POSTUMIA                                                                    via Postumia

 

 

 

il tracciato, da Genova ad Aquileia

 

 

NB: ne ho scritto due versioni, che vanno fuse:

 

DEFINIZIONE Lunga strada consolare,  trasversale rispetto la penisola, costruita negli anni  attorno al 148 a.C.. Ponendo perno a Piacenza o a Cremona: caratterizzata da due tratti distinti,  uno occidentale: di nostro interesse; ed uno orientale sino ad Aquileia (Concordia) sull’Adriatico,  testimoniato da un cippo migliare (vedi sotto).

L’itinerario occidentale, appare storicamente il più complesso per le travolgenti modifiche che ha subito nei secoli e per le notevoli incertezze che lo circondano.

Per questo, ogni studioso ha un suo tracciato che giudica preferenziale sulla base di giudizi personali: sono tutte ipotesi e quindi l’importante è che non lo “spacci” con sicurezza come quello vero.

Io reputo che – a parte il primo tracciato, che aveva carattere prettamente militare – i concetti di base sono: dove voleva arrivare?  (direi, senza dubbio, a Genova, anche se nel 150 aC non era ancora una grande città; ma pur sempre dove arrivavano vettovaglie, dispacci da Roma, rinforzi e, anche se le truppe non venivano certo stanziate in città); e come arrivarci? (a parte che nessuno saprà mai dove passava – nel tempo, distrutta la strada romana vera - presumo che avesse vari itinerari a seconda delle condizioni meteorologiche e di sicurezza: se neve, se pioggia, se bel tempo; dove le stazioni di sosta e di cambio, ecc.).

 

IL CONSOLE incaricato da Roma di dirigere i lavori, fu Postumio Albino.

   Dal quale, il nome della strada. Ma, tanti sono i consoli romani che portano il nome di Postumio Albino.


   A Verona è stato trovato un cippo molto rovinato, oggi conservato nel museo Maffeiano, che segna chiaramente « S(purius) Postumius S(puri)  f(ilius) S(puri) n(epos) Albinus co(n)s(ul) CX(X)II Genua Cr(e)mo(nam) XXVII».          

Da esso, il nome del costruttore ed i due capisaldi Genova e Cremona; la distanza di CXXII milia passuum.


 


    Sanguineti (riportando la tesi dello storico Serra) presuppone che abbia iniziato la strada il console  A. (che starebbe per Aullo, detto il Losco e che ebbe tale incarico in un periodo non preciso e fissato tra il 574 ed il 180 aC.); e solo proseguita da  S. (che sta per Spurio, e che fu console 32 anni dopo il precedente).

 

LA DATA   I lavori inerenti un tracciato che congiungesse la pianura padana con la città di Genova,  è concorde il parere degli studiosi (Strabonio e Tacito) che  furono terminati nell’anno 148 avanti Cristo. Facendo il conto – in estremo difetto - dei 32 anni di differenza nell’operato dei due autori e non esistendo atti sicuri e determinanti.

 

 

 

 

PREMESSE

A) Appare storicamente ed  in assoluto, anche se marginalmente, che quella del 148 a.C. sia stata la seconda strada romana  tracciata sul nostro territorio.

   La prima è misconosciuta, probabilmente perché non fatta bene, non curata e quindi rapidamente autodistruttasi. Questo primo percorso, poi ovviamente abbandonato per non uso, appare essere stato già tracciato (vedi poco sotto, a D)) nel 218  da Scipione; nel 197 da Minucio Rufo; e nel 154  a.C. da Q. Opimio; per il passaggio di truppe da Genova verso Piacenza e viceversa (episodio della seconda guerra punica e romano-liguri -leggi sotto).

   Non va sottovalutata poi la priorità di una rete di comunicazione risalente ad epoca etrusca (testimoniata sia come insediamento, in Genova, rappresentata da abbondante ricchezza di reperti nella necropoli trovata - ove scorre via XX Settembre - a significato del porto quale emporio centrale di scambi per via mare ma anche per via terra; e sia lungo la valle Polcevera avendo ritrovato tracce etrusche fino ai piedi della Alpi Cozie). A proposito, lo storico Braduel F. cita: “i porti sono per natura all’incrocio delle vie terrestri e acquee”.

B) esiste una consistente frangia di studiosi che non accetta né la data né il percorso, né altri particolari della storia seguente. Una gran confusione.

   Infatti, tutti ovviamente, descrivono il percorso; ma quando si tratta di scendere nei particolari specialmente da Pontedecimo al mare, per quasi tutti i loro scritti ‘volano alti’ e scavalcano qualsiasi dettaglio: saltano questi 11 chilometri - fino a Genova - in un sol colpo. Ciò, in massima parte, è dovuto all’assenza di reperti tangibili. Questo aspetto è stato affrontato solo dalla prof. Praga la quale ha percorso a piedi le varie possibilità, trovando uniche e molto vaghe vestigia, nessuna della strada ma di impianti databili romani e preromani, attraverso i quali – forse - passava il tracciato. Su questa base ella, alla fine, ha fatto le sue logiche deduzioni che però - a loro volta - sono insufficienti per dire che “fu così”,  senza lasciare spazio ad altre ragionevoli interpretazioni.

   Un esempio della confusione è rilevabile nel librettino edito dalla Provincia, intitolato “Le rotte terrestri del Porto di Genova” nel quale, a pag 13  si presume -per la Postumia - un tragitto passante per salita degli Angeli, e da qui salire verso Fregoso per arrivare a Begato; nella pagina seguente si accetta un’altra via che percorreva la sponda destra del torrente (dal Boschetto); mentre la foto grande espone salita al Forte Crocetta, senza spiegare che anch’essa  portava - tutta in costa - sempre a Begato, ma con passaggio non da Fregoso né da basso, ma alto sulla nostra spiaggia, ignorando comunque salita Bersezio e il toponimo ‘Pietra’.

C) Ovvie le successive frammentazioni della sua unitarietà di percorso, variate nel tempo per le cambiate necessità di destinazione merci, topografiche, politiche, orografiche, ecc. (alcuni tratti vennero  totalmente esclusi forse perché pericolosi per brigantaggio o impercorribilità; altri variati per temporanei disusi; altri trasformati ad uso locale).

D) proponiamo una cronologia storica, mirata a capire le premesse alla strada.

---fine del VI secolo aC sono sicuramente attestati scambi commerciali ‘internazionali’ usando le vie marittime. Ma altrettanti, usando la via terrestre, verso l’area padana. La cospicua presenza di materiali artigianali (etruschi, fenici, cartaginesi, greco-tirrenici, nonché oggetti di provenienza golasecchiana, evidenziano già in quest’epoca stretti rapporti commerciali tra il  nostro capoluogo e la pianura padana con prevalente direttrice Valpolcevera (futura Postumia).

 ---fine III secolo, e tutto il II secolo aC. -  è rappresentato  dalla fine della prima guerra punica e dall’espansionismo romano nella Liguria di allora (dal Po al mare e nella Gallia Cisalpina) mirato alla capillare penetrazione nelle regioni del nord dove la frammentazione etnica dei Liguri  costrinse Roma ad una serie di guerre tutt’altro che facili:

---anno 238 aC : T. Sempronio Gracco contro gli Insubri e altre tribù dell’interno

---   “     236      : L. Cornelio Lentulo  celebrò il primo trionfo ‘de Liguribus’. Lamboglia propone questa data come ‘fissazione’ di Genova quale porto ufficiale romano fortificato (assieme a Luni e Pisa).

---   “    233      : Q.Fabio Massimo sottomette la Liguria orientale (quando Genua era già ‘civitas foederata’ che ospitò l’accampamento romano impegnato contro i Boi ed Insubri).

---   “    222 aC : inizia la seconda guerra punica che vanifica i risultati =Boi ed Insubri si alleano con Annibale ed assaltano Piacenza e Cremona. Forse, nel 218 C. Cornelio Scipione sbarcò a Genova proveniente dalla Gallia (narrazione di Livio:”ipse cum admodum exiguis copiis Genuam repetit eo, qui circa Padum erat exercitus, Italiam defensurus”), per raggiungere la valle padana dove era Annibale. Genova (diventata non solo base navale ma anche caposaldo militare) viene assalita da Magone (205 aC); l’urgenza con cui dopo due anni Roma la fa ricostruire da Spurio Lucrezio con lo scopo di renderla capoluogo,  ne dimostra l’importanza.

G.Cera (pag.23) pone in questi anni (200 aC) il capolinea in Genova della ‘via Aurelia nova’; ed evidenzia come nel periodo tardo imperiale, secondo l’Itinerarium Antonini, mancando un collegamento diretto con Vado, l’Aurelia  rifaceva un tratto della Postumia: -dopo la città- la Valpolcevera ed un percorso interno passante per Libarna ed arrivante a Tortona da dove, per scendere a Vado, passava da Aquae Statiellae

---   “   197      : Q. Minucio Rufo partendo da Genova occupa militarmente la direttrice occidentale verso la pianura padana (previene così la nostra strada), assoggettando 15 tribù liguri dell’Appennino (tra i quali Litubium –forse Retorbido- e Casteggio) garantendo sia una linea di difesa continua tra i tre capisaldi  strategici militari (Genova e Piacenza-Cremona nel frattempo –190 aC- liberate dai Galli Boi da P. Cornelio Scipione Nasica) e  sia la nascita della via Emilia (187 aC). Prosegue così l’espansione verso il nordovest:

---anno 181 aC : vittoria sugli Ingauni

---   “   180       : deportazione degli Apuani

---   “   179       : sottomissione degli Statielli

---   “   166       : vittoria sui Liguri Eleates, definitiva nell’anno  158.

---   “   154 aC :  Q. Opimio partì da Piacenza verso Genova, per sedare la rivolta della tribù degli Oxibii e dei Deciati.

---   “   148      : Per collegare, e quindi  finalizzare, consolidare e far assimilare questo lento e difficile processo di romanizzazione, ecco nascere la POSTUMIA.

-         117        :la tavola del Polcevera

-         110        : la via Aurelia

-         100 ca,  : Strabone definisce Genova ‘emporio’ per i Liguri dell’entroterra (ovvero oltre Appennino. Sempre occorre ricordare che pressoché tutti questi storici scrivono ‘per sentito dire’ – probabilmente da marinai o reduci militari; e che per definizione accettata, chi non era romano era barbaro). Lamboglia descrive un documento in cui a quella data Genova è definita ‘municipio di diritto romano, iscritto alla tribù Galeria’.

-          13  aC. : apertura della via Iulia

 

LO SCOPO accettato da tutti gli Studiosi, quello determinante di strada militare. Ovvero spostamento di truppe (con esse, definire il  controllo delle popolazioni indigene da assoggettare e stabilizzare la regione,  premiando le tribù filoromane).

Ovvio il guadagno per Roma di simile politica; ricchezza soprattutto materiale, ma anche determinante una propria sicurezza territoriale.

   Se per Roma la stabilizzazione delle città costiere e della pianura padana non fu facile, ma ci riuscì creando capisaldi di certa fiducia e fedeltà, assai meno facile fu il riuscire a domare le varie tribù montane dell’Italia nord-occidentale, per definizione di tutti, “dei Liguri”. Ci riuscì a prezzo di rinnovate battaglie, quasi tutte vinte specie quelle in campo aperto – per un ottimale schieramento - ma ciascuna con decine di migliaia di morti per indicare il grosso apporto umano che doveva essere ogni volta raccolto e trasferito: da ciò, per Roma,  la necessità di strade.

   Ma i romani non erano militari fine a se stessi: l’organizzazione armata aveva dietro altri importanti scopi: uno, creare una specie di confine con gli Insubri (che attraverso patti ‘foedera’, dimostrarono preferire il mantenere l’autonomia), e non ultimo  quello commerciale, anche se prevalente a senso unico; cioè usufruire dei territori per esportare sì  cultura e sicurezza, ma importare gratis le materie prime esistenti nella zona. Quest’ultimo meccanismo si può applicare anche assalendo una nave, un borgo, una città, saccheggiandoli; conquistare il territorio è uguale; ma significa la volontà di stabilizzare il rapporto, crearlo duraturo e non fugace.

Quindi, raggiunse – una volta esistente - anche una non poca importanza commerciale per Genova ed il suo interno, testimoniata dalla Tavola del 117 a.C. che cita la strada ben tre volte a testimonianza di punto di riferimento.

   Per fortuna della Repubblica di Genova, questa strada non fu mantenuta funzionante; cosicché in seguito se non fu mai sufficiente a inserirci nella storia dell’Italia che si sviluppò - per 1800 anni a seguire, nel bene e nel male quasi solo e sempre al di là degli Appennini - ci preservò per molte volte da inopportune e tragiche invasioni.

 

LA STRADA

a) il progetto

   Il tracciato fu progettato trasversale rispetto le strade che da Roma ascendevano al nord; e lo scopo era di collegarle tutte tra loro per ovvio più rapido spostamento delle truppe e migliore controllo del territorio.

Questo fa presupporre che i romani già possedessero delle mappe per avere una visuale d’insieme di un territorio così vasto. Comunque, localmente, il tracciato in genere doveva ricalcare quello dei sentieri vicinali, specie quando si trattò di traversare l’Appennino.

b) schiavi

    il lavoro fu fatto fare da schiavi e prigionieri. Le battaglie, ne procuravano a sufficienza, quando ne saranno occorsi qualche migliaio; con tutta una organizzazione dietro. Personalmente, proporrei questa osservazione come una delle basilari: nell’aprire la strada, necessitarono molti operai e materiale. E visto che le battaglie vinte e con esse le terre conquistate contemplavano non tanto le coste ma l’interno, è più probabile che  da Libarna siano arrivati a Genova e non viceversa. Avvalorata dall’idea dell’usuale utilizzo – secondo mentalità militare romana - di trasferimenti dei materiali, prevalentemente via terra.

   Probabilmente la strada fu iniziata in più punti, come è in uso anche attuale con plurimi appalti. Pertanto, a mio avviso, la massa di schiavi fu concentrata a Dertona (collegata a Piacenza; ed a Cremona dalla quale inizialmente partiva il tratto verso oriente), e da là iniziò l’immane sforzo costruttivo, verso Genova, durato molti anni.      

   Se tale massa di gente fosse stata sbarcata a Genova, forse rimarrebbe traccia mnemonica di questo esodo ed operazione di grosso respiro.

Ai lavoratori, i militari dovettero far fare degli sforzi immensi e gravosi (possiamo immaginare l’Appennino con i suoi boschi e pendici rocciose o franose e ripide, d’inverno con diluvi che distruggevano tutto se non molto ben impiantato); lo dimostra che da alcuni studiosi fu chiamata ‘Erculea o Eraclea’ perché somigliante al percorso dell’eroe durante la decima fatica (vedi Aurelia);  ma è più saggio pensare che utilizzò i sentieri lungo costa già usati e che quindi non attraversò l’Appennino sia in senso mare-Po, che inverso come suggerì Tito Livio per un improbabile percorso risalente il Rodano, attraversante le Alpi Graie (da lui, che era greco), ridiscendente al mare (il percorso della Postumia) per scendere nel sud Italia e tornare in Grecia)

c) la direzione

Mille storici, mille ipotesi; nessuna certezza: leggendo la bibliografia si desume che ciascun autore cerca di impersonarsi nel console romano, e suggerisce ‘dove lui sarebbe passato’.

Non è quindi importante stabilire se Genova fu punto di arrivo o di partenza della strada; anche se tutto fa optare per la prima ipotesi. Perché erano già funzionanti le strade oltre Appennino Flaminia ed Emilia; perché i liguri ribelli erano prevalentemente quelli dell’interno montano; e perché  per l’esercito romano - in caso di necessità di portare truppe in Liguria - i metodi potevano essere due, o via nave (la migliore, ma occorreva avere tante navi, e non sempre era facile averle libere e disponibili in quantità necessaria); oppure da Piacenza ‘calare’ verso il mare.

Per la seconda ipotesi opta che ‘le miglia’ vengono contate a partire da Genova (da Cipollina definita ‘umbilicus urbis Ianue’)  ed il primo miglio fissato in località poi chiamata s. Limbania, ove sorse l’abbazia di s. Tommaso. Secondo miglio è dove la definizione ‘Pietra’, posta alla fine del Campasso (la zona è comprensibile dalla base del Torrente, alla sommità del Colle omonimo se le merci transitavano in basso –d’estate - o a mezza/alta costa nelle piogge d’ autunno e nevicate;  e prima di arrivare a Rivarolo dove esisteva un ponte che (tavola Peutingeriana) portava ‘ad Figlinas’ ed al ponte del ‘Decimo Miliario’ (Pontedecimo = che non vuole essere decimo ponte ma decimo miglio = pons ad decimum lapidem).  

cA) da Piacenza a Tortona. 

Quindi, dalla pianura verso il mare, con brevissimo accenno (perché poco interessa a questa ricerca tutto questo cammino, un lungo tratto e tutta una storia che appena coinvolge i confini della Repubblica e l’entroterra).

   Possiamo far cenno che nel procedere in questa direzione, è ovvio che i vari cantieri aprirono punti di rifornimento e concentrazione del materiale necessario;  alcuni acquisirono struttura di borgo con relativo nome. Tutti d’accordo, gli Storici per il tratto: Piacenza →Camillomagnus→-Iria (Voghera)→Dertona (Tortona).

cB) da Tortona alla Bocchetta

Qui iniziano le prime sostanziali varianti, tutte possibili, nessuna dimostrata. La vera Postumia ebbe un solo tracciato.

   Ma,  perduta qualsiasi traccia, ognuno dice la sua. Al lato pratico, tante e diverse opportunità si offrivano a chi voleva arrivare al mare, e sicuramente saranno state adottate poi in epoca medievale.

   Ma per noi si tratta di valutare dove passò la Postumia. Poiché il passaggio attraverso la Bocchetta è sempre stato privilegiato nel medioevo e rinascimento, sia nei viaggi dei quali rimane traccia (monaci, ambasciatori, eserciti invasori; si è invogliati a pensare che anche in epoca romana fu la via preferenziale, e corrisponda a quella della Postumia. Anche se non esiste la certezza).

 

 

cB1) da Tortona (Dertona),  il percorso poteva  seguire il fiume Scrivia.

--Lungo il quale avrebbe  trovavo - dopo Serravalle→Libarna. Sin qui, è ragionevole. Ma così -  seguendo il fiume - avrebbe portato a Busalla ed ai Giovi (Puncuh).

--O proseguendo,  da dopo Isorelle al passo della Vittoria.

--O arrivare a Casella dalla quale scendere da Crocetta d’Orero a Serra Riccò, e proseguire per s.Cipriano.  Per Miscosi, l’Eraclea era quella che da Libarna per la Valbrevenna (via breve) passava per Crocetta d’Orero (da Oeum), scendeva a Torrazza (dal latino Tauricia), risaliva al Garbo.  A Sarissola vantano una sosta di Liutprando nel ritorno a piedi con le ceneri di s.Agostino.

--O a Montoggio (da dove calare in val Bisagno).

cB2) Da Dertona  seguendo →fiume Lemme (oggi con Novi, Gavi, Voltaggio, Fraconalto):  si sale direttamente → fino ai 772 metri di quota della Bocchetta. Presso il valico, sul monte Poggio, doveva esistere un presidio militare romano (castellus Allianus) dal quale si scendeva a Pontedecimo.

cB3) Da Dertona seguendo in parte il fiume Scrivia lato destro fino a Libarna (posta a XXXVI miglia dal caput viae) ed a  Pietrabissara; qui deviare per → risalire fino alla Bocchetta.

cC) dalla Bocchetta a Pontedecimo

Pressoché tutti concordi nel trovare in Pontedecimo, il punto logico di stazione di posta (Pons ad decimum lapidem=ponte sul torrente al decimo miglio romano=14 km da Genova).  

Dislivello enorme per quei tempi, forse mai superato nelle altre strade romane: dai 772 m/slm del passo della Bocchetta, fino a PonteX . Una mulattiera adatta quindi a pedoni o cavalcati (qualche signore, in portantina). Già dai tempi romani prevalentemente in costa, al sicuro quindi di nevicate o alluvioni, d’inverno doveva restare chiusa a lungo mentre d’estate era bloccabile da briganti o frane. 

   Dal passo, gli itinerari di discesa sono più d’uno:

--- il più antico percorre dopo Libarna, Fraconalto (con fortezza) e Bocchetta→ Reste (detto Pian de Reste; ex postazione romana di presidio di guardia a controllo della strada, e poi fortezza nonché cambio cavalcature e locanda per pernottamento)→ gola di Pietralavezzara (marmo verde)→tre possibilità:

                                    *1- la più antica è →Campora (la Parascevi della Tavola bronzea)→Cesino (alberi di ciliegio; Sexino è citata nel 996 dC)→PonteX (con castello romano, più volte distrutto fino all’ultimo nel 1920).

Altre, più tardive, da Pietralavezzara→

                                   *2- Campomorone (=albero di gelsi e/o castagne; toponimo trovato esistere dall’anno 1163) → PonteX; oppure

                                   *3- Langasco (sede dei Viturii Langenses; il nome originario era “Langa” di etimologia ignota e da cui il nome degli abitanti: Langati o Langensi. Centro primitivo -certamente il più importante sulla strada che, se in salita, si inerpica verso il Passo- abitato da agricoltori, pastori e boscaioli (nel XIII secolo fornitore dei cantieri navali sampierdarenesi e, da parte di un certo Perino di Langasco -1348, del legname necessario al Ponte di Cornigliano.

Ma patria originaria anche di alcuni notai,  e di un giureconsulto (Giacomo da -,  del 1239). 

Appare ancora menzionata nel 993 dC. Da qui,

→**1 - Costagiutta→ Paveto (XIII secolo); oppure

→**2 - Costagiutta→ Fumeri e borgo Malopasso (XV sec.); oppure

→**3  - Cesino →Pontedecimo

 

cD) Da Pontedecimo a ....  Se multiple sono le tesi da Tortona a Pontedecimo, molto più complicate  e disponibili, sono quelle da questo borgo, a ventaglio; decine, le possibilità di approccio a Genova.

   Non esistendo reperti romani aC, ma solo dC,  ciascuna teoria  appare possibile.

   Per il nostro borgo, non ci sono tracce né anteC,  né postC.

   cDa) la maggior parte degli Studiosi, saltano qualsiasi riferimento fino a Fassolo (la chiesa di s.Tomaso - oggi distrutta - possedeva  tracce di epoca romana; anche a Prè sono state trovate tracce dell’epoca; così come lungo l’asse della linea costiera,  per toccare tutti i vari piccoli approdi e relativi insediamenti suburbani del ponente, fin  sotto la porta perimetrale a Banchi ed all’attuale piazza s.Giorgio.  Il tutto relativamente confermato da necropoli cristiane; ma, dC..) e fanno arrivare la strada a Genova tutta in un volo.

   cDb) lo storico Cirnigliaro, da Pontedecimo fa salire la strada a san Cipriano, passare per Morego, torrente Secca, Cremeno, Begato, val Polcevera, Granarolo, Genova in piazza oggi san Giorgio. (Mi sembra un inutile sali-scendi attraverso i monti quando la strada lungo il Polcevera era molto più facile; forse, quando il torrente era in piena).

   cDc) alcuni altri, scendendo sul lato destro o di ponente del torrente, fanno transito a Fegino (per riscontro di resti di un forno di cottura (fornace?) con ceramiche etrusche e comunque preromane. La tavola peutingeriana del 330 dC cita – e non a caso quindi -  ad Figlinas (dal sostantivo latino ‘figulina’ ovvero argilla, e quindi o cava o fabbrica di vasi- riporta la distanza VII miglia (=10,5 km, possibili corrispondenti alla Postumia).

   Con due pareri diversi: - cDc1) alcuni studiosi negano poi un tratto verso Genova: secondo loro, essendo la strada a scopo militare e dovendo le truppe portarsi nel ponente ligure, a Fegino piegava  verso Sestri e proseguiva verso la Gallia. –

cDc2) per altri appare sciocco non arrivasse a Genova ( perché capoluogo,  per rifornimenti tramite il porto, per ordini e messaggi da e per Roma, per la comodità dei consoli addetti alla strada; e quindi la fanno proseguire a  T: verso la città e verso il ponente lungo il mare.  Ma anche qui, cDc2a) alcuni proseguono diritti sino a Cornigliano ed oltre, restando sul lato destro; altri cDc2b) a Fegino attraversano un ponte e passano sulla sponda sinistra;  e sino alla città aprono un tracciato che sarà ricalcato dall’Aurelia.

   cDd) Melli Piera (in Vie Romane in Liguria di Luccardini) propone: Pontedecimo Morego Cremeno Campora di Geminiano Granarolo salita Angeli. 

   cDe) Bassoli propone tracciato sulla dx del torrente ma si ferma al Boschetto; sulla sinistra, da PonteX arriva alla Certosa di s.Bartolomeo.

   cDf) Angeli Bertinelli interpreta il transito attraverso il tratto suburbano di Genova come proveniente da nord e “attraversava forse il fiume Porcobera” ed arrivava a “costeggiare a monte il caput Arenæ”

In pratica sposerebbe la tesi cDc2b su descritta 

   cDg) tra i tanti pareri, anche il mio. Personalmente, propendo che quello più logico e pratico sia:  seguire il corso del Polcevera,  sul lato sinistro, mirante ad arrivare a Genova. E, questo tragitto sul lato orientale, sul quale poi si crearono i vari borghi secondari,  sino a Certosa.

(Per una eventuale strada che percorresse il lato destro del torrente - la quale darebbe soddisfazione al ritrovamento della fornace a Fegino - si può ritenere possibile sino all’incrocio col Torbella. Ma, a  questo livello,  per mirare a Genova,  ai costruttori si sarebbe imposta una ovvia problematica: non aspettare oltre di attraversare il Polcevera perché con gli affluenti tendeva a diventare sempre più largo. Quindi costruire un ponte. Il quale però era inutile se la strada fosse fatta provenire sino a Certosa dalla sponda opposta. Quindi per una mentalità pratica come quella romana, l’idea del ponte – a mio avviso - è da scartare; mentre sono, da accettare che la fornace fu fatta a Fegino perché là c’era una cava del materiale necessario  e che la Postumia aveva seguito il lato sinistro del torrente, sino a Certosa).

 

   Dalla Bocchetta, arrivati a Certosa, un altro problema:  non continuare a scendere ancora verso il mare di fianco al torrente, perché la zona – se pioveva – diventava impraticabile ed acquitrinosa (il Campasso dapprima; e più a mare ancora, pur essendo lo sbocco del Polcevera una foce, in realtà,  se ricco d’acqua, si deltizzava in mille rivoli secondari essendo le sponde piatte e sabbiose (alcuni rivoli sfruttati anticamente anche come condotti per mulini; ricordiamo la morte del giovane Cambiaso che dette origine alla Madonnina sul ponte; la parte dell’esercito austriaco trascinato a valle dall’irruenza delle acque;  il primo manufatto delle piscine della Crociera che furono minate nel sottofondo da falde d’acqua)  

Quindi si imponeva una soluzione che a mio avviso – sommata al dover anche superare il colle di s. Benigno per arrivare a Genova -  non conveniva più proseguire sul greto ed arrivare alla spiaggia (allora, ancora vuota), quanto invece  risalire verso levante: o passando dal Garbo ed arrivare dall’alto al nostro Belvedere, (passando dall’attuale forte Crocetta);  o alla Pietra → salendo per l’attuale salita V. Bersezio e per incrociare – sulla cresta del colle del Belvedere - la strada proveniente dal Garbo.

  

   Dopo la Postumia ad uso militare, a Certosa avverrà il congiungimento con l’Aurelia (con sovrapposizione del tratto da Certosa a Genova) e l’inizio di uno sfruttamento commerciale.

   Sarà il tempo meteorologico – come abbiamo già scritto – che farà decidere il percorso: d’inverno meglio poteva essere la via a mezza costa, del Garbo per esempio; d’estate, o quella lungo il greto del torrente o addirittura sui crinali). Ma anche altri interessi giocheranno sul percorso da farsi, via via che cambieranno i tempi e costumi: dove portare le merci (al porto o in una delle due riviere), a chi era indirizzata la carovana (dove veniva ospitata allo scioglimento), le gabelle feudali, le stazioni di riposo e di ricambio , i briganti, ecc.

Se così furono le cose, il tratto da Certosa a Genova fu identico per tre strade successive: primo per la Postumia, poi per la prima Aurelia, (nata poco prima: nel 200 aC. per direttiva di C. Aurelio Cotta); terzo per la seconda Aurelia rifatta nel 110 a.C. da parte di Emilio Scauri.

 

 da Quilici L & S – sicuramente errato il transito

‘entro’ il territorio del nostro futuro borgo

 

TESTIMONIANZE IN EPOCA ROMANA

--La tavola del Polcevera. La via viene menzionata tre volte sebbene non influisca nella distribuzione dei territori tra le due popolazioni i quali sembrerebbero quindi antecedenti alla colonizzazione romana.

--Strabone. Storico che descrisse la posizione di Dertona (Tortona) riscontrandola equidistante tra Genova e Piacenza: 400 stadi, pari a 50 miglia romane. Purtroppo la sua descrizione non è contemporanea ma posteriore, e fa riferimento a successive trasformazioni che il percorso ebbe a subire specie la deviazione verso Aquae Statiellae che avvenne in epoca augustea (via Aemilia Scauri, poi Iulia Augusta).

--Tacito. descrittore nelle sue ‘Historie’ delle guerre civili tra Otoniani e Vitelliani della seconda metà del primo secolo dC. La strada ebbe funzione determinante per interventi a partenza da Piacenza (Placentia), Cremona, Bedriacum

TESTIMONIANZE IN EPOCA DOPO CRISTO:

anni 0-200 L’incremento economico portato dai romani, conseguente all’assoggettamento dei Liguri, durò fino al secondo secolo dC quando iniziò un declino commerciale con il ponente relativo a un declassamento iniziato con l’apertura della via Iulia (13 aC) che escludeva Genova a vantaggio del tragitto da Acqui a Vado. In questi due secoli, la strada mantenne efficienza inalterata nel settore periurbano fino all’intera Valpolcevera ma quasi solo per interscambi locali (come testimoniano le necropoli e gli oggetti ritrovati lungo il percorso; e fino al tardo medioevo con l’erezioni delle chiese importanti sul tragitto: s.Giorgio, s.Fede, s.Siro, s.Tomaso).

A questi ipotetici fatti commerciali corrisponde una lacuna di documenti e notizie d’archivio che rimarranno sino ai tempi di  Costantino.

Forse tutti hanno una ragione, perché occorre anche un minimo di distinguo per tempi successivi: sino ai tempi medievali il tracciato verso nord era aperto prevalentemente in alta mezzacosta se non addirittura sul crinale dei monti, sia per evitare il torrente non arginato (se non –a tratti- dopo il  secolo XV per le ville private), sia per attraversare i centri abitati generalmente eretti sull’alto dei pendii.

Nel 312 dC Milano diventa capitale dell’Impero; la Postumia viene riattivata per i rifornimenti (grano, olio) che dal porto erano destinati a Milano dalla quale dipendevano Genova e le province sicule ed africane. Pare che nell’occasione, molto più frequentato fu l’itinerario che da Morego e san Cipriano passava per il passo –oggi della Vittoria- e scendesse a Savignone.

Nel secolo, gli Itinerarium Antonini+ tabula peutingeriana+ itinerarium Burdingalense, in epoca tardo imperiale descrivono il tracciato –specie quello orientale- che appare aver già perduto buona parte della sua importanza, comparendo tratti di collegamento divenuti importanti e vitali ed altri caduti in totale disuso: così nell’alta val Polvecera è presumibile siano state create alternative multiple al tracciato ufficiale. La assenza di particolari accenni alla strada in questa epoca, fa supporre che la sua concezione unitaria sia divenuta già frammentaria; l’instabilità idrogeologica condizionò non poco la continuità del percorso, facendo perdere tracce ad esso pertinenti; ma anche ospizi e monasteri, dapprima eretti ‘fuori via’,  furono determinanti per variare il percorso.

Nel 408 dC lo storico Zosimo  racconta di emissari eunuchi inviati da Roma, che accompagnavano la moglie (era la seconda, si chiamava Termanzia ed era figlia di Stilicone) ripudiata alla propria madre a Ravenna: preferirono far vela a Genova e percorrere la Postumia.

Così, risulta che la strada fu poi sfruttata nel 535-554 dC.  dai Bizantini contro  gli Ostrogoti: Procopio scrive che nel 538  i Bizantini –comandati da Mundila, inviato del generale Belisario, giunti a Genova via nave con mille fanti- trasformarono le navi in carri, trainati con scivoli o ruote si inoltrarono occupando Acqui (la più nota; principale sede di vettovagliamento e concentrazione di eserciti) e Libarna (Già in declino), poi insediarono Tortona (favorita perché posta all’incrocio tra la Postumia, la AEmiliaScauri e la IuliaAugusta). Giunti al Po le ritrasformarono in barche ed attraversarono il fiume conquistando Pavia (Ticinum).e Milano. 

Nel frattempo -539 dC- il re d’Austrasia Teodeberto (figlio di Teodorico; morto poi in un incidente di caccia nel 548) dal Gottardo scese a combattere sia Goti che Bizantini: li sconfisse presso Tortona, li inseguì sulla Postumia passando per Genova (che saccheggiò) e poi ancora per l’Aurelia sino a Vado; qui la peste lo indusse a desistere l’inseguimento e tornare indietro.

Nel  569 Onorato, vescovo di Milano, scappò a Genova percorrendo la Postumia, strada previlegiata dai Bizantini che conservarono l’area a sud di essa,  sino ai primi anni del VII secolo.

Nel 590, la presenza dei Longobardi è ormai dominante, malgrado vaghi tentativi di riscossa dei bizantini.  Doventerà pressoché totale nel 603. Nel 590 Agilulfo –duca di Torino- alla morte di Autari (591) sposandone la vedova Teodolinda –politicamente vicina al papa Gregorio Magno e fautrice dell’espansione religiosa cattolica-  divenne  re dei Longobardi. Subito impose l’autorità regia sui duchi ribelli conquistando definitivamente Parma e Piacenza (per una decina di anni, si alternavano i possedimenti di queste due città) e così dilagando verso il mare usando strade già tracciate, in particolare la Postumia ed una della val di Vara, travolgendo i vaghi tentativi di difesa bizantini.

   È legato a questo V secolo, il percorso fatto dai santi Nazario e Celso, che in tre giorni da Genova arrivarono a Milano.

   Fu quando, Rotari re dei Longobardi, nell’anno 636 dC. volendo por definitiva fine alla dominazione bizantina, percorse la strada e –giunto al mare- distrusse la città di Genova e la sua fascia costiera fino a Luni e Varigotti; progressivo controllo amministrativo più che militare, fino all’integrazione graduale favorita dalla alta religiosità dei longobardi con l’espansione monastica. 

Ancora tutto da risolvere, il viaggio di Liutprando con le ceneri di s.Agostino dell’anno 725 circa, Anche la Airaldi concorda il transito di rotprno, via Savignone-Precipiano; il che significherebbe che da San Pier d’Arena raggiunsero Morego, il passo della Vittoria e scesero a Ponte di  Savignone.

La Postumia si incrocierà -negli anni 1000- con la via Franchigena come percorso di 900 km. da Gran s.Bernardo (a 2474 slm) -Aosta-Ivrea-Vercelli-Pavia-Piacenza-Pontremoli-Aulla-Sarzana-Siena-Boilsena-Viterbo-Roma)

Se a partire dai secoli a cavallo del 1000 la spiaggia di SPdA si arricchì di cantieri, lo si dovette allo sfruttamento dei rigogliosi boschi dell’interno, specie di roveri molto adatti e pregiati per fabbricare navi; e di abeti (bianco) per i pennoni. Si dovette creare questa prima ‘via dei legni’, necessari anche per le capriate delle chiese, dei tetti e saloni delle case. Per il trasporto non esistevano mezzi se non quelli primitivi: dai colpi d’ascia, alle catene e puntoni per agganciare i tronchi e trasportarli trainati da buoi messi a coppie multiple. Si ebbe cura del selciato per permettere di far scorrere meglio le slitte o i carri (esempio ponendo le pietre non a piatto ma a coltello, che evitava nelle discese che il traino sfuggisse al controllo; e cercando le stagioni che permettessero il non facile scorrere sulle vie d’acqua). Solo l’esaurimento delle scorte dell’alta val Polcevera e la mancanza di una programmazione colturale portarono -nel rinascimento- alla necessità di rifornimenti più lontani, e recapitati sulla spiaggia via mare.

   In questo secolo, sempre per dimostrare un ‘vivace’ transito stradale, inizia e si consolida il potere vescovile nei territori oltre Appennino: in cambio di protezione si fortificano con castelli i villaggi, i quali giurano fedeltà al vescovo, e curano sia l’agricoltura che i traffici commerciali (e con essi le strade) e le rendite (così Novi, Acqui, Visone, e decine di altri siti ancor oggi eretti nel basso Piemonte).

Abbiamo nel XII secolo l’inizio dell’espansione politica e militare genovese nell’oltregiogo. Direttrice privilegiata dai genovesi fu la val Lemme (Fiacone-odierna Fraconalto-, Voltaggio, Montaldo conquistati con la forza nel terzo decennio di quel secolo. Lo stesso castello del marchese di Gavi  pare fu acquisito non tramite regolare acquisto –come descritto dall’annalista Caffaro- ma ‘manu militari’.

 Ed altrettanto il castello di Parodi, che nel 1148 dal marchese Alberto Zuata fu ‘ceduto’ per metà (del castrum, della torre e della curia –quale territorio attorno ad un castello-) ai genovesi).

   Malgrado ciò ed in contrapposto, l’utilizzo delle strade andò scemando fino al quasi totale disuso; lo stesso Barbarossa negli anni 1152-62, senz’altro fu frenato dal venire a punire l’insolente Genova, non solo per le fortificazione prontamente erette, ma anche per le difficoltà di avvicinamento ed approvvigionamento.

Infatti la strada fu praticamente sempre trascurata dal governo genovese anche se divenuta l’unica carrettabile nei limitrofi verso nord della Repubblica, comprese Novi, Gavi ed Alessandria.

   Rimase così carrettabile locale (non ‘munita’ ovvero non lastricata né fortificata né servita da stazioni) per arrivare ai confini della Repubblica o nei possedimenti dei nobili: rimangono ancor oggi  i vari Castelli (di Savignone, della Pietra, ecc) dai quali pagare una tassa di passaggio. In effetti le grosse città (Asti, Gavi, Alessandria) e le piccole, divennero sede di pagamento di pedaggi a fronte di servizi di ospizio, cambio animali e ventaglio di ulteriori diramazioni. Ma per questo forse  i tragitti si moltiplicarono formando un intricato groviglio di percorsi secondari e alternativi. Così si spiega, che volutamente fu trascurata, essendo prevalente fonte di innumerevoli grattacapi tra i quali, sia gli ostacoli naturali (esondazioni, frane, crolli di ponti)  che umane (brigantaggio, pedaggi; ma peggio di tutti, che era altrettanto l’unica percorribile dai troppo frequenti eserciti invasori, specialmente piemontesi).

   Giustiniani visse la scoperta della Tavola del Polcevera (1506) e con essa un risveglio di interesse sul tracciato, che si era mortificato per carenza di informazioni, descrivendo sugli Annali (1537) il percorso sino alla valle Scrivia.        

   Con lui, altri autori descrissero la strada sia con perlustrazione dei territori sia con studi su manoscritti (Cluverio 1650 ca; Cellarius, Beretti.

   Nel marzo 1507 vi passò anche re Luigi XII col suo esercito, contro Genova quando era doge Paolo da Novi.  Ma in pratica, su quei sentieri, transitavano solo carovane di  mercanti, soldati di ventura, diplomatici con la scorta, religiosi in trasferimento di sede.

   Nel 1584, il tragitto era ancora percorribile solo da audaci avventurieri pari a quelli che traversavano l’Oceano. Il Senato decise un ammodernamento passando a ponente di Fraconalto (dove passava la precedente) in modo che fosse meno in salita e da renderla carrettabile, e che calasse più dolcemente su Campomorone, dove nelle prime decadi del 1600 fu eretta la ‘salea’ .

   A doppio taglio sempre la conservazione della transitabilità; il timore di accrescere le spese di mantenimento (frane, impaludamenti, ponti marcescenti) -anche se venivano coinvolti i paesi interessati-; e di  facilitare gli invasori.

  L’impervietà del tracciato e la rudezza della vita nell’entroterra, favorì non poco anche il brigantaggio lungo il percorso ed il grave pericolo della diffusione della peste. E non ultimo ma frequente  lo spadroneggiare delle stesse truppe genovesi mandate a difendere i confini e che passando per i paesi commettevano soprusi di ogni tipo (Tuvo Campagnol, propongono allo scopo  documenti sui quali si legge che  il Commissario, il nostro GioVincenzo Imperiale, segnala al Senato che i paesi si spopolano causa  i danneggiamenti delle soldataglie di passaggio. E nel 1625 Antonio Durazzo, scrive da Pontedecimo dell’identico problema: “...saccheggiate dalli soldati che passano li quali hanno fracassate le porte delle case...et rubate le biancherie, robe, denari et quello che hanno trovato in casa et quello che è peggio hanno sforzate moltissime giovani di detti luoghi pubblicamente...la valle è divenuta un bosco di ladri...”.)..

   Solo con grandi lavori di arginatura, nel 1585, fu realizzata una carrettabile sulla riva sinistra del Polcevera; così gli itinerari si concentrarono spostandosi più intensi in basso, lungo il greto, da Pontedecimo a Certosa

   Nel 1625 il duca di Savoia si vide costretto ad interrompere il tentativo di invasione e di occupare Genova, perché “ritrovò impossibile il condurre per esse (strade) le artiglierie. E molto arduo il bagaglio e le provvigioni…”.

   1632. L’erezione delle ultime mura e l’apertura di un limitato numero di porte (tre verso il Bisagno: san Bernardino, san Bartolomeo e Chiappe; una verso nord, di Granarolo; una verso ponente, la Murata poi gli Angeli), costrinsero molti sentieri a confluire trasversalmente da/verso le porte stesse.

   Riferiti al trienno 1637-9, la differenza degli introiti della gabella, per il transito attraverso la Porta di sTomaso e quella di sStefano, evidenzia: pedaggi per approvvigionamento della città (£.34.607 contro 612); vino (£. 23.306 contro 23.200); grano (£.3.412 contro 198); carne (£.348 contro 16.464=maggiore per bestiame proveniente dal Piacentino).

   Riassumendo, nel XVII secolo, verso Genova di ponente, contiamo quindi quattro possibilità di percorso:

1)= da Ovada-Asti, Rossiglione, Masone, Turchino, Voltri. 2)= la antica via della Postumia, detta ora ‘della Bocchetta’ (Novi o Serravalle-Voltaggio-Fraconalto, Campomorone-PonteX, valle Polcevera-Genova o Sestri);  3)=oppure la via detta ‘dei Feudi Imperiali’, o Cannellona (gestita in prevalenza dai Fieschi, legati all’Impero ed a Vienna, percorreva da Ortona, Mongiardino, Vobbia,  Crocefieschi, Casella, Crocetta d’Orero,  Vicomorasso, Bolzaneto); 4)= oppure quella delle Capanne (Acqui,  Benedicta Capanne di Marcarolo SMartino di Paravanico, PonteX, Ceranesi- Lencisa- val Varenna,  Pegli).

   Ancora nel 1702 il re di Spagna, e nel 1711 CarloIII, da Milano intendendo imbarcarsi dalla nostra spiaggia per rientrare in patria, costrinsero il Senato a inutili ed effimere riparazioni. Lo stesso nel 1713 quando la carrozza della regina Elisabetta Cristina di Spagna (moglie di CarloIII), si riversò, mentre percorreva il greto del Polcevera.

   Gli austriaci dell’epoca balilliana, con a capo il Botta Adorno, la percorsero nel 1746  nei due sensi, assai avvelenati nel rientro per carenza di bottino (sicuramente cercarono, fuggendo, di rifarsi con i locali. A Langasco è storicamente accertato che fecero ‘tabula rasa’ di ogni cosa, comprese le campane, le suppellettili delle case (“Langascus vero sustulit omne malum”), nel cimitero scoperchiate le tombe alla ricerca di monili rompendo lapidi e statue.

 Alla ‘pigrizia’ dei Padri del Comune, sopperì l’impresa privata, quando nel 1773 il doge GB Cambiaso fece aprire una strada carrozzabile (completata in tre anni e chiamata popolarmente ‘cambiaggia’) che, seguendo il torrente per otto miglia, arrivava sino a Campomorone (dove si allacciava la strada che saliva alla Bocchetta) per arrivare a Cremeno dove aveva la  villa..

 Agli inizi del 1800 il canonico Bottazzi individuò la posizione -sino ad allora sconosciuta- di Libarna e di alcuni tratti lastricati nelle sue vicinanze.

 Possiamo definire, sino a queste date -anteriori all’arrivo dei francesi- che il genovesato era tracciato quasi per intero solo da mulattiere, con due caratteristiche: una di essere tendenzialmente a mezza costa per evitare inondazioni in basso e nevicate in alto; l’altra di non avere una gerarchia determinante nel senso che le direttrici potevano essere multiple e –seguendo il ventaglio delle valli- ad andamento divergente,  senza tappe obbligate.

Ancora all’epoca di Napoleone, 1800, e poco oltre, la via tradizionale passava solo per la Bocchetta; anni in cui si scrive che era oggetto di transito di oltre 350mila muli all’anno.

  In quello stesso anno, il ‘Dipartimento di Genova’, nei progetti dell’amministrazione francese il tratto Genova-Sampierdarena, si sovrapponeva alla strada n° 14 (Aurelia, inaugurata quell’anno da permettere di proseguire in carrozza fino a Savona e Noli); e nella direzione nord, era interessato con una sola ‘strada n° 210: Genova-Alessandria’, per Campomorone-Bocchetta-Novi, ma con un certo interesse a realizzare una via detta ‘dei Giovi’ verso Busalla (inaugurata nel 1821: da Genova, venti ore per arrivare a Milano, venticinque a Torino).

   Nel 1802 (e di nuovo nel 1812) fu percorsa da Pio VII prigioniero di Bonaparte.

   Solo nel 1813 Parigi programmò un piano regolatore della viabilità dell’Impero, comprendente l’apertura della via dei Giovi, che saliva solo a 469m con pendenza massima del 7%; il progetto prevedeva la partecipazione attiva dei comuni di vallata; il progetto però rimase sulla carta per mancanza di fondi, quando già l’imprenditore Mannati si era impegnato a realizzarla in due anni –a sue spese da Novi ai Giovi- pur di avere la gestione della strada della Bocchetta ed  un pedaggio ai due passi. Fu poi realizzata -1821- dal Piemonte dopo l’annessione forzata, rinforzata dalla ferrovia nel 1853.  

   Nel 1837 Giuseppe Vallardi editò un libro di viaggi per l’Italia, indicando strade ed itinerari vari seppur non facendo alcun accenno al nome antico del tragitto. Nel viaggio da Torino a Genova, descrive completarlo in due giorni partendo di buon’ora ed arrivando prima che ‘chiudano le porte’. Passava per Asti, Novi, Ronco, Voltaggio, Bocchetta, Campomorone, Pontedecimo ove avveniva l’ultima posta prima di percorrere «‘la nuova strada fatta a spese della famiglia Cambiaso…perché in addietro si doveva passare a guado la Polcevera più di venti volte; ma ora si passa una volta sola sul ponte presso Campo-Marone (sic)…»

   Sono anni nei quali il tempo...vola lentamente: le barche a vela, i muli, le notizie in genere, i pellegrini e commercianti e gli eserciti, tutti misurano il tempo in  giornate  di viaggio. E questo ritmo, condiziona la vita quotidiana di tutti:  culturalmente, politicamente, economicamente, nel lavoro: anche in questo, la via del mare è sempre la più veloce, se il tempo è buono.

--Praticamente solo dal 1850 si ebbe la concezione di un tracciato topograficamente  unitario dal mar Ligure all’Adriatico, anche se funzionalmente diverso.

 
 
BIBLIOGRAFIA

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Recentissimi, gli studi di Mannoni limitati all’area genovese (1983-5); e di Pasquinucci (1987) sul territorio della Valpolcevera.