VINZONI                      via Matteo Vinzoni

 

 

TARGA:

via – Matteo Vinzoni – ingegnere cartografo – 1690-1773

strada privata

 

                                                    

                                   

in angolo con via G.Balbi Piovera

La targa fu posizionata nuova negli anni 2000. Prima ne esisteva una in marmo, uguale alla attuale ma con in più la scritta in alto “San Pier d’Arena   -   2657”. Questo numero di immatricolazione era relativo al rione di Staglieno: o fu un errore o fu riutilizzo della lastra quando –dopo la unificazione- fu deciso dare a noi questa titolazione.

QUARTIERE ANTICO: Promontorio

da MVinzoni, 1757. Ipotetici tragitti: rosso, corso OScassi; fucsia, via BPiovera; verde via MVinzoni. In verticale a destra, il torrente di san Bartolomeo

N° IMMATRICOLAZIONE2657 (ma scorretto, come dscritto sopra)

 da Pagano/1961

 

 

 

 

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   64800

UNITÀ URBANISTICA: 28 – s.BARTOLOMEO

 da Google Earth 2007. In blu via BPiovera; giallo, via MFnti; fucsia le scale che scendono in via sBdFossato.

CAP:   16149

PARROCCHIA:  Cristo Re

STRUTTURA: Negli anni del Pagano/61 esisteva da poco e non ancora completata; ma già si intravvedono i civici dall’1 al 5 e dal 2 al 6.

Strada privata con doppio senso viario. Inizia da   via   G.Balbi Piovera; in fondo è chiusa al traffico veicolare ma si collega -tramite lunga scalinata, che in discesa sottopassa l’autostrada- con via san Bartolomeo del Fossato.

La targa -precedente a questa attuale plastificata- e posta negli anni 2005-6, recava scritto “San Pier d’Arena – 2675 - via – Matteo Vinzoni – ingegnere-cartografo – 1690-1773”.

Corrisponde all’ennesimo “budello” risultante dalla speculazione e sfruttamento dello spazio ad uso edilizio degli anni fine-post 1950 circa,  senza aver conservato il minimo interesse alla viabilità ed alla vivibilità di chi vi   avrebbe abitato.

CIVICI

2007 = NERI   = da 15                        e da 26

            ROSSI =  da 1r21r                          2r44r (mancano 32r, 34r, 42r)

===Il civico 2, come visibile sulla carta del Pagano, è separato dalla strada vera e propria da un largo marciapide che segue (a V rovesciata) la separazione tra -sulla carta del Vinzoni- i terreni di Ghiara e quelli del duca Spinola.

STORIA:  Nella carta del Vinzoni del 1757, i terreni - con villa - appaiono occupati dalla proprietà del “sig.r Giuseppe Ghiara”; essa era accessibile solo dal basso, da via sBartolomeo dF (vedi). Questa proprietà risulta –sempre nella carta settecentesca- sottostante a quelli dell’”ecc.mo  Marcello Durazzi q. GioLuca”; ambedue tagliati a metà da un torrente (Carbonara) proveniente da Promontorio e defluente nel Fossato, in un avvallamento alla sommità dei lati  –a ponente- era la salita Imperiale (oggi via Derchi); ed a levante era una salita anonima –oggi D.Conte-. Quindi una proprietà estesa dal torrente sottostante a via BPiovera e via Fanti.

    

presumo questa sia la villa Ghiara    1926 – villa con le suore e proprietà fino a sBdF

La strada  Balbi Piovera fu aperta per costruire l’ospedale. Quindi fu solo negli anni 1910-15 che, aperta questa via, si poté usufruire di essa, forse più comoda per l’accesso dalla parte superiore; al punto che con l’edificazione in basso, divenne poi la più usata via di accesso alla villa Ghiara.  

A lungo, negli anni 1920-30 la villa fu ‘collegio-educandato delle suore Figlie di sant’Anna’ istituite da suor MB Gattorno nella seconda metà del 1800, e che poi si traferirono nella villa di via Currò (vedi a via S.B.dFossato).

  Nel gennaio1959 la delibera del Consiglio comunale decise il nome per questo tratto di strada in cui esistevano già tre palazzi con i civ. 15A, 15B, 15C di via Balbi Piovera.  Ad aprile divennero i civv. 1, 2, 6 della nuova via.   Invece i civv. 3 e 5 furono eretti dopo,  nuovi nel 1959; il civ. 4  nel 1963.

 

DEDICATA al cartografo nato a Levanto il 6 dic. 1690.

Famiglia  Un Antonio, fu il capostipite (il primo oggi conosciuto della discendenza, residente  nella frazione di Bonassola chiamata Montaretto; nobile, risultando la famiglia ascritta nel ‘Libro d’oro’ della nobiltà di Sarzana). Suo figlio GioFrancesco (nonno di Matteo, fu colonnello della piazza militare di Sarzana nel 1648; scrisse un manoscritto sulle qualità da osservarsi nei reggimenti italiani. Ovviamente fu il padre del capitano delle milizie locali (stipendiato da Levanto) ingegner Panfilio Antonio Francesco. Questi, a sua volta, generò due figli: uno GioTommaso (‘uomo di singolare virtù’:  così appare sulla epigrafe dettata dal fratello e scolpita su una lapide sepolcrale nella chiesa dell’Annunziata a Levanto; fu protonotaro apostolico; divenne anche lui colonnello; sostituì il fratello in alcuni rilievi in Val di Vara.) ed il nostro Matteo.

   Matteo, sposando una Gentile (figlia di un ufficiale della Repubblica, probabilmente corso) divenne padre di 5 figli: Panfilio (Levanto 25/12/1730-Levanto 13/04/1790. Chiamato jr. fu l’ultimo  dei cartografi. Iniziò con la trasferta a Nizza -1748- per la pace di Aquisgrana, divenendo capitano-ingegnere nel 1755; maggiore nel 1769 cartografo militare come la discendenza; collaboratore del padre, seguendolo costantemente attraverso il territorio della Serenissima dipendendo dalla ‘Giunta dei Confini’. Morì celibe); Gio.Francesco (notaio, divenne saltuario collaboratore del padre e  preferì seguire l’arte della cartografia); altre tre figliole  (tutte divenute monache tra le quali Maria Rosa futura suor Rosa Celeste nel convento di Sarzana, le altre due nel monastero di s.Chiara).

   Quindi, nipote, figlio e padre di militari, divenne pure lui colonnello della Serenissima Repubblica Genovese, su tutti qualificandosi il più bravo, famoso ed efficiente nel produrre carte topografiche ricche di informazioni, precise e dettagliate, avvantaggiato solo dalla vocazione naturale al disegno, dal carattere meticoloso, dall’esigenza politica di simili opere in un’epoca in cui non era ancora uso definire e quindi raffigurare in forma precisa i terreni, le località e  le proprietà.

    Già da secoli prima della sua nascita, le continue invasioni oltregiogo di terreni normalmente curati da Genova per il commercio con l’interno cittadino e della riviera di ponente (comprendenti Novi, Alessandria, Monferrato, ed entroterra di Albenga) -soprattutto espansionistici da parte dei Savoia-, più volte avevano imposto conoscere “il mio dal loro”, e sapere quando spendere per andare a proteggere i confini.

   Ma molto più pressante e prioritaria, a partire dagli inizi del 1600, fu la decisione di definire i confini  in rapporto a notizie che arrivavano -sempre più allarmanti- di infezioni di peste; -di cui la più grave e di manzoniana memoria- del milanese nel 1630.

   Era ovvio che le mura, appena ultimate, non bastavano di fronte a quel nemico.

   Così, già nel 1643 il governo della Repubblica deliberò una sistematica rilevazione del territorio dello stato, specie dei confini, con prevalentemente fine di porre necessarie misure di difesa contro la peste; allo scopo, creare punti di rilievo -oggi diremmo epidemiologici-. Nel 1656-7, il lavoro era quasi pressoché ultimato - mancando solo l’estremità della riviera di levante- quando la violenta epidemia che sconvolse Genova, interruppe questo programma di rilevazioni, bloccandolo quando era -per  poco- incompleto.

   Agli inizi del 1700, lo Stato riebbe necessità di autocensirsi anche per riuscire a governare politicamente, destreggiandosi tra le pressioni e le controversie di confine da parte dei vicini: Piemonte,  Asburgo, Borboni,  Francesi; e non ultimo dalle ribellioni interne. Quindi dopo aver tentato di farsi servire da architetti occasionali, ma con risultati non fedeli né interessati alla sicurezza nazionale, apparve opportuno istituire una scuola specifica, definita “corpo degli architetti-ingegneri militari genovesi”.

   Sono del 1707  i primi segni della mano autodidatta del Vinzoni, inserita  a relazione soprattutto negli scritti del padre, relativi a territorio del capitaneato di Levanto e di alcune vertenze con le confinanti Parma e granducato di Toscana (sui confini con il ducato di Toscana, dovette recarsi con 12 soldati ad ‘atterrar muraglia’ eretta in terra ligure e contesa ai genovesi: ovviamente fu bandito dal Gran Duca.

  Sono  del 1709 le prime vedute panoramiche giovanili di Matteo nei disegni paterni della Lunigiana.

   Sempre sotto la guida del padre, è del 1711 il primo disegno con la sua firma “Matteo Vinzoni Stipendiato”, primo scalino della carriera al servizio della Repubblica, l’ufficio della ‘Giunta dei Confini’ ove vengono tracciati i  confini di Zignago, Brugnato, Suvero e Rocchetta;

   Seguono -sicure altre due missioni ‘da solo’- che forse servirono a candidarsi ad accedere alla professione -1712. Di esse, una nella val Trebbia dove, dal monte Alfeo disegnò nella valle i corsi d’acqua, le vette e le pendici, ponendo istintivamente da solo la base della rappresentazione zenitale del rilievo.

   Questi lavori nel 1715 lo fecero ammettere alla scuola di Architettura Militare della Repubblica. È di questo anno la delibera del Senato di aumentargli lo stipendio e la concessione di ‘potersi assentare da Levanto per 6 mesi al fine di poter frequentare la scuola di Architettura militare’ tenuta in Genova dall’ing. Giovanni Bassignani (eccellente ingegnere già al servizio di Venezia e dell’Austria, e-in quegli anni- di Genova; più volte onorato ed elogiato dal Vinzoni stesso;  il Ratti ne fece sperticato elogio) e dal sotto-ing. Gastone DeLanglade, ove iniziò a fare severo tirocinio per imparare a usare gli strumenti topografici e come accertare i confini delle varie terre,  per sapere poi  come difenderli: “conoscere per governare”.

   Nel 1719 fu inviato in Corsica, ove la scuola (agli inizi come struttura scolastica vera e propria, ma già ben definita come carriera: da sottoingenere, a ingegnere,  parallela al grado militare che –come detto sopra, da stipendiato- permetterà diventare   capitano, colonnello, brigadiere) possedeva una importante sede idonea a completare il tirocinio  (tra l’altro imparare le nuovissime tecniche di offesa e difesa, per sapere come armare una fortezza , anche senza la necessaria esperienza sul luogo di una campagna militare, giudicata sino ad allora insostituibile) ed imparare a tradurre la visione pittorica del terreno in quella cartografica dall’alto (da una altitudine a quei tempi inimmaginabile): usando opportuni strumenti come astrolabio, lancette, catene, associati a calcoli geometrici (angoli, distanze, livelli) si creava una proiezione verticale che solo con l’invenzione delle curve di livello (in Liguria, nel periodo napoleonico da cartografi francesi) raggiungerà i migliori risultati.

   Nel 1720  di fronte all’improvviso pericolo di una ennesima epidemia (con focolaio a Marsiglia; si era sviluppato quell’anno nella città francese ed il cui focolaio durò due anni,  dopo l’attracco di una nave infetta proveniente dalla Siria, e che per fortuna non aveva potuto fermarsi nel nostro porto causa un forte vento contrario), il governo affidò al Vinzoni di stilare un “Atlante della Sanità” ovvero ‘pianta delle due riviere della serenissima Repubblica di Genova’ divise ne’ Commissariati di sanità’ necessari per porre le basi di una seria organizzazione dei servizi di guardia, da Ventimiglia a La Spezia, con vigilanza diurna e notturna su tutta la costa, onde impedire qualsiasi furtivo accesso (da sanitario lo scopo poteva sconfinare col commerciale e militare antipirateria). 

   32enne, iniziò il lavoro il 27 sett.1722. Con la nomina iniziale (già ottenuta nel 1721) di “capitano e sotto-ingegnere”, con sede di riferimento a Levanto, imbarcato su una nave della repubblica assieme a due aiutanti (GioBattista Mussa e Antonio DellePiane) ed un servitore, fu costretto ad inventare il modo migliore per soddisfare le esigenze del committente. Partendo da ponente, vi riportò tutti i paesi disseminati sulla riviera, con relazione delle ‘casette di sanità’, corpi di guardia con collocazione, percorso notturno e diurno e numero degli uomini e graduati. Ogni località richiese il suo tempo: ad Arenzano ristette dal 16 al 19 dicembre; il 2 gennaio fu a San Pier d’Arena; il 13 aprile ripartì per la riviera di levante. In capo a sei mesi, a fine primavera del 1723, un po’ a cavallo, un po’ in barca, finì l’incarico che forse è il suo capolavoro. 

      Nella decade successiva, fu inviato a porre in chiaro facendone relazione, una controversia della Selva di Pertegara; e poi e poi ancora i confini di Rezzo col re di Sardegna (rappresentato da un suo pari ingegnere, Francesco Gallo il quale, nella controversia fece intervenire l’infegnere del re di Francia Francesco De La Naverre Fleurigny, con ovvie ‘grane’ di carattere internazionale).

Ma la rilevazione cartografica – specie dell’interno - richiese oltre una trentina di anni prima di assumere una veste presentabile ed essere consegnata (la conoscenza dei confini non era quasi mai uniforme e necessitava interrogare pastori, mulattieri, legnaioli locali, non sempre sinceri o concordi, per includere o escludere punti fisici del terreno a loro volta  spesso mutevoli –come alberi, sentieri, dirupi e pietre- soprattutto perché interrotto da continui invii nei più disparati posti e missioni alcune delle quali richiesero anche sei sette anni per essere risolte: “riesce di somma premura che senza ritardo vi portiate alla presente città ...onde, al ricevere della presente che vi mandiamo per espresso, doverete (sic) partire per mare o per terra a questa volta”; ma anche perché se la vita all’aperto giovò senz’altro alla sua salute, malattie varie lo afflissero più volte tra cui una persistente sciatica (‘dolorosa flussione di nervi gelati nella gamba sinistra, malanno riportato per i lavori stradali Novi-Alessandria’); ambedue i motivi, gli concessero giustificarsi più volte nell’andare a relazionare in città il suo lavoro). Quindi, è datato 3 marzo 1759 un decreto relativo: “Fu proibito  che il presente tipo delle Due Riviere potesse uscire dalla cancelleria né essere mostrato ad alcuno fuorché ai soggetti del magistrato”.

   Negli anni 1733 era in perlustrazione e per descrizione particolareggiata (confini misurati geometricamente, boschi e corso di torrenti, paesi misurati casa per casa a Cosio, Mendatica e Montegrosso; poi nel territorio di Seborga (allora, Seborca), di Pietra, di Busalla ed Isola, di Moneglia, fino a Zeri.

   Nel marzo 1745 tutte le carte (escluso SanRemo e Riva) furono consegnate; e già dalle prime rilevazioni, il governo aveva recepito l’interesse che sconfinando dall’iniziale proponimento sanitario, comprendeva il politico-militare, di assai maggiore interesse: dal Magistrato le carte verranno subito chiuse nella Cancelleria, con il veto della consultazione se non autorizzati direttamente dal Senato.

Il Nostro dovette ripetutamente percorrere le due riviere, affrontare problemi di alloggio, trasporto, alimentazione, rifornimenti, rapporti sociali con i nobili locali non sempre disponibili, per raccogliere le informazioni e le misure più varie sul terreno e sul popolo, affrontando le difficoltà più varie (andando a ledere gli interessi di molti, come il diritto di pascolo, di taglio dei boschi, di portata delle acque e fonti; odi campanilistici; false informazioni; paure più o meno motivate di tasse o controlli); più volte fu aggredito e minacciato con le armi; arrivò ad essere arrestato o coinvolto in sommosse popolari (come nel 1746 catturato dalle truppe austriache e tradotto nel castello a Milano; ritornerà dopo l’episodio del Balilla e la cacciata per volontà autonoma del popolo; in questo frangente scrisse dei sonetti inneggianti Genova ed il suo amore per essa.

E poi  a San Remo quando fu fatto prigioniero da popolani sollevati –leggi sotto-).

Quando arrivava in una località, munito di speciale mandato del Senato, entrava negli archivi parrocchiali e signorili, esaminava, controllava e trascriveva pignolescamente per intero ampi documenti; interrogava i vecchi del paese; ordinava contradditori; misurava e disegnava le piante su più scale; valutava i reali confini minacciato anche fisicamente dai vari proprietari (anche lo stato piemontese lo inquisì e  minacciò ripetutamente di arrestarlo accusandolo di aver detratto varie miglia di suo territorio)

Nelle pagine riguardanti il “Commissariato di San Pier d’Arena”, comprendente anche  Cornigliano, descrive che la guardia si svolgeva per “due miglia e mezza circa” di spiaggia (“dallo scoglio Garanga, al Rastello della Torre di Capo di Faro detta la Lanterna”).  Descrive dove sono le casette  (in legno  sulla riva , o in “matteria”  tutte le altre);  per alloggiare le guardie (da una a cinque, giorno e notte) preposte alle ronde di controllo della spiaggia (il “Rondino” gira tutta la notte e visita tutti i posti fissi  ove tre militi stanno a riposo e a turno due stanno in servizio): 40 soldati ogni giorno, tra 1944 militi e 757 scelti nel Commissariato,  forniti sia dagli otto quartieri (per la militanza: Coscia, Crosa Larga, Cella, Bovi, Cinixiano, Ponte, san Martino, Mercato; per gli scelti: Coscia, Borcagero, Comixiano, Ponte, Mercato) che dalle altre “ville” quali Promontorio, Gagliano, Rivarolo, Garbo, Teglia, Morta,  Trasta, Livellato, sino a Pontedecimo.

   Nel 1748 in concomitanza della sua presenza ad un convegno a Nizza ove era stato convocato per il trattato di Acquisgrana, ebbe commissioni di lavoro per privati, non sappiamo sino a che punto fuori dalla committente governativa istituzionale; così lo sappiamo produrre lavori anche per i Brignole, nel territorio di Albenga, nei feudi a confine tra Genova e Piemonte e per nobili famiglie di Sanremo (giugno 1753

A SanRemo fu partecipe di un grave fatto, durato 12 giorni, narrato su un opuscolo manoscritto anonimo: La borgata di Colla (Col di Rodi, nds) chiese al Serenissimo trono  la separazione dalla Comunità di S.Remo; ed il Governo inviò là il Vinzoni -6 giugno- per segnare i confini tra i due paesi. Ciò irritò i sanremaschi i quali, dopo inconcludenti  trattative col Commissario Generale GM Doria, insorsero facendo prigioniero tutto il corpo di guardia, il Doria, il Vinzoni ed altri Ufficiali; e fu tale il risentimento contro la Repubblica, che il giorno dopo furono inviati quattro deputati a Torino per offrire la loro sottomissione e vassallaggio al re di Sardegna. Dopo pochi giorni comparve all’orizzone una piccola flotta genovese inviata per ristabilire l’ordine; ma a quella vista il popolo si agitò di più impadronendosi dei prigionieri e minacciando giustizia sommaria.  Le donne in particolare sembravano furie; tutte le parole più triviali, tutte le più sanguinose ingiurie uscirono dalle bocche contro quei disgraziati che “in veste da camera e pianelle” furono costretti  ad attraversare la città tra due ali fitte di popolo minaccioso ed armato di archibugi. Il Cancelliere Bassi, in ginocchio e tremebondo domandò perdono in cambio della vita; solo il Vinzoni procedette con la massima tranquillità, indifferente, dando così prova di grande coraggio; ebbe anzi a scherzare invitando a ritardare un pochino perché l’oste non gli aveva ancora offerto la cena. I marinai genovesi sbarcati dalle navi  riuscirono a riportare la calma cosicché dopo trattativa durata tre giorni i prigionieri furono liberati  (il 17 giugno) ed il Vinzoni potè proseguire la pianta di Sanremo ed iniziare i disegni di un nuovo forte che avrebbe dovuto stroncare nel popolo ogni velleità di ribellione.

 

   Sempre nel 1753 (Quaini scrive che le due carte -2,5x1,8- sono datate 1748) ebbe incarico dal duca di Richelieu (supremo comandante delle truppe di Francia e Spagna al soccorso di Genova durante la guerra di successione austriaca. Il suo nome per esteso, era: s.e. sig. Luiggi Armando Duplessis, duca di Richelieu e di Fronsac, pari di Francia,...ed altri sei-sette titoli) di stilare una carta riportante le due riviere e tutti gli stati confinanti con la Repubblica; in due grandi fogli, in totale 5m x 1,85, eseguì il lavoro che però non soddisfece il duca anche se offriva una visione panoramica generale, con tanti particolari artistici e geografici. Ne nacque un contenzioso che il Vinzoni risolvette proponendo la “Pianta delle due Riviere...”, nel 1763 (Quaini scrive nel 1755) questa carta, perfezionata (ricca di tutte le città, i paesi con castelli, villaggi e luoghi insigni, porti, golfi, spiagge, promontori ed isole, fiumi e vie di transito, divisioni in Governo, commissariati, capitanati, podesterie) al governo genovese sempre in allerta per le controversie di confine. La carta però è oggi andata perduta; ma allora, per essa, gli fu aumentata la paga e fu promosso brigadiere, arrivando così al vertice dell’organico nel corpo divenuto “degli ufficiali ingegneri”..

   Nel 1757 aveva lavorato col francese Flobert alla fortificazione di Vado; ma sicuramente negli anni aveva contattato con reciproco scambio di esperienze, colleghi francesi (di diversa e progredita scuola, specie nella tecnica del rilievo e nell’uso del colore fino alla policromia) o toscani (più rigorosi nei rapporti matematici).

Porta questa data la grande “Pianta del borgo di San Pier d’Arena”, di grosse dimensioni essendo di 2m²; molto interessante perché vi sono minuziosamente segnati le strade, i palazzi con i confini di proprietà, ma soprattutto i torrentelli e corsi d’acqua (allora definiti “acquedotti”).

Nel 1767 si ritirò a Levanto, ma dovette interrompere perché richiamato ad eseguire l’opera sottostante. Il minore impegno però gli permise scrivere un “libro indicativo” con dettagliati tutti i paesi della Repubblica (con vescovi, parrocchie, chiese, oratori, conventi) che venne pubblicato con la dedica al Serenissimo Doge Marcello Durazzo e nel quale è scritto che tre anni prima aveva stilato due carte del dominio della terraferma (che non sono mai state trovate).

Nel 1773 ai primi di agosto firmò l’atlante “Jl Dominio della Serenissima Repubblica de Genova in terraferma”; col dettaglio della pacifica rappresentazione di tutti i confini (descritti senza l’incubo della contestazione), strade (senza l’impegno degli interessi e spazi doganali  delle varie comunità), diocesi, chiese, proprietà anche private.

da “jl dominio della serenissima repubblica de Genova – in terraferma”

 

 

Ma l’opera era ancora incompleta, e dieci giorni dopo morì lasciando il completamento a Panfilio (che probabilmente lo consegnò a Giacomo Brusco. Anche Panfilo morì a Levanto, a 64 anni, nel 1790). Il borgo di San Pier d’Arena, sottoposto allora al “governo di Rivarolo, ossia della Polcevera” è detto “valle amenissima per la bellezza, e sontuosità degli Edificj, e Giardini, che vi si vedono, e particolarm.te  in   Sanpierdarena, che non ve ne sono pari in Europa” e “al Lido del Mare, che contiene più d’un miglio di spiaggia comodissima al varar delle Navi. I cavaglieri, e Cittadini di Genova vi anno inalzato insino al Colle un numero grande di superbi Palazzi con i loro deliziosi Giardini per passarvi i più belli giorni dell’estate, e dell’autonno”.

In particolare la “pieve di Sanpierdarena viene distinta in 3 Quartieri cioè Della Pieve, Mercato e Capo di Faro”.

Tutti gli appunti presi in questo lungo e particolareggiato (misurato palmo a palmo) viaggio,  dovevano costituire un libro in tre tomi: il manoscritto fu affidato all’avv.Enrico Bixio, nipote del Brusco

Negli ultimi anni aveva iniziato la collaborazione con Panfilio jr, il quale ereditò quest’ultima opera ancora incompleta e che poi, consegnerà definita a Giacomo Brusco. Il tratto pittorico di jr si evidenzia da quello del padre nell’adottare con maggiore spontaneità le nuove tecniche policromiche del colore.

Morì a Levanto, 82enne, il 12 ago.1773 (Roggero scrive 10 agosto). Fu sepolto nella parrocchiale di s.Andrea, ove esiste l’epigrafe scritta e fatta incidere dal cartografo stesso.

L’epigrafe scritta per la cacciata del Balilla è: «D.O.M.  -  Germanica Natione Pressus  -  Sub Marchione Botta  -  Popolus Genuensis  -  Æxtro Patriæ Libertatis Ebrius  -  Nullo Duce  -  Ducente Deo  -   Virginisque Mariæ nomine invocato  -  Die Decima Decembris  -  Deiparæ Laurentanæ Sacrata  -  Hostes ad Portas Occidentales  -  Multiplici Propugnaculo Stipatas  -  Igne, Ferro, Cede, Captivitate  -  Terruit, Vicit, Dispersit, Fugavit  ---  Anno Domini 1746.

Tutti i carteggi e oltre 200 mappe, divennero proprietà dell’Archivio della Repubblica.   Alcune carte furono cedute alla biblioteca Berio.

All’Archivio di Stato di Genova i documenti giunsero per ingiunzione e requisizione da parte del Senato della Repubblica, avvenuta nel 1755,  valutando tutto di valore insostituibile per la sicurezza e gli interessi dello Stato. Questa decisione non era stata gradita da Matteo Vinzoni, giundicandola ‘mancanza di fiducia’ nei suoi confronti; ma da buon militare, obbedì. Il figlio Panfilo consegnò alla morte del padre, il rimanente della attività paterna. Gio Francesco consegnò invece tutto il materiale del fratello -alla sua morte- a Giacomo Brusco). É dedicato a questi documenti un intero fondo (’file Vinzoni’) costituito da 15 faldoni  o filze, numerati dal n° 99 al 114 contenenti in tutto 90 buste  con relativi manoscritti di tutti gli appunti ed il diario che redigeva nei vari viaggi (le annotazioni per la “pianta di tutti li palazzi, case, ville e acquedotti di Sampierdarena” del 1757, sono reperibili nel faldone 103-busta 1; e  111-busta 45).

 

BIBLIOGRAFIA

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-Vinzoni M.-Pianta delle due riviere-Quaini-Sagep 1983.pag.84

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non citato da Enciclopedia Motta + E.Sonzogno + E.Utet + Novella