SCAPPINI                                 via  Remo Scappini

 

TARGA:-   

San Pier d’Arena – via - Remo Scappini – antifascista – 1-2-1908 – 15-6-1994

         

angolo con via De Marini                                              

 

angolo con via Scarsellini

 

QUARTIERE MEDIEVALE: Coscia

 da MVinzoni, 1757. In giallo via De Marini; fucsia ipotetica posizione del WTC; in verde la via Chiusa.

 

N° IMMATRICOLAZIONE: posteriore

 da Pagano 1967-8. La nostra,  sovrapponibile a via Chiusa

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:    56970

UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA

 da google Earth 2007. In giallo via Demarini; fucsia via AScarsellini

PARROCCHIA:  Si presume s.M delle Grazie

CAP:   16149

 

STRUTTURA:    da via A.Scarsellini a via De Marini. Scorre parallela al mare, con a sinistra un silos auto che sale ad elicoidale, seguito da un più basso edificio ove è civ.4 con l’impresa Liberti & Parodi e dal lato mare del grattacielo Shipping; sbuca verso oriente in via DeMarini avendo di fronte il muro della strada in salita che porta all’autostrada. A destra c’è una costruzione chiamata ‘torri basse’ perché di altezza di un normale palazzo.

Si sovrappone per delibera della Giunta comunale del 18 gennaio 1996 al tracciato di via Chiusa dalla quale ereditò il civ. 4. Nello stesso anno acquisì i numeri fino all’11 assegnati ad una nuova costruzione di 13 piani.

Allo sbocco in via DeMarini, costeggia il fianco della Torre Shipping.

 

CIVICI

2007= UU26= da 3 a 39 (mancano 1, 5→9)

                        da 4 a 8    (“              2)

 

DEDICATA 

Per tutto il periodo bellico fu segretario direttore responsabile  della federazione comunista genovese, ovvero di tutto il lavoro politico e militare del PCI in Liguria lottando col nome di battaglia Giovanni (che cambiò in Rossi Mario quando, scoperto, fu fortemente ricercato).

Nativo di Empoli nell’anno 1908, per due anni operaio in giovane età quale allievo vetraio, entrò a 15 anni nei gruppi della gioventù comunista diventando funzionario locale esercitando questo incarico giovanile con fermezza e rigidità morale, volutamente in contrapposto al lassismo fascista. Nel 1930, ventiduenne, individuato come sovversivo (in effetti era rivoluzionario d’istinto, fin da giovane applicando attività cospirativa antiregime) fu ricercato e catturato nel 1934 e condannato dal Tribunale Speciale a 22 anni di reclusione. Amnistiato in occasione del ventennale fascista, riuscì ad espatriare prima a Parigi e poi a Mosca (dove per tre anni fu educato alla scuola marxista-leninista, che prevedeva anche scuola di guerriglia. Una delle prime cose imparate, fu la fedeltà ed obbedienza senza riserve né domande, alle direttive del partito).  Così, caduto il fascismo, fu incaricato di rientrare ed organizzare in Liguria la lotta partigiana clandestina, risiedendo di fatto a Torino dove creò nell’interno del partito -e quindi diresse (lasciando a Bosi il segretariato della Federazione)- un “triunvirato insurrezionale”, mirato a dirigere l’incarico politico-militare ricevuto dal partito.

L’8 settembre 1943, il PCI era già in possesso di una rete organizzata, e tramite il triunvirato, ampliò e perfezionò il coordinamento e gli aiuti per le formazioni sia cittadine che di montagna. Assieme agli esponenti degli altri partiti politici (partito d’azione, democrazia cristiana, socialisti, repubblicani, liberali) diede vita alla costituzione del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale; formato presso l’hotel Bristol).

Lo Scappini fu designato quale presidente a capo del CNL locale, divenendo detentore di tutti i poteri amministrativi e di governo della Liguria (viveri, rifornimenti, ordine pubblico, organizzazione della resistenza armata di popolo e militare contro l’occupazione tedesca). Iniziò favorendo con scritti, volantini, scioperi e sabotaggi,  dapprima solo il disarmo, poi scontri aperti contro i militari; creazione di istruttori militari; squadre di difesa operaie (preludio delle SAP: squadre d’azione patriottica, specie dopo l’improvvisa deportazione di 1488 operai prelevati bruscamente dalle fabbriche genovesi e trasportati a Mauthausen per alimentare quelle hitleriane).

Il ruolo di responsabile coordinatore era estremamente difficile per la mancanza totale di comunicazione diretta; la precipitazione improvvisa di situazioni imprevedibili; le mille interferenze più o meno aperte con gli altri partiti, tutti miranti a non farsi sopravanzare dal compagno. Ci voleva una buona dose di fortuna; e Scappini la ebbe al suo fianco sino alla fine.

Il 20 nov 1943 ritornò a Genova, inviato dai dirigenti milanesi (Paietta, Longo, Secchia) a rilevare l’incarico fino ad allora gestito da Pieragostini, ed assumere così il controllo dell’organizzazione ligure; qui trovò pressoché inesistente la cultura cospirativa e militare, e l’organizzazione del comunismo genovese nel caos sia in alto che in basso. Iniziò quindi a dirigere la componente comunista nel C.L.N. regionale cospirativo, ed assumendo il ruolo di stimolante -contro l’<attendismo> interno e degli altri partiti- privilegiò la reazione armata da attuarsi con tutti i mezzi a disposizione, iniziando con gli scioperi ed il terrorismo urbano dei Gap (a dicembre Buranello era già stato individuato e costretto a riparare sui monti; il 13 genn due gappisti uccisero un ufficiale tedesco ferendone gravemente un altro (otto antifascisti, tra cui il pf Bellucci, prelevati da Marassi, furono fucilati l’indomani mattina;  altri 42 furono inoltrati verso i campi di concentramento). Il 6 aprile scattò l’operazione di rastrellamento alla Benedica, con 150 morti e 350 deportati. Il 15 maggio avvenne la bomba nel cinema Odeon ,  con la rappresaglia del Turchino. Il 16 giugno, 1500 operai furono prelevati, insaccati in quaranta treni merci e deportati. In Germania), senza tralasciare l’organizzazione sui monti affidata al com. Miro (lo slavoVictor Ukmar, fanatico comunista, esperto militare rivoluzionario, inquadrato nella militanza internazionalista soggetta agli ordini di Mosca, descritto di non integerrima moralità) che prese contatti con Bisagno della divisione Cichero che bene resse al grande rastrellamento del 24 agosto.   

Nel giu 1944 lasciò l’incarico di segretario della Federazione genovese (sostituito da Ilio Bosi), divenendo responsabile del Triunvirato insurrezionale ligure.

Divenne ricercatissimo quando, abitando in corso Firenze 38/13, fu individuato dalla polizia del dr.Veneziani e dalle SS quale dirigente della Federazione comunista genovese  (nell’ispezionare un carteggio rinvenuto in un appartamento di via P.Salvago 14/6, ricco di materiale: appostandosi quindi nei pressi, poterono arrestare vari frequentatori dell’abitazione alcuni dei quali che collaborarono con la promessa dell’impunità. Tra gli arrestati ci fu la moglie Chiarini Rina chiamata “Clara” (essa fu arrestata -seppur fosse sotto il falso nome di Antonietta Bianchi di Lorenzo nata a Livorno ma della quale fu subito riconosciuto la falsità del documento. Ciò malgrado non volle mai dire le esatte generalità, ostinando a tacere anche della propria abitazione; il che le permise di non essere conosciuta quale moglie di ‘Gi’=Giovanni alias Rossi, in quel momento latitante ma supposto dirigente)- minacciata e torturata, per lungo tempo con ‘fare scaltro e reticente’ non fornì alcuna identificazione utile né di se stessa né dell’organizzazione; finché non segnalò l’indirizzo di casa, corso Firenze 38/13, quando però gli abitanti (il marito soprattutto) erano ormai in fuga; fu condannata alla deportazione;  ma riuscì a fuggire e tornare.  Fu decorata con medaglia d’argento al V.M.).  Lui, fortunosamente riuscì sempre a sfuggire salvandosi dalle rappresaglie che giornalmente decapitavano i vertici della resistenza (fra tanti, ricordiamo Riccardo Masnata e R.Pieragostini).

Nel suo ruolo dirigenziale, si rendeva conto nel giungo 1944 che la popolazione genovese era sfiduciata e quindi non ancora pronta ad una insurrezione di massa, malgrado lo sciopero generale del marzo e che da poco (il 16 giugno) le forze tedesche avessero deportato migliaia di operai. 

In quel mese si vennero a formare le SAP (squadre di azione partigiana; esse, moltiplicatesi rapidamente già nell’autunno ’44 poterono essere raggruppate in 36 Brigate (24 chiamate Garibaldi, organizzate e dirette dal PCI; 2 Matteotti dal PSIUP; 2 Mazzini dal PRI; 1 Patria dalla DC; 4 GL dal Partito d’Azione; 2 Libertarie da anarchici; 1 Autonoma dal PLI)) ciascuna formata di 3-4 distaccamenti composti da più squadre di 5 uomini.

Partecipò alla programmazione dell’insurrezione e liberazione finale di Genova, cercando sia di prevedere le mosse del nemico e prevenirle per attutire i danni alla città, superando diplomaticamente tutte le divergenze tra i vari partiti ed i settarismi personali, sia di salvaguardare il prestigio del partito nei difficilissimi equilibri di forza, potere, comando (ovvero il controllo sia militare che politico del movimento partigiano, con quadri di comando affidati a comunisti di fiducia) . 

Nella notte del 23 aprile 1945 il CLN, presieduto dallo Scappini si riunì in seduta permanente nel collegio San Nicola (per la DC c’erano Taviani, Loi, DeBernardis; per il PCI Scappini e Pessi; per il Pd’Azione Cassani Ingoni, Lavoretti, Zino; per il PLI, Manzitti e Martino; per il PRI Acquarone e Gabanizza; per il PSI Toni, Cirenei e Bianchi. Gli invitati furono adunati usando una immaginetta religiosa, il santino di san Nicola, a significato del luogo d’incontro). Presero il loro preventivato posto direttivo quale prefetto (avv. Martino Errico);  questore capo della polizia (avv. Bianchi Costante);  presidente del CAP Canepa Carlo; in Regione (Manzitti) e Provincia (avv. Raimondo Enrico); e poi anche il futuro sindaco nominato in Faralli Vannuccio del PSI appena liberato dal carcere di Marassi ed ancora convalescente di una grave lesione ad un occhio conseguente le sevizie subite alla casa dello studente; e i vari amministratori) e decise l’insurrezione seguendo in parallelo le trattative che i professori medici Giampalmo  e Romanzi conducevano con il generale Günther  Meinhold (il maggior-generale, assegnato da Hitler al comando della ‘fortezza Genova’ dalla seconda metà del 1944 dopo la ritirata dal fronte russo, aveva avuto l’ordine specifico di minare e distruggere città e porto in caso di arrivo degli Alleati onde offrire loro ‘terra bruciata’. L’ufficiale, vivendo in città si rese conto dell’assurdità del comando e consapevole che per potersi ritirare doveva trattare; e così  divenne pronto a disobbedire rendendosi conto della sconfitta e dell’inutilità di versare altro sangue. L’incarico di distruggere il porto fu trasferito alla Marina, al cap. Max Berninghaus della Kriegsmarine (che nel frattempo aveva sconfessato Meinhold condannandolo a morte per tradimento).  Fu monsignor Siri inviato dal cardinale Boetto  che perorò la causa. Intanto Meinhold, con la mediazione sempre del cardinale, seppur forte di oltre 15mila soldati (tra tedeschi e repubblichini), offrì dapprima la ritirata, poi  la resa, con ovvio personale ed impegnativo sforzo mentale, complessato da ovvi enormi sentimenti contrastanti).

Così il 24 mattino alle ore 10 il popolo iniziò ad occupare con lotta cruenta e prima che sopraggiungessero gli anglo-americani, il palazzo comunale, i telefoni, la questura, le carceri, il porto, lottando sino al 26 mattino (i fascisti si erano già defilati, rimanevano i tedeschi decisi ad oltranza, attestati e ben armati in palazzo Raggio, a Coronata, monte Moro, Nervi, Albaro, val Polcevera). Un giovane partigiano, cautamente penetrato nella ‘casa del Fascio’ di via II Fascio d’Italia, ne uscì esterrefatto dicendo ‘Non c’è più nessuno!’.

Il 25 alle ore 17 a villa Migone nel quartiere di san Fruttuoso, si incontrarono il medico C.Romanzi, il gen. Meinhold, R.Scappini, assieme a Martini Errico (rappresentante del partito liberale), Aloni Mauro (maggiore, comandante  militare) il console von Etzdorf, G.Lavoretti (dei liberali), non presenti fisicamente  ma rettori della trama, l’arcivescovo Pietro Boetto ed il suo ausiliare Giuseppe Siri la scusante era : non siamo politici e la Chiesa non interferisce con le lotte profane. Alle 19,30 dopo qualche indugio, il tedesco firmò la resa e la comunicò via telefono ai suoi subordinati (riconosceva con franchezza la sconfitta ed inutile ulteriore spargimento di sangue e distruzioni; precisando che era generale tedesco e non nazista; che la sua decisione non sarebbe stata condivisa da Berlino e da gran parte delle truppe (dai 6 a 8mila soldati tra ‘di terra –soprattutti artiglieri-‘ e di marina: Genova era sede delle forze navali tedesche leggere) per i quali cercava garanzie di trattamento; la pace sarebbe entrata in vigore dalle ore 09,00 del 26.  Non tutti i tedeschi furono d’accordo e decisero unilateralmente di non cedere ai partigiani e di resistere sino all’arrivo degli alleati ai quali solo cercavano di arrendersi per dignità militare e per maggiori garanzie): fu quel giorno la vittoria della diplomazia su quella delle armi. Alle ore 13 gli americani erano arrivati a Sestri Levante, ma lì fermati dalle batterie tedesche alla ricerca di tempo, sperando ancora di poter evacuare Genova: il capitano americano M.Steinman, arrivatovi per primo, morì a Lavagna colpito dal preciso fuoco tedesco, assieme a molti suoi soldati

Il giorno 26 vide il tripudio della folla; l’assegnazione delle previste funzioni direttive cittadine ed avvio alla lotta agli altri incarichi di potere; per le strade molti cittadini -collusi con i fascisti- furono irregolarmente giustiziati ed altri incarcerati.

A Mulinetti la reazione americana, forte di  cannoni su mezzi cingolati sopraggiunti nella notte,  schiacciò queste sacche di resistenza, ma intanto la marcia degli alleati era stata rallentata di un giorno.

Il mattino del 27 arrivarono in città i primi alleati, guidati dal generale Almond; in particolare si trattò di una avanguardia di jeeps, guidata dal tenente Egget con i plotoni I ed R; il grosso arrivò nel pomeriggio del giorno dopo. Migliaia di tedeschi prigionieri  sfilarono poi risalendo via XX Settembre, con sguardo di rassegnata depressione dei soldati, ma ancora di tracotante disprezzo delle SS.

Come ai tempi del Balilla, Genova –unica città in Italia- si era liberata da sola, con la volontà del suo popolo, dando ulteriore prova della propria fierezza e salvando l’onore del soldato italiano

Lo Scappini divenne poi segretario della Federazione del PCI di Pisa, ed onorevole. Genova lo riconobbe ‘cittadino onorario’.

Scrisse con costanza anche nei momenti di impegni travagliati, una aggiornata relazione della situazione periferica, onde poter tenere informati i centri coordinatori nazionali: questo fu di molto aiuto nella ricostruzione storica degli avvenimenti, spesso ingarbugliati, dalle vicende belliche e dalle tesi interessate dei singoli. Nel 1981 le memorie furono pubblicate dall’editore milanese LaPietra, col titolo ‘Da Empoli a Genova’.

Morì ad Empoli, ove risiedeva, il 15.6.1994.

 

BIBLIOGRAFIA

-Antonini S.-La Liguria di Salò-DeFerrari.2001-pag.494

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda  4097°

-AA.VV.-Contributo di Sampierdarena alla Resistenza-PCGG.1997-p.68

-Calegari M.-Comunisti e partigiani-Selene.01-

-Faraggiana A.-Garofani rossi-1977-pag.141

-Gazzettino Sampierdarenese     6/94.15

-Genova-rivista del Comune- 1/49.17  (oppure 1/47.17nota5?)

-Gimelli G.-Cronache militari...-Carige.’85-p.52.70.194.226.243.477.947  

-Il Giornale -quotidiano- 20.01.2010

-Lamponi M.- Sampierdarena- LibroPiù.2002. –pag.29

-Ronco A.-Genova in guerra -Il Secolo XIX -Carige-pag.182

 

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