SAN PIER D’ARENA                                     via San Pier d’Arena

 

TARGHE:                 

2 – 2718 – via – San Pier d’Arena  + già via Nicolò Barabino

2 – 2718 – via – San Pier d’Arena

San Pier d’Arena – via - San Pier d’Arena.

S.Pier d’Arena – via  - San Pier d’Arena

                                                       

 

a mare: angolo sul civ. 2   Già via Nicolò Barabino

  

a mare presso il civ. 10

 

 

a monte: sull’ex palazzo della Pretura di fronte a piazzetta dei Minolli

 

  

a monte: angolo con via S.Canzio

 

a mare: ultima, presso il civ. 54, prosecuzione di via Antica Fiumara                                           

 

QUARTIERE ANTICO:   Canto – Coscia

 da MVinzoni, 1757

 

N° IMMATRICOLAZIONE: 2718 era il numero di via N.Barabino

CATEGORIA:  2

 carta del 1907

 carta del 1939

 

 da Pagano/67

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA:  n° 48140 (alfabeticamente collocata a “Pier d’Arena (via San)”

UNITÀ URBANISTICA: 26 – SAMPIERDARENA

 da Google Earth 2007.In verde, inizio e fine della strada

CAP:   16149

PARROCCHIA:  (1 e 3)=s.M.delle Grazie – (resto)=s.M.della Cella.

 

STRUTTURA:  lungo rettilineo parallelo al mare, senso unico veicolare collegante via A.Pacinotti con piazza N.Barabino.

È lunga 900m; larga da 17 a 29m; praticamente piatta (pendenza 1%).

 

STORIA

Prima  -α-: storia della strada con civici; prima lato mare, poi lato  monte

 

Segue - β-storia del territorio

                              del borgo-città    -  cronologica

 

α  = Lontanissima è l’origine di questo percorso.

Si sa che già esisteva, in epoca anteriore all’anno 1139 e sulla fascia litoranea, un percorso che era soggetto a servizio di guardia continua del litorale,  per controllare qualsiasi arrivo dal mare, sia amico che nemico a seconda di guelfi o ghibellini, pirati e saraceni (la guardia era a sua volta assegnata, distribuita e controllata –da un cintraco, ovvero il segretario del console genovese: applicava quanto deciso dal Senato ovvero che gli abitanti dei sobborghi contigui alla città soggiacessero alla guardia costiera o una tassazione); lo stesso sentiero che poi permise il collegamento tra la chiesa (e monastero) del santo Sepolcro con la chiesa della Cella (quando principalmente ambedue erano rispettivamente collegati  -tramite vie perpendicolari al mare- con la strada centrale detta allora ‘interna’, asse e spina dorsale del borgo nel suo tratto popolarmente conosciuto come ‘del Mercato’);  e tra le sette torri distribuite lungo il litorale, oggi dette saracene (o quelle esistenti ancor oggi, del Labirinto, dei Frati e del Comune - quest’ultima poi eretta a fortilizio e poi  palazzo-, della Fiumara).

   Fu in conseguenza della conquista di terre in Sicilia da parte di Enrico VI negli anni 1191, che avendo bisogno di naviglio, lo ordinò ai genovesi che avevano l’incarico di gestire la flotta dell’imperatore; il Senato, non avendo spazio nella zona del Mandraccio, scelse la nostra spiaggia per aprire dei cantieri, spostando e facendo risiedere gli operai addetti. Così essi si inserirono tra i contadini e pescatori formando una nuova classe sociale, e  rimasero stanziali (ricordando che a quei tempi, si lavorava dodici-quattordici ore al giorno – ed anche più -;  e festa solo la domenica e poche altre -solo religiose); specializzandosi, divennero progressivamente famosi nel mondo: specie i calafatori (coloro che per impermeabilizzare lo scafo usavano stoffa catramata da inserire negli spazi del fasciame per poi imbeverla e coprirla di pece bollente),  i minolli (vedi),  nonché gli scaricatori (abili poi per tutte le merci, dal sale all’olio ed insostituibili sino all’avvento delle gru) ed infine capitani e marinai in senso generale.

   Ed ancora nel 1514-42 i sacerdoti delle due abbazie (Monastero e Cella), si avvicendarono su questa strada, nelle mansioni delle proprie funzioni; ed inizia in quegli stessi anni l’erezione delle ville tutt’ora esistenti: quella Pallavicino detta Gardino –poco più interna, oggi via P.Chiesa; e di fine 1500 la villa Cambiaso (ex pretura) e la Pallavicino (banca), tutte che si aprono su questo percorso, e danno idea di una strada che se non era perfettamente strutturata, lo divenne con esse.    

    Infatti è datato 24 giugno 1586 che Giovanni Pietro Serra fu inviato a San Pier d’Arena a ricevere ed ossequiare il viceré di Sicilia; qui doveva arrivare con una galera proveniente da Savona, e scortato da 5 galere del principe Doria; per poi essere portato in città. 

   È nel 1597 che il pittore Cristofaro Grassi  dipinse una “veduta di Genova”, rifatta per conto dei Padri del Comune (pare ricopiando un dipinto creduto del 1410): in esso mostra una veduta panoramica anche del nostro borgo, ed esso già allora aveva ben strutturata la facciata a mare tutta ininterrottamente cintata da abitazioni, poste solo sul lato a monte della strada ed a significato di una strada esistente e ben strutturata.

               

Hogemberg 1572                 Perolli 1586                           Grassi 1597

 

   Così è capibile il decreto del 16 set.1639, emesso dal Magistrato dei Padri del Comune che ordina agli abitanti sulla strada “di espurgare e sbarazzare il <fossato>, acciò le acque possano decentemente decorrere senza danno o devastazione della detta pubblica strada, ora rotta e guasta”:  i proprietari dei terreni prospicienti, con quote proporzionale, venivano obbligati a contribuire (i fossati erano e resteranno fino al 1850 numerosissimi ma tra essi un po’ più grossi appaiono: quello proveniente dal Fossato ove era l’omonima abbazia,  ed altri tutti provenienti da Promontorio: Crocetta di NS della Vista (che passava  tra la villa Spinola e la via Larga, via Cassini circa), uno che passava ove è vico stretto s.Antonio ed un altro dove è via Giovanetti). Questi torrenti erano ricchezza per gli orti diffusi lungo tutta la piana, sia sopra che sotto la strada interna. 

   Puncuh scrive che nel 1678 (Levati scrive luglio 1679); lo storico Pietro Gazzotti autore di una ‘historia delle Guerre di Europa dal 1643 al 1680’, fu premiato con 100 scudi d’oro dalla Repubblica, perché aveva “...similmente discorso sinceramente delle pratiche occorse col Padre Inquisitore...” , tra cui per aver  narrato l’episodio intitolato “del saluto preteso dalle Galere di Francia, e cannonate à S.Pier d’arena, et à S.Remo”), il duca di Vivonne quale comandante la squadra francese, per futili motivi di saluti bombardò dapprima Sanremo e poi San Pier d’Arena: appare ovvio che la palizzata a mare eretta sulla via, fu quella che subì maggiori danni.

Ma lo stillicidio di pretese francesi mirate a ‘punire’ Genova alleata con la Spagna  culminò nel mag.1684 con una dichiarazione di guerra il 15 maggio; dispiegamento della flotta francese dal 17 al 29 maggio –comandata da Seignelay assistito dall’ammiraglio Duquesne- ed il fitto bombardamento della città nonché dei borghi limitrofi (Genova mirava a rimanere neutrale nella grande lotta tra Spagna alleata e Francia: dal mare 13.300 bombe 8000 arrivarono a terra;  2-3000 le case distrutte o semidistrutte, poco i prestigiosissimi palazzi; ed uccisero centinaia di cittadini); anche il nostro borgo subì parte della dura lezione del re Sole Luigi XIV, con particolari danni proprio per le case aperte sul mare.

L’attacco avvenne dopo applicata una nuova tecnica di guerra; lo spionaggio. Attenti rilievi cartografici della zona, del porto e del genovesato (eseguiti per ultimo due anni prima da Benjamin deCombes, ed atti a stilare un vero e proprio piano tattico: gittata dei vari tipi di cannoni a disposizione sulle 10 galeotte bombardiere e su altrettanti vascelli –l’ammiraglia era l’Ardent comandata da DuQuesne con 614 uomini- davanti a Genova; 2 vascelli a levante; 2 vascelli e 12 flauti/brulotti a ponente; 27 galere chiudevano lo schieramento al largo). DeCombes, oltre ai disegni, aveva scritto una relazione mirata ai palazzi nobiliari più caratteristici: e per “Saint Pierre d’Arene” scrisse «è colma delle case più belle e, sebbene appaiano molto vicine le une alle altre, sono assai distanti avendo ciascuna giardini molto grandi; vi sono pochissimi abitanti e le case non sono circondate da alcuna recinzione; l’estremità del sobborgo è fuori portata del cannone, vascelli e galere possono ancorarsi davanti, molto vicino e possono esere battute soltanto da dieci pezzi di cannone, due al faro e otto alla nuova batteria».

Di fianco ad uno sbarco civetta in Albaro di 700 uomini, l’attacco principale era programmato sulla nostra spiaggia: 2800 uomini divisi in tre scaglioni caricati su sei tartane, protetti da 4 cannoni, seguiti da altre tre tartane con tutti i materiali necessari: picconi e badili (per iniziare trinceramenti secondo schemi dettati dagli ingegneri imbarcati: DeCombes e Razault a levante per il gruppo comandato dal cav. DeTourville; Niquet e Plantier al centro comandato dal duca di Mortemart;  e St Lçuis ad occidente fino al Polcevera per le truppe del cav DeLhery), asce (per sfondare le porte), torce (per bruciare le case), barili di polvere (per far saltare il forte).  Lo scopo punitivo di San Pierd’Arena era previsto essere distruttivo, quale spregio del sito dove si sapeva esistere lo sfarzo dei genovesi (già dal tempo del Petrarca, i francesi sapevano che qui essi avevano le case di vacanza): e nella mentalità del re, punire la loro arroganza nel loro benessere.

   È del 1708 la carta di  J. Volckammer, che disegna il borgo come visto dal mare ed evidenzia tutta la palizzata di case,  segnalando da ponente come importanti solo la villa Filippo Cattaneo di via Bombrini,  la villa Pallavicino attualmente di una banca ,  e la villa Pallavicini oggi Gardino; avanzato sul mare si vede già con l’aspetto di un palazzo, l’ex bastione-fortilizio costruito nel medioevo per difesa del lido.

Volkammer                                                                     Vinzoni

 

    Nel 1757 la carta di Matteo Vinzoni conferma  le quattro ville

    Nel 1758, dopo un sopralluogo delle autorità, constatando l’impraticabilità e l’erosione marina, la strada fu cintata al lato mare con un muretto,  e lastricata.

il muretto, distrutto dal mare numerose volte (vedi 1815 e 1839)

 

   Nel 1774 l’Atlante Ligustico mostra il “castello”, isolato sul litorale.

   La mattina del 4 lugl.1805, Napoleone Bonaparte  venuto a Genova, passò in rivista sulla nostra spiaggia 4mila soldati francesi schierati, entusiasti e fiduciosi del loro imperatore e re d’Italia: per due ore ininterrotte -sotto il comando del gen. Milhaud- fece compiere ai suoi soldati evoluzioni ed esercitazioni.

Sotto il dominio francese, apparentemente immutata nel tempo le case riempivano serrate la ‘rive droite’ della strada, mentre la ‘rive gauche’ era aperta pressoché ancora tutta alla spiaggia ed al mare.

    Il 25 feb.1815 l’ impresario Cremonese Ippolito addetto al ripristino della strada, relazionò la regia delegazione degli Interni, sul muro di sostegno  da ripararsi,  causa le ondate dei giorni di libeccio; e poiché nuove tempeste distrussero altre parti del vecchio e anche del nuovo muro, gli fu ordinata una perizia delle spese.

L’incarico venne affidato il 26 marzo 1817 a Domenico Maffei, con scarsi risultati se nel 1826 l’impresa Picasso Antonio è nuovamente all’opera che però non sarà completata per mancanza di fondi avendo previsto una spesa di sole 9.581 lire.

   Nel manoscritto stilato dal Parroco della Cella negli anni 1820-50 quando questa chiesa ancora era l’unica parrocchia di tutto il borgo, nel suo itinerario del ‘giro di benedizione pasquale delle case’ durante il quale prendendo nota dello ‘stato delle anime’ ne è derivato un vero e proprio censimento suddiviso  per località, destano curiosità  ambienti definiti ‘mandraccio’ , ‘scalandrone’ (a conferma, nella ‘zona dello scalandrone’ viene segnalata nel 1813 e perché munita di cappella religiosa privata la villa di Rossi Luigi; non sappiamo dedurre quale villa, ricordando che  il Remondini –1882- che “alla marina” pone con cappella “i poderi di GB Rossi”), ‘dalle navi’;  ovviamente tutti nomi popolari di località della marina mai ripresi da alcuno ed oggi scomparsi.

     In questi anni, ancora senza nome o genericamente ‘della Marina’ o – come scriverà il Porro, ‘Tratto dell’antica base’; essa si presta ad una situazione burocraticamente equivoca: da un lato non viene inclusa nell’elenco delle strade comunali del 1819 (ricopiato da Tuvo –vedi a quella data nella storia del borgo-; evidentemente è un errore; ma stranamente ripetuto nell’elenco del 1825 ove neanche compare in quelle viciniori); dall’altro lato Tuvo stesso lascia intendere di altre ordinanze (reclami contro i paracarri posti sulla strada Reale alla marina che causano di notte ribaltamenti di vetture, inciampi e cadute di pedoni ‘fracassandosi le gambe’) e di un frequente passaggio di carrozze d’alti personaggi (che transitano per questa strada, in conseguenza dei quali frequenti sono le ordinanze di tenerla bagnata. Se ne citano solo alcune relative al 1825:  i reali che transitano dopo la parata militare in piazza d’Armi al Campasso; e -del 31.maggio dello stesso anno- quando al Comune arrivò l’impegno inderogabile “domani, siete prevenuti verso mezzogiorno, Sua Maestà l’Imperatore d’Austria farà il suo ingresso a Genova. Date gli ordini opportuni affinché la regia Strada di San Pier d’Arena sia sgombra di carri, vetture o altro per non arrecare contrattempi al suo passaggio” (insomma, non lavorare sulla spiaggia, per mezza giornata). Il giorno dopo, re Carlo Felice con il corteggio andò ad incontrare a Rivarolo sua maestà il re delle Due Sicilie ed, insieme, tornarono in città. Altrettanto, quando i reali che andavano alle balneazioni a Genova. Solo questi messaggi dell’Intendente Generale –oggi prefetto- lasciano capire quante persone importanti attraversavano il borgo usando la strada anche l’anno dopo, 1826:  era la volta di sua maestà la regina Maria Teresa con la reale faniglia; del re di Napoli con l’augusta sua Consorte e sua altezza reale il principe di Salerno; di Sua Maestà che andava a visita a Pegli (abitando in via Balbi, la famiglia reale andava spesso in riviera a visita in riviera; era responsabilità dell’Intendente la viabilità –libero percorso, polvere, ecc-, e del direttore di polizia la sicurezza delle carrozze); dell’Intendente che scrive al sindaco dopo aver transitato per la strada «ho dovuto rilevare l’assoluta insufficienza di giornalieri impiegati nelle opere necessarie per preparare un comodo e sicuro passaggio delle Loro Maestà. Con questa occasione debbo manifestarle la mia sorpresa per aver riconosciuto la Regia Strada ingombra talmente di piccoli schifi e di gondole, in qualche punto anche da ambo le parti, da rendere assai angusto il passaggio. Prego la S.V. voler immediatamente provvedere in merito.»), facendo comprendere che era divienuta usatissima per tutti i ‘passaggi’ di zona

 da Porro 1835. Degli immobili a lato mare, il primo con scritta - da ponente - è il ‘regio magistr. del sale’, poi la torre chiamata ‘Casa Comunale’ ma che ‘casa’ non è; ed un terzo edificio ‘Teatro’.

 

    Nel 1835-8 in una carta disegnata dal Porro (vedi sopra), già appare qualche casa anche sul lato del mare e la spiaggia (non la strada) viene chiamata “tratto dell’antica base” mentre quando arriva a ponente (prima di iniziare l’attuale via APacinotti) già assume il nome di “strada reale da Genova a Torino”.

Il nome viene confermato in altre carte della stessa epoca; ovvero viene chiamata genericamente “tratto dell’antica base” che iniziava a san Benigno (già traforato dalla galleria del Faro) e praticamente se pur finiva -come oggi- alla Fiumara, però il traffico stradale più intenso si  dirottava verso il centro del paese lungo la crosa dei Buoi.

   La sera del 12 novembre 1839, una furiosa mareggiata con vento che spingeva le alte onde contro la muraglia, alle ore 21 ridistrusse il muro di sostegno a mare della discesa dalla Lanterna: 119 metri di strada furono ingoiati dal mare (Tuvo riporta: 109m in lunghezza, il muro di altezza media di 9,15m) prospettando impari la lotta contro la natura: fu data colpa a ‘non profonde fondamenta’ e -indirettamente ai ‘dissennati’ Minolli- affermando che la spiaggia scemata lasciava scoperte le fondamenta stesse, soggette all’attrito dei ciottoli mossi dal mare.  Fu giocoforza studiare un sistema più efficace del muro: l’ing. Barbavara studiò il progetto proponendo  di internare la strada dalla Coscia fino alla via Larga dove esisteva il ‘gioco del pallone’ espropriando il terreno necessario ai possessori (verso levante: Morando Ignazio, Favaro Bartolomeo, il marchese Pallavicino, marchese GiòCarlo DeNegri, i fratelli Balleydier). L’impresa GB Vassallo lo avrebbe eseguito se tutto invece restò fermo come prima. Ovvio che il C.Comunale si oppose all’idea ritenendo conveniente conservare e rifare il tragitto antico.

      Il 3 agosto 1840, mentre la carrozza di s.altezza imperiale e reale l’Arciduca d’Austria transitava davanti dalla casa comunale, una sassata fu scagliata contro la  vettura. La scorta non fece a tempo di accorgersene che già c’era stato un fuggi-fuggi che impedì cogliere il colpevole. Anche le indagini successive ebbero esito negativo. Il fatto fu giudicato ‘gravissimo’ sotto il profilo politico. Alla logica di quello che  succederà tra pochi anni, ha significato premonitore.

   Nei primi anni dopo metà secolo (dal 1854, 16 marzo, era in atto una concessione dello Stato) si misero in posa i binari per treni merci a trazione animale, chiamata Ferrovia a cavalli, posti sul lato a mare della strada, con deviazioni per far entrare i vagoni nei vari doks frastagliati  a monte della strada .foto  Tuvo&Campagnol pag.115; in una carta, la linea è a semplice binario;  vengono sottolineate le diramazioni per la ditta G.Ansaldo,  ditta GB Carpaneto (sia al Canto che alla Coscia), ditta Preve e Macciò (nel cosiddetto palazzo del Riso), ditta Garibaldi Nicolò e Coppello, ditta Scerno Gismondo; ed una serie di ‘fermate’ a Fiumara, al ‘Salaccio’, al teatro Ristori, al deposito della Coscia. 

Nel 1856 fu tracciata una relazione del traffico eseguito (vedi a questa data ↓  evidenziata in verde nella ‘Storia’ della città).


Nel 1858, il 4 luglio, dopo approvazione del Senato e della Camera dei Deputati, di un progetto di convenzione tra il Ministero dei LL.Pubblici (il comm.cav. Bartolomeo Bona) ed il Comune di San Pier d’Arena, e della spesa prevista di 1.629.778,50 (iscritta nei bilanci passivi del Ministero delle Finanze e ripartita in 24 anni), lo Stato acquistò dal Comune


di SPdArena (rappresentato dal sindaco avv.cav. Gerolamo Bonanni; dai consiglieri avv..cav. Gioanni Tubino e cav. Giovanni Copello)  detta ferrovia assieme alla galleria aperta nel colle di san Benigno e dello scalo a mare – che divennero così statali;  salvaguardando –all’art.4  “gli esercenti opifizi o stabilimenti industriali o commerciali di San Pier d’Arena che desiderassero di praticare una diramazione della ferrovia ai medesimi opifizi o stabilimenti: dovranno ottenere l’autorizzazione del Governo e pagare le relative spese di primo stabilimento e di esercizio”.

   Nel regio decreto del 22 mag.1857, si stabilì che tutta la via si chiamasse  “strada della Marina”, e che fosse divisa in quattro tratti: 1) dalla Coscia alla Crosa Larga; 2) da lì al Canto, dove si apre un bivio; 3a) verso la Crociera ed il ponte (significa che un itinerario non proprio sovrapponibile ma similare all’attuale via Pacinotti iniziava ad acquisire importanza); 3b) verso la Fiumara.

       Nel 1869 il comune di S.Pierdarena giuridicamente era sotto il mandamento di Rivarolo (assieme a Bolzaneto e sant’Olcese), ed era uno dei 60 che si trovano nel circondario di Genova. Aveva 14.008 abitanti; non aveva l’ospedale (mentre già esisteva a Rivarolo). Nel territorio erano 3 farmacie; uno stabilimento per la fabbricazione del cemento (impiegando 19 operai, una macchina a vapore movimentava tre macine e due fornaci produceva 30mila q. di cemento); fabbriche di cotone (una, dei Rolla, produceva maglie ma era anche tintoria; con macchine circolari perfezionate che impiegando venti operai produceva per 75mila lire. Il più del personale –32 operai- erano donne;  ed un 15% fanciulli. Il direttore percepiva £.4 di stpendio). Vedi anche a pag. 85-6-7 e 91.

Si citano esistere in SPdA, negli anni a posteriori ed in ordine alfabetico: Cotonificio Ligure (E5); David Luigi (MA71)Grosso Benedetto (E51); Hadner G.B. (nel 1810 già in attività con 19 operai per la tessitura e 115 in media per la stampa dei tessuti;  sei anni dopo produce per £.200mila; nel 1833, 30 operai; nel 1846, 59 operai; nel 1860 e 1874, 60 operai); Morosini (già florente nel 1810 ha un andamento similare alla precedente; nel 1812 rinuncia alla sezione tintoria (colorava con il ‘rosso d’Adrianopoli’); occupazione in media di 30 operai; ma  calo già dal 1846 e scomparsa dal 1874)Rolla  (E48  G113  SA88-91)Specker William (C215 G6); le tintorie  di Speick (MA71); Testori (MA71) producevano per 250mila lire; la fabbrica di corde Carena che impiegava 27 operai e produceva 2mila q. di corde; 24 fabbriche di sapone con 34 caldaie e 65 operai con produzione di 11.322q di merce ‘fabbricata secondo l’uso italiano ed inglese per un valore di poco inferiore al milione; una fabbrica di olio di sementi lino e sesami che con 40 operai e pressori idraulici, produceva 7300 hl di olio e 10700 pannelle per un valore di 100mila lire; una manifatturiera di amido; sette fabbriche di pasta che producevano 9300q di prodotto dal macinato, specie i vermicelli; una cartiera di discreta importanza per la carta ordinaria e da protocollo (lo studioso Rovereto segnala che Sampierdarena fu per alcuni anni la prima sede di Grazioso Damiani, primo ‘strassè’ genovese venuto da Fabriano nel 1424 ottenendo dal senato della Repubblica il privilegio di poter raccogliere nell’ambito cittadino le ‘strazze’ o dal latino ‘stracias’ necessarie per l’industria della carta; nel 1431 si trasferì a Voltri avendo trovato edifici più adatti  ‘quodam aquaricium edifici pro faciendo papiro’ ovvero vicino a canali nei quali porre delle chiuse e serrami adatti a far lavorare per molti mesi i macchinari idraulici); una fabbrica di canditi Croce che esportava anche 500 kg. di prodotto per il valore di 80milalire; una importante fabbrica di birra e acque gazzose dei fratelli Bauer che approvvigionava gran parte del mercato genovese producendo 9000 litri di birra e 15mila bottiglie di gazzosa; una conceria Brignardello che consumava annualmente 19 q. di corami e 5 di corteccia d’albero per dare un prodotto di 91 q. di mercanzia; la fabbrica di vetture Fava, non unico in Provincia ma “nessuno


che può gareggiare con lui su quest’articolo, del quale produce annualmente per lire 40,00.

 

L’eleganza e la robustezza contraddistinguono i  lavori del Fava, che recentemente aperse in Genova un deposito dei suoi prodotti”. Una fattura→ datata 27giu1910 è intestata ad “Augusto Paolucci / successore di G.Fava / premiata fabbrica carrozze / e carrozzeria per Automobili / Sampierdarena”; è indirizzata alla “Pubbl.Assstenza Croce Verde di Chiavari” alla quale  ha “fatto una barella tutta finita coi migliori sistemi tutta finita con materasso fanale (sic). d’accordo £. 600 / fatto fanale nuovo di ottone nichelato per altra

barella £. 15 (netto senza sconto)”.

 

 

 


Ovviamente quindi non è lo stesso che -socio con un Roccatagliata-, lavorava metalli nel 1933 in via A.Volta.


Diverse le fabbriche di argento piombifero (la maggiore chiusa proprio nel 1870 per scioglimento della società,  aveva 30 operai e produceva per 1,7milioni annuali; le altre si dedicavano alla produzione di tubi per la distribuzione delle acque potabili nella case); una di biacca (che con i 2600q era la più alta esportatrice -90%-  del prodotto); due  della lavorazione del carbone (ambedue i vasti stabilimenti collaboravano a dare il nome di Manchester alla città; una usina era di proprietà Rossi:  30 operai (a mille lire all’anno) sussidiati da macchine a vapore e da forni ad alta capacità fabbricavano per la ferrovia non meno di 220mila q. di carbone  concentrato in formelle di litantrace, per un fatturato di 80mila lire. La seconda usina,  di proprietà del Governo e collocata sul greto del torrente, con 50 operai produceva  130.504 q. di coke per le locomotive oltre a 3000 q.di olio di creosoto e 4632 q di pece minerale, il tutto per un valore di 768.143 lire). Dei due gasometri genovesi per l’illuminazione stradale succeduti all’antica e modesta illuminazione ad olio,  uno era in San Pierd’Arena (con 36 operai produceva poco meno di 1milione di mc di gas). Tre erano gli stabilimenti chimici: uno dei Dufour (vedi) per il solfato di chinino; un secondo dei fratelli Piccardo per il salnitro (unico in Provincia, con 22 operai; traendo le materie prime (nitrato di soda e potassa) al 50% dall’estero, produceva 300q. di solfato di potassa, 1700q. di nitro raffinato, 800q. di carbonato di soda, 300q. di cristalli di soda); un terzo di Francesco Bardin per la lavorazione degli acidi minerali (1100q. di solforico e 250q. di azotico) ricavati dal nitrato di soda e dallo zolfo, per un valore complessivo di 40mila lire. Nel 1867 bel 11 erano i cantieri navali, che produssero 86 t. di naviglio (ne risultano in attività a partire dal 1786, come altresì su qualsiasi altra spiaggia ligure;  fondamentale era la vicinanza di alberi atti alla costruzione navale); l’anno dopo i cantieri scesero a 7 ma con produzione di 1366 t. (prima di allora le grosse navi provenivano dall’estero, specie dall’Inghilterra; ed erano gli anni del neanche lento trasferire le vele col motore a vapore (nel 1868 erano inscritte al compartimento di Genova  1983 navi di cui solo 70 vapori); il Governo Nazionale migliorando gli approdi, gettò un avancorpo (in termine tecnico un ‘penello’), non meglio precisato,  sulla nostra spiaggia). 

   Ma la maggiore ricchezza proveniva dalla lavorazione del ferro: l’Ansaldo, f.lli Balleydier, Tomaso Robertson, A.Magone: offrivano tutti gli oggetti necessari a metà prezzo rispetto il prodotto importato, dando lavoro a 1289 operai e smerciando  1milione di lire di prodotto. 

   Sempre in quell’anno, in San Pier d’Arena esisteva una sola Opera Pia: la Congregazione di Carità nata nel 1816 (divenuta ente Morale nel 1827) istituita per dare –anche con il contributo del Comune-  soccorso in denaro ai poveri (rispetto a 2 di Cornigliano, Sestri, Prà e Voltri; le 37 di Genova e uguale alle altre viciniori Rivarolo, Pra).

    Risale al 10 settembre 1870 un “piano dimostrativo con Progetto di massima per la costruzione del Porto, redatto dall’ing.sig. Pietro Giaccone, consegnato al “Corpo Reale del Genio Civile rappresentato dall’ing. capo sezione P.Giaccone”.

 Si forma un elenco di aree chieste dal Municipio, frapposte ad abitazioni private (poste sul lato mare della strada e così elencate da est ad ovest:

                                

1=casa Morando Macciò; 2=casa Scaniglia Cabella;  3=casa Oneto; 4=casa Bavastro; 5=casa DeLucchi; 6=teatro Ristori; 7=casa Dufour; 8=casa Scaniglia; 9=castotto del Dazio municipale; 10=palazzo Comunale; 11=Magazzino del sale; 12=casa Galleano Tubino Testa; 13=ufficio di Sanità marittima; 14=casa fratelli Canale; 15=casa Bertucci; 16=casa Ferrando; 17 e 18=casa Morasso).

   Pubblicato nel 1882 da Angelo Remondini un  elenco di abitazioni munite di cappella religiosa privata (quindi case patrizie di pregio; in corsivo, non so dove era): PALAZZO Cataldi (già Bracelli, in Crocetta)Frixone (alla sommità di cso Martinetti); Baroschi in Promontorio; Airenta in sBdF; Masnata (via ACantore 19); PallaviciniDurazzo (via Currò); Semplicità (Sauli-Lercari,via Daste); Bellezza (Imperiale-Scassi, largo Gozzano; più altre due degli Imperiale); Samengo (via Daste); Pavesi (poi Mariotti=Franzoniane?). VILLA del Principe Salernidel principe Silvestro Cattanei; marchese Crosa, di Cima della Crosetta=sal.Belvedere?; Pallavicino Sebastiano sulla costa di Belvedere; Lomellino Marco;  Doria Agostino;  Spinola Grimaldi, Pasquale+Ranieri, e Filippo PODERE di GBRossi alla marina.

    Nel 1883, una società di MS chiamata “Cuore e arte” autodefinita “democratica”, per racimolare soldi da inviare ai terremotati di Casamicciola (Napoli) inventò un arco floreale -chiamato arco della carità- che  sorvolava la strada, e alcuni addetti si fecero pagare 10 centesimi di pedaggio a chi transitava sotto; ovvie le vivaci proteste dei cittadini.

 

   Nel 1900 : Solo il tratto numero 2) , lungo 912 m  e largo dai 15 ai 18 m, all’inizio del secolo, ufficialmente diverrà via Cristoforo Colombo, con identico percorso di oggi: da piazza G.Bovio (N.Barabino), a via Garibaldi (Pacinotti); e le verrà posta la targa di marmo (vedi a Colombo).


  Alla costituzione del CAP –1903-, si provvide a lato mare della strada, segnalare con una pavimentazione a lastroni posti longitudinalmente  -e con in alcuni scalpellato il nome per esteso-, a ricordo che al di là di essi, si  era in terreno di proprietà del Consorzio.


  Nel 1910 aveva civici sino al 46 ed al 117 (attualmente i civv. arrivano sino al 58 e 115). In quell’anno, corrispondente all’apertura della galleria del Faro (Romairone) la carreggiata fu opportunamente allargata prima che dalla strada a mare nascessero costruzioni aggettanti e quindi limitanti.

Tutto venne distrutto nel 1927-33 per la costruzione del bacino portuale chiamato col nome del duce, Benito Mussolini.

 

bacino Mussolini - il tetto a punta, è visibile in ambedue le foto del 1933

Aeroclub Luigi Olivari e canottieri della Sampierdarenese.

 

   Il  19 agosto 1935, dal podestà firmò la delibera per la quale le verrà cambiato il nome, scegliendo la titolazione al concittadino, e divenendo via Nicolò Barabino.

   Il 19 gennaio 1954 ricambiò di nuovo nome, assumendo dopo delibera del Consiglio comunale,  quello attuale di via San Pier d’Arena.

   Ancora  negli anni 1960 era percorsa da treni, non più trainati da sbuffanti locomotive o da motrice a motore, ma da  speciali trattori; con manovre evidenziate dagli addetti muniti di bandierine e fischietti

 Oggi, negli anni del 2000, la strada è un po’ ‘fredda’, incolore e troppo poco passeggiata, un po’ spersonalizzata nella sua larghezza senza alcuno spazio verde; molto occupata da posteggi di veicoli e percorsa da  intenso traffico anche pesante che come un fiume la taglia nel centro separando nettamente i due marciapiedi; fatta di abitazioni bellissime dentro (‘alla genovese’, con ampio ingresso che dà adito alle varie stanze disposte a corona) ma obsolete e grigie esteriormente. Le piccole attività artigianali, i vecchi scagni, oggi sono sede di numerose autofficine; di poche trattorie una volta frequentate dai portuali (dove quindi si mangiava bene e semplice), di numerose pensioni ad una stella, di bar e night dalle frequentazioni  non certo degli abitanti. Infatti, negli anni 2000 è troppo spesso nella cronaca cittadina per prostituzione, chiasso (Zapata), delinquenza e perfino delitti. Un po’ malavitosa, un po’ ‘ribelle’, un po’ misteriosa: percorrerla di notte dà un vago senso di insicurezza.

 

CIVICI

                               a)   -   PALAZZI A LATO MARE

La strada inizia al confine della piazza N.Barabino, con il suo primo tratto che la congiunge col rettifilo che si sviluppa verso ponente; in questo tratto iniziale è il civico 1; di fronte al quale è localizzata la prima targa.

 

==via PIETRO CHIESA

===civ. 4Br corrisponde al bar-night club  “San Francisco”; forse il più conosciuto per la felice posizione nel transito ma quindi un po’ abusato quale simbolo di tutti i ritrovi e relativa qualità di ambiente e di vissuto notturno che portano - in conclusione - a squalificare la strada e l’intera città.

 

===civ. 2:


 

Palazzina posta davanti a via Prasio, tipo chalet, comunemente chiamata Bertorello (nome un po’ vago, con tante possibilità di appartenenza: anche il proprietariuo dei bagni Colombo si chiamava così; e sulla spiaggia c’erano ben tre ‘bagni Bertorello’ forse di un padre e di Maddalena e di Salvatore). Decorata liberty; ha l’estremo nord dell’edificio rialzato sopra il tetto, a sua volta coperto da quattro tetti orientati verso i punti cardinali e due sottotetti negli angoli. 


Costruita in epoca precedente al 1917, da un architetto non conosciuto, fu da subito o poi (dal Bertorello di cui sopra) destinata all’uso della Lega Navale: sottolineano questo fine, alcune decorazioni esterne (ancore e gomene sulle balaustre dei balconi al piano nobile) ed interne (stesso motivo decorativo alla ringhiera della scala e rappresentazioni di piroscafi e cantieri navali nella volta della tromba delle scale, nonché maniglie in tono, alle porte che si affacciano sulle scale).     

La Lega Navale il 13 lug.1913 celebrò solennemente i sampierdarenesi reduci della guerra libica: invitati al teatro Modena, furono consegnate medaglie speciali ai 207 partiti per la campagna in Libia, (dei quali, 5 ufficiali; 19 della CRI, uno unico alpino ed uno bersagliere; i più fanteria, genio, marinai, cannonieri, artiglieri, ecc.; tre ebbero ricompense al VM (due medaglie di bronzo per atti di coraggio ed un encomio solenne) e quattro morirono (uno in bataglia, due per malattia gastrointestinale, uno precipitato in mare). C’eano GB Botteri, Nino Ronco, Eugenio Broccardim, Natale Romairone, Silvestro Nasturzio, GB Sasso, GB Carpaneto, Gandolfo Peone, De Andreis Menotti, De Franchi Lino, Elia Currò, Gilberto Pestalozza, Giuseppe Cipollina, Ancorato al largo della spiaggia, l’incrociatore ‘Liguria’. Poi, alla fine, tanti, al Giunsella.

Divenne nel dopo guerra sede della Cassa Mutua Portuali (alla lettera “cassa generale per la mutualità tra lavoratori portuali”) e, nel 1979, con la riforma sanitaria che faceva scomparire le mutue di categoria per diventare tutte Unità Sanitaria, la USL 11 del territorio; essa occupò i locali per uso ambulatori ed uffici dell’ Igiene. Causa il cedimento di alcuni soffitti, tante funzioni si svolsero solo al piano terra finché tutte le strutture furono trasferite nel 1995 ca, e la palazzina è rimasta a lungo vuota; non subito restaurata molto presumibilmente per motivi economici-. Dal 2000 è sede del SERT, quel settore della Usl che si interessa delle tossicodipendenze, dall’alcool agli stupefacenti; e distribuisce adeguati farmaci, specie il metadone (uno stupefacente anche lui con tutti gli effetti negativi dell’eroina; ha il solo scopo di evitare che i dipendenti da queste sostanze vadano a creare microcriminalità per procurarsi i soldi necessari per comprare la ‘roba’).

===civ. 4 e 6


  

sono - in unico palazzo - due civici neri; ha 10 finestre per piano sulle facciate lunghe, per 5 piani.

Al primo piano sulla facciata laterale di levante c’è uno stretto terrazzo con balaustra e colonnine marmoree in contrasto con la semplicità della struttura


 ‘per operai’; sulla facciata a ponente il terrazzo è più largo e senza pretese artistiche.

Nel primo portone c’è l’assoc. ‘il cerchio di Iside’.

Il palazzo è separato, dal seguente civ.8, da 2 capannoni di officine meccaniche la cui facciata sulla strada è ancora con tavole lignee.

   

                                                                                                   civ.8

===civ.22r: il Pagano/61 segnala la ditta soc.acc.sempl. “Fe.Ro.Gen., Ferro e rottami in genere, di Mensi & C.” che ancora era presente agli inizi degli anni ’70.

 

===civ.8: palazzina stretta (tre finestre) molto semplice, caratterizzato da una modanatura  decorativa e trasversale, sita tra il primo e secondo piano, doppia tra il secondo e terzo, singola tra terzo a quarto. Portone altrettanto estremamente semplice e piccolo

Un piccolo distacco terrazzato la separa dal seguente.

  

foto 2009 - civ.10                                   civ.12                                      civ.14

 

===civ.10: in pianta, sembra attaccato al precedente; è però più basso di esso e più largo (sette finestre per piano), a soli tre piani con al terzo piano le finestre assai più piccole. Nella facciata ad oriente, parte delle finestre conservano il disegno delle persiane su finestre finte. 

La trattoria Alba punto di riferimento per operai e viaggiatori per un buon pasto a prezzi miti, è passata alla ribalta perché ha un giardino ed i servizi igienici in territorio del Demanio, e questi, nel 2001, ha preteso l’affitto e gli arretrati.

Nell’intervallo con successivo, c’è un capanno metallico

===civ. 12: è del 1930. Senza terrazzi, a 5 piani. Il portone, rettangolare e molto semplice, è contornato da un vistoso arco e da un più largo portale con architrave a più linee, che forse all’origine prevedeva  un portone più maestoso. Su questo sedime e di quello del civico dopo, era parte del Teatro Ristori vedi a via della Marina.


===civ.48r nel 2011 questa insegna “il tempio del Supremo”, della quale non conosciamo il significato e gli scopi.

===56Ar una officina meccanica

 

===civ. 14:   sul sedime c’era parte del teatro Ristori


Divenne la casa Delucchi ove trovò sede l’associazione Operaia Universale di MS di San Pier d’Arena. Un Delucchi Gaetano, presente nel 1805 nel Consiglio Comunale al momento dell’aggregazione del borgo di Promontorio nel borgo di SPdA; ed un Giulio, scrittore nato a SPdA, fu garibaldino dei Mille (vedi a Mille). Nel 1927 sulla spiaggia - di fronte a questo civico -  corrispondevano i bagni Roma

  

La parte più a ponente del palazzo, è di fronte allo sbocco di vico Stretto sAntonio e del suo torrentello; attualmente (2006) ha una bella facciata e terrazzi decorati con stucchi, ed un bel portone arricchito da due cariatidi laterali ed al centro uno stemma con due bande sinuose centrali presumibilmente riferite al proprietario, nobile (forse il Delucchi).

La facciata principale è stata ridipinta, finita a genn. 2012.

 


===civ 72r   Negli 8 metri che separano i due palazzi, c’è l’entrata della soc. Piccardo F. di materiale per edili, i cui materiali sono depositati nella parte a mare del palazzo. Prima di trasferirsi qui, era in via A.Stennio.

Prima di essa, negli anni 70, c’era la soc. di trasporti Piccin f.lli.

 


===civ. 16:  La palazzina, oggi di m.10x8, non è in catasto, perché su area demaniale. Vi troneggia la grossa targa con scritto Club Nautico Sampierdarenese dipendente dal CONI. Nato nell’ott.1901 con presidente Gilberto Pestalozza; un promotore in Luigi Oneto appassionato, e proprietario di un saponificio; un suo gagliardetto; e prima sede in piazza Savoia (piazzetta dei Minolli) -dopo aver ottenuto il permesso dalle autorità essendo in zona demaniale-: lo chalet su palafitte poste sull’arenile, costruito in pitch-pine su progetto dell’ing. Ratto, con capacità di “ricoverare” sulla spiaggia le imbarcazioni e di controllare le varie competizioni che si svolgevano sullo specchio d’acqua antistante;  nel 1903 da già avvio a competizioni a carattere nazionale con la “Coppa città di Sampierdarena” ripetuta sino al secondo dopoguerra. Erano anni di grande passione popolare per questo sport: ogni paese marinaro di levante o ponente ed ogni delegazione aveva la sua squadra ed i ‘patiti’, come oggi del calcio.  Anche Enrico Bassano ricorda la febbre delle regate, con gli spostamenti in massa dei tifosi nelle zone di gara (da Voltri a  Sampierdarena, Foce,  Boccadasse, Sturla, Quarto, Recco,ecc., legate ai vecchi club ed indipendentemente dalle divisioni civiche cittadine), tutto un ‘paese’ che si riversa nell’altro come ‘colorite emigrazioni‘ di gente  che potrebbero ‘con estrema facilità trasformarsi in altrettanti cannibali… e divorare l’incauto con contorno di frittatine e melanzane ripiene’ che avesse osato criticare o avere una ‘ambigua parola’ contro l’armo del cuore.

    

 

                        

 

1951 il Comune concesse un contributo per la celebrazione del primo cinquantenario. I locali furono rimessi a nuovo nel 1982; nel 1983  furono utilizzati dai bambini per festeggiare la festa della pentolaccia e delle maschere, e dagli adulti per una serata danzante di fine carnevale.

Il 19 ott.01 fu festeggiato il centenario con ovvio amarcord dei soci.

Nel 2002, un micro-deposito barche lo vediamo nel tratto di via Argine del Polcevera, nella prossimità dello sfociare del torrente in mare, con piccola area per attraccare e tirare a secco alcune barche; con propria attività prevalente di pesca e di collegamento con la diga foranea.

Nell’apr. 2009 la società ha ricevuto lo ‘sfratto’ esecutivo ritenendo l’area necessaria per i cantieri della strada che scorre lungo il Polcevera e che deve inserirsi nello scorrimento a mare. La difesa della posizione territoriale, da parte dei media,  è tiepida.

 foto 1922

 

Originariamente -nell’apr.1914- era stata costruita per la Croce d’Oro su terreno del Demanio-CAP, ricevendo il civ. 14 –ricordando che 12 era il Teatro-; era composta da solo il piano terra e confinava: a levante col palazzo Bagnasco-Lagorara-Grosso (ex teatro Ristori); a sud col mare; a ponente con arenilenel quale era innalzato lo chalet del CNS; a nord con via Cristoforo Colombo.

La società di pubblica assistenza CdO dopo una decina d’anni, trovò questa sede inadeguata perché troppo piccola come spazio (150 mq). Così, nell’aprile 1926, operò un  trasferimento -della “società anonima cooperativa Croce d’Oro”-  in via della Cella superiore lasciando l’edificio svuotato.  A norma del codice del CAP, (allora l’ammiraglio Umberto Cagni) esso non può rivendicare la proprietà ma solo demolire o concederla a riuso: così -1926- la affidò al rag.Pietro Favari -che ufficialmente acquistò dalla Cd ’O il diritto di uso per 130mila lire (deposito di materiali e merci a carattere chimico industriale); ricevendo il numero civ.16. Il nuovo proprietario, dopo aver ampliato lo spazio, sia innalzando l’edificio di un piano, sia costruendo un piccolo corpo di fabbrica attaccato alla parete sud, di m.6x9,8 in cemento armato- la ricedette al comm. Manlio Diana, presidente del locale Club Nautico, che disfece lo chalet (fino ad allora, lo chalet fu sempre animato luogo di programmi, incontri, sfide. Durò fino al 1927 quando, smontato, fu acquistato dal club Vela di Pegli ed ivi trasferito ove ancora oggi si può ammirare nel lungomare) e traslocò nella palazzina, ospitando anche la soc.Canottieri sampierdarenesi. Cosìcché, nel febb.1928 (anno VI dell’era fascista), il CNS ebbe quindi in affitto la palazzina dal CAP per la cifra simbolica di lire una.  L’autorizzazione del Cap alla permanenza di detta società, fu condizionata alla necessità di un rinnovo periodico. Ma già dall’inizio, concomitando i lavori per il bacino portuale, il dramma della società divenne l’accesso al mare: mentre la canottieri si trasferì a Sestri, la vela si adattò a sistemazioni provvisorie (dapprima dentro il porto a calata Derna, porticciolo Ignazio Inglese, Idroscalo; poi pervenne dopo il 1950 a Nervi; nel 1969 alla foce del Polcevera dove tuttora sono ospitate alcune decine di imbarcazioni; ed infine nel 1983 a punta Vagno, dove sono le altre vele, ed i magazzini).    

 

==PIAZZETTA DEI MINOLLI

Fa limite ovest alla piazzetta il grosso caseggiato comprendente i

===civici neri 18 (di 5 piani)-20-22-24 (di sei piani)

Una cartina dell’atto di costruzione della palazzina della Croce d’Oro (1917), riporta nel sito la pianta di una costruzione più piccola e definita “deposito dogana“, che aveva a mare i bagni Savoia. Attualmente è un grosso unico edificio (si dice con affreschi del Barabino  alle volte di alcuni appartamenti del piano nobile; con le finestre più alte), con tre portoni sulla strada principale e l’ultimo nello stacco dal seguente palazzo.

Ben visibile nella parte a mare e di ponente del palazzo, lungo la base, una specie di rinforzo (simile ad un sedile) incurvato: era un frangiflutto necessario per respingere l’onda lontana dal muro, quando la casa era direttamente sulla spiaggia e soggetta ai marosi - nei giorni di forte scirocco/libeccio.

      

angolo con svasatura per le onde              come una lunga panchina, scavata sotto a becco

===civ.100r:  vi viene segnalata nel 1874 (ma sappiamo che la numerazione non era come la attuale) la sede di una società di MS “lega degli operai italiani. Associazione diritto e lavoro“;  una delle innumerevoli associazioni pro operai. Caratteristica di questa era l’antagonismo e la proibizione -per i soci- dello sciopero, considerato rovina del movimento operaio.

===civ.  26 (nello stacco a levante)-28 (sulla strada):   La palazzina ex della “società ligure di Salvamento”, sezione di Sampierdarena. 

La Società Ligure Salvamento era nata per iniziativa di Edoardo Maragliano: dopo il penoso annegamento di un giovane genovese avvenuto la sera (“sul vespro”) del 10 luglio 1871, creò una scuola di addestramento nuoto e salvataggio, che ben presto si diffuse in tutti i comuni limitrofi (dopo sette anni, otto erano a Genova e 5 nelle città limitrofe (tra cui S.P.d’Arena), vantando 43 salvamenti ed ottenendo una medaglia d’argento all’Esposizione Internazionale di Igiene e Salvamento. Divenuto ente morale il 18.apr.1876 ed avente “iscopo” oltre il salvataggio, la divulgazione delle arti marinaresche (scuole di voga, di nuoto, di soccorso, vela, estinzione di incendi in mare), la tutela dei bagnanti e della navigazione costiera, l’aiuto pratico alle famiglie dei naufraghi.  I militi avevano una divisa propria, e sul gagliardetto sociale era la frase “o bene o morte”, a sottolineare anche se col tono enfatico tipico dei tempi il reale senso dell’altruismo fidando solo nel proprio coraggio e nella propria forza per salvare una vita in mare . Arricchì le spiagge liguri di 24 asili forniti dell’occorrente per soccorrere i bisognosi. Aveva socio G.Marconi. Si calcolava allora che in acque nazionali 139 bastimenti che solcavano i mari in un anno  fossero stati inghiottiti dai flutti, con perdita in percentuale di molti marinai.

Negli anni del fascio (dal magg. 1932), la società fu abilitata – da parte del CAP – a consegnare tessere di permesso alla pesca (foto sotto)

               

 

La Società era vitale in delegazione ancora negli anni ’80 con lo scopo di formare ‘corsi per bagnini’.

  

Però nel 1983, sia per carenza della materia prima: il mare; sia per motivi economici ed organizzativi o altro, il meccanismo si bloccò con perdita della normale funzione; anzi, si diceva, con utilizzo dei locali per  ritrovo di giochi d’azzardo. La dirigenza e soci, in pieno disaccordo (il presidente prospettava usare i locali per un museo e biblioteca del mare) fecero una petizione al C.d.Circoscrizione.

Questi decise girarla all’assessorato al patrimonio perché decidesse l’utilizzo dei locali, in quanto proprietà del Comune: per anni vi  ha avuto sede, l’ufficio Affissioni del Comune. 

Vi ha avuto sede anche la Uges-Esperia di vela.

===civ. 30-30A:  grosso edificio ottocentesco, a due piani, senza terrazzi.

 

foto 2009                                                                 foto Pasteris – 1943

 

===civ. 118-120 rosso: penultimo fornice sulla strada, fu l’ingresso del famoso ristorante-trattoria-night club il “Giunsella”; più decorato e di attrazione del portone d’ingresso del palazzo, appare in granito grigio, contornato ai due lati da palme scolpite in stile liberty confluenti in un ciuffo unico apicale. Era posto affiancato al palazzotto della Salvamento, e nel retro, sulla facciata a mare del palazzo, il ristorante continuava palafittato sulla sabbia del litorale (nel distacco –cè ancora adesso, in cemento- forse per i servizi igienici) con un padiglione in legno, a due piani, atti a sfruttare anche esteticamente la vocazione balneare della spiaggia; da questa stupenda veranda  posta a pochi metri dal lambire delle onde, si potevano godere sia la vista dei pescatori che fornivano il pescato fresco con l’arxillo, sia il mare nelle sue svariate qualità (da ‘liscio’ a ‘mosso’ a ‘mareggiata da libeccio’) e sia i tramonti. Corrispondeva alla parte centrale di via C.Colombo, della lunga spiaggia, nel quartiere del ‘Comune’, nella zona della Cella, della Pretura, dell’officina di Fava, del municipio. Nel 2004 non vivono più i nostalgici che ricordano se stessi ‘battusetti’ (tradotto con ‘birichini, dispettosi’) ragazzini che usavano la spiaggia libera vicina per i loro giochi, dove imparavano a nuotare per imitazione e gara.

 

terrazza ristorante - si fa pensione a -             cartolina viaggiata 1907

lire 480 al mese – telef. 41.258.

 

viaggiata 1906                                              sala interna

 

 réclame anni 1930

Frequentato una volta anche da Garibaldi, negli anni 20 quando era gestito da Cecco Liberti -e quando la popolazione era ancora di 20mila abitanti, ma c’erano già  659 esercizi pubblici, 15 teatri e cinema, 27 ristoranti-trattorie: l’arte culinaria ligure curata secondo le più antiche ricette, era allora all’apice dell’applicazione nei locali cittadini-, viene ricordata una cena con D’Annunzio e Stecchetti; Gandolin  lasciò scritto in rima “ tutti i pesci del ligure mare - sono venuti davanti al “Giunsella” - col proposito assai salutare - di saltare dal mare in padella “.

 

vedi anche a C.Colombo                                                                   civ. 32

 

Nello stacco col seguente, c’è un passaggio verso Lungomare Canepa.

===civ. 32 palazzotto ad un piano di piccole dimensioni. Nel 2009 occupato da una associazione di volontariato che si chiama “SempliceMente”. Possiede, lato mare, un piccolo giardino che verso ovest continua -come un largo corridoio- col retro del palazzo del Comune.

 

===civ. 34  è il palazzo dell’ Ufficio distaccato di Sampierdarena, del Comune di Genova (prima si chiamava Municipio; poi Consiglio di Circoscrizione; e, dal 2008 di nuovo Municipio).

    Storia=  Dove dal medioevo esisteva una ‘Torre detta del Comune’, sede primitiva già in epoca medievale, del consiglio comunale che prima si riuniva nella piazza del Mercato e poi davanti alla pieve di san Martino (vedi Alberto di Bozzolo). Probabilmente questo primitivo torrione era in sintonia con le altre torri (Labirinto, ‘dei Frati’, forse Fiumara –esistenti-, Canto –distrutta-) quali facenti parte di un sistema difensivo costiero antisaraceni o anti guerriglia locale guelfi-ghibellini (quindi nel luogo dove sin dal medioevo sorgeva un torrione per difesa del lido, detta “torre del castello”.  Era, da quei tempi, di guardia alla marina assieme agli altri torrioni; ed anche di difesa all’attracco sottostante. Dalle carte, la torre appare vistosamente fuori allineamento rispetto le altre disposte lungo la marina: presumibilmente perché fu eretta su una naturale sporgenza rocciosa; questa, da levante delimitava sul litorale una insenatura protetta dallo scirocco, cosicché  favorì l’antico toponimo di ‘cella’ e l’attracco delle navi, il più frequentato sino la prima metà del 1800. Ovviamente la torre fu accompagnata da una costruzione atta a ricevere il consiglio comunale di allora e della quale non rimane traccia se non il basamento che nel nuovo -ed ultimo- edificio, è rimasto inglobato nella sporgenza a lato mare, visibile come parte del paramento esterno fatto a scarpa e con un cordolo di coronamento; di difficile visualizzazione perché coperto da sovrastrutture molto recenti).

Fu detto semplicemente ‘Castello’ e il suo uso diede nome al ‘quartiere del Comune’ (che si sovrappone a quello del ‘Canto’ che però possiede maggiore ampiezza comprendendo anche la zona della fiumara fino al torrente).

Fatto è che – sicuramente - era presente al tentativo di sbarco francese sulla spiaggia nel 1684 dove fu lì bloccato dai cittadini locali che  costrinsero il tracotante presidio a reimbarcarsi.

   Compare nella veduta del Volckammer del 1708.

   Nella carta del  1757  di Matteo Vinzoni (vedi sotto), è evidenziata la torre, denominandola in grassetto ‘castello’ senza alcuna altra costruzione intorno. Parimenti, lo stesso autore, ne la Pianta delle due Riviere datata 1773 (titolata ‘Jl dominio della Serenissima Repubblica di Genova in terraferma’, nota sotto il nome di ‘Atlante della Sanità’), disegna il rettangolo de “il Castello”, vuoto internamente, mentre  nello scritto vi pone il Commissariato di Sanità locale e descrive minuziosamente come era distribuito il servizio, riguardante anche la spiaggia di Cornigliano, onde prevenire sbarchi clandestini di persone o merci provenienti da terre infette  (2701 uomini, della milizia, reclutati in tutta la valle Polcevera).

 

                           carta del 1847.

da MVinzoni 1757. In alto a destra la chiesa;    A destra la chiesa della Cella segnata con * nel nero.

in basso a sinistra la dizione ‘Castello’              Il semicerchio forse delimita l’area di ingresso alla

                                                                            torre (come per la villa del Monastero a sinistra).

 

   Infatti, ancora nel 1763  nel Castello -che dava nome al rione (del ‘Comune’)- prestava servizio una guardia armata composta da compagnie scelte di soldati, comandate da Capitani; e vi si riunivano, convocati dal governatore della Polcevera GB Cattaneo, i mag.ci Agenti della Comunità di San Pier d’Arena (Francesco Ghiglione, Angelo Ramorino, Paolo Bruzzone, Michele Chiappara, Antonio Canale, GB Siromba), per deliberare ed eleggere censori; finanzieri (chiamati ‘regitori per l’esigenza delle pubbliche avarìe’, o gabellotti); deputati di sanità (Gaetano Zerbino, Giuseppe Canale, Agostino Galleano); cancelliere; traglietta (sic- forse è il nome del cancelliere? Vedi Tuvo pag.39); il predicatore per la parrocchia (in data 1779 doveva essere padre Bernardo dei Prov.Agost.Scalzi: ma scrive ‘sensibile (è) il disgusto che provo nel vedermi presentemente ridotto alla necessità di rinunziare’); cassiere (Francesco Ghiglione). L’11.5.1765 fu eletto medico, per tre anni, Antonio Capponi; egli lavorerà pagato £ 600 dal Magistrato di Misericordia, che a sua volta ha ricevuto adeguato lascito dal card. DeMarini.     Nel 1773 risultano Agenti della nostra Comunità Michele Liberti, Gaetano Tubino, Filippo Marchelli, Nicolò Canale, Domenico Galleano fu Antonio, Domenico Galleano fu Paolo.   Nel 1779  con l’avvento della Repubblica Democratica Ligure fu maire un certo Grasso, e cancelliere Angelo Frana. Nel 1792 un proclama avvertiva che nel Castello il 29 luglio davanti al governatore della Polcevera GB Spinola, sarebbe avvenuta l’elezione  dei consoli dei camalli; gli assenti  saranno esclusi dal ruolo e non potranno più esercitare l’arte nel luogo. Il Comune diventa Municipio.

Durante gli anni della Repubblica democratica Ligure, nella piazzetta antistante, fu eretto un albero della Libertà, simbolo del possedimento popolare.

      

 

   Non sappiamo quando, la torre, fu tagliata a circa due metri di altezza, a livello del cordolo sotto il quale è svasata, e sopraelevata affiancandola all’edificio nel suo lato lungo di sud, parallelo alla spiaggia (il vuoto storico è rilevabile dal 1848 quando il nuovo progetto parla di costruire ‘sul sedime dell’antico castello, riutilizzandone in parte tratti di muro come basamento’).    

   Il ‘Palazzo, quale è oggi, fu innalzato nel 1850-2 (Il Secolo scrive 1875), su progetto del praticante architetto Arnaldi Nicolò, e con la supervisione dell’arch. Angelo Scaniglia quale dipendente comunale e direttore dei lavori. Architettonicamente di un classicismo modesto, con solo funzione di rappresentanza comunale.

Ma già dall’inserimento della regione nel regno, in contemporanea alla valorizzazione della strada della Marina (o strada Reale a Torino), si sentì il bisogno di una sede comunale appropriata. Nel 1837 (28nov.) il sindaco GB Tubino annotava –invano o prematuro per i lunghi tempi burocratici necessari- la necessità di possedere una sede comunale comoda, decente e consona alle case che stavano erigendosi lungo quella regia strada della Marina. Fu incaricato l’arch. Angelo Scaniglia di ‘reddigere un piano di detto progetto colla perizia e capitolato relativi’; ma dopo pochi giorni il progetto fu bloccato per ingiunzione dell’Intendente generale reggente –conte Gasparo Sebastiano Brunet- giudicante la spesa non urgente (ma forse ‘piccato’ dal fatto che la Giunta non l’aveva interpellato, ovvero che essa ‘espresse le sue deliberazioni senza pria riportare da questo gen.le ufficio la richiesta autorizzazione a tenore dei veglianti regolamenti’).

Nel 1846 viene riportata la costruzione di un muro di contenzione, essendo in atto -da una quindicina d’anni- una erosione della spiaggia da parte dei marosi. Due anni dopo, 1848, GB.Tubino, sindaco per la seconda volta, presentò un progetto firmato da un non ancora noto ‘praticante architetto’ Niccolò Arnaldi (forse allievo dello Scaniglia che non poteva firmarlo essendo quello che –come architetto civico- doveva sottoscrivere l’approvazione; infatti il progetto fu segnalato in una lettera inviata al sindaco dalla ditta fratelli Scaniglia & C.)  che riprendeva probabilmente le tracce del precedente progetto: ovvero costruire un nuovo edificio sul sedime del precedente, utilizzando parte delle fondamenta, prevedendo un edificio a pianta quadrata e di quattro piani in altezza; con due ali laterali in avanti (da utilizzare ad uso abitativo, e con il cuo provento d’affitto si poteva pagare parte delle spese generali; così l’abitazione del Segretario comunale) a formare un cortile  d’ingresso; a piano terra la sede della Guardia Nazionale (un battaglione di armati, destinato ai servizi militari locali; vedi Balbi Piovera);

    

foto di proprietà della Biblioteca Gallino                         da vecchia cartolina postale del 1901

 

a lato mare una ampia terrazza («al centro della facciata, poggiata sull’antico bastione troncato in altezza – forse già pericolante-»); la facciata di stile neoclassico (con bugnato di pietra alto quanto le antiche mura del castello, terminato con cornice dorica sormontata da quattro colonne di stile ionico sormontate da trabeazione. Una cornice a tetto con frontone; ornati alle finestre; arcate e bassorilievi in stucco con lo stemma al centro); le scale in lavagna; le sale (con pavimenti in granito alla veneziana ed eseguiti secondo le migliori regole dell’arte; e –nel salone- un caminetto di marmo). E particolare cura era anche nei materiali d’uso:  mattoni del tipo ferrioli (delle fornaci di Savona, escludendo quelli detti ‘di Vado’); malta (composta da un terzo di calce delle fornaci di Sestri; e due terzi di sabbia ben depurata e granita; da usare calda per i muri in erezione ed estinta in fosse, per le rifiniture); le ardesie (le migliori dalle cave di Lavagna, piazzate con la massima diligenza e regolarità); le decorazioni (conformi ai disegni, eseguite con la massima maestria e precisione, usando tutte le precauzioni possibili).

Il 7 marzo 1850 l’Intendente generale applicato (della divisione amministrativa di Genova, cav. Pietro Brancaleone Curlo Spinola), risponde al sindaco trasmettendo delle osservazioni, tra le quali anche –come irregolare- la sovrapposizione dello stile attico con quello ionico; il giorno dopo la Giunta (che allora si chiamava ‘consiglio delegato’: sindaco Tubino, consiglieri Francesco Carrena, e Francesco Costaguta) rispondeva  che venivano accettate alcune osservazioni circa i disimpegni e la distribuzione dei locali, ma –dolendosi- non per le caratteristiche dello stile che contava altri esempi autorevolissimi quali il teatro carlo Felice ed altri edifici firmati dal Palladio. Il 5 aprile successivo il nulla osta (firmato dal contrammiraglio conte Francesco Serra, Intendente generale della regia Marina, essendo l’edificio in zona demaniale). Il 22 maggio dopo opportuno appalto, l’incarico edile fu affidato all’impresa genovese Bartolomeo Pertica (che presentò garante, il genovese marchese Domenico Serra, senatore del regno) mentre gli stucchi (escluso quelli del soffitto del salone, a cassettoni, affidati al pittore-scenografo del Carlo Felice, Michele Canzio) furono affidati alla bravura dello scultore Gaetano Centenaro (che intervenne anche sulla facciata esterna a  mare creando una loggia a triplice arcata; ed arricchì la facciata principale con stucchi e statue rappresentanti l’Agricoltura, l’Industria, il Commercio, la Navigazione, ed altre allegorie.  In alto sopra il frontone,  lo stemma della Città doveva essere sorretto da due figure femminili. Sullo stipite del portone la scritta ‘SAN PIER D’ARENA’ per chiaro intendere di come si scrive il nome);  i lavori di pittura furono affidati alla ditta Morgana & C.

  

 

Il 31 maggio tutto il consiglio si trasferì nel palazzo del Monastero, deliberando in più la costruzione di cantine (sotto il palazzo, utili ad essere affittate); il 20 settembre, mentre già i lavori fervevano, il consiglio deliberò alcune modifiche (ridurre la facciata ad attico piano sormontato da uno stemma con due figure, sopprimendo il frontone e fare la scala di marmo anziché di lavagna. In più ancora fare sul terrazzo delle tribune, per la pubblicità delle sedute).

I lavori si prevedeva finirli entro due anni; infatti ai primi del 1853 fu messa in atto -a limitare il piazzale anteriore- una grande cancellata di ferro dolce e ghisa del peso totale di 3734 chili, realizzata da Giuseppe Baghino; e si provvise a riempire con ulteriore gittata di rinforzo, la parte a mare.

Dopo solo 15 anni iniziarono alcune modifiche: 1868=soppressa la Guarda Nazionale, lo Scaniglia eliminò la sede e realizzò uno scalone nuovo (quale è l’attuale); nel 1875, restauro delle coloriture  (nel 1878 il giornalista Vassallo scrisse sul Caffaro-il maggio quotidiano di allora, che nel bilancio comunale di San Pier d’Arena , allora di 20mila anime, «c’è un pareggio perfetto. Imparate, padri di palazzo Tursi. Imparate dalla fenice del bilancio!» e proseguiva affermando che tanto del bilancio era riservato all’istruzione, con una biblioteca di 4mila volumi, e che era tra i comuni d’Italia a pagare meno tasse municipali); 1881 fu costruito sul lato a mare un nuovo corridoio a sbalzo, in muratura, per collegare alcuni uffici alla sala d’aspetto;

 carta dell’anno 1887

 

1889 ristrutturati tutti gli uffici; nel 1903 definitivamente accantonata l’idea di trasferirsi in palazzo Centurione,   sotto la supervisione dell’arch. civico Virginio Garneri, avvenne generale pulizia degli intonaci, marmi, statue, stemma, cornicione, pavimenti, ecc.); nel 1909 avvenne nuova ristrutturazione funzionale affidata all’ing. capo cav. Carlo Bisagno, essendo sopravvenuti nuovi servizi abbisognosi di uffici, quali il dazio, la nettezza urbana, le imposte comunali, la polizia, i pompieri (questi ultimi, l’anno dopo furono collocati a piano terra dell’ala di levante. La ‘Compagnia dei Pompieri’, creatasi quando era sindaco Gerolamo Bonanni era attiva dal 25 maggio 1858. Nel primo regolamento si stabiliva che sarebbe stata composta da 31 elementi (un capo sottotenente, due sergenti, quattro caporali -tutti in divisa ma non militari- e 24 pompieri compresi i cantonieri comunali); essendo un servizio filantropico, era gratis salvo una rimunerazione-indennità annua di base ed un cottimo ai vari servizi; quando i singoli, avvertiti di un incendio, dovevano concentrarsi al palazzo Municipale. Un progetto di ristrutturazione del palazzo comunale datato 1909, prevedeva l’inserimento del corpo nel palazzo stesso; infatti nel 1910 l’ing. Cuneo Adriano –che stata ristrutturando il vicino Monastero- previde sistemare come caserma, tutto il corpo ed attrezzature dei ‘Civici Pompieri’, nell’ala di levante.

Divenuti poi “Militi del Fuoco”,  si esercitavano presso il baraccone del sale, al lato mare; ed infine chiamati  “Vigili del fuoco”sono ora trasferiti a san Benigno (36° corpo “Genova).

 

foto 1916 – carro Ansaldo                                      foto 1921

 

Nel 1924, a marzo, il sindaco, comm. Manlio Diana, chiese al Ministro della guerra due bombarde austriache da 225mm, bottino di guerra che ristette fino all’immediato dopoguerra,.da usare quali ornamento dell’atrio e quale riconoscimento del grande contributo offerto dalla città al vittorioso sforzo bellico.

Con il 1926, tutta la parte amministrativa ed archivistica fu trasferita a Genova; da allora, con la scusa di varie altre ristrutturazioni (tipo sistemazione dell’Ufficio del Registro e della regia Pretura; o rifacimento della vetrayta a mare), la direzione centrale genovese, un pò alla volta spogliò la nostra sede decentrata di vari beni artistici che possedeva: un ritratto di Vittorio Emanuele II in grandezza naturale, del 1862, di Nicolò Barabino; ed un ritratto di Vittorio Emanuele III di Angelo Vernazza, ambedue spostati al Museo del Risorgimento. Sono alla GAM invece il bassorilievo marmoreo di Edoardo D’Albertis, raffigurante la maternità e già collocato nel salone ed il ritratto del Barabino eseguito da Alfredo Luxoro. Sono rimaste due oggetti: il busto del Cavour scolpito da Stefano Valle posto nel salone del CdC, ed il grosso quadro rafigurante la madre del pittore Dante Conte, che lui stesso donò in cambio dei ripetuti sussidi ricevuti, ora nello studio del Presidente del CdC.

  

Nel 1929, ormai inclusi nella Grande Genova, i lavori venivano pensati e gestiti dal centro: le sedi per l’Ufficio del Registro e per la regia Pretura; la chiusura con vetrata della veranda verso il mare; la facciata a nord. Nei tempi a seguire, con la scusa delle ristrutturazioni, l’edificio venne dal Comune centrale spogliato di gran parte dei beni artistici che possedeva: un ritratto in grandezza naturale del re Vittorio EmanueleII di N.Barabino datato 1862 (ora al Museo del Risorgimento);

Nel 1932 ed ancora poi l’anno dopo, fu registrata una nuova necessità di restauro generale (il podestà di Genova, sen. Eugenio Broccardi, ritiene necessari lavori di rinforzo essendo stata compromessa la stabilità generale causa i lavori di adattamento parziali  precedenti, non coordinati). Essi furono affidati alle imprese sampierdarenesi  Ennio Sandali per la parte muraria; ed Giuseppe Parodi per la coloritura. Il 30 ottobre 1943 un bombardamento aereo compromise le strutture (quello che contemporaneamente colpì anche il chiostro vicino della Cella); gli uffici comunali dovettero essere trasferiti nella scuola elementare Giuseppe Mazzini. Il non uso fece cadere l’edificio in stato di degrado totale, venendo utilizzato da sbandati i quali –come segnalato dal capo dell’ufficio Igiene e Sanità- non si peritavano di farne uso quale ‘gabinetto di decenza’. Cosicché, dal settembre 1946 fino al 6 aprile 1949, avvenne una ulteriore ristrutturazione, con sostanziali demolizioni delle parti pericolanti, consolidamento delle altre, ricostruzione e ristrutturazione del tutto (committente il Comune di Ge, con contributo del Genio e forse del Demanio; direttore dei lavori gli ing., prima Mario Braccialini poi Ettore Pavolini; l’impresa di Vittorio Bellotti; stuccatori i genovesi Pietro Burlina ed Arduino Romano, che ripresero e reintegrarono gli stucchi del Centenaro andati distrutti).

Dal 1970 è sede gli uffici comunali decentrati dipendenti dalla divisione territoiale (anagrafe, nascita e morte, ecc.), del Consiglio della Circoscrizione II del Centro Ovest e della polizia municipale.

  

sala del Consiglio municipale     con busto di Cavour                   ed uno degli stucchi decorativi

 

Nell’anno 2002 avevano scritto essere transitati oltre 32mila persone, per dovuti atti d’ufficio (215 gli interventi a casa per i non ambulanti). Un progetto di architetti alessandrini,  prevedeva un  restauro con una spesa di 4miliardi di euro ed è stato accantonato per tempi futuri. Si sperava in un ascensore anche se non facile da localizzare. Finalmente, entrando a sinistra nell’atrio, a piano terra quindi, nel 2005 è stata aperta una ala fatta ad L con gli uffici dell’anagrafe comunale, evitando così il grave problema degli anziani ed handicappati. Prima di questa data il primo –o piano nobile- era destinato agli stessi uffici con i suoi sportelli pubblici avevano accesso (anche il salone del Consiglio di Circoscrizione) tramite uno scalone assai disagevole per gli anziani ed impossibile per  gli handicappati (così gli ufficiali comunali sono impegnati a scendere).

Dal 2007 con l’istituzione del nuovo sistema di decentramento, è divenuta sede della Municipalità del  CentroOvest.

 

==oggi -   =1= ESTERNO:   Nella facciata anteriore, il piano terra : una volta (anni 1920)  i vani erano adibiti a magazzini e depositi di macchinari, ed per i  pompieri   Oggi appaiono vuoti.

(a) l’atrio è adibito a posteggio delle auto di servizio.

(b) a ponente dell’ingresso A)-nell’angolo, han sede  i VV.Urbani.

(la soc. Colombofila “Ala Ligure”?); B)-nell’ala, tramite le scale nell’ala destra, al 1° e 2° piano ? ; al terzo piano la sede del Municipio (exCdC). 

oì) a levante dell’ingresso, C)-nell’angolo sino al 2003 c’era il CEM (Centro Educazione Motoria, della USL, con palestra gestita da un medico fisiatra e mirata al ricupero funzionale dei motulesi. È stato traslocato in via T.Molteni nella sede della USL); -D) nell’ala di sinistra (da un portone d’ingresso, al civ.int.10) -le Assistenti sociali comunali  -Una targa al 3° piano segnala la presenza del “Risveglio Musicale” già Circolo Mandolinisti, fondato da dodici appassionati nel 1923 (a Genova e delegazioni, allora ne nacquero ben otto gruppi, legati allo strumento già usato con passione da Bach, Beethoven, Berlioz, Mozart, Vivaldi, Hummel e lo stesso Paganini che usava un mandolino a sei corde doppie ma -rispetto oggi- con una ottava più alta).

  

 in prima fila con giacca e cravatta il pittore Maestri – residente in via CRolando 35.

Non ebbe una sede fissa, dovendo essere ospitato da varie società (tra cui la ‘Fratellanza e Amicizia’e la Operaia Universale; in via Saffi 14 (v.C.Rolando) presso le scuole Carbone.    Solo nel 1978 ebbe in concessione i locali attuali, dove anche vengono custoditi partiture e manoscritti musicali di alto interesse storico. Come sempre in tutte le associazioni, gli alti corrispondono a manifestazioni di abilità nell’uso del plettro, nazionali ed internazionali di rilievo: a Varazze un festival specifico diretto da Carlo Aonzo, in cui ai vincitori viene consegnato una copia del mandolino genovese detto "amandoìn". In occasione del sessantenario (1983) forte di oltre trenta orchestrali,  organizzò un ‘convegno internazionale per orchestre a plettro’ nella sala D.Savio alla quale parteciparono sette complessi italiani ed uno viennese. Nel 1985 Vienna ricambiò l'incontro.    Nel 1988 dirigeva il gruppo il maestro Vittorio Benvenuto. Nel 1989 rimasero unici nella grande Genova, ed anche loro rischiarono l’estinzione per carenza di ‘vocazioni’. Nell’aprile 1998 si eseguì un concerto al Centro Civico, con 21 musicisti (11 mandolini, 3 mandole, 6 chitarre, 1 basso). Diminuito l’interesse verso lo strumento usato "a pizzico", la associazione vive organizzando corsi di orientamento musicale e partecipare a raduni, scambi culturali musicali e concorsi.    Nel 2005 sono sempre attivi in 15 artisti il cui tipo di musica ha appassionati anche nelle Americhe ed in Giappone. Quest'anno, suoneranno a Mele (parrocchia di Fado) e dalle Clarisse di Albaro. Offrono una scuola (alla quale erano iscritti nel 2004 sei allievi): iscrizioni anche gratuite ai ‘corsi di orientamento musicale’ per i vari strumenti a plettro (sotto l'insegnante maestra MariaGrazia Criscenzo e direttore Fausto Chierchini; mandolino, mandola, mandoloncello, liuto, chitarra, basso) ma per tutta la musica in genere, compreso pianoforte, fisarmonica, canto, sax, chitarra e violino). Telef. 010.645.0872; e per internet, www.federmandolino.it

   L’INTERNO è suddiviso in quattro piani, dei quali il vasto atrio, posto trasversalmente all’ingresso, evidenzia ai lati due grosse lapidi:

quella a sinistra (o levante, attualmente –anno 2011- con scritta dorata su marmo nero - completamente coperta da un gabbiotto ad uso del personale di portineria) segnala:      

                              A PERENNE RICORDO

                                             DEI   SAMPIERDARENESI

                                              MORTI COMBATTENDO

                                      PER L’INDIPENDENZA D’ITALIA

                                                      IL MUNICIPIO

                                                 ________ o ________            

                                      DANOVARO ANDREA        soldato                               

                                     TRAVERSO QUIRICO   volontario esercito meridionale

                                     GALLEANO PAOLO        S.Tenente

                                     ROSSI CARLO                soldato   

                                                          MDCCCLXII

                                       

            

quella a destra, munita di un grosso stemma, composto da una ala di aquila con sovrapposto un gladio distintivo dell’Associazione, due fiaccole dorate, quattro borchie di bronzo agli angoli  lavorate dal Lagorara, ricorda:

                 L’ASSOCIAZIONE NAZIONALE VOLONTARI DI GUERRA

                                      SEZIONE DI SAMPIERDARENA

                                          AI SUOI GENEROSI CADUTI

                          NELLA GUERRA ITALO- AUSTRIACA 1915-1918

S.Ten   VERGNANO EUGENIO   1883                     S.Ten PANZACCHI WALTER   1897

Asp.Uff  LOMBARDO CESARE  1892                        Cap.Magg COSTA NICOLA      1885       

sol.       ABURTICCI UMBERTO   1896                    sol.  GROSSO   EUGENIO        1885

sol.       ALLOERO UMBERTO 1900                         sol. MACCIO FERRUCCIO     1896

sol.       GAUCCI  (o Caino) FRANCESCO 1897        sol. MARTINI PIETRO

 

Al primo piano, il Secolo cita altre strutture ospitate: il Let, l’area tecnica, il distretto sociale (che non conosco e di cui non c’è traccia nell’opuscolo della Circoscr. 2003/4).  La sala delle adunanze consiliari, il Centenaro collaborò con il pittore Canzio (padre del generale garibaldino, a lui toccò dipingere il soffitto a cassettoni); rettangolare, ebbe dapprima una dimensione che perdette di eleganza quando negli anni 1920 fu deciso abbattere una parete per allargarla, lasciando un arco. Qui trovasi  oltre agli adorni del Centenaro (allegorie, putti, fregi, busti dei personaggi dell’Indipendenza –che pare non ci sono più) un busto di Cavour in marmo (dello scultore Stefano Valle; sotto il dominio dei Savoia, inneggiare Cavour era ovvio e supino riconoscimento di aver deciso il futuro industriale del borgo, nonché sentirsi sollazzati ed inorgogliti per averci fatto diventare città) ed una lapide affissa nel salone consiliare il 25 apr.1977 a ricordo dei Caduti della resistenza di San Pier d’Arena  (“RICORDARE PER CHI HA VISSUTO – CONOSCERE PER CHI NON C’ERA – COSTRUIRE UNA SOCIETA’ LIBERA – É IL TESTAMENTO CHE I CADUTI PARTIGIANI – CI HANNO AFFIDATO ATTRAVERSO IL SACRIFICIO“; in basso, delle parole di L.Hughes “ HO DATO CIO’ CHE DESIDERAVO – E QUANTO AVEVO DA DARE- PERCHÉ ALTRI VIVESSERO”). 

 

 

 

 Un ritratto di Vittorio Emanuele II del 1862 eseguito da N.Barabino a cui fu ordinato dalla municipalità -(il re in piedi, in proporzioni dal vero)- fu trasferito all’Istituto Mazziniano, in cornice che in basso porta ancora il nostro stemma cittadino in rilievo; altri bozzetti -donati dal pittore al municipio- vengono conservati in sedi diverse, come anche il ritratto del re Vittorio Emanuele III dipinto da Angelo Vernazza  e dello stesso Barabino dipinto da Alfredo Luxoro (dove sono?)***.

Altre lapidi ricordano

==”a Giuseppe Garibaldi – Sampierdarena – che dei molti animosi suoi figli – a lui seguaci nelle mirabili imprese – i quattro in battaglia spenti – associa a lui nella gloria del bronzo – Quirico Traverso – Paolo Galleano – Priamo Macciò – Carlo Meronio – MCMV”, dettata da AG.Barrili. Sono i quattro già ricordati sul monumento a GGaribaldi in piazza Monastero.

Il Palazzo, definito dalla Soprintendenza per i beni architettonici della Liguria. ‘ex sede Comunale nell’ant.Torrione’, dal 1934 è vincolato e tutelato.

L’ultimo ristoro alle scale, porte e lapide ai caduti ci risulta, fu dato nel 1986.

===civ 34a : fu demolito nel 1962

 

===civ.36il palazzo del Sale.  Malgrado Genova sia affacciata sul mare, non ha la possibilità di produrre il sale, elemento indispensabile per il cibo e la salute. Il lungo caseggiato ha tre quinti di levante, coperto a tettoia  a V rovesciata; due quinti a ponente, rimasti a piatto -dopo aver abbassato l’edificio originale.

Sulla strada principale i segni di tre entrate.

 

foto anni 1970

                                                                           

                                                                                        foto 2009

 

STORIA=   A Genova, già dal 1152 fu costituito un monopolio di importazione (dalla Provenza, Sardegna, Ibiza) ed esportazione (alla Toscana -specie Lucca e Firenze-, al Piemonte- lungo il Roja e Tenda-, e Lombardia), cointeressando e creando non piccole controversie tra la Repubblica genovese, ed i provenzali, i vari feudatari e signori locali, ma soprattutto i Savoia i quali forse da allora ambirono poi sempre ad ‘allargarsi’ al mare).  Severe disposizioni proteggevano i trasporti, lo scalo, la conservazione, il mercato.   Dal porto cittadino, l’arrivo era sul molo presso il ponte di san Lazzaro o a porta dei Vacca, ai vari depositi urbani ed extraurbani,  le varie ‘vie del sale ’ per il trasporto ed   il controllo di questo traffico furono sempre motivo di grandi contese, di grandi ricchezze, punta di diamante per tutti i commerci secondari  ( più d’una erano le “vie del sale”  ; innumerevoli erano quelle illegali, dai cosiddetti ‘spalloni’ a vere e proprie carovane; il traffico monopolizzato avveniva lungo percorsi ufficializzati che a dorso di mulo veniva fatto incolonnando i muli  in carovana e sotto scorta fatti arrivare al di là dell’Appennino : la più nota, detta anche Napoleonica ma in realtà molto più antica,  è da Genova-i forti-Torrazza-san Bernardo-Vicomorasso-Busalletta-Crocetta d’Orero-Casella-Niastrà-Costa-Sorrivi inferiore-Vobbia ).

Per noi di San Pier d’Arena, dalla nostra  san Martino la strada -detta dapprima Postumia, poi “chemin de la Bochetta et de Pavie”- arrivava  sempre percorrendo tragitti a mezza costa o comunque sulle alture proprio per evitare le bizzarrie del Polcevera dapprima a  PonteX , poi Campomorone (ove esiste un altro grande deposito, avente sul lato opposto delle strada i ruderi di eguale deposito seicentesco), e Langasco - passo della Bocchetta : veniva trasferito in Piemonte via Voltaggio-Gavi o via piano di Murcarolo (dal cui traffico nacquero le ‘Capanne di Marcarolo’) -Ovada).

   Un vero esercito di uomini era impiegato e limitato al controllo di questo prodotto;  senz’altro in proporzione nettamente superiore a qualsiasi altra merce, fosse anche il grano. E poiché il compenso veniva dato in porzioni di prodotto, ancor oggi la retribuzione operaia viene chiamata salario. Fatta la legge, un modo elegante per raggirare la tassa del sale divenne il trasporto delle acciughe liguri già preparate in arbanelle, dalle quali  poi derivare il prezioso materiale: da questo ’raggiro’, è rimasta la tradizionale annuale festa dell’acciuga a Canelli.

   Nel XIII secolo, la Repubblica si accordò con Alessandria per dar vita ad un itinerario , detto della “canellona”, che da Voltri vi arrivasse tramite le valli dell’Orba e dello Stura.

   Nel XVII secolo il sale, sempre proveniente da Trapani o Ibiza, veniva conservato in magazzini al molo, da cui veniva smistato via mare verso San Pier d’Arena dalla cui spiaggia direttamente con i carri avviato all’interno; il servizio trasporti era dato in quell’epoca in appalto ad imprenditori capaci di fornire l’intero servizio: nacque allora la saliera di Campomorone, altrimenti detta Torre d’Amico dal nome del ricco borghese  che si era aggiudicato il trasporto verso Milano via Bocchetta-Voltaggio. Dalla spiaggia  le vie più utilizzate allora erano anche quelle verso Crocetta d’Orero (detta ‘strada dei feudi imperiali’); o quella verso Paravanico-Praglia-capanne di Marcarolo; o Giovi-Busalla.

   Nel  1716 la Repubblica genovese come al solito era in difesa, per sfuggire le innumerevoli trappole che le potenze europee tendevano per cercare la scusa legale di soggiogare il potere economico genovese sul mare. Così un catalano, forte della protezione di immunità parlamentare imperiale di Carlo VI, dopo aver creato soprusi e violenze fu  fatto arrestare dal senatore Rolando DeFerrari:  l’Austria  si offese, e considerando i principi italiani non liberi sovrani nel loro territorio ma tutti sudditi di Vienna, inviò seimila tedeschi da Milano ad invadere le frontiere della Repubblica. Essa dovette sottostare così al pagamento di 30mila scudi, punire il DeFerrari, rinnovare a Vienna le scuse e creare un deposito franco per il sale a San Pier d’Arena.

   Il 16 ago.1800 (comandante Massena in Genova, ed  il gen. Menard per le Finanze), ci fu un grave malinteso tra le autorità francesi e quelle del municipio locale (gestito da Lombardi, Carena, Rollero) perché -secondo l’accusa- era stato ostacolato lo sbarco ed i mulattieri addetti al trasporto del sale, in pregiudizio della Repubblica; questi dirigenti furono oggetto di ‘arresto duro’ e dimissioni imposte, perché ritenuti incapaci di resistere alle ‘ingiuste’ quotidiane pretese della popolazione; da questa accusa ne derivava per loro disonore, incriminazione e minaccia di fucilazione.  E’ di quella stessa epoca un insediamento militare in un edificio del nostro borgo  di proprietà demaniale , con deposito di armi e polvere; la gente molto si spaventò quando un temporale con fulmini creò il panico dell’esplosione di quelle polveri sbarcate sulla spiaggia ed accumulate nel deposito . Ne conseguirono una serie di rimaneggiamenti ed ampliamenti, come l’allungamento verso ovest ed una successiva sopraelevazione).  

   Sino ad allora quindi, la spiaggia del borgo era sede di sbarco e di transito, ma non di stazionamento del ricco materiale. 

   Tuvo riporta di una lettera –datata 22 dis.1825- del Direttore delle regie Gabelle e Sali e Tabacchi, al sindaco (Vincenzo Canale) «desidererei avere una conferma con V.S.Ill.ma per parlare di qualche cosa relativa alla costruzione di un magazzeno da servire al deposito del sale che l’azienda generale sarebbe disposta a far eseguire in codesto Comune. Sarebbe utile che vi fosse anche il signor architetto Scaniglia».

La proposta ebbe una eco favorevole nella popolazione (nuovi posti di lavoro per i facchini; e interesse del governo al borgo) e nel Consiglio comunale.

 

Nella seduta del 19 gen.1827 il Consiglio comunale di San Pier d’Arena (sindaco Giuseppe Vernengo) diede parere positivo affinché  il direttore dell’”azienda regie Gabelle sali e tabacchi” iniziasse a far costruire un magazzino da servire a deposito del sale in zona dominata dai venti più asciutti, considerato che la suddetta Azienda era disposta a farlo erigere a proprie spese.  Fu offerto un terreno non utilizzabile a orti, eliminando alcune precedenti costruzioni ormai obsolete,  nella speranza per il borgo di ricavarne un utile specialmente per la classe più bisognosa dei facchini (il ruolo di facchino era allora ben regolamentato sia nei diritti di trasporto -un soldo per ogni mina immagazzinata a piano terra, due ai piani superiori-; sia se le granaglie destinate ai nostri depositi venivano sbarcate fuori della nostra spiaggia: venivano pagate come se fossero state sbarcate qui; sia per la fornitura della mano d’opera: ad esempio, per il palazzo del sale erano arruolati dal quartiere a ponente  91 facchini; da quello del centro, 81; da quello a levante,163).  

Così su progetto del sig. arch. Angelo Scaniglia l’edificio prese forma, e fu reso funzionale entro pochi mesi, secondo una antica tecnica del genio militare sardo basata sull’erezione di veri e propri bastioni, di formidabile e resistente struttura.

Non senza ‘mugugni’:  l’Intendente scrive al Sindaco affinché provveda ad “avvisare gli impresari della costruzione dei magazzini del sale che in vicinanza delle porte della Lanterna usano tale negligenza che compromette  la pubblica tranquillità e la sicurezza. S’avverta il pubblico dei loro spari (cioè uso di mine nella cava) e si diffidino i trasgressori”

 Rimane suddiviso in sei ampi spazi di 160 mq ciascuno. Nella carta del Porro, del 1835, compare il lungo edificio come appartenente al “regio Mag.to del sale”, posto poco a ponente della torre (ancora isolata, del Comune; e nella carta, chiamata “capo...?...”)

  

 

Quindi questo nostro ‘baraccone’ non appartiene come tappa ad una delle antiche via o ‘strade del sale’ in quanto l’epoca di erezione combacia con quella -di pochi anni dopo- della ferrovia.    Nel 1864 sappiamo che velieri liguri, armati da cittadini locali, sbarcarono sulla spiaggia sampierdarenese ben 542mila tonnellate di sale di Cagliari.

   Rimase in funzione sino alla decade tra gli anni 1930 e l’inizio della seconda guerra mondiale, (anni in cui fu aggiunta una appendice ad ovest, poi franata).

 

   Negli anni dopo il 1970,  il Ministero delle Finanze lo pose in vendita, ma  l’asta fu bloccata da una reazione popolare che temette la speculazione, e favorevole all’assessore al Patrimonio (Gualco) che mirava a far acquistare il manufatto dal Comune; nel 1975 l’assessore all’Urbanistica (Lapi) riuscì a farla destinare ad area ad esclusivo uso popolare del quartiere, e così riconosciuta da tutti i piani regolatori emessi dopo.

   Nel giugno 1980 la proprietaria Manifattura Tabacchi (dei Monopoli di Stato, con sede a Lucca), -dopo arzigogolati rigiri e preso visione della precarietà-, vi pose una recinzione con tubi innocenti a V, e fece abbattere (dall’agosto, spesa di 119 milioni) la parte sopraelevata costruita dopo, e non appartenente alle mura storiche. Durante tale demolizione effettuata dalla ditta Rovatti, una grossa parte del manufatto aggiunto dal alto ovest crollò, rischiando di provocare una tragedia (Nella parte a ponente, era stata aggiunta negli anni 1930 una parte usata come uffici dalla dogana e come abitazione degli impiegati, poi dagli operai addetti alla fase di risanamento: nella notte tra 21 e 22 dic.1993 la costruzione franò presumibile per demolizione o rottura di qualche trave portante che indebolì la struttura, seppellendo e fratturando una gamba ad un guardiano che custodiva gli spogliatoi ed il materiale della ditta Carena, contenuto in container appoggiati al muro, e da utilizzarsi per i lavori nel futuro palazzo delle poste; questa appendice fu eliminata radicalmente,  tutta: se ne intravede il segno sulla facciata. Questo incidente fu innesco per proposta di eliminazione di tutto il vetusto magazzino

    Nel 1994 emerge anche  una “manifattura tabacchi di Milano, organo competente per la manutenzione dell’immobile” che in quell’anno  diede corso a dei lavori -per una spesa di 3-400milioni- con messa in stato di sicurezza (rimozione rifiuti e detriti interni; copertura in rame,  e rimozione delle protezioni esterne) .

   Nel 1995 la questione è finita in Parlamento, oggetto di una interrogazione dell’on. Roberto Di Rosa: il Ministero apparve disponibile a modificare i vincoli ed a cedere al Comune -a titolo gratuito o corrispettivo simbolico-  perché lo gestisca a favore del quartiere.

   Nel 1996 finalmente si parlava di donare il palazzo alla bocciofila Bottino, ma nel 1999, nulla di tutto fu fatto. Nel febb.  2000 si dava scontato la regolarizzazione della bocciofila, con l’accordo di un affitto al demanio (per l’area a levante del palazzo, per un totale di 600 mq).

      La parte a ponente (ma il cui ingresso è proprio il civ.36) è stata occupata il 23 novembre 1996 e mantenuta dal gruppo ribelle sociale autogestito del Centro sociale “Emiliano Zapata (Il nome è tratto dagli omonimi guerriglieri messicani del Chiapas, guidati da comandante Marcos. Il movimento, nato a Milano (dal Leoncavallo), rientra nell’area dei “No global”; aprì le sue iniziative di autonomia gratuita, in Genova  il 6 gennaio 1994 occupando la scuola di salita Bersezio. Col beneplacito e semiclandestino silenzio delle Autorità che così forse possono meglio controllare le attività di questa realtà giovanile estremista,  più o meno legalmente ed irruentemente inserita nel panorama culturale di oggi, prevalentemente tollerato ed appoggiato alla politica della ultra sinistra, fautori di iniziative spesso al limite della legalità (dichiarandosi anarchico-antifascisti per cultura, non disdegnano azioni similfasciste = sarebbe necessario stabilire quando e cosa vuol dire “fascista”: per me è quando c’è arroganza, ovvero carenza di democraticità (ovvero di libertà di parola ed azione degli altri) con azione di soprafazione senza dialogo e con l’uso della violenza; scarsa considerazione delle necessità dei convicini territoriali (mugugni per il chiasso notturno). Ne conseguono, contrasti fisici specie con gruppi altrettanto estremisti (SPd’A fu “blindata” a fine febbraio 05 per un comizio di Alleanza Nazionale in piazza Modena); cortei pro diseredati nel mondo, come i Curdi (e questo è condivisibile, ma unico rispetto le innumerevoli minoranze vessate nel mondo – dall’Africa al Tibet ignorate: lascia pensare ad organizzazioni che ‘usano’ uno scopo buono – i Curdi- per solo are casino e manifestare contrarietà alle istituzioni); o programmi di presenze fuori città da raggiungere con mezzi pubblici senza pagare i biglietti. Centrale strategica ed operativa delle mobilitazioni ‘anti o contro’ (antirazzismo, antiproibizionismo, antifascismo, antiguerre) che hanno portato la città all’attenzione nazionale e mondiale, dal Tebio (salone delle Biotecnologie: le “tute bianche”) al G8 (i disobbedienti); alla guerriglia urbana del luglio 2001; all’occupazione di altre case sociali (al Lagaccio la “Terra di nessuno”-; a Prà il centro Baraonda; Bolzaneto gli “Inmensa”; Molassana il centro Pinelli; in centro, in via Bertani, il Laboratorio Buridda; tutte definite ‘spazi autogestiti’ e sedi della nuova ‘disobbedienza civile’); comunque motori di ‘graffianti’ attività sociali specie no-global, musicali con nomi di spicco internazionale (nel 2004 fu ospite il guayanese Neil Frazer - detto Mad Professor - mito della musica reggae (della quale abbiamo a Genova il gruppo ‘the Goutez’ della ‘Zena Reggae Foundation’), ed a vantaggio dei più emarginati (diritti degli stranieri), campagne antiproibizionismo (ovvia quindi la disobbedienza alla legge contro il fumo, non si esclude quella all’hashisc ed a tutte le droghe pesanti).

Sono quindi un movimento che cerca di organizzarsi esprimendo una realtà estrema del disagio giovanile, con un piede nella ragione ed uno fuori, giustificati dall’essere troppo spesso disoccupati e quindi giustamente arrabbiati.

Reduci appunto dall’occupazione di un palazzo ex-scuola posto in salita Bersezio (che terminò con l’intervento delle forze dell’ordine, le quali procedettero con la forza allo sgombero tra segnali dalla popolazione di solidarietà e di ostilità); poi altra scuola dismessa in via Pellegrini al Campasso; idem fugace alla Crociera in un ex capannone dell’Ansaldo di via Operai; poi idem a Granarolo; infine qui dal 1977, cercando meno irruentemente di inserirsi nella vita del quartiere senza creare disagi ai residenti, ed utilizzando i locali per riunioni e feste loro, anche se senza autorizzazione di agibilità, ma con la sponsorizzazione del Comune sia per i manifesti dei concerti (nel 2004 il guaianese-inglese Neil Frazer alias Mad Professor mito della musica reggae, e la band genovese dei The Goutez) sia per la concessione di applicare inferriate alle finestre; e sia per la corrente elettrica alla quale sono allacciati ma - si dubita molto - abusivamente).

Ultimo scontro –come già accennato- avvenne a fine febbraio 2005 con esponenti del partito politico Alleanza Nazionale che in piazza Modena cercava firme  contro la illegalità dei centri sociali e pro loro chiusura (in odore di provocazione). Minuti di forte tensione, scintille, parole ed ortaggi; cordone di polizia; saracinesche chiuse. Tafferuglio tenuto sotto controllo dalle forze dell’ordine. I soliti discorsi tra sordi: uno accusa l’altro di illegalità; gli altri di fascismo ed antidemocraticità negandosi la libertà di espressione.

 Non ultima, era che entro il 31.12.2000 il Ministero del Tesoro, con scritto della direzione centrale del Demanio, ne aveva decretato la vendita all’asta proponendoli come privi di interesse, valore che però era da confermarsi da parte della Soprintendenza  (nel Genovese tutte in pessimo stato di conservazione, rientravano nel progetto la casa Bonino Ratto (un rudere nel centro storico adiacente ad un ex convento del 1600; volume di 6750 mq di valore catastale 758 milioni), il Deposito del Sale (15.200mq, valore 2970), 5 fortificazioni (Begato, Diamante, Puin, Sperone, Fratello Minore. Area complessiva di 8 ha));  con l’invito all’assessorato al Patrimonio del Comune di non far utilizzare le aree (idea questa che ha creato disagio tra i soci del club Bottino). Nell’aprile 2000 la Soprintendenza qualificando le strutture quali beni di interesse storico-artistico riuscì a fermarne la procedura.  La costruzione, di m. 120x15,  in pietra viva, ben aerata, capace di conservare il prodotto all’asciutto in sei capaci magazzini di circa 160 mq cadauno; e nella parte a ponente con scale che consentono l’accesso a varie altezze con uffici -una volta occupati da dipendenti delle dogane-, è considerato malgrado la sua mole abbastanza sgraziata e la sua incombente inutile presenza, un bene inalienabile, e pertanto da non distruggere anche se da molti decenni non sono stati pochi i tentativi e le voci favorevoli ad abbattere il deteriorato -ma sempre possente- manufatto. Nella parte a levante, si susseguono tre enormi vani , vuoti, in terra battuta (i locali verrebbero molto utili alla vicina sezione di pétanque per i tornei al chiuso, in attesa di trovare idee altrettanto utili e poco costose come dei centri giovanili, da soddisfare un po' tutte le età).

   Così, alquanto malconcio, viene popolarmente chiamato “Baraccone del sale”; come già detto, per la ferrovia antistante era prevista una fermata davanti al palazzo chiamato ‘Salaccio’.

   Molteplici sono gli enti competenti interessati: dal Consiglio di circoscrizione, i cui progetti ed interessamenti, nel gioco delle varie competenze, purtroppo contano  ben poco; alla Sovrintendenza per i beni ambientali ed architettonici della Liguria a cui non interessa l’uso del fabbricato ma solo la sua conservazione; di conseguenza applica i vincoli conservativi ritenendolo monumento nazionale in quanto raro esempio in tutta Europa di antica salina ( legge 1089 del 1.6.1939; solo in sede ministeriale possono essere valutati progetti diversi dalla manutenzione -se non altro delle strutture esterne-, purché di interesse pubblico prevalente);  al CAP sul cui terreno è eretto e vi possiede una pesa pubblica;  ma soprattutto al Demanio ( Ministero delle Finanze - amministrazione dei monopoli, con sede a Lucca) che lo possiede e che dovrebbe cederlo al Comune ( il quale,  nel piano regolatore ha previsto l’area “ad uso pubblico”: cioè si impedisce qualsiasi altra utilizzazione),  ma -non si sa perché- non avviene.

   Ancora nel febb.2001 si è scritto di riaccese ed improvvise trattative di vendita, per alienazione da parte del ministero del tesoro e delle Finanze intenzionato a vendere dei beni, compreso alcuni forti (per i quali solamente però è nato il veto dei Beni culturali). Ovvia la richiesta di prelazione da parte del Comune e circoscrizione. Ma la notizia è finita lì.

   Nella parte più a levante, vicino al Comune, per 5-7 metri manca il tetto. Cosicché nel settembre 2004 un ampio tratto del muro perimetrale sul lato nord-est  crollò all’improvviso: solo danni alle cose. È stata l’Agenzia del Demanio ad appaltare i restauri urgenti (ditta Edicato) con una spesa di 75mila e.  Ma ne occorreranno altri 200 e più, per riqualificare l’opera nella parte mancante di tetto (la cifra è uguale a quella impiegata 10 anni fa, per riparare i già fatti ¾ del tetto). Si ripropone che la proprietà è dell’Agenzia del Demanio il quale  ha dato a Tursi la concessione all’uso; il Comune ha la prelazione nell’acquisto, ma la cifra o non  stata dettata o è eccessiva. L’importanza architettonico-artistica è del portale. 

 

==PIAZZA DELLA DOGANA (senza targa)

===civ. 38: grande palazzo che comprende anche il seguente portone, civv.38+40 decorato con grosse facce in gesso di tipo leonino.

 

civv. 38 - 40  e civ. 42 degli ex bagni Vittoria ed ex-docce

 

Nell’angolo a levante, a piano terra, l’entrata di un club “ACE-IN” di giochi a carte, compreso il poker con modalità legali. Il locale, il 24 nov.2008 è stato scena di drammatico evento, legato ad un insano giocatore Giorgio Moriconi, di anni 36, che –sconvolto da una esclusione al gioco- con una tanica di benzina ha dato fuoco al locale rimanendo gravemente ustionato ma uccidendo nel rogo due persone (il titolare –Michele Manto, 58 anni- ed una giocatrice –Silvana Rossi, 66- ustionati pressoché al 100%, sopravissuti per pochi giorni). L’accusa di strage (sino al 1944 punibile con pena di morte) porta all’ergastolo; ma riconosciuto nel 2010 semiinfermo mentale avrà lo sconto del 33%.

Civ. 40 -  Sopra il portone del 40 una piccola effige della Madonna della Guardia. Carino è l’atto di autorizzazione alla costruzione dell’edificio. Dice: “regia patente del 22 apr.1834, colla quale sua Maestà concede un’enfiteusi ed albergamento perpetuo a Domenico Galliano e Domenico Testa ...negozianti, produttori di olio d’oliva, nati e domiciliati a Sampierdarena -mandamento di Rivarolo, provincia di Genova- ...Testa che ha dichiarato di non sapere firmare e si è crocesegnato ... dopo lettura e spiegazione dell’atto ...metri q. 640 (40x16) di sito arenile formante parte della spiaggia del mare... e posto in fronte degli altri caseggiati di quel sobborgo...posto tra la sboccatura dell’acquedotto della Crosa dei Buoi e lo stabilimento dei Sali...all’oggetto di ivi erigere un fabbricato...su un terreno che resta a guisa di monticello elevato irregolarmente dal piano della Strada e dalla spiaggia...confinante a levante con altra casa del sig. Testa Domenico, dal lato a ponente con sito arenile e mediante questo con casa dé signori fratelli Canale...di tre piani oltre i fondi terranei ossia magazzini (sotto uno dei quali passa il Canale della Cloaca comune, ...l’ultimo dei quali piani ossia quello a tetto diviso in due appartamenti ...sia da pagarsi in perpetuo a favore del regio Demanio un canone annuo di lire nuove 11 e cent. 52 ... e sia distante da quelli laterali 40 m. almeno, la cui larghezza non si estenda verso il lido oltre 16 m dalla linea dei medesimi verso la strada Reale...non sia praticata alcuna porta dal lato del mare e tutte le finestre al piano terreno siano munite d’inferriate fisse ...avendo preso in considerazione il vantaggio che ridonda agli abitanti di quel sobborgo dalla costruzione ....

Nel 1879 avvenne la servitù di condotta d’acqua Nicolay per mezzo di canali di piombo sottostanti il pavimento del magazzino (quando prima c’era solo una cisterna da cui l’acqua veniva estratta con una pompa collocata nel corridoio a vestibolo di accesso alle cantine).  Nel 1929 il palazzo fu sopraelevato degli altri piani.

===civ. 42. piccola palazzina con -a fianco del portone- il:  

===civ. 164r: Ex albergo diurno, popolarmente ‘le docce’.

Nato come stabilimento balneare chiamato Vittoria, fu -alla costruzione del porto antistante- riutilizzato a bagno o doccia per il pubblico che in casa si lavava con la conca perché i servizi casalinghi, chiamati ‘latrine’, o erano rappresentati dalla sola tazza – e il più spesso collocate su un terrazzo o in cucina - o comunque non possedevano la vasca (perché di doccia non ne parlava nessuno sino agli anni 1960 ed oltre, insegnata dai film americani (tinozza; vasca per i più benestanti).

Chi aspirava a questa ‘modernità’, punto di riferimento per anni è stata questa palazzina, ove il gradevolissimo abbondante ed energico getto d’acqua era gestito dai fratelli Sacco. Ora, finita la sua funzione sociale, il locale è occupato dal mercato-discount  “Più”.

===civ. 44 – 46 sembrerebbe speculare al 38-40; i portoni sono bugnati.

È probabile che il costruttore abbia fatto erigere i due palazzi da unico progetto.

 

==STRADA ANONIMA, DI PASSAGGIO DA LUNGOMARE A VIA MOLTENI;  E, NEL SENSO OPPOSTO, DA VIA PACINOTTI

===civ. 48  piccolo edificio a due piani, unito al seguente

===civ. 48 - 50:  sono sulla strada.

 

  

civv. 44 e 46                                                        civv. 48 (palazzo rosa) e 50 (palazzo bianco)

 

 

===civ. 52 – 54 – 56   Lungo caseggiato in stile operaio, senza terrazzi.

 Si descrive che il primo –quello più a levante e che ha il portone non direttamente sulla strada ma sulla laterale verso il mare - essere stato,  forse costruito, sicuramente posseduto ed abitato nel piano nobile dalla fam Casazza (descritto a Santacroce e Pescatori),  proprietario negli anni a cavallo tra 1800-1900 della sottostante officina calderai.

 

da mare a monte

 

Il 12 maggio 1907 - in una seconda strada anonima laterale, oggi facente parte di via San Pier d’Arena ma che prima si chiamava via Pescheria (vedi) e, nel mezzo, via Pescatori (vedi); e che ancor oggi è limitata da officine: a levante, basse con tetto a tegole; a ponente, una enorme porta snodata (a occhio 10x8m) atta a far entrare-uscire anche grossi camion che però non riuscirebbero a ben agire nella strada, che sfocia il Lungomare); sopra il portone c’è una edicola con  una Madonna con mani giunte, in atto di preghiera - venne inaugurato nel civ. 52 un nuovo stabilimento della soc.an. Cooperativa Calderai in rame”, già attivi dall’anno 1900, dediti alla ‘lavorazione di rame in lastre, ottone, ferro ed altri metalli, montaggio di tubazioni per macchine marine, raffinerie e zuccheriere, costruzione di filtri, lambicchi e trombe a vento. La lavorazione del rame era molto produttiva nei primi decenni del 1900; anche l’Ansaldo si premurò innalzare un apposito capannone per completare le caldaie. Ebbero premi alle esposizioni internazionali di 1906 Milano, 1910Bruxelles, 1911Torino. Presidente divenne Orazio Noceti, ma la coop fu chiusa nel 1915 e trasferita a Cornigliano. Sul Pagano/33 è citata, ma a Genova.

  

cartolina indicante una “piazza del canto”      il presidente si firma C.Strabellini

corrisponde alla trasversale verso il mare

ove era l’officina

la foto, scattata da Svicher è titolata “ricordo dell’inaugurazione nuova Officina Cooperativa Calderai in Rame di Sampierdarena”  ///  12 Maggio 1907 ///.

 

In via CColombo nel terzultimo palazzo prima che finisca la strada a lato mare, nella comunicazione anonima con via Lungomare Canepa, era l’officina di calderai di proprietà Casazza, tipico imprenditore che sapeva far lavorare bene ed a lungo gli operai, al punto conclusivo di lui diventare molto ricco e benestante da poter forse erigere –comunque poi possedere- tutto il palazzo dove era l’officina e dove abitava al piano nobile: i suoi figli erano in condizione di non andare a scuola, avere un istruttore personale a casa, vivere di rendita. Una delle figlie, Iucci, divenne sposa del dott.Pastine; da ragazza andava a Genova a scuola privata per imparare a dipingere; quando si sposò, il padre offrì in dote la scelta tra un appartamento lussuoso o l’arredamento: gli sposi scelsero questo secondo, per un appartamento di oltre 200 mq.. Quando il mercato iniziò a creare problemi e le prospettive divennero cupe, il Casazza morì in circostanze misteriose (travolto da un treno

Il terzo portone, è l’ultimo della strada, su questo lato a mare.

===civ. 182Ar (cancello): il Pagano/61 segnala “ Odaglia Cesare, accaio, ferro, ghisa e metalli”.

 

  

civv. 54 e 56                                                   avventori ed ingresso della “Antiga Ostaia dü Bepin”

 

===civ. 194r:   antica “Antiga Ostaia dü Bepin”. Esisteva già agli inizi del 1900, quando a mare corrispondeva al cantiere e bagni Bozzano,  dove in una sala separata dalla cucina da una tenda (ove lavorava la ‘scià Ginevra’),  su tavoli senza tovaglia e panche in comune ai lati, con pochi soldi ma con trattamento proletario, alla buona, come servizi, veniva offerto dell’ottimo minestrone ed altri piatti semplici della cucina genovese (stoccafisso -allora cibo per i poveri perché costava poco-, pesca con totanetti e polpi, farinata ecc.). I frequentatori erano prevalentemente lavoratori operai, tutti conosciuti più col sopraqnnome che davve vere generalità: così o Russu, o Freisa, o Diumira, o Cannunettu, o Sirena che portava pane imbevuto nel vino al suo cavallo in sosta fuori. Al massimo manager ed atleti di qualche società sportiva in vena di qualche ‘rimpatriata’ nelle specifiche occasioni. Durante l’ultimo conflitto, l’osteria fu punto di ritrovo dei partigiani. Il Bepin era una figura tipica del Canto;  morì, rubato da breve malattia, alla fine degli anni ’70; ma il suo nome ha persistito per anni sino agli anni 2000, servendo -in modo molto semplice ed a poco prezzo- anche gli impiegati delle ditte vicine, tipo l’Inam.

Il  palazzo pare abbia al primo piano appartamenti signorili, con soffitti decorati, mentre la servitù era alloggiata nella parte più a ponente.

A ponente dell’ultimo portone, sino all’anno 2000 era un meccanico, a sua volta nel tempo subentrato ad una carrozzeria (vengono ricordati, ancora nel 1995 carrozzella decorata e relativo cavallo) e ad un carbonaio.

===civ. 216r ove nel 2008 c’è un “Centro revisione veicoli”, finisce il palazzo ed anche la strada.

Sulla facciata c’è una targa in marmo indicante sia il nome della via, (come è interpretata, anche nelle carte comunali e sul frontale del municipio: San Pier d’Arena); e sia con un 2 in alto a sinistra ed  un 2718 in alto a destra; e sia sotto, il ricordo che era “già via Nicolò Barabino”.

Il percorso continua diritto assumendo il nome di “via Antica Fiumara”.

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                         b) PALAZZI A LATO MONTE

===civ. 1  è nel nella deviazione che congiunge la piazza NBarabino con la strada;  il terrazzo -posto al primo piano- è infatti quasi in piazza.

Non altrettanto per i civici pari che invece partono dalla palazzina, prima del rettilineo.

VICO NICOLO’ BRUNO

===civ. 3  palazzotto popolare, isolato dalle strade che lo circondano completamente.

                          

civ. 3 con suo portone                                                     civv. 5-7 e 25r

 

  

civv. 9 (entrando dal varco) - 7 - 5                         civ. 7 

 

VIA A.PRASIO

===civv 5 - 7: fu costruito su progetto dell’ing. Dellavalle Emanuele nel 1915, di proprietà Dellepiane Agostino. Sono visibili vari disegni progettuali via via modificati per esigenze non conosciute e che -da un aspetto iniziale sobriamente modernista, passa ad una struttura più  solida nella decorazione, per finire con elementi semplici, dettati dalla praticità ed economicità (tipo le poggiolate a cui fu preferito il normale pilastrino in cemento agli elementi iniziali in ferro battuto.

===civ.9:  il portone non è direttamente sulla strada, ma nel retro, in un piazzale che rimane tra il palazzo ed il retro di quello che si apre in via Buranello: subito dopo un largo portale rettangolare - caratterizzato da decorazione a sbalzo in stucco in ambedue gli angoli in alto, chiuso da cancello - si sottopassa un PRIMO SOTTOPASSO, la cui larghezza ed altezza permetteva l’ingresso di una linea ferroviaria che riforniva il grosso deposito di legnami, della ditta Forni.

Ora l’area appare impenetrabilmente chiusa ed è visibile solo attraverso due palazzi di via Buranello (vedi foto sotto).

Dove rimango perplesso è che – rispetto al voltino- il portone 9 è a levante mentre in via SPdA il palazzo sembra si sviluppi a ponente del voltino. 

  

                                  a destra il voltino, ed a levante il portone civ.9.     civv. 11, 13 e 15 (grigi)

                                  Visto da via Buranello

 

===civv.11.13-15: Un SECONDO SOTTOPASSO porta ad una piazzetta interna che ha i tre civici:  il primo è a piano terra, a levante dell’atrio; il secondo è a nord di esso ma al primo piano, raggiungibile con una scala esterna; il terzo è a piano terra, nel sottopasso dalla parte di ponente.

===civ.17: palazzo di 6 piani; da qui si dovrebbe avere ufficialmente  accesso alla antichissima ‘Torre dei Frati’ ma non esiste nessun tramite pubblico ed è quindi visibile solo da via Buranello. Si dice sia data ad uso privato, ma non ho mai letto nulla di ufficiale in merito.

 

  

civ. 17                                        Madonna con Santi,

                                                   posta sopra il 59r

 

=== manca il civ. 19.

 

VICO ANGELO RAFFETTO  sbuca nella strada con un sottopasso a voltino.

===civ. 65r: nel cortile interno di una trattoria, è scritto ci siano tracce di muri somiglianti a quelli di una torre o palazzo fortificato (***da localizzare e controllare); si dice esistessero alla base alcuni anelli utili all’attracco di barche: questo lascia supporre e confermare esistesse in quel punto una insenatura con porticciolo (Torre dei Frati? equidistante tra capo Faro e la fortezza ?).

===civv. 21, 23, 25                foto dei civv. 21, 23

   

 civ. 25                             civ. 27                            civ. 29 e 31                      civ. 33

 

===civ. 27:  con portone piccolo e semplice, rettangolare. Come i negozi:

===97r e 99r hanno la porta sormontata da un lunotto con decorazione in ferro battuto con al centro la sigla FD assai lavorata in stile liberty.

  

civ. 97r                                       civ. 99r                                            civ. 27

 

Altrettanto caratteristico è che al fianco di ponente del portone, c’è un ingresso imponente e decorato, che non è il portone del palazzo, ma l’ingresso di una officina, che ha il civ. 101r  (foto sotto).

 

il 101r   (con – alla sua destra – il portone).

 

===civ. 29 ha un portone molto semplice

===civ. 31  Il portone vuole essere molto decorativo: sormontato da un timpano il cui apice è interrotto dalla una statua sporgente,   una testa che è stata troncata ma dalla chioma richiama una testa leonina; sotto uno stucco più complesso racchiude uno stemma recante scritto una sigla AG con le due lettere leziosamente intrecciate sovrapposte, presumibilmente del costruttore  (foto sotto).

  

 

===civ. 33  (foto sopra) caratteristico perché sottopassato, tramite un grosso tunnel, dall’inizio di via Gioberti. Il portone è immediatamente prima del tunnel e, tra due semirosoni con inferriata liberty, tiene uno stemma con cartigli, al cui interno ci sono in rilievo due stelle a sei punte  (foto sopra); la conchiglia sottostante potrebbe rappresentare terre di oltremare.

 

civ. 33

 

La casa, per anni ospitò all’interno/1 la “Casa del Sacro Cuore”, le “suore di santa Marta”, famose in città per la assistenza ai malati e la loro disponibilità a fare medicazioni ed iniezioni intramuscolo. (L’istituto di s.Marta nacque a Ventimiglia l’8 sett. 1879 per volere di Tomaso Reggio -che poi arriverà ad essere l’arcivescovo di Genova (morto a Genova il 14 ott.1901; fu succeduto da mons. Edoardo Pulciano-, resosi consapevole dell’estrema importanza della appartata e silenziosa presenza sussistenziale femminile nell’interno di ogni comunità maschile); ***ma donne come Marta –sorella di Maria e Lazzaro- che sapessero trarre lo scopo dalla vita nella carità pratica e spicciola nonché dalle esperienze vissute nei lavori più umili, semplici e nascosti all’occhio disattento della gente. Tra esse, per noi significativa fu madre Delfina, nata nell’astigiano nel 1914 primogenita di numerosa famiglia, al secolo Angela Gallese; ella venne a San Pier d’Arena ancora adolescente subito appena finite le elementari, per entrare a servizio presso la famiglia Zunino residente nella stessa via (nel palazzo Grasso). Qui rimase fino al 1933, quando decise di seguire la vocazione religiosa nata nell’aver visto una suora assistere una inferma della casa. Divenne negli anni 1963-69 superiora generale dell’Ordine). Sfrattate da qui, si trasferirono in via Buranello nel portone subito dopo il cinema, fino allo scioglimento della sede di questa città.

 

VIA GIOBERTI

Con un SECONDO SOTTOPASSO, sbuca ‘a piano terra, da dentro la casa’; così che il costruttore ha potuto sfruttare pochi metri ancora a ponente, prima di delimitare il

 

VICO STRETTO S.ANTONIO

===civ 35:   la villa Cambiaso; più facile ricordarla come ex pretura. Nella carta del 1757 del Vinzoni, appare come proprietà di Stefano Cambiaso (del quale nulla sappiamo: neanche sul Dizionario Biografico del Liguri ho trovato tracce riferibili a lui o specificatamente alla villa sampierdarenese).

Mancano fonti anteriori a questa data; ma si presume dalle strutture architettoniche non fosse di molto precedente, anche se in alcune stanze del piano terra, si intravedono e conservano caratteristiche degli edifici del 500. 

   La famiglia Cambiaso, è ricordata già nel tardo medioevo quali notai, banchieri, politici ed imprenditori; stemma con 2 cani  (grandi e longilinei, tipo alani) rampanti

=Una fonte descrive come  capostipite locale uno Stefano, vissuto prima del 1367; e dalla sua discendenza, altri importanti personaggi si rileggono in documenti del  1396, 1405, 1415, 1420.

=Altra fonte precisa una origine veronese, in particolare dagli Scaligeri, trasferiti (1318) in val Polcevera, dove si dedicarono ad attività agricole e commerciali, con ampi possedimenti (sCipriano, sQuirico) e tombe in s.Maria di Castello. Per questa fonte, capostipite fu invece un Bartolomeo (però vissuto negli anni a metà 1600; al quale successe Gio. Maria; quest’ultimo, rimasto vedovo due volte, ebbe come ultima Angela Caterina Albrione e due maschi Gio.Domenico che gli premorì, e Gio.Batta dal quale –con moglie Maria Pellegrina - si sviluppò la famiglia).

Nel XVIII secolo, si sviluppò specialmente l’attività finanziaria, che fece la fortuna della discendenza anche se iniziata con notevole  ritardo rispetto altre famiglie divenute nobili prima di loro.

Infatti solo nel 1700 i Cambiaso entrarono  a far parte del patriziato genovese, dapprima iscrivendosi (1731) nel libro d’oro della nobiltà, poi andando a far parte  dei membri del Consiglio, dai quali emersero nello stesso secolo i due dogi:  G.B. (1711-1772; che col fratello Nicolò (1717-1773) fece costruire la ‘strada Cambiagia’ lungo la valPolcevera e diretta a Novi – vedi a ‘Cambiagia’) e Michelangelo (1738-1813) cugino del precedente, che  con la carica prima di doge, poi di ‘maire’ della Repubblica Ligure consegnò a Napoleone le chiavi della città).

Così che solo verso la fine del 1700 vediamo dei Cambiaso possessori di due palazzi in Strada Nuova (via Garibaldi) ed uno in piazza Fontane Marose, più la maestosa villa omonima d’Albaro; più ampi possedimenti nell’Alta Liguria (oggi Basso Piemonte: Gavi in particolare.

Ma che già all’inizio del XIX secolo, avvenne lo smembramento dei vasti possedimenti, per dissipamento dell’ultimo erede (Santo, figlio di Luigi - 1881-1947).

Non è possibile da me sapere se esiste relazione di parentela tra i  su descritti ed il più famoso Luca Cambiaso pittore.

 

Dopo il 1900 l’edificio divenne proprietà di un Parodi; in una planimetria del 1917 circa, appare scritto “Banca d’Italia”;  finché  venne affittata ad uso Pretura locale, la quale smise il servizio decentrato, negli anni ‘80; anche se ha conservato per anni lo stabile parzialmente svuotato come deposito (libri, cartacei) in notevole disordine e sporco.

Negli anni 2000 è stata svuotato ed adibito ad appartamenti privati.

 


 

 

La facciata è classicheggiante, con piano terra alto e bugnato mentre all’apice in alto, il timpano  triangolare  è raccordato da volute ed anfore, (unica decorazione sopravvissuta seppur rimaneggiata totalmente, escluso il piano terra –vedi sotto-.); l’ingresso è decentrato verso levante se pur ha un fornice similare simmetrico a ponente ma che non è portone.


Internamente solo il piano nobile ha stanze più spaziose ma prive di decorazione: sui soffitti non vi traccia alcuna di dipinti: tutto è stato coperto con imbiancatura anche se ora non è più di quel colore; si legge ci fossero affreschi della scuola del Semino; e pare che sino a pochi anni or sono si conservasse una stanza adibita a cappella privata dei proprietari.  L’ammezzato soprastante, attualmente è adibito ad abitazioni, ed è privo di interesse; così come l’attico, ridotto in larghezza. Il giardino, fin dall’inizio ristretto in pochissimo spazio, aveva poco sviluppo intasato tra la strada a sud, vico Stretto sant’Antonio a levante, la proprietà della chiesa ad ovest, ed a monte i giardini di villa Crosa: quindi un giardinetto stretto come la casa e di poco più lungo.

 

ingresso aula del tribunale                 atrio dopo il restauro

 

È difficile giudicare con l’occhio di oggi la presenza di una villa con così poco spazio attorno e così disadorna; nei due-tre secoli dopo l’erezione però, era per i proprietari  simbolo di prestigio e di non disprezzabile bellezza messa così davanti al mare che le faceva giardino e spettacolo diretto, essendo vicina al porticciolo della Cella ovvero là dove ‘si viveva’ il borgo.  Praticamente ora ha perso tutto il suo significato di villa patronale e turistico; ed abbandonata come è, sembra passivamente tenuta lì in attesa di tempi migliori, che però nel 2002 neanche si intravedono.

Dal 1935 sono tutelati dalla Soprintendenza peri beni architettonici, gli “affreschi nella Casa in via Sampierdarena civ.35”: ma affreschi non ce ne sono più, eccetto a piano terra al:

===civ. 131r    in questo negozio, a piano terra della villa, il soffitto ha degli affreschi ancora ben conservati. Sino al 2007 ospitava un negozio di articoli ed abbigliamento sportivo (Calciomania) che nell’anno dopo si è trasferito più a ponente.

  

 


 

==civ.  37 = secondo un inquilino vicino, era l’ingresso principale di un convento di suore che occupavano tutto lo stabile (anche i civv. 43 e 45) prima di una ristrutturazione ottocentesca. Dopo questa modifica –da convento ad appartamenti-, la parte più bella -con finestre del piano nobile ancor oggi più alte, e con sale affrescate sui soffitti- è rimasto appartamento a se stante, dove lavora il pittore Andreoli Gatto mentre tutta                                                                                       l’altra parte del convento divenne ‘casa popolare’.

 


 

===civ.39 non c’è più. Fu soppresso per demolizione e ristrutturazione nel 1977

===civv. 43 - 45: Un voltino con cancello, inoltra a questi civici. A detta di un inquilino, una prima ristrutturazione avvenne nell’ottocento, modificando un edificio che in origine - lui dice 1300esco - era un convento di suore (e quindi prevalentemente composto da celle ed ampi saloni); si crearono numerosi appartamenti relativamente piccoli, ad uso operaio, e come tramezze furono utilizzati mattoni fatti con la polvere di carbone. All’esterno sulla facciata del palazzo, una nicchia vuota sopra il cancello segnala che una volta ospitava una figura di san Giovanni Battista che - come  il san Rocco di via Urbano Rela, 1 - durante una recente ristrutturazione- fu rimossa e... furbescamente  (tanto non interessa più ai condomini ma solo agli antiquari ($?)) mai più rientrata al suo posto.

    

civ. 43-45 (a destra); 47 (cen-               civ. 45                        verso civ. 43: in fondo a destra        

tro);49-53 (voltino a sinistra)

 

Si accede al civico 45, superando il cancello e trovandolo nell’atrio retrostante - sotto questo TERZO SOTTOPASSO; proseguendo lungo un carruggetto nel retro (dapprima coperto da ampia volta –fu allargato durante una ristrutturazione  ottocentesca ed esteso sotto il caseggiato stesso-: a detta di un inquilino, inizialmente era più basso e stretto rispetto oggi, quale appare nel tratto più all’interno; ed ove si conservano a terra, tracce di un antico pavimento a ciottoli) e successivamente all’aperto, con andamento finale ad angolo retto verso est (┌) si arriverà al civ. 43. Nel tratto all’aperto, la casa che fiancheggia questo lato di ponente (terza foto sopra, colore rosato), è lievemente svasata alla base (come richiedevano le antiche costruzioni di pietra); ed nell’angolo ha un alto cancello racchiuso tra due pilastri (terza foto sopra, in fondo), sui quali c’è in rilievo una fluoreggiata sigla “GC(si entrava con i carretti a soma nei depositi a cisterna dell’oleificio Giacomo Costa, che occupavano i fondi dei palazzi, di proprietà dei Costa; con la progressione della motorizzazione questo ingresso divenne inagibile e si provvide ad una entrata da via G.Buranello.

Riassumendo: il civ. 43 è in fondo al ramo, deviando poi a destra, ed ha due scale. Il civ. 45 è a destra uscendo - vicino all’ingresso principale, sulla parete di ovest.

===civ. 47 piccolo androne sulla strada, subito seguito da scala, posto prima del voltino più a ponente (prima foto sopra, voltino a sinistra).

===civv. 49, 51, 53   inizia con un tunnel sotto la casa, similare come grossezza e fattura al precedente. Quasi all’esterno c’è un piccolo marmo con scritto “P.P.  Proprietà Privata”.

Superato il voltino e tornati a cielo aperto, a destra c’è un poco più largo e lungo spiazzo, con il civ. 49 - seguito dal 51; mentre a sinistra (ponente), appena  all’inizio c’è il civ. 53 (al quale  si accede tramite un microslargo laterale –una erniatura- che ha anche l’ingresso del club privato sotto descritto) e, proseguendo si costeggia  il confine con la proprietà della chiesa della Cella e la chiesuola di s.Agostino.

                  

muro che separa la rientranza dei                            civ.53

 civici 49-53, dalla proprietà della

chiesa (raggiungibile - con la

ex-scaletta  attraverso la porta in alto)

 

===167r il club ‘la Cage’, privato, di gay o -come descritto- di liberi pensatori senza vincoli morali, da loro ritenuti oppressivi. Nato nel 1985 circa, ha centinaia di soci ambosessi, ed è aperto solo nelle ore notturne con una capienza di 50-60 persone-soci.

       

il club La Cage                                            civ. 57 (fornice a levante)

 

===civv. 55, 57, 59 sono tre civici sulla strada:

Il secondo è caratterizzato – sopra il portone - da una architravatura in gesso (o marmo) sovraporta a sbalzo, che comprende anche una finestrella posta al lato di ponente.

Il terzo, posto d’angolo con la piazzetta, ospita un hotel chiamato ‘Fiorita’ che già esisteva negli anni ‘70. Nei primi del 2011 un pezzo di intonaco del cornicione si è staccato, cadendo su un terrazzo e facendolo crollare a terra; ad aprile tutto è già stato riparato.

   

civ.55                                                 civv. 57-59                  civ. 61 e 63                   civ. 63

 

PIAZZETTA SAGRATO DELLA CHIESA DELLA CELLA

===civ. 61 : non esiste, ma è forse il civico dell’ingresso laterale della chiesa 

===civ. 63: nella stessa piazzetta;  sul portone, che si apre laterale a ponente, c’è un altorilievo dell’”Ecce Homo”, di fattura moderna.

Sulla nostra strada, la facciata in angolo ovviamente non ha portone; si aprono

 

  

farmacia Levrero                    civ.189r                                       civv. 65 – 67                         

===civ. 185-7r: la antica farmacia Levrero. È probabilmente la più antica nata a San Pier d’Arena. Il dr. Levrero Attilio la rilevò nel 1883 quando pare che l’esercizio avesse già più di cinquant’anni di vita. Nel 1908 era ancora di Levrero, allora in via Cristoforo Colombo, 47. Nel 1933 ed ancora nel 1961 ne era titolare il dr. Balletto MarioAlbino; ad esso è succeduto l’attuale dr Parodi che intelligentemente ha conservato l’antico nome.

I primi centri di distribuzione di generi medicinali, sono da ricercarsi nei vari monasteri che avevano anche funzione di ‘ospedale o  ricoveri di carità’, specie quelli retti dagli Agostiniani che avevano il dovere di assistere  i malati. Le prime ‘apoteche’ o spezierie, nacquero nelle città assai tardi, tra il XVII e XVIII secolo: ricche di bilancini, vasi e recipienti vari per contenere le erbe, essiccate in ceste o appese al soffitto e spoglie di animali specie le vipere, e nel laboratorio alambicchi, storte, pignatte, spatole, filtri e fornelli, il tutto forniva il fascino della scienza misteriosa e molto magica . La prima farmacopea ufficiale entrò in dotazione nel 1785: comprendeva l’elenco di 480 sostanze per preparare 173 formule di maggior uso, rivelatesi sistematicamente inutili contro le ricorrenti epidemie di vaiolo, peste e colera.  Fu sotto l’impero napoleonico che nacquero i primi diplomi ufficiali dovendo superare esami specifici davanti al Consiglio Superiore di Sanità; e fu nella prima decade del 1800 in cui  si impose la vendita delle erbe medicinali ed in specie dei veleni, di esclusiva spettanza delle farmacie. Solo con l’incremento della popolazione richiamata dalle industrie meccaniche, si ebbe dal 1840 in poi il parallelo crescere degli esercizi di farmacia: nel borgo, nell’anno 1889 ve ne erano quattro (oltre la Levrero, Dr.Raffetto in via della Cella, Delpino in crosa dei Buoi, Milanesio in via s.Antonio; nel 1908 erano 8 essendosi aggiunte la Bassano-via Cassini, Sibelli-v.Buranello, Danovaro (ora non c’è più)-Grosso-v UmbertoI, 20)

===189r A fianco della farmacia, prima del civico, sulla facciata della casa c’è la targa commemorativa (vedi foto sopra) della nascita della P.A. Croce d’Oro: “Nel luglio del 1898 - in questo locale - a rudi lavoratori d’animo generoso - sorse l’idea di costituire - la P.A. CROCE D’ORO - nel XXI anniversario sociale - in segno di  ricordanza “.

===civ. 65  - con solo un paio di finestre per piano; nel 2011 ospita da anni il ristorante “Teresa” caratteristico per l’antipasto composto da numerose portate di varie qualità di molluschi.

===civ. 67  con quattro finestre per piano.

Segue la facciata laterale del palazzo che, col portone si apre in via Giovanetti: sulla strada ha due entrate civv 201-203r

 

VIA GIACOMO GIOVANETTI

===civ. 69:  è una casupola di 4 piani con una sola fila verticale di finestre. Appare già esistente nella mappa del Vinzoni del 1757. La facciata ha –alla base- solo il portone, minuscolo e semplice;

segue attaccato, un  altro edificio, anch’esso a tre piani ma lievemente più basso il quale sulla strada ha due soli civici rossi:

===207-209r - nel 2011 appartenenti ad un bar “i piaceri del caffé”. Il  portone è forse il civ. 1 di via della Cella (scrivo forse, perché detto portone è collocato in un edificio che è più basso di quello che si affaccia su via SPdArena).

 

             

civ. 69 (nelle foto, nel palazzo rosso)  ed il bar                i civv. rossi dal 211r al 217r                           

 

VIA DELLA CELLA

La casetta a due piani, sull’angolo a ponente di via della Cella, non ha portoni sulla strada - ed è in via della Cella, il civ. 2; quindi sulla strada ha solo rossi, dal 211r al 215r occupati da un bar-trattoria.

Tra questa casetta e la villa seguente, attaccato, c’è il:

===civ. 217r  una porticina che sembrerebbe far parte a sé, con sopra una sola finestrella; invece è parte della villa perché serve per scendere nei fondi sotterranei della villa stessa. Nell’elenco SIP/71 a questo civico c’è un Fravega B con telefono: evidentemente da allora sono stati cambiati i civici

==civ. 71 - 73:   la villa Pallavicino.

Famiglia e Personei Pallavicino (-ni, -na) furono una delle principali famiglie genovesi  ghibelline; nei secoli successivi, imparentandosi formarono un albero  assai vasto di generazioni

= La ricerca dell’origine, trova a Genova un Nicolò Pelavicino negli incartamenti risalenti al 1154 dalla Lombardia o da Parma e quindi con legami con gli omonimi longobardi (obertenghi) dai quali forse traggono origine.

Alcuni secoli dopo, entrarono  nell’albergo dei Gentile, e vi rimasero sino alla seconda metà del 1400 quando - associandosi con i Guarachi (tre lapidi in san Domenico), de Ita, Busenghi, Frascolati – ripresero, per iniziativa del cardiinale Antonio, l’antico cognome.

Fu poi Giulio q.Agostino, che esperto nelle patrie discendenze, ritrovò e illustrò la ampia genealogia, inficiata nell’attendibilità solo perché nel XVI sec. entrò in uso preparare alberi genealogici di comodo . Nel 1528 ricchi e numerosi, formarono un albergo proprio al quale si aggregano una serie di altre famiglie: Amandola, Basadonne, Brignali, Buzenga, Clavarina, Coronata, Frascolati, Guarachi, Ita, Parodi, Pisani, Platona, Rocca, Scaglia, Rotola, Scotta, Sivori, Vivaia.

Per scelta, assai raramente li vediamo coprire cariche politiche di rilievo giudicate improduttive (Agostino nel 1637 e GioCarlo e Aleramo, dogi; molti cardinali, vescovi e militari): loro prestigio fu dal medioevo alla fine del 1800 interessarsi delle proprietà terriere ed immobiliari con lo scopo finanziario. E ben ne colsero quando, finito Napoleone durante il cui impero fortemente si era incrinata la forza economica dei Pallavicini, la Restaurazione ai nobili poté almeno restituire i beni immobili (specie di Masone).

    

Stemma = Lo stemma  ha tre croci nere unite in campo argentato nella metà superiore, e 5 dadi azzurri a croce in campo d’oro nella metà inferiore: “cinque punti di rosso equipollenti a quattro d’argento; al capo dell’Impero”).  

I Pallavicino dapprima assorbirono i Guarachi; poi entrarono nei Gentile (l’arma vide quella dei Guarachi ridotta (le 3 croci), per l’inserimento di quella dei Gentile); infine, quando tornarono Pallavicini, conservarono lo stemma combinato tra i due.

Ville  = Numerose in SanPierd’Arena -9-  quelle dei Pallavicino (in corsivo quelle distrutte): vico Cibeo; via Dottesio (Moro); sal.s.Barborino; v.PChiesa (Gardino); via San Pier d’Arena (Credito It.); s.G.Bosco (salesiani), v.Currò (Durazzo); c.so Belvedere; via GB Monti (civ.20).

È del nov.1669 un atto notarile che cita l’ill.mo Carlo Pallavicino q.Luca, (v.Battilana pag 25-sarà lui?; comunque è uno tra i tanti, troppi sconosciuti) che loca a Francesco Ravaschio una villa coltivata ad orto e seminata, con casa situata a San Pier d’Arena, annessa al suo palazzo, per tre anni e per l’annua pensione di lire 100 per il primo anno e lire 125 per gli anni seguenti.

Villa  =  Assai poche o nulle, le notizie di architetti e periodo di erezione; nonché dei proprietari precedenti e successivi. Iniziata sulla palizzata a mare nel periodo del 1500-1600 (dall’epoca medievale la palizzata era un nastro continuo di edifici sul limitare della spiaggia la cui bellezza fu immortalata solo molto più tardi da una delle prime stampe firmata Waldeimer nel 1770***), vicino alle altre appartenenti alla stessa famiglia. 

Nel 1708 Volckammer la descrive essere di Nicolò Pallavicino.

 Dal Battilana – del 1600 - potrebbero essere (ma nessuno con figlio o nipote di nome Gio.Luigi):

– uno a pag.10, vissuto nel 1671 di Carlo e Salvagina Centurione)- sposo di Flaminia Pamfili. Questo, alla morte del padre (che risulta vivo nel 1648), ebbe una importante causa legale promossa dalle sorelle Livia e Maria, affidata alla Rota Romana. Fratello di Agostino –doge; nipote del cardinale Lazzaro. Morì il 13 agosto 1679 lasciando erede un lontano cugino Agostino).

-- uno a pag.19, vissuto nel 1674, q. Innocenzo e Bianca Sperone-   sposo di Elena Assereto.

-- uno a pag. 20, vissuto 1590, di Agostino e Maddalena Spinola-  sposo di Maria Serra q Antonio

-- due a pag.24, uno vissuto 1597.1622,  di Tommaso e Geronima Doria, sposo di Chiara Lomellini q. Antonio; non probabile perché – aqnche se presunto della famiglia - già con villa in vico Cibeo  (vedi)

-- altro, vissuto 1681-1701, di Giulio e Cornelia Chiavari- sposo di Argenta Imperiale q.Giulio;

  


Nella carta vinzoniana del 1757, non è raffigurata con  i segni di una villa ma solo come grande casa di proprietà del mag.co Gio Luigi Pallavicino e posizionata proprio di fronte al Castello.


 

 

  Non si sa da quando, ma fino al 1936, è stata di proprietà dei  Romairone e, in molti libri, è citata con questo nome.

  Natale Romairone, ospitò nella sua casa - quale presidente - il circolo Unione 1860 (vedi sotto).


Natale Romairone era vice presidente del CAP (consorzio autonomo del porto: fondato

nel 1903) e morì nel 1916. Possedeva casa in via della Cella al civ.4. Benemerito anche in consiglio comunale e in attività industriale.

A suo nome fu titolata la galleria che fu aperta l’8 maggio 1910. Progettata dall’ing. Odone Bernardini su commissione dello stesso CAP, per collegare – anche ai mezzi su ruota o gomma - il porto di Genova con San Pier d’Arena (prima dovevano fare il giro –sali e scendi- attorno alla Lanterna), è lunga 290 metri, larga 15 ed alta 8.

 È tutt’ora – 2011 - presente, ma inutilizzata.


 nel 1910 era al civ. 61

  Il Palazzo è sottoposto alla tutela della Soprintendenza per i beni architettonici, dal 1936.

   A lungo è stata del Credito Italiano il quale - use pure inattivo come sportelli per il pubblico – ebbe proprietà totale della villa sino al 1984, quando la abbandonò come uffici, lasciandovi però deposito cartaceo e permettendo l’uso in affitto del piano nobile (raggiungibile dal porticino posto laterale a ponente (di servizio?) rispetto quello principale) alle due associazioni private, il Lions Club Sampierdarena ed il Circolo Unione.

   Rimase così per ulteriori anni, andando gradatamente in abbandono la parte non data in affitto e non vissuta. Dopo lunghi e lenti restauri a tapullo,  sollecitati dalla Soprintendenza guidata dall’arch. Gianni Bozzo e dietro pressione del CdCircoscrizione (Federico Passero) a sua volta sollecitato da petizioni popolari fin dal 1994, lavori più seri furono iniziati nel 1966, diretti dall’arch.Giacomo Cambiagio e costati la metà della cifra proposta (=1 miliardo):  fu così ridipinta la facciata e rifatto il tetto, e come tale fu posta in vendita nell’anno 2000, per la cifra di due miliardi (uno dei possibili acquirenti apparve l’ INPS per suoi uffici decentrati di delegazione  ma poi non se ne fece più nulla).

  Con tutti i nullaosta necessari, nel 2004 iniziarono i lavori di ‘restauro e risanamento conservativo’ – commissionati da “Villa Pallavicini srl di corso A.Podestà 6/2, sede anche della soc. di costruzione – tel. 590904 - dopo progetto dell’arch. Mariarita Mariani sorvegliati dall’arch. Gianni Bozzo; progetto strutture e lavoro ing Luciano Garbarino; direz. lavori arch Mariangiola Bollero; geologo Alessandro Sacchini

  Alla fine, dopo anni di apparente abbandono, il 6 giugno 2008 vi è stata inaugurata la scuola di danza classica “International Dance Academy

   Anch’essa, eretta in ritardo rispetto altre ville del borgo, si ritrova ad avere un terreno angusto, con via della Cella a levante ed a ovest la più prestigiosa villa del Monastero: anche il giardino dietro era piccolo; ed ai primi del 1900 fu lottizzato (vedi area Vernazza), lasciandole nel retro solo un’ipotesi di verde. All’interno, l’atrio di ingresso -più profondo, e raggiungibile dall’esterno tramite doppia scalinata convergente, trapassa in un breve vestibolo -meno profondo, che con caratteristiche post alessiane, si intravede al di là di una tramezza  a triforio  interrotta da colonne-, con sovrapposte lunette ed unghie,  a formare il soffitto a padiglione. Molto è stato rimaneggiato al punto che solo un valente architetto saprebbe riconoscere le originali caratteristiche (la loggia -oggi tamponata, ad unica arcata, affacciata sul retro con bella balconata di marmo-, le scale rifatte in posizione diversa, i saloni disposti e sfruttati in disposizione atipica, la decorazione pittorica trascurata ed ormai scomparsa). Non appare conservata l’antica decorazione in nessuna stanza, scomparsa sotto strati di vernice susseguitesi nei tempi:  nel salone appariva ancora bello il tondo - con i putti che si affacciano ad una balconata -  circondato da altri medaglioni e grottesche, ma che nel 1998 era scomparso.

 

 

 

 

      

foto anno 1998 -atrio          scala                    sommo scala           sale

 

    

                                 salone

 

  

vani a tetto                                                                  panorama dalla finestra – verso levante

 

   

sotterranei                                                                        carbonaia           pilone di sostegno

 

 

il retro                                                  atrio – foto d’ufficio

 

Come già scritto, e con entrata al civ. 73 vi avevano sede, raggiungendo con lunga scalinata direttamente il piano nobile, il “Lions club” di San Pier d’Arena (che attualmente si riunisce al Novotel (o al Columbus?), ed ha creato una ‘agenzia di stampa delle Anime del Paradiso’: ovvero la memorizzazione dei soci defunti), ed “il Circolo Unione 1860”. Quest’ultimo, sopravvissuto fino a pochi anni fa, nacque il 4 marzo di quel lontano anno, con carattere sempre di MS mazziniano; esclusivamente maschile (le signore ammesse solo alle feste o cerimonie. Se pur  con i caratteri di base della socialità e del lavoro, ha sempre voluto mantenere una scelta dei suoi soci  ( per questo è stato chiamato anche “circolo dei nobili”, non certo per nascita aristocratica ma perché persone di precise qualità morali e sociali che debbono essere garantite da soci presentatori); questa élite un po' chiusa, ha favorito l’evolversi  verso un club privato sconosciuto ai più, con giochi a carte, due biliardi, gare di bocce a piano terra, sede di incontri, scambi di idee, conferenze culturali e programmi. Il regime fascista lo tollerò, ma lo spogliò di buona parte dell’arredamento, rinnovato dopo la guerra. Ultimo presidente, Franco Repetti ex bancario. Tra tanti, erano soci Colantuoni (già Presidente della Sampdoria), il Romairone, Salvemini gioielliere, Conte Egidio abbigliamento, Dellepiane Raffaele dirigente delle raffinerie, Reale tipografo, Botto comandante di navi, Casella Lorenzo imprenditore, Rasia dal Polo dentista, Parodi Giuseppe impiegato, Boero e Parodi Giamba colori, Pittaluga ElioLuigi, Checco del Toro. Quando l’edificio fu comperato dal Credito, in contemporanea fu ingiunto lo sfratto. Inizialmente non fu definitivamente sciolto: in occasione dello sfratto (subìto da entrambi, ed eseguito nel 1999 foto 5.142 -anno in cui sembrava che la banca si fosse decisa -dopo ingiunzione del CdC alla Procura- di iniziare una ristrutturazione generale), mentre i  Lions locali continuano a  riunirsi, i suoi beni sono stati alienati e la cifra del ricavato investita, in attesa (quando scadrà il mandato dell’attuale dirigenza) della scelta: il 2002 venne proposto come definitivo per  decidere se riaprirlo utilizzando il capitale, o chiuderlo donando per statuto tutto in beneficenza. La decisione fu invece presa il 28 gennaio 2005: con parte dei 70mila € ricuperati, fu acquistato un macchinario necessario a Gaslini e Galliera per studiare il genoma umano, e 20mila € a Villa Scassi.

 

===senza civico (al 221r, nel 1933):   l’ingresso che fiancheggia la villa su descritta e che si apre nel retro con la popolarmente chiamata “proprietà - o area - Vernazza”, corrisponde all’ex giardino della villa. Un’area di circa 2500 mq (in altra sede è scritto 1200 mq, misurati a occhio) racchiusa tra: =il retro dei civv. 4 e 6 di via Ghiglione (a mare dell’ex mercato ortofrutticolo) =il fianco a ponente della vecchia villa (della quale era il giardino)=e via San Pier d’Arena, dalla quale ultima si accede attraverso un cancello.

   

a sinistra il mercato di via Ghiglione. Foto Gazz.Sampierdarenese. L’area, prima della copertura;

      

retro del civ. 75, ora chiuso                 piano terra a disposizione      verso  l’uscita dal rientro,  con

da cancellata                                       della polizia municipale         terrazzamento

Il nome Vernazza ricorda l’oleificio ospitato in quell’area -proprietà omonima Giuseppe Vernazza,  e poi dei suoi figli - con ciminiera alta oltre 20 metri, adesso abbattuta. Dovette cessare l’operatività all’inizio del secolo scorso, poiché fu progettato nel 1909 da Pietro Giacomardo l’uso abitativo.

Divenuta area comunale  (il Comune pare l’abbia acquistata per circa 110milioni: provvide poi alla demolizione di alcuni muri, rifacimento della rete fognaria, spianamento, asfaltatura) fu quindi proposto come area di ampliamento del mercato ortofrutticolo. Infine fu ricercato come possibile utilizzo ad area verde necessaria  a tutta la città: “tentata rivalutazione“ a giardino pubblico da parte dell’assessorato del 1991, ma come tante altre belle cose finita nel nulla presumo per carenze economiche;  infine –e sino al 2007- è stata utilizzata dal Comune come deposito chiuso delle auto sequestrate o rimosse per intralcio, capace di 150 vetture.

Nel 2008 appare vuota, ma nel 2010 è sempre deposito auto.

 

=== civ. 75: durante un bombardamento fu distrutto, e rifatto dopo la guerra. È comunemente chiamato “palazzo delle tasse” perché ha ospitato per anni gli uffici delle Imposte, che ora sono a Fiumara. È alto 5 piani ed ha sei finestre per piano. Caratteristica è la facciata a levante, nel vicolo (vedi foto sopra), che all’altezza del primo piano si protende in fuori sostenuta da mensole diagonali: cosa studiata per risolvere due problemi: sfruttare l’area concessa e lasciare più largo l’accesso veicolare all’area Vernazza. 

===civ. 231r negli anni 1977 c’era la ditta For.Cos.T.A. di E Arrighetti & C. snc che vendeva articoli tecnici industriali (es. cinghie trapezoidali)

   

civ. 75                                  da destra, i civv. 75, 77, 81  da destra i civv. 77 e 81 (biancogiallastro);

                                                                                          83 (rosso), 85-87 (bianco), 89 (rosa)

 

===civv. 77, (79), 81     =  case per abitazioni, con portone molto semplice contornato da lastra di travertino;

il 77 ha 5 piani e tre finestre sulla strada; a piano terra, un negozio – di forniture navali – con la caratteristica della volta del soffitto fatta a vela come era comune nel 1800;

il 79 non esiste;

il 81 ha sei piani ed altrettante finestre per piano; ha – al secondo piano, un bel terrazzo che si apre a solo cinque finestre; ed al quarto piano delle finestre non rettangolari ma in alto con arco semicircolare: ciascuna ha quindi le due persiane adeguate, diverse dalle altre.

Ospita a piano terra:

===247-9r la ‘casa del bambù’, negozio di oggetti di vimini.

===civ 83, 85-87, 89 sono (vedi foto sopra) tutte case a tre piani, una affiancata all’altra, architettonicamente in stile povero, senza terrazzi e probabilmente senza ascensore;  ma ciascuna diversa.

Il primo civico, ha cinque finestre per piano ed un portone semplice, sormontato da una nicchia per un santo, nel 2008 vuota.

===251r in questa porticina, ultima della facciata del civ. 83 –racconta Maiocco Giuseppe, presidente dei ‘Cercamemoria’, associazione aggregata alla biblioteca Gallino, nata nel 2009-  c’era dagli anni di inizio 1900 agli anni preguerra 1940-45, la trattoria-osteria della “Cicchinn-a” (diminutivo di Francesca). Giuseppe precisa che era aperta per i lavoratori del – di rimpetto - Palazzo del Sale e per operai in genere; in ambuente angusto, con tavoli coperti da lamina metallica per eliminare le tovaglie, servizio pressoché assente per risparmiare. Attiva dal lontano 1894, se era punto di ritrovo di operai e lavoratori portuali,  vengono ricordati anche il giovane Guglielmo Marconi e - l’appena atterrato dal cielo nella marina antistante - F.Cevasco (vedi). Attualmente la porta di legno un poco malandata, è sempre chiusa con un lucchetto.

Affiancato al precedente, il civ.89 relativo al penultimo palazzo prima della piazza. Alla sua base c’è

===civ. 261-3r, la antica trattoria Serra.

Conclude l’isolato, un fianco di una casa più alta delle precedenti ed il cui portone è però sulla facciata opposta, in via del Monastero civ. 3 (laddove però quella facciata ha 7 finestre per piano e non due come da questa parte); è di 5 piani, architettonicamente più curata, sia sulla nostra strada -ove ha due vetrine d’entrata civv. 265r-7r il club privato chiamato “il cancello del cinabro” del ‘club del Cigno’ - che sulla piazza - ove ha tre vetrine.

 

palazzo a levante della piazza          e quello a ponente                civv. 93-95

ambedue senza civico nero sulla strada                          

 

PIAZZA DEL MONASTERO

Anche questo palazzo (vedi foto sopra) non ha portone sulla strada, ma è il civ. 2 nella piazza del Monastero.

===civ. 273r-279r quasi tutti i fornici di piano terra sino al voltino, sono occupati da Carpino P. gomme (dagli anni 60, ed ancora nel 2011)

===civ. 93 - 95:  il grosso, imponente e lungo palazzo di cinque piani (ha tre distinte facciate, simmetriche, sia per la distribuzione delle finestre: 11 in tutto=3-5-3, che dei terrazzi 2-1-2 al 2° e 4° piano).

Il portone civ. 93 è sulla strada e precede il voltino.

Il portone civ. 95 è nel centro del caseggiato: il tunnel – che costituirebbe il QUARTO SOTTOPASSO (oggi spesso chiuso da cancello; una volta passaggio di treno- vedi sotto a Palazzo o dock del riso) sbuca e finisce nel retro, ove c’è il piazzale antistante le Poste; ha due tratti coperti dall’edificio e -nel centro del percorso- un tratto a cielo aperto corrispondente all’ammezzato; in questo ultimo punto, lo slargo si allunga verso levante; ed è in questo tratto laterale il civ.95.

Anticamente,  con rotaie del treno,  per  arrivare nel retro del palazzo (dove ora è l’edificio delle poste aperto in piazza del Monastero) dove allora sulla destra si aprivano i docks del riso, un lungo fabbricato in pietra viva - come quello del sale - a tre-quattro piani, composto da lunghi cameroni, con pavimento di legno ed il soffitto anch’esso in legno; al centro -sorretti da una serie di colonnine in bronzo lavorato sullo stile dei lampioni della luce di allora-; caratteristico l’ascensore per le merci: solo il ripiano -senza pareti né balaustre-  che saliva e scendeva lungo delle eculissi di legno levigato ed unte, il cui motore era governato attraverso l’apporto di corde, carrucole e braccia – comunque  tirate a mano (compreso il freno).

 

 

réclame primi novecento della raffineria   ingresso dal voltino,                  edificio con pareti a

del riso di Frugone e Preve a SPdArena    i binari a terra                          assi lignee sovrapposte

 

 

 

interno a piano terra                              motore dell’ascensore e base di esso

  

tutte foto anno 1991                           piloni bronzei di        travatura del tetto; come i pavimenti,

saloni vuoti                                        sostegno-prodotti      tutti in pice-pine

                                                           officine Torriani

 

=== civv. 97

===293r:  vi ha sede il “circolo Speranza e Concordia” Fondato nel 1901 (con prima sede nel caseggiato quasi di fronte; con primo presidente Dante Carbone detto “Maccabello”, e soci fondatori E.Ghiglino, P.Silvestrini, G.Pittaluga, S.Manfrone, A.Orengo, T.Schiaffone, G.Altamura, N.Tenconi;  quota lire 5 all’anno...e non erano poche allora ma che hanno permesso nel tempo di acquistare i muri); sempre attivo e molto frequentato (circa 300 iscritti);  nato quale società operaia di MS, è divenuto ritrovo tra amici - specie festivo o di dopolavoro - per giocare a carte, alla “carolina” (un oggetto di antiquariato molto ben tenuto), cantare (formando cori tradizionali: il memorial Bartolomeo Nervi vuol ricordare un socio amante del canto, che rallegrava gli amici con la sua voce, come ancor oggi si auspica e si applica ad ogni annuale ricorrenza), discutere (di politica e di sport ed altro); giocare (particolare rilievo  è stato dato all’abilità nel gioco del biliardo di cui sono in mostra numerose coppe). Miglioramenti continui ed aggiornati (maxischermo, tele+, bar, cantina) hanno fatto delle sale un luogo di vitalità sorprendente a carattere sociale (feste, gite, gare), culturale, ricreativa.

       

entrata della sede                               la ‘carolina’ ed il contapunti

 

Lo statuto, il vessillo, il simbolo (due avambracci che si uniscono in una vincolante stretta di mano) ed il nome, vennero ufficializzati solo il 1 ott.1911. Il non carattere squisitamente politico lo salvò dalla chiusura nel periodo fascista, anche se pare dovette rinunciare al nome e sostituirlo momentaneamente con “circolo Emilio Mazzucco” (vedi).    

Lo statuto è stato aggiornato nel mag.1982; ora è circolo Arci.

 

                                            

===civ. 99:  sulla facciata, una lapide ricorda che, all’interno 2 “ qui nacque / Nicolò Barabino / XIII giugno MD:CCXXXII “  (ovviamente, dove segnato con ‘:’ ancora nel 2011 manca una C per essere 1832).   Questo marmo fu inaugurato il 22 ott. 1893, e dal 1939  è tutelato da vincolo, imposto dalla Soprintendenza per i beni architettonici.

Durante la guerra 1940-45, il retro della casa fu colpito da spostamento d’aria di bombe esplose vicino; ebbe alcune pareti esterne crollate, lasciando intatta la struttura generale. Chiusa l’industria farmaceutica negli anni 60-70, dopo lungo restauro tutto il primo piano -e forse anche i superiori, già appartamenti privati- furono trasformati in  pensione-albergo Barabino. Da alcuni anni però appariva tutto chiuso ed inutilizzato.

Infine, totalmente riattato per abitazioni private.

Al primo piano, dagli anni ‘20 e fino ad oltre il 1965, un appartamento (comprendente la stanza con la lapide esterna) fu occupato dall’ ICFI - Istituto Chimico Farmaceutico Italiano Gani Alcide, tipica fabbrica di medicinali a conduzione e gestione familiare, prima che il settore fosse plurifagocitato dalle aziende sempre più grosse (fu infatti assorbita dalla VITA FARMACEUTICI di Torino a sviluppo nazionale che mantenne qualche prodotto del listino Gani; la quale dopo una quindicina di anni fu assorbita dalla Delagrange francese nel cui listino non compariva più alcun prodotto Gani; la quale a sua volta... fino alle multinazionali).

 

Tra i farmaci in listino, il Piperiodale B1 (solo iniettivo, a base di piperazolidina iodata  utile contro i dolori artrosici; allora,e sino agli anni 1970 la migliore molecola tra gli antiinfiammatori. Frequenti erano allora gli ascessi glutei, non conseguenti a far ad iniezioni fatte  farmaci iniettivi, ma alle siringhe di vetro - pluruso bollendole per sterilizzarle – ma soprattutto agli aghi anch’essi ‘bolliti’ ma –nel pluriuso (con lo stesso ago -seppure di acciaio- si bucava la pelle, ma anche la gomma dei tappi)- diventati spuntati, anzi a uncino e quindi trascinatori in profondità di microfrustoli di pelle non sterile. Tutto scomparso con l’uso delle siringhe monouso); un granulato di vitamine e minerali di nome Vitamol; sciroppi della tosse (uno balsamico-Tiobromol-; altro bechico –TioTus-); fermenti lattici –Lattoscorbina-; un ricostituente molto gradito dai bimbi per abbondante presenza di  pura marsala sicula, la quale molto opportunamente copriva quello pestifero dell’olio di fegato di merluzzo).

Tutti venivano preparati da chimici  laureati dell’Università di san Martino, venivano confezionati con principi attivi non sintetici (vero Marsala siculo, puro burro di cacao, olio d’oliva raffinato, zucchero selezionato dell’Eridania) ma inscatolati artigianalmente, senza i sofisticati impianti e senza la rigidità d’igiene attualmente richiesti. Gani Alcide, e poi i figli eredi, nessuno era laureato nel ramo chimico-medico in quanto a quei tempi non richiesta una titolazione specifica – come anche per gestire una farmacia; era toscano, qui trasferito ed improvvisatosi piccolo imprenditore nel ramo farmaceutico, con medicinali ‘ideati’ da docenti dell’Università e registrati a Roma come ‘specialità’ ovvero con caratteristiche di  composizione e di produzione non riproducibili nel retro delle farmacie, ove invece potevano preparare i ‘galenici’.

Erano anni nei quali l’assistenza medica e farmaceutica veniva espletata solo da mutue specifiche per enti (dall’INFPS - Istituto naz. Fascista della Previdenza sociale,  attivo ancora nel ’42, nacquero dopo la pace i vari enti specifici: così la CMP - Cassa mutua portuali, la CMMOA (cassa mutua malattie operai interaziendale Ansaldo & Siac, in via Pacinotti,20; e -chiamata san Giorgio- in villa –oggi demolita- di via Cantore) confluite poi nell’INAM (Istituto Nazionale di Assicurazione contro le Malattie; ma scherzosamente tradotta in Importante non ammalarsi mai) dell’industria (sede in via Molteni, 5), ENPAS degli statali, ENPDEP degli enti locali, SIP dei telefoni, CMT (cassa marittima tirrena), ENPALS (spettacolo) e numerose altre minori). Ciascuna era in dotazione solo al nucleo familiare di chi lavorava nel singolo settore; e la scelta del medico era una per tutta la famiglia. I farmaci non avevano ‘fustello’ e la ricetta veniva pagata dalle mutue al farmacista sulla fiducia della vendita (con ovvi ‘mastrussi’ ed irregolarità tipo accumulo di medicine non usate o cambi di materiale (cvon dentifrici, lozioni, oggetti sanitari, ecc.) che obbligarono le mutue a limitazioni sempre più rigorose (introduzione del fustello per primo). Tutte le mutue di settore vennero incluse nella neonata USL (unità sanitaria locale – delle quali, solo quelle promosse ad amministrazione autonoma di tipo aziendale, divennero ASL) a carico dello Stato e quindi unica a livello nazionale ma con autonomia amministrativa regionale.

===civv. 303r – 305r sede di trattorie, che nel tempo hanno cambiato nome decine di volte; nella ristrutturazione hanno conservato un piccolo arco senza intonaco per evidenziare i più antichi mattoni sottostanti

===civ. 101 Fu distrutto dai bombardamenti e ricostruito dopo il 1950 di 5 piani. Caratteristico l’ultimo piano (quinto): estroflesso rispetto la facciata e poi inclinato –per tutta la facciata stessa- come antichi abbaini.

  

da destra, al centro ella foto, i civv. 99-101            civ.103                            portone del civ. 103

 

===civ. 103  il portone è sormontato da un architrave a sbalzo, con sopra un cartiglio con la D del costruttore, dei Danovaro e parentado (Chiesa e Di Feo) i cui discendenti e residenti più vicini erano Francesco (medico ‘della mutua’ negli anni dopo guerra, persona semplice e molto professionale) e Carlo (suo figlio anch’egli di chiara fama perché uno dei primi ad organizzare i servizi di chirurgia d’urgenza al villa Scassi).

 Il grosso edificio ha un portone anche in via S.Canzio civ.1.

===civ. 313r: una entrata dell’antico  bar L.Balocco, descritto in via S.Canzio.

 

VIA STEFANO CANZIO

  

al centro, i civv. 105 e 107               portone 105         

 

===civ. 315r in angolo con via S.Canzio, attualmente (2008) occupato da ‘C&C Moto’ ove si riparano e vendono motocicli.

Negli anni bellici e dopo, era stato occupato dalla ditta Moretto che rivendeva cartoleria, ceramica (vedi via S.Canzio, 2r)

===civ. 105  (vedi sopra la foto) ha un portone simile a quello di via Bombrini: piccolo, con ai lati sottile lastra di marmo che in alto diventa un poco più spessa e - come appoggiata a piccolo stipite - termina ad arco alla sommità, avente al centro un piccolo rilievo.

   

 civ. 107

===civ. 107: come scritto sul frontone, fu costruito nel 1921 (curiosità: la data 19—21 o 31 è inframmezzata da un vuoto di difficile lettura), come scritto sopra il portone, sormontato da due onde di gesso convergenti, che lateralizzano uno stemma contenente la lettera alfabetica G (ma, essendo stato tutto l’edificio della famiglia Chiesa, doveva essere una C...).

 Al piano nobile ampi vani, con pavimenti molto belli di granito alla genovese, soffitti -una volta decorati con affreschi-, su cui rimangono decorazioni in gesso specie bei cassettoni multipli in certe sale e porte e telai di legno massiccio lavorato. 

 Attualmente, e dagli anni ’70, l’interno 2 è occupato da una pensione-albergo  -“i 4 Mori”, così chiamato dato che il primo proprietario era Donnini, un livornese, che negli anni 1960-80 gestiva anche la omonima trattoria sottostante-. In seguito, per necessità di passare dalla categoria una stella a due) le singole camere furono dotate dei servizi igienici individuali.

 

VIA TERENZIO MAMIANI

Questa strada sbuca con un ampio voltino (QUINTO SOTTOPASSO) in via San Pier d’Arena  proprio nel mezzo di un palazzo - nel 2011 colorato di rosso mattone - di 5 finestre per piano e alto 4 piani - che non ha portoni sulla nostra strada, ove ha invece solo civici rossi dal 329r al 335r.

 

===civv. 109   posizionato nel palazzo seguente, più basso del  precedente, con solo due finestre per piano, alto tre piani.

Il portone, nel 2005 appariva chiuso da una saracinesca (?); nel 2011 è strutturato a normale portone anche se molto piccolo e stretto.

La facciata era arricchita nel mezzo da una meridiana: un grosso riquadro biancastro, con la figra di una nave. Nel 2011 –e da alcuni anni - appare non abbia più l’asta necessaria per indicare l’ora.

 

 

  

 civ. 109 (palazzo bianco)                                         civ. 111                      civ. 113  

 

  

portone 113                                                                             la I floreale

 

===civ. 111 come il precedente, l’adito del portone è molto stretto, di circa un metro di larghezza. Il palazzo ha 5 piani e 5 finestre per piano.

===civ. 113: come d’uso in altri palazzi, il portone è vistosamente decorato, è sormontato da uno stemma recante scritta in forma floreale la vocale I . Il palazzo è di sei piani ed ha una fila di sette finestre per piano.

 

VIA TULLIO MOLTENI

La strada finisce col palazzo successivo il cui portone è però in via Molteni. Sulla strada ci sono solo fornici rossi, relativi a entrate laterali, le cui ultime sono sottostanti ad un terrazzo posto a ponente rispetto il portone, fino al 369Br.

 

 

      Chi decide la toponomastica, concesse questo autoriconoscimento - del proprio nome - per una delle strade più importanti; sicuramente - e lo spero forte - non con l’ironia e lo sfottò dello stesso ‘contentino’ di ‘via degli Operai’-. Mamma Genova, dopo aver lasciato distruggere o nascondere tutto quello che ci poteva rappresentare, molto signorilmente ci ha lasciato il nome.   

Ed ai servi di oggi, piace leccare le mani a chi comanda o è ricco, e ci trova una logica giustificazione, come sempre: il potere.