68r Carrara M.; 73r Graglia G. (oggi Arnoldi); 80r Mainero F.; al 97r di Besegno G.Maria; 99r di Alciati M.; 119-121r Rizzo G.; 132r Penna E.; 162r Pronzati G..

In questi anni vengono ricordate l’esistenza di alcune osterie, concentrate nel tratto iniziale: Torrielli, Lignana (posta nella antica villa ora distrutta, con ingresso in via Rolando e nel retro un micro-giardino esteso tra via Rota ed Anzani ); altri vinai erano: uno nel vico Scanzi ed altro in via Anzani (subito dopo il giardino su descritto).

 

                     ________________________________________________

                               CIVICI PARI (a ponente)

===civ 2r è di Salvemini, che ha un’altra vetrina subito dopo, senza civico (forse il 2Ar che manca anche se, nell’angolo estremo di ponente c’è un 2A -retro del ristorante la Torre del Mangia,  che –però- è dopo la targa di via A.Scaniglia e quindi dovrebbe essere di quest’ultima strada). L’oreficeria è descritta in piazza Montano.

Dopo l’edicola esiste un’altra porticina, anch’essa senza numero.

 

===civ.2  è un altro ingresso di Salvemini; costituito da una porticina che è anticipata da un cancello metallico.

 

                                                                                  via Rolando, dalla torre

via A.Scaniglia  inizia a questo livello; il centro strada, separa UU25-san Gaetano dalla UU26-Sampierdarena

 

===civ. 2Br: questo isolato inizia con un negozio che era di Castello- mode (cappelli e oggetti femminili); nel 2007 è divenuto “La boutique del pane”.

===civ. 2A è  il civico di un palazzo stile 1920, eretto a ridosso della villa;

===civ. 4:   villa Tomaso Spinola, riferita genericamente al XVI secolo .

    Nella cartina vinzoniana del 1757 è descritto appartenesse alla proprietà del magnifico Tomaso Spinola, dotata di un ampio terreno che si estendeva verso ponente sino a dove ora è via Spataro, fiancheggiando via san Cristoforo (via AScaniglia).  

                

da acquerello databile anno 1800, di Salucci              Foto anni 80 -le insegne: da sinistra ‘Franco’

(sconosciuto ufficiale toscano della                            bar conosciuto per gli aperitivi; macelleria

RepubblicaLigure), disegnato dal vero ma                 Salvi; pescheria Lelle; a sin. Castello

di difficile collocazione.

Si vede –a sinistra della grossa torre in primo piano (a quei tempi la villa di piazza Montano era l’ultima fino al torrente; il resto erano casupole) attribuibile ai Centurione- una piccola casa però anch’essa sormontata da torrione a punta che mai è stato descritto o non più esistente.

 

La casa è una tipica villa genovese di tradizione locale, eretta rettangolare. Non è facile capire perché, come la vicina villa Centurione, con tutto lo spazio che avevano a disposizione, fu eretta a stretto contatto del margine della via. Forse l’ingresso era (come la seguente al civ. 8) sul lato dell’edificio; e solo successivamente fu restaurata così. La facciata ha poche caratteristiche,  e solo soffermandosi attentamente si scorgono dei tratti che la caratterizzano: il cornicione sottotetto (che ha richiesto restauro nel 1998), appare sostenuto da mensoloni che la fanno distinguere da quelle delle costruzioni vicine, molto più recenti; i finestroni del piano nobilesono evidenti di una antica costruzione. Non fanno testo invece i fornici esterni del piano terra, perché furono aperti e comunque dilatati per utilizzo a negozi. Il portale è molto semplice, ha un rialzo debolmente elaborato in cui al centro emerge la sigla B.M. non interpretabile anche se applicata da uno dei seguenti possessori.

           foto 2009

Per anni è rimasta vuota e gradatamente dismessa, acquisendo l’aspetto pateticamente triste e neutro.

L’insieme, senza più giardino, inserito come è in un continuo di case affiancate ai lati e più alte avendo potuto sopraelevarsi, ha perduto ogni dignità  e titolo di villa antica.

All’interno, a cui si  accede da un ingresso asimmetrico rispetto la facciata principale,  un piccolo atrio con la scala che non è più scalone perché, si dice, uno degli occupanti negli anni ’80, un macellaio di “GenovaCarni”, considerato che non sapeva dove collocare il frigo, lo fece dimezzare, o abusivamente o perché risultava non vincolato). Serve per salire al piano nobile ove si arriva trovandovi ancora l’unica decorazione degna di antica villa: un parapetto a balaustra con graziose colonnine di marmo (iniziano con un parallelepipedo di marmo molto semplice, non decorato). Al primo piano, i vani è descritto che sono leggermente disposti a pettine un po' inclinati (probabilmente per assecondare il terreno sconnesso); le sale sono con alto soffitto (oltre 4/6 m), volta a botte e totalmente prive di elementi decorativi. Al secondo piano c’è l’ampio salone, alto oltre 8m e di dimensioni di circa 12x8m). 

Secondo il vivere di oggi: norme CEE, riscaldamento di enormi aree,  mancanza di ascensore e di posto auto; molte cose rendono assai difficile l’utilizzo pratico di un edificio che ha solo il vantaggio dell’antico ma non dell’esteticamente bello. Nell’ago/07 iniziano lavori di grande restauro interno; vengono demoliti muri e pavimenti per un totale riutilizzo non ancora classificabile; sicuramente l’ampio salone, alto più di otto metri è stato diviso in due o tre vani sovrapposti. Dopo due anni, a lavori non ultimati, un’ingiunzione del tribunale ha bloccato tutto, cosicché nel 2011 restano fuori ancora i tubi innocenti delle impalcature e l’edificio è chiuso. Voci di corridoio esprimono dubbi sulla provenienza dei capitali investiti per il restauro.

Dal 1939 al ‘66 ha ospitato la Biblioteca civica Francesco Gallino  (trasferita poi nei locali di via A.Cantore, e poi dopo in via N.Daste), una “scuola Carbone”, il circolo Risorgimento Musicale,  le ACLI, ed un Circolo ricreativo Paolo Reti sempre delle ACLI (vedi via A.Saffi).

Notizie sulla famiglia Spinola leggi alla  specifica: “via Spinola”. Di Tomaso  Spinola ne esistono più d’uno; tra essi  famoso fu il padre di Battista (quest’ultimo nato 1472, divenne doge il 4 gennaio 1531; quindi non può essere lui)

Nel retro erano descritti un giardino all’italiana, e poi orti e frutteti che oggi non ci sono più, occupati dalle case di via AScaniglia e tagliati da via PReti e ferrovia.

 

La villa Spinola è direttamente seguita da un’altra costruzione, più recente, che si apre col portone molto elementare in vico Scanzi; sulla strada essa offre una facciata, decorata -per ciascuna delle due finestre centrali del piano nobile- da una graziosa balaustra marmorea a colonnine.

 

===civ. 8r la pescheria, chiamata “Lelle”. É una delle due rivendite (l’altra, in via ACantore) dei due figli del conosciuto Lelle Senili, generazioni di pescatori corniglianesi. Questo negozio fu aperto negli anni 1978 circa e seguito ancora nel 2011 dal figlio maggiore e dalla figlia, mentre al figlio più piccolo aprì una identica pescheria in via A.Cantore angolo coso Martinetti aperta anch’essa ancora nel 2011.  

 

 

 

 

 

 

 

 


===civ.10r negozio di libreria, da molti anni; dai precedenti proprietari ceduta al Voltapagina. Il fondo del negozio è sottolivellato di tre scalini: in caso di allagamento della zona, la parte di fondo fa da vasca.

 

Alluvione del 30 luglio 1987.

Foto del Gazzettino Sampierdarenese


===14r   L’isolato finisce con un negozio di pelletterie sottolivellato rispetto la strada, che ha chiuso le attività nel 2010 e che faceva angolo con

 

vico Scanzi

 

===18r: è il civico che fa angolo, di Zino, l’ottico (cessata attività a fine 2007).

===civ. 6:    fu demolito nel 1966

===civ. 20r e 30-34r Nel Pagano/1950 è ricordato il mobilificio Porcile Domenico, aperto anche in via A.Stennio al 15r.

calendario 1955

 

===civ. 36r è l’ultimo dell’isolato. Nel 2007 c’è il bar Willy.

 

Via A.Stennio 

 

===civ.40r: è un grande ingresso nel retro del deposito dell’AMT (viene descritto in via P.Reti posizionato un poco trasversalmente. È il primo fornice di questo lungo isolato; la altrettanto lunga facciata ha un’altra grande porta centrale (civ. 42r), poco utilizzata, ed una piccola porticina in metallo senza numero che però dovrebbe essere il civico 44r ché altrimenti mancherebbe. Questa area appare appetitosa negli anni 2005 per le possibilità di trasferimento della funzione attuale e riuso dello spazio a parcheggi, verde pubblico ed alloggi.

 

Il muro che la delimita, porta dipinto un murales tipo futurista, il cui autore è Giorgio Sabretti, già dipendente dell’azienda che gli commissionò l’affresco, oggi abbondantemente deturpato dai soliti cretini con lo spray facile.

===civ 46r è il cancello che inizialmente fungeva da entrata principale della villa successiva, prima di nobili privati sotto descritti; poi della Cooperativa. Per tanti anni – credo già da prima della guerra - fu l’entrata di Valdevit, un marmista che adoperava l’aia antistante l’edificio per deposito delle lastre, ed il piano terra della villa per officina. L’attività artigianale è stata chiusa nel 2006. Nel 2010, dopo qualche anno di una fioraia, c’è un rivenditore di prodotti ortofrutticoli.

                        

forse l’ingresso della villa antica e della Coop                                 attuale entrata, ravvicinata; forse                   

o quantomeno: similare,  essendo il portale più                                con le ristrutturazioni antiche

distanziato dalla facciata della villa dell’attuale

e l’edificio decisamente più lungo                                                                    

 ===civ. 50r è, nell’angolo del palazzo, oggi destinato a negozio di abbigliamento chiamato ‘Bubble Gum’

 

===civ. 8:   villa Lomellini - Spinola.

   

Lo studioso DiRaimondo ha trovato nel 2009 un capitolato dal quale si intende che la villa nel 1636 era di Gio Giacomo Lomellini e che lui la ha fatta’ riedificare’ (ovvero ce ne era una più vecchia).

Appare che ebbe solo una figlia: Silvia. Forse anche una MariaTeresa (suora, senza eredi quindi); quindi non è facile spiegare come l’immobile è poi arrivato a Giovannetta

   

Sino a prima e così in tutti i libri, era descritta di più recente costruzione, e riferita al massimo alla carta vinzoniana del 1757, ove è descritta appartenere alla mag.ca Giovannetta Lomellini.

«Capitolato dei lavori per la fabbrica (riedificazione) del nobile Gio. Giacomo Lomellini. Contratto notarile del 25 marzo 1636

«Nel nome del Signore, l’anno 1636 giorno 25 marzo, nel palazzo di Strada Nuova, Gio. Giacomo Lomellini q. Tomaso incarica il “magister” Pietro Francesco Cantone a riedificare la casa che egli possiede a Sampierdarena vicino alla chiesa di San Giovanni Decollato. I lavori dovranno essere eseguiti in base al “modello” allegato all’atto notarile e secondo quanto specificato nel seguente capitolato.  

Notta delli lavori si doverano fare per riformare la cassa dello molto Ill.e sig. Giovanni Giacomo Lomelino posta in San Pietro di Arena in conformità dello modello segnato di litera A et capitoli si dirano in apresso.

1.        Prima si doverà alsare tutto il recinto di detta frabicha per di fori palmi 12 di più di quelo è al presente, in detto alsamento se li doverano formare li vani de quadri al suo locho tanto veri quanto finti.

2.        Si doverà parimente alsare tute le muraglie per di dentro tanto maestre quanto tramezzi parte di pietre et parte di un palmo di matoni et di mezzo palmo parimente di matoni et in esse ponerli le sue chiave di ferro da quattro a fassio dove bisognerano per cautella di detta frabicha.

3.        Fare il cornicione per di fori qual risinge il capo di detta frabicha di sporto di palmi 2 et di sagoma proportionata al corpo di detta frabicha et detto doverà esser finito di perisia con suo architrave di basso rilevo.

4.        Coprire di tetto tutta detta frabicha tanto di legnami quanto de abaini et detto tetto doverà eser funzionante et siguro e stagno da le aque con servirsi delli legnami vechi vi sono al presente cioè queli sarano boni et il restante de legnami mancherano per detto tetto doverano eser di ogni bontà.

5.        Si doverà fare un ordine de solari ale mezzarie a tetto in essi ponerli le sue bechiarie et vele di ferro per cautella de detti solari insieme il suo astricho di chiapelle.

6.        A dette mezzarie se li doverano fare quadri a numero 10 di palmi 6 e palmi 4 di legname di arse finiti con suoi feramenti delli doppi et a detti quadri ponerli li suoi batiporti per di fori refilati.

7.        Segue in dette mezzarie porte a numero 6 di pietra di Lavagnia lavorate ala romana con sue arve di squere di Fiandra finite con suoi feramenti di palmi 3 ½ e palmi 8.

8.        Si doverano finire tute le sopra dette mezzarie a tetto d’imbocatura finita con il fretone.

9.        Si doverà fare in volta di chane tuto il piano di salla a padiglione o sia a lunete, come più agradirà al padrone e dette volte si doveranno finire d’imbocatura grezza finita con il fretone.

10.     Alli piedi della volta di salla se li doverà fare la sua cornice di bella sagoma et di sagoma proportionata a detta salla o sia capitelli, finita con ogni diligentia.

11.     Si doverà alli piedi delle volte al piano di salla fare le sue cornice finite come sopra o sia capitelli di sagoma proportionata a dette stantie.

12.     Al piano di salla si doverano poner finestre a numero 17 di legname arse finite con suoi feramenti delli doppi di palmi 6 e palmi 13 di luce, rompire dove bissognerà per poner in opera dette finestre et nuovo pavimento dove bissognerà per formare dette finestre in conformità del modello con poner in esse li suoi batiporti sotto e sopra et sue chiappe per di dentro.

13.     Sopra le finestre di salla se li doverano ponere i suoi quadri parimente di arse a numero 3 di palmi 6 e palmi 4 finiti con suoi feramenti doppi.

14.     A detto piano di salla portali di pietra di Lavagnia di pilastrate lavorate in facia a numero 12 di palmi 4 ½ e palmi 10 con sue arve di squere di Fiandra finite con sue serature mappe et chanchani et altri ferri morti.

15.     Si doverà finire tuto il piano di salla dinbocatura finita come sopra.

16.     A detto piano si doverà dividere le due loggie da levante e ponente con formare in esse li vani delle finestre al suo solo in conformità dello modello.

17.     Si doverà formare tute le finestre al piano di salla cioè rompire dove bissognerà et parimente acrescer di materia dove sarà di bissognio per formare la faciata in conformità dello modello.

18.     Si doverà fare un ordine di volte di materia che ano da formare il piano di salla et in esse ponerli le sue chiave di ferro da quatro a fassio dove bissognerano per cautella di dette volte.

19.     Astricare tuto il piano di salla di astrico di quadrete di Savona o sia astrico batuto come più agradirà il padrone.

20.     A detto piano di salla formare la loggia verso tramontana con ponerli dua colone et balustrata e poggiolo a deta parte tale come mi sarano date dal padrone e deti lavori finirli come sopra.

21.     Si doverano fare tute le scale false si partono dal piano di salla vano a le stantie a teto et da deto piano ale mezzarie sotto il piano di sala et cucina et da la cucina al piano del porticho, sopra tromba di legname con scalini di pietra di Lavagnia e dete finire sotto e sopra.

22.     Formare il piano di cucina con servise di quela cucina vi è al pressente con fare a detto piano il suo tinello et dispense e dete mezzarie finite come sopra.

23.     Si doverà distruere la muraglia al piano del portico che al presente forma il mezzano a detto piano et di novo fare deta muraglia che forma il mezzano verso mezzogiorno in conformità del modello.

24.     Si doverà di novo distruere dete due volte del mezzano et farle ala altessa, cioè quela del mezzano ala altesa del piano falso et quela del remezzano ala altesa delle mezzarie con ponere in dete volte le sue chiave di ferro da quatro a fassio per cautela di dete volte.

25.     Si doverano formare tute le mezzarie sotto il piano di salla cioè stantie de creadi et serventi come mezzarie per padrone tanto volte quanto pareti e dete mezzarie si doverano finire dinbocatura finita come sopra et ali piedi dele sopra dette volte farli il suo dado di basso rilevo per finimento di dette volte.

26.     Si doverano fare a dete mezzarie cioè quele si fano di novo le volte et i suoi astrichi di chiappelle.

27.     Fare in detti mezzari quadri a numero 13 di palmi 6 e palmi 4 di legname di arse finiti con suoi feramenti delli doppi et a deti quadri suoi batiporti sotto e sopra et chiappe per di dentro.

28.     Segue a detto piano portali di pietra di Lavagnia lavorati ala romana a numero 12 palmi 3 e palmi 8 con sue arve di squere di Fiandra finite con suoi feramenti con servirse di quele porte vechie che sono al presente al piano di salla cioè quale sarano bone tanto al piano di dete mezzarie come le mezzarie a tetto.

29.     Si doverà fare laputamento al piano del portico cioè mezzano grande e picolo in l’arve porticho tanto volte quanto parete di finimento dinbocatura finita come sopra.

30.     Si doverà fare ali piedi di dette volte le sue cornice o sia capitelli di bella sagoma e di sagoma proportionata a dete stantie.

31.     Al piano del portico si doverano cambiare tute le porte che sono a numero 9 compreso una finta a detto piano di pilastrata di pietra di Lavagnia lavorate in facia di palmi 4 ½ e palmi 10 con sue arve di squere di Fiandra finiti con suoi feramenti delli doppi rompire dove bisognerà per ingrandire dette porte e detti feramenti dentro e fuori insieme finite.

32.     Astricare il portico di astrico di otangoli bianchi e negri loggia al piano di salla insieme balatori di scale.

33.     Si dovrano fare le scale maestre si partino dal piano del portico di scalini di pietra di Lavagnia di palmi 8 ½ di grosesa di un quarto di palmo sopra tromba di materia sotto e sopra.

34.     Si doverà fare tute dete trombe di scale tanto di soto quanto di sopra dinbocatura finita come sopra et ali piedi di dete volte farli i suoi capitelli ben fatti con sue lettere a detti di basso rilevo.

35.     Nele mezzarie a teto se li doverano fare i suoi nesesari come anche si doverano fare ale mezzarie sotto il piano di salla per comodità di dette mezzarie.

36.     Si doverà imbocare et indarbare tute le faciate per di fori apreso al pitore compreso il fare li ponti.

37.     Si doverà ricevere le aque dello tetto per via de canali introdurla nel vasso della giusterna et insieme ricondure li conduti che servono per purgar le aque di detta casa.

38.     Tutti li materiali usirano da deta frabicha vadino per la spesa che anderà per demolire detti lavori et poner da parte la robba insieme dispacchi zetti et farli portare ala marina.

Tuti li sopra detti lavori s’intende farli bene diligentemente forti e siguri in gusto e sodisfatione del padrone e di persone perite per quanto dice li sopra deti capitoli et in conformità delo modello segnato di litera A, per il pretio di lire vintiduamillia di moneta oggi corente in Genova, dicho lire 22.500 (?).

 

                                                                                   finestra finta

Gio.GiacomoLomellini q. Tomaso, = fece testamento il 3 luglio 1639 e morì il 16 luglio 1639 alle ore 12 1/2. Lasciò erede usufruttuaria la moglie.
Era  sposato con Caterina figlia di Pietro Lomellini (fra parenti).

Avevano avuto due figlie: Silvia  e forse anche Maria Teresa suora carmelitana.

Caterina Lomellini, vedova di Gio. Giacomo il 13 ottobre 1640, fa  testamento.

lasciando tutto alla figlia Silvia (di una generazione dopo; quindi attorno al 1675), la quale -avendo sposato Alessandro Grimaldi (q. Pierfrancesco; grande figura genovese dalle immense ricchezze; doge nel biennio 1671-3. Morì l’1 marzo 1683 e sepolto al Boschetto. Con Silvia avevano avuto sette figli maschi ed una femmina Camilla che andò sposa a Filippo Lomellini); farebbe dedurre che la villa di Sampierdarena sia passata ai Grimaldi. Invece dopo ancora due generazioni è ancora in possesso dei Lomellini con la Giovanetta del Vinzoni.


 Da Giovanetta,  poi passò di proprietà (non c’è una data precisa; unico rilievo è una carta di poco anteriore al del 1781) all’ecc.mo Domenico Spinola.

Altro ‘buco’ di cento anni; fino a che fu ceduta a privati, fu poi occupata nel 1875 dalla “Cooperativa di Produzione e Consumo” gestita da C.Rota (vedi lui, e foto sul GazzS 5/82.10—sulla cooperativa vedi a anche A-pag.113 ed a Saffi). Non un mezzo di lotta sociale né sindacale ma una attività commerciale mirata al guadagno anche se nella proporzione a vantaggio dei più deboli. La Coop, iniziò le attività nel ramo del Consumo, nel 1864 con 50 soci ed azioni da 20 lire proponendosi lo scopo di raccogliere un capitale iniziale con cui comprare derrate alimentari sia sopprimendo inutili intermediari, sia scegliendole e garantendole nella qualità; per rivenderle al miglior prezzo; per aiutare il lavoratore ad essere economo, morale, emancipato; con carattere politico di base repubblicano-anticlericale; Costa scrive che su idea e proposta dell’ansaldino Faelli Luigi, fondatori furono 114 soci dell’Associazione Operaia di San Pier d’Arena, tra cui Bagnasco Antonio, id. Gerolamo detto Giromin, id. GB, id. Nicolò; Balzarini Gerolamo; Bolla GB; Botto Pietro; Caminada Antonio; Firpo Giacomo; Grondona GB; Lucatelli Francesco; Medici Luigi; Patrone Antonio; Pecci Francesco; Pittaluga GB; Repetto Giacinto; Roncallo Giovanni; Rota Pietro; Toma GB; segretario Milla  Francesco;  presidente Faetti Luigi;  cassiere Casanova Gaetano. Dopo varie riunioni di approfondimento, valutazioni e discussioni -ospiti  del Municipio in via Mercato 11- furono fatte le nomine e si compilò uno Statuto usufruendo dei consigli dei fratelli  prof. Viganò Francesco e JacopoVirgilio che si erano avvantaggiati di studi sull’armento; infine fu approvata l’apertura del primo negozio-spaccio  in centro del  borgo, in via A.Doria (via G.Giovanetti).  

1865,  malgrado i soci fossero 150, le cose non si avviarono subito in modo brillante;.gli esercenti erano ovviamente contrari, molti fornitori erano diffidenti, gli operai stessi scarsamente collaboranti perché non fiduciosi dell’esperimento. La dirigenza era formata da Bagnasco Nicolò, Bolla GB, Brancaleone Francesco, Casanova Gaetano, Cassanello Antonio, Firpo Giacomo, Gatti Lorenzo, Londer Beniamino, Molinari Giuseppe, Oselli Carlo,  Pallarea GB, Patrone Antonio, Piaggio Antonio, Podestà Francesco, Siegrist Giovanni.

1866/Gennaio i membri del Consiglio furono quelli sottolineati sopra più Brancaleone Francesco, Casanova Gaetano, Cassanello Antonio, Gatti Lorenzo, Londer Beniamino, Oselli Carlo, Molinari Giuseppe, Pallarea GB, Piaggio Antonio, Podestà Francesco, Siegrist Giovanni. 

1869 Rota Carlo diventa tuttofare: segretario, magazziniere, facchino.

1870 i soci sono 200; capitale di 5500 lire; si inaugura  la parte Produttiva, con la fabbrica di pasta (che vincerà, medaglie d’oro d’argento e  diplomi vari alle Esposizioni nazionali, e venderà i suoi prodotti ad altre città anche inglesi ed olandesi.

1871 i soci furono 300, capitale 20.000; gli uffici si spostano in locali di Carpaneto GB posti davanti alla stazione (piazza N.Montano). 

1874 i soci furono mille; capitale 88.600.

1875 i soci 1700; capitale 140mila lire e fondo di riserva 28.400.  Nasce la coop. edilizia-costruzioni per MenoAgiati

1877 la Coop potendo immagazzinate oltre 3mila sacchi di grano, impiantò un mulino a cilindri per produrre farina, semola, cruschello e crusca

1883 la Coop ha 1350 soci, capitale per 100mila; nasce l’idea di concentrare in unico fabbricato l’amministrazione ed i settori produttivi:  si acquista per 92.500£., a rate per 15 anni, dal commerciante Sciutto una villa di mille mq con 3mila mq di terreno (già dalla marchesa Serra  =palazzo Monticelli?)  per inserirci un mulino a vapore da 15 cv con macchinario Ansaldo. oltre la fabbrica della pasta alimentare e del pane utilizzando un forno girante Roland (che nel tempo divennero tre) capaci di rispettivamente produrre 30p pane/die e 20q pasta/die. 

1885 soci 1700, capitale 117mila; si aggiunge un macello e gli spacci diventano nove.

1886  la Coop è la quarta come importanza in Liguria; i soci furono 1659, capitale di 182.208.

1888 si ordinò alla Coop di Produzione un macchinario a vapore da 50 cavalli con relativa caldaia.

1891/2 Novembre fu installato un nuovo mulino prodotto dalla ditta ungherese Ganz, capace di macinare 100q di grano (di cui 10q italiano, e 90q dall’Ucraina attraverso Odessa)  + 15q di mais: le farine saranno esportate per 3/5, il resto fa produrre 2q di pane; si cambiò titolazione sociale in “Soc.An.Cooperativa di Produzione e Consumo”, i cui guadagni  dovranno essere reinvestiti tranne un 5% agli amministratori e sindaci, altro 5%  quale fondo di riserva ed altro 5%  quali interessi delle azioni, oltre alimentare una biblioteca e la beneficenza (all’ospedale, Croce d’Oro. L’anno dopo, 1892 in SPd’A con 33mila abitanti, salirono a 2500 soci e 350mila circa di capitale con 64mila di fondo di riserva; il giro d’affari seppur in anno di crisi, superò il 1.500.000£.. Per vendere occorreva comperare pagando la tassa doganale; esistono fatture per grano ma anche mais, zucchero, caffè, petrolio e vino. Ma il 16 agosto muore C.Rota. La Coop costruisce un ippodromo a Piazza d’Armi per celebrare i 400 anni della scoperta dell’America. Durante una visita, il re acquista delle azioni a beneficio della Cassa Pensioni.

1893 gli spacci sono 11 ed il giro economico supera il milione di lire.  Costa scrive che in quest’anno furono cambiati i macchinari del mulino, costruiti dalla Coop.di Produzione e capace di  70cv

1895: assieme all’Universale ed alla Produzione,  il 24 marzo si fonda la Camera del Lavoro (verrà chiusa 5 anni dopo, sia qui che a Genova).

Diventa direttore della cooperativa, il 28enne ing. Eugenio Broccardi (nato a Ge il 10 lug.1867. Nel 1905 sarà eletto consigliere provinciale del mandamento di SanPd’Arena –e, nel 1907, rieletto-; nel 1913 sostenne la candidatura politica per il collegio di SPdA in opposizione a Pietro Chiesa.


Nel 1914 fu eletto –alle elezioni amministrative- consigliere comunale di Genova assessore ai Lavori Pubblici (e per breve agli Approvigionamenti e Consumi), e tale rinase sino al 1920 quando tutta la amministrazione fu sciolta. Favorevole all’intervento bellico, divenne presidente del Comitato di organizzazione civile per fornire assistenza ai combattenti; e cointemporaneamente fu eletto Deputato (rieletto nel 1924) addetto alla presedenza dell’Ufficio Parlamentare, quale fiduciario della delegazione ligure di maggioranza; commissario dei servizi marittimi; ed altri incarichi importanti e delicati.

Nel giu.1925  divenne Commissario prefettizio per l’amministrazione del Comune di Genova; nel 1926 fu, prima, commissario straordinario per l’unificazione della Grande  Genova; poi a dicembre, podestà. A seguito, ebbe ulteriori importanti dirigenze in attività cittadine, nel CAP, nello IACP, scuola superiore di commercio, delegazione delle Ferrovie del Sempione. Fu infine deputato al Parlamento Nazionale e Senatore del Regno. Morì a SPdA nella sua abitazione in via NBixio 4,  il 14 mar.1959).


1897 a febbraio il Prefetto fa cancellare la Coop. di Produzione, radiandola per irregolarità nello statuto ritenute non compatibili con l’ordinamento imposto dal ministero. Se tale provvedimento fu di breve durata, non fu l’unico a testimoniare il clima persecutorio sulle attività operaie. Con popolazione operaia arrivata a 22000 lavoratori nell’industria, i soci  furono 2800 e gli addetti ben 78; 15 le succursali vendita di cui 12 a San Pier d’Arena; la fabbrica di pasta,  ne produce 150 q/die; la cantina del vino (importato dal Piemonte e dal sud) ha una capienza di 15-50mila litri ; si compie un giro d’affari di 1milione300mila lire/anno quarti in Italia e primi in Liguria.  Sull’esempio nascono in città altre Coop.: dei Ferrovieri (che nel 1900 avrà 400 soci e 2 spacci; e poi diverrà autonomo),  dei Muratori (vedi a Monastero).  

1898 il pane viene venduto a 38cent. (contro i 44 degli altri fornai locali ed 48 a Genova: dovettero scendere a 40).

1899/6 settembre la cooperativa acquistò -dalla famiglia del marchese Pareto- la villa Spinola di via A.Saffi (via C.Rolando) con terreno. Presidente Mariotti Gustavo, consiglieri Basso Ezio, Bennati Antonio, Mussato Vittorio.  A novembre nacque la “soc.an. Cooperativa di Consumo tra Lavoratori”. Nel 1901 nasce la prima “mutua” di assistenza sanitaria: la Universale con altre SMS (Vittoria e Generale) e con le varie Coop provvedono la cura medica per i soci purché acquistassero per 240mila lire/anno.  Per due ambulatori, furono assunti sei medici dei quali uno a stipendio (lire 3000) e 5 a notula (lire 300 fisse più 050 a visita).

La popolazione aumentata ad oltre 30mila unità inizia a far sentire insufficiente la prestazione sanitaria dell’ospedale (che vive anche sulle cospicue somme raccolte dalle Cooperative), il numero e la qualità delle case disponibili. Ovviamente questi aspetti sociali avevano grossa ripercussione politica per le elezioni: infatti nel 1900 venne eletto PChiesa.

1900 sciolta la Camera del Lavoro viene costituito, a Genova, il ‘Consorzio Agrario Cooperativo’, mentre la Coop di Consumo sampierdarenese il 12 maggio inaugurò un nuovo magazzino succursale di vendita.

1902: la Cooperativa viene diretta dai Socialisti  (presidente Murialdo Luigi) con apporto di un migliaio di nuovi iscritti: è una delle prime classiche “invasioni” della politica nella iniziative umane: il principio è giusto, legato al superamento delle individualità ed egoismi, a vantaggio della comunità e convivenza; la realizzazione poi sarà sempre più complessa nel senso che all’egoismo di uno si sostituisce l’egoismo del partito,  retto da pochi che però poi equivalgono quell’uno. La Cooperativa inaugura in via G.Mameli la farmacia “alla Cooperazione”, che concorre alla fornitura dell’ospedale (ancora localizzato in villa Masnata).

1903: 2870 soci, 17 spacci (anche a Teglia, Rivarolo, 2 Cornigliano e SestriPon.), 290mila lire di capitale, 80mila di fondo di riserva, 2000 di fondo previdenza. Il mulino di via A.Saffi lavora 40mila q. di grano e mais per farine alimentari; la fabbrica di pasta produce 5400 q di pane/anno; le vendite (dirette o a terzi –in primis il Comune di SPd’Arena; a Genova le suore di Carità e la coop Ligure Lombarda; ed anche all’estero -Olanda ed Inghilterra-) superano 1.800mila lire/anno; gli utili sono reinvestiti per riparazioni e miglioramento dei macchinari e per l’acquisto di vino del Monferrato (sino a questo anno l’acquisto di 4-6mila hl veniva raccogliendoli da piccoli proprietari della zona di Mombaruzzo-AL, al prezzo medio di mercato su tre piazze (Acqui,NizzaM, Al.); da questo anno viene acquistato uno stabile a Gavi, con torchio, fabbricazione e deposito. Viene creata una “cassa per depositi e prestiti”. La Coop partecipa al Congresso Regionale delle Camere del Lavoro (a SPd’A=Massara Carlo), Leghe, Cooperative (a SPd’A=Murialdi Gino) e socMS (a SPd’A=Casirola...): saranno 184 società liguri, rappresentati 65mila soci. La Coop sampierdarenese diventa per un anno “Alleanza Cooperativa Ligure di produzione e consumo”, modificando anche lo Statuto. A metà ottobre viene aperto in via N.Barabino un Caffè-Birreria (con mobili disegnati da Plinio Nomellini e con cura dell’estetica, decoro e pulizia oltre al servizio, un primo riscatto contro l’osteria e l’alcoolismo).

1904 la Coop. si doppia –come detto sopra, per incompatibilità ideologiche, con ovvie ripercussioni di accuse (di calunnie e di causalità della sconfitta elettorale di PChiesa)-: un gruppo di 100 repubblicani (detti pure rivoluzionari o di resistenza), si dissociano dai socialisti e fondano la «Cooperativa di Consumo Carlo Rota», che negli a seguire (1922, ed anche durante il fascismo) avrà uffici e magazzino in via A.Doria,  10 spacci, un forno panificio. Politicamente i repubblicani, unendosi con i radicali, saranno chiamati partito democratico (Ronco Nino, Mongiardino Giovanni, Murialdi), e  che l’anno dopo sarà sconfitto alle elezioni.

L’altro gruppo, di fede socialista (o riformista), fondendosi con l’ Emancipazione di Genova, la Coop. Rivarolese e la Coop Ambo i sessi (nel Pagano/1925 compare questa S.MS in via ASaffi, civ.4), diventa la «Alleanza Cooperativa Ligure di produzione e consumo “Avanti” in San Pier d’Arena», diretta dall’avv. Gino Murialdi, con 5000 soci e capitale di 500mila lire (a San Pier d’Arena possiede: 1 farmacia; 15 spacci =in v.A.Doria, 3 in via CColombo, v.BMonti, 3 in v.UmbertoI, v.sanCristoforo, v.Demarini, v.Gioberti, v.A.Saffi; un deposito olio d’oliva in via CColombo; un caffè-birreria; una cantina a Gavi).

Si allarga l’attività con un settore di macellazione e lavorazione della carne; ed uno di distribuzione di vino.  Di tutte le iniziative, la media degli incassi giornalieri è di 5200 lire (contro le 3385 del 1903).

Seppur in crisi politica, i socialisti-riformisti pubblicarono dal 3 novembre un settimanale titolato “l’Azione” (titolo mutato al quinto numero in “Azione socialista” diretto da Massara Carlo; vivrà per due anni cessando l’uscita nel 1907 dopo essere stato incluso come foglio di interesse locale nel giornale  “Era nuova”).

 Avanti - distribuzione del vino (osteria)  


 

 


cantina e forno                                                                               uffici

 

1905 malgrado la secca sconfitta elettorale ed il blocco –per motivi politici- del credito da parte delle banche (per carenza di moneta circolante, si ipotecano i locali di via A.Saffi con la banca s.Paolo di Torino), il circuito distributivo dell’Avanti, permette allargare la distribuzione anche del latte.

1906/dicembre: viene inaugurato dalla Coop Avanti, in san Martino,  un nuovo ristorante-birreria. Inizia la distribuzione anche del latte (generalmente scremato; a 80 cent a privati ed enti; a 25 c. a soci,istituzioni,OperePie,collegi,istituti di mendicità e scuole).

1908  in 10mila partecipano alla festa campestre per raccogliere fondi pro scioperanti di Parma.

1909 l’Avanti realizza 1.369.347 £/anno con gli spacci, e 235.993 £ con i ristoranti

1911 quando SPd’A conta 42mila abitanti, la Coop Avanti nomina (24 apr) presidente Leoni Ricciotti.

1913 a Genova nasce (30 magg) come soc. an. il “Consorzio di consumo cooperativo”  che eredita spacci e ristorante dell’Avanti, aperti nel capoluogo; in contemporanea in città si apre un altro spaccio.

1915 L’Alleanza Coop. Avanti,  ha 4000 soci, 20 spacci, capitale di £.281.576,54, fpondo di riserva di £.47.165,35

1930 le Coop vengono annullate dal fascismo, che organizza un servizio similare chiamandolo “Consorzio Annonario”.

 

Nel 1895 presumo che la villa fosse divenuta di proprietà “Roncallo- Storace & c.” delimitando il terreno acquistato dall’UITE, mentre parte del giardino dapprima era occupata dallo stabilimento Torriani, poi il rimanente fu acquistato -dall’UITE nel 1930- per ampliare il “deposito centrale”  dei tram.

Durante e dopo la guerra del 1940-45 fu occupata alla base dal marmista Valdevit, che cessò l’attività dei primi anni 2000.

L’ingresso attuale è nella via e –sopra il portone c’è una nicchia con Madonnetta-; quello originario della villa era posto sulla facciata interna a mare, a cui si accedeva dalla strada, tramite un ampio portale che ancor ora esiste e da ingresso ad un marmista: attraverso esso, si entrava in un lungo parterre che dopo la casa si prolungava in un giardino all’italiana; il terreno arrivava fino al Polcevera, tutto coltivato  fittamente. Con l’avvento della ferrovia, il terreno venne tagliato e poi lottizzato.  L’interno conserva qualche raro ambiente con la volta a padiglione o a crociera: attualmente -seppur mantenendo il volume originario- è stata totalmente ristrutturata  per trasformazione ad edificio di abitazioni: sicché l’ingresso è stato portato in via Rolando, per cui le  scale ovviamente sono state rifatte e  su questo lato le finestre uniformate. Durante l’ultimo restauro svolto nel 2007-8 circa, sotto l’ intonaco coprente, casualmente è stata rinvenuta una lapide di lavagna  di fattura medievale. Divisa in tre spazi, i due laterali sono scudi scalpellati (stupido gesto di eliminazione dei simboli, in rapporto con 1799 e la Repubblica Democratrica) ed al centro l’agnello con stemma crociato evidente simbolo religioso che porterebbe a pensare alla – in quegli anni - demolenda chiesa di san Martino (vedi sotto).

Anche per questa villa,  solo l’attenta osservazione della facciata principale a mare, dove occupa il piazzale il marmista,  fa scorgere i tratti originali della villa antica cosicché solo questa facciata conserva integri alcuni aspetti originari (specie i grossi finestroni con inferiate). Dal confronto dell’attuale, con la pianta, sarebbero state aperte almeno due finestre sulla facciata. La casa è stata riverniciata all’esterno nel 1999; sulla facciata di via Rolando, al primo piano, la prima finestra verso il mare non esiste ed ha le persiane dipinte chiuse.

 

civ. 8- volta di un vano a piano terra tra i più a ponente.         Lapide con agnello centrale e scudi scalpellati

Tracce di affrescatura

===civ. 8A - dal 1982- solo il piano terra- fu concesso in uso all’ associazione onlus (senza scopo di lucro)Progetto 80”  formata da volontari che si dedicano all’assistenza ed al trasporto delle persone handicappate che abbisognano di una carrozzella per gli spostamenti (nell’anno 1997, furono effettuati 474 trasporti di persone disabili, con tre automezzi). Tra i dirigenti vengono ricordati AnnaMaria Veronese ed Andrea  Vegliò (il socondo, giovanissimo sui trent’anni, deceduto in un incidente in moto: malamente la strada gli fu tagliata da una avventata manovra di un extracomunitario che in via Cantore fece una svolta a U con una grossa jeep, comparendogli davanti improvvisamente e drammaticamente. ‘RicordandoAndrea’ e il terzo ‘trofeo sport per disabili AMVeronese’ (sono disabili in carrozzella, spinti da volontari sani, che giocano a pallamano)  furono i titoli delle manifestazioni tenute nel 2002 in occasione dei vent’anni della nascita). Nel 2008 è presidente la sig.ra Vittoria Albertini ved. Bonzani.

===civ. 10: a fine secolo 1800, aumentando vertiginosamente la popolazione, con l’immigrazione soprattutto di forze di basso ceto sociale (inoccupati, analfabeti, alcoolisti, violenti), l’amministrazione comunale avvertì la necessità di costruire una propria casa di pena, nel proprio territorio.

Dapprima fu individuata all’uopo una zona che in via sant’Antonio (via Daste) era affiancata all’ospedale (allora ancora in villa Masnata); ma poi fu optato predisporre per alcuni anni -compresi il 1891 ed il 1896- dei locali carcere nel palazzo Boccardo in via Mercato 11 (Questo palazzo fu venduto a privati, e poi demolito; era nel luogo ove ora è il civ. 51  di via A.Cantore, poco a ponente dell’Oratorio della Morte&Orazione e della salitina che portava in piazza capitan G.Bove. Si scrive da Roncagliolo che erano due stanzette –lui scrive “non si trattava altro che di un negozio” mentre invece ritengo che fossero all’ultimo piano; una decina di mettri quadrati in tutto; con grate alle finestre, capaci di ospitare al massimo due persone).

     

anni 1980

 

Il Comune invece comprò un altro terreno, di antica proprietà dei marchesi Pallavicini, che nel 1865 avevano venduto al cav. Carlo Mario Copello, il quale a sua volta lo rivendette al Comune per 21mila lire. Solo nel 1905 fu bandita la gara d’appalto che all’inizio chiedeva  esserci  anche un dormitorio pubblico, bagni popolari, caserma della delegazione della polizia, cucine economiche popolari; probabilmente visto la spesa, il progetto fu ridimensionato (optando per sistemare la caserma di polizia nel vicino palazzo Grasso); e, governando Nino Ronco,  nel 1906 iniziarono i lavori  (eseguiti con la regola prefissata della disposizione interna che non rendesse visibili i detenuti: nacque così il carcere giudiziario mandamentale di San Pier d’Arena. Roncagliolo scrive che la targa diceva “Carcere Mandamentale di Sampierdarena”.

    Nel 1957 rilevando la inadeguatezza funzionale, si auspicò o una totale ristrutturazione  o la soppressione (anche in rapporto alla vicinanza della scuola media). Con varie fasi, ospitando detenuti con sempre minore peso giudiziario, avvenne la chiusura totale delle funzioni carcerarie nei primi giorni dell’anno 1972. Eliminate le scartoffie, Roncagliolo narra che le stanze a pianoterra vennero date a due anziani che vendevano frutta e verdura, quindi chiamati con semplicità “a Santinn-a” ed “o Pellegrin”; sul banchetto, per un centesimo, davano o un sigarino, o una pipetta, tiramolla, reganisso (forse anche pescetti, bottoncini di liquirizia) ed altre piccole cose  per ragazzi.

   Dopo allora l’edificio venne abbandonato, con grande dispetto del Consiglio di circoscrizione che si adoperava con riunioni per il riutilizzo  (propaggine della scuola, una mensa, ambienti per handicappati -1981-) o l’abbattimento; Roncagliolo ricorda che appena sgombro dalle suppellettili giudiziarie, un vano di piano terra fu occupato da una coppia di vecchietti “a Santinn-a ed o Pellegrin” che vendevano frutta, verdura e, per ‘un citto’ ovvero un centesimo, deliziavano i bambini con  un reganisso o tiramolla, pescetto, sigarino e pipette dolci.

Solo nel 1998 l’edificio, preso in carico dallo IACP (poi divenuto “Arte”) fu totalmente ristrutturato con la spesa di 1,5 miliardi di lire; con momentaneo allontanamento dell’associazione (che è già rientrata, occupando un appartamentino piano terra munito di microterrazzo sul retro e di spiazzo auto davanti, con cancello autonomo) e con finalità di sei appartamenti per abitazione muniti di cantine,box o posto per auto (che sono usufruibili dall’inizio dell’anno 2000 ma  non ancora assegnati nel 2002. Tutto è stato eseguito in silenzio negli anni 2003-4) .

Non specificato da quando, l’edificio è sotto vincolo e tutela della Soprintendenza per i beni architettonici della Liguria.

===civ. 12: ex-villa Spinola; oggi scuola media statale San Pier d’Arena;

 

 

e 56Br  torre Spinola

la grande villa cinquecentesca con le caratterista genovese, descritta in via san Martino quando godette la migliore magnificenza e funzionalità. Nella carta vinzoniana appare appartenere al ‘magnifico Domenico Spinola’***

Nel periodo fine ottocento e metà 1900, ebbe un utilizzo solamente sociale, ospitando scuole, bagno pubblico, caserma.

Nel Pagano/1950, ma al civ. 14 (che ritengo errato), si segnala la presenza --di un istituto medio legalmente riconosciuto chiamato <Civica scuola professionale ‘A.Cairoli’>, e –di una scuola di avv.prof.femm. comunale Adelaide Cairoli. Nello stesso libro, si fa aprire nel retro, in via G.C.Abba,  lo Stabilimento Comunale bagni d’acqua dolce calda

Si deduce che da quando la strada aveva assunto il nome del partigiano, il deterioramento aveva assunto gradi di tale irreparabilità, che il Comune con l’assenso delle Belle Arti e di tutti i servizi adibiti alla conservazione dei beni culturali, addivennero alla conclusione dell’impossibilità del restauro e dell’utilizzo funzionale.

Fu distrutta nel 1963.

Sul suo sedime, è stata costruita (dall’ott.1963) l’attuale edificio scolastico che ospita la media statale (succursale della “Sampierdarena” di piazza del Monastero) ed il liceo scientifico (una delle succursale del E.Fermi di via Ulanowski).

Rimane la torre, inglobata nelle costruzioni affiancate, specie il civ. 7 di via D.Storace: lo spazio ricuperate all’interno quale una stanza è collegato ai vari appartamenti del palazzo e fa così parte di abitazioni private.

   Solo dal 1963 è giudicato immobile vincolato dalla Soprintendenza per i beni architettonici. E’ notabile solo per i robusti mensoloni che coronano l’apice e per la base che da robusta, si snellisce alzandosi. Esternamente è stata restaurata nel 2001-2 .

Il largo portone chiuso da saracinesca orizzontale della scuola, è seguito da un altro portoncino, senza civico.

===civv 14:   demolito nel 1955 ;  così anche il 14A nel 1963 ; il 14B nel 1964; 

===civ.56Er: finisce l’isolato e fa angolo, una sede della banca Carige

 

Via D.Gaetano Storace

===civ. 58r inizia il nuovo isolato: Nel 2007 è gelateria.

===civ. 16:   vecchissimo palazzo, già incluso nelle carte del 1757 e nel catasto napoleonico. Inizialmente era di due piani e portato a quattro nel 1929. Due negozi:

72r-74r sono sormontati da nicchia vuotata di una Madonna  ella quale rimane la base.

===civ. 18A:   assegnato a nuova costruzione nel 1957

===civ. 84r chiude la serie della casette con la precedente attività commerciale di ‘Argentoro’, nel 2007 rivendita di motocicli, la quale si prolungava verso ovest con una profonda rientranza chiusa da cancello e dove è il civ. 86r. In fondo alla rientranza c’è un muro trasversale che unisce via DGStorace con via Agnese e che faceva parte del muro di cinta di antica proprietà che –appare evidente- è stato sovrapposto per renderlo più alto -vedi Vinzoni-). Oggi separa tutto il complesso scolastico di via PReti, compresa la palestra, dal retro delle case affacciate su via CRolando

===civ. 88r: posto d’angolo, attualmente è un bar, ex latteria, possiede nel retro un giardinetto limitato dall’alto muro su descritto, con caratteristiche cinquecentesche. Nel muro spicca un ampio arco di mattoni messi in costa ‘sovraporta’ che corrisponderebbe ad una architettura protetta e vincolata –non se ne conosce il motivo- dalle Belle Arti dal 1934. In realtà, al di fuori di essa, non cè più nulla ed il negoziante sa nulla. Questo muro segna il limite di proprietà già nelle carte del Vinzoni.

  

muri vecchi e nuovi sovrapposti: dalle finestre del civ. 16 nero                          dietro al civ. 88r                       

===civ. 20:  fu eretto nel 1936. Questo  palazzo finisce col 100r per dare angolo ad una nuova rientranza di proprietà privata, divisa a metà e quindi accessibile con due affiancati cancelli (non cè la targhetta ma evidentemente sono il 102r e 104r). Il nuovo ed ultimo palazzo dell’isolato, non ha civici neri, inizia col 106r e finisce col 120r di un fioraio.

 

Via Battista Agnese – a metà strada passa la separazione tra la UU24-Campasso e quella UU-25 san Gaetano

===civ 122r inizia il nuovo isolato un grosso negozio di pelletterie, rimasto tristemente noto perché nel 2006 ci morì  dentro -improvvisamente di infarto- il proprietario. L’anno dopo è stato rilevato da cinesi.

===civ.20A fu eretto nel 1918, sempre dalla famiglia DeAndreis, già imprenditrice in via Cassini,  B.Agnese, Stennio ed altri numerosi edifici di SPdA  Come già detto all’inizio, corrisponde -su una carta del 1750- alla casa del mag.co sig. Ventura, munita di ricco possedimento terriero prolungato ad ovest e sud, sino quasi al Polcevera . Nel 1900 tutta la zona, il cuneo di terreno compreso tra tutta la parte nord di via B.Agnese sino a piazza Masnata era di proprietà di Horemberg;   poi degli eredi e dei DeAndreis, i quali in parte hanno ceduto a privati ed in parte  rimangono proprietari di numerosi appartamenti .

Un vuoto che contiene alcuni civici rossi ed il 20B, e che sul lato a mare continua con una stradina privata di collegamento con via P.Reti, separa il civ. 132r di abbigliamento,  

dal civ 150r primo del penultimo isolato.


===civ.22 è un palazzo rifatto, sfruttando un manufatto preesistente assai antico del quale rimane traccia per esempio nella presenza di finestre – ed anche quindi di soffittatura - più alte del piano nobile come era in uso nei palazzi sino all’ottocento; pare che più anticamente ancora (anni 1600-1700) vi fosse un deposito di riso.


Il palazzo, contenente il civ. 24, al civ 156r fa angolo con un vuoto intermedio civ. 158r occupato a giardino esterno del bar (un ‘pub’) che ha il civ. 160r; e finisce col 168r d’angolo con

 

Via S.Bertelli

 

L’ultimo isolato inizia con il civ. 170r, contiene l’ultimo civico nero, il 26;    finisce con il 178r che fa angolo con

 

Piazza N.Masnata

 

             ____________________________________________

                             CIVICI DISPARI (a levante)

 

via GB.Monti a partire dall’angolo con

 

===civv. dall’1 al 7,

 

  _    

civ. 1  e civ. 3

 

Già nella carta vinzoniana del 1757 appaiono tante casupole unite affiancate una all’altra, di due, tre piani al massimo e quindi di differente altezza ed ampiezza, ed appartenere a tanti singoli cittadini privati (vedi via san Martino).

Nei primi anni del 1900 si descrive a pianoterra essere quasi tutte adibite a stalle divenute proprietà della famiglia Ceserani; essi poi le fecero trasformare in case abitative. Dal 1992, molte sono divenute ereditariamente proprietà del medico Patrone.

Il portone del civ.1 penso sia uno delle più stretti della città non superando il metro di larghezza. Sopra il portale del civ. 3, in una nicchia, c’era una statuetta della Madonna che appariva abbastanza antica, ma decapitata. Nel restauro della facciata nel 2006 è stata tolta e, ad agosto 2007 non è ancora stata riposta.

===civ.1r da molti anni, ancora nel 2007 è un negozio che vende surgelati

===civ 3r negli anni 50 c’era un bar gestito da U.Rigoletto; unico nella zona con qualla qualifica quando gli altri erano ancora prevalentemente osterie

===civ.5r è occupato da una tabaccheria dalla felice posizione essendo in zona molto trafficata. Sino al 2006 è stata gestita dalla  famiglia Sciamà, divenendo un punto di riferimento per tutta la delegazione. Da quella data il testimone è stato passato alla sig.ra Fortunato che ha voluto chiamare il locale “Boteguita del Pilar”.

===Civ 7r: rosticceria, negli anni 50 gestita da Anna Veronese (ancor prima, dal padre), indimenticabile presidente anche di Progetto80.

   civ. 7 nel 2010

===civ.9: fa parte dello stesso isolato dei precedenti, ma si differenzia perché il portone non è sulla strada ma all’interno di una aia, ove è ospitato a piano terra e da tantissimi anni, un fioraio.

Ante 2ªguerra, vi abitava ed esercitava un famoso medico_ ,il cui nipote (negli anni 1985-2006) esercita come valente veterinario in via GBMonti.

===civ.17r: la cartoleria Berardi. Il nonno Giovanni scese a Genova nel 1906 aprendo una cartolibreria per conto della soc. Lattes in piazza FMarose. Nel 1915 si trasferì a SPd’A aprendo in proprio, al civ. 34r di via generale Cantore (via NDaste; vendeva timbri, stampati e cancelleria d’ufficio; nel 1933 è ancora reclamizzato in via NDaste, civ. 41-43 quale cartoleria legatoria). Dal 1936 si trasferì in via CRolando: ove è -nel 2006- da tra generazioni (Antonio e attualmente – ed ancora nel 2011 - GianLuigi).

===civ. 19r

Chiude il primo isolato, in angolo con un negozio che vende abiti, e che non ha numero: dovrebbe essere il 19A

 

via C.Dattilo

 

===civ 21r apre il secondo isolato un locale che nel 1971 era occupato da Borgese V; poi bar, reso famoso negli anni 1980-2000 ed oltre, da un barista Franco, famoso in zona per aperitivi e cocktail. L’esercizio, da ‘Franco’ è stato ceduto e  possiede in via Dattilo una veranda per tavolini.

Questo isolato ha il civico 11nero e finisce con il 27r.

 

 

 


Essendo la strada zona di mercato rionale all’aperto, la parte finale di essa, confinante con via Rolando, è spesso ‘invasa’ da venditori ambulanti – presumo regolari - specialmente di ortofrutticoli ed alimentari

 


 

Via Anzani

 

Il terzo isolato inizia con il 27Ar e finisce con il 33r; d’angolo c’è un portone 13A, recentemente ristrutturato e che per tanti anni ha ospitato nell’angusto vano una fioraia. Al civ. 29Ar era un negozio di Palli che faceva punto di riferimento per la qualità della merce (tessuti); al civ.31r era –negli anni 50 -l’osteria Lignana il cui figlio Giulio fu poi valente medico ‘della mutua’ (con studio in via Rolando- negli anni 1950-80) ed il nipote medico pediatra.

Via C.Rota

===L’isolato, dal civ. 35r arriva al 61r,  senza civici neri.

L’area di tutto questo quarto isolato (eretto –quello a mare in epoca anteguerra, quindi 1940 circa- quello a monte dve c’era la villa, nel 1960), era occupata da giardino a mare e villa Gio Giacomo Grimaldi,  a monte, descritta in via san Martino; nata tra il XVI e XVII secolo si apriva sulla strada principale: nella planimetria del 1757 apparteneva al ser.mo Gio Giacomo Grimaldi. Come visibile dalle carte, la casa era posta nell’angolo fra la attuale via s.G.Bosco e via Rolando, con entrata sulla via principale (ed altra a sud per dare accesso ad un non esteso giardino -che era ad L: con la parte lunga estesa su via Rota, e la parte corta nel levante della villa-). L’intera area fu infine comperata dall’imprenditore costruttore Capello Filippo (che praticamente costruì tutta via s.G.Bosco; ebbe cinque figli Vittorio, Giacomo (detto Giaggi), Mario, Domingo ed Adriano dei quali solo due seguirono le orme professionali). Nel 1939, anni prebellici, iniziò a costruire un palazzo,  dove -a mare dell’appezzamento- erano i giardini (nel cui piano terra all’inizio fu ospitata la ditta Morassutti ferramenta). Solo a fine guerra –facendo constatare il degrado, riuscì ad ottenere il permesso di demolizione dell’antica villa. Sul sedime seguì la costruzione dell’attuale caseggiato ad abitazioni che fu collegato –tramite terrazzo intermedio al primo piano- con quello eretto prima della guerra (quindi, a piano stradale, appare come un unico edificio. Gli eredi degli operai demolitori –che da piccoli giocavano nel piano terra della villa recintato da travi, e che nei bombardamenti si rifugiavano nei fondi nel primo palazzo vicino -d’angolo con via Rota, essendo di cemento armato- ricordano nella villa soffitti e pareti decorati (ben conservati ma spesso coperti di calce, nell’ingresso l’immagine di una tigre; nel grande salone soprastante, l’immagine di un terrazza dalla quale si affacciavano figure di giovani festanti); un caminetto in marmo lavorato, finito dal marmaio quasi dirimpettaio; alcuni fanciullescamente magici  oggetti tra cui uno scudo con le insegne della famiglia; delle serrature tra cui una complicata da antico meccamismo antifurto; dei legni intarsiati a foglia.

Negli anni ‘50, per prima di tutti, l’area d’angolo a mare fu occupata da Morassuti uno dei primi supermercati, che vendeva ferramenta ed utensilerie da falegnami e meccanici. Fu seguito dal ‘fai da te’ Basko. L’area a lato monte invece, dall’inizio anni ‘50 per lunghi anni fu occupata dalla UPIM

Oggi (2007) c’è d’angolo, dal 35r al 47r, c’è il supermercato Eskom; seguito verso monte da altri due grandi centri commerciali che risiedono sotto il terrazzo di stacco tra i due palazzi; i civv. 51r e 53r, nel 2007 occupati da negozio di abbigliamento, di cinesi; Dal 55r al 61r una volta c’era la UPIM  Anche su questo lato (come in via Rota), molte delle targhette con i civici sono state parzialmente divelte.

Via san G.Bosco

Tutti gli esercizi commerciali portano il civ. 61r, dalla A alla S (non tutti con la targhetta del numero: l’hanno solo l’A,C,E,H,I,L,M,N,O,R) .

Questi negozi nacquero  nel 2001 a seguito della decisione dei salesiani di aprire sulla strada tutti quei locali ed affittarli a privati (allo scopo fu abbattuto un basso muretto eretto ai limiti del marciapiede e sormontato da una cancellata): vani che per tanto tempo si aprivano solo all’interno dell’istituto sotto il porticato interno e, fino ad allora, adibiti alle varie attività artigianali usate come metodo di avviamento al lavoro dei giovani.

Questo quinto isolato inizia con il civ. 61Ar di una banca posta d’angolo. Seguono:

     

===civv.61Cr; la rilegatoria di don Bosco. È un ‘residuato’ delle antiche attività dell’Istituto salesiano mirate all’insegnamento ed avviamento al lavoro dei giovani legati all’istituto stesso; oggi (2005) è rilevata da un suo allievo che ne trae attività tipo libero-commerciale.

Al civ 61Er ha sede la farmacia San Gaetano. Aperta nel 1901, ha cambiato sede tre volte : l’inizio avvenne dopo notifica del prefetto del 2 lug.1902, a seguito di “istanza  per l’apertura …presentata dal sig. Alessandro Bottaro …voto favorevole della giunta municipale in seduta 22 ottobre 1901…riguardo alla grave distanza fra le farmacie  esistenti  ed al numero più che sufficiente degli abitanti…nella località indicata a sud della chiesa di S.Gaetano…in Sampierdarena via Generale Marabotto (via DG.Storace) civico n.5“. Il sig. Bottaro non era laureato ma solo diplomato in farmacia ed era iscritto al registro Esercenti Professioni Sanitarie (categ. Farmacisti). Non si hanno più notizie fino al 1933 quando l’esercizio era già stato trasferito in via A.Saffi, civ.54r (via C.Rolando), rilevato dal dott. Giovanni Martini (non esistendo ancora diffusa la rete telefonica, dava recapito ai medici dott. Vitaliano Colajacomo, Giuseppe DiFranco, Gari Alfredo; ancora nel 1965 la farmacia anche se non più di sua proprietà, in alcuni testi viene chiamata DeMartini). Da prima dell’ultimo conflitto, dal 1941 gestì la farmacia il dott. Lorenzo Basso ancora presente nell’albo dei farmacisti nel 1961; il cui nonno gestiva un laboratorio producente il famoso ‘Liquore Peristaltico’. A questi successe nella gestione la moglie dott.ssa Tirelli;  dall’ottobre 2001 la figlia dei due, dr.ssa Basso Paola che fece trasloco all’attuale civico posto di fronte al vecchio, della stessa strada.

===civ.63Rr la sede della cartoleria-libreria salesiana-editrice Elledici, aperta nell’agosto ma ufficialmente  inaugurata il 14 settembre 2001 dal card. Tettamanzi. E mail = genova@elledici.org.

L’isolato, anche se cambia edificio, continua con una porticina che conduce ai box sotto l’istituto, che non ha numero; col 67r che è un circolo-bar , e con il civ. 15n che è il portone dell’Istituto.

===civ. 67r il “Circolo s.Gaetano, PGS” (polisportiva giovanile salesiana= è una grossa organizzazione che ha sede a Roma e fa parte del Coni per molte attività applicate qui: nuoto, football, basket, ecc.. Gli uffici locali, sono dentro l’Istituto e controllano un alto numero di soci, i quali poi sono quelli che hanno diritto all’ingresso ed all’uso delle tre sale che costituiscono il Circolo: la prima –genericamente spoglia- con il bar e qualche gioco elettronico; la seconda con alcuni tavolini per il gioco a carte; la terza con ben quattro biliardi. Pur usufruendo dei locali dell’Istituto, il Circolo è abbastanza autonomo dall’attività dello stesso.


Importante la PGS basket donBosco, anche con settore per disabili in carrozzella. La sezione nacque a Genova nel 2005, passò l’anno dopo nella sezione cestistica del PGS, partecipando a campionati nazionali di serie A2 e B (attuale), giocando nella palestra Crocera. In seno alla polisportiva il gruppo handbike (bicicletta per handicappati) nella quale esercita l’iridato campione del mondo 2007 di specialità Vittorio Podestà, chiavarese.


Per ragioni a noi sconosciute – si dice per usufruire diversamente degli spazi – il circolo è stato chiuso nel 2010 dai salesiani.

===civ. 15

                                                 ISTITUTO don Bosco

È l’ingresso principale dell’ Istituto don Bosco (Miscio vuol precisare che il vero nome è sempre stato ed è “Ospizio san Vincenzo de’ Paolila società di san Vincenzo de’ Paoli –assieme alle Dame di Carità, femminile e con l’appoggio dell’arciv. d.Minoretti- permise a Genova di divenire il centro italiano non solo più antico, ma anche più fecondo e vivace nel campo dell’assistenza domiciliare, non limitandosi ad amministrare aiuti tradizionali, ma prestandosi come opera di patronato per assistenza religiosa, educativa, ricreativa. Tra i suoi affiliati numerosi erano i benestanti che potevano porre attenzione anche a problemi di più vasta portata come gli sfratti con favorire le case popolari, le assicurazioni obbligatorie, gli ospizi, ecc.                                                                                                                                         Vincenzo de’ Paoli  conosciuto quale ‘santo della carità’, nacque a Pouy in Guascogna il 24 aprile 1581. Sino a 15 anni fece il pastore (pecore e maiali), finché un avvocato del paese di Dax, accortosi della sua intelligenza pagò le spese in seminario per acculturarlo. In quattro anni seppe essere ordnato sacerdote. Nel 1605, dovendosi recare da Marsiglia a Narbona, fu catturato da pirati turchi e venduto schiavo a Tunisi. Fuggito, riuscì a tornare. Nel 1612 fu nominato parroco in una località presso Parigi. L’attività caritativa promossa in modo efficace ed organizzato, circondato da valenti collaboratrici suore, della sua congregazione ‘le Figlie della Carità’  (tra le quali una poi santa, Luida de Marillac) gli fece manovrare ingenti capitali (si diceva che ‘monsier Vincent’ avesse un bilancio più grosso di quello del ministro delle finanze). Nel 1617 a Chatiillon-les-Dombes fondò una altra congregazione de ‘Gruppi di volontariato vincenziano’, diviso in varie ‘opere’ rivolto a tutti i disperati, dalle prostitute ai galeotti, dai bimbi abbandonati  alle vittime della violenza (c’era la guerra dei 30anni) e pertanto chiamati ‘opera dei pazzi’, ‘opera dei trovatelli’, ‘opera delle minestre’. Ufficialmente le suore diventano ‘Dame della carità o serve dei poveri’; i suoi seguaci chierici regolari ‘padri vincenziani o lazzaristi’. Furono i precursori della moderna ‘Caritas’. Morì il 27 settembre 1660. È patrono dei carcerati, orfani, schiavi, volontari e delle opere di carità. Nel 1883 Emanuele Bailly e Federico Ozanam raccolsero il suo invito alla carità, fondando le ‘Conferenze di san Vincenzo de’ Paoli’.  

È quindi scorretto scrivere ‘il don Bosco’, ‘l’Istituto o Collegio salesiano di don Bosco’, ecc.). Infatti, per don Bosco,  punto centrale e focale non era la creazione di una parrocchia, ma dell’ospizio per i giovani, ovvero l’attuale istituto; cioè la creazione di un centro raccolta, di addestramento professionale ed oratorio,  capaci di sottrarre dalla strada e dall’abbandono i ragazzi, per formarli, fino a divenire o artigiani autonomi o operai specializzati (costituisce vanto per i salesiani non aver seguito la classica pista della solidarietà donando direttamente ai poveri ma sopratutto di aver voluto affrontare il problema alla radice forgiando in silenzio e senza menar meriti particolari innumerevoli operai capaci poi di inserirsi nel grande calderone del lavoro industriale, a livelli di maggiore capacità professionale e serietà morale; a fianco delle varie Associazioni che si adoperarono soprattutto per donare maggiore dignità ai più deboli. La successiva necessità di reggere anche la parrocchia, estese i limiti dello spirito salesiano iniziale, ma sempre privilegiando il lavoro come metodo di riscatto autonomo, come quando nel dopoguerra le grosse fonderie richiamarono dal sud una enorme massa di ‘foresti’). Questo richiedeva sia un efficiente apparato organizzativo, sia trovare lo spazio adatto allo scopo, cioè in primis poter avere una proprietà (e possibilmente ampliarla: questo spiega un po' il cosiddetto “male della pietra”, cioè il rapporto tra salesiani ed il mattone: una continua ricerca di trasformazione, attenti alle esigenze della gioventù dell’epoca in cui si vive, in modo da  offrire costantemente un ambiente adatto ad essa).

    Così  quando il 10 nov.1872  - provenienti a piedi da Marassi con le poche masserizie accumulate dal nulla - presero possesso oltre che della chiesa, anche dell’ex-convento (abbastanza grande , ma praticamente devastato da tutte le vicissitudini precedenti.  In tre piani con  sei stanze allineate, unite da un corridoio le cui finestre squinternate davano sul vecchio cimitero, al freddo, senza infissi e purtroppo anche senza coperte e senza pane sufficiente a mantenere tutti) don Albera con due chierici e tre capi laboratorio più un cuoco, istituirono -con i 40 ragazzi già ospiti-  l’Ospizio san Vincenzo de’ Paoli,  quale inizio dell’ idea salesiana verso i giovani.                  L’anno dopo, don Bosco tornò a dicembre -per la terza volta a San Pier d’Arena (ospitato in una cameretta ove ancor ora  una lapide ricorda “ in quest’umile stanza - il beato don Bosco - più volte soggiornò - alternando al breve riposo - l’assiduo lavoro - la fervida prece”)-, e poté comprare per 50mila lire l’antica villa già dei Teatini (proprietà che nel 1835 era stata tagliata per il cimitero) , ottenendo così un cortile interno più comodo ed adeguato, per i suoi già 70 ospiti.   

Nel 1874, per volere di don Bosco, l’istituto divenne centro di raccolta dei volontari  missionari in partenza per i diversi continenti , in particolare la Patagonia ; il primo drappello di dieci salesiani si imbarcò sul “Savoie” il 14 nov.1875 , dando così l’aspetto cosmopolita e centro di carità umanitaria e di giustizia sociale per tutte le categorie di uomini , che ancor oggi si vanta possedere .

 

  

classico disegno riproducente il complesso, come        e come appare ai tempi odierni – foto 2004                                                                            lo trovò don Bosco nel 1872

 planimetria del 1872

Confina in basso con via san Martino; a sin con il march. Pareto (oggi via Ulanowski), ed a mare con Demarchi Gerolamo. Al centro la chiesa col piazzale davanti; alla sua sin., il cimitero (funzionale sino al 1878). In alto a destra -con colonnato ed accesso da via s.Martino- proprietà dell’Ospizio ma il terreno rettangolare sopra l’abside (e forse anche sopra il cimitero) appare del Comune

    Nel 1875 (pontefice e benefattore  Pio IX, re Vittorio Emanuele II, sindaco Luigi Balleydier, vescovo e benefattore mons. Salvatore Magnasco , arciprete di san Pier d’Arena don Stefano Daneri e direttore dell’istituto sempre don Albera) fu posta la prima pietra (nel cui interno fu cementata una medaglia papale, alcune monete del re, e carte varie con i nomi dei benefattori) per ampliare l’istituto verso il mare  rispetto la chiesa , secondo il progetto dell’ing. sig. Emanuele Campanella; il lungo edificio esteso lungo la strada principale è stato a lungo atto ad ospitare nel piano terra i vari laboratori di sartoria, calzoleria, legatoria aperti solo all’interno;  ed ora (anno 2002) una fila di decorosi negozi aperti sulla strada; nonché nei piani superiori le camerette dei sacerdoti e degli alunni ospiti (in parte studenti, in parte artigiani) ed aule di scuola. L’edificio fu progettato in forma semplice, con due portoni bugnati (civ.15) aprentesi in via san Martino (via Carlo Rolando), a 4 piani e con tetto a cupola.           

    L’anno dopo, con 180 ospiti,  fu eretto il porticato interno a terrazzo ed un nuovo edificio scolastico, ampliando i servizi con la scuola di fabbri, meccanici, falegnami, scultori, tipografi  e stampatori.

   La mente vulcanica di don Bosco fece nascere con gli adulti presenti varie associazioni con scopi diversi : “Opera dei figli di Maria”, anch’essa fucina di nuovi sacerdoti: così uniti, essi studiavano e nel tempo libero facevano i lavori domestici, catechismo ed assistenza nell’Oratorio; l’ “Opera di Maria Ausiliatrice”; l’ “Opera dei salesiani Missionari” inviati al seguito dei mille e mille emigranti che proprio da Genova salpano per l’America del sud;  la “Conferenza di san Gaetano” per l’assistenza alle famiglie povere; nonché il Bollettino salesiano stampato nella tipografia sampierdarenese dal settembre 1877 (il primo edito –col titolo ‘Bibliofilo cattolico, Bollettino salesiano mensuale’ fu il n. 6 di quell’anno (anticipato da un numero di saggio), continuando la numerazione torinese; il direttore anche se non scritto era don Bosco, importante per poter esprimere le proprie idee -si scrive, fuori portata dai controlli dei superiori torinesi-; in realtà anche se edito a SPd’Arena la direzione restò sempre a Torino ove era stato fondato nel 1875).

  Tesse la serie di sue  amicizie, che sfruttò a beneficio della sua Opera (non solo donazioni immediate, ma anche trasporti ferroviari di materiale, calce dalle fornaci di Sestri, l’interesse professionale gratuito dell’architetto ing.Campanella). Un bonario rivoluzionario, un trapano rompiscatole inarrestabile ed altrettanto caparbio quanto però pieno di mistica fede e fiducia e serenità.

   Nel 1878 alla visita a San Pier d’Arena del re UmbertoI succeduto a V.Emanuele II, è invitata a suonare la banda musicale dell’isituto, per molti anni a seguire vanto delle varie attività, istruita dal maestro Raffaele Noceti.

   Nel 1879 ci sono nell’Ospizio ben 32 sacerdoti, si gestiscono i laboratori dei sarti, calzolai, falegnami, scultori, tipografi, stampatori, rilegatori, fabbri e meccanici, nonché le 4 classi della scuola superiore ginnasiale per studenti esterni, più tre per gli iscritti nei ‘Figli di Maria’ e le elementari.

+++ L’allargamento territoriale continuò progressivamente :

+il 3 feb.1887 (venti giorni dopo avvenne il terribile terremoto che sconvolse la Liguria di ponente) venne compresa un’area facente parte del cimitero affiancato ; 

+ l’11 lug.1888 viene acquistato per 50mila lire il terreno adiacente a sud-est proprietà della marchesa Teresa Durazzo Pallavicini  (presenti -davanti al notaio G.Antonio Bardazza- la marchesa, il marito (cieco) , don Rocca e due testimoni DeAmicis-Marenco ; questo terreno era separato dalla proprietà da un viottolo (vico dei Landi) che però non poté  essere venduto perché  di proprietà  dei Montano che volevano il passaggio : si dovette quindi costruire un ponte, al fine di passare tra i due cortili;  questa situazione durò fino al magg.1896 quando in accordo col Comune, in reciproci scambi, il vicolo poté essere inglobato nell’istituto. A levante della proprietà era la VILLA DURAZZO PALLAVICINI, detta anche Palazzo Bianco(vedi in via s.Martino) con piazzale antistante curato a giardino, e con ampio terreno a orto tagliato centralmente da un viale che arrivava sino alla via san Martino con cancello attorniato da due casette (una delle quali diverrà l’asilo) .

   Pare che all’atto dell’acquisto, la villa fosse occupata oltre che da don Figoli, anche da una delle numerose industrie tessili, abbastanza fiorente ancora nel 1860: molto probabilmente quella intestata a Luigi Testori. L’azienda sfrattata dai salesiani, si trasferì nel ponente genovese.

   Tutta questa nuova area, permetterà la creazione degli Oratori (femminile e maschile; e quest’ultimo troverà ingresso in via san Giovanni Bosco).

+nel 1894  istituto e chiesa (e le case attorno) sono tra i primi in città ad essere illuminati con luce elettrica

+nel 1895 l’istituto, assai fiorente, ospita  ben 43 religiosi (17 sacerdoti-16 laici- 9 chierici aspiranti al sacerdozio-1 diacono), 140 artigiani (ragazzi fino a 18 anni, orfani o da famiglie disagiate: erano paganti una retta mensile. Sono distribuiti nei vari laboratori : musici con la banda; tipografi, stampatori, legatori, sarti, falegnami, calzolai, fabbri ferrai. Non c’erano i sindacati allora, la vita lavorativa era dura, con pochi intervalli e senza distrazioni, dalla tenera età alla vecchiaia, per molte ore e sotto il continuo controllo di un dirigente –spesso un esterno- e –nell’istituto- dei chierici),  e  160 studenti (le elementari, ed una quinta ginnasiale privata). Più un gruppo (20-30), i ”Figli di Maria”,  ultraventenni (che aspirano alla vita sacerdotale e che fanno corsi accelerati separatamente).

 

 

 incisione di fine 1800; chiesa del 1875, campanile    la proprietà nel 1890 con a sin la proprietà                     

del 1885, palazzo completato 1897; all’estrema          Pareto che ha acquistato un viale di accesso

destra  la villa Bianca Pallavicini e sopra l’ombra       In alto (est) proprietà DurazzoPallavicini; a

di s.Benigno.                                                                 destra nuova strada per accedere in alto. Già

                                                                                     acquistata la villa Bianca (nera a dx) e orti

 

                                                                                   

+il 19 ott.1903 l’Ospizio (allora gestito da don Bussi), dal notaio Perroni, cede al Comune -senza compenso- un tratto di territorio a sud, necessario sia per allargare a 10 m di larghezza la  via don Bosco, confinante con la proprietà Cristofoli (poi Rebora-vedova Cristofoli, poi sig.ra Garibaldi), sia per aprire via P.Cristofoli a monte dell’istituto. Questa operazione permise al Comune anche lo spostamento di un ramo dell’acquedotto che passava proprio sotto il vico del Landi.

In questo periodo, ci sono 15 sacerdoti, 50 coadiutori(a significato di una buona richiesta di lavoro artigianale), 9 chierici, 150 studenti, 120 artigiani.

 +il 22 sett. 1904, acquistano il terreno cimiteriale  a fianco dell’istituto  con clausole espresse in un atto lungo e dettagliato (vedi sotto, a Tempietto). In questo anno i salesiani sono 41 (11 sacerdoti, 19 coadiutori, 2 suddiaconi vicini al sacerdozio, 1 diacono, 8 chierici).

 +nel 1906 nasce come supplemento al Bollettino salesiano, l’opuscolo parrocchiale chiamato “ l’eco di don Bosco”. In quest’anno avvenne l’unico episodio di violenza esterna contro l’opera di don Bosco: prendendo lo spunto da accuse di pedofilia da parte di un salesiano, scattò un vero e proprio assalto contro l’istituto, con sassaiole, insulti, minacce di incendio ed altre espressioni di odio e violenza. L’accusa era una vero e proprio scandalo, e solo dopo processo fu dimostrata calunniosa. Probabile l’invidia per una attività lavorativa in espansione e funzionale; oppure l’avversione contro istituzioni non gestite da forze anticlericali (estremisti massoni ed anarchici: erano anni in cui piazze e strade venivano titolate a personaggi di queste espressioni politiche); come altrettanto possibile che (Miscio non lo dice) nel paniere ci fosse qualche mortificante mela marcia (il mondo di oggi, anno 2002, vede il Papa nel lanciare anatemi contro sacerdoti affetti  da questa deviazione sessuale aberrante; e malgrado siamo un bel po’ più aperti nella cultura ed educazione sessuale, sembra che questa malefica pianta non solo non sia stata ancora divelta ma  anzi forse è  in espansione con l’uso anonimo di internet).

 +nel 1907 vengono espropriati (Miscio scrive: nel 1902, e ‘per cessione amichevole’ per 22 lire/mq in totale lire 32.000) -per causa di pubblica necessità- circa 10mila mq di terreno posto a nord est: perché sarà attraversato dalla ferrovia che dal porto condurrà al parco ferroviario del Campasso. La società Strade Ferrate del Mediterraneo (con sede a Milano) eseguì i lavori di taglio e trincea dei binari fuori della galleria. Di questo terreno, già usato ad orto seminato e frutteto e così rimasto  tagliato in due, la parte più ad est (confinante con la proprietà eredi Moro GB e marchesa Teresa Durazzo Pallavicini) nel 1914 venne venduta (3500 mq) alla Società Cooperativa Costruzione per la costruzione delle case ad uso abitativo di via Cristofoli.

 + nel 1908 lente ma progressive sono anche le migliorie interne: si proietta il primo film in una sala adattata a cinematografo;  meglio si strutturano  i cortili protetti (miranti alla creazione di aree distinte di ricreazione: per gli interni, per le ragazze e per gli oratoriani; nonché aree specifiche per formazione professionale (aule, laboratori, tipografia) e per servizi (refettori, dormitori, lavanderia, biblioteca, palestra , magazzini, ecc.)).

*Nel 1909 l’Ospizio si aprì ai terremotati di Messina ed il 9 maggio nacque il Circolo giovanile maschile don Bosco, interno  agli allievi dell’istituto e pilastro dell’Oratorio.

*Nel 1910 si impianta il telefono. Nel 1911 si inaugura l’impianto di illuminazione elettrica centralizzato.

 +Nel 1925, presente il cardinale mons. Dalmazio Minoretti –da febbraio incaricato arcivescovo della città di Genova, proveniente da Crema- il 21 giugno fu posta la prima pietra del palazzo detto ‘degli studenti’, eretto lungo il fianco a mare della chiesa, febbrilmente voluto dal direttore don Tommaso Kopa, ed inaugurato due anni dopo dallo stesso cardinale ed il podestà di Genova Broccardi il 12 giugno (una pergamena scritta in gotico medievali miniato firmata dai dirigenti comunali, dal direttore e dai parroci, medaglie sacre e monete; il tutto sigillato in un astuccio e poi murato nell’incavo della pietra angolare chiusa dall’arcivescovo con una piastra e cemento; il testo della pergamena recita: “in nomine Domini. Amen. Anno iubilari MCMXXV ad Ioannis Bosco obitu, orphanorum Patris, XXXVII a.d. XI Kalendas Iulias, Pio XI Pontefice Maximo, Victorio Emanuele III regnante; Rinaldi Philippo Piam Salesianorum benedicente, Ludovico Costa inspectore, Rectore Thoma Kopa novi aedificii angularem lapidem superiores alunni cooperatores asceterii, Divo Vincentio Dicati exultantes Sancti Petri Aurenarii ad Sancti Caietani, posuerunt, ad maiorem Dei gloriam et Mariae”.   L’Istituto era ormai arrivato alla saturazione occupazionale e necessitava non solo aumentare la capacità recettiva, ma adattare alle nuove esigenze le mura e gli ambienti esistenti divenuti obsoleti; già nel 1921 la ditta Giuseppe Stura e figli aveva posto un preventivo di poco meno di un milione di lire di allora per realizzare un progetto  stilato dall’ing.Giulio Valotti, architetto della Pia Società comprendente per i salesiani, oltre lo scalone,  di refettorio, cucine, lavanderia, infermeria, scuole e dormitori; per le suore cappella e saloni dell’oratorio: famosi nell’ambiente i salti mortali  del successore di don Bosco per avere la cifra iniziale da incominciare).  Sono anni in cui alle 22mila anime incluse nella parrocchia (don Virginio Raschio, con 3 proparroci); l’Ospizio conta 40 salesiani, 20 suore, 300 tra studenti ed artigiani; l’Oratorio ha 350 ragazzi iscritti ed è aperto a tutti.

Fu in quest’anno, per opera di don Raschio, aiutato da don Traverso delle Franzoniane, che si ottenne da parte dei sacerdoti di poter insegnare la religione nelle scuole di SanPierd’Arena.

Si nota che la preoccupazione prevalente fu sia quella di organizzare incontri degli ex allievi e sia tenere i dovuti rapporti con le autorità locali al fine di poter collocare al meglio i propri giovani.

 +Nel 1929, il 2 giugno don Bosco venne beatificato dopo 46 anni dalla sua morte. Due anni (IX dell’EF) dopo le scuole tecnico-professionali dell’Istituto (falegnami, fabbri, tipografi compositori e macchinisti, litografi, legatori, sarti, calzolai), -prime in Italia- armonizzando i programmi di studio con quelli governativi,  sono parificate con quelle statali e ne vengono riconosciuti i titoli scolastici. La figura di don Bosco divenne una delle più celebrate anche fuori dell’ambiente locale.

 +Nell’ago.1935 iniziarono i lavori di erezione dell’edificio sede delle scuole professionali con porticato interno, ed angolo esterno -tra le due strade- smussato in previsione di una grande statua del Fondatore, che non fu però mai ordinata (l’edificio è alto 15m, ha un perimetro di 170m, copre 2300mq. Sarebbe servito, su via Mazzucco  per i tipografi, e legatori al piano terra; sartoria, calzoleria più tre saloni per studiare al 1° piano, dormitori e salone al 2° piano. Su via don Bosco i fabbro-meccanici a piano terra, falegnami al 1° piano, 7 aule scolastiche ed altre per studio e disegni al 2° piano); eretto con un contributo di 150mila lire del Comune (podestà Carlo Bombrini, costruttori il solito ing. Stura Virgilio poi Stura & figli (Virgilio e Pietro) vincitori della gara d’appalto con una spesa preventivata di lire 1.214mila, su progetto dell’ing. Valotti Giulio) lungo via A.Saffi (l’anno dopo diverrà via E. Mazzucco, oggi via C.Rolando; da cui rimase a lungo separato da una cancellata; fu bocciato il progetto iniziale del direttore don Kopa  di aprirvi dei negozi, per non dare adito a speculazioni contrarie allo spirito del Fondatore secondo il quale gestire immobili redditizi è offesa alla Divina Provvidenza; ma, cambiati i tempi il progetto fu ripreso nel 2001 da don Alberto Lorenzelli ed applicato), e proseguito in via don Bosco (abbattendo dapprima i precedenti fabbricati ove per oltre 50 anni erano ospitati i vecchi laboratori ed il vecchio teatro –localizzato dove ora è l’ingresso carrabile di via s.G.Bosco). Si voleva raddoppiare il numero dei ragazzi di allora: 50 falegnami, 50 fabbri, 25 scultori, 50 tipografi (impressori (sic) e compositori), 25 legatori, 25 calzolai, 25 sarti, 25 elettrotecnici; più 200 studenti. Mussolini stesso autorizzò a novembre il proseguo dei lavori dopo il divieto dato -in seguito alle Sanzioni- a qualsiasi erezione edilizia. Fu completata nel giugno 1937. In quest’ultimo anno, si ristruttura un antico spazio, già adibito a teatro e cine ed andato a fuoco nel 1927 (e dopo usato come deposito e laboratorio dei falegnami).

 +Nel 1938, le scuole salesiane (ginnasio (inferiore oggi scuole medie- e superiore; non c’erano i licei), avviamento professionale, tecnica industriale) vengono tutte parificate con quelle regie governative

+Nel bombardamento navale di domenica 9 febb.1941 da parte dell’amm.inglese Sommerville, il primo su Genova che ebbe 144 morti, alle otto del mattino ben 5 bombe cadono sull’istituto (uno nel cortile delle suore) e distruggono murature e tetti vari: sul palazzo prospiciente via A.Saffi con l’ingresso principale, ove erano le cosiddette ‘camerata degli Angeli custodi’ e quella ‘san Luigi’ dell’ultimo piano; verrà definitivamente demolito il tetto a padiglione (nella ricostruzione del 1948 verrà sostituito dalla ditta Stura con un tetto a terrazza); altri 2 colpi cadono sulla cappella dove un quarto d’ora prima erano radunati a messa i ragazzi.

Miravano all’Ansaldo ovviamente, dove già per la guerra di invasione in Etiopia e per quella spagnola, venivano fabbricate le armi, compresi i gracili e perforabili carri armati.

+ In quello del 30 ottobre 1943, quando fu colpita la chiesa di san Gaetano, l’istituto era pieno di ragazzi e sacerdoti rimasti illesi perché fuggiti a ripararsi nella galleria dei Landi; mentre furono danneggiati degli uffici, le cappelle degli interni e quella della meditazione, il porticato.

 +nel bombardamento di domenica 4 giugno 1944, il più tremendo nel tentativo di distruggere la zona ferroviaria e durato dalle 9,30 alle 13; ben sette bombe caddero nel recinto dell’istituto (2 in quello delle suore), senza apportare gravi ed irreparabili danni. Più vittime umane seminerà il tifo, che invase la città subito dopo.

+nel 1965 venne demolita la villa Bianca (Grimaldi Pallavicino), divenuta fatiscente e giudicata architettonicamente irrecuperabile; fu sostituita da un moderno e più funzionale palazzo (anche don Miscio, in genere enfatico nel descrivere le varie operazioni dei salesiani, conviene  che la villa fu  ”squallidamente distrutta negli anni sessanta del secolo passato senza che qualcuno intervenisse a frenare lo scempio” e poco dopo, scrivendo delle varie e numerose ville parimenti demolite in città, giudica “Parve necessità e fu solo sterminio insensato”).

 +Nel 1952 erano in attività di apprendimento 150 meccanici, 50 tipografi, 30 sarti, 80 falegnami, 20 legatori, 18 calzolai con al termine licenza di avviamento o di scuola tecnica industriale legalmente riconosciuta.

 +Nel 1955 cessa la sua attività la banda musicale, non si sa perché.

Viene benedetta la grossa statua di altezza d’uomo normale, della Madonna che regge in braccio Gesù, collocata su una mensola a metà di una torre, donata dalla si.ga Parodi Angela in memoria del marito e del figlio –ambedue farmacisti- morti l’anno precedente.

 +Nel 1957 viene distrutto il vecchio teatro (Miscio-vol.I-foto)

 +Nel 1960 il numero degli apprendisti era similare a quello del 1952 sommandosi a 313 ragazzi. 330 gli studenti (la cui maggioranza è esterna, gli interni stanno scomparendo).  In quegli anni si da il via ad un laboratorio di Elettromeccanica, che da 50 unità ben presto salì a 80, suddivisi in tre corsi; in compenso a breve scomparvero i calzolai i sarti e le due classi di avviamento; era già scomparso il ginnasio; la riforma scolastica del 1962  introduce la scuola media unica e darà nome all’Istituto tecnico industriale per periti elettrotecnici, con circa 230 iscritti.  Diventano bi e triennali i corsi di qualificazione per meccanici aggiustatori, tornitori, disegnatori meccanici, elettromeccanici, tipografi, compositori e linotipisti, impressori e rilegatori, falegnami.

 +Nel 1971 - tra le migliaia di iniziative che sono state prese da questi preti solerti, c’è anche la COSPES fondata da don Cian Luciano, psicologo (nato a Trebaseleghe nel 1939 dopo i voti e la laurea in psicologia alla Univ.Pontificia Salesiana di Roma, venne trasferito nel 1971 a SPdA dove fondò questo ‘centro psicopedagogico’, unico in città e per vent’anni, per l’orientamento professionale dei giovani al lavoro nel quale si adottò un metodo da lui studiato e poi espresso in un volume dal titolo “Cammino verso la maturità e l’armonia”, affiancando intensa attività di counseling con i parrocchiani tutti. Un secondo libro, “La relazione di aiuto” uscirà postumo perché il sacerdote andò soggetto a trapianto di fegato a Parigi nel 1993, che però non diede alcuna speranza di sopravvivenza).

 foto 1980

 +Nel 1993 si diede il via alla grossa operazione che sconvolse i cortili interni: su progetto dell’arch. Giovanni Pellegrino, si produssero nell’area due piani interrati, adibiti a box per auto, sul cui tetto, a piano terra i cortili risultarono livellati (mentre prima quello degli studenti interni era su due piani). Fu eretta una palazzina nuova, d’angolo sud-est del cortile, finalizzata a competizioni sportive anche con carattere agonistico e di campionato , creando un grosso complesso sportivo che prende il nome di Palasport don Bosco;  nel nov.1999 è stato inaugurato il Palagym, un miglioramento del centro sportivo con la finalità del benessere fisico, della socializzazione, dell’aggregazione specie dei giovani che possono usufruire anche del “centro ascolto - punto giovani” capace di rispondere attraverso esperti agli interrogativi dei giovani d’oggi.

Da don Albera Paolo, primo direttore nel 1871, si sono succeduti 31 direttori; di essi ricordiamo gli ultimi due : don Riccardo DeGrandis e don Alberto Lorenzelli (quest’ultimo, attivissimo sacerdote propugnatore di innumerevoli iniziative che vanno dalla distribuzione del bollettino ‘L’eco di don Bosco’ alla presenza in Internet (www.paladonbosco.it), alle scuole di formazione chiamate ‘porta aperta’, ai dibattiti pubblici su temi sociali (disarmo, religione, violenza sociale), al raduno mondiale degli istruttori di ‘fitness’ (attività fisica di palestra, abbinante musica e sport)).  Sue grosse iniziative risultano il PaladB, il Liceo scientifico-sportivo, il Cnos (=centro naz. opere salesiane).

Nel gen.feb/2001 ricorre il 130° anno dall’arrivo di donBosco a SPdA (e 125 dalle prime missioni all’estero). Allo scopo, don Lorenzelli ed il parroco don José DeGrandis iniziano una serie di avvenimenti a festeggiamento

Nel maggio l’istituto fu dapprima promosso da una commissione comunale  solo per il ‘centro estivo’ (più di 4mila persone coinvolte nel programma “estate del don Bosco”, tra i campi vacanza a Torriglia e LaVisaille, vacanze studio in Inghilterra ed Irlanda, ritiri sportivi, l’Oratorio (a sua volta con giochi, gite, escursioni,ricupero scolastico), ma giudicato ’privo di requisiti’ per poter essere incluso negli altri ‘progetti educativi di aggregazione’ tra i giovani (l’approvazione era basata su valutazione dei progetti per affrontare i bisogni dei quartieri; per Sampierdarena  (ormai ‘centro ovest’) i bandi di concorso richiedevano per questi ‘laboratori educativi territoriali’  una ludoteca, un ludobus, dei centri estivi, e dei punti prescuola,  aggregativi e polivalenti (=associazioni di volontariato per favorire l’integrazione culturale tra bambini di diversa nazionalità o disabili). Naturalmente fu polemica).

Nel 2003 propose un Convegno internazionale di tre giorni  sul tema ‘disagio dei giovani in Europa’).  E’ sede del “Centro di orientamento scolastico professionale e sociale” con consulenza psico-pedagocica- relazioni di aiuto- corsi di formazione- biblioteca psico pedagogica”.

Nello stesso anno fu inaugurata nel punto più a sud-ovest del secondo piano, la restaurazione della “Cappella del Giubileo” (realizzata per volere della famiglia del direttore Lorenzelli; progettata dall’arch. Vincenzo Passarello; arricchita con opere dello scultore Silvano Rustici, della pittrice Greta Cencetti e dell’ intarsiatore Modesto Pintarelli salesiano). Arriva ad ottobre (proveniente da altre case toscane di Li, Pi, Fi) il terzo successore, don Sergio Nuccitelli. (nato a Borgorese, Rieti,  il 19 giu.1946) prorpio in tempo per inaugurare il CFP (=centro formaz. Profess.) per chi ha abbandonato gli studi.

Recentemente ha ospitato una scuola elementare e media (parificate) e di avviamento professionale addestramento e qualificazione arti e mestieri: 780 ragazzi circa. Ancora nell’anno scolastico 2002-3 ci sono: il liceo scientifico (legalmente riconosciuto, con indirizzo ordinario ed anche sperimentale sportivo) e l’istituto tecnico industriale con diploma finale di perito tecnico in elettronica e telecomunicazioni. 

Nel 2005 (ed ancora nel 2007) si reclamizzano l’ ITI (ovvero Istituto tecnico Industriale. Darà diritto ad un diploma, o di perito t.i., oppure di perito nel settore per l’elettronica e telecomunicazioni. Da tempo realizzati, sono tenuti in grande considerazione per i risultati ottenuti nella preparazione nel campo, con la contesa finale dei migliori da parte delle aziende locali); il Liceo Scientifico (anch’esso orientato verso una più approfondita conoscenza delle lingue estere ed all’informatica) e -con indirizzo sperimentale- il Liceo Scientifico Sportivo (di cui si parla in via sGBosco).

    Sulla strada, oltre il portone di ingresso principale, nel palazzotto è ospitato solo il bar. La lunga ala estesa a mare sulla via è stata nel 2001 ampiamente modificata: eliminata la cancellata di separazione, sono stati aperti all’esterno i vasti locali (essendo essi a piano rialzato rispetto il livello stradale, è stato necessario collegare il vecchio marciapiede col nuovo tramite alcuni scalini) ospitanti la libreria salesiana e vari negozi tra cui una farmacia la libreria e la legatoria. All’interno c’è l’oratorio ***

 

===civ 15a:                la Chiesa  

STORIA   :  La prima chiesa:  a) san Giovanni Battista decollato fu eretta come  privata nel 1597, per volontà del marchese GB. Di Negro, figlio di Vincenzo. Patrizio genovese, deceduto senza prole, aveva stilato un testamento il 15 mar.1572 dal notaio Stefano Carderina  (lasciava alle due sorelle una cospicua somma in denaro ed oro, da 17mila,  fino a 25mila scudi d’oro, affinché esse costruissero una chiesa in onore del santo suo omonimo, con annesso un convento per 12 religiosi di cui almeno 4 fossero sacerdoti, da mantenersi con i frutti di un capitale da 3 a 11mila scudi d’oro;  e col diritto per gli eredi delle sorelle di essere Patroni dell’opera  purché mantenessero i 4 preti in officio (jus patronato).

   Per questo il primo nome della chiesa fu “san Giovanni Battista decollato”. Il santo era particolarmente onorato a Genova con cerimonie religiose (nel medioevo una chiesa più valeva più custodiva reliquie di un santo importante (vedi s.Agostino a Pavia), così i genovesi erano andati nella Licia per impossessarsi dei resti di san Nicola ma erano stati preceduti dai baresi. Trovarono invece quelle di san GB e, rallegrati le portarono a Genova. La leggenda narra che nel trasporto,  divise le reliquie per le varie navi onde evitare che un naufragio disperdesse tutto, il mare fu tanto procelloso finché esse non furono riunite: da allora sono portate accompagnate dall’arcivescovo  in processione per benedire il mare; così in san Lorenzo le sue reliquie giunsero a noi alla prima crociata e furono riconosciute autentiche da papa Gelasio II nel 1118) e pagane (le cataste da fuochi sono le più diffuse si collegano a tradizioni ancora pagane o simboliche -tra tutte le streghe-;  seguono le varie credenze: i panni dei bimbi benedetti con la rugiada di quel giorno, le ciliegie che dal giorno dopo ospiteranno il giacomino o baciccin, l’aglio raccolto chè non si sarebbe conservato, il piatto di lumache da mangiare in quel giorno. Cento altre furono le superstizioni e credenze che attecchirono nel popolino e che non tutte meritano essere ricordate).

    La erigenda chiesa aveva carattere privato, della famiglia DiNegro; essendo parrocchia unica nel borgo l’abbazia di san Martino posta  trecento metri più a nord di essa.

     La sorella Lucchinetta -sposata Cristoforo Centurione-, rimise alla sorella l’onere dell’incarico. Giulia -sposata al marchese Nicolò Pallavicino- provvide ad  acquistare  (da Francesco Conchiglia, per 4mila scudi d’oro) un terreno in località Palmetta, con villa annessa. A questo punto però, un rovescio economico costrinse  Giulia a chiedere direttamente al Papa una deroga all’impegno, col fine di lasciare una dote  di 8mila scudi alle tre figlie in atto di maritarsi: il papa Clemente VIII, il 26 apr.1594 accettò la supplica decidendo con una breve sia che la cifra  fosse rimessa quanto prima in altre mani affinché si  provvedesse con 10mila scudi alla costruzione della chiesa al più presto; sia che da 3 fino a 11mila scudi,  fossero impiegati a Roma, con i frutti dei quali si mantenessero i religiosi e procurassero gli arredi; sia infine decideva fosse assegnata ai padri Teatini di san Siro in Genova, riducendo il numero di sacerdoti imposto dal testamento: la metà d’estate  e due d’inverno.  

Cofondatore e giureconsulto dei Teatini fu Gaetano Porto, da Thiene (vicino a Vicenza, 1480-1547). Ebbe questo nome in onore di uno zio insegnante all’università di Padova e nato a Gaeta. A 24 anni a Padova si laureò in diritto ecclesiastico e civile, ma scelse mantenere lo stato laico anche quando nel 1506 fu chiamato a Roma a fare da segretario a papa Giulio II.  Solo dieci anni dopo fu ordinato sacerdote in SantaMariaMaggiore. Si descrive di carattere concreto e scrupoloso verso i poveri, schivo dalle polemiche di una simile missione, ed anche giornalmente dedito al servizio in ospedale verso gli infermi. A Venezia favorì l’erezione dell’ospedale degli Incurabili. Il 14 sett.1525 diede vita a Roma ad una congregazione di preti detti chierici regolari (che debbono vivere di elemosina e la cui regola  prevede come scopo l’istruzione, l’assistenza ai malati, la difesa della fede); il popolo  li chiamò Teatini (perché, collaboratore primo dell’idea,  fu il principe GianPietro Carafa, poi divenuto papa Paolo IV  allora arcivescovo di Teate,  antico nome latino di Chieti). Trasferitosi  a Napoli, nel 1539 diede vita ad un Monte di Pietà (dal quale nacque poi il Banco di Napoli); in conseguenza del quale e per la sua carità, ebbe anche appellativo di “Padre della Provvidenza”. Morì a Napoli il 7 ago 1547.

   Quando papa Clemente X, nel 1675 canonizzò il loro fondatore, a san Pier d’Arena essi dedicarono la chiesa anche a san Gaetano. Il culto speciale che essi professarono al loro fondatore, fu motivo per cui popolarmente la chiesa venisse chiamata  san Gaetano più che san Giovanni Battista, Il santo è venerato anche nella parrocchia rurale di Isoverde, ed invocato quando si confida nella Divina Provvidenza. È patrono della Baviera, ed è celebrato il 7 agosto

    b) i Teatini,  ovvero da san Giovanni a san Gaetano

L’anno dopo, il marchese Cristoforo Centurione -marito di Lucchinetta- che si era sobbarcato l’incarico testamentario, versò al Superiore dei Teatini la somma e gli atti del terreno acquistato cosicché dal marzo 1595 al97 sorse la chiesa, dedicata come da testamento a san Giovanni Battista Decollato, sul modello della chiesa di san Siro a Genova, lunga m.40 (25,5 di navata e 14,5 di presbiterio) e larga 23 , a croce latina, con tre navate divise da due file di  colonne, e  nell’interno -sull’arco centrale, lo stemma del fondatore con la scritta “IOANNES BAPTISTA DE-NIGRO VINCENTII FIL. ANNO MDXCVII” ;

e sopra la porta al centro, fu apposto un grosso marmo con  scritto :

“DIVO JOANNI BAPTISTAE CHRISTI PRAECVRSORI -

FVND. AN.DAM. ED DICANDAM SACRAM AEDEM .

JOANNES BAPTISTA DE NIGER VINCENTII FILIVS TESTAMENTO -CAVIT LUCHINETTA ET JVLIA FRATI BENEMERENTI OBTEMPERANTES - AGRO AEDIBUS QUE ADIVNCTIS EREXERE - AN CI_DXCVII IDQVE ETIAM JVRE ITA SANCITVM EST - CLERICI REGVLARES REBUS PRAESINT - SACRA QUOTIDIE CVRENT RITE PIEQ FACIANT -  AVCTORI BENEFICENTISS ET PATRVM IPSIVS MANIBVS PERENNENT CVNCTA EX LEGATO PRAESCRIPTA ET IN CENSVM ROMAE AVCTA AD HOS VSVS PECVUNIA SANCTA TECTA CONSERVENT .

HAEC PVBLICIS TABVLIS A STEPHANO CARDARINA - XIII KAL. APR CONFECTIS TESTATA - CLEMENS VIII  PON.MAX. ADPROBAVIT - XII KAL. OCTOB. CI_DXCV”

     I sacerdoti, in contemporanea, presero possesso del convento, mentre nel 1615 GB Centurione eresse nelle Compere di san Giorgio un ricco fidecommesso,  amministrabile dai Patroni della chiesa.   

     Nel 1640, per opera del nipote Filippo (in fondo alla crociera sul lato sinistro fu posto un cippo con busto in marmo del fondatore, con l’epigrafe:

 


 

 

 

«JOANNI BAPTISTÆ DE NIGRO / CVIVS AERE SOLVM EMPTVM / TEMPLVM ET COENOBIVM ÆDIFICATVM / JVS PATRONATVS AD HAEREDES TRANSMISSU / PHLIPPVS CENTVRIONVS / CHRISTOPHORI ET LICHINETÆ SORORIS / ET HAEREDIS EIVS FILIVS / MONTIVMQ ROMÆ AD OPERIS REPARATIONEM / ET SACRAE SVPELLECTILIS APARATVM / ADMINISTRATOR POSVIT  A. MDCXXXX»


 

e vicino al busto del nonno fece incidere: PHILIPPUS CENTIRIONUS, CRISTOFORI ET LUCHINETAE FILIUS - A.D. MDCXXXX

    Vi furono eretti 5 altari: uno centrale; ai lati uno per il titolare (con icona di Domenico Piola : la decollazione del santo); un altro per san Gaetano (con icona del D.Piola rappresentate i santi Gaetano,Andrea Avellino, san Martino); uno alla Madonna (con icona  di Gregorio De Ferrari raffigurante con lo stile del Correggio la ss Madonna nella fuga verso l’Egitto); un altro dedicato a san Francesco d’Assisi (con il santo in estasi; pittura sempre del DeFerrari). Sopra la porta d’ingresso,  tre bassorilievi con i  santi (G.Battista, Francesco, Gaetano).

   I teatini, fedeli a san Gaetano loro fondatore, poco alla volta fecero accettare anche questa  dedica, che fu utilizzata anche per qualificare il quartiere.

 

    Era usanza allora (storicamente Genova indipendente, in mezzo tra gli Asburgo di Spagna e re Sole Luigi XIV di Francia), seppellire i morti nelle cripte delle chiese;  ma nel 1656-7 la più grave epidemia di peste nera o bubbonica (vedi a Sab.65 e 99) nella qualità setticemica ovvero che in 2-3 giorni conduceva a morte, vissuta anche dal sestrese e 36enne padre agostiniano riformato scalzo Antero Maria (al secolo Filippo Micone) da san Bonaventura, saturò le modeste disponibilità della chiesa divenuta per l’occasione anche lazzaretto: così scrisse il monaco “hor questo delizioso luogo, qual è anche popolatissimo di povertà, massime alla Riva del Mare, dove migliaia di persone non han altra padronanza, che sopra quelle vastissime campagne, quali solcando con reti, e rastelli ne cavano il loro miserabil vitto…è stato, sopra ogn’altro del Dominio Genovese flagellato dal Contagio, e basti dire, che la sola Parrocchia di S.Martino, che faceva circa sei milla anime, à pena ne conta hora mille. S’industriarono al possibile questi poveri pescatori, per sottrarsi da si gran incendio; onde fabbricarono gran numero di capanne in forma di padiglioni alla spiaggia del Mare…essendosene per tal causa liberati molti…Fu eletto in Lazzaretto il Convento di S.Gio.Battista de’ Padri Teatini…Hebbe principio nel mese di Giugno del 1657, tempo in cui la strage s’avicinava al maximum quod fie, che però non è meraviglia, se da Cornigliano, dall’Incoronata, da Rivarolo, e da molti altri luoghi vicini, vi concorressero ancora gli amalati in gran numero. Due Padri Zoccolanti, Sacerdoti della riforma di S.Francesco lo servirono, e governarono, cioè li RR. Padri Sebastiano da Recco, e Serafino da Rivarolo…Vero è, che il primo fu favorito..avendo..nella salute del prossimo perduta la vita temporale; …il secondo vive risanato dalla peste …Morì pure gloriosamente Frà Antonio Romano dell’Ordine di S.Domenico, dove andò a farvi la carità di speziale…per apportar a gl’infermi più abbondante il ristoro.

Parteciparono la sorte trè Reverendi pure occupati in procurare la salute eterna de loro prossimi (non però nel Lazzaretto) li nomi de’ quali sono li RR.Gio.Maria Salinero Arciprete della Parrocchia di S.Martino, Tomaso Bregante Curato, e Gio.Andrea Caimo…Trè altri Sacerdoti son morti esercitando in S.Pier d’Arena la carità con gl’impestati, e furon il R.P. Renato Chiavari Domenicani… E li RR.PP. Pietro Canale, e Gio.Agostino Mazzuola ambi Agostiniani del Convento di S.Maria della Cella; vi fu ancora dell’istesso Convento il reverendo. Antonio Maria Giudice.        Cinque figlie del Rifugio vennero a partecipare la loro pietosa servitù alla amalate di detto Lazzaretto, e quattro ne godono in Cielo il premio…

Quattro son stati li Commissarij del luogo, e Lazzaretto di S.Pier d’Arena, cioè li SS.Illustriss.& Eccellentiss. Gio Raffaele Lomellino, Gio. Agostino Serra, Paolo Francesco Doria, e Vincenzo Pallavicino,,che cooperarono alla Divina providenza nel governo de’ poverelli, havedo fatto del proprio copiose limosine”.

Genova aveva già subìto la prima grave epidemia nel fatidico anno 1347. Fatidico perché pare che la colpa dell’espansione dell’epidemia in occidente fu inizialmente dovuto a dodici navi genovesi, fuggite da Caffa ed attraccate prima a Messina e poi a Genova e da qui in tutta Europa.

Più recente, Genova aveva schivato la peste detta manzoniana del 1630, ma non sfuggì a questa nuova pandemica, probabilmente originata a Costantinopoli e passata in Sardegna, Napoli, Roma e Genova, determinando una nuova ‘grande strage’: circa 500 tra schiavi e forzati furono a più riprese adibiti a beccamorti; la scienza medica brancolava nel buio: aveva intuito la corruzione delle ‘robbe infette’, ma nulla dei ratti e delle pulci; e la vittoria sul bacillo verrà solo trecento anni dopo, nel 1944 con la streptomicina. I Teatini erano stati affiancati da chierici di altre congregazioni (Domenicani, Francescani, Carmelitani, Canonici regolari Agostiniani) tutti volontari e tanti appartenenti alle più famose famiglie  (dei Porro, Centurione, Grimaldi, Lomellini, Gandolfo, Fenoglio); molti di essi vennero falcidiati dal morbo: in Genova  vi furono 60mila morti, e si rese necessario seppellirli fuori delle chiese,  nelle  vicinanze o -come appare da certi ritrovamenti- nei fossati delle mura dell’Acquasola. Altre epidemie sono state descritte nel  1369,1346,1383, 1438, 1499, 1528.

     Tutto aveva funzionato bene, come voleva il beneficiario fondatore, sino alla peste; ma i padri teatini, nel 1678, rimasti in pochi, iniziarono a ridurre la loro presenza, lasciando un solo sacerdote (e non 4 come da obbligo testamentale) e solo nei periodi invernali; il nuovo Patrono, GiovanBattista Cristoforo Centurione, dovette ricomporre con i sacerdoti il problema del lascito (la cappellania perpetua per sé, il capitale per i Teatini, la possibilità di erigere una nuova facciata all’edificio (che non fu fatta), ed il numero ridotto dei preti presenti,  in compromesso con quanto imposto dal Papa).

Nei tempi in cui la Repubblica genovese aveva appena ceduto la Corsica (il 16 mag.1768),  nel 1771  si creò di nuovo il contenzioso tra il Patrone erede testamentario ed i Teatini, incapaci di mantenere le promesse (vi officiavano due soli sacerdoti e solo per sei mesi all’anno). In contemporanea, la Giunta Ecclesiastica proponeva - con l’approvazione del serenissimo Senato- spostare l’onere parrocchiale da san  Martino - in posizione assai scomoda per la massa di fedeli che abitavano alla Coscia - a san Gaetano (mentre in Francia moriva Luigi xv e veniva incoronato Luigi xvi (con Maria Antonietta d’Austria), e pochi anni dopo iniziava il prologo della rivoluzione del 14 luglio con la presa della Pastiglia e la liberazione dei sette detenuti che vi erano rinchiusi.Nel 1792 l’armata francese invase la Riviera di ponente;nell’ott. 1793 avvenne l’incidente della nave francese ‘la Modeste’, nel nov.1794 ci fu la battaglia di Loano  e la neutralità genovese non fu più sufficiente ad evitare l’invasione degli opposti eserciti nemici). L’abbazia di san Martino andava vistosamente decadendo, l’ordine arrivò e con esso la chiesa dal 1796 al 1799 ebbe il titolo di unica sede parrocchiale in San Pier d’Arena, che non poté esercitare perché le sue vicende furono tutt’altro che lineari per la funzione del culto. Infatti anche il municipio del borgo, mirava alla zona per interessi propri (aprirvi delle scuole) ed avrebbe gradito si interrompesse il culto.  Sbrogliò la complicata situazione il Supremo Magistrato di Giustizia ,   il quale -forse anche distratto da false documentazioni e deposizioni- , in un clima già pervaso da grave malcontento per gli anni di crisi e da sentimenti anticlericali francesi- decise con decreto del 23 nov.1796 la sconsacrazione, il passaggio della proprietà al Demanio, e l’immediato allontanamento dei Teatini e di tutte le loro masserizie (comprese le  icone del Piola e del Ferrari) imponendo il loro trasferimento in san Siro o nella chiesuola di san Pietro in Vincoli in salita Belvedere: loro optarono per la prima soluzione,  mentre inutilmente il Patrono si appellava opponendosi. Dopo pochi mesi, il governo degli aristocratici decadde, facendo cambiare idee ed azioni.  Così, nel 1797, ormai allontanati i sacerdoti e privata dei sacri uffici,  il governo francese -detto “democratico” la confiscò al suo proprietario (allora sempre il marchese Martorelli d’Effivaller Centurione, erede del fondatore, e residente in Spagna); due anni dopo, il Consiglio dei 60 del Corpo Legislativo, decideva ufficialmente che fosse la chiesa della Cella a divenire la parrocchia di San Pier d’Arena, e che san Gaetano fosse affidata al Direttorio Esecutivo. Questo, presone possesso, la affittò al municipio per 80 lire annue : così divenne negli anni dell’assedio a Massena (1800) caserma per soldati e magazzino militare  con ripostiglio polveri. Il 27 sett.1805 il Governo Democratico sentenziò al Patrono, che il convento e la chiesa erano di proprietà della Repubblica.

    Nel 1815, morto Napoleone fu firmata la Restaurazione e Genova volente o nolente  venne affidata ai Savoia; la chiesa rimase caserma, magazzino e stalla; di tutti gli arredi, c’era ancora solo il busto in marmo dell’istitutore.

   Nel 1829, 29 marzo, governando il re Carlo Felice, trovandosi questi beni nel demanio, con decreto della Commissione Apostolica per i regni Sardi, si cedette tutta l’area alla Congregazione dei Canonici Regolari o Lateranensi  con sede in Coronata (divenendone “dipendenza”) ed in san Teodoro,  quale compenso dei danni da loro subiti; ma essi, non abbisognando di queste strutture, le affittarono a terzi (probabilmente una fabbrica di colla, di amido e candele. Tuvo riporta che a maggio 1831 nel convento di san Gaetano, venne ospitato un distaccamento di “cacciatori guardie”. Per un triennio, circa nel 1835 l’affitto fu offerto al Comune di San Pier d’Arena, con contratto scritto tra il sindaco e il canonico don Stefano Canepa. Intanto, una delle periodiche epidemie  (di colera nel 1835 e 37), ne approfittò il Comune per usare lo spazio quale lazzaretto: di necessaria conseguenza anche il cimitero affiancato, rimasto di proprietà comunale, fu allargato e migliorato con l’erezione del piccolo tempio e “rubando” dello spazio all’antica villa dei Teatini.                                                                                                         

   In questi anni, la costruzione era ancora abbastanza isolata in zona di campagna,  circondata da poche case di contadini e scarsissime ville più o meno abitate,                                                                                                     ogni minimo bene, era ormai totalmente asportato ed alienato: il pavimento di marmo rossastro era stato spedito in America, le balaustre ed inferriate scomparse come tutti i marmi, statue ed infissi.

    Nel genn.1838 fu periziata per un valore di lire 11mila, nel desiderio dei Lateranensi di venderne almeno una parte per ristorare il santuario di Coronata che minacciava rovina, e suggerendo rivenderla ai Centurione -eredi del DiNegro- aventi a disposizione una pingue cappellania in proposito percependo i proventi del fidecommesso stilato nel 1615. In parallelo il Patrone, sempre interessato a ricuperare i suoi beni, morì (1834) in Spagna dando incarico al suo successore, il marchese il march. don Ferdinando de Effivaller-Centurione, di proseguire nell’intento. Questi, attraverso l’interessamento della Santa Sede – incaricò come procuratore il sig. Bado Pietro, e riottenne così giuridicamente la proprietà, versando (29 lug.1843) la somma di lire 14mila (altrove si scrive 20mila, frutto della cappellanìa di GB Di Negro) ai Canonici a titolo di riacquisto (la sentenza definitiva del tribunale avvenne  ben dopo), permettendo un inizio di ripristino in modo che  il 29 ago.1843 (festa della madonna della Guardia) l’ulteriore successore (marchese Giuseppe Maria Battista dei Centurione, DeMartorelli e d’Effivaller, Gavino di Spagna) poté restituirla al culto, benedetta da don Giuseppe Ferrari (canonico di s.Lorenzo e provicario del card. arcivescovo Placido Tadini).

seconda chiesa: ridipinta la facciata con una decollazione del Battista, ripristinando l’antico nome di dedica, ristrutturandola in buona parte, facendola benedire dal canonico prof. Giuseppe Ferrari, la affidandò a due sacerdoti degli stessi Canonici che l’avevano ricevuta come pegno dai Savoia, i Regolari Lateranensi di Coronata-san Teodoro (tale affidamento non dispiaceva neppure al Patrone perché,  a corto di sostanze, non riusciva a mantenere l’impegno ed era costretto o a vendere il complesso ad una congregazione religiosa o al Vescovo, purché mantenessero il pio legato e soprattutto perché non finisse ad uso profanoNel frattempo, dopo la legge Rattazzi del 1855 di soppressione di alcune corporazioni e case religiose, una sentenza del tribunale provinciale di Genova del 1857, aveva stabilito che i locali tornassero alle dipendenze di Coronata Subito dopo, il 14 sett.1859, il tribunale sancì definitivamente l’effettiva e decisa proprietà privata dell’erede spagnolo Martorell (Giuseppe Effivaller Centurione Martorelli)). Così i due sacerdoti di quell’ordine,  Giuseppe Figoli, spezzino di Valdepino e GB Pedemonte iniziarono il 29 ago.1843 i sacri uffici (ma ben presto il secondo si ritirò alla Cella lasciando solo il Figoli quale custode dell’intero complesso sino al 1872. Questi, seppur ricco di progetti di restauri, di iniziative religiose, di lavori da fare- non possedendo né mezzi né  comprensione di chi avrebbe potuto dare, si ritrovò solo (escluso l’appoggio dell’amico don Daste, che però poteva offrire solo aiuto morale e sacerdotale), e non poté impedire di trascurare i problemi più  grossi determinando una progressiva decadenza, con tendenza all’abbandono  ed al ritorno allo stato deplorevole di prima; anzi, il Figoli, rimase ‘testardamente ospite’ dei salesiani nella villa Bianca fino al 1891 quando si trasferì altrove dopo infinite resistenze e ricorso alle vie legali).

Una legge del 29 maggio 1855, soppresse l’ordine dei Can.Lateranensi, i quali dovettero lasciare la chiesa.  Di nuovo, la carenza di sacerdoti favorì una situazione sempre più disastrosa con progressivo abbandono,  peggiorato poi dall’uso imposto per l’undicesima volta di alloggio per le truppe francesi di Napoleone III appena sbarcate (1859), e la riutilizzazione nel 1866-7come lazzaretto per i colerosi .

    Il proprietario dei beni, aveva ricevuto allettanti proposte per vendere il convento, ma suo desiderio era vederlo in mano ad una comunità religiosa come originario mandato del fondatore. Propose la vendita all’arcivescovo e questi, conoscendo le trattative che don Bosco cercava aprire in zona, gliela offrì in queste condizioni, con don Figoli unico custode, tramite don Oggero.

    Il rapporto di don Bosco con Genova non iniziava allora: già nel 1841, appena divenuto sacerdote, era stato ricercato da nobile famiglia genovese per fare l’istitutore;  e dopo il 1856 –inizio della sua opera a Torino -  ebbe modo di venire più volte a Genova,  incontrarsi sia con nobili generosi e munifici (su tutti il senatore marchese Ignazio Pallavicini residente nella sua sontuosa villa a Pegli assieme alla figlia Teresina –suo marito il conte Marcello Durazzo ed il nipotino Giacomino; nonché Vittorio Centurione di San Pier d’Arena; ed il barone Giuseppe Cataldi che offrirà la villa di Marassi, con la nuora Luigia Parodi Castaldi detta la mamma dei Salesiani), sia con altri sacerdoti (tipo Giuseppe Frassinetti, eccezionale intellettuale e pastore d’anime) e altri dediti allo stesso  tipo di missione (su tutti don Francesco Montebruno che in Canneto il Lungo gestiva gli ‘artigianelli’, impegnati a fare mansione di ‘sindacalista’ per evitare lo sfruttamento dei minori nel lavoro -cosa a quei tempi di normale uso-).  I suoi sacerdoti (don Paolo Albera con il chierico Colli Giovanni), partiti da Torino il 26 ott.1871 si erano insediati nella villa nella zona di Marassi affittata dal Castaldi ad ottimo prezzo. Iniziarono con la scuola di calzolai, sarti e falegnami. Ma essendo eccessivamente lontana dall’abitato, cercavano nel frattempo un’altra sede sempre molto popolare ed altrettanto a poco prezzo dove esistessero giovani sbandati e disoccupati, per poter sviluppare quello che era il progetto salesiano

San Pier d’Arena poteva essere l’ideale: in pieno sviluppo industriale (la famigerata Manchester italiana!; chissà perché non la Ruhr italiana quanto ad imbruttimento, ciminiere, inquinamento. Nel 1890 contava già 7mila abitanti, aumentati anche per “l’acquisto” territoriale di una frazione dalla Certosa di Rivarolo; era in atto in città il “boom” dell’immigrazione con aumento del 90% della popolazione in pochi anni (in pochi anni si era arrivati a 20mila persone; un vasto e legalizzato campo di concentramento ottenuto con l’ammassamento di migliaia di povera gente in cerca di un salario che dovrà essere quotidianamente conquistato lottando con i denti, gli scioperi, una fatica sconvolgente e sempre a vantaggio di altri posti … ‘lassù’, lo sfruttamento fino al ricatto nei periodi neri di produzione). Un gran fermento di costruzioni selvaggiamente ravvicinate a sfruttare ogni millimetro disponibile senza un piano regolatore che salvaguardasse la dignità di chi già c’era, senza una saggia preveggenza che desse ordine all’inurbamento forzato. Il bisogno di guadagno  di alcuni -in primis lo stato sabaudo con il signor Cavour-, determinò menefreghisticamente un alzarsi di ciminiere, capannoni, depositi, case popolari da sfruttare al massimo: un umiliante sconvolgimento, ingiustificatamente irrispettoso dell’estetica e dell’ambiente, purché rendesse economicamente ed in base a progetti di vastissima portata che certamente non comprendevano come problema da porsi l’impatto ambientale di quanto stata nascendo in quel piccolo buco d’Italia. Anzi, vantandosi di aver prodotto lavoro ed occupazione, si otteneva il piccione e la fava, cioè si metteva a tacere chiunque avesse tentato di evidenziare l’orrore dell’anteporre i vantaggi sociali della ‘cosa pubblica’, sottacendo che essi avvennero troppo lentamente e solo a seguito di enormi sacrifici di massa degli operai, di morti bianche, di dignità da rosicchiare giornalmente. Per i sacerdoti era anche difficile da penetrare perché piena di miseria, di anime sperdute ed arrabbiate, assai poco inclini all’osservanza religiosa; tanti gli immigrati delle più varie religioni; roccaforte dei repubblicani mazziniani nonché anarchici e massoni, ma soprattutto con tanta gioventù abbandonata: una vera sfida, per  don Albera e don Bosco, il cui scopo voleva essere l’applicazione di un’ opera di carità - spirituale e temporale - specialmente ed unicamente verso loro,  i giovani  poveri. 

   Negli anni attorno al 1872, l’edificio della chiesa era in uno stato miserando: senza pavimento, porte e finestre scardinate, senza più nessun arredo; uguale il convento, senza mobilia, senza suppellettili. Un rudere fatiscente.

    Naturalmente don Bosco non possedeva la somma (dal 1871 era alloggiato a Marassi ove aveva iniziato la sua opera di ricupero dei giovani ma dove si sentiva ‘stretto sia per ragioni di spazio sia per l’eccessivo decentramento); ma  la ricuperò con donazioni varie, sfruttando le amicizie tessute nei suoi soggiorni a Genova, per primo  dall’Arcivescovo di Genova mons. Magnasco Salvatore, che imprestò -e poi regalò- le 4mila lire necessarie per stendere il compromesso col venditore il 16 lug. 1872, più altre mille avute in dono (poi, da ricordare in primis la baronessa Luigia Cataldi Parodi, residente a Sestri Ponente, che diede addirittura 30mila lire;  la duchessa di Galliera Maria Brignole-Sale che offrì 5mila;  papa Pio IX che inviò 2000 lire;  il sindaco di San Pier d’Arena che era allora l’avv.cav. Nicolò Montano il quale volle poi essere padrino - e la moglie madrina - della prima cresima amministrata nella nuova chiesa; e da altri benefattori che gli permisero di arrivare alla cifra necessaria).

Terza chiesa:  l’11 nov.1872 era avvenuto il trasferimento dalla palazzina Cataldi di  Marassi di 40 ragazzi figli di don Bosco;  ed il complesso, sempre chiamato “Ospizio di san Vincenzo de Paoli” rimase affidato a don Albera, il quale per primo  propose di rendere tradizionale la festa  del sacro Cuore..

    L’ospizio poté trovare altri spazi, inglobando con l’acquisto, nel dic.1873, della villa dei Teatini (i suoi terreni erano stati parzialmente decurtati nel 1830 e 35 per ampliare il cimitero vicino; quello che rimaneva permetteva però aprire  la zona ricreazione, anticipo dell’Oratorio per ora attuato davanti all’ingresso della chiesa) nella quale già si apre un ginnasio, quale bacino di aspiranti al sacerdozio; 82 diventano gli alunni nell’anno scolastico 1874-5; 165 l’anno dopo.

    L’atto di vendita del convento e della chiesa annessa di san Giovanni Battista, ma detta volgarmente di san Gaetano, per la somma di 37mila lire,  sarà poi definitivamente firmato presso il notaio G.Marchini   il 12 dic.1874  da don Giovanni Torrent quale procuratore del marchese Giuseppe Maria Battista Centurione  Martorelli di Effivaller, Gavino di Spagna, e da mons. Magnasco fu Benedetto per conto e nome di don Giovanni Bosco .

   Nell’edificio della chiesa, nel 1875 erano già avviati i lavori più urgenti  sotto la direzione del dr. arch. Maurizio Dufour (due impresari furono gratificati da don Bosco con l’onorificenza a cavaliere: Angelo Borgo che eseguì gratuitamente le opere murarie, ed il sestrese GB Conte che regalò calce e cemento dalle sue fornaci): oltre al corpo di fabbrica dell’istituto lungo l’attuale via C.Rolando, conservando il muro che la separava dal cimitero di fianco e la cancellata che la separava dalla strada,  fu iniziato nel 1897 (25° della fondazione dell’opera salesiana) il restauro della chiesa con

 rifacimento della FACCIATA, in stile neoclassico, su disegno dell’ing. Giuseppe Massardo (la gradinata con granito rosso di Bavena e pietra di Finale; la parte inferiore della facciata, con richiami allo stile composito romano, aveva tre porte decorate con marmo bianco di Carrara, sovrapposte da tre bassorilievi rappresentanti Gesù in mezzo ai fanciulli; la Vergine con i 12 Apostoli; decollazione di sGBattista, ed ai cui lati, in nicchia, le grandi statue di s.GiovanniBattista e di s.Francesco di Sales. La parte superiore in stile corinzio, una grande finestra rettangolare centale ed ai lati le statue di s.Vincenzo de’Paoli e di san Gaetano di Thiene, fondatore dei Teatini); creato una SACRESTIA di fianco al CORO, che fu arredato con seggi lignei comperati dalla chiesa di N.S. della Pace di Genova -e metà di essi poiché avanzavano, furono rivenduti a Camogli ed altrove-; fu inaugurato l’ORGANO opera di Lingiardi e figlio, di Pavia (dic.1877, acquistato con i proventi di una lotteria, fu collaudato da DePaoli); furono ricreati degli arredi anche se non si riebbero indietro le preziose icone custodite a san Siro. In tre navate erano nove altari: tra essi, a sinistra dell’altare maggiore, per il culto di Maria Ausiliatrice instaurato dai Salesiani, fu   apposto un quadro dipinto da Rollinii muri furono coperti con stucchi dorati di grande effetto; fu posta una lapide nella chiesa che diceva  : “IOANNES BOSCO SACERDOS - SOCIETATIS SALESIANAE PATER LEGIFER - HOC TEMPLVM ET ADIACENS COENOBIVM - AERE COLLATITIO - EMIT AC INSTAURAVIT - AN MDCCCLXXII “ (Giovanni Bosco sacerdote – padre e legislatore della Società salesiana – questo tempio e il cenobio adiacente – con denaro raccolto – acquistò e restaurò – nell’anno 1872); si ottennero una statua lignea di san Luigi (1878) ed un quadro ad olio di san Gaetano opera del lucchese Pietro De Servi (quadro tuttora presente perché sopravvissuto al bombardamento); fu rifatto il pavimento in marmo e lavagna (1881); si arricchì di una statua lignea ed un quadro ad olio raffiguranti san Giuseppe (1889); altri altari furono poi dedicati nel 1891 al sacro Cuore, a sant’Antonio da Padova ed a Maria Ausiliatrice (sostituendo la tela del Rollini che fu trasferita nella cappella delle suore), l’altare fu posto in una nuova cappella altamente decorata dal genovese Mascetti con stucchi ed ori, sempre  sotto la coordinazione del comm. Dufour che lo arricchiva con una statua in marmo della Madonna prodotta dallo scultore savonese Brilla Antonio (si considerò miracolo, il fatto che nella cappella ove era esposta  la statua, cadde a terra una colonna di marmo lasciando illesi tutti gli operai che le erano attorno per il lavoro)  circondata sulle pareti da affreschi di Gainotti Luigi -allievo di Barabino; vedi Daste pag.85- con la raffigurazione della battaglia di Lepanto (Marcantonio Colonna, che presenta al papa Pio V i vessilli tolti ai turchi), della battaglia di Vienna (Giovanni Sobiescki, re di Polonia,  che riceve la benedizione prima di assalire e sgominare i turchi), e dell’ arcangelo Michele trionfante su Satana, di Giuditta col capo di Oloferne, di Ester di fronte al re Assuero). Altri dipinti di Agostino Benvenuti e sculture di Antonio Canepa.

Anche l’attività religiosa e sociale ebbe un avvio consistente: catechismo, cresime, due prime classi di scuola elementare

    Contro il parere del sindaco Torre (20 lug.1885) e dell’amministrazione comunale (delibera del 26 feb.1886) che non credevano né utile né opportuno dividere il territorio in tre parrocchie (san Gaetano, Cella, Grazie) , la nomina a parrocchia (firmata il 15, giuridicamente in funzione dal 16 (il Cittadino scrive dal 27) lug.1884) era stato un atto voluto dal vescovo Magnasco; ma subìto anche dai salesiani perché rappresentava per loro un grave impegno in più, ed accettato per obbedienza; primo parroco scelto fu don Michelangelo Braga ma si preferì che la nomina fosse intestata -ad interim- al direttore Domenico Belmonte (dal 1881 direttore dell’Ospizio al posto di don Albera; il Novella lo chiama erroneamente Costantino) in attesa nella nomina ufficiale da Roma (dove vasi chiarire la posizione gerarchica del parroco nella scaletta di comando dell’istituto: don Bosco concluse che nella sua congregazione il capo era il Direttore dell’istituto ed il parroco era provvisorio (per la Curia) e vicario (per il Governo). Il primo parroco canonicamente nominato nel 1886 (Novella dice 1888) fu don Luigi Bussi, conquistando il primato di essere la prima parrocchia salesiana in assoluto nel mondo.

   Dalle 3000 anime dell’inizio, si passò nel 1892 a 7mila; nel 1900 a 12mila; nel 1910 a 20 mila.

  I confini furono ben stabiliti, ma ben presto (1 genn.1890) ampliati, soprattutto a nord con Certosa : “la via del Glucosio (all’altezza di via Campi), seguita da una strada senza nome (o via Campi o salita Bersezio)”.

   Parrocchia ed istituto, seppur conviventi in unico complesso, furono subito separati sul piano organizzativo.

    Da allora, per oltre 80 anni, le grandi feste solenni della parrocchia furono il giorno di san Gaetano (7 agosto, messe solenni, vespro,  premiazione studenti, accademia musico letteraria) e la ricorrenza della Madonna della Guardia. Dopo il 1960 esse furono annullate e ridimensionate il 31 gennaio ricorrenza di don Bosco.

  Il 4 lug.1897 si inaugurò in forma solenne (illuminazione, fuochi d’artificio, musica e solennità religiose) il completamento della chiesa.  Dalla piazzetta, con inferriata che la separava dalla strada e con muretto dal Tempietto, si ammirava la nuova facciata, su disegno dell’ing.Giuseppe  Massardo e con la direzione del dott. Maurizio Dufour (figura degna di ricordo : nato nel 1827 di nobile casata, laureatosi in legge,  dedicò il suo capitale -con amore senza ostentazione e maestria unica- per valorizzare strutture cittadine genovesi, d’arte, di restauro ma anche di religione ed assistenza. Morì il 17 ago.1897), fu rifinita in stile seicentesco con ordine composito-romano nella parte inferiore e corinzio nella superiore, usando marmo di Carrara e granito rosso di Baveno per lo zoccolo e la scalinata;  pietra rossa di Finale per la base e lesene.

Al centro - sopra il portale centrale - fu arricchita da un bassorilievo in marmo raffigurante la decollazione di san Giovanni scolpita dal sampierdarenese Pietro Roncallo;  ai lati, in nicchie,  le statue di san Giovanni Battista e di san Francesco di Sales sormontate da bassorilievi in stucco, assai pregevoli, raffiguranti Gesù tra i fanciulli (“sinite pargulos...”) e Maria con i 12 apostoli, riproduzioni di quadri del Lorenzone,  prodotti da Angelo Marcenaro;

                                                                             bassorilievo di Marcenaro con fanciulli,Maria e 

                                                                             alcuni apostoli; sulla facciata della chiesa

 

più in alto le statue di san Vincenzo de Paoli e di san Gaetano di Thiene; nel timpano, due putti ai lati della croce centrale; in evidenza sul cornicione la scritta “M.D.XC.VII EXCITATUM - DIVIS.IOANNI.BAPTISTAE.ET.CAIETANO - ORNATUM M.DCCC.XC.VII”   (= 1597 dedicato – ai santi Giovanni Battista e Gaetano – restaurato nel 1897).  Nel 1896, alla morte della più grande benefattrice dei salesiani, un marmo fu posto sulla facciata della chiesa con la scritta “alla anima benedetta della baronessa Luigia Parodi Castaldi, madre dei poveri, benefattrice insigne dell’ Ospizio di San Vincenzo de’ Paoli pregate l’eterna pace  -  manum suam aperuit inopi et palmas suas extendit ad pauperes

    1923 – iniziarono i lavori che furono completati l’8 dicembre 1929 (VIII) con solenne inaugurazione, con l’approvazione dell’arciv. Carlo Damazio Minoretti.

All’interno dove alte colonne di finto marmo (preparate con particolare lavoro  che dona l’illusione del vero marmo, dalla ditta Amedeo Butti di Bergamo) dividevano la navata in tre assi -sul modello di san Siro-; con volte riccamente decorate da stucchi dorati ed affreschi eseguiti con altri ornamenti, dalla scuola -figli ed allievi- del pittore prof. Rodolfo Gambino (o Gambini. Solo per decorare il Sacta Santorum aveva preventivato la somma di 35-40mila lire e, genericamente 100mila per il rimanente; le soc. f.lli Feltrinelli e f.lli Gardino offrivano gratis il legname per le impalcature e l’impresa edile Giuseppe Stura offriva i lavori murari a prezzo di costo); furono istituiti due comitati –uno maschile ed uno femminile- per le ‘oblazioni pro restauro Chiesa di san Gaetano’. Procedette dapprima alla doratura –usando oro zecchino e colori d’alta qualità perché durassero nel tempo- dei riquadri destinati agli affreschi, disegnando anche capitelli, lesene e cornicioni, per dare risalto ed ombre. Sopra il presbiterio fu affrescato il tema del Trionfo Eucaristico, sacramento particolarmente curato dai salesiani: in alto rifulge l’Ostia santa dentro l’Ostensorio,  contornata da angeli ; in basso don Bosco, le suore dette Figlie di Maia Ausiliatrice, il card. Cagliero –direttore dei missionari-, e – vicino ad essi -  il fior fiore dell’oratorio:  Domenico Savio, Mchele Magone, Luigi Comollo, alcni ragazzi ed operai.   Sulle pareti del presbiterio, c’erano altri due grandi affreschi rappresentando Gesù pastore con le pecorelle e Gesù con il ‘sinite parvulos’. Sulla volta dei bracci laterali della croce latina, l’affresco di papa PioV che riceve la notizia dell’esito della battaglia di Lepanto ; e quello di Gesù nell’orto di Getsemani con l’angelo. In duplice fascia sul braccio destro della crociera, in chiaroscuro, i ritratti di alcuni papi: in particolare Pio IX che aveva approvato le regole salesiane e Pio XI che aveva proclamato beato don Bosco. Nel centro della crociera la Glria di san Gaetano: portato in cielo fra gloria di angeli con ai piedi la figura di san Giovanni Battista; ai suoi quattro lati, i ritratti degli Evangelisti. La volta della navata centrale, vedeva al cdentro lo stemma della famiglia Di Negro, con sopra Gesù che predica dalla barca nel mare di Galilea; e sotto G.Battista che battezza Gesù mentre dall’alto scende lo Spirito Santo. Ai lati, tre altari in altrettante cappelle (una a s.Francesco di Sales  nella quale erano gl affreschi dedicati uno al dottore della Chiesa  e l’altro a s.Vincenzo de’ Paoli)  decorate con stucchi, fregi e con immagini di Santi e simboli sacri). 

     

volta dell’abside-quadro centrale   volta della navata centrale       centro crociera-gloria di s.Gaetano

dedicata al “il trionfo eucaristico”  -alto: battesimo di Gesù—

                                                        -centro: stemma Di Negro

                                                        -basso: predicaz. di Gesù

 

volta della crociera – san Pio V                              volta della crociera: agonia del Getsemani

                                                            

*A- al centro l’altare maggiore in marmo di Carrara, scolpito in stile seicentesco da Angelo e Federico  Ortelli e dedicato a san Giovanni Battista; ai lati varie cappelle con altrettanti altari in marmo, lavorati da Antonio Ricchini.  

*B- a destra  dell’altare centrale in capo alla navata dedicato al “Sacro Cuore di Gesù” (1891) racchiuso in una raggiera lignea scolpita ed indorata da Vittorio Ferraro; sul pallio dell’altare di marmo bianco è un bassorilievo della Natività del genovese Antonio Canepa; lungo le pareti laterali:-- 1- dedicato a sant’Antonio da Padova  (1891); -- 2- dapprima fu posto un Crocifisso ligneo e la statua in legno dell’Addolorata e san Giovanni opera dello scultore genovese Olivari Agostino; poi fu arricchita con quadro raffigurante il “Crocifisso, Maria addolorata e le Anime sante del purgatorio”  di Pietro de Servi; -- 3- uno per san Giuseppe, (1889), in marmo, con prezioso  quadro di Agostino Benvenuti offerto da un fedele -nel fianco di questa cappella, c’era il battistero; --

*C- a sinistra, dell’altare in capo alla navata   lo assai elegante e già descritto altare, con la statua di Maria Ausiliatrice (Auxilium Cristianorum); sulle pareti laterali -- 1-  con grande quadro (inaugurato solennemente nel 1895 ponendolo dapprima nel terzo altare a destra, e che andrà distrutto nell’ott. 1943) di Luigi Gainotti, allievo di N.Barbino, raffigurante “san Francesco di Sales che offre l’Istituto a san Vincenzo de’ Paoli”, patroni principali dei Salesiani, e più piccolo un quadro di san Vincenzo de’ Paoli; -- 2- dapprima con statua del santo, poi con quadro -posto sull’altare nel 1896- dedicato a “san Luigi Gonzaga in gloria” contornato da altri due quadri laterali raffiguranti la “prima comunione di san Luigi” e “l’Immacolata con santa Agnese”, tutti e tre opera del Gainotti;   -- 3- per san Gaetano Thiene, col quadro del De Servi. 

  Il complesso era senza un campanile: iniziato su progetto dell’ing. genovese Giuseppe Massardo nel 1885 (lo stesso della facciata), fu finito l’anno dopo; raggiunti i 51 m da terra fu a lungo la più alta costruzione muraria della città; fu  arredato da un concerto di 5 campane (all’inaugurazione, suonate da un maestro campanaro venuto apposta da Torino, e presente don Bosco). Nel 1892 vi fu applicato l’orologio, con suono ad ore e quarti.  Nel tempo, le campane divennero 8 nel 1897, poi 10 ( 5 fisse e 5 mobili, fuse dalla ditta GB. De Poli di Udine); sulla maggiore è stato scritto “NIMBUM FUGO-JUBILATE DEO OMNIS TERRA” (=disperdo le nubi-esultate a Dio da tutta la terra).

 


Fu restaurata nel 1962 l’incastellatura delle campane, ora mosse elettricamente a comando dalla sacrestia.

 Ristrutturato nel 1977, vicino all’orologio nell’interno fu apposta una lapide che dice:

DON BOSCO LO VOLLE : 1886  -  LO RISPARMIO’ LA GUERRA : 1943   -    FU RESTAURATO : 1977.

 

    Don Bosco  soggiornò a San Pier d’Arena l’ultima volta il 22 apr.1887 , circondato da una battente ressa di malati, pentiti, e fedeli;  morì il 31 genn.1888 a Torino.

    Nel 1890 la popolazione aveva raggiunto le 40mila unità; tutta la città era alle dipendenze delle industrie, delle fabbriche intorno, avvolta nell’intreccio di binari con vagoni, dei carri con le più disparate derrate, favorita dal vento nel non vedersi sotto una cappa di fumi e vapori e che smorzava anche i rumori di tutto questo fervore massacrante.

    Con parroco prima don Michelangelo Braga, poi don Bussi (1886-1928), a sua volta poi succeduto da don Virgilio Raschio (1928-1941) e da  don Nervi (1941-1956), la chiesa ottenne progressivi miglioramenti, tali da renderla una delle più belle e ricche di Genova: oltre al campanile; all’organo (aggiustato dalla ditta Parodi & Manin di Bolzaneto); al pavimento; agli altari in marmo con quadri di valenti pittori, la nuova cappella a don Bosco, con statua in legno ed affreschi -uno di Gainotti ed uno del camoglino Antonio Schiaffino (quest’ultimo, ordinato nel genn.1934, fu inaugurato il 12 aprile 1934 dal card. Minoretti pagato 25mila lire –in 5 rate-i e riproduceva don Bosco benedicente i giovani: vari ragazzi dell’istituto furono usati dall’autore come modelli); ai lampadari in bronzo;


una Via Crucis in legno scolpito da Ferdinando Stuflesser, scultore della val Gardena (dopo la distruzione della chiesa, ne rimase una sola stazione, quella di Pilato che condanna Gesù, ora posta altrove);


 

alcune parti della facciata in pietra viva; stucchi e dorature varie, opere iniziate dal prof. Gambino -e poi terminate dal figlio Luigi-.

   Nel 1906 prese avvio l’edizione del bollettino parrocchiale.

   Nel 1922 ospitava ancora la tomba del fondatore DiNegro, sopra la quale era un   cippo col busto in marmo.


incisione riproducente la lapide

marmorea esistente in s.Gaetano

 

Ioanni Babtistæ De Nigro /

cuius aere solum emptum /

templum et coenobium ædificatum  / 

ius patronatus ad haeredes transmissu / Philippus Centurionus /

Christophori et Lichinetæ  sororis /

et haeredis eius filius /

montiumq Romæ ad operis  reiarationem /

et sacrae supellectilis aparatum /

administrator posuit a MDCXXXX


 


   Nel 1925 la fiorente sezione filodrammatica organizzò con successo un concorso nazionale di recitazione.

   Nel 1930, il 24 dicembre una parte del territorio parrocchiale comprendente circa 25mila anime, venne sottratto con la costituzione della parrocchia di Belvedere su proposta dell’arciv. Dalmazio Minoretti.


   Nel 1937 iniziò la pubblicazione del bollettino mensile parrocchiale chiamato “La buona Parola” stampato a Torino. E tale era ancora nel 1942


   1939 cortile antistante la chiesa                     


 

altare maggiore

 

In un attimo, alle ore 13 del 30 ott. 1943, parroco don Giulio Nervi, durante una incursione aerea, una bomba distrusse tutto; solo il campanile rimase eretto, seppur traumatizzato dallo spostamento d’urto dell’aria e dalle schegge (tre sacerdoti, che dall’alto guardavano “in diretta” gli avvenimenti, rimasero shoccati ma miracolosamente illesi). La generosa e preziosa opera di intere generazioni, mirata ad abbellire millimetro per millimetro il tempio di fede, si ridusse in polvere e ruderi inutilizzabili, distrutti da tre bombe cadute ravvicinate. Tra i rottami si cercò di ricuperare il recuperabile: assai poco, purtroppo.

               

  

30 ottobre 1943

 

   Le funzioni religiose dovettero essere trasferite nel teatrino dell’oratorio femminile e poi nel Tempietto.

   Nel 1950, la parrocchia, in prevostura dei salesiani, aveva parroco don Giulio Nervi e si chiamava ancora “Decollazione di S.Giovanni Battista e san Gaetano”.

  Le pratiche per ottenere i diritti ed i sussidi necessari alla ricostruzione della quarta chiesa  (sgombero dei detriti, scavi assai profondi per porre solide basi, ed anche per le varianti progettuali: un’unica navata, maggiore ampiezza e lunghezza per riduzione del piazzale antistante ed eliminazione dell’antica cancellata), ebbero fine solo nel 1952 quando si diede il via ai lavori di ricostruzione ponendo il 10 novembre (don  Miscio dice il 16) la prima pietra sotto il previsto altare maggiore (la pergamena scritta dal salesiano prof. don S.Bilik, fu firmata dalle maggiori autorità cittadine arcivescovo Siri, sindaco V.Pertusio, prefetto R.Saporiti, rettore Cereti, onorevoli, assessori); viene ufficialmente annunciato che la titolazione assieme a san Gaetano si chiamerà anche don Bosco. Venne costruita in un’area di 540 mq.con possibilità di 1500 posti a sedere: un edificio più largo e più lungo della precedente (a scapito dell’antistante cortile ove giocarono i primi 40 ragazzi) disegnato dall’ing. Pietro Stura, ed eretto dall’impresa Giuseppe Stura & figli.

Il nuovo tempio, gestito ormai sempre dai Salesiani; arricchito di una reliquia del santo don Bosco arrivata solennemente da Torino alcuni giorni prima e posta in una teca finemente decorata; e svincolato dal primitivo antico impegno testamentario, fu definitivamente inaugurato e consacrato dal cardinale di Genova mons. Giuseppe Siri il 2 apr.1955, presenti tutte le autorità civili e militari.

 

   All’esterno, la pavimentazione a cubetti di porfido, davanti all’ingresso della chiesa ed all’interno nei cortili, fu eseguita nel 1957.

Nel 1958 risultano presenti nell’area parrocchiale una ventina di  associazioni (tra giunta parrocchiale con l’azione cattolica e oratorio maschile e femminile); tra esse le ACLI svolgono un ruolo di altissimo impegno sociale.

la facciata  è rivestita sin sopra le porte da bande di pietra bianco e serpentino, ricordanti lo stile genovese-pisano antico; una larga scalinata porta accesso a tre ampi portali ornati da colonnine rotonde ed istoriate, sovrapposti da lunette arricchite da marmi raffiguranti momenti della vita di don Bosco (il sogno; il Santo con san Domenico Savio benedetti da Pio IX;  ***il terzo?);  a metà altezza, la pietra chiara di Finale è interrotta da cinque monofore con vetrate effigianti Gesù ed i quattro Evangelisti  e da un rosone  che ha al centro dei petali marmorei l’immagine di don Bosco circondato da angeli;  al limite superiore, altre tre monofore decorano l’estremo della facciata che finisce in un tetto merlato inclinato; le due torri laterali -anch’esse a bande colorate-, sono alleggerite da quattro piani di trifore  e finiscono in alto a terrazza arricchita da una merlatura che riprende identica quella del tetto.

 

   Internamente,    è ad unica navata, con soffitto a cassettoni contenenti giganteschi floreazioni;

==in alto ai lati, le ampie scale coperte da marmo di Carrara, portano ad un lungo matroneo interrotto da colonnine corinzie e sottolineato come un allegro festone dalle stesse merlature dell’esterno da respiro e luce tramite ceramiche colorate (raffiguranti angeli musicanti e cantori);

==a 10 m di altezza, otto medaglioni quadrangolari, raffigurano le Beatitudini (beati i poveri, i sofferenti, i non violenti, gli assetati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, i costruttori di pace, i perseguitati per la fede). Sono stati dipinti dal sampierdarenese Angelo Baghino e misurano m. 3,5x1. Rappresentando il messaggio di Gesù, le immagini vogliono dare a tutta la chiesa la denominazione di “chiesa delle beatitudini”: nessuno rappresenta un personaggio dipinto per intero, ma solo oggetti e parti del corpo, validi richiami allusivi e psicologici alla sofferenza dell’Uomo (corde, chiodi, tazze con l’aceto, mani legate, chiodi e martello, sangue innocente)  Gli otto dipinti a grossi pannelli furono inaugurati l’ 11 ottobre 1997 in occasione della festa degli alpini, alla presenza di tutte le autorità civili e religiose della città (A.Sansa e mons.D.Tettamanzi

 ==tutto porta lo sguardo in avanti, al grande crocifisso ligneo centrale scolpito dal fiorentino Geminiani sullo figura delle antiche maestà dipinte , inquadrato sotto un arco trionfale centrale  sorretto da due colossali colonne marmoree adornate da foglie di acanto.  

===L’altare maggiore, offerto alla chiesa dagli ex-allievi,  ricco di marmi pregiati (onice del Brasile, Messico ed Algeria, diaspri e lapislazzuli), è arredato da sculture raffiguranti nel paliotto la Cena di Emmaus; nel tabernacolo il Sacro Pellicano; nel portale sinistro l’Angelo dell’Annunciazione e in quello destro Maria; ai lati sei angeli oranti; nell’ultimo dossale bassorilievi di angeli rappresentanti la giustizia, la fortezza, la prudenza e la temperanza, vicini a due lampade con i simboli della fede e della speranza *** . Nel 1972 fu installato davanti un nuovo altare marmoreo per la nuova liturgia.

===I pulpiti, sono sorretti da tronconi di marmo policromo (residuo delle antiche colonne che ritmavano le navate della precedente chiesa); il battistero, trasferito in avanti nel 1980 per la riforma liturgica, è poligonale e sull’apice ha la statua bronzea di san Giovanni Battista (dono delle scuole elementari locali ed unica effigie dell’antico e primitivo titolare della chiesa);

==la Via Crucis in bronzo, è opera pregiata del 1960 dello scultore Enrico Manfrini (famoso per aver vinto il concorso per le porte del duomo di Siena). Le varie stazioni furono offerte da privati e dalle associazioni.

==le vetrate del presbiterio, raffiguranti l’arrivo di don Bosco a Genova    (accolto dal vescovo mons. Magnasco a Marassi –1871, e poi a San Pier d’Arena         -1872), e la prima spedizione missionaria nel 1875,  da Genova alla Patagonia.

Le artistiche vetrate poste nell’abside furono offerte alla chiesa dalla famiglia Costa (dal dr.Giacomino in particolare).

   

angelo con stemma dei Salesiani

==nell’antica sede del battistero, c’è la Cappella della Pace, consacrata in suggestiva cerimonia il 10 ott.1981 da don Riccardo alla presenza del Gruppo Alpini locale, e contenente la riproduzione dell’icona della Madonna del Don, venerata nella chiesa dei Cappuccini di Mestre (Venezia),

          

 

con –ai due lati del capo- la scritta “Mèter” e “Theoù” (in greco, Madre di Dio), incorniciata da marmo bianco di Siena, dedicata agli alpini ed ai caduti di tutte le guerre, ma soprattutto agli sfortunati partecipanti la campagna di Russia (l’icona originale fu raccolta dal cappellano degli alpini del battaglione Tirano p.Policarpo Narciso Crosara, in prima linea, tra le macerie di una chiesa in un  villaggio (isba) -sul fronte del Don- abbandonato dagli abitanti e praticamente distrutto. Portata nel 1945  in Italia. Il cuore della Madonna, trafitto da molte spade  simbolicamente si addice allo spirito di quei momenti tristemente violenti. Non solo in guerra, ma anche per chi riuscì a tornare, nel dopoguerra gli animi erano ricchi di odio ed egoismo: si decise così far pellegrinare l’icona per le vie italiane. Alla tappa genovese fu deciso dedicarle qui una cappella apposita nella chiesa) .    

Le fanno cornice : la storia lignea degli alpini (una allegoria degli alpini disegnata e incisa su legno da Carla e Franco Gabbani:  icona composta di 4 pannelli di legno scolpiti dal dr. Alfredo Giuliano e  raccolti da Silvio Lituania: raffigurano 1) la presenza dell’alpino -e del suo mulo fedele compagno di immense fatiche- al freddo , di fianco ad una chiesetta sulle erte cime dei monti;  2) 3) i ponti fatidici simbolici di due generazioni, uno di Bassano della guerra del 15-18, e l’altro di Perati della guerra di Grecia-Albania; 4) la tradizione : rappresentata dal  valore della famiglia –mentre scrive a casa; dallo spirito –mentre soccorre=presenza attiva in tutte le calamità-; dal dovere=la vedetta; la tenacia fino al sacrificio estremo simboleggiato dalla penna “mozza” poggiata sopra una croce tombale nella steppa russa =di fronte alla chiesa ortodossa di Nicolaievka città ucraina dove nel gennaio 1943 la divisione Tridentina al comando del gen. Reverberi seppur stremata, riuscì a sgominare una divisione russa armata di grossi calibri ed aprirsi un varco di ritirata).  Sopra l’icona un grosso dipinto, opera di Aldo Orsi (simboleggiante l’estremo sacrificio del soldato, rimasto senza tomba, espresso da una figura prona, evanescente che viene coperta dal biancore della tempesta di neve nella steppa e, sovrapposta, l’immagine del soldato che sale verso la luce, nel paradiso delle “penne mozze”, con la mano protesa a protezione dei compagni). Sotto l’icona una scultura rappresentante la Natività (bassorilievo in marmo dello scultore  sampierdarenese Antonio Canepa (1850-1931) del 1930, proveniente dal pallio dell’altare del Sacro Cuore, della chiesa distrutta di san Gaetano). 

Di fronte, il Cristo in croce (di gesso armato -calco originale di una fusione in bronzo dello scultore spezzino Augusto Magli –1890-1962. In memoria dell’autore, fu donato alla chiesa dopo averlo restaurato, dal sig. Aldo Orsi affisso sopra una croce lignea opera e dono della famiglia Patrocinio).   Dal 1982, un cippo (del peso di tre quintali, tratto dalle rocce del monte san Michele  del Carso, simbolico ricordo di quelle insanguinate dai soldati); un’urna con la terra e sabbia del Don e gli stemmi delle tre ‘divisione alpina’, Tridentina, Julia e Cuneense’; un inginocchiatoio con una preghiera poesia di Zanotti.    Uno speciale gemellaggio lega questa cappella all’omonima di Mestre dei padri Cappuccini,  dove si trova la tela originale della Madonna,

==Al piano, le cappelle laterali sono dedicate ai vari santi. Nel 1955 don Baldan ancora vicario capitolare, alla mostra di Arte sacra di Milano, aveva preso contatto con i vari artisti; tra tutti scelse Consadori, Filocamo, Longaretti; l’iniziativa di ‘un mattone per mille lire’ mirata a finanziare gli affreschi ebbe sufficiente riscontro popolare.

1)    Altare di don Bosco: offerto dalla fam. Giovanni Bruni, è una grande tela di P.G.Crida del 1918, usata nel 1934 per i festeggiamenti della canonizzazione a san Pietro ed a Valdocco (To , prima casa salesiana) , e donata nel 1960 dall’economo generale don Fedele Giraudi a Sampierdarena in segno di gemellaggio spirituale tra le due case, per sostituire la tela di Antonio Schiaffino distrutta nel bombardamento. 

   

 

2)      altare di santa Maria Domenica Mazzarello e sante:  la suora (1844-1881) fondò l’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice per l’educazione della gioventù femminile, sulla stessa traccia di don Bosco per i maschi ;  poco prima della morte, fu ospite in questa casa .  Si venerano anche santa Teresa del Bambino Gesù: la santa (1873-1897) è patrona delle Missioni; santa Rosa da Lima : la prima giovane vergine (1586-1617) canonizzata nel continente americano; santa Maria Goretti : la vergine e martire, considerata il simbolo della purezza vissuta dal 1890 al  1902; la venerabile Laura Vicuña allieva dodicenne (1890-1902) delle Figlie di Maria Ausiliatrice della casa cilena , denominata “il fiore della pampas”. (d.Miscio include santa Rita al posto di santa Rosa). L’affresco è del maestro G.M.Aicardi dell’Accademia Ligustica di Belle arti genovese.

3)        l’altare di san Domenico Savio con dei giovani: offerto dalla famiglia Stura, fu affrescato da Luigi Filocamo nel 1958, il quindicenne allievo di don Bosco (1841-Murialdo 9.3.1857 è il più giovane degli oratoriani divenuto santo tra i non martiri; le figure che lo circondano sono ritratti di giovani confratelli. Fu canonizzato da papa Pio XII  il 14 aprile 1954).  L’urna fu portata in processione a san Pier d’Arena nel febbraio 2004 (del peso di 350 kg., è rappresentata da una statua in cera ed una teca portareliquie contenente alcune ossa. Nel 50enario della canonizzazione, proveniente dalla casa salesiana di Vallecrosia dopo passati per Alassio, Savona, Varazze e poi proseguente per Quarto e LaSpezia, eseguendo un pellegrinaggio per tutte le case dei confratelli d’Italia. Viene definito il santo dei giovani e della allegria)

4)                  l’altare di Maria Ausiliatrice: affrescata da Luigi Filocamo nel 1958, è la più cara ai salesiani, considerata la Madonna di don Bosco, a cui lui si rivolgeva nei momenti difficili.                                                                                                                                

5)     l’altare del Sacro Cuore affrescato da Luigi Filocamo nel 1958, rappresentativo di una devozione particolare da parte dei Salesiani.  L’affresco fu finanziato da un ex allievo, MantelliGiacomo. Il primo disegno lasciò perplessi sia gli esperti d’arte che l’autore stesso per l’espressione di estremo languore sul volto del Redentore; così Filocamo ne disegnò un secondo.

6)     l’altare di san Gaetano, offerto da Costantino Dagnino, inaugurato il 4 gennaio 1962 ed  affrescato l’anno prima da Trento Longaretti (direttore della Accademia delle Belle Arti di Bergamo). San Gaetano, assieme a don Bosco, è patrono della Parrocchia e ricordato come il “santo della Provvidenza”; al centro dell’immagine tiene per mano il bambinello Gesù; a sinistra ha san Francesco di Sales (1567-1622, vescovo, dottore della Chiesa, e titolare di tutta la Congregazione salesiana) che intrattiene alcuni bambini; a destra ha la paterna figura di  san Vincenzo de’ Paoli  (1581-1660, santo della carità ed antico titolare dell’Ospizio, prima che divenisse ‘Istituto don Bosco’)  che –anche lui- intrattiene dei bambini poveri. Sullo sfondo la città, irta di ciminiere ed abitata da un popolo operaio in case con i panni  stesi alle finestre ad asciugare.

7)     altare di san Giuseppe e della sacra Famiglia, affrescato da Silvio Consadori nel 1957; è patrono dei lavoratori, della buona morte e di tutte le famiglie cristiane .  

8)     la Pietà (o della Deposizione, o delle Anime): affresco di Luigi Filocamo del 1957 . E’ anche riconosciuto come “altare delle anime” perché luogo di preghiera per i defunti . Vi  è deposta anche un’urna, con le ceneri di don Giulio Nervi, parroco durante gli anni della ricostruzione.

==Dietro l’altare centrale, nell’abside che prende luce da altre 5 monofore, c’è l’ organo a canne costruito dalla ditta Parodi Marin di Bolzaneto, inaugurato la sera dell’insediamento a parroco di don Gastone Baldan l’1 novembre 1956. Fu tenuto un concerto suonato dai maestri Giacomo Pedemonte (professore d’organo al liceo musicale N.Paganini), e  Luigi Loss (salesiano organista a LaSpezia).

==Nella pinacoteca parrocchiale, esistono due pale lignee rappresentanti una  la crocifissione e l’altra la chiesa di san Gaetano,  dipinte dal salesiano Bilick nel 1950; due statue lignee del XVIII secolo, rappresentati le virtù della Speranza e della Carità, già ospitate nella colonia Piaggio- albergo dei fanciulli- di Torriglia;  la Madonna del Melograno o della Provvidenza del XVIII secolo, già pala dell’altare maggiore dell’Albergo dei fanciulli di salita Oregina 37, con cornice argentea firmata; una Comunione di San Luigi, tela di L.Gainotti del 1905; la Visione natalizia di san Gaetano in una tela di A.Bianchini; un Cristo Nordico, da Mannheim, del 1946; una Madonna della Misericordia del 1703 in marmo bianco, una Ausiliatrice di 150 cm, ambedue  già presso l’albergo dei Fanciulli; una Ausiliatrice di 170 cm lignea, dello Stuflesser di val Gardena, ed un Sacro Cuore ligneo, provenienti dalla vecchia chiesa di san Gaetano; una Madonna, tela del 1700, dono di Maria Ferrando, conservata negli uffici parrocchiali.

Dopo la ricostruzione, a don Nervi seguirono l’incarico di parroco, i sac. don Baldan Gastone (11/11/1956-67), don Bassano Angelo (1967-75), don DeGrandis Riccardo (1975-87), don d’Alessandro Gianni (1987-99 prevosto, aveva come vice don Bettin Giuseppe, don Carattino Mario, don Galzignato Antonio) don Colaiacomo Giorgio (-1999), don DeGrandis José (fratello dell’indimenticabile predecessore don Riccardo, promosso nel 2004 a nuove cariche ispettoriali. Nel 2002 aveva come viceparroci don Galligani Guido, don Carattino Mario, don DeCrescenzo Roberto, don Lorenzelli Alberto e don Mazzolo Livio). Dal 2004, subentrò ad interim, don Stefano Pastorino, finché nell’ottobre 2006 prese la continuazione delle redini parrocchiali don Piero Borrelli (nato a Fossano nel 1942, sacerdote dal 1970, pastore a Vercelli,  Asti).

 Dal 1972, i parroci salesiani divennero autonomi, sia giuridicamente che economicamente e religiosamente, non più dipendenti dal direttore dell’istituto.

Nel 2002 la parrocchia gestisce un vasto territorio abitato da 15mila anime. In esso sono comprese le strutture religiose salesiane de l’Oratorio maschile con cinema; Oratorio femminile (suore Figlie di Maria Ausiliatrice); Ispettoria Ligure-Toscana; Istituto (scuola e centro linguistico); Centro di Orientamento scolastico professionale (consultorio psico-medico-pedagogico-sociale); le Figlie di Maria Ausiliatrice; Libreria Elledici.

L’ oratorio, che all’inizio dell’attività salesiana era limitato allo spazio antistante la chiesa, aperto solo nei giorni festivi per tutti i giovani della città, col nome di “san Gaetano”, venne poi trasferito nell’ex proprietà dei march. Durazzo Pallavicini (mentre le fanciulle avevano la casa chiamata “delle figlie di Maria Ausiliatrice”),  viene descritto in via san Giovanni Bosco

 

===civ. 17 antico cimitero distrutto nel  1951 e l’attuale denominazione di  Tempietto: In origine era un’area utilizzata a cimitero, chiamato “cimitero

  

anni 1980 e ... 1992

 

di san Gaetano”; non si sa quando fu aperto,  ma si può presumere che avvenne in corrispondenza delle gravi epidemie, allora dette ‘contagio’, quando per il numero eccessivo non si poté ottemperare all’usanza della sepoltura in chiesa e si addivenne a compromessi pratici (come quell’ enorme ossario ritrovato nelle mura dell’Acquasola). Tra tante, più famose la peste di manzoniana memoria del 1630 che a Genova arrivò in coda, due anni dopo circa; ma altra peggiore del 1656 con –nel nostro borgo- oltre 5mila morti  su 6mila abitanti. La zona, essendo a quei tempi in  periferia rispetto al paese, si offriva a quell’uso; anche considerato che la chiesa a fianco essendo ad uso privato non era aperta a tutti (se non in certi orari).   Comunque –non so quando- il terreno era divenuto di proprietà comunale, e conteneva un numero straordinario di salme, tumulate in campo aperto.

Negli anni attorno al 1800, le leggi napoleoniche imposero l’apertura di cimiteri lontano dall’abitato.

Il 15 maggio 1823 tal Giuseppe Parodi da SestriPon acquistò un “pezzo di terra aderente al cimitero presso la chiesa di san Gaetano, per la somma di £.200, per formarvi, in questo, la prospettiva esterna e l’ingresso a detto Camposanto”.

Dalla relazione del sindaco,  fatta all’Intendente Generale nel nov.1831  

–si legge che nel 1797 era stato aperto un cimitero (Questo, in prima relazione, viene chiamato essere “alla Cella”. Infatti Tuvo riporta la relazione del sindaco Gnecco, nella quale afferma che «I cimiteri esistenti sono quelli esistenti presso la parrocchia di NS della Cella e san Martino, distante dall’abitato 25m  e lungo 28x16; e quello esistente  presso la chiesa di s-Bartolomeo di Promontorio. Quest’ultimo camposanto appartiene alla città di Genova ove vi si portano a tumulare parte dei suoi defunti e del quale si serve pure la parrocchia di Promontorio. É sufficiente. Quello della Cella costrutto con bellissima architettura da circa 35 anni (quindi nel 1797 circa, nda), è più che sufficiente ai bisogni di questa popolazione e sebbene non presenti distanze regolamentari dall’abitato, è comodo e bella la disposizione delle sepolture ben mantenute. Eventualmente ha alle spalle del terreno per un suo ampliamento».   Poiché la risposta dell’Intendente fu negativa, si ribadisce che detto cimitero ‘della Cella’ in realtà è in san Gaetano “il cimitero predetto non trovasi precisamente alla distanza dall’abitato, prescritta dal manifesto Senatorio, anche se appare come fosse in campagna, quasi all’estremità di questo sobborgo verso tramontana, luogo detto di San Gaetano , sempre ventilato, tenuto con la massima decenza e precisione per cui non s’ebbe mai a sentire in detto luogo la manoma putrida esalazione...il Consiglio comunale  delibera all’unanimità che sia conservato il già esistente cimitero...”

Si evince da quanto sopra che dapprima il Comune cercò di non esporsi a nuove spese. Di fatto a dicembre 1832 ridelibera ed approva il progetto che vede ampliato il cimitero in atto (di san Gaetano) –nella relazione si legge “cimitero nella nota villa Parodi”, motivando la scelta –sia per affezione religiosa che la popolazione da gran tempo conserva; sia per il risparmio. E nel 1836, sotto la direzione dello Scaniglia, impresa Francesco Boccardo, viene eseguito collaudo dei lavori fatti di costruzione del nuovo cimitero. Per alcune tombe da rifare o disfare, la fabbriceria chiama in causa il Comune, essendo di sua competenza; questo forse anche in relazione che il Comune il 17 maggio 1837 compra la proprietà di  Giuseppe Parodi fu Andrea, –per £.nuove del Piemonte 5490: un terreno, vicino al cimitero, per allargare il precedente: questa area è in san Gaetano, coltivata (vigneto e semina), e viene chiamata ‘villa di san Giovanni Battista’.

   Appena insediato nel 1839 il nuovo sindaco Mongiardino Bartolomeo (già due mandati sindaco nel 1833 e 35- succeduto all’avv. Tubino non eleggibile avendo appena svolto doppio mandato) delibera la concessione di spazio per le tombe private dando regole precise al becchino (Dagnino Nicolò) su come fare le fosse, chi seppellire gratis (indigenti, ovvero chi neanche pagava il prete), suo stipendio (£.nuove 80/anno), taglio dell’erba, chiavi, ecc.

   Ma alla fine il Municipio del borgo sampierdarenese dovette optare per la zona a monte, dagli Angeli, –vallata detta Castagna-, già utilizzata come posto di sepolture in tempi precedenti, sia di ‘contagi’ che di guerre (tipo quella del 1747) e la adibì allo scopo, cosicché da allora il cimitero di san Gaetano o di via san Martino andò via via dismesso salvo in occasione di ennesime epidemie infettive (come il colera nel 1835, anno in cui fu costruito il tempio in muratura. Remedi scrive che fu progettato nel 1828 dallo Scaniglia stesso), comunque definitivamente dopo il 1878. Però, morto 79enne, il 30 genn.1880, l’arch. Angelo Scaniglia -curatore di molte valenti opere in città e consigliere comunale – si tentò seppellirlo “nella chiesa di san Gaetano dove fu eretto un monumento in sua memoria“. Non potendo essere in chiesa vera e proprio, per le leggi di cui sopra si scrive che fu inumato nel Tempietto, tra i tumuli e le lapidi poste sulle pareti; non si conosce la fine fatta di questa sepoltura, a scapito di una parte di memoria di storia locale.

   Negli anni 1891-9 , fu utilizzato come giardino, delimitandolo con una cancellata in ferro (con un costo di intervento pari a 27mila lire).

   La giunta comunale, nel 1900 valutò l’idea di sfruttare questa area per costruzioni; ma i conteggi di bonifica del terreno dichiararono l’operazione in perdita.   Così tale idea restò inattuata,  finché il 22 sett.1904 in municipio davanti al notaio Luigi Perroni e due testimoni (geom Mario Gancia ed Antonio Mongiardino rispettivamente segretario ed impiegato comunale), il sindaco N.Ronco ed il tesoriere comunale sig. Eugenio Montano fu Nicolò, (abitanti in San Pier d’Arena , ed a nome della Giunta)  vendette a don Bussi Luigi parroco di san Gaetano ed agente in nome dell’Ospizio di san Vincenzo, ed altri 5 sacerdoti tutti rappresentanti l’Opera torinese e di fatto i veri acquirenti che Miscio descrive essersi divisi la proprietà col metodo detto “tontina” basato sul passaggio diretto ai superstiti  man mano che uno di essi  morirà, fino all’ultimo che fu nel 1935 don Stefano Trione  il terreno di 3026 mq. (+altri 42 mq già affittati all’istituto),  la chiesa (o cimitero coperto, di 1059 mq) ed il piazzale antistante (195 mq). I sacerdoti si impegnarono a pagare 65mila lire + spese notarili , ed a conservare l’insieme -comprese alcune tombe  di proprietà privata- , con buona manutenzione e solo poche modifiche codificate nel trattato di vendita (come il tetto da rifare; i muri invariabili, salvo aprire qualche finestra ed una comunicazione diretta con la chiesa; cambiare posizione dell’altare. La manutenzione delle tombe rimane ai parenti possessori).  In contemporanea cedettero al Comune una fetta di terreno necessaria per allargare fino a m.10 la strada a mezzogiorno (via don G.Bosco) a confine con la proprietà Rebora-Cristofoli , ove il Comune si impegnò di alzare un muro di cinta che rimarrà proprietà dei salesiani; ed un’altra fetta di terreno a nord (via W.Ulanowsky) per aprirvi il vicolo che dovrà collegarsi alla strada comunale prevista ad est (via P.Cristofoli) ; venne eliminato il condotto d’acqua che scorreva sotto vico dei Landi, spostandolo  nella nuova strada a sud (in via don G.Bosco) e permettendo la eliminazione del vico stesso che verrà inglobato dall’istituto .

     Il marzo dell’anno dopo, i sacerdoti provvidero al solenne trasporto dei morti interrati, nell’ossario comune del cimitero della Castagna, liberando l’area utilizzabile ad altri scopi.

  Nel 1932 il Tempietto fu ristrutturato (ditta Stura), con rifacimento del tetto in cemento armato e lievemente più rialzato, in modo da poter aprire delle finestre sui lati. Fu rifatta la scalinata d’accesso usando l’ardesia apuana; rifatta la facciata (espressa come i templi antichi a pronao neoclassico, con sei colonne doriche scanalate avanzate rispetto la facciata da formare un porticato; nel frontone  la scritta  “teatro il Tempietto” , e sotto -al centro- un festone con lo stemma cittadino -ed ai lati- fregi con maschere, fiaccole e fasti ; la porta rastremata è leggermente ristretta in alto (come si usava nella primitiva arte neoclassica)); fu aperto un accesso interno, e ristrutturato il tutto a vera e propria chiesa: conservate le colonne portanti, decorato il soffitto, creata una ampia cantoria raggiungibile con una scaletta a chiocciola e dalla quale si può accedere ai terrazzi laterali esterni.

     Nel Pagano/33 è ancora presente, classificato di 3.a categoria, aperto al pubblico nei giorni festivi .

    Nell’incursione aerea del 30 ott.1943,il tetto rimase danneggiato; alla distruzione della chiesa parrocchiale, appena fu rifatto il tetto il tempietto supplì le funzioni di sede parrocchiale.

      Nel 1955, la Cappella detta dei morti o del suffragio, che per tanto tempo negli anni precedenti aveva funzionato come chiesa parrocchiale, subì una ‘messa a punto’ dalla ditta dell’ing. Pietro Stura. Alla fine fu dotata di un altare in marmo, e fu dedicata a san Domenico Savio.       Don A.Miscio confessa, senza dire i nomi (“li abbiamo negli occhi questi salesiani e ci piacerebbe dirne il nome, se non fosse che ci vergogniamo un poco anche noi di dire cose che sarebbe bello tacere, e più bello sarebbe se non fossero capitate”), che negli anni subito posteriori al 1960la furia notturna e profanatrice di alcuni salesiani, che con azione vandalica…con ben organizzata premeditazione una certa notte si sono dedicati a spezzare steli, diroccare monumenti funebri, profanare tombe erette in onore anche di personalità defunte nel secolo precedente”. Il fatto, in spregio a quanto  promesso; sempre a scritto del Miscio- il sindaco N.Ronco in seduta straordinaria aveva relazionato il Consiglio su perché l’area fosse stata ceduta ai salesiani, a quale prezzo ed a quali condizioni; e dopo un breve dibattito in aula comunale “dà (sic) conferma che tutte le garanzie per il rispetto delle tombe e dell’ufficiatura sono state prese e verranno rispettate…”. Personalmente ricordo vagamente le varie lapidi e statue più o meno in rilievo diffuse sulle pareti; lo scopo di questa devastazione fu -presumibile- per dare veloce agibilità al teatro come programmato, un rapido ‘fai da te’ alla Tex Willer senza così dover provvedere al lungo iter burocratico di salvaguardia che impone la  segnalazione a chi è predisposto allo scopo (vedi Miscio,vol.I pg.257).

      Nel 1982 vi nacque il ‘Centro Cultura don Bosco’. Iniziando con un pianoforte a coda e mostre d’arte sacra, essendo destinato a teatro scomparvero tutte le lapidi funerarie laterali, si costituì ufficialmente il Centro (1983) con atto notarile (n.Ansaldo);  si costruì l’attuale palcoscenico (1984)  utilizzando del zetto di scarto sotto la consulenxa del m° Augusto Colombara; si migliorò l’acustica per i suoni (di musica folkloristica e classica, collegandosi con il conservatorio Paganini); nello stesso anno si istituì con atto notarile il premio ‘Rosetta Mazzi’ dedicato a genovesi conosciuti nel mondo (il primo di essi, fu asegnato ad Elisabetta Pozzi); si utilizzarono dei colombai  vuoti del vecchio cimitero per aprire dei camerini e servizi; si rifecero (1985) tendaggi, impianto elettrico, poltrone (ricuperate dal cinema Palazzo) e riscaldamento, il tutto a norma di legge; con l’aiuto di alcuni commercianti vicini, di volontari, del coro Amici della Montagna e della Squadra Sollevamento Pesi,  sulla restaurata facciata si scrisse ‘teatro il Tempietto’ ristrutturando anche la scala d’accesso in ardesia.

Vennero presentati corsi di medicina preventiva per scuole medie e superiori; incontri di politica e di informazione religiosa (centinaia di  docenti di licei nei vari anni si sono espressi in confronti con la popolazione ed in convegni ), concerti, prosa dialettale e filodrammatica.

     Nei fondi, sotto il pavimento attuale, nato si dice con le lastre tombali rovesciate ed utilizzando il retro, ancora esistono loculi e tombe di privati (e quindi non alienabili), tra cui anche statue di pregio. Nel 1989 furono riconosciuti gli ammodernamenti come eseguiti nel 1987-88; aveva 280 posti in sola platea; con palcoscenico di 95 mq., alto 1,1m., senza buca del suggeritore; grosso sipario di m.9x4,5; tre camerini; consolle per cabina regia; attrezzato a portare scene; poltroncine in legno imbottite; pavbimentato in marmo; riscaldato da termosifoni;  impianto acustico stereo da 50w con diffusori.

    Nel 2001 sono state rappresentati ben 20 spettacoli di commedie in dialetto, una in lingua madre, una di musica dialettale ed una di musica operettistica-romanze. Alla presentazione della stagione teatrale, viene assegnato il premio Claudia Grassi, nato nel 1997 per la migliore attrice in dialetto. Nel 2004 il teatro –responsabile artistico Arnaldo Rossi- ha puntato sul ‘dialettale’ con 19 commedie di altrettante compagnie.

=== a fianco nord del Tempietto, si fa accesso al Cinema, ex teatrino dell’oratorio femminile (dove furono ufficiate le messe subito dopo la distruzione della chiesa e prima che fossero poi trasferite nel Tempietto). Restaurato a sala cinematografica e dedicata a don Bosco, fu sede del Cineforum (anni’60, con proiezione e dibattito) e che poi dal 1987 dopo ammodernamento di rivestimento con panno ignifugo e mattonelle di gomma, divenne gestita dal “club amici del cinema” con programmi ben precisi e di qualità, utili per la sopravvivenza (in un periodo in cui quasi tutti i locali simili, chiudono per carenza di spettatori). Nel 1989 fu classificato “parrocchiale” per la gestione esercente; con 267 posti a sedere –dei quali 219 in platea, il resto in galleria-; senza palcoscenico; poltroncine imbottite; impianto acustico Dolby-stereo; riscaldamento a radiatore; tre proiettori dei quali due a 35mm ed uno a 16mm.

===civ.19  nel 1963 divenne civ.54 di via Ulanowsky ed il numero appare trasferito all’ingresso delle  suore, figlie di Maria Ausiliatrice

   Il  25 ott.1881, a cinque suore residenti a Nizza Monferrato, fu ordinato di arrivare a San Pier d’Arena per iniziare una attività a servizio dell’Ospizio san Vincenzo de Paoli diretto dai PP. Salesiani (era papa Leone XIII, re  Umberto I , ed arcivescovo mons. Salvatore Magnasco): così suor Mazzarello Petronilla (divenuta direttrice e poi proclamata beata nel dic.1938) assieme a Cossi Ambrosina, Masuero Carolina, Stardero Maria e Bologna Filomena (poi altre, fino a 12 suore e varie novizie), si stabilirono in un locale attiguo al convento (una topaia, scherzosamente chiamata “il Vaticano”) in cui rimasero sino alla demolizione nel 1925 quando fu eretta (12 giu.1927) una nuova residenza (dall’impresa Stura). Lo scopo era di curare la biancheria (dei sacerdoti e dei ragazzi), cucina per tutti , e punto di riferimento per le suore prossime ai viaggi missionari, nonché la gestione pratica della chiesa .

   Nel 1884 si assunsero anche l’incarico dell’oratorio femminile, chiamato centro giovanile Maria Ausiliatrice, e del vicino teatrino: iniziando con poche bambine, nel 1904 contavano già 880 bambine .

   Nel genn.1909 ospitarono per vari mesi, un centinaio di donne e bambini profughi dalle zone  terremotate di Messina (28 dic.1908); nel 1919 furono riconosciute dalla Croce Rossa Italiana meritevoli di un premio di Medaglia d’argento di 1° grado al merito civile.

   Dopo la guerra, aprirono sede ad un asilo e scuola materna.

 

Via W.Ulanowski

Questo isolato inizia con all’angolo il civ. 129r. I palazzi nacquero su edifici industriali portanti la stessa numerazione, demoliti e sul cui sedime furono pressoché subito riassegnati ad edifici eretti con indirizzo abitativo rispettivamente  il 29 nov ed il 15 mar.1960. Essi aprono i loro due portoni ===civv. 21e 23,  sono nella lunga galleria che inizia dopo il civ.79 e contiene numerose attività commerciali con altrettanti civici rossi; è sempre di competenza di via C.Rolando, ricca di ambiti commerciali, e che finisce -lato a mare- con l’ufficio delle poste italiane.

Nel civ.21 all’interno 14 ha sede la locale  “UNITRE” ovvero l’Università delle tre età,  facente parte della Associazione nazionale università della terza età con sede a Torino; la notra sezione nacque il 28 novembre 1987 seguendo lo statuto associativo per cui basata sul volontariato senza fini di lucro e la cui finalità è espressa art. 3 dello statuto, nel cui comma a) recita: educare, formare ed informare, fare prevenzione, promuovere la ricerca, aprirsi al sociale, operare un confronto e una sintesi tra le culture delle precedenti generazioni e quella attuale al fine di realizzare una ‘accademia di umanità’ che evidenzi l’essere oltre il sapere.

Quindi ‘organizzazione non lucrativa di utilità sociale (Onlus)’, che svolge i corsi in circa 15 sedi locali, utilizzando circa 115 insegnanti per oltre 100 corsi (alcuni a vari livelli) intellettuali e pratici.

===il civ. 119 è al lato monte della galleria, ed affianca, successivamente la sede della banca san Giorgio.

===125r l’erboristeria Mancini.

===civ. 25 è unico portone per due scale che, senza ascensore, portano ad appartamenti di uso popolare.

===civ. 137r finisce l’isolato, un negozio di pescivendolo

 

via V.Armirotti

Questo isolato comprende vari negozi che vanno dal civ. 139r al 151r

 

Via Currò. In prosecuzione di v. BAgnese;  la metà strada separa la UU24 – Campasso,  dalla UU25-san Gaetano.

 

 foto 1919

  

processione                                                                       foto 2008

 

===civ. 153-155r è d’angolo il bar-pasticceria Arnoldi. Negli anni subito dopo la 2ª guerra mondiale, la gestione era della famiglia Graglia che, a sua volta- l’aveva rilevata dal “Caffè e liquoreria Gina Rossi”. Ad essi succedettero negli anni ’70 i fratelli Arnoldi che, molto onorevolemente hanno portato avanti l’esercizio sino al 2006 quando da essi fu ceduto all’attuale___

===civv. 27-33:  lungo caseggiato popolare, progettato dall’ing.Adriano Cuneo a scopo sociale, approvato nell’ott.1907, che dietro una sola facciata ha quattro distinti nuclei abitativi accomunati dalle decorazioni di gusto liberty (motivi floreali, i poggioli in ferro battuto, il grande motivo centrale a fiore). L’ultimo, civ.33, è  del 1910 circa.

===civ. 183r finisce  l’isolato

 

via C.Bazzi

 

L’ultimo isolato, inizia con il 185r

===civ. 35:  attualmente è l’ultimo palazzo della strada.

Fu costruito negli ultimi anni del 1800, con i servizi igienici aperti in cucina, come era uso in quei tempi. Nel maggio 1908, ancora in via A.Saffi, era il civ. 85; in questi anni e fino ancora sino all’ultimo conflitto mondiale, era soprannominato ‘il palazzo dei poveri’ o la nomea di  ‘casa di sgrûzzi’; perché in tutto il secondo piano i gestori (Calderara Roberto e la consorte Rosina, che occupavano per loro due stanze all’int. 6 -che ora è il 7-)  affittavano stanze a pochissimo prezzo, e quindi a venditori ambulanti o mendicanti, e sul portone troneggiava un’insegna in latta segnalando “alloggio, piano 2°” ; quando i due cedettero l’attività, venne proseguita solo nell’appartamento 6; anche questa  venne a cessare nel 1934 quando l’appartamento fu venduto ad Andrea Vernazza, proprietario del negozio di scarpe sottostante -e poi trasferito nei locali di fronte al portone- chiamato da tutti ‘Dria o caègâ’; in seguito, circa nel 1948, acquistando anche il sottostante appartamento –oggi interno 3-, si congiunse a questo tramite una botola e scala interna per far utilizzare l’appartamento del primo piano –ora uno studio medico- ad uso del figlio Alberto laureatosi in biologia  per la gestione –anni 1970- del ‘Laboratorio di Analisi chimiche-cliniche Bios’ diretto dal prof. Arcuri).

Il 30 ott.1943 una bomba aveva distrutto - da tetto a strada - tutto l’angolo a mare; quando nel 1948 avvenne la ricostruzione, alla cessione dell’abitabilità (11 magg.1950) causa modifiche agli appartamenti, tutti i numeri interni furono sovvertiti e spostati di un numero in più.

===civ 37:  prima della guerra, ultimo palazzo della via era questo civico:  risulta parzialmente demolito nel 1951. Palazzo detto dei “tre santi”, per la presenza sulla facciata – presso l’architrave del portico -  di tre medaglioni con effigie –ai lati- della Vergine orante e di sGiovanni; al centro, un mezzobusto di un santo sconosciuto sovrastato da una aquila ad ali spiegate; i tre medaglioni si suppongono di provenienza dall’antica chiesa retrostante. L’intero edificio venne distrutto da una bomba  e ricostruito dall’ago. 1950 ma modificato per allargare vico Cicala (via A.Caveri): fu eretto più stretto - ma in compenso più profondo - con facciata e portone aperti nella nuova strada via A.Caveri (civ.1). Nel momento della ricostruzione, pare che nel porre le nuove fondamenta, furono trovate tracce di un cimitero (ossa umane) e un muro -non chiarito allora- se dell’oratorio di san Martino o della vecchia omonima abbazia (v.vico Cicala);  il tutto rapidamente coperto per non rallentare i lavori iniziati.

La strada  finisce con il 205r, macelleria, posta all’angolo con

via A.Caveri.

 

DEDICATA all’operaio dell’ UITE (Unione Italiana Tranway Elettrici, attuale AMT), nato a Strevi di Al. (vicino ad Acqui) il 19 genn.1879, battezzato col nome di Carlo Zaccaria. Fin da giovane, cresciuto a San Pier d’Arena in via delle Grazie dove la madre aveva un negozietto di stireria, era convinto socialista e  si assunse l’onere di mantenere attiva la propaganda antifascista anche quando in età matura -1943- si era trasferito d’abitazione a Campomorone. Col settembre di quell’anno, divenne parte determinante nei movimenti partigiani, partecipando alla fondazione del CLN di Campomorone (a cui fu iscritto il 1 gennaio 1944, in rappresentanza del PSI).

 La sera del 7 ago.1944, a seguito dell’uccisione di due militi delle brigate nere (detti republichini: erano Guido Rispoli ed Adalberto Bellotti, in giro d’ispezione nella Valle Verde) che a Campomorone avevano chiesto ad un passante i documenti di identità ricevendo in cambio  alcune mortali pistolettate, il Rolando fu prelevato assieme ad altri cinque cittadini sospetti ma innocenti del fatto (Felicita Noli (staffetta partigiana-vedi); il farmacista del paese Antonio Gavino (filantropo fondatore della P.A. Croce Verde); Mario Manzoni (attivista del PCI, operaio nell’Ansaldo); Benedetto Cambiaso (falegname); Carlo Pestalozza (ex ufficiale di marina, impiegato presso la ditta Sanguineti, arrestato per caso ed unico a salvarsi in modo fortunoso)).

Dopo sommario interrogatorio tra insulti e minacce, nella mattina dell’8, furono fucilati  (la data di morte sulla targa, è quindi errata) senza un regolare processo e quindi per pura rappresaglia.

Ad essi andrebbe aggiunto Aldo Gaggero, impiegato bancario e sfollato a Campomorone, che venne ucciso con un colpo alla nuca nella piazza del paese poche ore prima della fucilazione, avendo espresso un giudizio sprezzante (credo abbia detto “due di meno”) sui due militi fascisti uccisi la sera prima.

Sotto stretta sorveglianza della Guardia Repubblicana, il 10 agosto il parroco don Guido Corsi potè celebrare una messa di suffragio delle vittime,  prima che fossero inumate nel cimitero locale.

Era un periodo di imboscate ed offensive (che la Suprema corte della Cassazione nel 8/2007 ha ribadito essere “legittimi atti di guerra”), con conseguenti rappresaglie a base di fucilazioni di innocenti e violenze; frequenti le parallele contro rappresaglie; il tutto in una spirale perversa di insanabile odio reciproco.

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ROLLA                                    via privata Rolla

 

 

Nome non ufficiale, usato popolarmente per indicare la strada che portava alla proprietà di Francesco Rolla, in zona Fiumara, estesa lungo il torrente Polcevera,  dalla riva del mare ‘crosa comunale detta alla Fiumara’,  alla ‘crosa comunale del Ponte detta crosa del Ponte’.

La zona, nella carta del Vinzoni del 1757, è ancora proprietà dei Crosa. Neanche appare il nome in quella del Porro del 1835 ma già c’era poiché sappiamo che nell’anno 1800, nel dare nome alla via Bombrini, si definì la strada che passava davanti alla cappella Rolla.

E nel 1827 quando le suore Pietrine si insediarono nella ex proprietà dei gesuiti, trovarono in Francesco Rolla uno dei più munifici sostenitori.

1846 - All’Esposizione Internazionale fu consegnata una medaglia d’argento ai fratelli Rolla, da poco trasferiti a Voltri, eredità di un cotonificio dal padre Francesco fu Felice che aveva iniziato alla Fiumara e che fu migliorato passando dalla filatura a mano a quella a macchina.  Si accenna poi a “ il leggiadro e vivo color rosso del Signor Rolla fu apprezzato e ricercato dalla stessa Inghilterra che al principio lo pagava fino a Ln 10 il chilogramma; Livorno, Napoli e il Piemonte gli spediscono ancora i cotoni per tingerli. La sua tintoria è allo sbocco della Polcevera con acqua corrente e caldaje mosse in moto dal vapore capaci di oltre a 50 chilogrammi di cotone; la più estesa è in rosso colla robbia in Sampierdarena, altra pure ivi in rosso con allume e sommaco.”.

Nel 1851, in un capannone di proprietà dei Rolla posto in zona Mercato venne fondata la società di Mutuo Soccorso dell’Unione Umanitaria, che rappresentò il primo nucleo di associazione sull’onda del quale nacque poi nel 1870 l’A.Operaia Universale di M.S. di San Pier d’Arena, tutt’ora viva e con sede in via A.Carzino, 2. Di tutte le società di Mutuo Soccorso ancora in vita, è la più vecchia assieme ad altre due in città.

Quando nel 1853 il Taylor cercò acquistare i terreni del “Prato dell’Amore” (vedi) il quale aveva a nord-est la fabbrica di amido di Pescetto ed i baracconi ad uso saponeria di un Pallavicino; ed a nord-ovest  -fino al torrente- la proprietà Rolla, fratelli impegnati in una tintoria. La ferrovia verso Voltri, tagliò il terreno in due parti (una rimase a sud ovest della ferrovia e l’altra a nord ove verrà eretto un nuovo capannone parallelo al torrente).

1869 la fabbrica di cotone produceva maglie ma era anche tintoria; con macchine circolari perfezionate che impiegando venti operai,  produceva per 75mila lire. Il più del personale –32 operai- erano donne;  ed un 15% fanciulli. Il direttore percepiva £.4 di stpendio).

Tutta la proprietà di Felice Rolla fu venduta nel 1885 all’Ansaldo.

Si è scritto che dei Rolla era anche la Cappella omonima (descritta in via Fiumara Vecchia), posta vicino alla foce del torrente, eretta  nel 1826 e completata nel 1838, di forma rotonda, con un solo altare sul quale troneggiava la preziosa statua dell’Immacolata scolpita da Filippo Parodi (qui trasferita da un palazzo genovese acquistato dai sigg.ri Rolla; a lungo si credette essere opera del Puget. Ora è alla Cella). Questa cappella visse sino all’acquisto dell’Ansaldo, il quale la demolì; perché sappiamo che vi officiava il famoso pré Giordan prima di divenire – nell’ultima decade del 1800- cappellano dell’oratorio dell’Orazione e Morte, nel quale fu trasferita l’immagine dell’Immacolata.

 

Nel Pagano/1902 alla voce via Vittorio Emanuele:  all’ 1 Rolla Vittorio e Rolla E. separatamente sono commissionari e rappresentanti, si interessano di articoli tecnici, oli e grassilubrificanti, e fabbricano cinghie per trasmissione, lavorano ferro-acciaio-ghisa, filetti per macchine. tel 813;---

Nel Pagano/61 in via Pacinotti civ.1 (vedi) si pone la società Rolla, Traverso & Storace che nelle prime decadi del secolo -senza i Traverso- era in via Gaggini (vedi) vanta essere il più assortito deposito di materiali siderurgici e non ferrosi della Liguria, con oltre 60 anni di attività. Non so se sono i Rolla di antica data.

DEDICATA

Dall’inizio del 1800 tutta la proprietà Crosa, circa 9620 mq, comprendenti oltre il palazzo padronale, alcune case coloniche ed ampio terreno coltivato ad orti, appaiono già trasferiti (quindi) di proprietà a Francesco Rolla industriale tessile (fabbrica tessuti e tintoria) del borgo, ricco e molto pio, proveniente da Genova in zona santo Stefano, aveva iniziato installando nella zona Fiumara una filanda con quattro telai ed una tintoria; questa -come i mulini- sfruttava i canali d’acqua corrente provenienti dal torrente e con essi riversava direttamente i residui in mare. Era il tipico rappresentante dei primi nascenti borghesi dei primi cinquant’anni del 1800, del post Napoleone -inizio del regno, non aristocratico ma benestante economicamente, con una mentalità ancora imbevuta di tradizionalismo-corporativismo ma non ancora manageriale (come poi appariranno dal 1840 in poi). Invece la sua impresa tessile –sulla quale riversava le migliori energie- diveniva sempre più ‘specializzata’ arrivando a possedere macchine a forza motrice a vapore (quelli non aggiornati e lavoranti con energia idrica, d’estate potevano lavorare poco o nulla per mancanza di energia) ed ingrandendo sempre più, arrivando ad avere impiegati oltre 100 operai, e nello stabilimento munito infine di macchinari a vapore tra i più moderni dell’epoca, si procedeva soprattutto alla colorazioni del cotone e della lana (in particolare la ‘leggiadra e viva’ tinta con un rosso unico al mondo in quanto lavorata con la sabbia della marina locale e con l’unione di altre sostanze quali l’allume ed il  sommaco; talché era molto apprezzata, anche all’estero: dall’Inghilterra e dalla Toscana, Campania, Piemonte venivano qui spediti i cotoni, per essere tinti).

Nel 1841 ha 150 operai; e da 8.000 fusi di quell’anno, nel 1861 era salito a 15mila, divenendo uno dei più grandi produttori di filature-tessiture cotoniere liguri, arrivando a doppiare lo stabilimento (forse a Cornigliano; il dramma era che i telai dovevano essere importati e se si guastavano nessuno sapeva aggiustarli. Numericamente alto era il numero dei telai non concentrati in una  fabbrica ma ancora a produzione tradizionale casalinga ‘a braccia’).

Il nome di Francesco Rolla appare nel 1852 anche come finanziatore della società ‘invenzione Carosio Agostino’ che produceva energia tramite una pila idrodinamica e la creazione di un campo elettromagnetico: dopo 3 anni l’impresa preferì continuare usando un nuovo motore a vapore inventato da Carlo Siemens; ma nel 1866 tutto andò a catafascio e probabilmente fallì. Nel 1871 ricompare azionista con piccola quota della ‘soc.GB Lavarello & C.’ di navigazione con motore a vapore per trasporto emigranti, divenendo un piccolo armatore; l’impresa fallì nel 1883 dopo inizi consistenti.  Come scritto sotto, fu probabilmente l’espansione dell’Ansaldo che come anche per i Dufour, costrinse i Rolla ad orientarsi ‘fuori borgo’, verso Cornigliano, dove trovarono migliore sistemazione.

Negli archivi, oltre a Rolla (Francesco) nel 1861, vengono citati -sempre nel gruppo dei ‘bambagiari’ ovvero della filatura- altri due omonimi, forse parenti: uno stabilimento ’fratelli Rolla fu Costantino’ (un Costantino era figlio di Francesco quindi i fratelli erano i nipoti; l’altro figlio fu Giuseppe) con 12mila fusi, ed uno L.& C.Rolla con 7000 fusi.

Pertanto, e –come detto sopra- probabilmente da prima ancora questa data, tutta la proprietà Crosa, circa 9620 mq, comprendenti oltre il palazzo padronale, alcune case coloniche ed ampio terreno coltivato ad orti, appaiono già trasferiti (quindi dall’inizio del 1800) di proprietà a Francesco Rolla industriale tessile (fabbrica tessuti e tintoria) del borgo, ricco e molto pio, proveniente da Genova in zona santo Stefano, aveva iniziato installando nella zona Fiumara una filanda con quattro telai ed una tintoria; questa -come i mulini- sfruttava i canali d’acqua corrente provenienti dal torrente e con essi riversava direttamente i residui in mare. Era il tipico rappresentante dei primi nascenti borghesi dei primi cinquant’anni del 1800, del post Napoleone-inizio del regno, non aristocratico ma benestante economicamente, con una mentalità ancora imbevuta di tradizionalismo-corporativismo ma non ancora manageriale (come poi appariranno dal 1840 in poi). Invece la sua impresa tessile –sulla quale riversava le migliori energie- diveniva sempre più ‘specializzata’ arrivando a possedere macchine a forza motrice a vapore (quelli non aggiornati e lavoranti con energia idrica, d’estate potevano lavorare poco o nulla per mancanza di energia) ed ingrandendo sempre più, arrivando ad avere impiegati oltre 100 operai, e nello stabilimento munito infine di macchinari a vapore tra i più moderni dell’epoca, si procedeva soprattutto alla colorazioni del cotone e della lana (in particolare la ‘leggiadra e viva’ tinta con un rosso unico al mondo in quanto lavorata con la sabbia della marina locale e con l’unione di altre sostanze quali l’allume ed il  sommaco; talché era molto apprezzata, anche all’estero: dall’Inghilterra e dalla Toscana, Campania, Piemonte venivano qui spediti i cotoni, per essere tinti).

Nel 1841 ha 150 operai; e da 8.000 fusi di quell’anno, nel 1861 era salito a 15mila, divenendo uno dei più grandi produttori di filature-tessiture cotoniere liguri, arrivando a doppiare lo stabilimento (forse a Cornigliano; il dramma era che i telai dovevano essere importati e se si guastavano nessuno sapeva aggiustarli. Numericamente alto era il numero dei telai non concentrati in una  fabbrica ma ancora a produzione tradizionale casalinga ‘a braccia’).

Il nome di Francesco Rolla appare nel 1852 anche come finanziatore della società ‘invenzione Carosio Agostino’ che produceva energia tramite una pila idrodinamica e la creazione di un campo elettromagnetico: dopo 3 anni l’impresa preferì continuare usando un nuovo motore a vapore inventato da Carlo Siemens; ma nel 1866 tutto andò a catafascio e probabilmente fallì. Nel 1871 ricompare azionista con piccola quota della ‘soc.GB Lavarello & C.’ di navigazione con motore a vapore per trasporto emigranti, divenendo un piccolo armatore; l’impresa fallì nel 1883 dopo inizi consistenti.  Come scritto sotto, fu probabilmente l’espansione dell’Ansaldo che come anche per i Dufour, costrinse i Rolla ad orientarsi ‘fuori borgo’, verso Cornigliano, dove trovarono migliore sistemazione.

Negli archivi, oltre a Rolla (Francesco) nel 1861, vengono citati -sempre nel gruppo dei ‘bambagiari’ ovvero della filatura- altri due omonimi, forse parenti: uno stabilimento ’fratelli Rolla fu Costantino’ (un Costantino era figlio di Francesco quindi i fratelli erano i nipoti; l’altro figlio fu Giuseppe) con 12mila fusi, ed uno L.& C.Rolla con 7000 fusi.

Tre generazioni della famiglia Rolla sono sepolti nella cripta della chiesa della Cella (il capostipite morì nel 1860 dedito prima al commercio e lavorazione della seta, poi del cotone).

 

BIBLIOGREAFIA

-Castronovo V.-Storia dell’Ansaldo-Laterza 1994-vol.I-pag. 104cartina

-Costa.Morabito-Universo della solidarietà-Priamari 1995-pag.333           -Novella P.-Storia di Genova-manoscritto Bibl.Berio 1930-pag 32.

 


ROMA                                          corso Roma

 

   Corrisponde all’attuale corso O.Scassi (costruita prima ancora di realizzare il programma di Quota 40), quale strada di base per arrivare al nuovo Ospedale civile eretto nel 1915 col sistema a padiglioni (per meglio poter isolare eventuali episodi infettivi in epoca ancora priva degli antibiotici) architettato dall’ing. Cuneo Adriano. Tutta la cittadinanza, condividendo la necessità, si promosse per collaborare col Comune alla nuova opera; maggiori benefattori risultarono alcuni privati, tra cui vengono ricordati Giuseppe Masnata, Caterina Scaniglia Tubino, GB Moro, GB Pittaluga.

Nell’elenco ufficiale delle strade cittadine, pubblicato dal Comune nel 1910 ancora non c’è stampata ma vi appare aggiunta a penna, indicata come ‘strada di fronte al Nuovo Ospedale’, e che come le altre aggiunte fu ufficializzata negli anni tra il 1914-20.

É del sett.1914 infatti la proposta al sindaco di tale nome per “la nuova grande arteria a monte, della quale già si eseguì il tratto di fronte all’ospedale”; in alternativa fu proposto anche il nome di Maria Mazzini, che evidentemente non fu accettato. In quell’epoca solo via GB.Botteri e via E.DeAmicis (via G.Balbi Piovera che nel 1933 di 4ª categoria), la collegavano col centro cittadino: a ponente risultava ‘chiusa’; ed è lungo quel percorso che i militi e le “ambulanze” della Croce d’Oro, spingevano a mano i malati e feriti.

Il primo maggio 1915 fu apposta una targa sull’arco sopravvissuto appartenente ai giardini di villa Imperiale e ben visibile nella planimetria del Gauthier, in cui si nota che in origine ve ne era un altro a monte della vasca d’acqua localizzata dove ora è l’ingresso principale ed il DEA

Sulla targa è scritto:

«A TESTIMONIANZA DEL GIARDINO CINQUECENTESCO – ONDE – GALEAZZO ALESSI PER VINCENZO IMPERIALE – IL COLLE APRICO – DA VALLE A MONTE – IMPARADISAVA – IL COMUNE --– QUEST’ARCO INTATTO VOLLE RIMANESSE – SIMBOLO DELL’ARTE – TRAVOLTA DALLE ESIGENZE NUOVE --- IL POPOLO SAMPIERDARENESE – CHIAMATO NEL 1° MAGGIO 1915 – AL BATTESIMO DEL CORSO ROMA – NE CONSACRAVA IL RICORDO ---». L’arco è posto a lato mare della strada.

Tramite un tombino   stradale  si può accedere ad una scala -e con essa scendere sino a fianco della base dell’ascensore-  il cui ingresso superiore è di fronte  all’arco.

Il piano regolatore (stilato dall’ing. Pietro Sirtori, assessore, ed approvato il 26 mar. 1925 dal consiglio comunale e reso esecutorio dai vari ministeri competenti)  prevedeva l’allacciamento a questa via sia da est (da via san Bartolomeo, risalendo sul versante a ponente della collina),  che da ovest (proveniente da via A.Ristori, raggiungendo rapidamente la quota 40 per rimanere in piano sino all’allacciamento) ma non fu realizzato né così,  né subito,  causa probabilmente l’annessione nella Grande Genova che fermò ed accentrò tutti i progetti.

Nel 1927 si pubblicò l’elenco di tutte le strade esistenti nel neoformato Comune della grande Genova: oltre al Centro (in cui è rimasta e catalogata ‘extra’), era a Pegli, Pontedecimo e SPd’Arena (ove era catalogata di 4ª categoria).

Il nome fu cambiato dal podestà con delibera del 19 ago.1935.

DEDICATA  alla città con cui Genova ha storia comune lunghissima, dalle guerre puniche (ricordando per primo Magone, fratello di Annibale, che arrivato dal mare, distrusse la città per rappresaglia, nel 205 a.C., e di cui rimane il termine dialettale significativo di ‘compianto’) .

Furono i romani stessi ad aiutare la ricostruzione; sottomettere poi le popolazioni montane ribelli ad un potere centrale, sedando le dispute locali (col console Spurio Postumio Albino nel 187 a.C. la via Postumia attraversando alla Bocchetta fino a Libarna-Tortona;  la “Tavola di bronzo” è del 117 a.C.;  l’Aurelia (vedi) e, nel 109 a.C la strada litoranea Pisa-Vado (per favorire il passaggio delle truppe durante la guerra contro i Teutoni ed i Cimbri).

Ci lega a Roma la morte di Mameli, nel vano tentativo di difendere la Repubblica.

Fu proclamata capitale del regno d’Italia dal parlamento torinese il 25 marzo 1861; ma si dovette attendere e prenderla con le armi il 20 settembre 1870.

Da allora, sia perché sede papale, sia poi perché capitale dell’Italia unita, a lungo agognata, sia infine per l’entusiasmo trionfalistico fascista, il nome di Roma è il più usato in assoluto per indicare una strada, non esistendo quasi paese in Italia che per una sua via non ne porti il nome.

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale palazzo Ducale

-Archivio Storico Comunale - Toponomastica, scheda 3916

-AA.VV.-SPdArena nella sua amministrazione fasc.-Reale 1926-pag. 43-44

-DeLandolina GC.- Sampierdarena -Rinascenza .1922 – pag.53

-Novella P.-Strade di Ge.-Manoscritto b.Berio.1900-pag.18.19

-Pagano/1933-pag.248

-Pescio A.-I nomi delle strade di Genova-Forni 1986-pag.299
ROMPICOLLO                            salita Rompicollo

 

 

   Nome popolare non ufficiale, ad intendere un’erta discesa su strada assai sconnessa, facile alle rovinose cadute anche  e soprattutto degli animali da soma.

Già pochi anni prima della fine del 1800, era definita “salita detta Rompicollo” quella che dalla via del Fossato di S Bartolomeo saliva  alla Porta Angeli;  e vi erano proprietari di casa  al n° 8  Zuelfi; al 9-10 Opera pia Brignole Sale De Ferrari; senza numero due case di Cuneo Nicoletta ed una di Bacigalupo Angelo.

Nell’anno 1900 fu ufficialmente proposto al Consiglio comunale di San Pier d’Arena di cambiare questo nome popolare, per dare ufficialmente quello di 'salita  ai Forti, per il sentiero che dal fossato di san Bartolomeo saliva sino alla Porta degli Angeli’.

Accettato il cambio, il riconoscimento popolare spostò il nomignolo all’attuale salita GB.Millelire: è forse per questo, che i nostri anziani, collegano il nome con quest’ultima anziché con la precedente. Infatti in una richiesta presentata il 12 giugno 1916 dalla Fabbriceria della parrocchia di sBdFossato e  Promontorio al vescovo, relativa ai confini parrocchiali si scrisse “l’antica giurisdizione della Chiesa Plebana di S.Martino, come nota A.Giustiniani nella Descrizione della Liguria, terminava a sud ovest di Belvedere colle Villetta Gaggien situata in cima alla salita del Campasso, volgarmente detta Salita del Rompicollo”

 

-Archivio Storico Comunale pal. Ducale


RONCO                                         via Nino Ronco

 

TARGA:

San Pier d’Arena - via – Nino Ronco – ingegnere-senatore – 1863-1949

                                                         

 

all’angolo con via A.Cantore

 

QUARTIERE MEDEDIEVALE: Mercato

 da MVinzoni, 1757. In giallo salita Belvedere (corso LAMartinetti).

N° IMMATRICOLAZIONE:  posteriore al 1950

 da Pagano 1967-8

 

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA     n°  :  54460

UNITÀ URBANISTICA: 27 - BELVEDERE

 da Google Earth. 2997.  In giallo, corso LMartinetti; celeste, via ACairoli. A destra del riquadro, villa Ronco.

CAP:   16149 

PARROCCHIA:  s.Maria della Cella

STRUTTURA: Come si vede nella carta del Vinzoni, oggi sotto terra scorre coperto il torrente Belvedere che scende a levante della villa Grimaldi; all’altezza della villa Cardinale, deviava e discendeva ancora più a levante (a est del civ.31 di via A.Cantore).

Da via A.Cantore, procede in leggera salita verso il monte per tre-quattrocento metri; chiusa alla fine da un muro che deve essere assai antico (probabile già delimitazione della villa Ronco) e che la separa -nel retro del lungo palazzo di corso LA.Martinetti- dal corso stesso. Per i residenti, i problemi per non aprire in alto la viabilità abbattendo il muretto, sono due: i posteggi auto (temuta invasione da chi abita in corso Martinetti) e lo scorrimento, con aumento della traffico e pericolosità.

Doppio senso viario.

E’ servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera

STORIA: nella carta del Vinzoni, fa testo il corso del torrente proveniente da sopra ove è la salita Belvedere e la ex proprietà dei Gesuiti con la chiesa di s.Pietro in Vincoli. Esso in alto scorre a levante della proprietà dei fratelli Grimaldi (oggi dei Carabinieri); ed in basso  tra quella a ponente di  “Angr! (non ben comprensibile questa prima sigla; potrebbe essere una abbreviazione di Ang(elo?)  Cardinale” il viale, che da via sant’Antonio (via N.Daste) portava alla villa, viene descritto come  fiancheggiato da magnifici e giganteschi alberi, bordato di fiori; e sbucava nel giardino antistante la villa ove erano due grandi alberi: una palma ed una magnolia; e quella a levante del “Prencipe di Acquaviva” (un De Mari che, nella carta, sarebbe possessore di due ville: quella oggi chiamata Ronco (vedi) e quella Doria-Masnata)

Ed occorre posizionare via Cantore che ha snaturato le proprietà (i Cardinale avevano la villa nella parte alta del rispettivo terreno, e gli orti e giardino che scendevano fino alla sottostante strada Centrale (poi via sAntonio, oggi v.NDaste; via Cantore portò la villa (poi abbattuta) direttamente al suo livello, tagliando gli orti. 

La strada fu aperta quando l’impresa Gadolla iniziò a costruire la scuola e, dopo essa, il primo palazzo in fondo alla strada (seguito dagli altri a scendere, sino al civ. 39 per ultimo), “rubando” una fetta stretta e lunga sul confine ovest di quello che era un giardino (quando proprietario era –dopo il ‘prencipe’ DeMari-, e –forse i Salvago- proprio il senatore N.Ronco).

È una delle strade più recenti, denominata dal Consiglio comunale il 30 settembre 1963. Appena aperta, divenne una appendice di via A.Cantore per cui nel 1964 divennero civici locali il 31 (poi demolito nel 1967),39,63.79.

Sotto la pavimentazione corre un torrente, opportunamente incanalato e rinchiuso in un acquedotto sotterraneo.

 

CIVICI sono continuativi, tutti neri; dal basso, salendo sino in cima.

2007 = dispari, da 1 a 73 (manca 23; compresi 29AB). Sono posti a levante della strada, quindi praticamente sarebbero tutti compresi nel territorio che -ai tempi del Vinzoni- era del Principe di Acquaviva

             (i pari sono descritti dopo i dispari)

===civ. 1 è posto nell’angolo con via Cantore; la facciata finisce col 9 e i civv. rossi proseguono sulla facciata posteriore sino al 15 dove una sbarra chiude uno spiazzo adibito a posteggio auto accessibile anche dal cancello civ. 33 di via A Cantore. Nella parte più a levante di questo posteggio, una scala porta ad altro posteggio superiore raggiungibile a fianco della scuola. Infatti, a monte di questo spiazzo c’è una strada che conduce a dei box sotterranei, e –sopra essa- una terza che è a mare dell’Istituto e porta al retro di esso ove sono altri posteggi auto.

===civ. 29: il palazzo costruito nuovo nel 1967, ospitava la scuola che era stata fondata nel 1911 (era in via Pastrengo 6, con dirett. Babbini e Azzolini,  si definiva ‘Moderna’, ed era Classico-Tecnico-Lingue-PraticaCommerciale, Stenodattilografia); nel 1922 divenne -  “Istituto Palazzi tecnico commerciale e per geometri, e legalmente riconosciuta” (aveva tel. 459.405; aveva orari diurni e serali. Una succursale era anche in via A.Castelli, al civ. 6). Ormai chiusa da molti anni come tale, fu affidata ad un Commissario liquidatore (Vittorio Bazzani) della Compagnia Italiana di Assicurazioni spa. Nel 1998 il Comune avviò le trattative per acquistarne le aule e trasferirvi la scuola media “N.Barabino” lasciando libero il palazzo Doria-Masnata per le attività dell’Università della terza età. Ma le cose non sono andate tutte così; seppur negli anni ha ospitato lo stesso la succursale della scuola media.

Nel 2007 e 2011, è irrimediabilmente chiusa e abbandonata.

 

Al limite monte della facciata principale dell’ex scuola, c’è la targhetta di un civ.31 senza alcuna apertura di locale.

 

(Proseguendo via NRonco) come già detto, lo stacco tra il palazzo col portone 29 ed il palazzo successivo è costituito da due strade parallele separate da un muretto: nella strada più bassa, (per quella sopra, vedi al civ. 33) che costeggia la facciatga a monte della scuola, è lunga una ottantina di metri ed chiusa: all’inizio da una sbarra, e nel fondo da tre entrate: due, ai box di Gadolla sottostanti villa Ronco (che portano il civico  29A e 29B) e la terza, ancora nel 2007, è vasto un buco nel muro stesso chiuso da un cancello provvisorio, il:

===civ. 31 fu assegnato nel 1967 sottraendolo a via A.Cantore. É collocato in fondo ad una appendice della strada proietta ta  verso levante. Un cancello chiude un’altra stradina in salita (dietro al palazzo successivo col portone 39) parzialmente asfaltata, che dopo pochi metri entra come in galleria sotto costruzione in cemento per salire alla villa, ma ancora solo a piedi. Infatti il materiale per ristrutturare la villa è sollevato con una alta gru, da dopo il cancello in su.

 

Villa DeMari-Salvago-Ronco=  poco si sa dell’origine di questa possente villa: non la data di costruzione, né la proprietà  e storia iniziale.

    la villa, da via A.Cantore

 

La famiglia: antica famiglia risalente ai tempi di Pipino il Breve –anno 795- il quale fu da loro aiutato a sconfiggere i Longobardi, ricevendone il titolo di conte. Furono poi Consoli della Repubblica, ambasciatori, ammiragli (uomini d’arme e di mare=vedi lo stemma). Un ramo andò nel viceregno di Napoli prima del 1500 inserendosi quali banchieri, nel settore finanziario, e quali commercianti (grano, orzo, olio) acquisendo prestigio, titoli e crediti.

Viene poi citata nel X secolo quale facente parte del ramo Carmandino (o di Cremeno) , tra le Viscontili (o nobili per stirpe) traendo origine da navigatori divenuti potenti e riconosciuti mercanti, governatori, diplomatici.

Nel secolo XII divenne ghibellina ed acquisì uno stemma “d’oro a tre bande ondate nebulose di nero”.  Ansaldo, il primo conosciuto, fu il maggior esponente politico-militare della famiglia; Andreolo suo figlio ed Arrigo nel XIII sec capitani  (come Simone alla fine del 1300; Fabio, della galea ‘La Capitana’ alla battaglia di Lepanto). Seguiranno ammiragli (Ansaldo che ebbe la signoria della Corsica; Stefano al servizio spagnolo); 4 dogi (DomenicoMaria, 1797; Gerolamo, 1699; Lorenzo, 1744;  Stefano, 1663 –anni della grande peste-); nonché  religiosi, acculturati, patrioti.

*Tra i tanti, appare Stefano patrizio genovese, il più illustre del casato nel suo secolo, nato ca1530 da GB q.Giuliano –aggregato agli Usodimare- e da Mariettina Serra q.Paolo, morto l’11 gen.1592. Iniziò come capitano-proprietario di galee alla lotta contro i saraceni (due sue galee furono inviate a Lepanto), divenne politico locale  essendo il  più ricco della già ampia famiglia, avversario del Doria contro la politica filospagnola, mirando al dogato che non ottenne. Nel suo testamento, erede universale sua figlia Diana; destinò -1592- alla moglie Veronica Grimaldi «l’usufrutto delle residenze di Sampierdarena» perché poi divenissero di Diana ma, se non si sposava passassero a Ippolito, primogenito del nipote Francesco, che visse la rivolta antiaustriaca del 1747. Nessuno dei due, Diana e Ippolito, furono del ramo del principato di Acquaviva; quindi non interessati a questa villa. 

Solo si sa per certo che la famiglia DeMari abitante a Genova, e che occupò stabilmente posizioni di vertice nel governo della Repubblica nel periodo compreso tra il XVII e XVIII secolo (dogi, governatori, ambasciatori) possedeva a Sampierdarena una villa, legata ad un fidecommesso.

La villa Attribuzione non sicura, proviene da un documento ritrovato all’ASG datato agosto 1633 e firmato dal notaio  Gio Andrea Celesia; si leggono accordi di grossa fornitura tra il famoso architetto Bartolomeo Bianco ed il maestro ‘clavonero’ (specializzato in chiavi e serrature) Stefano Baiardo, per lavori da svolgere per conto di Agostino De Mari in San Pier d’Arena (considerato la grossa cifra di 737 lire ed 8 soldi, da spendere per 380 cerniere, 362 ganci, 211 serrature, 135 chiavistelli e 31 pezzi vari, se ne deduce che la grossa quantità fosse utile solo per l’arredamento di una villa da costruire).

Agostino De Mari, 1586-1645, nacque a Genova da Francesco q.Agostino e da Lelia Pallavicino. Nato in famiglia già di primo piano, socio–bancario-economico,  nella nobiltà locale. Ascritto al patriziato nel 1608 (assieme al fratello Stefano, che diverrà doge), fu esponente di spicco, filospagnolo, della città, incaricato di mansioni ambasciatoriali (come la trattativa per Zuccarello con il duca di Savoia; e proposto in Spagna per Finale e per essere trattati da reali avendo eletto una Regina a capo dello stato), di magistratura e di Inquisitore di Stato. Sposato con la cugina Marzia DeMari, ebbe otto figli.

Appare improbabile abbia lasciato la villa ad un nipote (a Carlo, figlio del fratello e unico Principe della famiglia) e quindi è possibile che la sua residenza sampierdarenese sia un’altra. Considerato altresì che altra villa DeMari, fu acquistata dalla famiglia  anche se già eretta ed arredata dai Doria (oggi Istituto don Daste)  se ne conclude con riserva che l’accordo di cui sopra potrebbe riguardare questa ultima). Infatti le conoiscenze passano automaticamente all’anno.

1757  La carta del Vinzoni cita che la proprietà è del “Prencipe di Acquaviva” e fa comprendere ambedue le ville, questa e quella sottostante dei Doria, forse i primi proprietari).

Principe di Acquaviva fu Carlo I De Mari: figlio di GB, fratello di Agostino.

nato a Genova  il 17 ott.1624  da Giambattista e da Paola Pallavicino. Continuò ad essere uno dei più rappresentativi del patriziato genovese nel settore mercantile-finanziario specie nel napoletano; prosecutore del padre nella giurisdizione feudale di due città in provincia di Otranto (feudi di marchesato, di Assigliano e Torrepiana; ma anche proprietario di terre in Molise, Abruzzo, Campania, Puglie; incaricato di pubbliche funzioni dalla Repubblica e da altre famiglie che avevano interessi nel meridione); ascritto alla nobiltà genovese si inserì pienamente nel ceto dirigente-finanziario gradatamente spostando le proprie attenzioni ed interessi  verso Napoli. Infatti, nel 1664 risultando creditore di 35mila ducati dall’università di Acquaviva (Bari), quando fallì anche il collega finanziere principe genovese Paride Pinelli (ex amministratore della città) acquistò per 256mila ducati le terre pugliesi di Gioia ed Acquaviva messe in vendita dai creditori ricevendo così da Marianna d’Austria l’investitura di principe di quelle terre il 18 dicembre 1665. Il Dizionario dei Liguri cita solo lui dei DeMari con il titolo di principe: evidentemente i suoi eredi, seppur anche loro titolati, hanno avuto molto minor peso. Nel 1666 andò a stabilirsi ad Acquaviva ove morì quarantasettenne il 10 dic.1671. Aveva sposato Geronima Doria; ebbe unico figlio maschio GB Francesco (il quale avrà tre figli; tra i quali, Carlo II; quest’ultimo sarà designato dal nonno a ereditare i feudi –e quindi molto probabilmente anche le terre sampierdarenesi- essendo nel frattempo premorto suo padre GB. Ed è lui che verrà ascritto nella nobiltà napoletana  appartenendo il nonno alla fase di transizione dal ceto finanziario a quello nobiliare).

Quindi, la generica titolazione del Vinzoni, fatta un secolo dopo la morte di CarloI  va interpretata come proprietà di un erede, risiedente però nel suo principato a Napoli e quindi per lui non definibile personalmente.  Ovvio che a un certo punto se ne siano disfatti (magari, dopo aver ceduto prima il terreno di sotto ai Doria; e poi questo con villa, ai Salvago).

18xx Dai DeMari, divenne proprietà dei Salvago, e da essi alla famiglia Ronco (vedi) non sappiamo quando.

1900 - inizi del, la villa si apriva in via s.Antonio civ. 28, subito a ponente del terreno antistante il primo ospedale, e la stessa villa Doria-Masnata. Era custodita da un fattore; tra essi viene ricordato il  padre (venuto da Paveto a San Pier d’Arena per questo impiego) di Luigi Cambiaso (questi fu uno dei più forti polisportivi locali dell’epoca prebellica (dal nuoto al canottaggio, al pugilato, al tamburello ma soprattutto al calcio) ed instancabile dirigente organizzatore di società sportive  nel dopoguerra.

1934  viene vincolata e tutelata dalla Soprintendenza.

Dal 1942, da loro è passata ad una società di un Gadolla (fratello di  Gianfranco che negli anni 2003 è consigliere comunale del partito AN), che pur di disfarsene già aveva offerto l’uso gratuito dello stabile al Comune per usi scolastico-sociali (divenuti obbligo e vincolo da dopo la costruzione dei 300 box sottostanti).

   Durante l’ultimo evento bellico, la casa fu danneggiata nella parte a nord-est e tale rimase a lungo in condizioni sempre più deteriorate finché non crollò parte del soffitto. Era immaginabile e temibile una passiva attesa di autodemolizione, visto l’abbandono, la improduttività e l’inutilizzazione pratica a qualsiasi interesse sociale o privato: già nel 1986, un sopralluogo degli assessori competenti concluse che ‘l’alto tasso di degrado della Villa, la rendeva inagibile a qualsiasi utilizzazione’;  si parlò anche di usarla per  uffici della Pretura.    La situazione costrinse i proprietari, il Comune e la Circoscrizione (contrario solo il Consiglio di Circoscrizione nel nov.1988) ad accordarsi con l’impresario Gadolla (titolare della ‘Fortune spa’, e –non si sa da quando- nuovo ed ultimo proprietario dell’immobile) ed ottenere il rifacimento del tetto. La convenzione prevedeva il riparo dello stabile (per cederlo poi al Comune essendo destinato a ‘servizi’ (nell’antico piano regolatore era destinato ad ‘istruzione’). Un progetto richiesto all’arch. Spalla, destinava lo stabile ad asilo nido o scuola materna; ma la difficoltà di accesso ne rese disinteressante la realizzazione) in contemporanea concessione di costruzione nel vasto terreno dei giardini a sud della villa, di  box -in un auto-silos- a tre piani (ne erano previsti 280, di cui 96 nel piano terra con uscita in via Cantore; 92 ciascuno negli altri due, con uscita in via Nino Ronco; il Secolo scrive siano 297; di essi 34 dovrebbero essere a disposizione della villa e raggiungibili da essa con scale ed ascensori).

 

 

Per la villa, nel 1991 si parlava di uso scolastico internazionale; o di casa di riposo per anziani. Il grosso e profondo scavo (iniziato nel 1992 e lievemente ridimensionato rispetto l’originale) obbligò l’eliminazione di grossi e vecchi alberi tipo cedri del Libano  (alcuni di essi sono conservati ancora nella parte di giardino non demolita). Al loro posto, sul tetto dei box (un’area di 3000 mq circa), il CdC e C.Comunale avevano voluto fosse fatto un giardino pensile  all’italiana. Progettato da Giovanni Spalla (autore del restauro del Ducale), il terrazzo fu riempito con 1 metro di terra  per ospitare in 12 grandi aiuole fiori, cespugli e piante, e che dovrebbero essere curati  dagli acquirenti dei box stessi; ed il tutto raggiungibile con un ascensore che si sappia mai entrato in funzione se non per pochi giorni iniziali (ipoteticamente per permettere l’ingresso a disabili, carrozzine, anziani):  nel maggio 1998 -già in ritardo di due anni- si annunciava l’apertura al pubblico (solo per il giardino rifatto; la parte intatta, rimane di appartenenza alla villa) essendo prossimo l’accordo Comune-Gadolla sull’atto di asservimento (i proprietari dei box quale parte privata hanno da provvedere alla gestione e manutenzione ordinaria e straordinaria del parco e quant’altro necessario per la funzionalità compreso aprire e chiudere i cancelli).

      

Da allora e per un bel pò  aleggiò il mistero della apertura in perenne rinvio -sicuramente problemi di sicurezza ed economia gestionale- finché annunciata ‘a giorni’, il 26 sett.1998 fu inaugurata ufficialmente  dall’assessore comunale all’ambiente Chiara Malagoli. Ma l’apertura durò poco. A fine anno 1999 se ne  interessarono anche i Lions Club di San Pier d’Arena, alla ricerca di una sede dopo aver dovuto abbandonare villa Pallavicino di via san Pier d’Arena, ma l’idea fu subito abbandonata non solo per il costo legato all’affitto o l’acquisto (si parla di sei miliardi e mezzo più tasse, nel 1993), ma per le spese necessarie per rendere abitabile l’edificio (vincoli CEE,  norme di sicurezza, agibilità, collaudi, rifacimenti murari  ecc.: e questo se è valso per loro, lo varrà per tutti i futuri interessati). Toccava ai proprietari una mossa intelligente; ma lontani come sono, presumibilmente non hanno attenzione a questo bene, che rappresenta un enorme spreco edilizio ed urbanistico ma un valore storico da salvaguardare. 

. Nel dic.2001 nuova vampata di interesse, rimorta sul nascere. L’incuria, il degrado, il vandalismo ma soprattutto un esposto-denuncia degli abitanti interessarono il Consiglio di C (sig. Minniti Domenico) ed il questore (dr.Oscar Fioriolli), con conclusiva solita soluzione: chiudere.

Così nulla per il giardino, e nulla per la villa. Le varie amministrazioni coinvolte (proprietari, Gadolla, Comune, forse la Soprintendenza o più su i ministri), ciascuno nega personali responsabilità, tipo terra di nessuno, una patata bollente. Sergio Gadolla rende disponibile la cessione a titolo simbolico (considerato lo stato fatiscente, e l’obbligo all’uso per fini sociali) al Comune che però (ass. Claudio Basso) non può assumersi l’onere di un immobile da restaurare  perché manca di qualsiasi elemento a norma di legge CEE e quindi costosissimo per le casse comunali (anche se poi il Comune spende per affitti  di spazi per scuole, generose somme). E tutto -per noi- vola alto. Intanto, da lontano, notiamo che le persiane stanno cadendo a pezzi e qualche finestra è aperta ai piccioni ed a chiunque voglia entrare.

Nel 2002 la Regione (dietro un bando nazionale sul recupero noprofit delle strutture esistenti da utilizzare per nuove iniziative) aveva stanziato 13milioni di €. per le associazioni Liguri di volontariato, da distribuirsi a sorteggio tra le domande accolte (94; troppe:  la cifra diverrebbe insoddisfacente per ciascuna) e gli aventi diritto (dapprima 16, poi 10, poi 6). Di questi soldi, 1milione fu dapprima destinato ad un Centro di Solidarietà da installare nella villa (asilo, scuola, centro assistenza ed aggregazione anziani; progettato dall’arch. Vittorio Grattarola, prevedeva 125mila e. per l’ acquisto, il resto più un mutuo per la ristrutturazione e gli arredi. Questo contatto rimarrà in stallo fino all’affidamento dei laviri, due anni dopo) ma alcuni consiglieri opposero contestazione, per presupposti errori illegittimi (non è chiaro se solo per onestà o contro il consigliere avversario o contro il Centro),  tanto è che l’iniziativa non è rientrata nelle sei previste e quindi la villa  restò disabitata, vuota ed inutilizzata.

Nel settembre 2004, riprendono i lavori di ricupero (preventivando 2.400.mila euro, di cui 70% dalla Regione e 3% da mutui e sponsor come la UE, Comune di Ge., Compagnia di s.Paolo, varie Fondazioni (Carige, Vodafone, s.Stefano, Unidea), assoc.Enel Cuore onlus) dopo che Gadolla è riuscito a vendere l’edificio per 120mila euro –non senza lo scoppiare un ‘caso politico’, essendo Gadolla esponente del partito A.N.-, alla Associazione “Centro di solidarietà” (onlus), della “Compagnia delle Opere” , braccio operativo di “Comunione e Liberazione”, detti pure ciellini o ‘papisti’ messi alla pari con gli integralisti cattolici (e quindi con avversari sociali, i laici e l’indirizzo repubblicano in genere), fondato nel 1986 da giovani che gratuitamente iniziarono ad affrontare i bisogni della vita  (dal problema scuola –con ovvia preferenza a quella confessionale- a come trovare lavoro, fare amicizia, aiutarsi, organizzare il tempo libero, specializzandosi nell’accompagnamento-orientamento-formazione-educazione-inserimento dei giovani al lavoro). Grande impresa non profit  gestita da politici di alto livello, specie della regione Lombardia il governatore Formigoni) e impresa del settore “no-profit”, che usa fondi europei (dell’obbiettivo2) erogati dalla Regione (l’onlus in Liguria ha 350 imprese associate che arrivano a 30mila nella Nazione), per creare un centro multifunzionale: assistenza a famiglia (compreso un centro adozioni ed affidi), giovani (compreso sostegno scolastico ed orientamento al lavoro (tipo ufficio collocamento in virtù di nuove leggi)), anziani e bisognosi. Si propongono un asilo nido (25 posti), un auditorium, giardino pubblico, banco alimenti, gli uffici dell’Avsi (Assoc.Volontari Servizi Internazionali, per cooperazione verso il Terzo Mondo) e del centro culturale Charles Peguy. Allo scopo lo spazio verrà ampliato con un salone nuovo di 180mq sul retro della villa

Sbloccata la situazione burocratica, ripresero i lavori nel 2005 circa e nell’ago 2007 proseguirono i lavori. Un tabellone comunica: «Inserimento di Centro polifunzionale di assistenza alla famiglia». Lavori  appaltati dall’ass. Beni culturali, «Centro di Solidarietà, della Compagnia delle Opere, della Liguria» della quale è presidente generale è Bernhard Scholtz, e locale Marco Castagnola; presidente del Centro dS. È Srgio Martinoia

I lavori sono eseguiti su progetto di ing.arch. Vittorio Grattarola &C, arch. Bandini Paolo; eseguiti dall’Impresa Saporito. Investiti 2.584.800 €, dei quali 1.809.360 della Regione Liguria. A fine 2007, rifatto il tetto ed intonacato le facciate, dall’esterno sembrerebbe ‘in ordine’. Infatti, i lavori di ristrutturazione sono stati completati nel 2008.

Il 31 maggio alla presenza del cardinale arcivescovo (il quale ha richiamato tre punti: generosità della città; risposta concreta alle necessità della famiglia; ricaduta sociale e delle più alte autorità istituzionali (C.Burlando, presidente della regione; A.Repetto presidente della Provincia; M.Vincenzi sindaco di Genova; P.Odone presidente della CdCommercio; D.Minniti presidente del municipio locale, ecc), è stato inaugurato. Il 6 giugno successivo viene definitivamente in funzione il centro polifunzionale di servizi alla famiglia chiamato “Villa Ronco” (prevede: un asilo nido-+- un centro di aggregazione giovanile, specie per quelli a rischio di disagio, con proposta di un percorso educativo e di introduzione al lavoro-+- una ‘filiera’ integrata di servizi per l’azienda e la persona: disoccupoati, giovani, donne, stranieriu, disabili, deboli-+- un centro diurno per anziani-+- un centro famiglia, specie quelle adottive o affidatarie-+- uffici per i servizi alle imprese, ai soggetti non profit e alle persone). Con lo scopo –tratto da uno scritto di don Luigi Giussani”- di “una casa più abitabile per l’uomo” che renda visibile e possibile per tutti una novità di vita, di convivenza, di costruzione del bene comune; messa a disposizione per il quartiere di Sampierdarena.

A fine maggio 2009 il CdO della Compagnia ligure, ha rieletto presidente Marco Castagnola. Egli ha presentato due prossime iniziative: una ‘scuola di imprese’ e la riedizione 2009 de ‘Matching’ ovvero studio del business che l’anno scorso ha visto la partecipazione di 2000 imprese italiane ed estere.

L’edificio è a tre piani; uno a terra di 392 mq (più delle cantine sul retro), uno nobile, di 504 mq., con soffitti  decorati da Tavarone; un sottotetto di 293 mq con soffitta di 31 mq.. Di volume rettangolare allungato, fu costruita nello stile tipico locale mescolando sapientemente ed utilmente lo stile prealessiano genovese con quello alessiano. L’ingresso principale era rivolto a ponente verso i giardini ( ricchi di nobili piante come i nespoli del Giappone, palme, alloro e grossi pini), sia dal piano terra, che dal piano nobile a livello del giardino più alto; il prospetto principale era invece quello rivolto a sud con le finestre tipicamente disposte: ravvicinate le tre centrali e lateralizzate le estreme, su una facciata che una volta era affrescata.

Gli spazi esterni coprono in totale 6mila mq. .

La proprietà si sviluppava a ponente di salita Salvator Rosa e confinava a nord con la proprietà Grimaldi (la villa dei Carabinieri) e ad ovest con la proprietà Cardinale. L’accesso partiva da via sant’Antonio al civ.24 (attuale via N.Daste), e con un lungo viale costeggiante il lato ponente della proprietà, arrivava alla villa posta anch’essa all’estremo ponente del terreno di sua proprietà; la parte a levante era invece tutta a fasce, con giardino, orti e frutteto. Attualmente una stretta e lunga parte di giardino è stata corrosa all’estremo est per la serie di abitazioni che si aprono su via Nino Ronco; la ex biblioteca Gallino ha ‘tappato’ il viale d’accesso; in salita inferiore S.Rosa altri palazzi hanno occupato parte dei terreni; così oggi si può accedere alla villa solo tramite via N.Ronco ed una porticina secondaria in salita S.Rosa, che deprezza la costruzione, impedita di ingresso adeguato alla sua  importanza (perché Gadolla ha concesso questo scempio? a tutto prima, appare proprio il classico disgraziato, insensibile alla storia, all’estetica ed alla funzionalità).

 

A monte del muro che separa il civ. 29 dal seguente, c’è un tratto di strada più corto, che si infila (ha il civ. 33 e la scritta “Garage”) nella facciata a mare del palazzo successivo che inizia con -sulla facciata principale- il civ. 35 a cui segue nel centro quello del portone, col civ. 39 (due scale).

Il terzo palazzo della strada ha il portone civ. 63. Lo stacco tra il 39 e quest’ultimo, è diviso in tre stradine parallele che portano a box e garages dei residenti; così come anche lo stacco tra il 63 e l’ultimo palazzo (col portone n° 73 e che fu costruito per primo) che conduce a dei box.

La facciata a monte dell’ultimo è separata dalla appendice di corso Martinetti da un alto muro il quale però procede verso est (evidente confine della villa padronale sottostante oggi distrutta) ed arriva fino a salita Inf.S.Rosa affiancato da una grossolana scalinata fatta all’antica, con alti gradini in pietra, genericamente abbandonata.

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2007= civici pari, da 8 a 30 ( mancano 4 e 6; da 10 a 18). Sono posti a ponente della strada, nei terreni  -in alto- del principe di Acquaviva ed -in basso all’inizio- del nobile Cardinale)

All’angolo con via ACantore è il civ. 2; il palazzo è separato dal seguente da un cancello che porta il civ. 8, preceduto da un residuo di muro antico che limitava la piccola proprietà sottostante del mag.co Cardinale (vedi via Cantore). Segue lo sbocco di via Adelaide Cairoli (vedi. É divisa in due parti, da un muretto e si prolunga nel retro del grooso palazzo che si apre in corso Martinetti, il quale nel retro –e quindi sulla nostra strada- inizia e finisvce con due bastioni a torre, estetivamente carini ma di non facile interpretazione architettonica). Via Cairoli è sempre stata separata da via NRonco da un muretto con sovrapposta una struttura mattonata; nel 2006 è stato ‘forato’, e sebbene sbarrato da un’asta, permette collegare le due strade per le auto (da via VCairoli uscire in via Ronco) e non ha civico.

 uno strano torrione ottagonale

Lo stacco tra la nostra strada e questo palazzo prosegue verso l’alto, sempre delimitato dal muro che fa vedere - al di là - dei cortili privati dei residenti a piano terra di quel condominio.

 Segue il palazzo –ex fabbrica di latta che si apriva in corso Martinetti-  che è stato completamente ristrutturato a condominio al quale sono stati dati vari civici, 26 al portone  e -per i box- da 20 a 30.

 

DEDICATA  all’ingegnere, professore docente di idraulica alla scuola Superiore Navale di Genova, grande ufficiale, presidente del porto di Genova dal 1 apr.1909 al 14 ago.1922.

Nacque a Genova il 27 nov.1863 (da un patriota garibaldino laureato in legge, morto 22enne a Bezzecca prima della sua nascita); la madre lo educò all’ideale della patria, sentimento che lo animò per tutta la sua integerrima vita.

Laureato a Torino in ingegneria (Lamponi dice matematica); si scrive fu pure insegnante.


A 38 anni (1901) fu eletto sindaco di San Pier d’Arena ricevendo quindi anche l’incarico di rappresentare la sua città alle assemblee del CAP fin dalla sua costituzione (12 febbraio 1903, primo presidente Stefano Canzio).


Diede impulso a un significativo programma di opere pubbliche: durante la sua amministrazione furono costruite le due scuole che affiancano la villa Scassi nonché l’inizio dei lavori di restaquro del palazzo del Monastero. L’amministrazione comprendeva contributi mecenatici (dei quali godette pure il pittore Mosè Dante Conte quando fu iscritto alla scuola dell’Accademia).

 

 Dopo la morte di Stefano Canzio (19 apr.1909 In quell’anno  il governo Giolitti era caduto sulla questione delle convenzioni marittime, attorno alla quale c'era stato un forte scontro tra cerchie di interessi, scontro che aveva visto il Ronco - promotore di un'attività armatoriale del Consorzio Autonomo del Porto di Genova che dirigeva – scontrarsi col governo (che aveva appoggiato l'armatore Piaggio) fu nominato successore, alla presidenza del Consorzio Autonomo del Porto, dandogli modo di proseguire l’ordinamento prefisso, ma di dare contemporaneamente un forte impulso a tutta l’attività portuale affrontando situazioni nuove e di altissima responsabilità: a lui si debbono ---i primi collegamenti internazionali (indispensabili per migliorare i traffici marittimi in un periodo di rivoluzionaria trasformazione dei trasporti: navi, dalla vela al motore, dal legno al ferro, dal piccolo-medio cabotaggio al grosso); ---provvedimenti del mercato locale e dei trasporti interni e internazionali; ---nonché ampliamenti e miglioramenti nelle opere murarie (al ponte Caracciolo; calata Gadda e Boccardo; molo Galliera; Stazione Marittima; magazzini in cemento armato; centrale elettrica; stazione idrodinamica; 21 elevatori elettrici a ponte); ---le nuove regolamentazioni –aggiornate e più precise- sulla disciplina delle numerose categorie di lavoratori (gestiti da una intricatissima tessitura di interessi quasi sempre partigiani, più o meno palesi, il cui ritocco -anche delicato- dava atto a ribellioni parziali  coinvolgenti però tutto il sistema: un lavoro di cesello che alla lunga però distrusse la sua amministrazione di fronte ai nascenti animosi fascisti, smaniosi di risolvere i problemi con il metodo più veloce dell’imposizione forzata. I mille interessi di parte, favorivano il disattendere le sue direttive generali e rallentavano l’uniformità dei comportamenti). Si interessò pure delle opere d’arte (in particolare fu suo l’incarico dato a Ludovico Pogliaghi di riaffrescare la facciata del palazzo san Giorgio, facendo riemergere i colori di Lazzaro Tavarone, che per primo nel 1608 aveva decorato il palazzo e che il tempo aveva cancellato).

Senatore dal 1914, con il compiacimento di tutti . Fu interventista.   

 

Più importante per noi, è l’aver egli partecipato alla formulazione del progetto, presentato nel 1916 ed approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici relativo allo sbancamento di san Benigno (fatti iniziare nel 1927, prima con lo smantellamento del forte, poi della collina stessa: dalla finestra del palazzo san Giorgio, re Vittorio Emanuele III azionò il dispositivo per far brillare la prima mina sistemata tra le rocce del colle), per estendere il porto verso San Pier d’Arena (fin dal 1852, il ministro Paleocapa aveva auspicato l’allargamento del porto a ponente; poi nel mag.1874 ci fu il progetto dell’ing Giaccone; nel lug.1897  una alettante proposta di una grossa ditta, fece slittare i tempi fino al 1900 quando fu studiato il nuovo progetto dell’ing. Inglese, più adeguato ai tempi moderni ma non coperto da finanziamento; solo con l’avvento del CAP nel 1927 si diede il via all’operazione attiva: con la fornitura di milioni di metri cubi di roccia, si fece riempire il mare  iniziando un nuovo bacino previsto tutto lungo la spiaggia, dalla Lanterna al Polcevera.  Ne fu compiuto allora solo un terzo del previsto, per carenza di fondi; il rimanente fu completato nel 1933, compresa l’apertura di via A.Cantore.  Furono compiuti gli allacciamenti ferroviari, la galleria Romairone (m.290), la diga foranea relativa).

Puncuh scrive che la ”sua azione era garanzia dell’osservanza delle condizioni pattuite nel 1903 per i lavoratori del Porto di Genova e per i marittimi”, vale a dire, in concreto, della posizione dei socialisti riformisti. Così ancora quando, il 31 luglio 1922 era in sintonia con il Partito Socialista, la CGL e l’Alleanza del Popolo. Ma, a questa data arrivò l’impossibilità pratica di esplicare la solita ed innata fermezza ed autorità (di fronte agli striscianti ma potenti favoreggiamenti, adattamenti e condiscendenze politiche trasversali -malgrado il suo gran cuore, rettitudine insospettabile ed alto intelletto-). In particolare, quando fu deciso lo sciopero -cosiddetto legalitario- mirato a frenare lo spostamento politico a destra, pochi ma irruenti iscritti del nuovo partito fascista emergente, riuniti in bande, lo portarono di fronte all’ “invito” a rassegnare le dimissioni (da formalizzare consegnandole al presidente del Consiglio dei Ministri, sua eccellenza il ministro Facta, il 10 ago.1922. Altrettanti “inviti” di dimissioni furono dal partito inviate alla giunta comunale di San Pier d’Arena il 23 sett.1922, anno in cui egli appare essere col titolo di commendatore nella commissione edilizia del Comune).

Abitò a San Pier d’Arena. Nel 1925, con i titoli di dott. ing. comm. prof. senat.) era in via sant’Antonio al civ.27, ove si apriva il viale che portava nella villa, che ancor oggi viene chiamata col suo nome (e che viene descritta in via Nino Ronco, ex via A. Cantore civ. 33, anche se allora si apriva nella strada sotto, oggi via Daste ).

Ritiratosi a vita privata, morì a Genova, il 12 magg. 1949.

A suo nome è stato battezzato il molo ultimo del porto di Sampierdarena, detto di sottoflutto, sulla riva sinistra del torrente; ultimato nel 1936, si protende al largo per 257 m.:  ebbe dapprima solo funzione di chiusura dell’opera portuale; poi fu utilizzato -usufruendo dei suoi 780 m di lunghezza per una superficie di 65mila mq-, sia per accosto operativo con sollevatori (necessari per la discarica di ferro e carbone necessari agli stabilimenti di Cornigliano, sia per deposito di schiumogeni (capaci di coprire in 20’ la superficie della darsena con 10 cm di schiuma); poi ancora, dopo il 1961,  allargato ulteriormente il porto verso ponente, divenne il sesto sporgente del bacino di Sampierdarena ( e destinato al traffico di container).

 

BIBLIOGRAFIA

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-A.Sconosciuto-Guida del porto di Ge.-Pagano.1954-pag. 29segg..200.206

-AA.VV.-Annuario.guida archidiocesi—ed./94-pag.437—ed./02-pag.474

-AA.VV.-Dizionario Biografico dei Liguri-Brigati1999-vol.V-pag.230-325

-AA.VV.-1886.1996 oltre un secolo di Liguria-Il SecoloXIX-pag.227

-Costa E.-I 100 anni della soc. Fratellanza.Amicizia-DonBosco.’93-p.30-3

-Costa/ 1922 - Guida Genovese - scuole

-Di Negro GF B.-l’araldica a Genova-Liguria 1983-pag.64

-Faina GFranco-Lotte di classe in Liguria-Milanostampa.1965-pag. 101

-Festa C-Guida del porto di Genova-Luzzatti.1922-pag.44

-Il Cittadino- settimanale: 08.06.2008-pag.10 + 15.06.08-pag. 12

-Il Secolo XIX- quotidiano: 04.02.98 + 04.11.08

-La Liguria illustrata -genn.-febbr.1915

-Pagano/1925–pag.1817--/1961-pag.44.quadro 102 -   

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Toilozzi.1985-pag.1617

-Poleggi E. &C.-Atlante di Genova-Marsilio.1995.tav.34

-Puncuh D.-storia di Genova-Brigati.2003.-pag.587

-Tringali S.-Sampierdarena 1864-1914-per Ames.2005-pag.94

 

AGGIUNgere giornale-rivista del CAP anno 1903

non citato da EM + ES + TuvoCampagnol.222 +


ROSA                                    salita  Salvator Rosa

                                               salita inferiore Salvator Rosa

                                               salita superiore Salvator Rosa

                                               vico Salvator Rosa

 

TARGHE: S. Pier d’Arena – 2841 -  salita – inferiore – Salvator Rosa.

                  salita – inferiore – Salvator Rosa – già salita Promontorio

 

                  salita – superiore – Salvator Rosa

                  Salita – superiore – Salvator Rosa – già salita Promontorio

                                                               

inizio salita, angolo via A.Cantore

 

fine salita inferiore, in via GB Monti

inizio salita superiore S.Rosa da via V. da Gama

 

                                                     

al bivio con via Promontorio, sommità della salita

 

QUARTIERE MEDIEVALE: Promontorio

                                                       

da MVinzoni, 1757..Il tratto ‘inferiore’                                      idem. Il tratto ‘superiore’.

inizia in basso dalla villa Doria; finisce,                                      in giallo, via Promontorio

in corso Magellano segnato in rosso.

                                                                  

 

N° IMMATRICOLAZIONE: 2841 unico per i due tratti    CATEGORIA:  2

 

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA  n° 54560 (tratto inferiore), 54580 (superiore)

UNITÀ URBANISTICA: 27 - BELVEDERE

            

Da Google Earth 2007.                          SUPERIORE. Da via VdGama

Sal. INFERIORE.In verde,                    (rosso); a via Promontorio (celeste)   

da v.ACantore a corso Magellano.

 

CAP:   16149 (unico)

PARROCCHIA:   (Inferiore = Cristo Re); (Superiore: 1 e pari dal 16 al 22) = Cristo Re; (Superiore: dal 7 al 29 e dal 24 al 28) = Promontorio.

STRUTTURA:  Il tratto INFERIORE, da via A.Cantore  porta a corso Magellano, tutta solo pedonale e motocicli.

La continuità della salita viene interrotta da Quota 40 alla fine del ponte: incrocio della fine di via GB Monti e di via V.De Gama (inizio corso Magellano).  Quello SUPERIORE, riparte dalla vicina via Vasco da Gama (condividendo la prima rampa con la scalinata che porta ai vari civv.1 di corso Magellano) e arriva sino all’incrocio con via Promontorio; è pressoché tutta solo pedonale, escluso dall’alto, da dove è percorribile con auto per tre quarti circa della strada.

 Non possedendo bocchette per la raccolta dell’acqua piovana, ogni burrasca trasforma la salita in torrente; da una parte lava bene tutto, in parte assorbe, dall’altra scarica detriti e rende difficile percorrerla.

la valletta, di proprietà ospedaliera: dietro le case scorre la salita

 

STORIA: il sentiero si formò in origine e per prima, probabilmente epoca romana, per permettere - a chi voleva raggiungere la spiaggia ed i suoi sparuti abitanti- di scendere dalla primitiva zona abitata di Promontorio, lungo la mulattiera (che rappresentava la strada che collegava la città di Genova con il ponente).

Dopo l’anno 1200, essendo già strutturato ed abitato il borgo, poiché la ripida crosa portava innanzi tutto all’abbazia, fu chiamata “salita Promontorio”; e – prima che i terreni fossero lottizzati - dal colle scendeva sino a intersecare la strada interna comunale (oggi via Daste) e, proseguendo per quella che oggi è via Castelli, arrivare fino al mare.

E tale nome le rimase, e fu approvato - dopo seicento e più anni - dal regio decreto del maggio 1857 (in qualche testo, un ottimista ha voluto chiamare questa stretta e ripida crosa “strada di Promontorio).

 E sempre così chiamata, le fu posta la prima targa stradale in marmo nel genn.1901.

Nell’elenco ufficiale delle strade cittadine, pubblicato dal Comune nel 1910, compare il nome di Salvator Rosa (per ‘già salita Promontorio’; dalla via sant’Antonio all’incontro della via Promontorio) ma aggiunto a penna, e quindi candidato e riconosciuto negli anni seguenti compresi tra 1914-1920.

Nel 1911, abitava in sal. Promontorio il pittore Angelo Vernazza (vedi dopo); ed ancora al civ. 4 nel 1925 quando la crosa aveva già cambiato nome.

Infatti, fu in quegli anni che a qualche furbo e colto benpensante insediato  alla toponomastica cittadina, ligio all’invito proveniente da Roma a preferenziare il Risorgimento (per rendere più familiari i rapporti tra gli italiani),  piacque rimuovere l’antichissimo nome per preferirgli l’artista napoletano Salvatore Rosa (a cui tolse la naturale “e” finale del nome per renderlo forse più musicale).

Cosicché la salita, dal 1919 (dai Pagano a mie mani) si chiamò salita S.Rosa ed era ancora un unico intero percorso.

Nel 1927 fu pubblicato l’elenco delle strade unificando tutte le delegazioni entrate nella Grande Genova. Essendo gli unici a dedicare una strada al patriota, rimase nel nostro elenco,  catalogata di 6a categoria.

Nel 1930, in epoca fascista (prima dell’ apertura di via A.Cantore) la salita iniziava distaccandosi da via generale Cantore (via N.Daste).

Il 7 gennaio1955 il tratto di strada a mare di via Cantore divenne “vico Salvator Rosa“(comprendente i civv.dall’1 al 6,  che furono demoliti nel 1970); nell’attuazione di una trasformazione edilizia della zona tale denominazione fu soppressa il 12 novembre 1970,  ed il tratto stradale fu inglobato in via A.Castelli ”; la parte a monte di via A.Cantore nel 1957 fu definitivamente distinta nei due pezzi: “salita inferiore” e “salita superiore”.

 

CIVICI

2007 = Inferiore = NERI  =da 1 a 5   e da 8 a 16 (compreso 10C, con edicola sacra)

                                 ROSSI = solo 12r

            Superiore= NERI  = da 1 a 29 (mancano 3, 5, 9, 15. Compresi 7A, 9A)

                                             da 16 a 28  (compreso 16A)

                                ROSSI = i 21r e 27r (mancano da 1r→19r, 23r. 25r)

                                              il 12r   (manca da 2r a 10r)

NOTA= occorre un po’ di fantasia per cercare di capire le incongruenze dei civici di questa strada: essendo -una volta- una unica “salita Promontorio”.

Nel Pagano/40 è limitata “da via Mercato e via A.Cantore a da via Promontorio”Cita i civv.neri dispari: 1,9,11,13,15,17,19,21,23,25; neri pari:2,4,8,1012,12a, 14,16 (Vernazza prof. Angelo),18,20,26,28- Rossi 5r trattoria Lavagetto B., 9r osteria, 15r commestib.

 

A) INFERIORE:

A1) salendo,  ed a ponente, civici pari:

===porta senza civ.: posta nel fianco della villa Masnata, posta nel fianco di evante della villa Masnata; ha ospitato per tanti anni la “Associazione Nazionale Famiglie Caduti e Dispersi in guerra(differente da Ass. Naz. Mutilati e invalidi di guerra’ locata in via Cantore civ.47; e da ‘Ass. Naz. Vittime Civili di guerra’ che ha sede a Genova in via A.Saffi). Pagava un affitto simbolico al Comune, che nel 1976 era di £. 12mila/anno e che nel /77 fu portato a 60mila (proprio quando col passare degli anni il numero degli aderenti andava calando per motivi naturali). Negli inizi dell’anno 2007- divenuta obsoleta- chiuse i battenti di questi locali, gettando nella spazzatura fotografie, schede e quant’altro era contenuto nella sede.

Ospitava altresì, nei microscopici vani precedenti un più ampio salone, la redazione del Gazzettino Sampierdarenese (poi trasferita vicino,  in via A.Cantore).

Dopo alcuni anni inutilizzata, è stata occupata dalla Associazione Culturale Azzurra. Proveniente da via Giovanetti 6b ove ha la sede operaiva, è una associazione nata nel 2005, con lo scopo di proseguire le iniziative di Radio Azzurra 88, procurando attività  varie, tipo concorsi (pittura, poesie, narrativa),  recital e coinvolgimento degli studenti delle scuole dell’obbligo  

=Nel fianco della villa un’altra porta senza il civico; appare essere l’uscita secondaria della palestra (che fu costruita sfruttando il microgiardino che la villa possedeva nel suo retro; fu inaugurata nel 1978; alta 6m e lunga 14x7m; piccola ma funzionale); a cui si può accedere dall’interno e dalla  strada tramite appunto questo cancello senza civico  Si era dovuto scavare per le fondamenta; spostare i detriti di una frana di terreno della soprastante villa Ronco -contemporanea alla grossa alluvione che imperversò in città il 7 ottobre 1977-; rimuovere una cabina elettrica e ricollocarla (altro cancelletto senza civico).

         

frana 1977

===senza civ.: porta ai box-Gadolla e dovrebbe aprire anche all’ascensore che porta ai giardini pubblici. Dopo pochi mesi dalla sua inaugurazione, tutto è stato chiuso a tutti causa l’impossibilità di gestire lo spazio ovviamente diventato refugium TD e vandali. Per contratto la gestione del vasto giardino è rimasta a cura e spese dei proprietari dei box sottostanti, venduti dall'impresa Gadolla a privati. Sulla strada, la parte esterna dei box e giardini ha un muro, fatto di mattoni rosso tipico, con tre pseudo-finestroni tra i quali c’è un mattone particolare che riporta: «in alto a sinistra “r076”; un altro in alto a destra “1993”; nel centro un rilievo rettangolare dentro disegnato un cono raggiato e come coronato; in basso un altro ancora con la scritta “le terre di Matilde”».

Quindi, mancano i civv. da 2 a 8 compresi anche se ci sono delle porte.

la salita all’inizio, con il retro della villa Serra-Masnata ed i giardini. In

basso a destra la seconda curva della rampa. Sopra il giardino del civ.10

===civ. 10 demolito, fu ricostruito nuovo nel 1961 (nella foto sopra, compare a destra). È il primo stabile della strada, ed ha un giardino verso il mare, sorretto da un muro antico. Dopo il palazzo, a separazione dal successivo, al di là di un cancello si intravvede un altro antico muro che scende verso nord-ovest e che era per separare antiche proprietà, posteriori alla carta del Vinzoni (nella quale tutto lo scosceso fianco della collina, a ponente della strada, era del ‘prencipe di Acquaviva’). Forse perché il palazzo ha due scale, a e b, il seguente è:

 


===civ. 10C   nuova costruzione per abitazioni anch’essa;  sopra il portone e sotto il frontone triangolare, ha due icone: una di un santo (o Bambino Gesù) benedicente; l’altra della Madonna in preghiera.


 

===civ. 12  deve essere di assai vecchia data di costruzione, avendo la base svasata come si faceva con i muri esterni tutti in pietra. È abitata da tre famiglie.

 


=Un cancello, senza civico, aprirebbe ad una scala e viottolo che – probabilmente per obbligo di accesso – scenderebbe alla sommità di via N.Ronco, dove un muro separa questa strada da corso Martinetti.

Non utilizzato da alcuno, è invaso da verde selvaggio.


 

===civ.14 casa vecchia costruita sul crinale, con caratteristiche architettoniche delle prime decadi del 1900. Sulla strada appare più bassa, mentre invece ha tre piani nella parte più a ponente.

=un cancello senza numero, fa scendere con una scala metallica a delle cantine posizionate sotto il civ. 16

===civ.16:  si scrive ‘ristrutturato con nuove modifiche’ però non specificate - nel 1958.

 

A2) Salendo, ed a levante, civici dispari

Nel muro antico, di fronte al civ. 10 c’è un cancello col civ. 1. 

===I civv. 3 e 5 sono portoni secondari a palazzi di via LaSpezia.

_______________________________________

 

B) SUPERIORE

Salendo, da corso Magellano si inizia con una breve scalinata (per ricuperare il taglio e l’appiattimento del corso); al termine della quale si divide a Y:  il ramo destro di scale, si allaccia al primo tornante di corso Magellano con i suoi vari civv. 1-; il ramo a sinistra è la nostra crosa.

Ove non è scala, il selciato è stato macchiato abbondantemente di asfalto.

 

B1) salendo, a ponente (a sinistra); civici pari

===si dice che alla prima curva della salita, c’era una casa,  la quale forse portava il civ. 16 (duplicato dell’ultimo palazzo del tratto inferiore, e confermato da alcuni documenti del Comune: risultò nulla da modificare perché fu demolita nel 1975 per far posto al primo dei due caseggiati che sono da qui raggiungibili solo superando un cancelletto pedonale; infatti portano la numerazione di corso Martinetti (civv 41 e 41A) rggiungibili tramite un sua  laterale; questa strada laterale fin dal basso è bloccata da una sbarra; e finisce chiusa in alto.

=Un altro cancello senza civico, dà adito a degli orticelli laterali.

La numerazione sembrerebbe continuare quella del tratto inferiore, perché  mancano da 2 al 16.

    

il muro delimitante la crosa, visto dall’esterno di essa, poco prima del civ. 16A (sopra)

===civ. 16A è la prima casa posta a ponente, che ha finestre al piano terra a tipo officina (rettangolari, con vetrata divisa in tanti piccoli  rettangoli).

Nel vecchio edificio con questo civico, con annesso studio, abitava negli anni 1925-35 c.a. il pittore Angelo Vernazza (nato a San Pier d’Arena nel 1869 e qui morto nel 1937. Era figlio di Giuseppe -quello dell'olio, dell'area Vernazza di via CColombo ove ora è la rimessa auto rimosse dal Comune- e di Rosa Oneto. Si sposò con Artemide Cecchi con la quale ebbero due figli, Mario -a sua volta sposato con Anna Nucci ha avuto un figlio chiamato Angelo- e Maria -sposata Frugone Antonio, figlio dello Stefano dello Splendor-). Credo sia una sua zia, la Vernazza Teresa -divenuta vedova Gaetano Sbarbaro- che troviamo sul Pagano in via Promontorio a fine 1800.

Contrario alla volontà paterna, scelse -1884 circa- la strada dell’arte iscrivendosi all’Accademia Ligustica di Belle Arti guadagnandosi ben tosto -1887 circa- la borsa di studio che gli permise un lungo soggiorno di apprendimento in Firenze “alla corte” di N.Barabino di cui divenne un fedele ed il miglior discepolo e collaboratore sino alla scomparsa del Maestro (1891). Assieme li troviamo a Genova, a gestire gli affreschi nella Sala degli arazzi di palazzo Tursi. Questa espressione grafica corrispondente ai dettami della scuola ricevuta, sono visibili negli affreschi eseguiti a villa Hambury (1903), alla Cella, al Monastero  nei quali si leggono richiami alla pittura del passato (barocco, storicismo, tardo romanticismo),

Formato artisticamente con una solida base classica, sia dell’accademia che del maestro, non disdegnò aprirsi anche alle nuove correnti pittoriche  che cercavano di uscire dalla rigida formalità della pittura classica, come ‘i ribelli’ del divisionismo e degli impressionisti, ai quali fu mediato dal Barabino stesso. Solo nella seconda decade del secolo, dimostrò saper equilibrare la sua cultura di base con la nuova ispirazione ed espressione grafica, raggiungendo risultati  tali da qualificarlo il migliore pittore ligure, e tale da essere infine riconosciuto accademico di merito della Ligustica e tra i membri delle commissioni della Soprintendenza alle B.A.

Di notevole intensità i paesaggi; i ritratti di numerose autorità civili e religiose (nei quali si scorge la volontà del verismo, ma mista all’eleganza del gusto liberty); e le decorazioni nelle chiese (a San Pier d’Arena: nella chiesa dell’Adorazione Perpetua (vedi); un ritratto della Vergine custodito (?) a Promontorio (pongo dei dubbi perché don Ramella, già in avanzata situazione di degrado a causa del diabete, trascurato nell’alimentazione e nelle cure, timoroso di furti, aveva ritirato quadri originali dalla chiesa affidandoli a nascondigli in un armadio posto in una stanza ‘dei ravatti’ –così era l’originale della Madonna medievale, avvolta in coperte-; ad un mio interessamento sul Vernazza, non seppe trovare il quadro –dando però poca importanza al fatto, con espressioni tipo ‘l’avranno rubato’, ‘chissà dove l’ho messo’); suoi lavori nel santuario di Oregina, nel Calasanzio di Cornigliano, in tante chiese tra cui anche quella nostra distrutta di s.G.Decollato.

  

civ. 18 dal basso                                                 civ. 18 – la lapide al pittore D.Conte e icona vuota                                          

===civ. 18 sul lato orientale della strada, porta la targa che ricorda avervi abitato il pittore Dante M. Conte (vedi).  alla fine dell’anno 1906, di ritorno da Londra, nella casa allora di proprietà dell’avv. Gerolamo Parodi, malgrado la quotidiana lotta economica anche per pagare il modesto affitto delle stanze, vi aprì uno studio. La scritta è semicancellata e si leggono le parole “…visse / …operando / …qui pose…perenne / …4-1-1919 / il pittore Dante Conte / Maestro fra maestri”

Sopra il portone, una nicchia vuota.

 

civ. 18 dall’alto                                               e dai palazzi di corso Martinetti – con autobox sotto

                                         

foto 1920. La linea bianca è il muretto delimitante la crosa.                         civ.24

Il mulino civ.24 è in basso a destra

===civ.20 una porta murata

===civ.22 antica casa colonica

===civ.24  casa LUZZI. Posta a ponente della strada. Era un vecchio mulino  oppure casa contadina tipica medievale, infatti visibile anche sulla carta del Vinzoni: il rudere fu saggiamente ristrutturato a moderna abitazione a tre piani stretti e ripidi (4mx8), e con vani minuscoli; più un fondo che si apre su un prato-giardino. La proprietà si estende – sempre a ponente della strada - sia verso monte (ovvero verso la sommità del colle) per un cento metri, in buona parte curati ad orti a fasce che conservano un poco di verde alla zona; sia a valle in forma scoscesa e ripida mantenuta ad alberi brulli; sia verso mare  con un bel prato iniziale al cui estremo si vedono le pareti esterne di una grossa vasca cisterna fatta per conservare l’acqua (raccolta dalla strada, con tegole a cunetta che scorrono lungo l’interno del muro di cinta). Di fronte all'ingresso di questa casa, a levante del muro delimitante la salita, c’è la proprietà ex-villa ImperialeScassi, ora Ospedale, con l’eliporto.

  

panorama verso Belvedere; il tetto con pista sportiva      l’antico pozzo

                  

lavoro dell’Enel, molto mal fatto sul muro antico          civ. 26. L’icona è vuota

===civ.26 è una casa (di fronte al civ.17 della prima filiera di levante); si scrive fosse l’abitazione del prete

===civ.28 è un ingresso secondario della scuola sottostante.

   Dopo 30-50metri in salita diritta, la strada compie una curva fatta a sifone, probabilmente in origine per superare una maggiore pendenza. Questo tratto di strada, nelle due carte settecentesche -rispettivamente del Vinzoni e di uno sconosciuto- delimitava a ponente la   proprietà di un card. Doria. Sempre in esse, dal sifone alle case -tratto corrispondente, a levante, all’estremo ninfeo ad anfiteatro della villa Imperiale-Scassi-, a ponente terreno del rev.do padre Augusto Negrone.

 

B2)  a levante (a destra salendo): civici dispari

=== civ.1 : per primo, subito a destra, dopo la rampa di scale; palazzo appare di recente fattura.

===forse i civv. 3 e 5: al secondo tornante sulla sin, un po’ a sifone, sul lato destro c’è un muretto laddove ci doveva essere una abitazione con tre porte: di quella più in basso è rimasto -alla base del muro- una piccola gittata di cemento con incastonate delle pietruzze che scrivono “SIETE I BENVENUTI”; quella di mezzo -sempre dalla base del muretto- spunta come uno scalino di pietra rettangolare; quella superiore spunta anch’essa ma semicircolare ed a più strati, come se fosse stata la porta principale e più elevata considerato che nelle piogge torrenziali la stradina può diventare un rio impetuoso. Nella carta del Porro si evidenzia meglio quello che non appare in quella del Vinzoni: la casa era dotata nel suo fianco a levante di ampia vasca, che giustificherebbe dove andavano a far ‘ribotta’: non sul laghetto dello Scassi ma su quello sopra vicino alla trattoria.

              da Porro. In           

al centro, tra il padiglione ospedaliero e l’abbazia,                    basso a destra il lago dove sorgerà il    

 la casa col muro del laghetto.                                                          padiglione dellospedale; in alto la

                                                                                                    casa con la vasca (in azzurro)

 

===civ. 7 è una porta murata. Posta  poco prima di arrivare da casa Luzzi;  apriva ad una casa eretta dentro il recinto ospedaliero, ed adibita a casa colonica dei giardinieri, ripostiglio attrezzi e  gattara.

 

Dopo un tratto di crosa, che per la ristrettezza si può percorrere solo con auto di piccola cilindrata, e solo provenendo dall’alto, troviamo nelle carte vinzoniane, a livello delle curve a sifone che allora le proprietà erano, in basso del m.co Giulio Centurione (che aveva la villa alla sommità dell’attuale salita san Barborino) e più in alto di  Domenico Rizzo.

 

ingresso del civ. 9

La numerazione riprende decisamente più in alto, con

===civ. 9 una villa. Corrisponde a dove era una VILLA DORIA-NEGRONE-oggi SALVARANI 

Sul crinale del colle, nel lato a levante della salita, una casa coltiva cinquecentesca, prima di una filiera di case una addossata alle altre.

Esiste un vuoto di conoscenze iniziale, dall’epoca della costruzione al sottodescritto 1627; è possibile che inizialmente sia stata della famiglia Doria (l’aquila, ed i delfini nei mosaici posti nel giardino, lo dimostrerebbero, ma non ci sono  testimonianze dirette).

 Appare per primo, uno scritto registrato il 26 maggio 1627 dal notaio Ratto Pompeo, che in quella data il famoso arch. Bartolomeo Bianco iniziò alcuni lavori di ristrutturazione “nella casa posta sulla collina di Promontorio sopra San Pier d’arena”, venduta dal nobile Tobia Negrone ed acquistata da GioBatta Panesio (si precisano, ‘per 680 lire sistemare il portico, allungare la scala principale e rifare quella di servizio, aprire una finestra con telaio in legno di pino di Corsica, rifare la cucina e poi imbiancarla con la calce... nonché accomodare gli scalini ad uso “sedile” posti all’esterno della casa sulla strada, per usufruirne nelle sere d’estate, discutendo lunghe ore confortati dalla brezza notturna’). 

Circa duecento anni dopo l’erezione e centotrenta dall’atto su descritto, dalla carta vinzoniana del 1757 (vedi sopra) conosciamo che allora apparteneva al “Reverendo Padre Augusto Negrone”. Considerati gli anni descritti, evidentemente o trattasi di casa vicina alla villa (ma non ne appaiono altre), o dopo il Panesio fu riacquistata dalla fam. Negrone, o non sono aggiornate le carte. Il terreno a sud della casa è di Domenico Rizzo (uno degli abitanti nella filiera di case), mentre  il “Reverendo padre Augusto Negrone”  ha pure in proprietà un vastissimo appezzamento terriero a ponente della salita che dalla proprietà del Carozzo-Carriaggio posta davanti alle case, arriva in basso sino al  tornante della strada (dove ora, al centro c’è il silos auto).

In altra carta di poco dopo (1781 circa) è ascritta ai “Revv.PP.Agostiniani”, a cui forse apparteneva padre Negrone.

Saltando altri secoli, sappiamo che il 16 settembre 1944 il Dopolavoro “Promontorio Belvedere” (al quale una bomba aveva distrutto la sede) viene stimolato dall’”ufficio Organizzazione dell’Opera Nazionale Dopolavoro” a firmare un contratto d’affitto per entrare nella villa dove poter continuare a svolgere le funzioni sociali. Contratto, già pronto ed approvato dalla Direzione Provinciale, con i proprietari della villa, gli eredi Garré.

Cosicché il circolo occupò il piano terra e lo attrezzò a sede sociale, tra l’altro tamponando la scala che porta ai piani superiori (e che il nuovo proprietario ha dovuto liberare per evidenziarne la funzione e la graziosità).

Dall’anno 2004 l’attuale proprietario, il prof. Salvarani, neurologo primario dell’Ospedale di SPdArena, entrato in possesso della casa ha eseguito molti lavori di restauro ed  aperto nel 2009 un passo carrabile per l’auto.

Nell’edificio si accede da una porta semplice (non accessibile ad eventuali carrozze: non è chiaro da dove entrassero anticamente) sormontata da una nicchia ora vuota L’edificio, costruito a L, ha perduto i pavimenti ed ha ricuperato i vani lasciandoli però distribuiti diversamente dall’originale: in quello più a mare c’è ancora un bel caminetto di media grossezza, lavorato in marmo; nell’atrio d’ingresso c’è la scala marmorea (seppur ridotta di larghezza, e che precedenti occupazioni avevano murato cementando le colonnine tra loro; con una elegante colonnina caposcala). Al piano nobile alcuni soffitti decorati in forma molto semplice con tenui e garbati colori, ritrovati sotto abbondanti strati di calce, lasciando delle paratie che avevano suddiviso i vani troppo vasti.

Nel giardino, dall’ingresso lungo due lati del palazzo fino all’angolo interno a monte, c’è un marciapiede fatto a creusa (mattoni e ciottoli bianco neri, rifatto con l’ultimo attuale inquilino) che porta ad un ninfeo d’angolo, di stile barocco, con fastigio in alto, parzialmente – ma ancora abbastanza bene - conservato, con al centro la statua di un putto da cui aggetta l’acqua, e che ha davanti una pavimentazione sempre a “risseu” tipicamente liguri, pietre bianche e nere a mosaico disegnanti al centro un delfino (simbolo dei Doria della Liguria di Ponente). Mentre un identico mosaico a risseau è al limite di levante dell’ampio giardino ove era allestito probabilmente un giardinetto belvedere (dal quale si domina la valletta ora di proprietà dell’ospedale civile), con elegante disegno di cervi affrontati, altri animali, ed uno stemma con l’aquila dei Doria.

 

Dopo essa, inizia una filiera di case, dal

===civv.13 (il 15 fu ricostruito) attaccate uno all’altra fino al 21.

La villa su descritta, è la prima di esse in ascendere, poste a levante della crosa e di antica costruzione visto che di molte delle quali ritroviamo descrizione nella carta del Vinzoni del 1757 ed in altra successiva forse del 1781. Le case: in queste carte si evidenziano anche gli allora proprietari; nella carta del Vinzoni sono in ordine ascendente e con teorici numeri civici ché allora non esistevano: Rev.P. Augusto Negroni (civ.9); Giac.mo Oneto (civ.11); Dom.co Rizzo (civ.13); m.co GioBatta Carroggio (la più grande: civ.15. Nelle due carte assume differenti cognomi similari: Carroggio, Carrioggio, reverendo Carozzo, Carriaggio); Bernardo Scala (civ. 17)Giuseppe Pete_ati (civ.19).  L’altra carta del 1781 al civ. 9 mette  i rv.PP.Agostiniani (forse, lo stesso sacerdote Negroni); all’11, al 13, al 15 ed al 17 gli stessi del Vinzoni (al 15 diventa  GB.Carrioggio (quello dei terreni di fronte)); al 19 invece P.Angelo Pertinace(?). Invece i terreni a ponente della strada fino al rivo, sono di unica proprietà del Carroggio.

 

Salendo ancora, dopo un piccolo stacco che separa l’ultima casa precedente, alla filiera seguente che va fino all’incrocio con via Promontorio.

          

foto Pasteris – 1936

 

===dal civ.23 al 29 solo il Vinzoni riporta il nome del proprietario dei terreni:  a ponente della strada, il “r.do Giulio Castellazzo” con casa. A levante invece i terreni appaiono essere stati dell’ ‘eminentissimo cardinale Doria’(Battilana pag31?). In particolare:

===civv.27-29  eretti nuovi nel 1959

 

DEDICATA al napoletano di Arenella, nato nel 1615 e morto a Roma nel 1673.  Fu pittore, incisore, poeta satirico, musicista, attore.

Come pittore fu assai richiesto (questo gli permise condurre vita brillante e da facoltoso) producendo prolificamente tele con scene sacre (commissionategli prevalentemente per le chiese), o con scene di battaglie o di marine  (tendenzialmente molto movimentate, tempestose, con colori foschi e con forti contrasti tonali), o personaggi (anch’essi espressi con tratti decisi e sicuri).

Sue opere sono al Louvre; a Roma (in palazzo Chigi, Corsini, Doria, Brancacci, nella chiesa della Morte); a Napoli; a Firenze (un autoritratto agli Uffizi); a Milano (al Brera); a Genova (palazzo Bianco: intitolato “la fattucchiera”; a palazzo Rosso un “san Sebastiano”).


Fu altrettanto capace di valenti  incisioni in rame. Una sua, qui riprodotta, di 53,5x39,5 è firmata in cartiglio «Ingenuus, Liber, Pictor Succensor, et Aequus, Spretor opum, Mortisque hic meus est Genius. Salvator Rosa».

È stata venduta a 1300 euro nei primi anni del 2000


A Firenze, nel 1640-9, fondò l’Accademia teatrale dei “Percossi”: cercando con tale società riunire gli artisti e creare per loro un centro operativo e di studio; allo scopo ci la lasciato un corposo epistolario che permise in seguito ricostruire la sua eclettica personalità, e molti movimenti d’arte e cultura, nonché i personaggi che muovevano le fila nel campo.

Come poeta, compose odi, sonetti, cantate, “satire” definite argute e pungenti; come attore venne applaudito nelle parti di Pasquariello e Meo Patacca.

BIBLIOGRAFIA

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-AA.VV.-Annuario.guida archidiocesi—ed./04-pag.437—ed./02-pag.474

-Archivio Storico Comunale Toponomastica-schede 3946,3947,3950, 3951

-AA.VV.-Le ville del genovesato.Valenti.1984-pag.125

-DeLandolina GC.-Sampierdarena-Rinascenza.1922 – pag. 53

-DiRaimondo.Muller Profumo-G.Bianco e Genova-ERGA.1982-p.163

-Enciclopedia Motta  

-Enciclopedia Sonzogno   (ambedue lo chiamano Salvatore)   +  

-Galotti F.-Pittura e scultura d’oggi-EAR.1970-pag57

-Gazzettino Sampierdarenese :   7/80.4  +   5/89.8

-Novella P.-Strade di Ge.-Manoscritto b.Berio.1900-pag.18

-Pagano annuario/1933-pag.874-/40-pag.396-/1961- quadro102

-Pastorino.Vigliero-Diz..Strade di Ge.-Tolozzi.85-p.1619(dimentica il tratto >)

-Poleggi E. &C.-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.23.35.

-Rocchiero V.-Ambiti barabiniano e novecentesco-UOES.1976-pag.18

-RotondiTerminielloG.-il patrimonio artistico di bCarige-Silvana2008-p.408

-Tuvo.Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag. 104  

il tratto intermedio della salita sRosa, spezzato da corso Magellano; slargo tra il tratto inferiore ed il superiore; anno 2007.
ROTA
                                    via Carlo Rota

 

TARGHE: San Pier d’Arena – via – Carlo Rota

                  via - Carlo Rota

 

angolo con via C.Rolando

 

 

in angolo con via P.Cristofoli

 QUARTIERE MEDIEVALE: san Martino

 da MVinzoni, 1757. In rosso le attuali proprietà salesiane (chiesa e confine Oratorio); celeste, via AScaniglia; fucsia via GBMonti; giallo via AStennio.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2842

da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   55020

UNITÀ URBANISTICA: 25 - SAN GAETANO

 da Google Earth 2007. in celeste via PCristofoli; giallo, via AStennio; fucsia vico Scanzi; rosso via SGBosco. In verde inizio e fine di via CRota.

CAP:   16151

PARROCCHIA: san Gaetano e san Giovanni Bosco

STRUTTURA: senso unico viario veicolare da via C.Rolando a via P. Cristofoli. 

Vi si aprono numerosi esercizi commerciali, che sono variati nei tempi.

È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera

Il Pagano 1911* e 25¨ al civ. 1 la levatrice Pavia Luigia¨;--al civ. 6 i f.lli Bertola¨ (tel. 41-932, e con negozio anche in p.za Ferrer) avevano una fabbrica di liquori (il ‘Ligure Chinato Bertola’);--- al civ.8 si segnala la Litografia (per illustrazione sulla latta e fabbrica di barattoli e casse per conserve alimentari) di Falchi Aldo e C.telef. 2193 (nel ’25, tel.41.186);-- civ.NP l’impresa edile Capello e Risso¨;--- .Dal 1920 il Pagano segnala (nel 1919 non c’è) la  officina meccanica di Cicala e Delmonte  ponendola in “vico Pellegrina Amoretti già Carlo Rota, 6-8r”: si può interpretare in due modi a) che si erano trasferiti; b) che il vico prima di essere nominato autonomo, era via C.Rota

Il Pagano 1950 segnala una osteria al civ. 21r di Guabello R.; nessun bar né trattoria. Subito a monte dopo l’incrocio con via Cristofoli, negli anni 1950 viene ricordato il lattoniere Dentella

Negli anni 2000 hanno da anni la sede l’ANPI, il colorificio Cortivo, un supermercato, negozio di mattonelle, libreria Voltapagina (che ha abbandonato i locali nel 2008 circa, lasciandoli a profumiere), tabacchino, giornalaio, bar; dal 2003 un negozio per telefonia e comunicazioni internet.

 

CIVICI

2007=      NERI= da 1 a 7                           e da 2 a 6

(controllato)     ROSSI= da 1r a 45r (manca 33r)     e da 2r a 76r (aggiungi 46Dr, 38ABr)

 

Nel Pagano/40 (da via E.Mazzucco a via P.Cristofoli) si segnalano i segg. civv.: NERI=vari privati; 7 ist.naz.fasc.per assicuraz.contro infortuni sul lavoro; ROSSI= 3 macellaio; 7 latteria; 11 az.municip. Gas (magazz.); 12 casse imballaggi; 21 osteria; 23 merceria; 27 parrucch.per signore Esterina; 29 polliv.; 31commestib.; 33 macelleria; 37 calzat.

===civ.1   nacque per terzo, essendo del 1912

===civ.3   fu il secondo palazzo eretto nella via, nascendo nel 1909 circa; nell’int. 2 negli anni 1919-26 c’era la sede della filiale italiana delle acciaierie Sanderson Bros. e Newboultd ltd di Sheffield telef. 41.001.

Si  dice che nel posto c’era una corderia.

===civ. 5 fu il primo nel 1906, ad essere eretto dall’impresa Capello (come anche gli altri civici dello stesso lato; essa aveva sul lato opposto, dove i civv 4-6, una propria segheria ove venivano preparati in forma autonoma pali per impalcature, ma anche infissi, braghettoni, persiane, e quant’altro fosse necessario per i palazzi in erezione sul lato di fronte. Confinava nel retro con altra segheria, di Lavagnino- aperta in via Cristofoli).

===civ. 7  risulta essere del 1923

===civ.11r: viene segnalata la presenza nel 1933 della sede della “società Mutuo Soccorso e circolo Ricreazione sociale”.

===civ. 2  fu costruito nuovo nel 1948 al posto della vecchia villa cinquecentesca.  Si racconta che il palazzo era stato iniziato molti anni prima, nelle prime fasi della guerra, ma ne fu ritardata l’abitabilità completandolo solo ben dopo la guerra; la giustificazione di tale ritardo non fu solo legata alla carenza di mano d’opera o materiale ma anche al timore degli imprenditori che potesse essere fatto occupare dai sinistrati dai bombardamenti o sfollati, con ovvia  ripercussione negativa economica.

===dal 2r al 10r, sono nel 2006 del supermercato Eskom.

=le targhette col numero civico, sono state quasi tutte rimosse; in una rimasta sembrerebbe leggersi un 4.

===civ. 4  fu demolito nel 1952 e riassegnato a nuova costruzione nel 1958.

===dal 12r al 22r nel 2007 c’era la libreria Voltapagina.

===civ. 6  fu demolito nel 1955 e riassegnato nello stesso anno come 38*** dopo aver annullato i civici rossi e neri***

===civv.40r-42r-44r = Nel 1950 c’era l’enopolio dell’Alleanza  Coop. Genovese

===76r sono due cancelli affiancati che danno adito, il primo al supermercato DìxDì; il secondo (78r= non considerato nell’elenco di corso Torino) –comunale- al retro della scuola.

 

STORIA:  dalla carta del Vinzoni datata 1757 (vedi sopra), si nota un sentiero –ovviamente non di uso popolare - che costeggia a lato mare la proprietà di Gio Giacomo Grimaldi (con villa del XVI secolo, distrutta: la casa allora era affacciata su via san Martino (via C.Rolando) ed il vasto giardino ed orti si prolungavano nel retro, sino alle pendici di  Belvedere). Quel sentiero, la separava dalla proprietà del mag.co Ferdinando Spinola, posta a sud di essa.

 

   Dopo i vari passaggi di proprietà dei terreni e ville (divenuta Cristofoli, fu poi della sua vedova signora Rebora; ed infine nel 1937 di un certo Capello, che fece demolire la villa per poter costruire i palazzi attuali), negli anni inizio secolo (1905-10 circa) iniziarono le lottizzazioni dei giardini, ed iniziarono a sorgere i primi palazzi.  La strada formatasi con essi e mantenuta più larga, fu dapprima detta “via  Montebello superiore” essendo in prosecuzione a monte di via Stennio, allora via Montebello ( divenuta ovviamente “inferiore”).

    Nel 1906 appare già ben delineata a ponente, con suo inizio da via A.Saffi (via C.Rolando); ma è ancora imprecisa a levante dove finiva nella località Fornace (vedi E.Rayper), vagamente “incrociandosi con una traversa che è nella proprietà Cristofoli”. Comunque, in quegli anni le fu intestato il nome del Rota.  Infatti nell’elenco ufficiale pubblicato nel 1910 è più specificata: da via A.Saffi alla via P.Cristofoli, con civv. fino a 5 e 10 poi corretti entro il lustro dopo a 1 ed 8.

   Il Pagano 1925 vi colloca una delle locali 8 fabbriche e negozio, di barattoli e casse per conserve alimentari con capacità di litografare la latta, di Falchi Aldo & C. (ancora attivo nel 1933), tel 41186.

   Unica titolazione esistente in tutte le delegazioni appena unificate nella Grande Genova del 1926, si salvò dall’epurazione dei doppioni, classificata di 4a categoria.

   Nel Pagano 1933 si segnala la presenza di: civ.8, dal 1925, Falchi Aldo & C. (in questa data ne rimanevano 4 di oleifici: i Galoppini, i Tardito ed i Raffetto); marmista Valdevit Giacomo; reperibilità del costruttore edile Capello (in via Pastrengo un omonimo Filippo e con stesso mestiere; forse sono parenti); una officina, di Cicala & Delmonte (localizzata in vico P.Amoretti, ha aggiunto: ‘già Carlo Rota 6-8r‘, con doppio significato: o avevano traslocato, o prima la strada era una e poi  fu divisa in due titolazioni);

foto 1938. A sinistra i giardini della villa

 

   

foto 1998 panoramica              foto 2008 - da via Crisftofoli.

 

 

 

 

 

 

 

 

DEDICATA:


 

 

 

al monzese nato il 2 febb.1830 (E.Costa dice il 20 febbraio), che ancor 18enne scese a Milano per partecipare alla battaglia delle 5 giornate dell’ago. 1848  preludio della prima guerra di Indipendenza.


 

Tornati gli austriaci, seguì Garibaldi con i suoi volontari - che non avevano deposte le armi continuando a combattere a Luino sul lago Maggiore (15 agosto) ed a Morazzone (26 agosto); finché non furono obbligati a sciogliersi (Tuvo dice chefuggì in Piemonte dove servì nell’esercito regio fino a dopo Novara. Una fonte dice che il Rota preferì ritirarsi in Svizzera; altri dicono che entrò nell’esercito piemontese).

   Nel 1849 andò a combattere per la Repubblica romana.  

   Da là però ben presto scese a Genova alla ricerca di lavoro, che trovò in San Pier d’Arena, come incisore (era il suo mestiere) in un negozio di oreficeria.  Nel 1851, entrò a far parte della società di mutuo soccorso Unione Umanitaria, che fu dalla sua nascita centro e  fucina di educazione ed assistenza tra gli operai;  ma anche di opposizione repubblicana contro il regno; e soprattutto favorevole all’unione dell’Italia e quindi di insurrezione contro gli austriaci. Due anni dopo entrò a far parte del Partito d’Azione mazziniano.

   A 27 anni 1857 si imbarcò con Carlo Pisacane sul piroscafo Cagliari ‘concesso’ da Rubattino, avviandosi verso Sapri, nella sfortunata spedizione contro i Borboni (30 giu.1857; la memoria è sollecitata dalla poesia di Luigi Morgantini intitolata ‘la spigolatrice di Sapri’ e che inizia “eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!) che per lui  si concluse a Padula dopo il ferimento e cattura; torturato e poi processato a Salerno, fu condannato a 30 (Bettinotti scrive 11) anni di carcere e lavori forzati da scontare nel forte di santa Caterina nell’isola di Favignana (Egadi), e nel penitenziario di Nitida, legato alla catena con Giovanni Nicotera (fiero barone siciliano, che diventerà Ministro d’Italia).

   Liberato tre anni dopo da Garibaldi, ancora vestito da forzato rientrò nei garibaldini seguendoli fino a Milazzo (1860) ove durante una carica dei Carabinieri genovesi venne nuovamente ferito ad una coscia. Questo evento lo costrinse a rientrare a San Pier d’Arena per convalescenza.  Ristabilitosi, trovò lavoro all’Ansaldo, dedicandosi all’organizzazione del Corpo dei Carabinieri Genovesi, ed anche alla società Unione Fraterna  (che poi divenne Universale); ma da buona anima inquieta, due anni dopo, organizzato dalla SMS, partì con altri 30 sampierdarenesi per andare a combattere (1862) a Sàrnico (Bergamo) in un ennesimo tentativo insurrezionale di patrioti, riuniti per la liberazione del Veneto: anche qui venne catturato ed imprigionato ad Alessandria. Riuscì però a liberarsi,  tornando a Genova;  ma ormai era segnalato alla polizia che aveva preso misure generiche ma rigorosissime per impedire i movimenti a  questi cospiratori ricercati : dopo  tre mesi di latitanza, trovò come unico lavoro possibile, un imbarco come fuochista su un piroscafo. Con esso poté partire da Genova e raggiungere poi Garibaldi ad Aspromonte (9 ago.1862). Lavorò anche per la spedizione nel Friuli del 1864.

   Nel 1866 si arruolò nel 1° battaglione  bersaglieri, organizzato a Bergamo dal comandante Mosto, combattendo  a Condino ed a Bezzecca (21 lug), fino al famoso “Obbedisco”(9 ago) di Garibaldi.

Avendo però perduto il lavoro che aveva qui, si fermò a Livorno ove gli Orlando, amici industriali pure loro patrioti gli offrirono un lavoro.

   Fuggito da Caprera, il Nizzardo fu raggiunto nell’Agro dalla spedizione dei fratelli livornesi Sgarallino con i quali erano il Nostro e V.Armirotti, combattenti -sul finire del ’67- nella campagna di Roma, al suo fianco fino alla catastrofe di Mentana (3 nov.1867). Con questa battaglia il Rota  finì il ciclo come guerriero garibaldino, ottenendo il grado di sottotenente per valore militare.

   Dopo un breve soggiorno a Firenze perché malato fu richiamato dagli amici qui e così tornò definitivamente a San Pier d’Arena. Nel ’68 fu incaricato da questi amici di gestire la “Cooperativa di Produzione e Consumo”, che non riusciva a decollare (l’idea nata  nel 1864 nell’Ansaldo-fonderia in bronzo, quando il borgo aveva 14mila abitanti, fu realizzata da un gruppo di repubblicani (vengono ricordati solo: Balzarin Gerolamo, Botto Pietro, Grondona GB, Caminada Antonio, Locatelli Francesco, Pecci Giuseppe, Firpo Giacomo, Toma GB, Bagnasco GB, Bagnasco Nicolò, Bagnasco Antonio, Medici Luigi, Pittaluga GB, detto û Caruba,  Bolla GB, Bagnasco Gerolamo, Repetto Giacinto) col patrocinio della SMS, con l’assistenza dei fratelli prof.ri Viganò (Francesco e JacopoVirgilio) e di Armirotti, ma senza nessuna particolare incentivazione tanto che dagli iniziali 50 soci, una rivendita ed iniziali debiti (con imprenditori locali che sulla parola anticiparono la merce: DeMarchi Gerolamo l’olio; Bruzzo Francesco per grano, riso e legumi); nel ’70  (quando la SMS venne chiusa per ‘propaganda sovversiva’ e subito ricostituita come Associazione Operaia Universale di MS) ne aveva 200; nel ’71 ancora solo 300 soci, ma finalmente un capitale, di ben 20mila lire e la sede nell’attuale piazza Montano; nel 1874 con mille soci e 88.600 lire di capitale. Era retta da un rigido statuto in base al quale era sostenuta solo dalla emissione di azioni di pochi soci-lavoratori che versavano una quota massima (di allora) di 5mila lire; e poteva fornire spaccio di commestibili preparati dagli stessi soci nelle ore fuori del lavoro usuale).

Si richiedeva una persona capace di dedicarsi, che fosse retta e volenterosa, capace di affrontare la concorrenza interessata dei bottegai e di smuovere l’apatia ed inerzia degli operai: ad essa il Rota come era sua indole caratteriale: nemico dell’inerzia e della disperazione d’animo, misurato come la merce da comperare (fa parte della leggenda del personaggio la sua presenza alle sedute del consiglio di amministrazione munito di campioni delle merci proposte e dei loro prezzi:  una campionatura delle varie qualità di fagioli e di riso, un quartino del monferrato, bottiglini di assaggio dell’olio, una prova di farina, ecc.), si dedicò totalmente lavorando come facchino, magazziniere, mugnaio, direttore responsabile, contabile amministratore: un tuttofare dal 1869 al 1874, quando -per ulteriori 18 anni- ne sarà direttore in forma ufficiale (lo sdoganamento di alcune merci in arrivo (grano, petrolio, caffè, zucchero, ecc); il dazio al Comune; le varie tasse (ricchezza mobile, diritto di esercizio e rivendita, bestiame e foraggio) e quant’altro poteva servire per ottenere la qualità migliore di merce al prezzo più basso e le modalità di pagamento più dilazionate).

 


   Nel 1883 la cooperativa  aveva  soci, capitale e fondo di riserva da poter acquistare per 92.500 lire il terreno e la villa Lomellini-Spinola al civ. 8 di via A.Saffi (via C.Rolando. La villa era di 1000 mq e possedeva 3000 mq di terreno a giardino ed orto.  vedi foto in 37.251 dove l’entrata è già spostata a levante, e sullo sfondo -ultima  a destra- si vedono una ciminiera e l’altra villa Spinola.). Il prezzo era pagabile a rate in 15 anni (furono versati interamente dopo sette, otto anni).

Fu immesso un mulino a vapore modello americano con il quale direttamente si macinava il grano (costruito dall’Ansaldo, aveva una forza motrice di circa 20 cavalli;  lavorò per 10 anni, finché nel  ’77 la Cooperativa di produzione meccanica  ne costruì un altro da 70 cavalli capace


di macinare 100q di grano in dieci ore). Si dovette restaurare sia l’acquedotto (per la turbina occorse l’allacciamento diretto con il DeFerrari Galliera), sia le mura della villa e dei magazzini adattandole a tali macchinari ed a deposito o magazzino generale per le riserve (alte quantità (3000)  di sacchi di grano ed altrettanti di farina, farinetta, semola, crusca e crudetelli). Si costruì anche un forno gigante (della ditta Rolando; si arrivò poi ad averne tre) con il quale si produssero tutti i relativi farinacei dal pane alla pasta (dai 16 ai 20 q. al giorno di pasta e 40 t di pane) che uscivano dalla villa diretti  alla distribuzione e vendita in altri sette negozi.

   In pochi anni, divenne la  più attiva cooperativa nazionale fornitissima di ogni merce necessaria e di qualsiasi qualità, con più di 2500  soci iscritti  (cronologicamente, con anno=soci=capitale=fondo di riserva: ’64=50=poco=nulla (in 14mila abitanti) - ‘70=200=55mila=nulla – ‘74=1000=88.600=nulla – ‘80=1200=102.500+18.000 – ‘83=1350=100mila+30mila= ? -  ‘85=1700=140mila+55mila – ‘92=2500=349.993,98+64mila (e 33mila abitanti) – cifre che incrementarono anche dopo la morte del Rota, fino a diventare 2800 soci).

   La presenza delle due cooperative (di Consumo una;  e –dal 1882- di Produzione la seconda, o altrimenti «soc.an. Cooperativa di Produzione Officina Meccanica e di Costruzioni navali») diedero il nome alla zona, come indicazione popolare della località; e ‘travaggià in ta prodössion” era sinonimo di serietà e risparmio: i loro prezzi funzionavano da calmiere cittadino e rimanevano bassi perché a fine anno gli utili dividendi tra soci, in parte venivano resi e reinvestiti.

   I lunghi periodi di disoccupazione, di crisi economica, di grossi travagli sindacali con rivendicazioni, minacce ed arresti, di tanta e tanta miseria quotidiana, sconvolgevano la popolazione più indifesa che ideologicamente mirava al “sole nascente” nell’attesa di un migliore avvenire, aspirando essere guidati da persone forti, oneste, disinteressate ed umane, come il Rota abituato da sempre alla lotta in condizioni svantaggiose, ma vittoriose per caparbietà.

   All’esposizione operaia di Torino del 1890,  la Cooperativa ottenne un diploma d’onore per qualità di merce esposta. Altrettanto e di più fu decretato alla Esposizione Italo-Americana del 1892 (riconoscimento alle qualità dello statuto, relazione di bilancio, qualità dell’impianto, e medaglia d’oro ai prodotti)

Personalmente usufruiva di un appartamentino nella stessa via san Martino (via C.Rolando), fornitogli dalla cooperativa, e si accontentava di uno stipendio miserevole, preferendo impiegare i capitali nell’organizzazione, che vide crescere da una semplice botteguccia a magazzini, forno (la ciminiera ?), altri 15 punti vendita e 50 lavoratori assunti; dopo la sua morte, e poco prima dell’anno 1900, la Cooperativa poté rilevare persino un cantiere navale lungo la spiaggia,  ed il grande terreno con fabbricati in via A.Saffi dove aveva la sede.

Fu tra i primi a portarsi tra i colerosi nel 1884, e tra i terremotati della riviera nel 1887; sempre presente nelle sottoscrizioni patriottiche ed umanitarie.

Riconosciute le sue qualità, fu (1887) pure eletto consigliere comunale (rifiutando però il mandato parlamentare).

 

 

 

 

 


Così lavorò instancabilmente, sorretto da quell’onestà che lo accompagnò sino alla morte, avvenuta in totale povertà a 62 anni, il 16 ago.1892 (anno in cui veniva festeggiato il IV centenario della scoperta dell’America, e della nascita del Partito Socialista). Fu sepolto alla Castagna ove il Comune eresse un piccolo monumento.


  


 


Alla sua vedova, Teresa Pozzuolo, l’amministrazione comunale concesse una pensione annua di 2mila lire.

Risulta, nel 1922 esserci un consigliere comunale omonimo, abitante in via Operai al 3/5.

La Cooperativa di Consumo divenne poi l’“Alleanza Cooperativa Ligure”, e poi ancora dopo il 1900, amministrata dai socialisti divenne “Cooperativa Avanti”. Col fascismo cambiò nome in “Consorzio annonario” .

BIBLIOGRAFIA

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-Archivio Storico Comunale Toponomastica -  scheda 3974

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-Gazzettino Sampierdarenese :   6/77.3  +  9/90.5  +

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-Tringali S.-Sampierdarena 1864-1914 mutualismo e...-Ames.2005-pag.38

-Tuvo T.Sampierdarena come eravamo-Mondani.1983-pag.54

-Tuvo.Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.’75-p.114.242.262  

-non citato da EM + ES + 52 +


RUFFINI                                               via Jacopo Ruffini

 

 

Vecchia titolazione succeduta a quella antichissima di “via Larga”.   L’antichissimo nome di via Larga, fu cambiato all’inizio del secolo 1900 quando si volle dare all’epopea risorgimentale un valore di risalto nazionale,  di forza superiore alle più radicate tradizioni locali.

Attualmente (con delibera del podestà, del 19 agosto 1935) si chiama via Palazzo della Fortezza.

Attualmente via J.Ruffini è in Portoria.

Nel 1850 –a nord della strada ferrata- la parte vicino alla ferrovia era delimitata a ponente da una baracca, raggiungibile da un cancello posto sulla strada ed addossata, al muraglione ed alla proprietà Dellepiane (e poi ‘eredi Dellepiane’);  a levante da quella dei fratelli Lagorara. Le case attorno la strada, prima del sottopasso avevano uno stacco da mbedue i lati; nesso stacco verso est, nella seconda arcata, rispetto il sottovia principale, in quegli anni c‘erano dei lavatoi pubblici .

-Allo sbocco sud del sottopasso ferroviario, in via –oggi Buranello- si leggono  verso levante i civici 13r, 11r, 9r; e verso ponente 15r, 17r, 19r. 

Nell’elenco strade del 1910 il nome del patriota compare con la I italiana; sottoscritto ‘già via Larga’; limitata ‘da via C.Colombo al vico Massimo d’Azeglio’; con civv. fino al 16 ed 11, cresciuti nel lustro dopo a 18 ed 11

Nel Pagano 1911-12 Bocci Ernesto possiede una fabbrica di cornici (ci sarà ancora al civ.16,  nel 1925); Macciò Giacomo un negozio deposito di ferro vecchio.

Era ancora con questo nome nel 1923 quando il piano regolatore progettava l’allargamento della strada a 10 metri e di contornarla di case da abitazioni moderne, con vicino la  caserma dei pompieri ed un mercato.

Il Pagano 1925¨ segnala al civ. 14 l’osteria di Alvigini Gaspare;--- civ. 16  l’officina di manifattura della latta-cromolitografia dei Bozzolo & C. tel.41084;--- civ. 43-45 il pastificio alimentari di Ricagni Silvio;--- cNP laboratorio del marmista Bosio Costantino (anche in v.DeMarini)

Nel 1926 furono assorbiti nella Grande Genova tutti i Comuni limitrofi sino ad allora autonomi; fu necessario quindi eliminare le titolazioni doppie, a vantaggio di quelle del Centro, ove è tutt’ora; per SPd’Arena e Sestri si dovette programmare il cambio. 

Ancora nel 1933 , iniziando sempre dalla marina, da ‘via C.Colombo’ (via San Pier d’Arena) arrivava in via M.D’Azeglio; in quell’anno, al civ.5 c’era la Scuola industriale maschile G.Garibaldi; al 14 il vinaio Alvigini Gaspare; al 16 la fabbrica di cornici di Bocci Ernesto; al 31r il macellaio di carni suine Sacco Francesco; al 35r il droghiere Carissimi Venezia; al 39r sempre droghiere Carissimi Maria; 43-45r pastificio alimentare di Ricagni Silvio.

 

DEDICATA al medico, patriota, compagno di gioventù di Mazzini, nato a Genova il 22 giu.1805 e residente in via delle Grazie (figlio di Bernardo,  giudice del tribunale, propugnatore unitario; e di Eleonora Curlo, marchesa proveniente da Taggia.

Di tredici fratelli, solo la sorella Angelina ed un fratello Ottavio si disinteressarono di politica.

Tra tutti, altri due fratelli, dopo i moti del 1833, preferirono l’esilio

=Giovanni (Ge.29.9.1807-Taggia 3.11.1881, andò a Londra e poi a Parigi; autore di due celebri romanzi scritti in inglese con i quali si riproponeva far conoscere i valori del Risorgimento: ‘il dottor Antonio’ e ‘Lorenzo Benoni’; e per Donizetti,  i libretrti del donSebastiano e donPasquale.

=Agostino (Ge.17.2.1812-Taggia 3.1.1855),dopo la carboneria e Giovine Italia, affiancò Mazzini fino al 1840. Tornato a Ge nel 1848 divenne deputato al parlamento subalpino.


Iacopo, ancora studente in medicina, si iscrisse alla carboneria e collaborò alla nascita della Giovine Italia, divenendone responsabile locale ed apostolo delle nuove idee, scrivendo di esse sulla rivista “Congrega” e sull’ “Indicatore Genovese”.


 Si laureò nel 1930 prestando la sua opera di medico assistente nell’ospedale di Pammatone.

Lo slancio e l’ardore giovanile lo portarono in posizioni di alta responsabilità; finché segnalato alle autorità, sicuramente da una spiata,  fu arrestato e condotto nel carcere della Torre del Palazzo Ducale all’alba del 14 maggio 1833;  fu rinchiuso nella cella detto “scalinetto”, al quarto piano della torre perché per accedervi occorre prima scendere un gradino, percorrere ricurvi un corridoio, e subito dopo la porta, salire un altro scalino; la cella, di pochi metri quadrati, oltre  la porta rinforzata, ha in basso a pochi centimetri da terra una grata quadrata di mezzo metro di lato, ma che non da all’esterno in quanto - al di là della fitta inferriata- inizia un canale largo quanto l’inferriata stessa  che si prolunga inclinato per tre metri nello spessore del muro finché piegandosi di un leggero angolo si apre all’esterno con una finestra ancor più piccola, bloccata anch’essa da un’altra inferriata.

Era esponente dei primi vagiti della nuova filosofia politica (ancora gran confusione tra come realizzare l’Italia-Una; tra regno e repubblica –con terzo incomodo- il papato; tra pacifica soggezione alle decisioni imposte dall’alto e libertà da conquistare con la lotta e la vita: i tempi risorgimentali non erano ancora maturi ed i singoli pionieri dell’ideologia mazziniana andavano avanti da soli,  allo sbaraglio e privi di un supporto organizzato).

Per l’insieme di questi motivi il 19 giugno preferì clamorosamente togliersi la vita svenandosi: si piantò nel collo con disperata violenza un pezzo di ferro strappato alla lastra che rivestiva la porta; e scrivendo col sangue sul muro “la vendetta ai fratelli” si lasciò morire. Aveva ventotto   anni.

La prospettiva non era solo un duro interrogatorio, ma soprattutto il timore di coinvolgere gli amici,  obbligato forse anche dalla tortura fisica pur di estorcergli informazioni sui compatrioti e sull’organizzazione (molti dei quali invece, più deboli, preferirono collaborare con la polizia, denunciando i fatti e le idee. Ma altri come i sottufficiali Giuseppe Biglia e Francesco  Miglio ed il maestro d’armi Antonio Gavotti, tutti dell’esercito sardo, caddero fucilati alla Cava il 15.6.1833; altri ancora nei fossati del forte di Alessandria; Lorenzo Boggiano seguì l’esempio col suicidio).

la cella nel Palazzo Ducale,  nella quale fu internato J.Ruffini

Da Londra, l’amico Giuseppe Mazzini profondamente scosso dalla notizia, scrisse una invocazione-dedica,  ricca di enorme commozione.

Una lapide il cui scritto fu dettato da Emanuele Celesia, è posta nel palazzo Ducale e ricorda: “Consacrò queste carceri il sangue d’Jacopo Ruffini mortovi per la fede italiana 1833”; altra dettata da E. Re era in una aiuola nella strada genovese a lui dedicata (andò distrutta quando l’area divenne ‘campus’ per la X Mas).  

La diatriba, tra scrivere il nome con la J o con la I, è legata a volte all’esasperata volontà dell’epoca fascista di italianizzare i nomi (come anche per Walter); comunque le tre enciclopedie, italianizzano  la I.

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 3988 (J)

-AA.VV.-SPd’A.nella sua amministrazione fascista-Reale.1926-p.54(J)

-DeLandolina GC-Sampierdarena- Rinascenza .1922 – pag. 54

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-Enciclopedia Sonzogno (I)

-Enciclopedia Zanichelli (I) data morte 10 giu.

-Genova-bollettino municipale-10/23.pag.1162ritratto

-Marasco G.-Eleonora Ruffini una donna...-La Casana 2/79-pag.40

-Museo s.Agostino-archivio toponomastica

-Novella P.-Strade di Ge-Manoscritto b.Berio.1900-pag.18.20 (J)

-Pagano/1933-pag.69.248

-Pastorino.Vigliero-Dizion. strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1631(J)ritratto  

-Quinto GB.-Le targhe delle strade-Pagano.1979.pag. 16