ULANOWSKI                                    via Walter Ulanowski

 

 

TARGA:

San Pier d’Arena – via – Walter Ulanowski – caduto per la libertà – 1923-1944

                                                  

 

QUARTIERE ANTICO:  san Martino                                        

 da MVinzono, 1757. Ipotetico tracciato della strada, con rossa la chiesa di s.Giovanni Decollato (don Bosco).

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   posteriore

 da Pagano/1961 in due immagini affiancate; quando la strada ancora non esisteva.

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   62820

UNITÀ URBANISTICA: 25 – SAN GAETANO

 da Google Earth, 2007

CAP:  16151

PARROCCHIA:   san Giovanni Bosco

STRUTTURA:  strada che si sviluppa ad L, dapprima rivolta a levante e poi a mare. Doppio senso veicolare, da via C.Rolando, finisce chiusa con alcuni paracarri che la separano da via P.Cristofoli, lasciando tra loro accessi  interscambiabili solo pedonalmente.

Nelle parte finale del primo tratto, caratteristico il muraglione che probabilmente è vecchio di 4-500 anni essendo delimitante la proprietà dei Pallavicini proprietari della ‘villa Bianca’ (comperata dai salesiani e distrutta con metodi ...idraulici discutibili, per edificare una delle palazzine attuali).

È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera

Nel dic.03 ed ago.04 appare inclusa nell’elenco delle ’vie private di interesse pubblico’ e quindi programmate a divenire municipali per acquisizione gratuita; ma con in cambio avere diritto alla manutenzione ed ai servizi di asfaltatura, spazzatura, fognature, illuminazione, ecc.

 

STORIA

A) della strada= dalla carta vinzoniana si deduce che sino a quei tempi, ovvero oltre  la metà del 1700, non esisteva. Ma il segno nero che il Vinzoni ha adottato (vedi la carta ↑), era per segnalare il percorso delle acque torrenziali (dal versante della collina al Polcevera); quindi possiamo pensare che a fianco del fosso ci fosse anche un sentiero che accorciasse la strada verso le case ‘alte’, raggiungibili con un tragitto più lungo (da vico Moro: vedi) trattandosi di carrozze a trazione animale e – non da trascurare – che quando pioveva il torrente si scaricava sopra la strada e quindi ne allagava buona parte del tragitto (la carta del Vinzoni fu stesa apposta per censire gli scarichi dei torrenti, allora chiamati ‘acquedotti’).

B) il territorio ed i suoi proprietari a sud o oggi occupato dai Salesiani.

A nord, l’appezzamento di terreno, nella carta delimitato da linea verde, è quello compreso oggi tra via W.Ulanowsky e via V.Armirotti = come sappiamo, la prima carta che definisce le proprietà, è quella del Vinzoni del 1757 nella quale la presenza del Tempietto (già cimitero)  e della chiesa  di san Giovanni Decollato (oggi san G.Bosco, in rosso nelle carte sotto↓), ci aiutano a  scorgere l’esistenza di un confine tra il terreno dei  RR.Padri Teatini gestori della chiesa e quello –scritto dal Vinzoni - dei ‘signori Ghezzi(così almeno ci sembra poter leggere nella carta, in quel punto sbiadita e mezza cancellata dal tempo - famiglia non nobile evidentemente e della quale sappiamo nulla).

Così, non sappiamo se alla sommità dell’appezzamento, dove nelle carte c’è il simbolo di un edificio, sia esso da interpretare come villa o come casa colonica (vedi sotto↓) se così fosse, sarebbe: nella prima carta quella segnata in viola (posizionata a mare rispetto la villa –celeste- del generale GioLuca Pallavicino→Currò), per la quale non è segnata la via di accesso né giardino davanti;  mentre nella seconda carta, corrisponderebbe all’edificio n. 4 il cui accesso - segnato in celeste – percorreva il vico Moro (vedi – era dentro la proprietà dell’Istituto salesiano).

Mentre invece sulla via principale (allora anonima ma poi chiamata strada san Martino)  nel tratto tra la Nostra qui trattata e via V.Armirotti (anch’essa allora non esistente), è segnato un lungo edificio, non certo l’attuale e neanche con la simbologia della villa.

Quindi  se ne concluderebbe che i Ghezzi – e i successori – non avevano una villa in San Pier d’Arena.

   Dopo i Ghezzi, nulla sappiamo se non che - già sicuramente dal 1872 - la strada appare aperta come sentiero e che essa delimitava – a  fianco, verso nord - la proprietà del marchese Pareto Domenico fu Giov.Benedetto (il quale ovviamente – considerata la sua eccelsa rinomanza e professionalità, non abitava qui e non abbiamo certezza che anche ai suoi tempi 1800eschi, nei suoi terreni ci fosse una casa colonica o villa (la n. 3 = presumo quest’ultima, visto che era abitata dalla nipote Cristina che l’aveva assistito nella lunga vecchiaia sacrificandosi rimanendo nubile allo scopo e che poi beneficiò della sua congrua eredità; nel progetto di Piano Regolatore stilato dall’ing. Salvatore Bruno a fine secolo, mentre nella proprietà della Pallavicino cita esserci due case, per quella del Pareto cita solo ‘terreno coltivo e ortivo’ ma poi precisa esserci “aree fabbricate” per 3307 su 14634 mq di territorio).

 

 

carte del Vinzoni del 1757, e quella del 1773 tratta da “Il dominio della serenissima Repubblica”.

Cerchiata di verde la proprietà Ghezzi, al margine a mare della quale – al confine con il cimitero e la chiesa -  si aprì via Ulanowsky. La casa è segnata col n.3 mentre è ben visibile l’edificio sulla strada. (paragonabile con la 2, 6 e 7 che erano ville con giardino)

 

In data 1890 (mentre via san Martino diveniva via A.Saffi) il terreno passava alla Cooperativa mentre invece la villa era ceduta alla famiglia Morovedova Moro (1905)Landi (1930 ca).   Ma di questa affermazione non c’è certezza.

  

 

Nella seconda carta, la 1 è in via Caveri; la 2 è villa Currò; la 3 è momenaneamente sconosciuta; la 4 è la Pareto-Moro; la 5 è la Pallavicini-Salesiani; la 6 è la Montano-Negrotto; la 7 è Grimaldi

 

Famiglia Pareto = Possiedo molto poche notizie un solo accenno alla proprietà in SPdA e nessuno relativo alla fondazione delle scuole.

Nella genealogia di questo marchese tratta da Internet, la famiglia era originaria della Fontanabuona, già dal 1267 con tanto di stemma nobiliare con aquila ad ali spiegate e con corona nobiliare. Divenne cognome diffuso nel genovesato e fuori da esso in altre città e nazioni (Pareto fu il pastore a cui apparve la Madonna della Guardia).

Il ramo della nobile famiglia che ci interessa si legge che da un Bartolomeo Gio Lorenzo a metà 1600Gio Benedetto inizi 1700Lorenzo Antonio a metà 1700 sposo di una BalbiGian Benedetto 1768-18312; con due fratelli; sposo della marchesina  Aurelia d.Lilla Spinola; sette figli: uno →→Domenico 1804-1898; due fratelli; sposa march. Teresa Giustiniani; sindaco di Genova; grande diplomatico (avendo iniziato l’attività diplomatica dal 1826 recandosi in Russia, poi a Costantinopoli,ed anche da papa Pio IX appena eletto per iniziare gli accordi di un Concordato); grandi responsabilità di governo in periodo di gravissimi stravolgimenti sociali: il popolo iniziava a rivendicare un ruolo di partecipazione attiva e responsabile nel governo, mentre la classe nobile si ritrovava a gestire sempre ruoli di comando perché c’era il regno, ma – lentamente ma sempre più - scalzati in Parlamento dalle nuove leve popolari). Morì 94enne.

 

 , assistito dalla nipote Cristina – nata in Francia, sorella di Vilfredo –

Un altro→→ il fratello di quest’ultimo, Raffaele mazziniano (quindi repubblicano), esule in Francia, studioso, riceverà una laurea h.causa, avrà con nobildonna locale  un maschio e due femmine nati in Francia; eredi delle vaste e consistenti fortune dello zio Domenico  → Aurelia nata a Moulins nel 1839 (sposerà il generale fiorentino Gaspare Scala con il quale avrà  Francesco detto Franz- 1862-1912, ingegnere, che sposerà una Negrotto; e Raffaele)+  → Cristina (la quale nel 1899 usufruiva della residenza in San Pier d’Arena; ella rimase nubile per accudire lo zio Domenico; morta a Firenze nel 1907) → il nipote maschio Vilfredo (1848-1923 –erede del titolo di marchese, che poté proseguire gli studi per diventare ingegnere; professore di scuola di economia, anche a Losanna; sposato con Aurelia Spinola figlia di Domenico;  con indirizzo politico liberale-socialista sino all’avvento del fascismo; ed infine impegnando le sue energie nell’ambito delle scuole delle quali, aperte in tutta Italia, ne trasse beneficio anche San Pier d’Arena)  

 

Rami laterali vedono un Gio.Agostino, del sec.XVIII, diplomatico genovese che al congresso di Vienna difese le ragioni della Repubblica Ligure. E suo figlio, Lorenzo (Genova, 6.12.1800-19.6.1865). Genova gli ha dedicato una strada alla Foce - Fu anche lui statista, patriota e geologo. Dopo i primi studi in città, li completò a Siena e a LaFlèche (Francia); tornò finito l’impero napoleonico dedicandosi –e divenendo un esperto- a studi sulla geologia. Nel 1821 partecipò a dei moti insurrezionali che lo costrinsero a tornare all’estero. Nel 1848 fu Ministro degli Esteri del primo gabinetto costituzionale (presidente Cesare Balbo); l’anno dopo fu prima deputato eletto a Genova; e poi presidente della Camera subalpina e infine anche presidente della Camera dei Deputati. Fautore dell’annessine della Lombardia, di Modena e Parma; nonché della 1ª guerra d’Indipendenza e del primo tricolore da sventolare in battaglia, dopo Salasco si dimise assumendo l’incarico di comandare la Guardia Nazionale di Genova fino al 9 febbraio 1849. Trasferito a Torino con l’incarico di Presidente della Camera, tornò in città schierandosi col popolo quando scoppiò la rivolta. Ciò malgrado fu amnistiato da Vittorio E.II, riconfermato deputato e rieletto presidente della Camera. Nel 1861 senatore. Importanti suoi scritti sulla geologia  del Veneto, della Liguria marittima, dell’Appennino settentrionale (in francese).

Corrispondenti alla data, esistono due – omonimi divenuti famosi - ma ambedue antecedenti ad essa; quindi forse un nipoti del primo o figli del secondo, Agostino (con figli Lorenzo e Giovanna) e Giovanni.

Ma qualche legame con San Pier d’Arena più intenso dovrebbe esserci, considerato che i Negrotto abitavano in villa sopra i Salesiani; e il nipote  si chiamava Vilfredo come quello della scuola. Ma non sono riuscito a trovare altre notizie colleganti.

 

 

   Nel 1890, su delle mappe catastali, nella proprietà Pareto compare ben definito il tracciato della nostra strada, sotto il nome di un “nuovo passaggio di proprietà dell’Ospizio, acquistato dal Marchese Pareto”, poi ceduto dal Comune di San Pier d’Arena ai salesiani, in precario di servitù di passaggio, per raggiungere dei terreni ex-Pareto ed ex-comunali, siti alle spalle del cimitero ed acquistati dai sacerdoti per allargare il settore femminile dell’istituto.

    Verso il 1904, Cristina - la nipote del marchese Pareto (deceduto nel 1898)- che usufruiva della residenza sampierdarenese - vendette il terreno alla ‘società anonima Cooperativa di Produzione(questo nuovo organismo –nato a fianco della cooperativa di consumo per merito nato dall’instancabile attività sociale di Carlo Rota e dei suoi successori (primo ad esserlo fra tutti, fu Valentino Armirotti)- è il capolavoro della classe operaia. Personaggi che proposero alla massa operaia, emarginata dal mercato dei potenti imprenditori, di svincolarsi da loro che  genericamente sfruttavano la mano d’opera; un percorso tutto in salita per iniziare autonomamente una attività produttiva, orientata sia verso la costruzione di case popolari per i meno abbienti, sia per la produzione meccanica. L’operaio compie così un enorme salto di qualità. A mio avviso è l’elemento base che ha dato forza alla classe operaia; invece mai abbastanza  è stato rappresentato, perché invece si parla-si scrive-si vanta una ‘classe operaia’ sempre intesa come dipendente, succube e passiva nell’iniziativa del lavoro, identificati nell’ esplodere clamorosamente di rabbia negli scioperi. Invece no: la qualità e la dignità  degli operai emergono da queste iniziative che dimostrano la possibilità di essere completi: imprenditori, produttori e consumatori autonomi perché capaci). (il dBosco pag.52.57.61)

  

Un terreno, che da coltivo diviene costruttivo e cementificato: nel 1905 compare sulle carte il nome alternativo di  ‘società   metallurgica’ 

In seno all’«Ass.Gen.M.Soccorso e Istruzione degli Operai di SPd’A.» nacque nel 1864 la «Soc.Cooperativa di Produzione e Consumo di SPd’A». Mentre prendeva avvio subito l’offerta in campo alimentare (Produzione di farine, pane, pasta; consumo di tutti i più vari generi alimentari), occorsero vari decenni perché si allargasse l’attività all’edilizia (1875; nel 1895 la coop. era presieduta dall’ing. Brenno Salvatore; eletto al Comune, la società fu posta in liquidazione nel 1899) ed alla meccanica: quest’ultima è poi rimasta per antonomasia il sinonimo di “Produzione” o “Meccanica”.

L’attività col metodo Cooperativo trovò proliferazione, coinvolgendo numerose categorie di lavoratori (muratori (1897), ferrovieri (1897), turacciolai, falegnami, spazzini, pescatori, ecc.) e creando un vastissimo tessuto, curato con congressi e convegni svolti anche nella nostra città –divenuta culla di questo movimento-,  mirato a proteggere il più possibile le varie categorie stesse fino a creare una “Lega nazionale delle soc. Cooperative”. A fine secolo in SPd’A esistevano le tre principali, nate dall’Universale (Produz. e Consumo; Case economiche; Meccanica) e la “Consumo LigureLombarda”.

La Produzione meccanica, nacque come idea il 12 ottobre 1873 nella sede dell’Associazione Universale Operaia, quando rimasero senza lavoro ben 400 operai dell’Ansaldo, su idea e proposta del socio Piero Botto. Promosse di aprire un’iniziale  fucina  in cui potessero lavorare gli operai disoccupati. Quando dopo 10 anni si stilerà uno Statuto, al primo articolo si porrà lo scopo: «...raccogliere i mezzi sufficienti per l’impianto di un opificio meccanico o d’altro genere di lavoro, onde togliere la preponderanza del capitale sul lavoro, emancipando l’Operaio col renderlo compartecipe all’utile.» L’anno dopo 1874, sotto una tettoia nei giardini a fianco della Coop. di Consumo e con strutture molto modeste, il primo operaio che iniziò a lavorarvi fu Gerolamo Bagnasco (detto ‘Giromin’), aiutato dall’attivissimo Pilade Derchi e dagli altri soci che li affiancarono nelle ore libere e la domenica; la tettoia divenne un baraccone chiuso (Giromin, diventato maestro, dopo aver assunto incarichi organizzativi e preparatori nella società,  non seguì sino in fondo le sorti della Coop. ma, dopo la sistemazione di essa in via A.Saffi, si mise in proprio rilevando un laboratorio, aperto nei palazzi  vicini)

 Con le quote versate dai soci, nel 1883 (Tringali scrive 1882) la Coop. poté costituirsi legalmente: scrivendo uno statuto «con lo scopo di usare i propri risparmi per impiantare un opificio meccanico, emancipando l’operaio con il renderlo compartecipe all’utile»; chiamandosi ‘società anonima Cooperativa di  Produzione fra gli Operai in San Pier d’Arena’; affittando e trasferendosi in locali  più ampi in via Battista Agnese (poi successivamente distrutti a favore delle case da abitazione attuali), con reparto di tornitori, calderai, aggiustatori meccanici e fonderia.

Nel 1886 ha già 530 soci.  1887: la Coop aumenta i soci, arrivando a 627, e muta nome in «Soc.An.Cooperativa di Produzione». L’evento è stato reso possibile dall’aver occupati cento operai, aver ottenuto importanti commesse dal governo, da privati, dalla consorella di Consumo (un mulino a vapore da 50cv),  e subappalti. Viene nominato ingegnere tecnico Torriani Davide (che nel 1907 aprirà uno stabilimento proprio chiamato Acciaierie e Fonderie Liguri, vedi a via s.Fermo). Viene affittato un locale nella strada oggi via G.Buranello, di 1200 mq dalla ditta Franchini per creare l’officina dei calderai.

Marzo 1889; l’apporto di commissioni provenienti anche dalla Marina militare (caldaie e natanti in ferro) contribuì ad aumentare il lavoro ed i soci (oltre 700).

Nel 1890 immobili ed impianti valevano 27mila lire: non grandi capitali quindi,  se confrontati con la vicina azienda meccanica Storace con capitale 60mila e con l’Ansaldo milionaria) ove lavoravano oltre 100 operai, con un dividendo negli anni 1887-90 del 10%.

Nel 1892 l’incremento del lavoro e degli occupati, determinò la ricerca di nuovi spazi; pressati non si sa da quali urgenze (spazio o sfratto), occuparono inizialmente un terreno ove ora scorre via B.Agnese, allora ancora prati incolti al bordo dei giardini. Il 1892 fu anno delle feste colombiane, re Umberto I venne a Genova a visitare l’esposizione ed approfittò per ammirare la produzione meccanica genovese (Lamponi dice che venne anche nell’opificio operaio, e compiaciuto comprò  con gesto di fiducia un buon numero di azioni societarie a titolo investimento privato). Dopo pochi mesi, nell’anno dopo:

1893,  si ritrasferirono definitivamente in via A.Saffi 27 (v.C.Rolando, al di là del vicoletto anonimo chiuso in fondo dai muri dei salesiani, posto a nord del tempietto-cimitero di san Gaetano; ed ivi restò fino agli anni del 1950. Diretti da Fossati, resero la coop capace di rilevare alla spiaggia del Canto della città  un cantiere navale acquistandolo (Tringali scrive che fu Giromin ad acquistare per se stesso il cantiere, poi si smentisce) dalla ditta Baracchini e producendo così anche piccoli natanti e loro parti. Avvenne così il primo varo di un rimorchiatore interamente realizzato dalla coop. (dall’elica, al motore, lo scafo).

1897, gli operai occupati arrivarono a 177. Direttore fu Eugenio Broccardi (?-pag.58 del libro 2421)

1906 gli operai occupati arrivarono a 244; gli uffici erano in via V.EmanueleII (via G.Buranello) e la società si autodefiniva di ‘costruttori meccanici e navali’. In questo anno, subì l’inflessione coinvolgente la cantieristica con alcuni anni di crisi e licenziamento di un quarto dei lavoratori.

Pare che nel periodo bellico del 1915-18,  abbia anche prodotto cannoni. Nel Pagano/1920 la leggiamo sempre nelle due sedi: in via A.Saffi 27 ed in via Vittorio Emanuele non specificato dove.

Nel 1926 ne erano direttori gli ing. Eugenio Broccardi (nel 1920 è anche consigliere provinciale) e Luigi Derchi; con loro l’installazione di sempre più attrezzati impianti e l’acquisto di un modesto cantiere navale, riuscendo ricevere importanti commissioni:  costruire rimorchiatori in acciaio, motori a vapore per grandi e piccole navi, ponti in metallo, grosse barche, ed altre strutture importanti in ferro e acciaio.

 Nel 1957, quando dava lavoro a 120 soci, per una ennesima crisi nel settore, e per concomitanti circostanze negative, cessò la produzione malgrado lo statuto indicasse che ‘non può cessare di esistere che per cause di forza maggiore, né potrà sciogliersi se non verificandosi perdite considerevoli.

    Dal 1905 quindi, il viottolo rimase “privato”, e chiuso alla fine: non appare aver mai ricevuto un nome ufficiale rimanendo diramazione di via C.Rolando, ove aveva apertura il civ. 19.

    Solo nel gennaio 1963,  eliminato lo stabilimento metallurgico, sul terreno –messo in vendita per 200milioni- furono costruite a nord le case attuali che si aprono col portone nella galleria (che fa parte di via C.Rolando); con esse e col recupero comunale della strada, ne derivò in quell’anno dal Consiglio Comunale la titolazione al partigiano.

 

CIVICI   solo pari e progressivi (senza rossi e neri)

Anno 2007*: = da 2 a 58 (mancano dal 42 al 46)

 

Acquisita autonomia, cambiarono i primi civici: da civ. 19 nero di via Rolando a civ. 52; il 67rosso divenne 54.

===civ. 14r apre con breve rampa in discesa, a dei box sotterranei

===civ.       si aprono i vani degli uffici postali, con ingresso anche nella galleria.

===civ. 52-4 presso il muro che delimita a nord la proprietà, ha posto una piccola lapide a ricordo di quattro  dipendenti morti nel conflitto: “La Coop. di produzione ai suoi caduti di guerra 40-43  -  Assereto Riccardo, Lanza Guido, Morchio Giulio, Neri Aldo . 4/6/55 “.

===civv. 56 e 58 furono assegnati successivamente (1967) alla scuola  liceo scientifico  E.Fermi.

   Edificato sul terreno ove finiva la fabbrica di carpenteria meccanica e sul cui retro scorre la ferrovia (che va dal parco del Campasso al porto in zona Di Negro tramite la galleria dei Landi). Nato nell’ottobre 1960 come succursale del liceo scientifico genovese “Cassini”, ed ospitato dapprima nei locali di via Chiusone, nel 1961 (altrove si scrive con l’anno scolastico 1962-3) divenne autonomo sotto la presidenza del prof. Orzalesi. Gli studenti, sempre numerosissimi, provenienti per la maggior parte da famiglie operaie, hanno spesso rappresentato la cosiddetta ‘scuola calda’, ovvero sempre in primo piano nella ricerca di nuovi impegni scolastici, anche se troppo spesso politicizzati a senso unico, in parallelo alle tensioni sociali dell’epoca. Nel 1970 fu aperta una succursale a Teglia. Nel 1989 si gemellò con il liceo scientifico francese di Nantes; altri gemellaggi e corsi estivi all’estero completano l’insegnamento aggiornato. Nel 1993, unico in Liguria e fra 11 in campo nazionale, scelse di aggiungere l’aggiornamento telematico e dei laboratori; così oltre all’indirizzo ordinario ha come sperimentali un indirizzo bilingue, naturalistico, sport e spettacolo, PNI.  Ha una succursale in via Rolando,12.

Nell’anno scolastico 2006-7 si scrive che, causa il numero degli iscritti, quattro classi (90 studenti) sarebbero state trasferite in via Dino Col (dove già sono l’Abba-geometri e GastaldiGiorgi-industriale); e quando alcuni del Fermi erano già ospiti presso la scuola media Barabino, di via C.Rolando, ed altri al liceo classico Mazzini di via SPdArena (sic sul Secolo; il ‘classico’ è nei giardini Pavanello-vPReti).

Nel 2007 appare composto da sede direzionale in via Ulanowski 56, tel 010 645.1229; tre succursali (via C.Rolando 12, via P.Reti 25, via D.Col 30/32) e quattro indirizzi sperimentali tutti convergenti nella maturità scientifica (bilingue, naturalistico, sport e spettacolo, PNI)-. L’intenzione è però accorpare tutti alla ex-marittima, via Cantore-Milano non appena ristrutturati i locali (acquistati dalla Provincia per 8milini di € ed affidati alla impresa Davide Viziano). Nel 2009 si apprende che la succursale utilizza la palestra dei VVFF non potendo usufruire della propria.

 

DEDICATA  al partigiano triestino, figlio di Casimiro e Pecenco Giuseppina là nato il 6 lug.1923, studente della facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Genova , antifascista per ideologia politica acquisita in casa e negli studi. Si dedicò dapprima a fare propaganda avversa al regime fascista finché nel gennaio 1944 fu costretto alla fuga in montagna per non essere arruolato di forza . Ben presto, dopo pochi mesi sui monti, acquistò fiducia e capacità divenendo capitano nella ‘3.a brigata Liguria’  ed assumendo il soprannome di “Josef”. Ricevette poi l’incarico di ufficiale dello stato maggiore.

   Durante un rastrellamento nella zona delle Capanne di Marcarolo, nella Pasqua del 1944, il 10 aprile fu catturato e trasferito a Marassi (la primavera del ’44 era stata particolarmente feconda di arresti: da renitenti ai bandi di arruolamento, dal raffreddato consenso degli operai alla lotta clandestina organizzata, dalla disorganizzazione dei molti avversi al regime che operavano in nuclei slegati come il VAI, la Giovine Italia, gli appartenenti alla OTTO ed i partigiani stessi di città e sui monti  rastrellati).

   Il 15 maggio successivo, un attentato gappista (deciso in una riunione svoltasi a SanPierd’Arena e presieduta da Germano Jori, mirato a trattenere notevoli forze nemiche in città per presidiare i punti nevralgici, creando in loro insicurezza e demoralizzazione), provocò nel cinema Odeon di via Ettore Vernazza in Portoria la morte di quattro soldati tedeschi ed il ferimento di altri sedici, di cui quattro gravi  (il locale, era stato requisito ed adibito ad esclusivo uso delle truppe tedesche con proiezioni nella loro lingua e rigorosamente vietato ai civili italiani; dei militari controllavano rigorosamente tutti quelli che entravano ed uscivano dal locale; una bomba a miccia lenta fatta di un kg. circa di tritolo compresso in un tubo di acciaio, nascosta in una borsa  fu introdotta da un gappista rimasto anonimo, travestito da ufficiale tedesco; fu fatta esplodere alle 19,30 durante la rappresentazione di un film).

   Fu posta una taglia, enorme per allora: 3 milioni di lire.

   La rappresaglia, sulla base del 10 italiani per ogni tedesco voluto da Hitler, già adottata a Roma dopo l’attentato di via Rasella di due mesi prima, determinò il giorno dopo (16 maggio) un processo del Tribunale Speciale ed il 17 la definitiva modalità: condanna a morte dei detenuti, nonché luogo e modalità di esecuzione (la più totale segretezza per evitare disordini ed altre rappresaglie in città: dovevano essere giustiziati lontano, in luogo appartato e nascosto; si dovevano seppellire le salme da non doversi sapere dove fossero. Avrebbero dovuto essere 40; poi 50 perché un ferito morì nei giorni seguenti; divennero 59 non si sa perché (o sbagliato il conto, o i morti tedeschi furono sei e non cinque; il 60°, Ricci Raimondo (88enne nel 2009), allora sottotenente assegnato alla Capitaneria di porto di IM; catturato e trasferito dopo spiata di un marinaio; ebbe salva la vita miracolosamente (dopo essere stato incluso nell'elenco, non fu chiamato nel contro appello: mai si è saputo perché; trasferito a Mauthausen; divenuto poi penalista e parlamentare del PCI).  In totale 42 politici più 17 partigiani superstiti da Pasqua dalla Benedica, tutti praticamente già condannati a morte (bugia, perché non tutti già processati). Gli scavatori della fossa furono inviati sul posto scelto il 18 mattino (una squadra di ebrei,  poi fatta rientrare di notte tenendola segregata). Fu scelta la località detta Fontana Fredda (altri scrive alture di Riofreddo; poste tra la galleria del Turchino ed il valico a 542 m slm; era raggiungibile con una mulattiera che poi arriva alla Cappelletta di Masone;  fu suggerita da qualche ufficiale che era stato a  controllare le postazioni militari sul passo)).

Il 19 maggio 1944, immaginando la sentenza, commoventi risultano le lettere che il giovane scrisse, con pacata e controllata emotività ma di forte carattere, ai suoi più intimi parenti. Il ventunenne Ulanowsky – fu caricato prima dell’alba con i compagni (assieme - ed anche a lui è stata dedicata una strada sampierdarenese- c’era il 19enne Bruno Ghiglione) su due corriere di linea sequestrate appositamente. Sorvegliati da circa 200 tedeschi - delle SS e di soldati della marina (Kriegsmarine) - più vari italiani simpatizzanti, furono trasportati nella località, legati due a due; ed in un’ora e più, avvenne la fucilazione di 59 prigionieri

 Prefetto a Genova era Emanuele Basile e, da parte tedesca, deus ex machina fu Friederich Engel, comandante della Sd (la polizia delle SS) che alla fine degli anni 90 fu condannato (morirà nel 2006, a 95 anni) nel 1999 (?) a  4 ergastoli dal tribunale militare di Torino (mentre il tribunale tedesco di Amburgo lo aveva condannato nel 2003 a otto anni di carcere; ed a Dresda fu disposta l'archiviazione essendo prescritto il reato).  

Sui giornali, il giorno 20 apparve un laconico comunicato segnalante che  “59 comunisti e dinamitardi erano stati giustiziati all’alba del giorno 18” dando il fatto  per già compiuto due giorni prima, anziché uno (i familiari, sapendo vivi il 18 i propri congiunti prigionieri, poté dedurne erroneamente che la fucilazione non era toccata a loro; il padre di Walter, Casimiro, seppur conosceva il tedesco più volte si scontrò con un muro di silenzio e di paura).  Cosicché solo dopo il 23 i familiari iniziarono ricerche in quella direzione seguendo vaghe indicazioni, bisbigli e notizie sussurrate. Finché non identificarono la zona e, dolenti, riesumarono le salme per il riconoscimento (ben 12 non furono identificate). Alzarono sul posto una croce in alluminio e poi un sacrario. Le salme dei caduti dapprima furono composte nella terra stessa dell’eccidio; poi trasferite nella cappelletta di Masone; e solo il 20 giugno del 45 dapprima trasportate nella parrocchiale del paese, poi a Genova da dove ognuno seguì la via indicata dalle famiglie.

       Nella lunga poesia intitolata “i fucilati del Turchino”, Carlo Pastorino, pubblicata il 22 giugno 1945 sul quotidiano genovese “il Nuovo Cittadino”, fa cenno al ragazzo come rivolgendosi al padre: “Bevettero (sic) i cari martiri del Turchino la loro ultima luce nel profumato mattino di maggio:…e anche era con loro, o Ulanowski, il tuo figliuolo, il tuo figlio della grande e sventurata nazione polacca; …”.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale - Toponomastica , scheda 4509

-AA.VV.-Annuario guida archidiocesi-ed.1994-pag.450; ed.2002-pag.487

-AA.VV.-Contributo di SPd’A alla Resist.-PCGG.1997-pg. 50.75.133.152  

-AA.VV.-Il donBosco nella storia urbana-DonBosco.1997-pag. 34.57.61  

-AA.VV.-35° SPd’A     

-Bampi&Oneto-l’insurrezione genovese del 1849-IlCerchio2010-pag 122

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-Genova, rivista del Comune: 3/56.2foto

-Gimelli G.-Cronache militari della Resist.-Carige.1985-vol.I-pag.236-8  

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-Lamponi M.-Sampierdarena- LibroPiù.2002- pag.127.157.165

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-Poleggi E. &C-Atlante di Genova- Marsilio 1995- tav.21.22

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