PERASSO                   vico G.B.  Perasso                                           

 

  Era il nome dell’attuale via Nicolò Bruno, traversa  posta all’inizio della via Sampierdarena , fatta ad angolo retto che da verso monte si apre infine in  via A.Prasio.

  Nel febbr.1914 fu proposto all’approvazione del  Sindaco l’annullamento  della precedente titolazione di “vico Francesco Domenico Guerrazzi”, da sostituirsi  con “vico Pittamulo” oppure “vico Balilla”: evidentemente prevalse il secondo col nome completo, visto che anche il Novella lo segnala come “vico Giovanni Perasso Balilla, da via Cristoforo Colombo“, a via J.Ruffini.

   Ancora esisteva nel 1926 quando il comune di SPd’Arena fu unificato con quello genovese; allora era classificato di 5a categoria

   Ancora esisteva nel 1933, da via C.Colombo a via J.Ruffini.

  Con delibera del podestà del 19 agosto 1935, onde evitare omonimie con Genova centro, fu sostituito con il nome attuale (che, dal ‘35 fino al ‘46 sbucò in via Palazzo della Fortezza).

DEDICATA  (vedi anche a Balilla) al giovane quindicenne che  in Portoria il 5 dic.1746  dette il via - col suo gesto- alla ribellione popolare contro l’oppressore: divenne il simbolo di una fierezza e dell’amore all’autonomia che sempre ha contraddistinto la storia genovese.

PREMESSE STORICHE Già dalla seconda metà del 1600, vigeva il concetto dell’assolutismo governativo; nato in Francia fu imposta come “nmonarchia assoluta” (che si basava sul concetto dello Stato che – formato dall’aggagazione di tutti gli uomini di per sè ognuno egoista – si assume la responsabilità di decidere e fare, in nome di tutti. In conseguenza, la sovranità sui sudditi è totale, indivisibile, irrevocabile. A completare ciò, si aggiunse poi il ‘diritto divino’. Con essa concomitò linizio della politica francese dell’egemonia sull’Europa (Richelieu e il re sole Luigi XIV) in primis verso la Spagna. Conseguenza ulteriore, al di là dei matrimoni combinati per mantenere la fetta di potere, ed al di là delle più o meno ‘gandi alleanze’, ed al di là dell’inizio dell’illuminismo (con i grandi pensatori tipo Voltaire, Kant, Hume, ecc.), fu nell’Impero tedesco in Prussia che iniziò una politica di ricupero del potere (prima amministrativo e poi mercantile, territoriale, e politico europeo. Detto recupero e potere, permise all’Austria di assumere così il ruolo di grande potenza europea avendo vinto con la ‘santa alleanza’ (Polonia, Venezia, ma anche Savoia e papa Innocenzo XI)  l’attacco turco di Maometto IV annettendosi l’Ungheria (nascita dell’impero Austroungarico). Il Principe Eugenio illustre condottiero e statista, fa di Vienna il centro politico, economico e culturale dell’impero; qui concentra e coordina ben 11 gruppi etnici diversi   ed impone la dinastia asburgica (assolutistica, di fede cattolica, con lingua latina ad uso statale e tedesca ad uso popolare). Politicamente impone, agli albori del 1700 una politica espansionistica locale, laddove le terre danubiane si erano spopolate causa l’invasione turca, ma anche verso i Balcani ma sopfrattutto oltralpe, stabilendo il dominioed egemonia sull’Italia del nord e cercando di ripristinare in essa  il concetto di “feudo imperiale” con ovvie tassazioni dovute a Vienna dai singoli borghi, a seconda del numero della case appartenenti ad oguno singolo, compreso a Genova ed  in Liguria. Carlo VI, subentrato nel 1711, conferma il potere del casato ed assicura la successione al trono dell’unicogenita figlia Maria Teresa nata 1717, usando la formula della “prammatica sanzione”.

Questa regola dinastica, sarà la causa principale della guerra di successione austriaca e degli eventi che sfocieranno nel gesto del Balilla (vedi a ‘Antonio Cantore’, il Botta Adorno e la «Prammatica sanzione»)

Ella, se diverrà grande  reggente (innumerevoli progresso sociali; su tutti, aver creato uno stato unitario: essere stata capace di snellire l’apparato interno burocratico appesantito da tante disparità etniche;  abolisce i privilegi feudali, l’Inquisizione e la censura ecclesiastica; favorisce la piccola proprietà agricola e la libertà di commercio interno, uniformando i dazi, il censimento, il catasto (questi due ultimi, a favore della tassazione anche del clero e nobili); riordina le scuole ponendole sotto controllo statale, compresa l’Università; riesce a soppiantare l’egemonia culturale spagnola imponendo la propria rielaborando l’illuminismo; ecc.) reggerà il potere bloccando le riforme non previste da Vienna e qualsiasi tentativo di liberalizzazione dei territori facenti parte la ‘grande coalizione’ di – come detto - ben 11 stati diversi, uno dei quali, l’Italia. L’Austria diviene così l’emblema della ‘modernizzazione conservatrice’.

LA STORIA      Lo storico Accinelli, vissuto in quell’epoca, descrisse il tentativo dei soldati di Maria Teresa d’Austria di farsi aiutare dai presenti a rimuovere un cannone presumibilmente diretto verso la Provenzacome da precise disposizioni imposte dal Botta Adorno all’atto di resa della città - prelevato molto probabilmente alla batteria della Cava ed infossatosi nel terreno fangoso davanti all’antica chiesa di santa Caterina Adorno in Portoria (se era uno di quei cannoni posizionati alla Cava, era per difesa della città dal mare; su essi –come consuetudine per protezione divina- era stato inciso come dedica il nome di un santo; pare che quello che scatenò la rivolta fosse dedicato a santa Caterina: una strana doppia coincidenza, e ben chiaro messaggio  per chi era presente)-.

    Il ragazzo, o meglio ‘un figgieu de stradda, un battuso’,  afferrato un sasso, gridò la famosa frase ‘che l’inse’ accendendo l’insurrezione che evidentemente covava da tempo ed aspettava solo l’innesco (VEPetrucci scrive:  ’son segùo comme l’òu, che quande o l’è arrivou a casa, s’ò l’ha contòu da prïonâ, so mamma a gh’ha daeto de segùo un lerfon”).

   Si accetta e non si discute più che - quale scintilla  esplosiva - avvenne il gesto del sasso, per testimonianze vicine al fatto come tempo, (l’ambasciatore veneziano a Genova il 1747, ed un’opera storica del patrizio GFrancesco Doria del 1748; Pasolini scrive che la sassata provenne dalla rabbia per il sequestro di un cesto di mele che lui stava cercando di vendere e che  sfogò poi su quelli del cannone).

Ma si è ancor oggi perplessi su molteplici fatti concernenti, storicamente non ben definiti:

--- “Che l’inse!”   Si è perplessi della frase di rabbia che accompagnò il sasso: corrisponde a:  ‘ e che! incominciamo!’. Primo a farne accenno, fu il francese Bastide, nella sua ‘storia della Repubblica di Genova’ del 1795.

---  Per il nome del ragazzo, esiste l’assoluta  inesistenza di prova certa.

Già il problema sorse a metà del secolo del 1800 e nel 1865 sotto forma di polemica tanto che il Consiglio municipale più volte si trovò a doversi pronunciare in merito. Ma in seguito, approfondite ricerche fatte fare dal governo Mussolini, portarono ad una commissione di alte personalità della cultura locale (Ernesto Codignola (uno dei maggiori pedagogisti italiani - 1865-1965); Volpicella; Nurra; Morando; don Gioachino Ridella; cap. A.Burlando e don Rebora (rispettivamente podestà ed arciprete di Montoggio); nonché altri 26 studiosi; in tutto 33) che si impegnarono a fondo negli archivi e rifecero il punto dei ritrovamenti; ma  non riuscirono ad apportare nulla di nuovo:

=il ritrovamento di  un libretto anonimo (scritto in latino maccheronico ed intitolato ‘bellum genuense’, probabilmente scritto da un prete che partecipò all’insurrezione, quindi testimone dei fatti quantomeno in genere di quei giorni, e che anche rimase ferito vicino a porta san Tommaso), nel quale il sacerdote scrisse che il ragazzo era soprannominato “Mangiamerda”(sappiamo da altre fonti come a quell’epoca questi - a volte terribili - soprannomi erano in uso per tutti gli uomini della plebe, e facevano carico di una scelta fatta quando il bimbo era appena nato e quindi nell’impossibilità di scegliersi qualcosa di diverso). Ovvio che il Duce, quando apprese questa chiarificazione storica, impose il silenzio e la non diffusione facendo perdurare il ‘falso’ mito storico, in quanto aveva bisogno di una figura giovanile che esaltasse le virtù militari insite nell’animo e nei geni della “stirpe” italica.

=il nomignolo Balilla compare per la prima volta nel 1755 in una libera traduzione dialettale della Gerusalemme Liberata, scritta da Agostino Gastaldi: ’si parla di due personaggi del popolo che hanno mostrato coraggio nella guerra del 1746’; tale Alessandro Gioppo (una nota precisa: pescivendolo che in quei giorni  fece parte del Quartier Generale del Popolo) e tale Balilla (senza alcuna nota né spiegazione)’.

=solo nel 1845 Michele G. Canale scrisse sull’almanacco ligure ’Omnibus’, che il Balilla si chiamava Perasso. E l’anno dopo, un opuscolo, precisò il nome di Giovanni Battista. Orlando Grosso fece rilevare che Balilla era un usuale diminutivo di GB, e che era anche il grado minore dei confratelli delle casacce, tipo ‘baciccia’, ‘ballin’ e ‘balletta’,  ancor oggi in uso per indicare affettivamente un piccolo.

=nel 1845 Mameli usò per la prima volta il nome Balilla in un suo componimento; e lo ripropose nel 1847 nell’Inno d’Italia“…i bimbi d’Italia si chiaman Balilla…”.

 

=definito ed accettato che si chiamasse Perasso GianBattista, le ricerche trovarono due GB Perasso, quasi coetanei:

-- un giovane originario di Montoggio nato l’8 aprile 1729 (fu trovato all’Archivio Storico anche un altro simil-omonimo, Gio.Batta Perrazo, contadino, pure lui ‘della villa di Montoggio’ che nel 1753  fu processato e condannato a 2 anni di remo, catena al piede, per contrabbando di 3 libbre di sale effettuato l’anno prima. Il padre perorò la causa del figlio adducendo precedente buona condotta e che raramente aveva abbandonato il paese d’origine). Questa dato anagrafico venne confermato nel 1851 da don Giuseppe Olivieri che precisò aver chiarito che - sia il prete che il ragazzo  erano di Montoggio, frazione Pratolongo (non Porto-lungo come suggerisce DeLandolina); -che questi era figlio di Marc’Antonio e di Gerolama (o Geronima) ed all’epoca del gesto avrebbe avuto poco più di  17½anni (una nipote di questo, fu cameriera di C.Cabella e gli donò una attestazione manoscritta del nonno), -e che  il giovane era in Portoria per apprendere l’arte del tintore.

--L’altro, in seguito ad altra ricerca compiuta nel 1865 nei registri della parrocchia di s.Stefano, nato il 26 ottobre 1735 (il SecoloXIX scrive 1736), alle ore 9 da MariaAntonia Prodi (Parodi) e da un popolano, Antonio, in vico dell’Olivella, ma all’epoca dei fatti abitante in vico Capriata di Piccapietra; e quindi all’epoca del fatto, di 11 anni (ulteriore documento accerta che questi morì a quasi 46 anni).

--Il SecoloXIX ne propone un terzo, nobile o almeno di lignaggio,  emerso agli archivi di san Lorenzo, figlio di AntonioMaria (console dei Tintori della seta a Genova) e da Antonia Maria Parodi (omonima della popolana!).

--Al Museo del Risorgimento è conservata una prova di identità, risultata falsa, nelle ricerche effettuate dalla Soc.Lig.St.Patria nel 1927.  Porta scritto una descrizione dei fatti che sarebbe di pugno del giovane. Pieno di strafalcioni e dialettalità, porta scritto «Io peraso deto u balila o incunminciatoa tirare un sascu e mi rispusero andiamo avanti i mio sio mi dise a speta un pocu che vengo mia no portato una bandiera lo presa in mano mi sono miso a gridare andiamo avanti altra nun dico che il popolo lu sa a dio a tuti». Nicoletta Perasso (a servizio di Edoardo Cabella figlio del senatore Cesare) donò al padrone questa carta;questi la donò al Comune nel 160° dell’insurrezione; ma la carta su cui è scritto questo documento autoapologetico è stato appurato era stata prodotta nel 1832.

   DeLandolina nel 1922 scrisse –senza specificare da dove traeva tale notizia- che nacque ”a Porto-lungo (Genova)”. Pasolini invece scrive che il paese è Montobbio, vicino a Torriglia ed al lago Val Noci: ma ciò appare errato per ambedue.

  

 

Intanto Vittorio Emanuele Bravetta (scrittore di numerosi libri) musicava per l’ONB (opera nazionale balilla), si scrive in occasione del primo centenario della ribellione, una canzone molto orecchiabile e facile che divenne l’inno fascista:

 

 

Fischia il sasso, il nome squilla                                                                                                           
del ragazzo di Portoria                                                    Fiero l'occhio, svelto il passo,
e l'intrepido Balilla                                                           chiaro il grido del valore:
sta gigante nella storia                                                    ai nemici in fronte il sasso
Era bronzo quel mortaio...                                              agli amici, tutto il cor                                                             
che nel fango sprofondò,
ma il ragazzo fu d'acciaio
e la madre liberò
                                                         
  

     La doccia fredda proviene da due lati: uno, da subito il dopoguerra; dopo il periodo  del regime fascista, durante il quale il monello era stato ricuperato con aulica ed esagerata raffigurazione, al fine di proporre un ideale fortemente di parte, anche se storicamente dubbio: l’uso di questo soprannome durante il ventennio per inquadrare i più giovani in divisa in tutta Italia, ne ha dopo offuscato la limpidezza reale e prettamente genovese. 

Scrive Dolcino che sulla base del suo monumento, quando i tedeschi nell’ultimo conflitto mondiale occuparono Genova, mano ignota scrisse “chinn-a zù, che son tòrna chi”.  Ancor ai tempi attuali a distanza di quasi sessant’anni è prevalente l’interpretazione del simbolo vissuto in quel ventennio; e se ne ha ancora soggezione: è quindi ancora troppo recente.  Nel popolo ed a ‘palazzo’ viene vissuto con una non poca avversione; alle celebrazioni del 5 dicembre, il Comune depone una corona di alloro, ma il Sindaco di persona non è mai venuto. Anche se Genova, come popolo ribelle mantiene un record nazionale,  e lo ha sempre dimostrato anche nelle annuali lotte sindacali e recentemente  nelle dimostrazioni del G8, il mal uso di quei tempi ne frena anche il solo parlarne.

   D’altro lato, anche gli storici moderni, freddi e disincantati come Paolo Lingua scrivono  che l’insurrezione fu genericamente di popolo e non legata ad una particolare scintilla; il mito del Balilla fu inventato nel periodo risorgimentale quando politicamente era necessario fomentare l’opinione collettiva contro l’Austria.

     Cosicché è un nome bifronte, di quelli che sono legati a fatti storici dimostrati, ma fu deformato due volte, e solo a vantaggio di parte; cosicché meno se ne parla e meglio è (come l’”inno a Roma”), o quantomeno, non se ne inneggia.    Ma se ciò è accettabile per l’Italia in genere, favorire questo equivoco è  a svantaggio della nostra migliore tradizione di indipendenza, ardore impetuoso e ribelle ai soprusi, di qualsiasi colore.

      Dolcino scrisse giusto: non importa chi fu: è un simbolo. Non quello proposto da Mussolini, ma quello del carattere del genovese, insofferente del sopruso del più forte chiunque esso sia, ribelle alla perdita della libertà intesa come bene primario ed assoluto della vita dell’uomo

 La storia è impietosa, ma sicuramente si riprenderà la dimensione veritiera.  L’unico vero pericolo è che, dello spirito e della fierezza popolare degli antichi genovesi poco importa ai moderni abitanti,  ormai sufficientemente “imbastarditi” dall’immigrazione selvaggia (prima nostrana, poi foresta). Un emigrato, nel dic.2006 dal Brasile chiede al Secolo chi fu, perché “oggi purtroppo quasi nessuno si ricorda chi fu Giovanni Battista Perasso, abbreviato Balilla. Credo addirittura che qualcuno pensi che fu un personaggio dell’era fascista”. La risposta di Maggiani è stata «era un ragazzino (o forse no?) abbastanza sconsiderato da fare quello che nessuno tra i genovesi aveva ancora avuto il coraggio di fare o di dire: mandare al diavolo gli odiati e odiosi occupanti austrotedeschi. …Che il Balilla sia esistito davvero…significa in fondo ben poco…così è stato arruolato per fare il suo dovere di simbolo…Poi, …poi è scomparso, almeno per questi tempi così poco propensi alla rivolta, alla sconsideratezza, all’eroismo»

   Quindi - secondo me - a conclusione delle considerazioni su scritte, ne viene che alla lunga, soffocare le tradizioni, anche se bifronti, è un danno più grosso di quello che si vuole parare. 

 

BIBLIOGRAFIA

 

-A Compagna-Bollettino per i soci- : 6/96.tutto  +  2/97.5

-Agosto A.-La questione  del balilla...-Atti SLSP.1979.fasc.I-pag.301-

-Arichivio Storico Comunale in palazzo Ducale

-Archivio Storico Comunale - Toponomastica scheda 3395

-Corriere Mercantile- 27-28 agosto 1923,

-DeLandolima GC -Sampierdarena- .1923-pag.29 (chiama: ‘via Balilla’)

-Dolcino M.-Storie di Genova-Frilli.2003-pag. 80

-Gazzettino Sampierdarenese  06/03.2

-Genova, rivista municipale :   1/34.10

-Il SecoloXIX quotidiano-  del 8.12.04 + 16.12.06

-Lingua P.-Breve storia dei genovesi-Laterza.2001-pag.194

-Morgavi G.-Rievocazioni genovesi-Bozzi.1961-pag.147

-Novella P-Strade di Genova-manoscritto bibl.Berio.1930ca-(pag. 17)

-Pagano/1933-pag.248

-Pasolini A.-Semmo da taera de Colombo-NEG.1990- pag.51

-Pescio A.-I nomi delle strade di Genova- Forni.1986-pag.43

-Sisinni F- Atti-SocLiStPatria.1980.II-pag.14

-Volpicella L.-relazione-Soc.Lig.StoriaPatria.1930-vol.LVII-pag296