SAVOIA                                       piazza Savoia

 

 

Nell’anno 1900 - regnante da questo stesso anno Vittorio Emanuele III dopo l’uccisione di re Umberto I - venne proposta alla Giunta comunale di ufficializzare la titolazione alla piazzetta facente parte a mare della via Cristoforo Colombo, e che popolarmente veniva chiamata “piazzetta d’ingresso ai bagni Savoia”; dedicandola in omaggio  al nuovo reggente la casa regnante.

I bagni Savoia erano, di tutta la spiaggia, decisamente tra i migliori e più curati, frequentati solo dall’élite dei benestanti che potevano godere di un alto reddito e quindi di una migliore gestione.

Nel 1910 piazza Savoia è inclusa nell’elenco stampato dal Comune delle sue strade e piazze, localizzata ‘da via C.Colombo al mare’, con solo il civ.1.

Nel 1927 la piazza è presente nell’elenco delle strade presenti nella neonata Grande Genova, ed è classificata di 5.a categoria.

Nel 1933 la piazza era ancora tale, e con un civico, il n.1.

Con delibera del Podestà, il 19 agosto 1935, venne cambiata la titolazione in  “piazzetta dei Minolli “ (vedi).

 

   DEDICATA  

L’origine della casa Savoia si perde nell’oscurità del X secolo; ma già dall’XI secolo era tra i potenti del mondo di allora con il conte  Umberto I Biancamano (970-1048 circa), considerato il capostipite, e seguito  -per 43 generazioni- da principi, sempre regnanti o comunque dominanti, anche con diverse denominazioni: conti di Moriana, di Savoia e di Aosta,  duchi d’Italia, principi di Piemonte, re di Sardegna, re d’ Italia.

La casa regnante in Italia discende dai Savoia  principi di Carignano.  A Vittorio Emanuele I (1802), successero Carlo Felice (1821), Carlo Alberto (1831), Vittorio Emanuele II (primo re d’Italia dal 1849), Umberto I (dal 1878), Vittorio Emanuele III (dal 1900), Umberto II (nel 1946). Preferiamo tacere sulle due generazioni successive, ancora viventi nel 2008, soggette a molto discutibili e tendenzialmente squallide notizie di cronaca moralmente vicina al nero.

La Savoia come regione, insieme a Nizza, fu ceduta nel 1860 alla Francia in seguito agli aiuti forniti dai trasalpini nella lotta antiaustriaca. 

L’atavica bramosia di espandersi e dominare i vicini, la Liguria in particolare con il conseguente ‘sbocco al mare’, inficia gli ampi meriti acquisiti dai Savoia lottando sempre per l’ unificazione d’Italia, da Carlo Alberto a Vittorio Emanuele III (Trento e Trieste tornarono alla madre patria sotto il suo regno). Ma opportunamente alla storia fu bendato gli occhi stendendo per anni una opportuna cortina di silenzio mirata a mascherare il metodo tirannico usato per tenere unita la penisola e poi le colonie: la mano pesante verso Genova si somma con quella sicula (il brigantaggio) e si sposa felicemente con la violenza fascista.

La figlia di VE III (Mafalda 1902-1944) morta in un campo  di concentramento a Buchenwald, non controbilancia l’accumulo fatto dal re di tutta una serie di tragiche scelte (accettazione del fascismo e del colonialismo, della guerra, delle leggi razziali, della fuga all’estero) che offuscarono pesantemente la sua immagine governativa.

La Repubblica - nata dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 - nella sua Costituzione ha sempre negato ai componenti maschi della famiglia  la possibilità di  rientrare in Italia dall’esilio. Per anni si parlò di concedere agli eredi maschi della famiglia reale la libertà di movimento (e con esso, anche del rientro in possesso dei beni terrieri, e di quant’ altro, che era di famiglia nel territorio e nelle banche). La legislazione in merito iniziò nell’anno 2002 ad essere votata;  e  divenne effettiva alla fine dell’anno 2003- metà 2004. 

Ma nei pochi anni a seguire, sopratutti Umberto III si è macchiato di tali imbecillità delinquenziali, da sclassificare completamente il suo titolo ed il suo casato.

 

Per una valutazione dei rapporti di Genova con i re del Piemonte e della Sardegna, vanno distinti i periodi separati:

---Prima del 1815      La storia risale al 1390, quando il Conte Rosso faceva palesi pressioni verso il litorale ligure.

Ricapitò nel marzo 1625 quando il duca Carlo Emanuele I°, altrettanto ambizioso ed audace, alleatosi con i francesi (seppur classificati ugonotti e propagatori di eresie) si mise in marcia da Asti per arrivare a Genova (28mila uomini di cui 650 a cavallo, con 24 cannoni,15 colubrine e pezzi da campagna trainati da 600 buoi) passando per Savignone: le sue forze si scontrarono con i genovesi comandati da Battino Maragliano il 10 maggio sul monte Pertuso (ove poi fu costruito il santuario di N.Signora della Vittoria), e furono sconfitte.

Ma i pruriti non furono sedati: il Senato dovette ricorrere alla costruzione delle mura (1632) le cui imponenti difese furono erette proprio contro le velleità di conquista dei Savoia (è di quei tempi una poesia satirica intitolata  “gabbada che fa il gobbo di Rialto al gobbo di Savoia” in cui si pone in ridicolo il desiderio di conquistare Genova).

=Vacchero Giulio Cesare, ricco mercante fu allettato da promesse della corte dei Savoia e programmò una rivoluzione contro la Repubblica; scoperto, fu giustiziato nel 1628 , ed i suoi  beni immobiliari in via del Campo a Genova, rasi al suolo.

=facciata ovest palazzo ducale ***

===alleanza con austroungarici nel Balilla***

Non si descrivono i mille e mille microepisodi in riviera e lungo i confini, a testimonianza di un non minuto malanimo ed acrimonia.

Peggio fu quando (1814) con la Restaurazione la città perdette la sua libertà repubblicana: scomparsi i francesi ed instaurato un Governo provvisorio, si esultò all’idea di un ritorno all’indipendenza. Ma la realtà si presentò frustrante: il Piemonte lavorando sotto sotto diplomaticamente aveva ottenuto che l’Europa gli concedesse la Liguria  (l’Inghilterra... tanto amica, l’aveva già promessa dal 1805); il 12 novembre 1814 a Vienna le otto potenze che ridisegnarono l’Europa aggiudicarono Genova al Piemonte malgrado la chiara volontà di non accettare l’annessione.

---Dopo il 1815

   È Legge internazionale che uno Stato per annettersi un territorio, è indispensabile proponga un plebiscito; e così fu per i vari ducati (Modena, Parma, Toscana) e regni (Borboni e Papato); escluso per la Liguria, perché mai nessuno firmò né votò la accettazione di quanto stabilito dal Trattato di Vienna.

   Il 7 gennaio 1815, regnando Vittorio Emanuele I (Torino, 24.7.1759-Moncalieri 10.1.1824 secondogenito di VittorioAmedeoIII. Personaggio tendenzialmente pavido e contrario ai principi della Rivoluzione francese, apparve senza aspirazione a governare, titubante nell’affrontare la patata bollente delle popolazioni in sommossa (a partire con i moti del 1821)). Al congresso di Vienna, ebbe con  Thaon DeRavel la presa di possesso del territorio ligure, instaurando un soffocante regime assolutistico (abrogò i codici napoleonici, ripristinò la legislatura prerivoluzionaria, riaffdò l’istruzione ai sacerdoti, discriminò ebrei e valdesi).

Genova, allora abitata da 80mila persone, fu per  il  re proveniente dalla Sardegna, una debacle di prestigio e cocente umiliazione con una fredda accoglienza, ‘senza entusiasmo e con non poco broncio’ da parte delle autorità e della popolazione. Un famoso quadro di Felice Guascone ne fissa l’immagine dolente ed indifferente, quando venne a Genova insediando una guarnigione di settemila soldati (un decimo della popolazione) chiaramente finalizzata alla repressione.

Il 12 marzo 1821 il re di Sardegna abdicò in favore del fratello Carlo Felice ultimogenito (di quattro figli di Vittorio Amedeo III. In un periodo (1815-1845) in cui tutti i servizi si erano azzerati, la situazione economica era divenuta drammatica, il porto praticamente inattivo, l’analfabetismo al di sopra del 50%, all’improvviso, si aggiunsero iniziative e traffici bloccati da una politica piemontese protezionista delle proprie finanze ed una  pressione fiscale nuova ed esasperata; nonché l’asservimento ad un Palazzo lontano, diffidente, inizialmente disinteressato ed altezzoso.

Sposo di MariaCristina Borbone. Fu definito “re triste”, snobbato dai sudditi diretti perché taciturno e con forti aspirazioni religiose; ma caparbio lo fu da subito quando rientrato a Torino da Modena ove era al momento della nomina, in pochi giorni disfece la “fuga in avanti” portata dal reggente CarloAlberto che aveva concesso la costituzione ed una giunta di governo. Affrontò con fermezza la ribellione di Santorre di Santarosa, si oppose ad ogni apertura, favorì solo l’aspetto finanziario, la lotta ai pirati e la giustizia. Così mal sopportato ed impopolare anche a Torino, divenne forse un po’ coccolato dai genovesi per i quali nutrì una particolare sensibilità (patrocinò il teatro, inaugurato il 7.4.1828 con un’opera di Bellini) non ricambiata perché alla cerimonia, la nobiltà preferì eclissarsi anticipando la villeggiatura.

Un decimo della popolazione era divenuta e classificabile ‘povera o addirittura mendicante’; la mortalità infantile arrivò al 40% e quella generale ai vertici del sopportabile (nelle epidemie del 1854-5 morì il 70% dei ricoverati: 3504 su 5032).

A peggiorare i rapporti col Piemonte, ci fu Lamarmora (1849) quando soffocò, per ordine del neonominato re di Sardegna Vittorio Emanuele II (Torino 14.3 1820-Roma 9.1.1879), i moti popolari genovesi, nel modo più crudele, suffragato dallo spregio dello stesso re che chiamò i genovesi ‘vil razza dannata’; e quando per sua rabbia si dovette subire l’onta dell’abbassamento della coda dei grifoni a mortificazione del titolo di Superba.

Antisavoia irriducibili quindi, avversione radicata, aperta e palpabilmente sentita a Torino dove l’espressione di cui sopra significava che eravamo considerati contrari al governo, di infimo livello e quindi da reprimere con direttive severe e punitive. Anche per Cavour, che normalmente parlando e scrivendo in francese curava le finanze, eravamo tali da non doversi fidare. Finché poi, costretto ad accreditare Ansaldo, Bombrini, Rubattino e Penco, di conseguenza dovette -non solo ricredersi- ma addirittura ribaltare le aspettative economiche basandole su essi quali migliori imprenditori del regno.

Intercorse quindi un periodo di appiccicosa sudditanza di una parte della cittadinanza (specie quella dei pubblici uffici o che riceveva benefici, medaglie e titoli dal governo) e di astiosa sopportazione da parte del popolo minuto. Ne sono esempio alcuni eventi: per i primi, nel 1823 il tappezziere Cambiaso si lagna perché non è stato ancora soddisfatto dal Comune delle “spese sostenute per l’ammobigliamento di un Palazzo per ricevere Sua Maestà il Re, in San Pier d’Arena” (poveretto quel Cambiaso, vittima della piaggeria dei primi su citati, per un re che non ha mai soggiornato nel borgo, quando poco distante –in via Balbi- aveva un ‘palazzo reale’); e gli scritti di delibere comunali tipo “Sua Maesta Reale, il Sindaco e i Consiglieri del Comune di San Pier d’Arena, umilmente penetrati nanti del vostro Regio Trono, espongono...”;  e stante la minaccia che -1832- Lorenzo Dufour chiuda lo zuccherificio –osteggiato dalle regole daziali a vantaggio degli stranieri-, il Comune intercede presso il re che riveda tali ostacoli, finendo la lettera con un “salvo sempre che non osti positiva ed inderogabile legge Sovrana”; oppure una circolare ai Sindaci del 1838: “ venne in pensiero al Re Nostro Signore, cui nulla sfugge di quanto può tornare a vantaggio degli amati suoi sudditi, d’istituire in ogni Capoluogo...una Giunta speciale per un lavoro generale di statistica...” roba che in democrazia è ovvia, ma a quei tempi era autorizzazione di schedature da parte della polizia.

Per i secondi, su tutti quello dell’ago 1840 quando fu tirato un sasso alla carrozza dell’Arciduca d’Austria, e –con la più feroce ed inusuale omertà- all’indagine seguente, non fu trovato il colpevole.

L’Amministrazione sampierdarenese, finché restò autonoma –sino al 1926 quindi- fu genericamente laica  repubblicana e di sinistra, con momenti di prevalenze anarchiche e massoni (vedi le titolazioni stradali di allora, da Ferrer al Degola): comunque in genere assai poco incline ad osannare i Savoia.

Si può quindi presumere che –come si rileva dagli scritti comunali- inizialmente il nome alla piazza -più che una glorificazione della famiglia regnante- fosse legato alla struttura lignea delle cabine dello stabilimento balneare che si apriva con quel nome nella piazzetta; e la scelta rimase come era uso per indicare alcune località col nome di quello che di maggior conoscenza vi fosse collocato (alla fine del secolo 1800 -essendo poche le strade nominate con nome proprio- e la città in evoluzione ultrarapida). Non credo però ci fosse ambigua malignità negli amministratori di San Pier d’Arena. E questo indipendentemente dalla scia di Genova perché anch’essa mai stata sposa felice nelle braccia dei Savoia (anche se qualche concessione fu da loro donata, come il teatro dedicato al re e la statua equestre di piazza Corvetto).

Per soprusi, da secoli sempre da noi  subiti e mai generati, per Genova i Savoia+bersaglieri, è divenuto nel tempo  un binomio di insofferente rancore, che solo il tempo ha trasformato in freddo disinteresse fino a far prevalere la ragione con la quale si è voluto ‘perdonare’ e dedicare all’arma, una strada.

Cova come la brace quindi quel sentimento che si tramanda  tacitamente in chi ha un poco di cultura storica e di amor proprio, fino ai giorni d’oggi.

 

BIBLIOGRAFIA.

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale -  Toponomastica  scheda 4078

-DeLandolina GC.-Sampierdarena-Rinascenza.1922-pag.54

-Dellepiane R.-mura e fortificazioni di Ge.-NEG.1984-pag. 113.164

-Enciclopedia Sonzogno

-Il Secolo XIX: (recensione di Montale B.-Mito e realtà di Ge.nel Risorgim) del 13.90 3

-Internet: www.bampifranco@.it

-Novella P.-Guida di Genova-manoscritto 1930 circa-pag. 19

-Pagano /33-pag. 248

-Pastorino&Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1668