SETTEMBRINI piazza Luigi Settembrini
TARGA:
piazza - Luigi Settembrini – letterato e patriota napoletano - 1813-1876
QUARTIERE MEDIEVALE: Mercato
da MVinzoni 1757. Ipotetica posizione della piazza, a levante della crosa dei Buoi, nei terreni del mag.co Giuseppe Doria
N° IMMATRICOLAZIONE: 2851 CATEGORIA: 1
anno 1960
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 58380
UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA
CAP: 16151
PARROCCHIA: s.Maria della Cella
STRUTTURA: attraversata solo da pedoni, si estenda da piazza N.Montano a via U.Rela. Sono circa 1000 mq di area pedonale
E’ servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera
STORIA: Ebbe più nomi: per primo, quello popolare di “piazza della Posta”, per indicare la presenza degli uffici, nell’affiancato palazzo affacciato su via N.Bixio, ed utilizzato dalle regie Poste italiane provenienti dalla sede di via A.Castelli: più vicini alla stazione ferroviaria e di arrivo dei primi mezzi intercittadini come gli Omnibus.
In seguito divenne ufficialmente “piazza Felice Cavallotti”, e così è citata dal Novella negli anni 1900-1930, aperta su via Milite Ignoto e su via U.Rela.
Il 19 agosto 1935 il podestà firmò la delibera di titolazione a “piazza Sabaudia” (città laziale nell’agro pontino)
Titolo che le rimase fino al 23 marzo 1944, quando il Commissario prefettizio deliberò per l’ intestazione col nome attuale.
Il terreno nel 1757 faceva parte della vasta proprietà di Giuseppe Doria, apparentemente senza una villa propria e quindi prato, destinato al mantenimento di animali (cavalli forse, visto vicino la ‘zona delle stalle’). Nelle successive carte dell’ottocento appare già strutturata a più ampio giardino con il segno di una vasca centrale; infatti, nel 1850 circa, con la costruzione della linea ferroviaria, tutto il lungo spiazzo-giardino, fu ridimensionato, tagliato e ridotto: a nord della palizzata fu lasciato un più vasto terreno che volgarmente veniva chiamato “o prou” ove esisteva anche un gioco delle bocce (le strade vicino di contorno, ora via Orsolino ed U.Rela, furono di conseguenza dapprima chiamate via Prato).
anni 1990
Ancora nel 1908, il terreno non appare incluso nei terreni di proprietà comunale e quindi soggetto - come tutto attorno- alla selvaggia erezione di palazzi degli anni tra il 1870 e 1920: esistono documenti depositati all’Archivio S.Comunale di richiesta di vendita del terreno; quindi malgrado lo spazio allettasse più d’un costruttore, fu infine deciso dal Comune di ricuperarlo a piazza pubblica, quale ora, divenendo per la sua centralità “il salotto buono” di San Pier d’Arena.
Fu restaurato e ripulito nel 1975, ma subì da quel tempo la presenza -per anni- di un attivo centro di spaccio di stupefacenti, che fecero della zona un punto da evitare; ‘perseguitati’ dalle forze dell’ordine, traslocarono altrove lasciando spazio a riunione di extracomunitari – forse albanesi - che trovarono nella piazzetta luogo di incontro tra loro.
1997 – asfaltata 1980 1980 senza palma
anni ’80 con palma
Nel complesso -ed in pratica-, è stata generalmente, gravemente ed a lungo trascurata dall’amministrazione pubblica. Nel nov.1999 si annunciò trionfalisticamente che il CdC aveva approvato il progetto in base al quale oltre al rifacimento dell’illuminazione, giochi d’acqua nella fontana ripulita, ecc., la piazza “ritornerà agli antichi splendori con al posto dell’asfalto un ‘accoltellato’ di mattoni di colore rosso cupo, com’è nella tradizione genovese” (dalla terra battuta, in cartoline dell’inizio 1900 appare pavimentata a lastroni di pietra che, per praticità nel dopoguerra furono coperti da asfalto, si è passati a mattoni rossi come in piazza Modena, forse sempre meglio di nulla anche se non mi pare vero che esista simile tradizione! Forse l’acquisto –come le palme- di grossi quantitativi di mattoni, oltre al risparmio favorisce la creazione di una ‘nuova tradizione’). Le lungaggini burocratiche (legate a competenze operative nell’ambito delle varie sezioni comunali con necessità di una delibera della giunta che assegnasse la responsabilità dei lavori ad una di esse) ritardarono l’iniziativa di due anni. A fine 2001 infatti -con una spesa prevista di 300milioni circa e finita a 450milioni - iniziarono i lavori su progetto dell’arch. Cassini, terminati 18 mesi dopo, inaugurati il 27.7.02: tolto l’asfalto, la messa in atto della pavimentazione a mattoni rossi, poggiati in costa su sabbia drenante; sotto gli alberi è stato formato un corridoio in ciottolato che separa la zona centrale dai marciapiedi laterali.
foto 2002
È stata rifatta l’illuminazione che era a lampade appese con fili, ora con lanterne in ghisa su mensola; sostituiti alcuni alberi, che ora sono 19 più due palme; ripulita ed aggiustata la vasca (vedi sotto).
Numerosi sono i progetti futuri; da mostra all’aperto di pittori, ripristino del banchetto di frutta e verdura. Ed altrettanto numerose si sono succedute sedi di commercianti, artigiani (macelleria, pasticceria, ristorante, osteria, parrucchiere, mobilificio, tessuti, focacceria, erboristeria) ciascuna famosa e ricordabili solo per la generazione che le ha vissute.
antica targa di reclame, posta nell’angolo con il tunnel ferroviario per piazza VVeneto.
Al centro una bella fontana la cui storia è emersa in due versioni solo in tempi molto recenti, all’atto dell’ultimo restauro.
L’origine e lo scultore della vasca sono stati a lungo sconosciuti. Si pensò anche ad un trasferimento dalla vicina villa Centurione-Carpaneto quando fu ridimensionato il vasto giardino.
1999 2002
La prima descrizione è di Remedi, il quale cita un verbale della riunione della giunta comunale datato 28 maggio 1906, ove si legge della possibilità di costruire una fontana in piazza Giovanni Bovio (attuale piazza N.Barabino) su progetto (arch. Egisto Bellini) e realizzazione della Società Unione Scalpellini e Selciatori Genovesi, detti dell’Ansaldo; i quali -non senza tornaconto (visto le numerose commesse a loro affidate)- volevano dimostrare la loro bravura e devozione alla città di san Pier d’Arena. Ancora Remedi scrive che tutto il progetto fu approvato ed intanto presentato alla fiera Universale di Milano dello stesso anno. Ma le cose non filarono lisce: i pezzi furono invece montati in piazza Felice Cavallotti (oggi Settembrini); nel 1908 la cooperativa entrò in crisi; la giunta cambiò colore ma accordò un anticipo di lire cento a fronte di richiesta di sovvenzione, che divennero 5625,92 nell’aprile 1909 come da delibere (il giorno 1 e 20) della Giunta, la prima delle quali vistata dalla regia Prefettura il 16.
La seconda versione scrive che fu realizzata nel 1908 pare su proposta ed offerta degli ansaldini (del loro circolo in particolare che aveva sede vicino, in via U.Rela ai civv. 1n e 3r) ed con opera della «soc. an. Cooperativa di Costruzione per Lavoranti Muratori ed Affini» (con sede in via UmbertoI civ. 45rosso; essa però chiese al Municipio un acconto di £.4000 per le spese sostenute per la “costruzione della vasca”)
Il basamento è a scalini di marmo, con forma di croce di Malta; alcune decorazioni della vasca sono di tardo liberty anni 1910 (stesse decorazioni presenti al Campasso nel palazzo dei macelli). In alto un amorino stringe un grosso pesce. Forse il putto, che sembra più antico dell’insieme, era già appartenente ai giardini della villa e -se fosse così- sicuramente fu lui a condizionare la destinazione del terreno di questa piazza comunale.
Ma stranamente neanche il Novella la cita, pur essendo l’unica fontana della città (a parte quella dentro i giardini di villa Scassi), forse perché non c’era o fu innalzata dopo, non si sa.
Dopo decenni di attesa, fu ripulita, impermeabilizzata, e riattata nel 1994; poi nell’aprile 2000 provocatoriamente ed in parte a scopo politico la fontana fu ripulita delle alghe, incrostazioni e ‘rumenta’ varia, da una squadra di volontari detti bonariamente ‘acchiappaschifezze’ dei Verdi; ed infine riattata nei marmi e nell’idraulica a fine luglio 2002
Gli alberi che la attorniano, nelle foto degli anni attorno al 1910 si vedono appena appena collocati in sito, piccoli e minuti, a testimonianza che lo spazio fu adibito a piazza in quegli anni. Si racconta che un uragano a metà degli anni 50, riuscì ad abbattere una palma, e che per lungo tempo non fu sostituita, lasciando l’aiuola rotonda vuota ***. Oggi, le palme ai due estremi sono contornate da un anello di alberi ad alto fusto; (delle palme, quella a levante, centenaria, è stata sostituita nel 2002 giudicandola malata (le erano state riscontrate delle cavità e fenditure interne al tronco, pericolose alla sua stabilità ed a rischio cedimento al vento, visto la vasta chioma); mentre degli alberi attorno qualcuno è stato cambiato per necessità naturali, come la robinia localizzata più vicino a via U.Rela che stava rigermogliando dal tronco precedentemente tagliato e che è stata sostituita all’ultimo restauro del 2002 con un acero; anche un platano non c’è più. Oggi di alberi se ne contano 7 dal lato ferrovia ed in totale 17, così ripartiti: 3 nuovi aceri, 4 bagolari (o spaccasassi), 7 tigli, 2 robinia pseudoacacia, 1 ippocastano). L’angolino a ponente, più vicino alla ferrovia, è stato da sempre occupato da persone che entrarono nel folklore cittadino: nell’84 morì ultranovantenne la Gilda, che vendeva le caldarroste all’aperto, nei rigidi inverni, coperta da uno scialletto, amata da tutti; poi, più attrezzato, c’è stato un chiosco che vendeva frutta e verdura ed in stagione anche cocomeri (un breve periodo di abbandono del manufatto per avvicendamento, ha fatto gridare allo sconcio). Per anni, nella parte a levante invece, c’era una bancarella di libri usati, gestita da “Giuseppe”, che certo non faceva concorrenza alla libreria vicina ma al contrario serviva piuttosto a fare della piazzetta un “centro lettura”.
Nel dic. 2011 si apprende che una associazione “Amici di piazza Settembrini” causa risse, cattive frequentazioni di balordi, sporcizia e vandalismo, ha chiesto l’autorizzazione a far chiudere la piazza con cancellata (previsto costo di 40mila euro).
CIVICI
2007= NERI = da 2 a 6
ROSSI = da 1r a 13r (compreso 3Ar. Sotto il viadotto) e da 2r a 24r
===civ.1r la microinsegna posta all’angolo col tunnel lascia pensare che prima di tutti vi fosse una osteria. Sicuramente, negli anni 1950 divenne sede della SPI (soc.per la pubblicità in Italia) che raccoglieva inserzioni per il quotidiano indipendente genovese ‘Corriere del popolo’ diretto dal dr Arrigo Ortolani, che si autodefiniva ‘il più diffuso di informazioni’. Oggi è un piccolo locale adibito a deposito merci privato.
===civ. 2: edificio progettato forse dall’ing. Giovanni Crier (il nome è
insicuro) costruito nel 1908, distinto per l’elegante decorazione in stile liberty, nelle cornici delle finestre, negli elementi in ferro che ornano i balconi. Era di proprietà Ravina Rina, vedova Castello. Fu realizzato con tetto a mansarda. Divenuto sede dell’ufficio postale, è rimasto nel gergo popolare il “palazzo delle poste” ed ha dato alla piazza sottostante lo stesso nome.
Dopo 5 lustri di lungaggini burocratiche fu completamente rifatto per ragioni di staticità, dall’impresa Gadolla nel 1983-6, in un complesso comprendente due unità ravvicinate: quella a mare, ricalca in modo eguale il palazzo preesistente ed abbattuto, in stile liberty e con l’ultimo piano a piramide (la critica fu non aver ricalcato gli antichi spazi, senza porticato continuativo dei vicini palazzi di piazza Montano, addossati ai margini stradali da ridurre lo spazio pedonale, al punto da far criticare il ‘casermone’ così rinnovato quale ‘speculazione edilizia); quello a monte, moderno, che dalle piazze Montano e Settembrini, arriva sino a via U.Rela in unica superficie di oltre 1500 mq., per 6 piani, più degli interrati, avente il tetto ad ampie terrazze degradanti in modo da non soffocare le case vicine, destinato dapprima ad ospitare al piano terra la sede di una filiale della BNL, ed a quelli superiori con apertura via U.Rela, la sede itinerante (da via T.Molteni) delle Poste e Telegrafi con uffici per il pubblico; poi fu modificata la delibera, per “inserirvi” la direzione compartimentale delle PT, impegnandosi a trovare un’area equivalente per i sevizi pubblici; infine, attualmente è occupato solo dalla Direzione, ed gli sportelli per il pubblico sono stati definitivamente spostati - si spera- in piazza del Monastero.
Sotto la ferrovia
===civ. 3r fu un altro piccolo locale occupato nel dopoguerra da un artigiano che riparava penne stilografiche e vendeva francobolli da collezione;
===civ. 3Ar (sul Pagano/50 è al 5r): c’era un servizio ‘Albergo Diurno’ ovvero ‘gabinetto pubblico’,sotto la ferrovia; l’ unico della delegazione a parte sparsi vespasiani (Lamponi dice che vi erano delle docce, ma viene smentito da testimoni e …dallo spazio a disposizione). Era molto opportuno per tutti, ma soprattutto per gli assidui frequentatori delle panchine i quali generalmente sono di età pensionata (e -relativo alle loro stanche e flaccide membra- fu dato alla piazza un volgare popolare nomignolo: “ciassa di belin molli”-). Fu chiuso agli inizi degli anni 70, vanamente sostituito da una struttura posta vicino in piazza Vittorio Veneto, di quelle autopulenti ed a entrata a pagamento che funzionò pochi giorni, stette lì per alcuni anni e poi fu rimossa e riproposto similare lontanissima, nei giardini Pavanello.
===civ. 5r corrisponde al retro del negozio coltelleria Dossi di piazza V.Veneto
Dal lato a monte:
===civ. 4 In stile prime decadi del 1900: semplice ma pur sempre con una decorazione: caratteristiche –anche se nascoste alla vista dalle fronde degli alberi- le due lesene*** che dividono la più antica parte di facciata del palazzo in tre porzioni interrompendone così la sua piattezza e rendendola più gentile (in altezza arrivano sino al quarto piano e non ai due superiori che furono sopraelevati anni dopo). Anche le finestre, sono più basse al primo e quarto (ex ultimo) piano e più alte nei piani centrali quasi a ricercare l’architettonica esistenza del ‘piano nobile’ delle vecchie ville
===civ. 6 = appare sopraelevato di un solo piano. La sua semplicità lo colloca costruito prima degli altri, negli anni a cavallo tra 1800-1900.
===civ. 10r: ospitava (si sono perdute le tracce storiche dell’apertura; a voce dovrebbe risalire agli anni 1896-8) la mitica libreria-giornalaio di Roncallo Attilio dal 1908 anche rappresentante di case editrici e punto di riferimento per tutti gli studenti ed amanti della lettura. Negli anni 60 divenne di Roncallo Manlio; e lì era ancora nel 1968 quando rilevata dagli eredi, si trasferì in via C.Rolando. Fu poi affidata alla signora Macciò Andreina finché alla fine degli anni 90 divenne una filiale del ‘Libraccio’.***
===14r nel 1950 c’era l’osteria di Parodi Mario
===20r. “da Enzo”, per Monatti è un “locale giovane e accogliente che mantiene però i buoni sapori d una volta. A cominciare dalla farinata preparata nel forno a legna, che ancora tiene testa alla concorrenza della pizza (peraltro assai gustosa). In menù anche le versioni meno classiche ma ormai richiestissime: bianchetti (di stagione), cipolle e carciofi”.
DEDICATA: al letterato e patriota napoletano, che per le sue idee libertarie, subì nel regno delle Due Sicilie lunghi e travagliati affanni.
Nato a Napoli nel 1813, come ricorda se stesso in un libretto intitolato “Le ricordanze della mia vita” pubblicato nel 1879 (un secondo volume, curato dal figlio, contiene tutte le dichiarazioni processuali e testi vari), fu educato alla maniera illuminista ed avviato agli studi legali; ma lui preferì non seguire la carriera forense quanto piuttosto studiare la letteratura classica; così messosi alla scuola di Basilio Puoti, si laureò in lettere e vinse nel 1835 il concorso di insegnamento di “eloquenza” a Catanzaro, allora sotto i Borboni.
In quell’anno, l’8 ottobre, si sposò a Napoli con Maria (Bruzzone scrive Raffaela) Luigia Faucitano, detta Gigia, andando in viaggio di nozze…a Catanzaro. Dall’unione nacque Raffaele; e poi nel 1839, mentre lui languiva in carcere da tre mesi, anche Giulia.
Le ampie letture fatte, specie del Mazzini, avevano stimolato le sue idee libertarie, favorevoli all’unità d’Italia, ed ostili alle dittature; così con l’amico Musolino, fondò una società chiamata “figlioli della Giovine Italia”, che ovviamente dalla polizia borbonica fu giudicata fuori legge.
E poiché aveva scritto un manifesto giudicato insurrezionale, tradito da un sacerdote, fu arrestato e dapprima condannato al carcere di Napoli per tre anni, dall’8 magg.1839 al 1842; ma in tutto ne scontò venti mesi, perché al processo d’appello fu assolto per insufficienza di prove; ma perdette la cattedra di insegnamento.
foto al Museo del Risorgimento-Milano
Senza lavoro stipendiato, visse per altri 5 anni a Napoli, dando lezioni private; ma ben tosto reinserendosi nei circoli clandestini animati dalla medesima aspirazione dell’unità ed indipendenza nazionale.
L’animo libertario, lo portò ad associarsi con Silvio Spaventa e Filippo Agresti, per fondare ed esserne presidente, la “Grande società dell’Unità d’Italia”; ma nel 1847, essendogli stato attribuito un opuscolo (seppur pubblicato anonimo, ma che ebbe grande risonanza nel regno ed intitolato “Protesta del popolo delle Due Sicilie”) ricco di severi rimproveri contro il Borbone Ferdinando II (accusato nella persona, quale ignorante, ricco di pregiudizi, volgare, perfido e soprattutto insensibile alle necessità del suo popolo) dovette fuggire, raggiungendo Malta ove rimase un anno, potendo ritornare a Napoli solo l’anno dopo, alla promulgazione della Costituzione (sotto la spinta libertaria che pervase l’Italia in quell’anno, anche il tiranno aveva concesso la costituzione; ma dopo pochi mesi, abiurando il giuramento fatto e protetto dall’impero austriaco, la revocò).
Cosicché nel 1850 il Settembrini fu riarrestato, il 1 giugno processato (durato sei mesi); lui ed altri 5, condannati a morte –pena commutata in ergastolo malgrado la fervente autodifesa indirizzata inutilmente agli “uomini di buon senso”- da scontarsi dal 6 febbraio 1851; si ritrovò così assieme a Silvio Spaventa ed altri ergastolani politici. Iniziò la pena nel carcere dell’isola-penitenziario di santo Stefano, ove trascorse i primi otto anni ristretto in cella illuminata da una finestra posta in alto irraggiungibile, traducendo dal greco le opere di Luciano da Samosata (antica città della Siria, residenza reale, che fu assediata da Marcantonio nel 33 a.C. e che diedei natali al faceto e sofista scrittore). Di questo periodo lasciò la documentazione ne ‘Le ricordanze’. Rifiutò domandare la grazia, e -appena poté- tentò inutilmente una fuga.
In questo periodo, il figlio divenuto marinaio su navi militari piemontesi, tornò nel 1856 dalla Crimea gravemente ammalato di tifo e ricoverato in fin di vita a Genova nell’ospedale di Marina, assistito dai cappuccini e dalle suore di sAnna (suor Giuseppina, ‘suora della carità’, fondate da s.Vincenzo de’ Paoli). La madre per assisterlo, dopo essere stata sottoposta a salasso terapeutico e ricevuto un passaporto, arrivò via nave fu qui ospitata -prima in pzza Carlo.Felice per interessamento del gen. Mengaldo- e poi, quando dopo 20 gg. –a luglio- il giovane potè uscire ed esservi portato in portantina, ‘camallata’ da 4 marinai, in piazza Acquaverde, ove godeva il panorama della città ed ebbe visite anche dal conte Terenzio Mamiani (vedi).
Il sacrificio del Settembrini non era ignoto a Genova e la moglie fu confortata dalle più alte autorità locali, e fu aiutata dal medico Agostino Bertani quando dovette rientrare –nei primi di settembre- a Napoli, essendo in corso segrete operazioni mirate a far fuggire il marito.
La signora Settembrini tornò a Genova due anni dopo 1858, quando il figlio, ripreso il mare sulla nave Beroldo, dopo essere stato in estremo Oriente, fu bloccato agli esami (da marinaio a ufficiale di marina perché ‘ straniero’ (dopo 4 anni di servizio nella marina sarda). Si tentò la strada della naturalizzazione sarda, ricorrendo personalmente anche al Cavour a Torino. Alla fine, dovette congedarsi. Ma quando da Genova la signora si accinse a rientrare a casa per assistere la figlia partoriente, il console di Napoli a Genova ed accreditato a Torino Canofari, dopo averla fatta seguire e vigilare, le rifiutò (pare per diretto ordine di Ferdinando II) il passaporto di rientro, catalogandola esule pericolosa.
Solo con l’attivo aiuto di NBixio rientrò in patria: dopo due vani tentativi di imbarcarla, sventati dalle spie borboniche –di cui uno su vapore postale francese travestita da cameriera- la affidò a Paolo Fassiolo (che per due volte aveva fatto emigrare Mazzini in Svizzera) che usò la via terra, più soste e variazioni di itinerario, per non destare sospetti.
Nel 1859 il governo borbonico, decise di disfarsi dei 500 e più prigionieri politici. Accordatosi con il governo della repubblica argentina (laggiù avrebbero avuto un pezzo di terra da coltivare ed una somma per iniziare), decretò trasformare tutte le pene in esilio. Il viaggio, a spese del Borbone, fu organizzato anche per altri 65 prigionieri politici (L’ES dice che fu graziato e così poté emigrare). Ma per loro fortuna, il figlio Raffaele -che prestava servizio nella marina mercantile inglese- riuscì ad imbarcarsi a Cadice in incognito come cameriere ed a convincere il capitano a sbarcare i condannati a Queenstown in Irlanda del sud.
Solo l’anno dopo, 1860, liberata Napoli da Garibaldi, tornò in patria passando per Torino e Firenze; a Napoli venne riammesso alla cattedra universitaria di letteratura italiana. L’insegnamento è documentato dalle “Lezioni di letteratura italiana” riguardanti il periodo 1866-72. Reinserito nella società partenopea, poté diventare scrittore e giornalista, essere nominato socio di Accademie e società politiche (fu a lungo presidente dell’”associazione Unitaria costituzionale”, fondata assieme al De Santis).
Conosciute le sue capacità, fu nominato capo divisione nel ministero dell’istruzione, ma dopo due mesi diede fermamente le dimissioni non sopportando il clima di clientelismo e di incapaci ambiziosi di chi lo dirigeva. Anche la pensione, che gli fu offerta, venne rifiutata giudicando non meritarla per il troppo breve periodo di servizio.
Eletto deputato, preferì rinunciare per non lasciare l’insegnamento.
Nel 1873 fu nominato senatore del regno.
Morì tre anni dopo, nel 1876, a Napoli .
Importanti pubblicazioni sono raccolte in volume, specie le “Lezioni” di storia della letteratura italiana (tenute all’Università dal 1866 al 1873); un “Epistolario”, ed il memoriale già citato “Ricordanze della mia vita” pubblicato postumo ed importante per capire le vicissitudini dei carcerati politici sotto i Borboni.
Da una lezione, si trae questo brano, valido ancor oggi : “ restare al proprio posto di combattimento, che pei giovani è principalmente lo studio il quale è il più vero strumento di libertà e di civile milizia perché un popolo ignorante è sempre servo di uno, di pochi o di molti”.
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