UZIEL                               vico Enrico Uziel

 

 

TARGHE:

vico – Enrico Uziel – patriota dei Mille – 1842-1860 – già vico Maddaloni

 

in angolo con via della Cella

 

in angolo con via G.Giovanetti

 

QUARTIERE ANTICO: Castello

 da MVinzoni, 1757. In rosso la chiesa della Cella; giallo, via della Cella, celeste ipotetico tracciato di via BGhiglione.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:  2859       Categoria:  3

 da Pagano 1967-8

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:  63000

UNITÀ URBANISTICA: 26 – SAMPIERDARENA

 da Google Earth, 2007. in celeste via BGhiglione; giallo, via della Cella; la freccia verde indica il vicolo.

 

CAP: 16149

PARROCCHIA:  N.S. della Cella

STRUTTURA: collega via della Cella (inferiore), con via G.Giovanetti: teoricamente è doppio senso veicolare non essendoci divieti, ma in pratica è agibile solo da motocicli essendo impossibile per le auto voltare dalla parte di via della Cella.

    Strada comunale carrabile, lunga 32 metri e larga 3, senza marciapiedi.

CIVICI:

2007= NERI   =  da 1 a 3

           ROSSI =  da 1r a 3r    e da 2r a 10r

 

Nel Pagano/40 è strada che – come oggi - va da via G.Giovanetti a via della Cella e sono segnalati i civv. 1 e 3.

STORIA:  con l’erezione delle case e la delimitazione della stradina, il primo nome ufficiale fu di “vico Maddaloni” (vedi), di 5.a categoria e quando via Giovanetti ancora si chiamava via A. Doria . E tale rimase sino alla famosa data del 19 agosto 1935, quando il podestà di Genova firmò il cambio col nome attuale.

Un prezioso quadretto, è nell’ottavina dedicata a “vico Enrico Uziel, garibaldino” scritto da Gianluigi Falabrino con le stampe di Mimmo Guelfi ‘all’insegna della Tarasca’. Il testo dice

«Chi l’avesse mai detto che avrei rimpianto

le carrucole e la corda spinta in fuori

da un bastone che faceva dei lenzuoli stesi

un gran pavese al pennone del vicolo.

Sporcaccioìn, gridava una donna dai primi piani

di notte agli ubriachi, di giorno alla ragazzaglia

chiassosa.  Chi l’avesse mai detto

che avrei rimpianto la tua gente

litigiosa i vasi di gerani, il dialetto

sgraziato delle donne al davanzale,

la tromba gutturale degli spazzini.

i coldi di palla monotoni dei bambini

contro il muro, la cantilena

- quando già si faceva scuro –

delle bambine che non potevano più giocare

al gioco del portone, e durante

la mia cena le sentivo cantare

che era arrivato l’ambasciatore

a cavallo di un cammello

per sposare la figlia del re.

 

Chi l’avesse mai detto

che tanto mondo ci fosse in te. »

 

xilografia di Mariaelisa Leboroni

 

DEDICATA  al genovese di adozione, essendo nato a Aronne (Venezia) il 13 ott. 1842. La famiglia, fuggiasca quando lui aveva sette anni, col padre esiliato dopo una perduta rivolta in città, raggiunse Genova ove crebbe coltivando gli ideali dell’indipendenza. Due cugini, Giuseppe e Davide, anch’essi rifugiati a Genova, più maturi d’età divennero Cacciatori delle Alpi combattendo nel 1859 la seconda guerra di Indipendenza. Ma appena anche lui ebbe raggiunta l’età di diciotto anni,  volle partecipare: seppur con non semplici difficoltà, si propose per la spedizione dei Mille. Aiutato dalla soc.di Mutuo Soccorso, fu incaricato di coordinare i volontari che arrivavano da più regioni; allo scopo su un manoscritto autografo di tre fogli (conservati al Museo del Risorgimento), scrisse le “istruzioni per la radunanza e l’itinerario di coloro che prendono parte alla spedizione di Sicilia per raggiungere il punto di partenza“; minuziose le raccomandazioni per passare inosservati alla polizia sabauda.  La polizia, su istruzioni di Cavour sorvegliava la zona, ma “lasciava fare” purché non si creassero sul momento complicazioni che potessero portare a problemi diplomatici; era ben a conoscenza che molte confederazioni operaie, da tempo lavoravano di nascosto per contribuire alla missione, e che i due vapori   - Piemonte e Lombardo - non erano là per caso ma pronti per la partenza per disposizioni accordate tra Bixio e G.B. Fauché (dipendente del proprietario Raffaele Rubattino; le navi sarebbero state da arrembare con l’inganno ed il proprietario era ben consapevole che sarebbero andate perdute).

Facendo parte degli esperti nel tiro con la carabina, riuscì a partire con questo corpo (dei carabinieri), comandato da Antonio Mosto, costituiva un reparto a sé pur essendo di solo trentadue persone;  questi , armati di carabina, erano i migliori tiratori scelti tra i tanti che andavano ad esercitarsi sui campi di tiro cittadini.

  Costituirono l’arma vincente per i garibaldini: ben appostati, seppur a discreta distanza, formavano ampi vuoti nelle file dei soldati borbonici ancor comandati a marciare affiancati a ranghi serrati per essere pronti a far quadrato, ma altrettanto così ravvicinati che ad ogni colpo ne cadeva matematicamente uno.

  Ebbe il battesimo di fuoco appena sbarcato, e combatté eroicamente  a Calatafimi, e via via fino  a Palermo.

  In questa città, il 27 mag. 1870, il giovane appena diciottenne, mentre scambiava battaglia con soldati borbonici appostati nei pressi del palazzo Reale, venne colpito da un proiettile di cannone, rimanendo ucciso con la gola recisa. Questa battaglia durò tre giorni: i Mille affiancati da pochi volontari locali, e da alcuni cittadini insorti, tennero testa a 18mila borbonici, combattendo per le strade barricate e sotto il cieco bombardamento delle navi del re. Il momento drammatico si raggiunse quando truppe fresche borboniche erano sul rientro in città dopo essere state distolte da un fasullo inseguimento creato da Garibaldi con ingannevole diversivo: ma fortuna volle che in contemporanea il generale borbonico Lanza, non consapevole né delle sue forze né della precarietà dei garibaldini, ma anzi  preoccupato per la tenacia degli insorti e per i troppi feriti e morti tra i suoi, chiese la resa.

 Le sue spoglie mortali andarono confuse con quelle degli altri caduti nell’offensiva di Palermo.

  Il cugino Giuseppe Uziel, comandante della 1.a compagnia del battaglione dei volontari genovesi, cadde gravemente ferito al petto a Monterotondo, morendo dopo pochi giorni.                 

  A Genova, in via G.Alessi 5, una targa muraria ricorda il cugino David.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 4537

-AA.VV.-Annuario.guida archidiocesi—ed./94-pag.451---ed./02-pag.487

-Codignola A-Genova e l’imprea dei 1000-Canesi 1961-I-pag. 338.340

-Falabrino GL-vico Enrico Uziel-La Tarasca 1978

-Genova rivista  municipale :  12/1937.37ritratto

-Milani M.-Garibaldi e i 1000-Igiemme 1960-

-Morabito&Costa-Universo della solidarietà-priamari.1995-pag.170

-Lamponi M-Sampierdarena- LibroPiù.2002-pag.90

-Novella P.-Strade di Genova-Manoscritto b.Berio.1900-pag.18

-Pagano ed.1933-pag.70- ; ed.1961-pag.417

-Pastorino&Vigliero-Dizion. delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1795fot

 

non citato da Enciclopedia Sonzogno

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