VITTORIO                        piazza Vittorio Emanuele III

 

   Una nuova piazza creatasi alla congiunzione tra via Umberto I (via Reti-W.Fillak) e via A. Saffi (via C.Rolando),  dichiarata pubblica  dalla giunta comunale (considerato che prima era terreno patrimoniale ed in carte vecchie vi appare costruito),  fu dedicata al nuovo re , nel 1906.

     Corrisponde all’attuale piazza  R.Masnata.

    Già dai primi anni del 1900 vi si teneva un mercato; appare però che nel 1926 l’ufficio di Polizia urbana l’aveva già spostato in piazza dei Mille (piazza Ghiglione).

   Con questo nome ufficializzato, appare la piazza nell’elenco delle vie pubblicato nel 1910 dal comune; posta ‘al bivio delle vie Umberto I ed A. Saffi’, senza civici.

 piazza V.Emanuele III

   Nel 1926 SPd’Arena fu unificata nella Grande Genova: nel 1927 il nuovo comune stilò  l’elenco delle vie esistenti nel nuovo grande complesso e con questo titolo compaiono solo Pra e Quinto; la nostra piazza evidentemente non fu omologata e fu proposta per cambiamento.

    Nel 1933 era ancora alla congiunzione tra via Milite Ignoto (v.P.Reti) , via Umberto I e via A.Saffi ; di 3.a categoria.

 sfilata anni 1922- collez.Canepa

   Ma con decreto del podestà del 19 agosto 1935 l’annullamento della titolazione fu finalmente ufficializzata e divenne dapprima parte di via delle Corporazioni, poi –dal 5 luglio 1945- parte di via P.Reti.

   Solo per delibera della giunta comunale del 26 aprile 1946, riassunse nome proprio, dedicata al partigiano.

    DEDICATA al re Vittorio Emanuele III di Savoia, figlio di Umberto I e di Margherita di Savoia.  Nato a Napoli l’11 nov.1869 , e morto in esilio  il 28 dic.1947.

   Da giovane fu sottoposto ad una disciplina scolastica assieme umanitaria e militare assai rigorosa, sotto la guida del generale Osio: acquisì così sia una cultura generale  vasta e profonda, nonché quella militare che percorse da sottotenente di fanteria a generale di corpo d’armata. Pubblicò un libro di numismatica, di alto valore scientifico.

    Il 24 ott.1896 sposò Elena Petrovic Niegos, principessa del Montenegro, dalla quale ebbe cinque figli. Alla morte del padre ucciso dall’anarchico Bresci il 29 lug.1900, gli successe al trono, proclamando di seguirne i consigli ed imitare le virtù. Inizialmente dimostrò saper tenere fede ai patti giurati, dando adeguate disposizioni al governo, presenziando i soccorsi in Calabria devastata dal terremoto (1905 e 1908), ed a Napoli flagellata dal Vesuvio (1906); accettò il riconoscimento di sovranità sulla Libia (1912); partecipò in primo piano (affidò la luogotenenza del regno, allo zio Tommaso, duca di Genova; e seguì nelle retrovie, le vari operazioni di guerra senza esercitare il comando) alla titanica lotta conclusiva dell’unificazione, nella prima guerra mondiale (1915-18), acquisendo il titolo confidenziale di “re soldato” e, nell’apologia anche di “re gentile”, e “re vittorioso”. Nella satira era “re nano”.

   Nel 1922, esercitò ambiguamente con il potere che aveva, sino alla lenta ma effettiva connivenza col fascismo dopo la marcia su Roma: rifiutò firmare il decreto Facta (una specie di stato di assedio); però dovette dare fiducia a Mussolini da cui non riuscì più a svincolarsi neppure dopo il delitto Matteotti.

Così, seppur apparentemente riluttante alla politica fascista, non seppe dimostrare mai  effettiva autorità né autonomia;  anzi, sottoponendosi alla lenta ma corrosiva invadenza del partito, accettando le blandizie espansionistiche che lo fecero divenire imperatore di Etiopia nel 1936 e re di Albania nel 1939; ma soprattutto non opponendosi alla guerra del  1940, anche se ne rifiutò il comando.

L’acme degli errori arrivò quando, di fronte alla sconfitta militare, seppur favorevole all’armistizio con gli Alleati affidando a Badoglio l’incarico della firma, perse le redini della nazione: temendo la reazione dei tedeschi, abbandonò fuggendo (da Brindisi, l’8 sett.1943) il posto di responsabilità che il suo rango gli imponeva,  rifugiandosi all’estero presso gli angloamericani, rinunciando alle corone coloniali, nominando luogotenente del regno il figlio, ed infine abdicando (9 maggio 1946) nell’imminenza del plebiscito istituzionale.

   Portò così nello squallore più basso l’immagine della casa regnante.

   Col semplice titolo di conte di Pollenzo, si ritirò ad Alessandria d’Egitto, ove morì l’anno successivo.

  Il figlio, più capace ed equilibrato, riuscì a fare il cosiddetto colpo di coda all’onore della propria casata in occasione del plebiscito regno-repubblica, non sufficiente però per vincere.

 

BIBLIOGRAFIA

-AA.VV.-SPd’Arena nella sua amministrazione fascista-Reale.26-pag.71

-DeLandolina GC.-Sampierdarena -Rinascenza.1922 – pag. 58

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 4697

-Enciclopedia Sonzogno  

-Novella P.-Strade di Genova-Manosctritto b.Berio.1900-pag.19

-Pagano 1933-pag.249