TUBINO                                  piazza Tubino

 

 

   Oggi la piazza, completamente rimaneggiata, ha perso nome e dimensioni, ed è  stata inglobata in piazza Vittorio Veneto.

   Dei quattro lati che la delimitavano, rimangono solo quello a sud, dietro agli  alberi ancor oggi esistenti (con il palazzo che ospita l’albergo ‘Primavera’) e la breve parte della facciata a ponente del palazzo che ospita il negozio ‘l’ombrello per tutti’ .

   Era posta nell’immediato  ponente di piazza Vittorio Veneto, e da essa separata solo dal ‘mastodontico’ palazzo detto “dell’orologio” (così chiamato perché in alto -sulla facciata rivolta a levante- aveva un orologio ad uso arrivi e partenze del treno, degli Omnibus che facevano transito e capolinea nella piazza sottostante, di tutti i cittadini in epoca in cui pochi potevano concedersi una ‘cipolla’ da portare al panciotto, legata con la catenella;  a sua volta posto allineato a nord, con il palazzo tutt’ora esistente popolarmente conosciuto col nome del negozio suddetto  dell’ “ombrello per tutti”); dove ora sono i giardinetti.

 

 

da piazza V.Veneto, dietro il palazzo dell’orologio

 

  

 

 

Di interesse storico la presenza del Politeama Sampierdarenese, che era posto nell’angolo e nella stessa posizione ove ora sono gli uffici della Carige: in una palazzina ora abbattuta, e sostituita dal palazzo attuale con portici, primo a mare di via Avio.

Terzo importante teatro cittadino, inaugurato il 18 giu. 1887 su disegni dell’arch.Ratto e con la rappresentazione della “Lucia di Lamermoor” di Donizetti.

Con 750 posti per spettatori e con una attività predisposta alla lirica, settore in cui superò in rappresentazioni lo stesso teatro Modena, esteticamente non era bello come quello per cui fu anche definito in tono spregiativo -ed ovviamente contestato- “una squallida baracca”. Il pubblico che frequentava i due teatri, era espressione dei due strati sociali di allora: il popolino appoggiato alla forza politica di sinistra, era principale frequentatore del Politeama (e per loro fu organizzata una rappresentazione dell’opera in prosa di Pietro Chiesa, intitolata “la vispa Teresa“ nell’ ago.1902); ed i neo ricchi ed alta borghesia, del Modena; anche se ambedue i teatri, per sopravvivere dovevano far ricorso a sovvenzioni da parte del Comune di San Pier d’Arena.

    Il 1 maggio 1891, per la prima volta venne celebrata la festa dei lavoratori (l’anno prima, Crispi l’aveva proibita emanando un severo divieto): si riunirono nel teatro gli operai e le operaie, dando vita ad un animato incontro e confronto di idee, presente anche Chiesa; alla fine prevalse l’invito dei più ‘ribelli’, di recarsi in corteo in via Mercato, a liberare i compagni incarcerati nel palazzo Boccardo (oggi non più presente ma localizzabile quale ultimo di via A.Cantore, angolo di levante di via GB Monti) per fatti politici avvenuti a Teglia: in un attimo il teatro si vuotò. In realtà i prigionieri erano già stati trasferiti a Genova: il corteo allora marciò verso Genova ma fu bloccato a san Benigno e disperso da una compagnia di fanti, accorsi in largo Lanterna.

Secondo quanto riportato sui cataloghi di “Genova in celluloide” fu in questi locali che avvenne la prima proiezione cinematografica in assoluto a San Pier d’Arena nell’agosto del 1896. Protagonista di questa iniziativa fu un certo Vittorio Càlcina promosso rappresentante in Italia dei due Lumière (Auguste e Louis) e che, probabilmente fiutato l’affare  quando ancora non aveva assunto una prospettiva definitiva – ovvero se spettacolo o scoperta scientifica - qui si trasferì provenendo dal genovese teatro Sivori (nato per la musica nel 1869) nel quale era iniziata l’avventura del cinematografo (inventato l’anno prima dai due  lionesi e presentato per la prima volta ai parigini a fine 1895 e dapprima chiamato ‘fotografia animata’) e subito portato in visione nelle grandi città di Roma, Milano, Napoli, e, quarta, Genova, per una settimana, ad opera del su detto: proiezione accompagnata da ampio ‘battage’ sui giornali, con manifesti e  vendita dei biglietti addirittura da parte dei conducenti dell’Omnibus e con il maestro Ettore Gotta al pianoforte). 

    Agli inizi del 1900 le opere più importanti ed applaudite si tenevano al ‘Sampierdarenese’ (il Modena rimaneva privilegiato nella scelta, dai grandi nomi specie della prosa).

   DeLandolina scrive che a questo punto il teatro era però “una. squallida baracca che di teatro s’avea solo il nome”

     Fu nel 1913, per iniziativa dei proprietari Riccardo Bo (parente del Bo del ‘cavagnino’di cui sopra?) ed i fratelli Aristide ed Alfredo Zucconi, che venne completamente ristrutturato con più attenzione al gusto estetico: tra tanti, vari medaglioni con raffigurati artisti più noti, quattro palme dorate che tutt’intorno solcavano il soffitto,  ed allegorie, tutto dipinto dal pittore Nicola Mascialino (DeLandolina lo chiama Mosciallino e lo fa morire ‘poco appresso’; il pittore, nato il 26 dic. 1854 ad Alberobello, frequentò l’Accademia di B.Arti napoletana  ed approdò a Genova nel 1907 ove iniziò decorando palazzi di via XX Settembre, palazzo della Borsa, Politeama Genovese e collaborando con il Coppedé. Aprì uno studio in  SPd’Arena dove decorò dapprima il cinema Dante nel 1912, e l’anno dopo il rifatto nostro Politeama. Morì in terra natale nel 1945); spiccava  scritto con caratteri d’oro in cartiglio posto sopra il palcoscenico  il motto  “rinnovato per rinnovare”).  La prima opera rappresentata il  4 dic. (altri dice il 9)  fu “il Conte di Lussemburgo” dalla Compagnia di operette di Carmen Mariani, a cui seguirono con successo strepitoso il cabarettista Romolo Bonino creatore di una brillante ”macchietta genovese” ed il tenore Rubini, “iperbolicamente chiamato il  Caruso della varietà”.

    Il Gazzettino scrive che nel periodo bellico (più probabile pre-bellico) ‘15-18, fu usato come magazzino.

    Nel dopoguerra ‘40-45 quando i grandi teatri genovesi risultarono pressoché tutti ridotti in macerie, gli spettacoli si mantennero nei pochi rimasti nelle delegazioni; rinnovato dall’imprenditore Renato Velati - personaggio ricordato nell’ambiente perché oltre che datore di lavoro, era un amico per queste compagnie che non brillavano certamente di opulenza e viaggiavano molto spesso al limite economico della sopravvivenza quotidiana; vi ospitò le rappresentazioni dei grandi comici come Macario, Dapporto (quest’ultimo visse i suoi esordi d’artista proprio in questo teatro, ancora oscuro comico alla ricerca di una identità di barzellettiere che ebbe solo dopo: viene ricordato una specie di addio dato al Velati di fronte al pubblico, quando fu scritturato dalla Osiris,durante il quale rammentò i cappuccini offertigli al bar Dogali e con i quali completava, piatto unico, certe cene),  Aldo Fabrizi, Ugo Tognazzi, Elena Giusti ed Anna Fougez, e - per una indimenticabile serata nel 1948, anche il tenore Tito Schipa che cantò gratis a vantaggio del 50° della Croce d’Oro. 

 Però  ben  presto  fu trasformato  in  cinematografo, abbandonando pressoché totalmente le attività teatrali (per questo forse,lo stesso rievocatore del Gazzettino riscrive ironicamente il motto: ‘rifatto per rimanere chiuso’): praticamente perdette il titolo di ‘politeama’ e  rimase il ‘cinema Sampierdarenese’.

    Nell’annuario Pagano del 1961, risulta ancora in attività come cinematografo, sotto la gestione di Ida Giacobbe (uno dei 7 allora esistenti in delegazione, assieme a: Astoria, Excelsior, Massimo, Modena, Odeon, e Splendor; occorre comprendere i parrocchiali Cella e Don Bosco). Da informazioni raccolte da appassionati, il cinema chiuse definitivamente nei mesi estivi (giugno-luglio) del  1968.

 

   In conclusione, nel 1960 il palazzotto del teatro fu demolito, e sostituito da un moderno edificio per uffici ed abitazioni, costruito il vetro-cemento dall’impresa Enzo Fossati.

 

   Nel dic.1900, il regio Commissario straordinario propose alla Giunta comunale il nome  di ”piazza Tubino” alla “piazza e vicoli Tubino, posti a ponente della via N.Barabino (via S.Canzio)“. Nel genn. 1901 un’impresa sampierdarenese (Calvi, Rebora, Barabino) appose la targa in marmo ufficiale, e ad un censimento delle case  esistenti al fine di stabilire una numerazione, vi risultavano: al civ. 1 casa di Agostino Bonnati e C; civ.4 casa Bò e Compagnia; civ.5 casa Castelli e Compagnia; civ. 6 casa Bianchi Stefano e C..

   Il Pagano 1902 descrive: civ. 1 civ. 1 il negozio di frutta secca ed agrumi di Bruzzone Davide (attivo dal1911 al 25);---al 6 identico di Pittaluga Luigi (vedi poi nel 1911);---e Pittaluga Andrea (1911-12) di Giacomo fa il mediatore in frutta secca;--- civico non precisato l’unica impresa Pompe funebri cittadina, di Rossi Francesco (1911-12)(1919-25  passate a Rossi Bartolomeo), tel. 602---Lagorio Francesco ha una vaccheria (genovese);---

   Nel Pagano 1908 ha sede nella piazza la vaccheria di Lagorio Francesco (1911-12) (Genovese).

   Compare inserita ufficialmente nell’elenco delle strade comunali pubblicato nel 1910, “da via Mamiani a via Cavour, con civv. fino al 3 e 4”.

   Nel Pagano 1911-12 e 1919 1925 non ci sono variazioni ai precedenti

   Nel 1926 alla piazza fu cambiato nome, divenendo “piazza IV Novembre”.

   Molto frequentati erano i negozi alla base del palazzo dell’orologio e viciniori: vengono ricordati una trattoria-osteria, non con i tavolini fuori ma gli sgabelli-, la drogheria Pignattai con le sue vetrine, l’albergo Stella ed infine le stalle dei “Din”. Dietro a mare, si aprivano i depositi di GB Carpaneto; ed a ponente, l’OEG (Officine Elettriche Genovesi)

Contrastante con quello scritto altrove, su documento ufficiale si legge che è da questa data che si previde istituirvi il nuovo mercato con bancarelle, spostato in quella sede da piazza XX Settembre (del Monastero) ove col frastuono dava fastidio agli studenti ginnasiali; Fravega ricorda che la parte a nord vicino alla ferrovia fu assegnata ai fruttivendoli ed ai loro banchi posti su cavalletti (tipici ortolani erano divenuti il Caroti, la ‘veggetta’, il Beppe, il Pasquale; C.Banfo ricorda invece ‘a Grixia’ (sic) e ‘Rossiggiunn-e’e ‘Din’ il venditore di rane-oggi scomparse dalle campagne vicine-, che da vive le decapitava all’ordinazione per rendere commestibili e suscitando la morbosa attenzione vedendole muovere anche da morte ), e quella a sud vicino all’albergo Primavera, per l’abbigliamento (primeggiavano mutandoni di lana, fazzoletti, giarrettiere, camicie di flanella, canottiere con tre bottoni)  e generi casalinghi vari, in genere poggiati sui cassoni con ruotine necessari per il trasporto e conservazione della merce che a fine mercato veniva depositata in un capanno di piazza Galoppini (figure caratteristiche erano ‘a Russa, a Benedetta, u Giuseppin ed u Munsu’); il tutto coperto alle intemperie da tante tende a V, che dall’alto davano all’insieme un aspetto caratteristico.   Si trova scritto sul Gazzettino (oltre che la piazza vantava le origini del mercato all’ingrosso nel borgo: e questo non è corretto) che qui giunti,  i contadini -affluiti con i carri a trazione animale e le merci alle ore antelucane e dalle zone vicine quali Promontorio, Coronata, Voltri, finanche Arenzano e tutta la valpolcevera; il mercato all’ingrosso apriva i cancelli alle cinque del mattino- erano obbligati a pagare una tassa di occupazione suolo al proprietario del terreno Giovanni Bo (detto ‘Giuanin d’a cavagninn-a’ perché era uso passare dai singoli munito di una sporta  appesa al braccio entro cui  riponeva la tassa riscossa) Alle nove, la piazza era tutta una animazione, sia per i numerosi acquirenti, sia per le sovrastanti grida dei venditori che richiamavano l’attenzione vantando la propria merce . Anche le strade vicino, come via Imbriani, avevano banchetti (viene ricordato il solito banchetto di giocattoli (allora ci si accontentava di poco: erano cavallini di legno, tamburelli, automobiline a molla).  Alle tredici, arrivavano i netturbini e caricavano la spazzatura sui carretti a mano con due ante a basculla, lasciando la piazza pulita, per i giochi dei ragazzi. (il pan-pan, il pallone, il giro ciclistico con le agrette, la cavallina.

   Nel Pagano 1908 si aprono nella piazza due negozi di frutta secca, verdura ed agrumi, al civ.1 di Bruzzone Davide; ed al civ.6 di Pittaluga Luigi (nel 1912 appare in via Vittorio Emanuele nel viadotto ferroviario), che appare assieme a Pittaluga Andrea di Giacomo  mediatore in frutta secca;

   Alla sera, senza TV, la gente trovava ristoro all’albergo Primavera, al bar Italia (che alla distruzione della piazza si ritroverà in piazza vittorio Veneto), al caffè Dogali (altro punto di ritrovo nella piazza era questo bar; era costume uscire la sera d’estate per andare nella piazza a prendere il gelato o ad ‘incontrarsi’ sedendosi all’aperto o –poiché esisteva la voglia di divertirsi- a preparare burle a scapito di qualcuno. Nel 1950 lo ritroviamo in via del Mercato 73-75; poi in via A.Cantore al civ.__dove fu continuato in gestione dalle figlie; e dal 2001 in via N.Daste ) e sciamava -specie d’estate- in cerca di aggregazione con la scusa del gelato, della granita dello spettacolo al Politeama.

   Per l’apertura negli anni ‘30 di via F.Avio e la sistemazione di via Cavour (viaS.Dondero), il Comune previde la ristrutturazione della piazza presentando un progetto distruttivo, che verrà applicato nel 1934..

    Nel Pagano 1933 permane l’impresa pompe funebri di Rossi Bartolomeo (non più unica ma in concorrenza con  i Robba di via s.Antonio). 

 

in verde gli edifici abbattuti; a dx p.zza VVeneto       ingresso del Politeama – a destra l’attuale via Avio

    Nell’anno 1934 in pieno regime fascista, furono abbattuti ben quattro grossi caseggiati tra cui il palazzo dell’orologio e gli altri due posti  a ponente di esso ed uno affiancato alla ferrovia (a via Cavour). Sono  rimasti solo i palazzi che delimitavano la parte a mare della piazza stessa, rappresentati dalla costruzione ancor ora esistente, in cui aveva sede l’antica trattoria de “la Primavera”, inizialmente anche albergo. 

Un comitato presideuto dal cav. Minelli tentò inutilmentente di opporsi; con rapidità il piano fu applicato sfrattando i proprietari indennizzati con una somma di 6-7mila lire (che riceveranno solo ben nove anni dopo, ovvero nel 1943, ovviamente senza interessi).

In una carta col progetto di una metropolitana da costruire, redatto nel 1934, è ancora presente il nome di ‘piazza Tubino’.

 

DEDICATA alla famiglia Tubino; un cognome molto vago e con una poliedrica possibilità di personaggi, nessuno ben definito nella nomina alla piazza.

    Tra tutti, il più qualificato tra la borghesia industriale e mercantile cittadina (strato sociale che aveva sostituito al potere economico l’aristocrazia), figurerebbe l’avvocato Tubino GB  fu Salvatore, divenuto anche consigliere comunale di San Pier d’Arena, e poi due volte sindaco del nostro borgo (sicuramente nei bienni 1850-52 e 1852-54; (-ai quali successe un intervallo di reggenza dell’avv.Bonanni - nel periodo 1854-56) e dal febbraio 1857 non si sa per quanti anni a seguire.

 Durante la sua prima amministrazione fu approvato il “Regolamento piano d’ornato e di abbellimento” uno dei primi Piano regolatore mirati a “far sorgere un nuovo centro urbano più moderno e funzionale anche nell’aspetto igienico e sanitario”. Le norme prevedevano strade più larghe; migliore aerazione; servizi igienici adeguati (lavatoi ed urinatoi); eliminazione di casotti in legno sul suolo pubblico (evidente sintomo del ‘fai da te’, libero di sfruttare spazi necessari per la crescita della popolazione ma poco rispettosi dell’ordine. A tal proposito, l’avv.Giovanni Gallarini nel 1850 (della Divisione amministrativa di Genova-Consiglio d’Intendenza), aveva scritto: «il comune di Sampierdarena conta meglio di Novemila abitanti agglomerati su una superficie territoriale di soli chilometri quadri DuemilaSettecento novantotto, su cui la spiaggia, una strada ferrata coll’appendice della stazione ed una strada reale si arrogano non ispregevole porzione; sicché la densità di quella popolazione è veramente eccezionale e più di città che altro;...il difetto di spazio nel concentrico vi si appalesa ad evidenza, angustissime scorrendo le sue vie interne, sulle quali le case si addossano appena intersecate a lunghi intervalli da qualche viottolo, che simula piuttosto le dimensioni di una intercapedine».  Fu aperta una galleria sotto san Benigno; dalle parole scritte :”…più che strada galleria sotterranea, ferrata anch’essa a mestier di cavalli, proposta nel 1851…”, si desume trattarsi di quella aperta per gli Omnibus.

   A fine mandato (fu sostituito dal marzo 1854 dall’avv.cav.Bonanni Gerolamo) fu approntato dall’arch.ing. Angelo Scaniglia un più pratico progetto urbanistico “Piano di ornato e di abbellimento del paese” mirato al riassetto stradale e che sarà attuato trent’anni dopo con l’ampliamento della Crosa dei Buoi e della strada NS della Vista (via G.Cassini), nonché dell’apertura della strada poi dedicata ad A.Doria (via G.Giovanetti)

  Fu quindi lui, quello che nel 1859 comperò la villa in piazza Montano dai Centurione (ma forse un altro quello che fu costretto a rivenderla ai Carpaneto nel 1875); che fu sottoscrittore per la realizzazione del teatro Modena nel 1857; che  venne nominato cavaliere di s.Gregorio Magno; che oltre a solerte amministratore fu anche ‘gentile poeta della Valbrevenna’ ove villeggiava; e che infine fu munifico benefattore (per secondo, donò un centinaio di libri alla biblioteca cittadina affinché nascesse –quando la popolazione da 9mila anime del 1847 era passata a 14.008 nel 1861-;  formulò un voto religioso di aprire un ospizio per vecchi inabili al lavoro (per sciogliere il voto l’ospizio fu poi aperto dalla sua vedova Caterina Scaniglia-Tubino nel 1900. Nel 1924 esso fu trasferito nella attuale villa di Promontorio)).

 

 Forse –ascendente o semplicemente omonimo della prima decade del 1800- un Tubino fece parte del consiglio comunale del borgo, e fu tra gli  incaricati di studiare i festeggiamenti per il prossimo arrivo a Genova  -passando per San Pier d’Arena-   di  Napoleone;

    Oppure Tubino Onorato, ricordato quale artista di teatro ed organizzatore –a nome della ‘Società dei Dilettanti’-   di rappresentazioni teatrali nel periodo carnevalesco a favore dell’ospedale, in crosa Larga nel 1803 (da poco finito l’assedio , sempre sotto occupazione francese, la vita era appiattita e squallida, economicamente miserevole e non in ripresa: commercio stagnante, leggi vessatorie, chiese chiuse, ed ancora tanta fame):

   Oppure scrive DeLandolina nel 1922 che nell’800 la famiglia ebbe un poeta insigne

   Non so se discendenti, comunque omonimi meritevoli di ricordo furono Tubino GB grande ginnasta sampierdarenese, oro olimpico ad Anversa nel 1920 , vincitore di innumerevoli gare come atleta e come istruttore; e Tubino Stefano, partigiano, onorato a Pegli con una strada.

 

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-non c’è in P. Novella

-“      “    “  Pagano/61