SCASSI                                    corso Onofrio Scassi

 

 

  TARGHE:

San Pier d’Arena – corso - Onofrio Scassi – medico-scienziato-politico – 1768-1836

                                         

   

in angolo con corso Magellano, casetta dell’AMT                                                                     

 

in angolo con scalinata C.Beccaria

 

QUARTIERE MEDIEVALE:  Mercato

 da MVinzoni, 1757. In rosso salita sBarborino; giallo vico Imperiale; fucsia, via GB Botteri;  verde, ipotetico tracciato del corso, sotto la vasca del lago infer.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2850      CATEGORIA:  2

 da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°  :   57040

UNITÀ URBANISTICA: 27 – BELVEDERE

                                          28 – s.BARTOLOMEO

  da Google Earth, 2007

CAP:   16149

PARROCCHIA:  Cristo Re

STRUTTURA:    doppio senso viario, da via G.B.Balbi Piovera a corso F.Magellano.

Due scalinate si aprono a mare sulla strada: una col nome di scalinata Beccaria; altra anonima che la collega a via GBBotteri.

La proposta formulata del marzo 2004 di munire la strada di posteggi a pagamento sul lato a mare, fu bocciata dal CdC: il problema coinvolge quello del traffico (ospedale, scuola, residenti), che ostacola il flusso delle ambulanze

Prima dell’applicazione delle targhe in plastica, nell’angolo a sinistra della vecchia targa c’era inciso “già corso Roma”.

È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera

foto anni 1960

 

CIVICI:

2007 =possiede solo neri,  1 e 3 =UU27                 e 210=UU28.

 

Nel Pagano/40 la strada va “da via G. Balbi Piovera  al monte” ed ha solo ilo civ. 1 degli “Ospedali civili Sampierdarena”

STORIA:  dalla mappa del Vinzoni si vede che la strada faceva parte del giardino di villa Imperiale, separando il tratto di giardino (col viale centrale, il quale, lievemente in salita e detto ‘delle statue’, ancor oggi è esistente al limite alto del parco) dal largo lago –detto ‘inferiore’- della villa stessa.

      

Non è chiaro quando il Comune, a vantaggio dell’ospedale, trovò modo di allargarsi a levante rispetto la cinta degli Imperiali; si riscontra infatti una non corrispondenza tra la carta del Vinzoni (ovvero della antica villa) e la situazione ad oggi: in quella, il vico Imperiale scorreva diritto al lato orientale della proprietà racchiusa da un alto muro. Tutto corrisponde, dall’inizio in basso sino a ponente della torre dell’ospedale – ancor oggi eretta - della ex villa del principe Francavici. A quel livello, il muro di cinta della villa Imperiale fu distrutto per aprire via GBBotteri, ma dovrebbe riprendere diritto a monte del corso Scassi - per salire a Promontorio -. Invece oggi la proprietà dell’ospedale si estende per ulteriori 100m a levante – al limite con via MFanti-. Qui, nel tratto iniziale, c’è un muro di cinta, ma non è in linea con quello di via Botteri. Quindi, o questo di via Fanti è della proprietà vicina, i principe di Francavici, ma da nessuna parte è scritto che l’ospedale acquistò terreno espandendosi a levante; o c’è un errore nella carta (assai difficile) nella parte medio-alta della proprietà.

La strada, nacque con i lavori di erezione dell’ospeale; e nel 1915 - in concomitanza dell’inaugurazione ed apertura  funzionale dell’ospedale - fu battezzata corso Roma. Ancora in quel tempo, non aveva sbocco ai  due estremi ma si collegava col centro cittadino tramite la ripida via G.B.Botteri. La difficoltà a transitarla con i mezzi di allora (su carretti trainati a mano o da animali), furono poi superati con la donazione dei terreni utilizzati per aprire via Balbi Piovera.

Ma prima di quest’ultima, sappiamo che in un primo progetto, la strada inizialmente andava dall’entrata dell’Ospedale verso levante, per farla scendere a tornanti lungo il fianco destro della valletta di san Bartolomeo fino all’antica abbazia.


Mentre, dal lato a ponente, la strada fu interrotta al limite del giardino della villa Imperiale-Scassi, e tale rimase per altri cinquant’anni circa. Del muro di cinta che limitava a ponente detta proprietà, rimane - proprio sul marciapiede a mare della strada - un arco-porta, che molto probabilmente collegava l’interno della villa con l’accesso alla basilica di san Giovanni Borbonoso.


Sul montante a mare dell’arco, in occasione dell’apertura della strada fu apposta una lapide del 1915 che scrive:

«A testimonianza del giardino cinquecentesco / onde / Galeazzo Alessi per Vincenzo Imperiale / il colle aprico / da valle a monte / imparadisava / il Comune / quest’arco intatto volle rimanesse simbolo dell’arte / travolta dalle esigenze nuove //--// Il Popolo Sampierdarenese / chiamato nel 1° maggio 1915 / al battesimo del corso Roma / ne consacrava il ricordo»

 

   

Come scritto, inizialmente il progetto non era come oggi: infatti già approvato l’anno 1925, già finanziato e reso esecutivo (così nella relazione dell’amministrazione cittadina del 1926 al momento dell’ultimo anno di autonomia prima dell’assorbimento nella Grande Genova, ed in alcune mappe del 1931) era previsto un allacciamento con via san Bartolomeo, tramite una strada che doveva scorrere a tornanti lungo il fianco della collina -larga 15m, lunga 4 km, passante per Promontorio; ed a ponente arrivare al Campasso ed oltre fino al confine con Rivarolo in via A.Ristori. Evidentemente l’assorbimento con Genova, fermò e cambiò tutto.

Così poi invece, dalla Abbazia di s.B.d.Fossato la strada fu continuata ma sul versante opposto, quello a levante verso le mura.

Il 19 agosto 1935, con delibera del podestà, fu cambiato la titolazione della capitale con l’attuale, per evitare l’omonimia con Genova.

Mentre a ponente, l’allacciamento con corso Magellano avvenne assai tardi, oltre gli anni 1950.

Nell’angolo la gabina dell’ascensore che collega il corso con via A.Cantore, descritto in questa ultima strada.

   Tutta la zona sovrastante che dall’antico era parte integrante della villa Imperiale-Scassi (sottostante e descritta in via N.Daste) quando dal Comune fu comprato tutto, fu dapprima deciso tagliare i giardini a livello del laghetto inferiore, dedicando la soprastante -  cosiddetta zona boschiva - all’ospedale. Alla fine, compreso il taglio di via A.Cantore, tutta la proprietà si trovò separata in tre porzioni, come aree autonome ed avulse una dall’altra che han costretto me a descriverle separate con grande rimpianto nel cuore (la villa in via N.Daste; i giardini in via A.Cantore; il boschetto in corso O.Scassi), perché così han fatto perdere a san Pier d’Arena la più alta magnificenza che aveva.

   Tornando alla zona boschetto, la possiamo interpretare solo dagli acquarelli prodotti da Dante Conte e da rare fotografie.  Li premettiamo alla descrizione del nosocomio (leggere anche “giardini villa Scassi in via A.Cantore).

   

la torre delle Franzoniane         -                     nei pressi del terzo ninfeo  arco esistente in c.so Scassi

    

come foto 2                                                                        il terzo ninfeo            idem

   

 

 

   

                                                            terzo ninfeo 

 

     

il terzo ninfeo                                                        un lago

  

parte della quadreria presente nella Direzione dell’Ospedale

 

 

 

===civ 1  l’OSPEDALE civile, già “Azienda”. Dal 2009 semplice Ospedale civile villa Scassi”, tornato a far parte delle ASL 3 regionale (Anticamente gli ospedali erano alla diretta dipendenza dallo Stato; la loro gestione passò alla USL Regionale, che nel territorio è la numero ‘3 genovese’. Oggi, quelli minori non sono aziendalizzati e dipendono dal complesso sanitario gestito direttamente dalla Regione; invece, quando un ospedale è aziendalizzato gode di autonomia economica pur sempre dipendente gestionalmente dalla Regione).

 

   1)==Alle origini locali, leggiamo che il primo ospedale cittadino, non inteso con la mentalità odierna ovviamente, ma come ‘ospizio per viandanti e marinai’, fu quello in salita san Barborino dall’anno 1200 circa, detto ‘spedale’ o ‘ospizio di san Giovanni’. Praticamente nulle, le notizie relative a questa iniziativa, al punto che storicamente ne è accertata l’esistenza ma  di cui nessuno descrive la funzione e lo sviluppo negli anni. Fu chiuso con bolla pontificia di Sisto IV il 26 novembre 1471 assieme a tutti gli altri uguali genovesi, a beneficio dell’accentramento in unica sede, a Pammatone.

2)==   Dopo questo, nulla fu fatto nel borgo, finché il Comune con delibera del 2 lug.1871 decise l’acquisto a condizioni di assoluto favore della villa Masnata (vedi in ‘via A.Cantore’; oggi essa si affaccia su via A.Cantore, ma allora si apriva nell’attuale via N.Daste.

 


Necessaria la descrizione dell’ambiente sociale in cui maturò la decisione: dal 1865 il borgo era divenuto città e l’unica assistenza ospedaliera era solo a Pammatone. Le grosse industrie avevano richiamato innumerevoli immigrati, operai - e famiglia annessa - alla ricerca di occupazione fissa. Come conseguenza, un aumento di malattie ed incidenti. Divenne costoso, disagevole ed a volte drammaticamente difficile l’utilizzo di Pammatone posto al di là del colle di s. Benigno in tempi in cui le barelle erano sospinte a mano su strade in terra battuta.

 

    Nacque come Opera Pia, ed il 26 gennaio 1873 fu riconosciuto Ente Morale; fu inaugurato il 15 marzo 1874 con 60 posti letto.

    Dopo solo vent’anni d’uso, apparve evidente che la villa non era più sufficiente alle esigenze della tumultuosamente crescente popolazione, e che non era opportuno ci si dovesse sempre appoggiare a Pammatone.

   3)==  Così il 30 mag.1903, sotto l’amministrazione di N.Ronco, fu elaborato un progetto per qualcosa di più consono alle necessità: per 1.402mila lire, si prevedeva un edificio da far sorgere a quota 60, nel luogo della villa Scassi chiamato ‘boschetto’, dove allora c’erano il lago artificiale ed “il bosco ed un centro di tiro al piccione” nonché accesso da via dei Colli (approvato dalla prefettura il 14/5/04). Fu proprio la strada, di difficile realizzazione, che fece fermare l’inizio lavori. Si arrivò così al 1907 quando il prosindaco Gino Murialdi (nominato commissario prefettizio alle dimissioni di N.Ronco) fece proporre la collocazione dei primi padiglioni a quota 40 dove era la grande vasca e facendo studiare una via di accesso differente. 

    Così, nel 1911, l’impresa Carena Giovanni, (sindaco Peone Gandolfo), iniziò i lavori di accesso verso quota 40 usando la strada oggi chiamata via GB Botteri, (solo in seguito, fu aperta a levante una più larga e comoda strada chiamata  via E.DeAmicis che corrispondeva all’insieme delle attuali via Malinverni, via Pittaluga, via B.Piovera) che da quota m.5,5 sale a quota 40 (-ancor oggi assai stretta- sul terreno concesso gratuitamente dal sig. Benedetto Piccardo (la cui proprietà, posta ove ora sorga il grattacielo, tramite cancello si apriva dove via De Marini passava in via sant’Antonio(via L.Dottesio)).

    Nella ex-proprietà Scassi, fu per prima distrutta la grande vasca  dentro la quale gli Imperiale, gli Scassi e poi turisti vari, andavano in barca; per aprire la strada, per interrare le cinque caldaie quali centrale termica necessaria per tutti i padiglioni e sormontana da opportuna ciminiera (“vessillo di vita e di eleganza, dominava la collina in mezzo a tanto verde. Per tanti anni i suoi pennacchi di fumo si vedevano da lontano senza la preoccupazione di questi anni” G.Cavallero/1970)  e poter innalzare  il padiglione centrale principale, sul cui fianco una entrata con un unico maestoso ed imponente festone floreale e, molto più recenti una palazzina all’estremo levante della strada, adibita dapprima ad archivio ed ora a CUP; l’entrata carrabile da corso Magellano; ed il contestato – ma vinto dall’ospedale – accesso alla camera mortuaria posta al piano terra del pad. 9 – dopo la sbarra dei vari civici di corso Magellano 1.  

Sulla facciata Antonio Quinzio disegnò sulla facciata esterna un affresco oggi scomparso, sotto una nicchia culminante con la torre di città sovrastante lo stemma col sole nascente ed un cartiglio con scritto “ospedale civile”.

 

  

                                                         

                                                                              anno 2007

 

Forse, suoi anche gli affreschi nell’interno dell’atrio (nessuno spiega il significato: in basso tre uomini nudi sorreggono altrettante bandiere, di cui quella centrale crociata e quella a sinistra è alla base di una serie di figure che si sublimano verso l’alto, forse a simbolo della tendenza ad elevarsi al cielo; -al centro ed in alto- una figura femminile ammantata di rosso vista dal basso, tende minacciosa un pugnale contro una nube nerastra, probabile simbolo delle malattie),

  Atrio con lapide

  

Atrio = soffitto laterale                          parete                          soffitto centrale

  

Atrio = soffitto  centrale                                                             Scale = parete laterale        

nel quale è in evidenza una lapide dettata dal sindaco, l’on. Mario Bettinotti che tramanda (foto sopra) «resti scolpita nel marmo / con indelebile segno /  siccome eterna vivrà nelle anime / la testimonianza / della riconoscenza che l’ospedale / deve / al Municipio di Sampierdarena / costruttore e donatore munifico di questa sede / dove il dolore umano / si placa / nel magistero della scienza / nel palpito della fraterna carità /  nel sorriso della natura».

   Su progetto dell’ing. Adriano Cuneo, nel 1913 fu eretto un secondo lotto, a padiglioni separati (così era necessario allora, in assenza di antibiotici, per contenere eventuali epidemie e contagi): due per medicina, due per chirurgia, uno per maternità, uno per servizi - cucine, lavanderia, camera mortuaria -. Allo scopo venne sacrificata la parte alta dell’ampio territorio appartenente agli Scassi: dalla quota 40 in su, furono distrutti il lago artificiale superiore, l’ampia voliera (lasciando la colombaia), l’ultimo ninfeo fatto a grandioso anfiteatro a due piani, risalibili con rampe laterali; ed il rigoglioso bosco di macchia mediterranea.

   

lavanderia                                   radiologia                              suore ‘cappellone’-foto 1960

  

in costruzione pad. 3 e 4                               

 

pad. 6                                                                          pad. 7                                                                 

  

pad. 8 con il sottostante lago superiore asciugato       idem pad. 8

 

Lo sgombero dal sottostante nosocomio, avvenne in due tempi: il 15 sett.1915 -per necessità belliche e la richiesta della villa sottostante da parte delle autorità militari per loro uso; numerosi del personale sia medico che infermieristico erano partiti per il fronte, frenando ovviamente il naturale progetto di ampliamento- si aprì di fretta per primo il pad.3 di chirurgia uomini (quando ancora non erano terminati molti servizi generali come l’impianto ascensori e di riscaldamento -quest’ultimo entrò in funzione solo nel 1923-). Particolare che riguarda questo evento è l’evidente –ma da nessuno descritto- allargamento verso levante di un centinaio di metri della proprietà ospedaliera, proprio a monte di corso Roma (poi O.Scassi). Quando il Comune acquistò villa e terreno degli Imperiale-Scassi, quest’ultimo a levante era delimitato –come descritto nella carta del Vinzoni- da una crosa chiamata vico Imperiale la quale procedeva diritta dal basso all’alto con piccola sbavatura che però diventa enorme (un cento metri) appena sopra la torre dell’Ospedale ex-villa dei Francavici. Evidentemente l’ente ospedaliero acquistò questi metri a est (e, trattandosi di ‘eredità’ Francavici, forse il generoso P__che aveva regalato il terreno per far salire via B.Piovera, non è esente dal pensiero che abbia donato anche questa ‘fetta’ di proprietà) che determinarono: A) troncamento di via Imperiale (poi via GB.Derchi) con ovvia necessità di farla finire con una scaletta sbucando nella stradina interna che poi diverrà via Carrea;  B) solo così avere possibilità di far entrare nella proprietà in possesso, due padiglioni affiancati. 

Subito dopo la prima riunione del Consiglio di amministrazione avvenuta il 14 mar.1916 e diretta dal presidente prof. Gallino, avvenne il secondo e definitivo trasloco nel maggio successivo: il trasporto degli ammalati fu realizzato tramite un carretto trainato da un asino – ambedue di proprietà dell’ospedale, finché poi non fu comperato anche un cavallo ed un carretto speciale, utili anche per  i trasferimenti interni e per la cucina; solo nel nov. 1926 fu acquistato un camion che sostituì il cavallo, non l’asinello che rimase col nuovo carretto. La retta era stata fissata in rapporto alle possibilità  personali: gratuita per i poveri residenti in SPdA, e retta giornaliera per i più possidenti. Limiti ai malati infettivi, esclusi gli affetti da TBC ma da collocare separatamente.


 

 

Elenco donatori dell’ospedale

==anno 1916

 cav. Nasturzo Silvestro;  comm Romairone (lascito);  Derchi Luigina ved.;  Lagorara  f.lli;  Cassa R Ge.;  Feltrinelli f.lli

==anno 1917

 Nasturzo;  DeAndreis Menotti;  Vassallo avv. Guglielmo;   Carige

==anno 1918

 Pittaluga Luigi;  Pittaluga Luigi (pro cappella erigenda);  Paleari Angioletta;  Nasturzo;  F.lli e s.lle del fu Macciò Natale cav.;  Soc.Carbonifera Industriale It.;  Michelini Caterina ved. Bertorello;  Rapallo fam.;  Gatti Agostino;  Balbi f.lli e s.lle;  soc. an. Calderai in rame di Cornigliano; Feltrinelli;  Bertorello Salvatore;  Liberti Placido Enrico


 

Nel 1917, in una relazione pubblica, fu presentato su opuscolo il prospetto completo del progetto, di come e dove l’Amministrazione prevedeva finanziarsi (rette di ricovero (£.2,80 nel 1910; £.8 nel 1920- tra le più basse nazionali) e beneficenza privata -. essendo praticamente ancora nulla un reddito patrimoniale) ed espandersi; i tempi hanno fatto modificare molti di queste ipotesi, come si può constatare nella foto sotto, compreso i giardino della villa e l’attuale corso Magellano:

 

 

   Nel 1919, dai quattrocento iniziali aveva già 500 posti letto (diverranno 1100 del 1970, con sopraelevazioni e nuovi padiglioni); si previde un sostanziale concorso spese a carico del Comune di San Pier d’Arena (in più, alla sopravvivenza contribuivano altri Comuni vicini per i loro ricoverati, l’usufrutto delle rendite patrimoniali, rette pagate dai privati più abbienti, lasciti e beneficenze (lascito Scaniglia Caterina ved. Tubino, idem dell’avv. Tubino GB;  benef. come il cav. Nasturzio Silvestro, fornitore in forma gratuita di ghiaccio), rimborso spese della degenza di soggetti di altri comuni del regno, enti, iniziative e promozioni varie).  

   Nella relazione 1920 (direttore sanitario il pf Ernesto Skultecki) sugli introiti, i redditi patrimoniali (sette ville rustiche a Campomorone con prati e nevaia; un appartamento in via Galata-v VEman lasciato da Casanova Luigi) erano passati – dal vecchio ospedale al nuovo - da £ 25.405  a 33.217; le convenzioni con mutue operaie, da 20.061 a 88.000; dal Comune (sindaco P.Gandolfo), da 73.058 a 476.099; oblazioni, da 5618 a 158.559; da privati, enti, altri Comuni: da 5618 a 31.884.

Con un passaggio di letti da 210 a 500;  di giornate di degenza, da 61.773 a 122.133;  aumento del personale: amministrativi da 6 a 7; sanitario da 12 a 17; sussidiario da 45 a 120 comprese 11 suore, con turni di 8h.

Era da poco stato eretto il reparto “sanatorio-giardino”; nel febbraio era stato approvato l’acquisto del carretto e dei finimenti (rubati) per l’asino; iniziavano l’attività i medici volontari a titolo gratuito (G.Steneri, L.Masio, dott.ssa Elfreide Bacigalupo, A.Patroni); nominati i primari di farmacia, chirurgia, ostetricia-ginecologia, pediatria, neuropatologia, orl, oculista, non citati i responsabili di medicina e dei cronici. Provvedimenti disciplinari a Nerini Eugenia perché veniva alle mani e teneva contegno scorrettissimo ed indisciplinato;  Barbero Elena perché cantava canzoni oscene;  Carrer Antonia faceva entrare di frodo del vino;  Cavicchi Leontina e Prima Maria perché ‘schiamazzavano e cantavano nel sanatorio giardino’; Raviola Ernesto per disubbidienza. Pazienti entrati nel 1920= 2522+320 già esistenti; morti 304; giacenti a fine anno 399. Avvenuta epidemia di vaiolo (52 ricoverati con 7 morti). Previsto la cintatura completa dell’area ospedaliera.

 

   Nel dopoguerra, - e sino al 1932 - le difficoltà economiche subentrate, determinarono un rallentamento del previsto ampliamento, apportando però miglioramenti sostanziali (gli amministratori da 6 a 7; i medici da 12 a 17;  gli infermieri -chiamati sussidiari, comprese le 11 suore- da 45 a 120, operanti in tre turni giornalieri ininterrotti).

   Venne iniziato (apr.1924) il pad.8 -già chiamato “padiglione per la tubercolosi”, progettato secondo le norme più recenti della terapia, con 110 letti elevabili a 140, bagni “modernissimi e latrine distinte per gli ammalati e personale”, cucina ad ogni piano, ascensore e montacarichi-;  fu completato nel 1926 assieme al pad. 7 della maternità, iniziato prima,  ma non ancora ultimato; venne avviato l’impianto a vapore centralizzato del riscaldamento (fornito da impianto basale munito di ciminiera ottagonale, alta 40 m.;  fu abbattuta negli anni 1980 per la molestia recata ai grossi edifici popolari costruiti nei dintorni dell’ospedale; tutte le tubature – comprese quelle elettriche – scorrono sottoterra lungo un cunicolo che inizia a ponente del pad. 8, è largo circa 2 metri ed alto altrettanto o poco più – ma in alcuni punti assai di più - che serviva nell’antica villa da scarico dell’acqua dal lago superiore a quello inferiore).

 

     

dove inizia presso il pad. 8       un tratto del cunicolo                  sotto pad.1 e corso Scassi        

 

sotto il pad. 7 con sbocco all’esterno

   Il Comune donò all’Ente ospedaliero, il 25 sett.1926, tutti i sei edifici eretti (5, pari a 250 letti +1 centrale amministrativo) + 2 in fase di ultimazione (maternità e tbc);  da allora l’Amministrazione divenne autonoma (e si impegnò a ridurre la retta dei poveri del 25%; a “destinare tutto ad uso esclusivo di Ospedale”, ovvero “mai essere adibiti a destinazione diversa, né tantomeno alienati...”; al massino,  se espropriati o cambio di destinazione, il ricavo va investito in buoni fruttiferi e devolvere il reddito a scopi benefici a favore dei sampierdarenesi per nascita e domicilio.

L’ultimo sindaco, il cav. Manlio Diana ebbe valorizzato l’insieme pari a 6milioni; notaio Giuseppe Martinoia, rogito 25 sett.1926; con vincolo di essere sempre a scopo assistenziale; con sussidio annuale portato da 840mila lire ad 1milione) 

   Solo i vecchi e cronici, dopo l’iniziale trasloco, nel 1919 ritornarono al Masnata in via s.Antonio-Daste; nel 1929 dal Masnata –allora non ancora in via Cantore - vennero tutti trasferiti a Cornigliano (nel giugno 1929 venne ufficialmente aperto a carico del Municipio genovese il San Raffaele di Coronata, per malati cronici; anche abbienti –collocati in reparti separati e con retta giornaliera a carico di £. 14 -; ma non tbc. Fu il Commissario Prefettizio a chiedere ai vari ospedali periferici (come il Celesia, Voltri, ecc.) se avevano simili ricoverati.

Ma ben presto dovettero essere riospitati a villa Scassi, alloggiandoli in provvisorie baracche di legno, dette allora  “sezione cronici, oppure sanatoriofatto erigere nella parte alta della proprietà per ospitarvi i prigionieri austriaci, che se lo costruirono in legno preferendolo ad una prigione in muratura. 

Nello stesso anno era in funzione il “Policlinico Generale della città di Sampierdarena” in via Vittorio Emanuele (vedi)

  

foto epoca 1930

 

         


 anno 1997                                                           anno 2002 – eliminato l’amianto

 

Nel 1930 (anno VIII dell’EF) fu ristrutturato usando l’eternit ed è scritto su ‘Genova’ che fu adibito quale nuovo padiglione ad uso sanatorio per i  tubercolotici, essendo “in ottima posizione, con ambienti spaziosi, pieni d’aria e di luce, dalle cui finestre si gode di un’ottima vista delle colline circostanti e del mare”.


Fu demolito nel 1998, ma in suo scheletro rimase fino al 2002; fu ricostruito nel 2006 completamente nuovo.

Dove è la sua base, fatta come piloni di ponte fiancheggianti la salita mattonata,  si intravedono residui di grottesche (false stalattiti ) relative al contorno del lago anticamente esistente nella zona.

Nel 1930 il comune di Genova, successore nel possesso dei beni sanitari,

decise non pagare le spese con un saldo annuale a forfait, ma rimborsando all’ospedale per i singoli malati,  la singola retta  giornaliera da far pagare, riferita alle giornate di degenza effettivamente consumate (di base, in corsia o camera comune lire 14,50/die) stabilendo le differenze   per gli Enti, per gli altri Comuni, per la Casa di Salute, arrivando a diarie da 20 a 45 lire).

l 20 lug.1933 l’amministrazione degli Ospedali cedette al Comune di Genova  villa Masnata e l’area antistante  necessaria per aprire via Cantore

 Nel 1934 entrarono in funzione tutti gli ascensori interni (quello del pad.7 dovette aspettare l’anno dopo); nel 1936 venne iniziata  sopraelevazione dei padd. 3 e 4, a cui seguirono tutti gli altri.

    Nel 1938, per un progetto di espansione, fu proposto l’esproprio di un terreno confinante a ponente - di 44mila mq e proprietà della marchesa Durazzo Pallavicini; ne verranno invece poi acquistati solo 16mila mq (nei restanti mq molto più tardi verrà costruita la chiesa) posti a ponente delle cucine,

e allora di proprietà della sua erede marchesa Negrotto Cambiaso (La DurazzoPallavicini probabilmente fu Teresa, che ebbe figlio GiacomoFilippoV (1848-1921) sposo con Matilde Giustiniani; morto questi senza eredi, la vedova sposò Pierino NegrottoCambiaso in seconde nozze). Il numero dei ricoverati era salito a 650 (di cui 200 affetti da tubercolosi).

    La guerra del 40-45  impoverì gli organici e la cassa; nel ‘40 fece scomparire la cancellata per il ricupero del ferro;  fece riaprire nella zona alta del parco, nel ’41,  il “Giardino” per una grave epidemia di tifo;

 

 

il Giardino – ove ora sorge il pad. 10 – l’arco dell’antico giardino aiuta a localizzare la zona.

 

 

 

in basso a destra, la cinta del lago superiore

Sempre nel 1941, in zona bassa si costruì una galleria per evacuazione, cercando di arginare il fuggi-fuggi disordinato di gente terrorizzata, specie di malati e feriti, ma che risulterà pur sempre inefficace;  nel ‘44 i bombardamenti distrussero il pad. 7 e - parzialmente il 5 e 6 e la chiesetta del Giardino. Dopo il 25 aprile, sotto i muri di cinta nell’altura, si descrive dei ‘partigiani’ nella frenesia della vendetta, fucilarono senza processo dei collaboratori - o presunti tali - dei tedeschi.

Nel 1950 aveva presidente il geom. Manzini Oreste e primari Albanese Andrea (ortopedico); Bianchi Giovanni (radiologo); Canestro Corrado (ORL); Fulle GB (chir); Dallera Nicolò (o.ginec); Polleri Pio (medic); Rossi Giovanni (patologo); Rebaudi Ulisse (dermo); frola Enrico (medic); Vialetto Ernesto (neurol); Fazio Giuseppe (medic.legale); Cisi camillo (ped); Magliano Eugenio (medic); Marchesini Ettore (oftalm); Costa Luigi (medic).

     Nel nov.1955  si deliberò la costruzione del pad. 10, salvando dei muri dell’antica villa, un arco di uscita dalla proprietà cintata per immettersi nel boschetto superiore. Inizialmente vi fu aperto un reparto di medicina, affidato all’ill.mo clinico prof. A.Marmont (attualmente è adibito a servizio di medicina nucleare).

 

il pad. 10 negli anni 1960                         una nicchia votiva ricavata da grotta artificiale che arredava il lago

Sottostante ad esso, e confinante col retro del pad.8 esiste tutt’ora una piccola costruzione in muratura ora in abbandono, con torretta rettangolare munita di tetto a pagoda, non segnalata nel rilievo del giardino fatto da  Reinhard. era una antica colombaia (nel cartello del restauro, è chiamata ‘voliera’ ma –a mio avviso - erroneamente perché non è mai stata tale (che però esisteva, ma vicino, e già da tempo abbattuta) quanto piuttosto colombaia:  sia perché essi – a partire dal campanile – erano usati quali postini di quei tempi, sia perché da lassù i signori andavano a sparare al passo dei colombi selvatici) che è vincolata e tutelata dalla  Soprintendenza, a fianco della quale sono ancora 2 grossi gessi di animali che una volta ornavano il sentiero. Nel 2006 è pressoché completato il restauro esterno ed, a buon punto, quello interno. A monte di essa, sono stati costruiti due piani+tetto ad uso box per auto.

  

ante restauro                                   laterale                                     interno

 

     

soffitto, ante restauri                              i due leoni, ante sistemazione

 

Il 26 novembre dello stesso anno, s.e. il card. G.Siri consacrò la chiesa  (L’ospedale, nato in un clima decisamente laicizzato, nell’anno 1908 aveva licenziato il cappellano, generando da parte dei cattolici scritti di protesta, nonché un apposito comitato e raccolta di offerte per riammetterlo a spese pubbliche. Da allora, mai eretto l’alloggio per il sacerdote, e le suore ospitate in precarità (le ‘figlie della Carità’ o cappellone, di san Vincenzo dè Paoli).

    

progetto sistemazione della Chiesa – attuale collocazione (foto 1960)

 

Circa l’edificio, l’amministrazione aveva previsto una costruzione allo scopo, ma furono sempre ritardati i tempi finché una chiesuola fu adattata in una baracca di legno, nel settore Giardino, poi coperta con il famigerato eternit. Un più sostanziale discorso sulla chiesa iniziò nell’ott.1933 quando fu cappellano il famoso don Giordano, con precisazione da parte dell’Amministrazione di non voler spendere nulla di proprio. Seppur raccolta una discreta cifra, ed approvato il progetto dell’ing. Ferrari,  la guerra fece rinviare di nuovo tutti i programmi. Solo nel 1954 padre Rinaldi dei padri Camillani o Ministri degli Infermi (i Camilliani furono fondati da san Camillo de Lellis nel 1582 e sono dediti ai malati indossando un abito talare con grossa croce rossa sul petto), costituì un comitato pro chiesa: ridotta all’estremo la spesa, spostando la sede nell’area all’estremo levante anziché sopra il pad.7, promovendo lotterie e beneficenza, nel 1955 fu eretto il sobrio edificio ad unica navata,con un altare maggiore su cui domina la statua di una Madonna ‘Regina Mundi’, donata dalla squadra di calcio U.S.Sampdoria, con retro affrescati degli angeli). 

   Il 13 dic.1959, con festosità interna, l’ospedale venne riconosciuto ed elevato “di prima categoria”; si aprì la scuola convitto per infermieri professionali.

    Nell’ott.1961 fu inaugurato il pad.9 a grattacielo, dedicato al dott. Peone Gandolfo, giù medico-sindaco di San Pier d’Arena.

Come si vede dalla carta sottostante, il pad. 9  era stato concepto in una posizione più alta – praticamente a ponente del pad. 8. Quest’ultima costruzione fu eretta poco più in basso, ma è stata adibita da subito ad uffici; mentre il pad. 9 è praticamente a ponente del pad. 6


progetto pubblicato da Cavallaro nel 1970;

ma deve essere molto più vecchio non

prevedendo ancora il pad. 7 e 8 come sono

stati eretti in realtà

 

   Nel 1969 – nei suoi 1100 letti, sono stati assistiti 18.652 malati per un complesso di 320mila giornate di degenza (dei quali: 6652 provenienti da SPdArena; 1991 da Cornigliano; 2030 da Sestri a Voltri; 1339 da Rivarolo a PonteX; 3898 dal Centro; 842 dai comuni genovesi; 1688 da comuni di tutta Italia). Di medici, vi erano: 22 primari, 26 aiuti, 56 assistenti; di personale non medico 816 dipendenti. Già funzionava in pieno ritmo il ‘centro leucemie’  e quello dell’emodialisi (con 8 reni artificiali). Anche con l’aiuto di benefattori – viene citata la fondazione Piaggio Casarza – si sono realizzati il Pronto Soccorso, Rianimazione, il Centro Trasfusionale (dal 1968), una valida Scuola infermieri (che in questo ultimo decennio ha fornito 2500 abilitazioni corrispondenti ad altrettanto posti di lavoro).  L’acquisto e l’entrata in funzione a gennaio di due nuove caldaie (costate 50 milioni) permetterà l’abbattimento della ciminiera. (Cavallaro G.)


    Nel 1982 si aprì con semplice cerimonia un attrezzato e moderno ‘centro ustioni’, poi ribattezzato‘grandi ustionati’, con camere sterili e le più sofisticate attrezzature atte a combattere le deturpanti e dolorosissime lesioni. La ‘sponsorizzazione’ avvenne per la generosa donazione (con la clausola dell’anonimato di Italo Scorza – alla sua morte- della sua consorte Angioletta Mela-; 1894-1982, titolare della società in n.c. Gerolamo Scorza posta in calata Gadda, grossa produttrice di legname nazionale, importatrice di quello estero, segheria e deposito anche di compensato, alberature e per riparazioni navali. Si assunse l’intero onere economico dalla progettazione alla realizzazione della più moderna struttura; dalla somma messa a disposizione, si ottennero anche due ambulanze e l’attrezzatura per il centro ortottico)

     Nel 1996, l’ospedale divenne Azienda, ed assume il nome di azienda Villa Scassi. L’anno dopo fu inaugurato un funzionale Pronto Soccorso, la cui struttura muraria ben presto fu demolita (con trasferimento momentaneo al retrostante pad. IV) per far posto al modernissimo centro nominato DEA, aperto nel 2001.

                                           

                                                               foto 1997                                         anni 1980                           

 

1990 con un solo fornice

Nel 1998 venne definitivamente sventrato la palizzata lignea del Giardino, col contemporaneo inizio del programma di aprire ancora più in alto un eliporto.

 

foto 1 area a monte del pad. 10 con in alto zona posteggi e verso il basso la rampa per arrivare all’eliporto; sulla sommità dei prati – fuori area di proprietà ospedaliera – le case di Promontorio

foto 2 l’eliporto e – a destra – il muro cghe separa l’area a salita superiore S.Rosa

 

 

   Non viene specificato da quando, ma l’intero complesso è vincolato e tutelato dalla Soprintendenza per i beni architettonici della Liguria.

   Vengono rammentati saggi amministratori nelle figure dei presidenti Cavallaro, Fraguglia, Saitta, Ferrando. Nel giu. 2001 venne ristrutturato il P.Soccorso (ma, i codici a colore fanno far aspettare anche delle ore, una volta con intervento dei carabinieri).

   Nel 2002 compare tra le strutture, la ‘clinica privata o casa di salute’, al piano terra del pad.5, gestita dai medici stessi dei vari reparti ma anche aperta a tutti i professionisti anche di altri ospedali, per medicina e chirurgia (aria condizionata, telefono, frigobar, parcheggio riservato, non orari di visita). Questo trattamento ha favorito la scelta da parte di molti pazienti paganti o assicurati, con ovvio beneficio dell’intero ospedale in cui vengono usate le cifre guadagnate. Queste iniziative concorrono ad aumentare la  disponibilità, la scelta e la fiducia nei medici ed infermieri.

Così anche, stipulando contratti di appalto con società esterne a livello internazionale, riguardanti la pulizia, il calore e climatizzazione, le fonti di energia come la corrente elettrica ed il gas, lavanderia e ristorazione, vigilanza e , ecc. notevole è risultato il risparmio e la funzionalità.

Da questi anni, ampi e frequenti riconoscimenti di funzionalità, entrando nei 18 ospedali nazionali più innovativi e secondo per il costo giornaliero di ricovero (--sotto la guida del direttore Lionello Ferrando, dal 2003 tutto il sistema informativo è ‘on-line’ ovvero computerizzato: eliminate in pratica le lastre ed i referti, sostituiti da cd-rom --Nel 2003 l’ospedale è stato soggetto ad un clamoroso furto di 14 seggiole antiche (‘600 e ‘700-; probabili provenienti da villa Doria Masnata)  -fotografate e catalogate- che la Soprintendenza aveva valutato 40mila euro. -- Sempre dal lug. 2003 è partito il progetto di un nuovo padiglione a monoblocco, da affiancare al 9: ospiterà le più moderne attrezzature tecnologiche con la casa di salute privata, e permetterà una completa e finale ristrutturazione funzionale di tutto il nosocomio. Nel 2006 è in fase avanzata di costruzione).

 

 

===civ.20  assegnato a nuova costruzione nel gennaio 1955, divenne il civ.20 di corso Magellano nell’ottobre dello stesso anno.

===civ. 2 fu distrutto,  demolendolo nel 1957.

   Nel nov.1953 e nel lug 1954 la Commissione Edilizia comunale approva il progetto di costruzione di un caseggiato nella strada, non viene precisato quali; nel 1963 la numerazione rossa e nera fu unificata

IL PARCO sopra corso O.Scassi

 La targa posta nel 1915 sull’arco di ponente (quello di levante fu demolito) esistente nel corso stradale, è un tuttodire a riconoscimento: «a testimonianza del giardino cinquecentesco - onde - Galeazzo Alessi per Vincenzo Imperiale - il colle aprico - da valle a monte – imparadisava - …».

In effetti, in origine, tutto il giardino dalla villa arrivava sino a  Promontorio: era il più vasto possedimento terriero nel nostro borgo, ed essendo rimasto tutto in possesso del Comune –anche se poi frazionato in tre parti per necessità urbana ed edilizia- è l’unica cosa che ci concilia con le scelte fatte nell’ottocento e novecento quando furono date –in piccola parte complici i bombardamenti- maggiori concessioni a distruggere che a costruire.

Furttenbach nel 1627 scrive il suo  «Newes itinerarium Italiae…» ed a proposito : “in cima, su un monte assai alto, vi sono due bacini…c’è una graziosa passeggiata con la quale il cuore si può rallegrare”.

Le carte del Vinzoni (1757 e 1773), quella del Porro (1830) e le vedute di Gauthier (1832) permettono captare i confini, la vastità e varie localizzazioni di questa parte del parco.

Nell’origine, questa parte di parco (fa fede l’arco, che è stato conservato  troneggiante da solo in corso Scassi  e che permette di confrontare con la pianta del Gauthier) in basso inizia a livello del bordo inferiore del ‘Lago inferiore’, ed arriva sino all’apice di Promontorio ove pare, perché informazione non sicura, che in questa zona, circa subito sotto la chiesa di Promontorio, c’era una fontana dalla quale iniziava l’utilizzo dell’acqua del torrente e che, -come la fonte Ippocrene- iniziava il regno di Apollo e delle Muse: una fantastica Arcadia, una nuova Elicona. 

Nel poema, l’autore finge essere accompagnato dalla musa del canto, Euterpe, a visitare un fantastico paesaggio, con casa e giardino, dove la bellezza.

Il giardino nasce parallelo al poema. L’acqua che scende, è l’asse ai cui lati si allarga la Natura. Quest’ultima, emergente da una poliedrica situazione: la poesia del proprietario indirizzato a quella Natura, quale via i fuga dagli affanni quotidiani; la mitica fantasia in auge in quei tempi –da vedere anche nella grotta Pavese-; gli architetti Donzello che –seppur prevalentemente rudi costruttori- anche se liberi di agire debbono interpretare i non facili voleri del committente «…sagace giardinier…/compor sapendo e accordare insieme/ e beltà di natura e beltà d’Arte/ seppe imitar di bella donna il viso…»;  la vera natura del luogo che doveva essere interpretata ed artificiosamente plasmata ed arricchita con piante possenti (querce, aceri, olmi, noci, platani, faggi) od  odorose (allori, pini -cedri, cipressi, abeti, tassi e bossi) o fruttiferi (meli, e fichi, olivi, melograni, lentischi e mirti fioriti) o preziose piante di sapori (come timo, rosmarino, salvia, ecc.) e, a terra, fiori come rose, narcisi, gelsomini, garofani e violette.

Oggi, le varie mutilazioni e tagli, hanno compromesso maleficamente l’interpretazione di questo incanto 

Iniziando dal basso:

===LAGO INFERIORE   dopo il viale centrale in salita (ancora esistente nel parco, descritto in via A.Cantore), si arriva al lago artificiale, grande vasca rettangolare (circa 30x40), posizionata in corrispondenza dell’attuale strada  e DEA (pronto soccorso. L’ingresso principale dell’ospedale, o padiglione 1, fu eretto a levante della vasca).

Anche il Derchi, che acquarellò e dipinse lo specchio d’acqua (Nocchiero così commentò «…la tavola del Lago villereccio, con arconi, di Villa Scassi, ci offre tra acque chete e riflessi iridati, l’ambito perduto, anzi perdutissimo, della tranquillità e della pace, tutelata dai serrati filari di alberi dal fogliame verzicante e dorato…»), evidenzia l’arco decorativo lungo il muro di cinta, e che fa da riferimento a tutta la ricostruzione.

Nella visione del Gauthier -1832- il lago inferiore aveva a monte un viale alberato (nel disegno, affusolati ma probabilmente dei bagolari opportunamente potati), e si arrivava ad un ultimo e terzo ninfeo, alto forse più dei due inferiori, a grotta con pilastri, con superficie del tetto rettangolare (lato lungo in verticale), balconata ovale –e, come disegnato da GB Derchi, con accesso a rampa bilaterale arrotondata- alla cui base erano due leoni accucciati. Ospitava due grosse statue marmoree, di Flora (dea dei fiori) e di Pomona (frutti. A significato che, sopra esse, iniziava quella parte di proprietà non più destinata a giardino ma alla parte produttiva e generativamente spontanea della Natura).  Da questo ultimo ninfeo partiva un muro delimitante, che arrivava sino al muro esterno di levante. E per il Gauthier, il prospetto dei possedimenti della villa finivano qui, senza la parte superiore.

=Nei primi anni del 1900, Fravega ricorda che nel lago si andava in barca, mèta di innamorati, di  chi desiderava andare ‘all’aperto, come i pittori Derchi e Conte, e di chi desiderava andare a ‘ribotta’ verso la trattoria-osteria posta più in alto, dove salita Sup.S.Rosa compie curva a sifone e dove, come dimostrato dalla carta del Porro e testimoniato da altri più recenti (sig.Bertaglia) che ricordano ancora in epoca postbellica, c’era una grossa vasca sopra via dei Landi.

===LAGO SUPERIORE

=Nelle intenzioni dell’Imperiale, doveva essere sia riserva di acqua per il lago sottostante e per la villa, e sia peschiera dove allevare fresco d’acqua dolce. Ne ‘Lo Stato rustico’, il GioVincenzo Imperiale descrive (1611; vedi a ‘salita Imperiale’) un giardino fantasioso ed ideale, ma senz’altro che fece coincidere col suo pensiero dai due  costruttori del parco. Pertanto 

Dalla prima rappresentazione vinzoniana tratta dal libro dei domini della Serenissima, si trae la conformazione quasi quadrata con ampio semicerchio a monte (con raggio di circa 15m.) in area raggiungibile dall’estremo viale del parco tramite lunga creuza diritta (dalla villa, tre volte il tratto per arrivare al primo lago), circondata in tondo da alberi, con a ponente una scalinata che arrivava in alto ad una  casa tutt’ora esistente lungo salita Sup.S.Rosa, e che da monte raccoglieva le acque in discesa da san Bartolomeo della Costa.


Alla base del lago, forse anche come contrafforte alla pesante spinta dell’acqua, fu eretta - ed esiste ancora, ristrutturata negli anni 2006-7 - un edificio detto ‘Piccionaia’. Da lassù, i signori Imperiale potevano andare a caccia quando era tempo del ‘passo’ dei colombi provenienti da sud, e sia conservare i piccioni ad uso postale.


Invece a nord della vasca, c’era un gruppo marmoreo raffigurante Nettuno – con tridente - circondato da Teti ed Anfrite. Nel suo libro, l’Imperiale poneva Petaso che con lo zoccolo smuoveva i sassi dove terminava il monte e sgorgava un fiume l’Ippocrene, la cui acqua vivifica tutto il modo sottostante, comprese le statue marmoree delle dee, delle ninfe, dei putti e di tutti gli animali veri o fantastici.

=Nella ristrutturazione dello Scassi, sembra che nulla fu modificato in questo settore del giardino.

=Divenuto proprietà comunale, questi trovò ovvio e necessario sacrificare l’area a monte, per erigervi il nuovo ospedale, mandando perduto buona parte del terzo dell’intero possedimento dedicato al verde.

E, a mio avviso è con questo passaggio di proprietà che nella parte alta, sopra il lago, fu concesso l’utilizzo a campo scuola di tiro a segno per i gli iscritti alle società sportive, in particolare i tiratori di carabina da prepararsi alle guerre con quel nuovo tipo di fucile (che poi si distinsero con Mosto e Garibaldi). Finite le guerre risorgimentali, questa società divenne -fino alle prime decadi del 1900- poligono per il tiro al piattello e forse anche al piccione (con il sindaco Diana presidente). Infatti in una cartina preparatoria dell’inizio lavori dell’Ospedale, compare ancora la scritta “tiro a segno”.

Nel 1910, in particolare per iniziare i lavori, furono eliminati e vi vengono descritti

===una vasta cisterna d’acqua, di circa 30x50 metri (vedi Nocchiero. GBDerchi pag.47), che formava un laghetto contornato di canne, alberi d’alto fusto e spontanei ‘limoni di muro’ i cui frutti erano usati fritti in impasto con farina, uova e zucchero; in esso, dopo essere divenuto proprietà comunale, pur essendo proibito pescare o nuotare, era permesso farci un giro in barchetta, divenendo meta di innamorati o di chi marinava scuola;

===vicino, come già detto sopra, in una rustica ‘villetta’, era stata attrezzata una trattoria, ove potersi ristorare nelle ‘gite’ domenicali, alla pari di quelle rimaste più famose a Promontorio.

Negli anni dopo il 1990, nella parte apicale, sopra il padiglione 10, un ampio appezzamento più o meno a dirupo ed ancora a macchia mediterranea selvaggia, sino ad ora abbandonato salvo un piccolo campetto da pallone per i dipendenti, è divenuto zona di atterraggio degli elicotteri che nella previsione dirigenziale serve al trasporto rapido di certi malati ed a parco posteggio d’auto.

 

 

DEDICATA  

Della  famiglia Scassi poco si sa, essendo andate disperse le carte relative. Appare originaria di Arenzano (testata con documenti catastali e diritti patronali datati 1600).

Capostipite fu il primo Onofrio (medico, che ebbe tre figli : Emilio, Nicolò (divenuto vicario nella chiesa di san Pietro in Banchi) ed Agostino.

Quest’ultimo pure lui divenne medico a Cogoleto: coniugato con Francesca Agnese, fu padre del nostro Onofrio, di Gerolamo (1777-1842, morto vedovo senza discendenza) tre sorelle (Battistina Maria (15.O1.1771), Battistina Giovanna Maria (10.02.1773) e Giovanna Maria (10.02.1775), e di Raffaele (1785 che nacque a Rapallo quando il padre vi portò la famiglia (1775.6) avendo vinto la condotta medica; a 28 anni già aveva  carica di consigliere imperiale di Russia  e divenne armatore, imprenditore ed anche governatore di una zona sul Mar Nero per conto del governo russo. Morì in Russia. celibe nel 1840circa).

Il Nostro Onofrio.  Celeberrimo medico e politico ligure a cui furono imposti i nomi di Onofrio, Emilio, Maria.

Nacque in Cogoleto, il 2 sett.1768 primogenito da Agostino e da Francesca Agnese di Ambrogio, di antica e facoltosa famiglia di Cogoleto.

    Il giovane fu cresciuto all’amore ed onore della cultura, intesa come arte da acquisire indipendente dalla professionale: nei suoi ascendenti materni e paterni, tutti erano laureati in legge, medicina o altre  facoltà coltivate per pura passione e non per necessità economica o sociale.

   Già a 12 anni (1780) fu iscritto al seminario arcivescovile genovese; ed a 16, seguendo un corso di filosofia e matematica, fu capace di sostenere in pubblica disputa,  tesi filosofiche (in quei tempi illuministi, la filosofia era alla base ed a coronamento di tutto lo scibile) e scientifiche che ebbero l’onore della pubblicazione, dimostrazione di una già vasta cultura in un candidato di quell’età.

   Il 4 agosto 1784 sostenne all’Università ed in pubblica disputa ben 136 tesi di metafisica, morale, scienze fisiche e naturali (nessuna in medicina), pubblicate e dedicate a Giacomo Filippo Durazzo.

  Terminati gli studi con la laurea a Genova in scienze mediche e filosofiche  dibattendo temi di  filosofia e di matematica(5 luglio1788).      Come premio, andò a perfezionarsi a Pavia (alla scuola del famoso igienista G.Pietro Franch e del chirurgo A.Scarpa, allora i più illuminati maestri nell’ambito medico, inteso come disciplina applicata e suddivisa in modo diverso dall’ attuale: fondamentali erano l’anatomia; l’igiene che intuendo, ma ancora non conoscendo i germi, era generica e sui generis e non condivisa come causalità delle malattie infettive; la chirurgia che non possedeva ancora gli anestetici e che abbandonava al loro destino i feriti di guerra salvo drastiche amputazioni; la chimica farmaceutica con i suoi principi derivati solo dalle erbe naturali).

   Poi ancora si mise a girare in contemporanea l’ Europa -come d’uso nella sua famiglia- per ampliare gli orizzonti culturali al di sopra della notevole grettezza e pigrizia dell’aristocrazia genovese (specie in Inghilterra, dove nel 1792, da due anni faceva parte del club studentesco parauniversitario Royal Medical Society senza esserne formalmente iscritto. Ad Edimburgo, nel gennaio di quell’anno vinse il tema proposto dal club e poté quindi  dissertarlo in pubblico (aveva stilato un  lavoro scientifico “de foetu humano” (scritto in latino, oggi valutabile errato, sotto il profilo dottrinario, avendo seguito teorie allora prevalenti ma scorrette); così a novembre divenne membro onorario del club stesso.

Sicuramente non poté non aver sentito parlare di Edward Jenner, medico britannico, che in quegli anni pubblicizzava le sue esperienze e che negli anni attorno al 1796 aveva messo a punto e capito il metodo di immunizzazione contro il vaiolo (inoculando il virus proveniente dalle vacche -da cui vaccinazione-; ed ancora ben lontani da Pasteur –che solo dopo gli anni 1860 iniziò a descrivere l’origine batterica delle malattie infettive; e vent’anni ancora dopo, necessari a porre le basi definitive della vaccinazione-).

   A 24 anni (1792) venne a Genova per iscriversi al Collegio di Medicina (allora non ancora facoltà a sé ma inclusa nella antica corporazione di filosofia , che dava l’abilitazione ad esercitare la professione); e due anni dopo gli toccò l’onore di pronunciare il discorso inaugurale per l’insediamento dei nuovi serenissimi senatori di fronte al doge Giuseppe Maria Doria, in un momento in cui il consesso deliberante era politicamente diviso tra i conservatori e gli innovatori fu molto abile a elogiare i nuovi tempi pervasi di idee egualitarie ed evolutive post rivoluzionarie, ed in contemporanea far basamento sulle tradizioni e sulla conservazione dei principi più saldi, senza mutamenti profondi (a Genova: una parte dei nobili e popolazione -capeggiata dal farmacista-droghiere di via Luccoli Felice Morando e dal medico Antonio Mongiardini- erano filofrancesi, quindi riformatori delle istituzioni; la Francia stessa spingeva con minacce più o meno velate per favorire l’ allargando delle basi dirigenziali ai borghesi, e che tutti i cittadini potessero accedere al governo tra essi, soprattutto i giacobini;  mentre Massena occupava Oneglia.

Altra parte dei nobili, preti e popolo, era invece conservatrice, mirata a rimanere legata alle consuetudini e norme immutate dal 1576, quali la neutralità ed autonomia della Repubblica senza aperte alleanze: sfilavano per i paesi e strade al grido di “viva Maria” oppure “morte ai giacobini”.

In Europa, l’Inghilterra favoriva gli equivoci che potessero mettere la neutralità della Repubblica in situazioni di grave disagio: tipico l’incidente della fregata francese ‘Modesta’, predata e con l’uccisione di alcuni marinai il 6 ott. 1793 da due navi inglesi mentre era ancorata in porto: arrivò il 9 sett. 1796  al Senato l’ingiunzione di pagare alla Francia una ammenda di  4milioni (Merega dice 14) di indennizzo perché il fattaccio era avvenuto in acque territoriali nostre (in più si ingiungeva la sospensione di tutti i processi intentati a sostenitori della causa francese, l’interdizione perpetua a pubblici uffici per gli avversi, l’interdizione di tutti i porti alle navi inglesi e la cessione per utilizzo dei porti di Vado e Spezia). Mentre il Senato valutava le pesantissime richieste, a peggiorare la situazione una incursione inglese fu effettuata l’11 sett.1796 sul lido sampierdarenese e pochi giorni dopo fu accidentalmente ucciso un soldato francese in rissa con marinaio inglese. Il destino metteva il cappio attorno al collo della Repubblica  Intanto, anche i Piemontesi per sé e l’Austria per la Lombardia, erano alla continua ricerca dello sbocco in mare).

Dopo un addomesticato plebiscito, il 6 giugno 1805 Napoleone da Milano decise per tutti: decretò l’annessione di tutti i territori della Repubblica Ligure all’Impero francese, con abolizione della Costituzione Ligure.

   Forte delle conoscenze raccolte all’estero, ricevette pressoché subito dopo (1795) una missione nel ponente ligure, per una strana epidemia di ‘febbri putrido-biliose’,  diffusasi nella popolazione e nelle truppe francesi dimostrate dipendere dalle inesistenti precauzioni igieniche in località sovraffollate come carceri, ospedali, truppe; Massena, al comando di un corpo di spedizione non perfettamente organizzato promosso contro il Piemonte e l’Austria invasori della riviera di ponente, aveva occupato Oneglia creando una situazione pericolosa non solo politica per la mossa militare precorritrice di guerra più vasta, ma anche sotto il profilo sanitario). Si mise in luce per le sue straordinarie qualità e capacità nell’assolvere il caso, seppur con gli scarsi mezzi offertigli . Così che, da questa prima esperienza che gli fruttò il posto (1796) di coadiutore di medicina teorica a Pammatone e di professore di fisiologia e filosofia nell’Università l’anno dopo,  giunse gradatamente a cariche sempre più responsabili 

  La sua capacità di districarsi da impegni settoriali (seppur ‘fiutando’ l’inarrestabilità delle idee progressiste) e di tessere una trama con le autorità politiche (le quali, per le difficoltà di comunicazione, godevano di elevate autonomie decisionali), lo portarono a gestire eletti incarichi pur mantenendo un contegno molto riservato, dignitoso e tempestivamente indipendente, senza farsi trascinare dallo scegliere correnti politiche particolari (proprio mentre le idee innovative sconvolgevano la mentalità tradizionale dei colleghi più anziani creando un ambiente di forti tensioni, disordine organizzativo negli ospedali, indisciplina gratuita e discordie; ma non solo in campo sanitario: da Parigi provenivano e dilagavano moda del vestire e delle acconciature, gestione di feste fino al colore delle carrozze, stile dei mobili e moralità. Si stava –con non discreta violenza e terrore- antiteticamente- imponendo la libertà); così  si dimostrò subito dopo, uscendo dal Collegio dei medici; e così altrettanto lo portarono a sottrarsi alla donazione di una decorazione offerta da Napoleone stesso ai propri fautori.

   Nel 1798 divenne professore alla cattedra di medicina teoretica,  presidente del Collegio dei medici  e socio dell’Istituto Nazionale (un solidalizio culturale politico, che ebbe breve esistenza, ma che lo elevò a cariche sempre più preminenti). Per incarico del ministro degli interni della Repubblica Ligure democratica presentò un piano di ristrutturazione degli studi medici, che senza rompere l’antica tradizione, prevedeva nei particolari l’esercizio di tutti i componenti, dai professori agli infermieri, in un innovativo metodo di riforma ed  organizzazione che, per la fretta di essere applicato si rivelò un guazzabuglio ricco di errori ma pur sempre ‘il male minore’ rispetto al caos esistente .

   Nel 1799 e fino al 1803, nel periodo estremo dell’assedio a Massena, divenne a 31 anni presidente della commissione sanità:   fu incaricato nel momento più grave dell’assedio e dell’epidemia conseguente,  della lotta contro “febbri d’ogni indole più maligna  (le petecchiali, probabilmente da ipovitaminosi C, particolarmente infierivano così nell’umile casolare del povero come nei marmorei palazzi dei ricchi”; il tifo, la peste ed il colera che dilagavano tra le truppe – francesi, austrianche e marinai inglesi                                                                                                                 - e la popolazione, favorite dalla ovvia carestia, dall’assenza di igiene,  dai numerosi feriti e morti da seppellire: in solo tre mesi erano decedute oltre 4500 persone su una popolazione di poco inferiore alle 100mila più i soldati; al ritmo di oltre cinquanta al giorno). Dopo la battaglia di Marengo (14 giugno 1800) il rientro in città dell’esercito cisalpino ci portò il parmense Giovanni Rasori, ingegnoso chirurgo che aveva assunto anche incarichi governativi e qui fu inviato per coordinare le operazioni sanitarie già intraprese dallo Scassi, mirate a debellare le varie carenze alimentari e sanitarie. Le imposte severe regole igieniche e di prevenzione, e la battaglia contro operatori indisciplinati ed incapaci tra cui alcuni sanitari che si rifiutavano di andare a curare i malati nel lazzaretto, ridussero rapidamente e drasticamente la mortalità, fino a domare le epidemie.

   Lui stesso presentò lavori sui calcoli biliari e sulla scrofola; con questo incarico approfittò anche per favorire -primo in Liguria e contemporaneo ad altri illuminati, in Italia- l’introduzione del vaccino di Jenner contro il vaiolo, e pubblicando nel 1801 le “ riflessioni sulla vaccinia ” (dopo aver letto il trattato dello Jenner portatogli a Genova dall’amico medico inglese Batt, ed aver ricevuto dal prof. Odier del materiale necessario per l’innesto. Aveva iniziato nel 1799 le prime inoculazioni in un bimbo di 32 mesi figlio del negoziante Tollot, e successivamente in un altro bimbo di tre anni figlio di un certo Marrè; ma la tecnica fu adottata ufficialmente nell’anno 1800: dall’aprile 1800 ottenuto da Parigi il pus vaccinico, si iniziò nell’ospedale Pammatone una regolare pratica preventiva ed una campagna di informazione contro tutte le forme di supponenza ed arretratezza, basate solamente su eventuali errori o imperfezione dei mezzi usati o imperizia dei medici praticanti. Fiorato gli riconosce –tra i tanti- anche il merito di essere stato uno dei primi a superare le barriere nazionali delle scoperte scientifiche, vantaggiose per tutti.

Il poeta genovese Gioacchino Ponta, ne tessé la lode asserendo “…tu primo, o Scassi, alle materne arene - dalla Senna  recasti il dono e il lume – del Vaccin tesor…”; nel 1811 a Maria Luigia imperatrice e regina, fu donata una incisione con i ritratti di Jenner inventore, di LaRochefaucaud Liancourt il primo ad introdurre la vaccinazione in Francia, e del sig. dott. Scassi, già Senatore di Genova, cavaliere dell’ordine reale delle due Sicilie, professore e decano della facoltà di medicina all’Accademia Imperiale di Genova, il primo che praticò la vaccinazione in Italia) . 

E’ sempre del 1801 la partecipazione alle ‘Memorie’, quadrimestrale della Società Medica di Emulazione di Genova

   Così la scalata sociale si avverò raggiungendo sempre più alti incarichi direttivi amministrativi (in genere sempre sanitari ed accademici) tipo venire a far parte (1803) del Consiglio generale del Dipartimento dell’Entella,  (durante il periodo storico dell’annessione della Liguria alla Francia e della cessazione dell’indipendenza della Repubblica di Genova, la Repubblica era stata divisa in sei giurisdizioni presiedute da un provveditore; il Nostro accettò l’incarico ma in realtà non lo svolse non riuscendo a muoversi da Genova);  e presidente del Collegio e  Società medica di emulazione (ovvero basata sullo stimolo ai 24 membri a produrre studi clinici  da relazionare ogni quindici giorni, divenendo antesignano dei moderni simposi e congressi).

Fece redigere un nuovo ed aggiornato testo di farmacopea;  partecipò alla costituzione della Università ed alla fondazione della “Società medica d’emulazione”, nonché alla commissione per la riforma universitaria (inizialmente trasferendo l’insegnamento dall’ospedale Pammatone a san Martino, mise le basi al moderno corso universitario di abilitazione,  formato da tre anni di medicina teorica seguiti da altri tre di medicina pratica, con esami  per aver diritto al diploma di libero esercizio.  Dopo vari tentativi poi, nel 1803  stabilì che i professori docenti fossero definitivamente ed unicamente assegnati all’ Università, inquadrando così in forma definita  il corso nuovo della vita universitaria) .

   Divenne senatore nel 1804, al culmine dell’ ascesa politica; vivendo gli ultimi spasimi della Repubblica: fu parte della commissione inviata a Milano per offrire a Napoleone l’annessione alla Francia, e quando l’imperatore scese a Genova (1805), a lui toccò il discorso ufficiale di ricevimento.

   Nel 1806 lo leggiamo nelle ‘Memorie’ stampate dall’ ‘Instituto Ligure’ celebre istituzione fondata nel 1797 composta dalle più eminenti personaggi della cultura locale e che poi diverrà Accademia imperiale delle scienze e belle arti.

       All’inizio del 1815 -secondo le norme istituite dal Congresso di Vienna- Genova fu definitivamente privata della propria autonomia, venne inglobata nel nuovo regime sabaudo, e socialmente divisa in due classi sociali (nobili e borghesia); nel riordinamento vennero soppressi l’Istituto nazionale (era nato nel 1798, divenne ‘Accademia Ligure’, e di esso era presidente) e la Società medica d’emulazione. Ma già assai prima di questa data, il governo piemontese forte della promessa di poter occupare la Liguria, già si interessava alla qualità politica delle persone di prestigio: lo Scassi da una relazione di un funzionario della polizia sabauda già inserito a Genova prima (1814) dell’annessione viene descritto “è reputato un buon Medico, fu uno dei Capi della Rivoluzione di Genova. Nel Governo Democratico ha sostenuto più cariche e nel 1803 da Napoleone fu nominato Senatore. È nel numero degl’ Indipendenti”. Quanto abbastanza per dire che era stato coinvolto nel governo francese; il giudizio era quindi che era opportuno scartarlo.

     Invece, la descritta e conservata sua equidistanza politica (non altrettanto fortunata fu  l’identica ideologia della Repubblica, perché fu punita da interessi politici superiori) gli consentì di mantenere tutti i precedenti incarichi anche dopo l’annessione al Piemonte; la polizia piemontese         qualche anno dopo ebbe modo di classificarlo ‘pessimo napoleonista, democratico, libero muratore’. Anzi, a 47 anni come Decano della facoltà (nel desiderio da parte del re di accattivarsi i favori delle migliori personalità della borghesia genovese più colta e professionista), fu introdotto alla corte sabauda col titolo di medico onorario, e gli fu affidato l’incarico di riorganizzare il comparto sanitario del regno, producendo successive riforme, migliorative della prima effettuata nel 1803.

    Da grande dignitoso personaggio, in questo periodo rimase volutamente piuttosto emarginato nel grosso avvicendarsi a corte; così astenendosi da particolari impegni politici, rivolse la sua attenzione alla pratica locale:  restaurò il Collegio di Medicina dell’Università (continuandovi lo Scassi l’insegnamento in anatomia e fisiologia; il nuovo regolamento stabiliva l’obbligo dell’insegnamento usando unicamente la lingua latina), e la Commissione di Sanità di cui il Nostro divenne parte fondamentale e in cui nel 1819 promosse la nascita di una giunta superiore per la vaccinazione; tutte le proposte in questo settore a lui caro, lo portano ad essere riconosciuto quale il precursore dell’odierna igiene pubblica. Nell’aula magna del DIMI una targa ricorda : “preceduta da lunga e onorata serie di Lettori di medicina teorica e pratica, di cui restano memorie sicure fin dall’anno 1635, veniva -con decreto degli ecc.mi sigg. dodici Protettori dell’Ospedale Grande- istituita nel 1789 la CLINICA MEDICA, che da allora continuò sotto la direzione dei clinici prof. Nicolò Olivari (1790-1819)- Onofrio E Scassi (1819-1824)-Antonio Mongiardino (1824-1836)…” .

   L’Università non si fece coinvolgere nei moti studenteschi del 1821; il padre di Giuseppe Mazzini, Giacomo, lo sostituì nell’insegnamento alla cattedra di anatomia, e lo Scassi lasciata anche la Clinica Medica, divenne componente principale della Deputazione degli studi, organo cui spettava l’onerosa sorveglianza disciplinare e didattica dell’Università, interessandosi in genere benevolmente dei giovani che venivano vessati dalla polizia di Stato, come Giuseppe Mazzini ed i fratelli Ruffini. Si veniva preparando una nuova generazione, con diverse aspirazioni confusamente rivoluzionarie, e orientata verso altri ideali: toccò al Mazzini dare ad essa un indirizzo unitario  più preciso, che mise politicamente da parte persone di qualità come lo Scassi, il quale però da buon moderato  rimase soddisfatto della propria opera e del proprio valore professionale . Negli anni che portarono ai moti del 1821, la situazione in città -specie tra gli studenti- non era idilliaca ma aveva in lui un dirigente  di larghe vedute e non certo un autoritario aguzzino, permettendo così la crescita di quei fermenti come i fratelli Ruffini, Federico Campanella, F.Rosazza, GB.Castagnino .

Finché anche l’Università fu chiusa nel 1831 per motivi politici rimandando per quattro anni gli studi esclusivamente nell’ ospedale cittadino .

       Il 26 gennaio 1812 aveva sposato Angela Saccomanno, dalla quale il 27 maggio 1815 ebbe il figlio Agostino (è probabile a sua memoria che sul ninfeo della villa, oltre alle lettere sovrapposte OS –per Onofrio Scassi- ci sono anche –anch’esse sovrapposte- le lettere AS. (E non SA come io pensavo inizialmente, riferendole a sant’Angelo, in quanto dovrebbero aver avuto anche la I di Imperiale). Per ovvia conseguenza al centro c’è uno stemma che per logica è della famiglia (anche se non compare in nessuna pubblicazione da me letta).

   Il 19 apr 1816 (11.647 e Parma dicono nel 1801. Prima, all’inizio della sua carriera  era stato residente al Carmine; poi –censimento del 1808- abitante in via Garibaldi (allora ‘via Nuovissima’ al civ.260 già f.lli Cambiaso; poi –1818- sempre in ‘via Nuova’ civ.871 nel palazzo Cattaneo (oggi civ.8) ove morì: Parma scrive che detto palazzo fu comprato dal conte Scassi nel 1825-50), già essendo proprietario di vaste terre presso Voghera, divenne proprietario (notaio Sigimbosco) della villa “la Bellezza” (allora del  principe Giulio Imperiale di sant’Angelo, ed in gravissimo stato di abbandono dopo i fatti bellici austro-francesi del 1799-1800).  La restaurò affrontando ingenti spese,  affidando l’incarico architettonico a Carlo Barabino (1768-1835), quello ornamentale a M.Canzio e per le plastiche a G.Centenaro (F.Baratta ?); fece incidere sulla porta “ Onophrius Scassi dirutum rifecit”;   ed andò a  viverla quando era rifiorita in tutta la sua bellezza, in un paesaggio ancora idilliaco e paesano del borgo, prima che la ferrovia-le industrie-la sovrapopolazione-le strade  e le case attorno ne sconvolgessero il  contesto; da allora è più comunemente conosciuta come  “villa Scassi”.  Dagli eredi la villa fu venduta nel 1886; e dal 1926 è proprietà del Comune

   Intanto, nel 1819 diventa il secondo direttore della Clinica Medica universitaria genovese (succeduto al prof Nicolò Olivari, docente nel periodo 1790-1819), restò in carica sino al 1824 (quando fu succeduto dal terzo, Antonio Mongiardino); poi, divenuto medico Ispettore degli Ospedali (nomina sostenuta dall’amico Antonio Brignole Sale) venne pure chiamato a far parte del direttivo della città, dapprima come decurione (nomina vitalizia), poi come procuratore, infine (1830-3) per tre anni come sindaco  di seconda classe (ovvero proveniente dalla borghesia, ma appoggiato a Francesco Lamba Doria per la nobiltà; in un momento di gravi tensioni politiche interne e di tesissimi rapporti con Torino e soprattutto di scarse risorse economiche. Con questi incarichi promosse nel 1825 un importante rinnovamento edilizio su disegno di Carlo Barabino (tra cui il grande teatro lirico intitolato a Carlo Felice: fu lui a ricevere i sovrani il giorno dell’inaugurazione); un solido ponte sul Bisagno in sostituzione  di quello travolto nel 1822; strade carrozzabili con le riviere; ampliamento del porto; sistemazione di piazza Fontane Marose;  l’inizio lavori del cimitero di Staglieno (portato a termine dopo una grave epidemia di colera che nel 1836 falcidiò la città); e l’apertura di un ospedale per i malati di mente collocato vicino all’antica porta degli Archi ).

   Il 2 luglio 1830, in aggiunta di tutti i riconoscimenti ottenuti, re Carlo Felice lo nominò conte, di San Giorgio, dal nome delle sue principali proprietà nel comune di Santa Giulietta, oggi in Lombardia, nella provincia di Pavia  e re Carlo Alberto appena eletto al trono personalmente gli conferì la ‘croce di cavaliere o commenda, dei santi Maurizio e Lazzaro’ (durante una visita alla città: allo scopo gli fu preparato in Sampierdarena un arco di trionfo; dopo la sua costruzione arrivò la missiva che il re non voleva si spendessero soldi pubblici di celebrazione: si dovette invocare il permesso di non abbatterlo poiché l’opera era ormai compiuta e la spesa fatta. Fuori la porta della lanterna, furono consegnate le chiavi della città). Era insignito pure del titolo di cavaliere dell’ordine di s.Anna di Russia.

Nel 1831, per migliorare la situazione sanitaria della città,  partecipò a costituire una associazione assistenziale, chiamata ‘N.S. della Provvidenza’ per la cura a domicilio degli infermi poveri. Pagava una o più quote annuali di lire 20

   Morì in città nella notte del 9 ago.1836, lasciando i suoi beni al figlio (Vitali scrive che Marcello Durazzo comunicò la morte alla regia Deputazione nella seduta del 22 sett. 1836, dopo che da vari mesi risultava assente alle riunioni).

   La ‘Gazzetta di Genova’ ne annunciò la scomparsa, dedicando un ampio necrologio

    Numerose le tracce scientifiche: scritti e memorie scientifiche, provvedimenti decisivi e di svolta nell’educazione, nella cultura e nell’organizzazione sanitaria; in un’epoca di gravi,  travagliati  e travolgenti eventi politici .

Pochi giorni dopo la sua morte, l’unico figlio - Agostino,  il ‘giovane conte Scassi’ dalla sospettosa polizia fu sospettato essere autore di  scritti anonimi a sfondo repubblicano e liberaleggiante. Dal 1831 faceva parte della Associazione della Provvidenza (vedi sopra) per la quale pagava la quota annuale di lire venti. Sposatosi il 13 agosto 1834 a San Pier d’Arena con Rosa figlia del marchese Stefano Rivarola  (vedi alla via omonima). Nella villa sampierdarenese gli nacque il 13 agosto 1836 un figlio, a cui fu dato il nome del nonno (alla coppia nacque poi anche una figlia la quale a sua volta, sposata con un Sauli, ebbe due figli Ambrogio ed Onofrio: ad essi, con regio decreto, fu data l’autorizzazione di chiamarsi Sauli-Scassi).

Il nipote Onofrio Scassi (jr), crebbe nelle belle proprietà del nonno paterno, compresa la villa di San Pier d’Arena, smanioso d’affermazione e di seguire forse a proprio modo un modello napoleonico. Il padre suo, vedendolo pieno d’ingegno e inclinato a entrare nelle armi, lo pose nella militare accademia: si arruolò nei cavalleggeri, raggiungendo dapprima il grado di sottotenente nel Reggimento Novara e poi luogotenente e aiutante di campo del generale Alessandro Avogadro di Casanova nel Reggimento Aosta. Uscito dall’Accademia, allo scoppio della Seconda Guerra d’Indipendenza, chiese ed ottenne di poter tornare ai reparti; rientrò quindi il 5 maggio 1859 con lo stesso grado, nel reggimento leggero a cavallo di Novara, al comando del colonnello Federico Morozzo della Rocca.

Nel combattimento di Montebello  il 20’ di maggio 1859, preludio dell’epopea della indipendenza e unità d’Italia, cadde insieme con gli altri due ufficiali De Blonay savoiardo e Govone di Alba appartenenti ad altri squadroni.

Un annalista riporta “Il combattimento si era svolto con estrema violenza e con gravi perdite da ambo le parti; … accanto al capitano Piola Caselli comandante del 3° squadrone, cadde ferito il sottotenente conte Onofrio Scassi;  cinque o sei ussari, visto l’ufficiale in difficoltà, gli si fecero addosso e lo finirono: era il primo ufficiale del ‘Novara’ caduto sul campo; avrà la medaglia d’argento alla memoria”; ed oltre riporta correttamente la motivazione della concessione della Medaglia d’Argento al Valor Militare:

“Scassi Onofrio (luogotenente) - Montebello, 20 maggio 1859 - Tra i cavalleggeri di Novara cadde estinto Onofrio Scassi conte di Santa Giulietta, e cadde appunto nelle sue terre, essendo a pochissima lontananza il paese di Santa Giulietta, ov’è seppellito nella cappella gentilizia di sua casa …” e dove si vede la medaglia che si meritò nel di’ della battaglia.

Ma con lui così, si estinse la discendenza

 

Quasi inaspettatamente anche Giuseppe Cesare Abba, trattando della successiva Spedizione dei Mille in Da Quarto al Volturno, attraversando in treno la campagna di Montebello: “4 maggio, in viaggio.”

“Non so per che guasti il treno s’è fermato. Siamo vicini a Montebello.  Che gaie colline e che esultanza di ville sui dossi verdi! Ho cercato coll’occhio per tutta la campagna. È appena passato un anno, e non un segno di quel che avvenne qui. Il sole tramonta laggiù. In fondo ai solchi lunghi un contadino parla ai suoi bovi. Essi aggiogati all’aratro tirano avanti con lui Forse egli vide e sa dove fu il forte della battaglia? Ho negli occhi la visione di cavalli, di cavalieri, di lance, di sciabole cavate fuori da trecento guaine, a uno squillo di tromba; tutto come narrava quel povero caporale dei cavalleggieri di Novara tornato dal campo due giorni dopo il fatto. Affollato da tutta la caserma, colla sciabola sul braccio, col mantello arrotolato a tracolla, coi panni che gli erano sciupati addosso, lo veggo ancora piantato là in mezzo a noi, fiero, ma niente spavaldo!

-Dunque, e Novara ?


-Novara la bella non c’è più! Siamo rimasti mezzi per quei campi E narrò di Morelli di Popolo, colonnello dai cavalleggieri di Monferrato  morto, di Scassi morto, di Covone morto, e di tanti altri, lungo e mesto racconto.

-E i francesi ?

- Coraggiosi| - rispondeva egli : ma bisognava sentirli come i loro ufficiali parlavano di noi!

Io lo avrei baciato, tanto diceva con garbo”.


 

 

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