PROMONTORIO                         via Promontorio

 

 

TARGA: S.Pier d’Arena -via – Promontorio

                                                                

 

inizio da corso L.Martinetti

                  

fine, da via D.Conte

 

QUARTIERE ANTICO: Promontorio

 da MVinzoni, 1757.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:  2833

 da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°  :  51540

UNITÀ URBANISTICA: 27 – BELVEDERE

                                          28 – s.BARTOLOMEO

 da Google Earth, 2007.

 

CAP:   16149

PARROCCHIA: s.M.della Costa - Promontorio

STRUTTURA:   va dalla piazza – che una volta era omonima ed ora invece fa parte di corso Martinetti - passa a levante del bivio  con “salita superiore S.Rosa”, e prosegue - dietro la chiesa - fino alla biforcazione ove perde il nome - con  via GB Derchi e salita D.Conte.

  

inizio strada                                    vicino alla fine

Doppio senso veicolare, anche se alternati, in caso di eventuale incrocio, considerato la strettezza dell’antichissima crosa che non consente il passaggio di un veicolo più grosso di un’auto di piccola cilindrata. Si sa di più d’uno audace turista che affrontando la stradina con una auto più grossa, ed essendo incapace di fare retromarcia, preferì proseguire “facendosi le fiancate”.

 Alla convergenza con salita Sup.SRosa, addossata ad un muro di contenimento, c’era una vasca-lavatoio, lunga poco oltre tre metri e profonda 1,30, rivestita internamente di lastre di ardesia ed all’esterno una pavimentazione con pietra di Promontorio sormontata da una nicchia votiva, che persiste. Fu demolita nel 1987 con la promessa – non mantenuta - di ripristino funzionale; le pietre si dice siano state portate a sant’Agostino dove tutto giace (conservato si,  ma a che scopo?).

Ovviamente è senza marciapiedi.

      

foto Pasteris 1956

 

                    

STORIA:

Si descrivono:

-il Colle e villaggio

-la cava di ‘pietra nera’

-la strada (Aurelia)

-i civici

-la bastia

-l’abbazia

 

   Il colle e villaggio.

Come descritto nel capitolo ‘geologia’ nel sito www.sanpierdarena.net  la spianata di Promontorio è un terrazzo morfologico spianatosi per azione delle acque marine sulle rocce comuni a San Pier d’Arena (definite ‘formazione ROC ovvero di Ronco’) nell’arco di una ottantina di milioni di anni e completatosi un milione di anni fa  (tra olocene e pleistocene).

Questo terrazzamento naturale, dall’alto di una quota di 100-120 m. slm, al confine degrada ripidamente verso sud con, ai lati il territorio della vallata di ponente (con corso Martinetti), e di levante (col torrente di san Bartolomeo) e sul crinale la crosa (oggi ‘superiore Salvator Rosa’). Essendo schematicamente i crinali posti come denti di un pettine, intervallati da plurime ripidi vallate, il colle è posto nel mezzo tra gli Angeli (san Benigno) e Belvedere.

   Secondo Podestà (nel 1904) Promontorio è quello sperone che “da Granarolo...si tuffava in mare a capo di Faro” (e capo di Faro era in zona odierna di DiNegro). Definizione che è parzialmente errata: anticamente il territorio di pertinenza dell’abbazia era –rispetto oggi – molto più allargato verso levante, comprendente anche Granarolo, con s.Benigno nel mezzo; e non arrivava al mare. Di conseguenza non arrivava ‘a tuffarsi’; a levante del faro, esisteva uno sperone in mare chiamato Capo di Faro e dove sorgeva la chiesa di san Tomaso; ma è zona di s.Teodoro. Quindi, così generalizzando, si trascura che il colle possiede anche un’altra metà, a ponente del faro, come al solito sottoconsiderata perché ... non so, forse perché ‘non è a Genova’?

 

   -In epoca preromana e romana, inizialmente il gruppetto di case in alto sul colle, era autonomo dal borgo sottostante; anzi, essendo nel punto di passaggio della strada Aurelia,  penso sia lecito determinare che fu qui il primo insediamento abitato ed organizzato, a ponente fuori delle mura, quale stazione di ristoro o di approccio con la lontana cinta cittadina (allora, la prima cerchia di mura, la ‘Arx Iani’, era limitatissima: nella zona dell’abbazia di santa Maria di Castello).  L’utilizzo non tanto dell’ampio arenile quanto del lungo e fertile entroterra sottostante, determinò - solo molto più tardi nel tempo - l’inversione di rapporto; in conseguenza del quale il colle divenne frazione di San Pier d’Arena-.

il colle visto dal cimitero degli Angeli

 

   -Infatti nel 1128, da quando iniziano i primi documenti scritti, sappiamo che - se il borgo di San Pier d’Arena era già strutturato bene, sorvegliato da guardie armate che circolavano sulla spiaggia e controllavano dalle torri il territorio, contro il pericolo saraceno e piratesco in genere esso appare ancora separato dal nucleo degli abitanti di Promontorio, cresciuto come aggruppamento di case attorno alla abbazia e lungo la strada di più grande percorrenza (carovane a volte con più di cento muli, anche per evitare assalti dei banditi e predoni). Si deduce in quanto, autonomamente, dovevano il loro contributo non con uomini ma con un quantitativo di olio necessario per alimentare il faro cioè partecipava alla difesa delle coste pagando con una boccia d’olio ciascuno (“homines Prementone...per unumquemque debent dare phialam olei”; un quantitativo non precisato: un vocabolario traduce “fiala, coppa larga e bassa; incensorio”; e probabilmente così poco causa la scarsezza di ulivi nella zona).

   E poiché in quei tempi qualsiasi aggressore era sempre meglio inizialmente sovrastarlo,  i nostri tre colli furono sempre oggetto di fortificazioni e punti di contrattacco. Più in alto, isolato, si ergeva il monastero di clausura dei rever.mi  Padri Agostiniani detto del Santo Crocifisso (vedi a Tenaglia).

  Ovviamente la mèta era Genova, (allora racchiusa nella seconda cerchia di mura che da Porta Soprana scendeva al mare lungo via Canneto il Lungo, ma si apprestava nel 1155 ad allargarsi alla terza cerchia che arrivava da porta dei Vacca a Castelletto) sia per i commercianti che poi per i turisti; ma soprattutto per gli eserciti dei nemici invasori al cui arrivo chi viveva fuori delle mura, o scappava via abbandonando tutto o si assoggettava al sopruso di chi arrivava: dai cartaginesi ai turchi, dagli spagnoli ai francesi ed agli austriaci: Genova faceva gola a tutti anche se lei si sforzava di rimanere neutrale, e per arrivarci via terra dal nord Italia o dal ponente giocoforza era passare da qui.

   Una prima grande battaglia avvenne su queste pendici nel 1461, tra genovesi e soldati francesi di Carlo VIII (i primi, con a capo Paolo Campofregoso arcivescovo e doge, vedevano riconciliati per l’occasione gli Adorno ed i Fregoso).

Nel 1485, 6 sett., in Promontorio, Pietro Grillo q.Damiano cittadino di Genova domanda al magistrato di sfrattare dalla sua casa in s.M. delleVigne addirittura uno Spinola (RegestiII-p.38)

   -Ancora nel 1500, il territorio sotto giurisdizione della abbazia di Promontorio si estendeva molto verso levante comprendendo anche i terreni dalle alture di Granarolo; ma sicuramente comprendeva il sottostante Fossato, con la abbazia madre.

Dopo l’ultima cerchia di mura del 1633 i terreni di dipendenza si trovarono così: metà fuori della cerchia (suburbio) e metà entro le mura cittadine per tutto il quartiere degli Angeli ed oltre. Ciò malgrado, il diritto di competenza fu mantenuto sino all’erezione della parrocchie limitrofe, tra cui – più vicina- quella di NS della Vittoria a fine anni 1960.  Pertanto anche la zona di via Venezia: nel 1656, quando fu rifatta la strada che da san Lazzaro (Di Negro) saliva  a “Prementorij sancte Maria Angelorum”  anch’essa fu chiamata salita di Promontorio e poi salita degli Angeli (nel più recente, le case di via Bologna hanno sfogo viario pedonale, con brevissimo tratto, in salita degli Angeli). Quindi allora la zona del Promontorio era il suburbio di Genova e la divideva dal borgo di San Pier d’Arena.

 

visto dagli Angeli

 

   Nel 1507 re Luigi XII di Francia, quando da poco era asceso al dogato il popolare Paolo da Novi (tintore, illetterato, resse solo 19 giorni; nel fuggire fu catturato e giustiziato l’11 maggio; suoi meriti sono riconosciuti sia nell’aver fatto superare le astiosità delle varie fazioni, omogeneizzando tutti contro i francesi; sia nell’averlo fatto nell’ideale della libertà ed autonomia della Repubblica che sarà storicamente il vanto principale: DeNegri lo definirà ‘patriottismo genovese’), pur usando forze massicce (un enorme divario di forze di fanteria, ma soprattutto di cannoni, tecnicamente i più avanzati d’Europa. Questa situazione fece scrivere al Macchiavelli nel suo testo sulla guerra, questa considerazione: «E sempre ti interverrà questo che io ti dico, quando tu faccia bastioni fuori dalla terra che tu abbia a difendere; perché tu sempre perderai, non si potendo oggi le cose piccole difendere, quando elle sieno sottoposte al furore delle artiglierie; in modo che perdendoli, fieno principio e cagione della tua rovina. Genova, quando si ribellò al Re Luigi di Francia, fece alcuni bastioni su per quegli colli che gli sono dintorno; i quali, come furono perduti (che si perderono subito), fecero ancora perdere la città» ); dovette combattere otto giorni per superare le difese schierate sul colle e  dovette ricorrere all’astuzia: la cavalleria albanese schierata nelle linee francesi, fece finta di cedere ed arretrò; i nostri lanciati all’attacco caddero decimati nell’imboscata; questo massacro aprì la via per poter irrompere in città.

 Ai francesi, quindici anni dopo seguirono gli spagnoli che, per entrare e mettere a sacco Genova, passarono anch’essi dalla via sul colle.

   In quell’epoca, vivevano attorno all’abbazia circa ben cento anime (in altra fonte si scrive cento famiglie, calcolate quindi per quasi quattro-cinquecento persone: un po’ troppe).

   -Nel 1631 Gabbriello Chiabrera vi ambienta una delle sue opere, titolata “Gelopea – favola boschereccia – la scena si finge in Promontorio, amenissimo luogo del sontuosissimo Borgo di San Pietro d’Arena nella riviera di Genova” i cui principali personaggi sono la pastorella Gelopea ed i suoi due innamorati Filebo e Berillo.

   -Nel 1814 si contavano 126 abitanti dentro la porta degli Angeli e 420 fuori porta; ancora nel 1819 era considerato un villaggio, una isolata frazione (come anche Certosa) del borgo di San Pier d’Arena, però già dipendente dal comune sottostante. Nel 1821 aveva 494 persone (a San Pier d’Arena erano 5244)

   -Nel 1880 c’erano in Promontorio, 900 persone. All’inizio del 1900 contava 1900 anime.

Nel 1907 don Brizzolara precisa 1710 abitanti (divisi:  800 in sanBartolomeo, 360 Angeli, 374 Costa, 176 Belvedere); nel suo censimento, nella zona “Costa e Crocetta” descrive la presenza delle “anime” che si possono leggere sotto a ‘civici’, elencate da 1 a 51.

 

   La località ha sempre fornito nome ad uno dei quartieri del borgo, e poi della sottostante città

   Ancor oggi, al sommo del colle poche sono le case e molto (per noi, abituati al nulla) appare il terreno agricolo; separate come da un cordone ombelicale alla zona di traffico, si vedono ancora orti, vigne, frutteti  racchiusi da alti muretti, che danno la sensazione dell’antica campagna, con le stalle, le galline in apparente libertà, un certo irreale silenzio nell’incessante rumore di fondo  della città.

 

   La cava.  Tante case di Genova sono famose per essere state decorate con le pietre tratte da una cava locale di pietra nera, usata poi in tutta la riviera per le decorazioni più facili da trattare essendo una pietra più compatta e lustrabile della lavagna: --- sia tagliata a forma di parallelepipedi  (o conci squadrati, più o meno grezzi lavorati a scalpello, e già dal XIII secolo alternati col marmo bianco di Luni. Ricca di questa pietra, fu eretta la chiesa di san Tomaso di Fassolo, oggi distrutta. Altrettanto essa compare nella decorazione della chiesa di san Matteo, di san Donato, di santo Stefano, del palazzo Doria in san Matteo, Spinola e di san Giorgio; negli archi di Sottoripa ed in Porta Soprana), --- sia per portali, sedili, architravi e stipiti, capitelli e peducci; tutti cesellati e lavorati finemente a lima.

Infatti, mineralogicamente è un calcare marnoso, dello stesso tipo costituente la base della città di Genova ovvero dei calcari del monte Antola, (detto fucoide da impronte di alghe marine miste a formazioni meandriformi nelle quali i palentologi vedono vestigia di piante o solchi lasciati da animali striscianti), pertinente alla formazione (era terziaria inferiore, eocene) di un deposito formatosi in un mare molto profondo e povero di animali e piante, la cui calcite è commista ad argilla, carbonio, pirite, silice ed altri piccole quantità di minerali in qualità e quantità da dare una pietra  omogenea e compatta e nera, distribuita in grossi banchi nel territorio sopra via Venezia-Granarolo.

Sicuramente già attive dal XII secolo, solo nel 1891 vennero alla luce delle profonde gallerie rinvenute in “zona Promontorio” subito a nord-ovest di villa Rosazza, in zona detta “pria do cûcco”, praticamente a nord-est rispetto il monastero di s.Benigno nella valle, di s.Lazzaro.

  Erano state  chiuse il 6 febb.1629 (Montagni cita FPodestà e scrive 1615) quando, temendo potessero divenire nascondiglio di rivoltosi o comunque di nemici della Repubblica, vennero fatte chiudere in modo che più nessuno potesse penetrarvi: così scomparvero da ogni utile individuazione; infatti  vi potevano trovare riparo, in 5 diverse gallerie, ben 800 persone. Così tutto rimase sconosciuto, finché alla data su detta, uno spontaneo smottamento conseguente alla estrazione di pietre ad uso edilizio, non le rimise alla luce. Vi trovarono uno scandaglio, vari scalpelli di tutte le misure,  4 mazzuoli in ferro e su un lastrone la epigrafe datata 1519:  “ADI XXII JULIO 1519 - EL RE.mo.CARDINALe  DE FIESCO FU...QU...” il resto è illeggibile (si presume ricordi una visita alle cave del card. Nicolò Fieschi divenuto Principe della Chiesa per nomina del papa Alessandro VI, e sempre si suppone in visita per procurarsi le pietre per le sue case o per la chiesa dei ss. Nazario e Celso da lui acquistata in Multedo. Morì nel 1524. La lapide è testimonianza dell’epoca di massimo sfruttamento di questa pietra).

Il ritrovamento della fine secolo XIX le fece riattivare

Non tutto quello che sembra pietra nera è quella di Promontorio: ad esempio il bassorilievo del 1400, rappresentante l’adorazione dei Magi in via Orefici, da molti è attribuito di questa pietra, quando invece -è scritto- è di marmo bianco dipinto in nero).

 

   La strada:  la vecchia Aurelia, passando in alto parallela al mare, fa presumibile il pensare che lassù - sul dorso dei colli - siano avvenuti i primi insediamenti abitativi del borgo: e da là, per scendere alla spiaggia, si procedeva lungo il crinale o del Promontorio o del Belvedere.

Quindi la “strada di Promontorio(oggi  salita Salvator Rosa) deve essere stata la prima  e la più frequentata crosa a discendere verso il mare,  fino molto dopo all’incrocio con la strada superiore (poi chiamata De Marini e poi via sant’Antonio – fino all’altezza dell’attuale via Giovanetti, in linea con la chiesa della Cella;  ed infine –oggi- via N.Daste).

Da Promontorio si provvide pure a scendere in san Bartolomeo, visto che le due abbazie erano gestite dagli stessi frati (l’abate di Promontorio, con più anime da seguire, inviava un vicario alla sottostante tramite il ripido sentiero (salita D.Conte) praticabile solo a piedi o a dorso di mulo).

   Tutto rimase statico, fino a metà del 1800; dopo allora nei tempi, ai vari tratti furono imposti  nomi diversi,  in  tempi diversi in modo apparentemente confusionario:

--nell’anno 1857, dal regio decreto viene riconosciuta solo “salita Promontorio” (salita S.Rosa ), con lo stesso tracciato dell’antica strada.

--nell’anno 1900 circa, dall’ inizio in piazza sul colle  sino al bivio divenne “via alla chiesa di Promontorio” (vi abitavano al 27-28 casa Pizzorno ; 29-30 casa eredi Mongiardino ; 31 Rebolino Pasquale; 32 Frixione; 33-33a sorelle Arvigo); dal bivio, a destra in giù rimase salita Promontorio.

--nell’anno 1910, viene pubblicato un elenco ufficiale delle strade cittadine: vi compaiono la “piazza Promontorio” (‘da corso dei Colli a via Porta Angeli’; con civv. sino al 6 e 7; con altra più vecchia numerazione vi abitarono al civ. 34 casa Frixione; 35-36 casa Barabino; fu annullata pochi anni dopo); la “salita Promontorio (‘da via Sant’Antonio all’incontro della via alla Chiesa di Promontorio, con civv. sino al 28 e 23’: fu annullata pochi anni dopo); la “via Promontorio” (‘da Corso dei Colli alla salita Pietra, con civv. 1 e 2’) ; la “via alla Chiesa di Promontorio (‘da piazza Promontorio all’incontro di salita Promontorio”, con civv. sino al 6 e 9; fu annullata dopo pochi anni) ; e “via alla Chiesa di Promontorio e Fossato san Bartolomeo” (‘dalla salita Promontorio all’incontro di vico Imperiale, con civv. sino al 3 e 4) . 

--negli anni subito dopo il 1910, la piazza divenne piazza A.Mosto; la strada sino al bivio divenne “via Promontorio”; e dal bivio in giù “salita Salvator Rosa”.

 

==== Riassumendo   = dal bivio,  a sinistra sino alla abbazia:

--nell’anno 1900 fu titolata “via Promontorio” (vi abitavano : civ.41 casa Serra Ercole ; 40 casa Rovereto) , e tale rimase negli altri cambi, inglobandosi col primo tratto quando questo assunse il nome eguale. 

         =Dalla abbazia in giù era vico Imperiale (arrivava a via sant’Antonio, costeggiando a levante la villa Scassi); nel 1910 divenne sino al secondo bivio “via Chiesa di Promontorio e Fossato san Bartolomeo”. Dopo questa data, dalla abbazia al bivio ritornò a via Promontorio (inglobandosi in tutto il tratto dalla piazza a questo bivio)  e vico Imperiale divenne via G.B.Derchi (limitato al tratto in alto; quello in basso è stato frantumato col nascere di via Carrea, via Fanti, via B.Piovera, via Pittaluga,via D.Chiesa) 

   Cento metri dopo la chiesa, una deviazione a sinistra immetteva in salita san Bartolomeo che dopo il 1910 divenne salita G.Galilei e poi D.Conte.

   Nel Pagano 1911-12 compaiono due imprese edili,  genericamente poste in “Promont. 7-2” quella di Barabino Domenico e  “Promontorio 13-2“di Balbi Settimio.

   Nel 1927 il comune di Genova, da un anno dall’aver assorbito le delegazioni limitrofe, pubblicò l’elenco di tutte le vie esistenti nella grande Genova col fine di eliminare i doppioni: ‘via Promontorio’ fu unica ad essere con questa titolazione, e tale rimase dopo la selezione, di 6a categoria.

   Nel 1928 il parroco e la fabbriceria scrivevano al sindaco perché provvedesse ad allargare la strada, in quanto troppo stretta tra due muraglie, da non concedere  transito a nessun veicolo “moderno” -costretto a rimanere nella piazza-, sia per funerali che per trasporti. La lettera fu ripetuta nel 1933 (quando via Promontorio andava da piazza A.Mosto a salita G.Galilei). In particolare tre erano i punti ristretti: due proprietari acconsentirono a cedere un pezzo di terreno per allargare; uno, tale Costa Carlo, mercante di frutta residente a Milano, adducendo che stata vendendo la proprietà rispose che non cedeva lo spazio.

   Evidente tutto rimase lettera morta, perché è sempre strettissima, anche se nel 1995, tutta la via fu restaurata ed i muretti riattivati (il Comune ha competenza sino a 1 metro da terra).

   Nel nov.2004 è stata riasfaltata, con disperazione per la antica crosa sottostante alla faccia del piano regolatore (che prevedeva la conservazione), ma con gioia degli abitanti che la percorrono giornalmente con i loro mezzi.

 

   I Civici

2007= UU27 = NERI   = da 121  (compresi 3ABC, 5°, 9(AB)C;  manca 19) 

                                 ROSSI = solo 11r

           UU28 = NERI   =  da 212

                             ROSSI =  2r

Nel Pagano/40 la via è segnata solo “da p.G.Gandolfi a sal. Dante Conte”. Non vi vengono riportati né civv. neri né rossi.

LE CASE

(Dal censimento del 1907, elencate le ‘anime’ esistenti nella strada, dall’ 1 al 51,  ma con un ordine che oggi non ha una logica precisa, sembrerebbe del tipo che appena conosceva una famiglia la scriveva, una dietro l’altra, senza seguire un ordine preciso di strada). Inizia con :

villa Scassi

1-Marini Giovanni di Francesco – Tassistro Giovanna – Figli-Francesco 2- Carlo 1-   //

2-Villa Piccardo – Bianchi Francesco fu Francesco- Lastrico Teresa fu Pietro- Figli- Carlo 26-Maria        22-Concezzina 21-Luigi 19- Pietro 16- Filippo 15- Martino 12- MarioTomaso 7- Antonio 6- Giuseppina 3. /

3- Barabino Giacomo fu...ecc.....Più Barabino Luigi di Giacomo-Catarina Torre ....     //

4-Villa delle Suore di s.Anna – Casa Bozzolo – Pietro Bozzolo di Domenico – Barabbino Maria – Figli Mario 4- Domenico 3- Anna 2.       //

5- Bozzolo GiovanniBattista di Domenico- Bianchi Rosa di Francesco- Figli Domenico 4     //

6- Roncallo ecc,  (continua con 7 Boggiano, 8 Bevegni, 9 signora Scorza ved.Massa, 10 casa Costa Fany // Più Domenico Bozzolo fu Lorenzo (in un appunto a parte: signora  Fany Costa vedova Ambrosioni abita in via Galata N.35 interno 4)    ///

Opera Pia 

11 . Sbarbaro Rosa ved. nata Roncallo Figli....    (continua con 12 Oliva, 13 Parodi, 14 Parodi, 15 Porta) //

16 Casa Pizzorno – Pian terreno Ferrero ...  //  17- Sbarbaro, 18 Barabino, 19 Bruzzone, 20 Balbi, 21 Roncallo //

Villetta

22 Barabino Domenico fu Giovanni Battista- Teresa parodi fu GB //  23 Podestà....//

24. Casa Mongiardino

Canessa Caterina ved. Mongiardino – Figli Mongiardino Antonio di Michele – Gandolfi Ines di Giusto – Figli Luisa e Caterina 6 –

Mongiardino Giuseppe Luigi di Michele- Pritto Adele di fu Girolamo- Figli Lilla 3-

Più la domestica Isolina....

25 Casa Rebolino – Pace Luigi fu Domenico- Frassinetti Teresa- Figli ecc...    /

sigr. Gandolfi Giusto fu Pasquale- Catarina Chiappedi fu Giacomo- Figli Ugo 28

Più Oddino Maria domestica /

26- Vernazza ved Teresa Sbarbaro- Figli GB 35- Francesco 24    /

Casa Frixione

27- Parodi Serafino fu Luigi ecc- /

28- Lorenzo Frixione fu Emmanuele- Amelia Olcese . Più Maria Moresco domestica

29 Bianchetti, 30 Ratti, 31 Parodi, 32 Bracco, 33 Bruzzone, 34 Pendola, 35 Barabino, 36 Barabino, 37 Tiragallo, 38 Barabino, 39 Carpaneto, 40 Bianchetti, 41 Bignone, 42 Bonifacini, 43 Lanfranchi, 44 Liloni, 45 Balbi, 46 Amodeo, 47 Fabris, 48 Balbi, 49 Balbi, 50 Rossi, 51 Pareto.

Casa presso il Lazzaretto, Traverso

Casa dei fossatori Pareto

 

 

Attuale :

 

inizia della via   con villa Frisone rosa                        civ.2 zona militare (1.ª / ZonaMil.e / M. 250)

===civ. 2    VILLA  FRISONE : è descritta al civ.147 di C.so Martinetti

 

===civ. 7-9   VILLA AGNESE:  posta a ponente della strada nelle vicinanze –poco prima- del bivio con SalitaSRosa. Già presente nella carta vinzoniana del 1757 allora attribuita al signor Antonio Agnese: posta sul crinale ed a ponente della strada, questa casa è apparentemente semplice perché colonica, a struttura cubica e con tetto a padiglione, caratterizzata dalle grandi finestre del piano terreno con inferriate. Il civ.9 posto è sulla facciata a mare del palazzotto: due civici perché probabilmente lo spazio è stato diviso in due abitazioni.

    Nel 2003 l’edificio appare chiuso da più anni, e disabitato. Dalla Sopraintendenza per i Beni Architettonici della Liguria, dal 1934 è protetta e tutelata per legge solo la fontana posta nel giardino che non può essere vista perché limitato da alto muro.

===civ. 13 (sulle ‘ville del genovesato riporta il civ.11)  VILLA CASTELLAZZO-MONGIARDINO: Viene descritto che nel 1749 aveva una cappella privata, che esiste ancora. Sulla carta vinzoniana del 1757 appare posta a metà strada prima del bivio e, come la precedente, a ponente della strada, ma – allora - proprietà del reverendo Giulio Castellazzo, nome che compare come parroco della chiesa di  Promontorio nel 1803 (Castellasso).

Non si sa quando divenne proprietà Mongiardino; un censimento del 1907 (vedi poco sopra) include la villa  nel suo elenco dal quale si dedurrebbe che vi abitava la famiglia composta da: una di Michele, il padre; ma a quella data già deceduto e resta la vedova Caterina Canessa;  coabitante, il figlio Antonio –sposato con prole) e – forse ad un piano diverso della villa -  un altro figlio, Giuseppe Luigi (sposato con prole e servitù). Poche notizie:  lui, facoltoso cittadino, fu anche massaro della chiesa vicino e – Antonio – fu il primo sindaco del borgo (1817-19) sotto il regno sabaudo mentre la moglie fu munifica benefattrice dell’abbazia soprastante.

La proprietà fu poi venduta  al prof Ghiglione, della cui famiglia, una Antonietta, lasciò tutto (villa e terreno) in eredità alla Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, dedicata a NS del Rosario, presente in 16 nazioni e diretta da don Oreste Benzi (sClemente7.9.25- Rimini 2.11.2007 per cardiopatia sacerdote famoso per la generosità, che sta dedicando la sua vita ed opera al ricupero dei giovani sbandati, emarginati, handicappati, prostitute e malati di Aids (oltre 6mila i casi seguiti; capace di esporsi, anche provocando= nel 2003 si presentò a papa Wojtyla con una prostituta malata di aids generando commozione e sollevando il problema della prostituzione.

 


 

 

Ordinato nel 1949, iniziò nel 1958 costruendo una casa alpina a Canazei per adolescenti in difficoltà ed iniziando il reclutamento per vacanze; nel 1968 maturò il gruppo di giovani fondando l’assoc. Papa Giov.XXIII e nel 1972 la prima ‘casa famiglia’ dell’assoc. stessa. Oggi l’Associazione riconosciua dalla s.Sede, possiede 200 case in Italia, sei case preghiera, sette case di fraternità, 15 coop. sociali per reinserire gli svantaggiati, sei centri speciali per gravi handicappati e 32 comunità terapeutiche per tossicodipendenti.


 

Da lui, la villa fu ristrutturata con l’ausilio della Carige nel 2001 e   quale ‘casa-famiglia-, nel 2006 sta ospitando una famiglia con figlio disabile, una ragazza con problemi psichici e due ragazze sottratte alla schiavitù della prostituzione.

  Nella parte bassa – che rimane sotto il livello stradale - aperta verso la valletta, la cappella si manifesta ancora ben strutturata con la volta a vela multiple, di mattoni ordinatamente messi in costa.

 

===Al bivio tra la  via  e salita S.Rosa, sotto l’edicola della Madonna,

c’era un vecchio ed antico trogolo: avendo bisogno di restauro, l’amministrazione comunale pensò più giusto distruggerlo il 20 lug.1984 adducendo la motivazione legata a deleterie condizioni igieniche (ricettacolo di immondizie e mal uso -come il  lavaggio di auto- , ecc.): malgrado il parere negativo del Consiglio di Circoscrizione, che ne chiese non solo la conservazione ma il ripristino di pulizia e manutenzione, il Comune in poche ore smantellò l’opera malgrado fosse ritenuta componente paesaggistica e storica di alta caratterizzazione ubicata in zona protetta.

 Le promesse -da parte dell’assessore competente Michele Denaro - di ricostruirlo, supportate dall’aver conservato le lastre di ardesia più grosse che lo delimitavano e portate a sant’Agostino - sono rimaste ovviamente politicamente inattese.

 

===civ. 4-6-8 è una casa lievemente angolata, posta a levante della strada, all’altezza dell’ex-trogolo e del bivio. L’edificio nel 2004-5 è in totale ristrutturazione. Finita la ristrutturazione fatta da chi è andato ad abitarvi all’attico, nel 2008 pare siano gà stati venduti tutti gli appartamenti ricuperati.

 

===civ. 21 costruito nuovo nel 1959

===civ. 25 apre ad una stradina in discesa che porta alla scuola sottostante e che a sua volta si apre in corso Martinetti.

 

La strada termina trecento metri dopo l’abbazia, biforcandosi con altre due crose: Dante Conte a sinistra a scendere; e GB Derchi a destra; nel tragitto ci sono altre case ma prive di storia personale.

  

 

    LA BASTIA: non nacque certo con la struttura oggi concepita con questo nome: probabilmente, a 216 m./slm  fu un modesto ‘punto avanzato’ in posizione dominante e di passaggio, capace di avvertire il pericolo più che opporsi ed essere efficace a fermarlo. Quindi inizialmente un baluardo con mura di pietra, un fossato attorno, tipico di quando l’aggressore al massimo aveva frecce e catapulte. Questo, sino alla maturazione delle armi da fuoco, con un getto sempre più prolungato e potente.

La sua importanza era determinata dal dominare strategimente la via di accesso a Genova dalla val Polcevera.

   Allora il bastione subì diversificazione di utilizzo. Lontano dalla città, coll’avvento delle armi da fuoco, fu motivo di succesive interpretazioni degli architetti militari, che da fortilizio dovette essere trasformato in muraglia resistente alle palle sparate, dapprima piene e pesanti, poi esplosive, ma ancora sempre con le caratteristiche di punto di riferimento difensivo esterno alle mura.

I lavori iniziarono a metà del 1400, ma solo nel XVI secolo (1507) acquisì una struttura personalizzata, e divenne la “bastia di Promontorio”, -chiamata in vernacolo “bastìa de Prementon”,  assieme a quelle similari del ‘Castellazzo’ e di ‘Perado’ (Peralto)-; era ancora isolata rispetto la sesta cinta muraria (del 1537), ed il suo sostentamento era affidato alla popolazione locale.

Quattro furono le grosse occasioni di utilizzo, tutte racchiuse nell’arco di quel secolo: 1) Fu appunto nell’anno 1507 che  (essendo doge Paolo da Novi: dal 15 mar. al 28 apr.1507) le truppe del re francese Luigi XII, con un parco artiglieria innovativo per i tempi, espugnarono il caposaldo: cosicché,  da zona di difesa, divenne qual serpe in seno, punto di offesa, e  costrinse la giovane Repubblica ad accettare la resa a discrezione.

2) Invece il 21 mag.1522 gli spagnoli imperiali, arrivarono via terra sotto le mura per sottrarre Genova ai francesi: anche allora i cannoni posti sulle falde del colle – catturati dal nemico - contribuirono alla disfatta ed al saccheggio: gli spagnoli elessero doge Antoniotto Adorno.

3) Terzo, ____*** vede -sempre i francesi- che ritentarono l’assedio dopo essersi stanziati sul Polcevera; fecero infine un attacco verso Granarolo; ma l’inaspettata capacità difensiva costrinse alla fuga l’assalitore.  

4) Ultimo il tentativo di Carlo Emanuele I di conquistare Genova malgrado il ritiro dell’armata francese a lui alleata; ideò raggiungere la val Bisagno passando per Montoggio, ma  fu fermato dalle truppe genovesi il 10 maggio 1625 al monte Pertuso (ove per ringraziamento) venne eretto il santuario dedicato a NS della Vittoria.

Il Senato, per questa somma di drammatiche esperienze aprì lavori di restauro della fortificata bastia di Promontorio (oltre ad altre) affidandoli nell’anno *** alla direzione di Nicolò Cattaneo e Giulio Della Torre e mirando a rendere tali sedi le più possibili autonome e confortevoli (abbondando nell’uso del legname, creando riserve idriche, sistemazione  locali per alloggiamenti dei militari, anditi per andare ‘in la garritta’,  copertura delle guardiole con tetto fatto ad abbaino, cappe per le cucine, installazione di ‘rastelli’ e non ultima  una cappella per le celebrazioni religiose, con accesso regolato da severe e precise norme dei sacerdoti. In più fu commissionato a Carlo Maragliano uno stendardo con le armi della Repubblica, da issare sul punto fortificato. Il 17 sett fu pagato il pittore Alessandro Roncagliolo perché aveva decorato l’interno con “le armi e altre immagini di devotione, in forma molto grande”).

Ma la mentalità genovese, di commercio e non militare, si dimostra con le scarse spese concesse per mantenere fattive queste difese. Nel 1613 il Capitanato della Polcevera,  registrava il possesso -nella bastia- di soli tre pezzi da fuoco.

Delle lettere spedite al Senato in anno 1625 da parte dell’architetto, ingegnero, maestro di campo, tal frate Pier Francesco da Genova- Minore degli ‘Osservanti Riformati’; ma erano attivi come architetti anche il frate Vincenzo Maculano ed il  Firenzuola), una dice: «di più questa bastia tenerebbe netto, se havesse beni pezzi, Cornigeno e  principio della Ponsevera, essendo che fino a Coronà può tirare. Sarebbe aiuto alle trinchiere contro il nemico et animo alle soldatesche, diffenderebbe la Lanterna, l’Oliva, San Pier d’Arena perché tutti questi lochi, li domina benissimo, di tal sorta che per ogni parte ponenerebbe timore al nemico».  In altre, fa capire che ---c’era anche un eccessivo lassismo nel governare questi siti (ai quali si potevano avvicinare civili e chiunque passasse, senza creare nei soldati  reazione di difesa o allarme); ---occorreva ringraziare il marchese Giannettino Spinola che (tramite il parente Gerolamo, membro della Commissione delle Armi) in quell’anno si era particolarmente distinto nel voler perfezionare la bastia  (il 10 febbraio 1625 aveva effettuato una ricognizione personale della zona, rilevando dover innalzare un parapetto tra s.Benigno e Promontorio, presso i possedimenti di Ottavio Centurione, che funzionasse da protezione al camminamento tra la lanterna ed il convento, facendo abbattere case e piante che avrebbero impedito la vista del nemico. Il giorno dopo il marchese fu colpito da podagra, e dovette desistere nel compito); ---che i soldati avevano sostentamento alimentare per 15 gg (ma non acqua, cosa inaccettabile in caso di conflitto); ---che, contrario al suo parere, la bastia era stata ‘disarmata’ (nel timore – in caso di cattura - le armi potessero essere rivolte contro la città); ---che costituiva pericolo – in caso di aggressione - la massa di sfollati (che avrebbe cercato rifugio entro le mura rappresentando ostacolo ai difensori, come tutti quei serventi e servitori inutili nella contingenza).

Con patente del 2 marzo dello stesso anno, il Senato diede il comando delle difese esterne ad Agostino Centurione. Egli fu accompagnato dagli ingegneri capo (padre Vincenzo Fiorenzuola, don Carlo Petrucci, padre Paolo Risso, arch. Bartolomeo Bianco, arch. Sebastiano Ponsello, arch. Giovanni Ajcardi) nel giro di ispezione del terreno; ascoltò le varie proposte  assai diversificate e tutte con forti logiche (Fiorenzuola voleva Promontorio entro la cerchia; altri lo lasciavano fuori; altri –e prevalsero- lasciarono Promontorio fuori ma sotto l’egida del Tenaglia; alcuni leggevano Promontorio efficace a proteggere  l’ultima Polcevera, la spiaggia sino alla Lanterna; altri allarmavano per l’estensione delle mura che rendeva difficile il soccorso reciproco se attaccate  in unico punto).

   E quindi appare logico che nel 1633, appena erette le ultime mura, la bastia di Promontorio apparve già obsoleta; e quindi fu demolita: si procedette a erigere la fortificazione avanzata del Tenaglia (che- in una carta francese del 1810- viene chiamata “la tenaille de Prementon”-).

 

    L’ABBAZIA:   nacque come vicaria a quella sottostante del Fossato, e quindi come essa, dedicata a san Bartolomeo. È probabile che i monaci, piuttosto che fondarla (avrebbe avuto poco senso), la abbiano rilevata da un convento di suore, facendone una specie di eremo o succursale.

Il nome ufficiale è “san Bartolomeo della Costa di Promontorio”; o più semplicemente “san Bartolomeo di Promontorio” per distinguerla dalla sottostante del Fossato.

Contitolare è san Giovanni Gualberto, il santo fondatore dei vallombrosani (vedi a ‘Bartolomeo’.  San – del Fossato).

XII sec.    Quando la chiesa acquisì personalità, non è dato sapere: allo stato attuale è considerato edificio di notevole interesse per le origini architettoniche romaniche genovesi del XII secolo; ma la corruzione e la frammentarietà dei reperti e le neosovrapposizioni eseguite a posteriori, rendono assai arduo –per non dire escludono- un  pieno riconoscimento.

   È considerato positivo per il giudizio, l’aver rilevato la pianta antica a modello della sottostante ed originale, del Fossato. Sono invece considerati ‘indigeni, e che si fanno sentire ‘pesantemente’ sia la tecnica muraria che la torre nolare, le quali -nell’impossibilità di confrontarle con documenti notarili medievali non rinvenuti, né con il Fossato distrutto- vanno teoricamente a richiamarsi ad altre chiese (tipo s.Donato) e ad essere solo ipotizzate, anche se con buona approssimazione.

 

L’elenco degli abati vallombrosani dall’inizio, vede: 1138 Antonio; 1157 Giovanni; 1197 Geremia; 1216 Manfredo; 1224 Ansaldo; 1252 Giacomo I; 1266 Giacomo II; 1276 Benvenuto; 1286 Lorenzo; 1302 Bartolomeo; 1309 Ogerio; 1332 Matteo da Perugia; 1384 Bartolomeo; 1414 Bartolomeo da Cogoleto; 1442 Lazzero Lipora.

Dal 1484, il Novella fa terminare alla direzione dell’abbazia il governo dei monaci toscani ed inserisce gli abati commendatari, e loro relativo giuspatronato, in genere cardinali liguri, e con loro trasformata in commenda. Con: anno 1484 Urbano Fieschi; 1847 Matteo; 1502 Ilario Gentile; 1510 Tomaso Dinegro; 1539 Giacomo Dinegro; 1572 Tomasino Dinegro; 1572 Nicolò Dinegro; 1577 GB Lomellini; 1558 card. Benedetto  Giustiniani; 1632 Giacomo Pastori; 1635 Bartolomeo Pensa; 1648 Vincenzo Giustiniani; 1669 Francesco Carbonara; 1673 Antonio Ratti; 1722-47 card Carlo Demarini; 1747-49 Giorgio Doria; 1749 Nicolò Lercari (don Brizzolara non lo include nell’elenco e cita il Doria sino al 1759); 1759 Giovanni Lercari divenuto arcivescovo di Genova nel 1767; 1805 (don Brizzolara scrive 1802-1827) card. Giuseppe Spina; 1829 Airenti Vincenzo (don Brizzolara non lo include e lascia vacante il periodo); 1832-47 card. Placido Tadini divenuto arcivescovo di Genova e morto nel 1847. (Dal 1844 Francesco Rivano divenne supplente nella funzione sacerdotale, ma mai nominato abbate, e così con la morta di Tadini ci fu un lungo periodo di vuoto dirigenziale), sino a don Brizzolara (che fu il primo a riessere nominato abbate nel 1895, ma anche lui dovette aspettare fino al 1902 per la conferma definitiva); 1919 Angelo Parodi.

 

   Fu eretta o occupata dieci-venti  anni dopo la costruzione della omonima del Fossato (questa risale agli anni subito dopo il  1064 -anno di fondazione della congregazione locale- e  comunque prima della fine di quel secolo: i monaci vallombrosani furono chiamati a Genova dai Padri del Comune  -vedi sBdFossato) in alto (125 m. slm) sul colle che limita da ponente il Fossato; in ambiente prettamente agricolo, suburbano rispetto l’abitato sottostante, non si esclude con allargamento del territorio di competenza verso Granarolo (diritti di decima; ricupero donazioni; contatto con la popolazione locale allora separata dal borgo sottostante).

   Quindi, circa negli anni attorno al 1100, come tempietto campestre con la tipologia tipica delle chiese romaniche liguri; era di modeste dimensioni, struttura molto semplice, essenziale; in qualità di vicaria abbaziale, forse ‘eremo’, essendo il loro chiostro –almeno inizialmente- precluso ai laici, non essendosi formata una comunità e restando senza fonte battesimale (reso obbligatorio dopo il 1582); con aspetto rudemente severo per l’uso delle pietre scure delle cave locali; a croce latina commissa (cioè non a croce latina ma a T; di m.5,20x10 più un transetto abbastanza sporgente di 12,5 di larghezza interna; ad una navata,  cupola e tre absidi. La volta, molto presumibilmente era a capriate lignee, ma non nel transetto dove i pilastri, le lesene, le mensole,  fanno obbligatoriamente pensare al una copertura a volte a crociera, non costolonate. La torre,  ottagonale (si scrive che inizialmente fu eretta esagonale, e la trasformazione fu ottenuta dopo, con geniali accorgimenti architettonici), nolare, fu impostata su un largo basamento a parallelepipedo sul centro del tetto del transetto, ed elevata in due ordini lievemente rientranti a salire; il più basso a quei tempi era traforato da quattro monofore: l’insieme forniva un valore architettonico e volumetrico assai caratteristico e leggiadro, trasformazione locale delle cupole lombarde e testimonianza della già rilevante capacità creativa architettonica genovese)

   La presunzione che i vallombrosani abbiano incluso questa chiesuola e che quindi essa era già eretta al loro arrivo, proviene da notizie relative all’anno 1128  nel quale pare, nella zona, esservi stato un insediamento di suore; la cui badessa rispondeva al nome di Ermellina (il rettore Grondona nel 1749 scriveva di un non precisato e non confermato ‘alloggiamento di vergini’).   

   Conosciuta con maggiore certezza è solo una delle prime gestioni, del 1138 del monaco vallombrosano Antonio; si parla di monastero e pare già col titolo abbaziale (che con le relative insegne e titolo è ancor oggi di competenza “durante munere” del parroco; quindi però convento solo maschile). L’insediamento urbano attorno all’edificio, in questi anni, è testimoniato essere già ben organizzato, anche se misero di numero: infatti non forniscono soldati per la difesa della Repubblica. Dal decreto già citato di tassazione per la ‘guardia’ alla marina, per la quale ‘homines de Premendone…per unumquemque debent dare phialam olei’ (ovvero tassati di una boccia d’olio, presumibilmente ad uso del faro o illuminazione di palazzi del governo. Una ‘fiala’ corriponde ad una coppa. Non molto quindi; sia perché pochi, sia perché con pochi ulivi).

   Annota Salvestrini che nelle bolle papali dirette a Vallombrosa, le prime risalenti al 1153, si citi una sola ed unica ‘ecclesia de Janue’; se ne deduce e conferma che per Roma il monastero era uno solo, anche se diviso in due comunità.  Quindi una vicaria, o succursale, o eremo.            

 

   XIII sec. C’è forse nel 1200 una parentesi di gestione, con intervento dei benedettini dell’abbazia di san Benigno, o di abbandono con loro insediamento,  o addirittura di loro primogenitura nell’erigere la chiesuola e dissodare i terreni attorno.

 

   XIV sec. Il documento specifico più antico, risale al 1311: ricorda un legato (di 20 soldi, fatto dal presbitero  Johannes de Bisanne, filuis q.Isnarde de Nicia capellanus domini Guillelmi Cibo)  al frate rettore Pasquale (frater Paschali, de Sancto Batholomeo de Costa; non priore sembrerebbe) addetto alla  chiesa stessa, sempre allora gestita dai vallombrosani. Di questi anni va riferito -apparentemente in negativo- la non citazione di presenza dell’abbazia sul Syndicatus. Ma –questa è la giustificazione- esso è un libro su cui sono annotate soltanto le attività parrocchiali e quindi solo le chiese con l’incarico della cura delle anime. Comunque, fino a dopo il 1500 la sua sorte fu sempre parallela alla abbazia del Fossato (di cui fu  parte, come succursale; ed il cui abate, nominato direttamente dalla santa Sede, governava anche a Promontorio con l’aiuto di un monaco vicario (detto anche curato, o rettore, o reggente; per questo l’abbazia in quegli anni è pure detta “rettorìa”) che saliva ad officiare alla Costa ed a gestirne la funzione. 

   Una seconda donazione, compare datata 27 sett.1314, testatore Stefano de Arena.

   Altri documenti di citazione sono del 1537/60: i registri delle ‘rationes decimarum’ ovvero vere e proprie tasse triennali  imposte dalla diocesi genovese, ma il monastero incluso nelle ‘restantes ad solvendum’ da interpretare come ‘tassa da risolvere se applicarla’ probabilmente perché i vallombrosani non dipendevano dalla curia locale ma direttamente dalla s.Sede romana. Comunque nel 1360 quando il cardinale Albornoz  compilò l’elenco delle chiese (‘omnium Ecclsiarum januensis Diocesis’) col fine di stabilire un ‘Registrum talee’, include la nostra chiesa tassandola per 1 soldo.

 

 

   Nel 1363 (Novella scrive 1467; il Casalis 1467), in territorio di competenza della abbazia di Promontorio, venne eretta (da p.Lorenzo Prato, e sulle fondamenta di precedente chiesa dedicata ai s.GiovanniBattista e Nicolò) la chiesa di s.Maria degli Angeli con annesso un convento abbazia per i frati Carmelitani calzati (che nel 1482, con l’assenso di papa Sisto IV,  furono aggregati agli Osservanti, della congregazione di Mantova).   La completa dizione della chiesa è “Nostra Signora assunta in cielo dagli Angeli”, comunemente accorciato come sopra.

Redatto il 23 aprile 1499, fu Theodora Gentili q Andreoti a lasciare un reddito per i poveri della abbazia , in cambio di una messa. Nel 1916 la cifra era divenuta irrisoria.

Fu consacrata il 18 luglio 1526 da mons. Benedetto DeNobili vescovo d’Accia (Corsica) dedicandola a NS Assunta.

L’inizio dell’opera ebbe l’aiuto economico e quindi il giuspatronato dei Centurione (in particolare patrocinatori furono i fratelli Giovanni e –più attivo dei due- Bartolomeo, che posero il loro stemma in marmo sull’ingresso e che lasciarono dei redditi in s.Giorgio). Della chiesa si interessarono poi anche Nicolò Negrone, Giuliano Pinello ed altri signori genovesi. A quei tempi era già a tre navate, con undici cappelle.

Nel suo testamento datato 21.4.1602 il patrizio Giuliano Centurione -già del ramo Scotto- con testamento istituiva (atti del notaio Giulio Romairone; Giuliano aveva un fratello deceduto il cui figlio era Lorenzo residente in Sicilia; e una sorella Giulia vedova q. Simone Spinola) una cappellanìa in soldi ed un barile e mezzo di olio, per la chiesa degli Angeli (in quei tempi posta nel territorio di competenza di Promontorio, chiedendo di esservi sepolto con l’abito dei frati, ed il feretro posto nel “sepolcro della q. Orietina Pinella ch’è nella sua Cappella intitolata alla Santissima Vergine Maria Annunciata”, e dove nella cappella di s.Alberto erano seppelliti tutti i suoi famigli (dal padre Oberto, nonno Barnaba, bisnonno Luigi (Lodixij; anche lui già Scotto; “in la Colonna di Soxilia delle Compre di S.Giorgio”) e trisnonno Bernabò (Bernabovis), la zia Battistina q.Barnaba). Con l’obbligo del parroco al funerale, di messe, lampade e del suono delle campane tre volte al giorno (sia per scandire il tempo che per invitare alla preghiera; usanza che prima non c’era: in tutte le altre chiese era uso fin dal 1240 dare i tocchi dell’Ave Maria tre volte al dì). Il testamento è complesso: vuol essere sepolto nella chiesa degli Angeli, che vi venga posta una lapide (sia per il suo lascito che per quello similare dei suoi avi Luigi e Battistina (redatto nel 26.5.1592); che siano lasciati beni per l’ospedale sMaria di Pammatone, per quello degli Incurabili e per il ‘prestantissimo Ufficio de’ Poveri; per il riscatto degli schiavi; per le monache (in particolare quelle convertite); per l’istruzione degli ignoranti e per i poveri. Nel 1881 veniva approvato lo statuto de ‘Opera Pia “Fidecommissaria Giuliano Centurione”. All’art.2 si legge che scopo dell’Opera è –dopo il prelievo per le opere di culto disposte dal Testatore-, assegnare un terzo alla cassa degli invalidi; un terzo per l’insegnamento dei poveri della val Polcevera e val Bisagno; un terzo a pie istituzioni; e come da lui voluto, gli amministratori erano: Presidente, il maggiore nato della famiglia Centurione Scotto; Consiglieri il Priore (già dell’ufficio del riscatto degli Schiavi, ora Cassa degli invalidi di Marina); maggior nato della famiglia di Benedetto Gentile q.Ambrogio; idem della famiglia Pinelli o Lomellini; il priore del Magistrato di misericordia o l’Arcivescovo.

Nel 1630, con l’erezione dell’ultima cinta di mura, pur permanendo di pertinenza di Promontorio, rimase ‘fuori porta di s.Tomaso, entro quella della Lanterna’, era alla sommità del colle con bosco annesso in cui erano due cappelline dedicate a s.Stefano ed a s.Teresa; il complesso costruito comprendeva la casa dei novizi (con cappella ed altare) comunicante con la chiesa. Sopra il complesso esisteva una borgata tra cui una casa di nobili genovesi che, per la costruzione del Tenaglia fu spianata; nel portico di questa villa esisteva un Cristo chiamato ‘degli Angeli’. Nel 1888 in questa spianata alta fu appostata una batteria

Si rammenta che nel 1766 vi si battezzò un giovane turco posto al servizio di un signore genovese, e convertito. Fu abbellita con affreschi della migliore scuola genovese:  Luca Cambiaso,i fratelli Lazzaro e Pantaleo Calvi, Andrea Semino; aveva un altare in marmo, forse quello laterale dedicato a s.GiovanniBattista (trasferito poi nella chiesa di s.Remigio a ParodiL.), una statua in legno della Madonna (forse NS del Carmine) opera del Maragliano che troneggiava nell’altro altare (ora a Rossiglione, chiesa di s.Caterina).   L’intero parco circondato da muri, confinava a nord con la villeggiatura di santa Caterina Fieschi, a nord est con la proprietà Cipollina (nel 1902 divenuta di Parodi Francesco e Serafino fu Federico) ed a sud verso via Venezia con altra proprietà (nel 1908 Marchiano)

Negli sconvolgimenti del 1797 i carmelitani furono allontanati (concentrati a Novi) ed il complesso venduto o ceduto (in remunerazione per servigi resi al Direttorio francese) ad un Morando che distrusse in buona parte il convento e  spianò la chiesa (sotto dovrebbero esserci ancora il pavimento e le tombe) ne fece cascina (nell’Oratorio, salvatosi per intercessione della popolazione su Paoletta concubina del Morando) ed orti (la casa dei novizi divenne abitazione, a piano terra del bracciante-contadino Noli e moglie, ed al piano nobile dal Morando). Nella ex portineria del convento, fu allestita una bettola.  Da esso, passò ad un sig. Calcagno e poi ad altri: prima Pittaluga poi Demartinj e GB Leoncini.

   Solo alla restaurazione subentrarono le suore Benedettine occupando un residuo dell’area da loro utilizzato a convento ed a ricovero per le fanciulle orfane. Usufruirono della vicina chiesuola a cui fu ridato il nome di SM degli Angeli (documento datato 1644, rilasciato a Michelangelo Lagustena autorizzato a questuare per questa chiesa, la fanno di quell’epoca; probabilmente nata quale oratorio o sede della confraternita di s.Maria del Suffragio e del Carmine, associazione che prima era ospitata nella chiesa madre ove gestiva un altare (di s.Maria Maddalena de’ Pazzi). Di quell’epoca compaiono anche supporti economici del Banco di s.Giorgio. Sull’altare maggiore c’è un dipinto ‘della Natività di Gesù’ forse dei Calvi. La Confraternita nel 1682 fu aggregata a quella omonima della chiesa di s.Biagio in Roma). Il complesso conventuale, dal 1850 circa divenne succursale parrocchiale, e subentrò l’uso di portarvi a benedire i cadaveri prima di  interrarli nel cimitero da poco aperto fuori le mura (Cimitero degli Angeli). Negli anni 1866 era cappellano un don Modenese, che seppur legalmente dipendente da Promontorio, però viveva autonomo e senza renderne conto al Parroco avendo solo il titolo di custode. Nel 1897-8 le 350 anime che abitavano la frazione degli Angeli, furono sottratte alla Parrocchia di Promontorio. Nel 1904 era cappellano don Giuseppe Barba. Negli anni 1930, sull’altare maggiore c’era ancora un quadro (il Novella in un punto scrive ‘della Natività di Maria, dipinto da B.Strozzi’), mentre su altro altare un gruppo in legno con NS del Carmine con s.Simone, lavorato nel 1908 da Antonio Canepa.

 

Infatti, un altro documento del 1387,  chiarisce che seppur compresa tra le chiese tassabili, ma non dalla curia locale comune ma direttamente dalla s.Sede (papa Urbano VI aveva posto una tassa alle chiese cittadine; e Promontorio si trovò a dover pagare la cifra di un soldo).

Sempre in questa data dal Giscardi viene annessa e quindi subordinata alla parrocchia di san Teodoro, probabilmente per carenza di sacerdoti del Fossato.

   È nel 1392  la presenza del rettore come teste di un atto di procura “frater Johannes de Paulo, rector ecclesie Sancti Bartholomej de Costa de Promontorio.

 

   XV sec. Nel Regesti del Polcevera (pag. 217) datato 11.dic.1408 c’è una donazione a fra Giovanni prete di sBdCosta, di un fiorino “per l’anima di Antonina Bandollo q Giovannino da Sestri, vedova di Colombo Francesco.

   Risale al 1463 un documento che attesterebbe –a questa data- la ancora dipendenza – quale succursale  - al Fossato (si tratta della convocazione alla Costa (“in claustro superiori... in villa Prementorii”), dell’abate del Fossato ai confratelli, per stilare tutti assieme e partecipi,  un contratto di affitto di una loro casa a Genova).

  La situazione organizzativa mutò, quando l’abbazia del Fossato fu trasformata in Commenda nel  1476, con commendatori non risiedenti nell’abbazia.

 Ai vallombrosani, ci sono periodi di sostituzione con altri ordini:  la nomina del rettore era sempre legata alla decisione papale (Sisto IV e poi Innocenzo VIII, tramite la curia apostolica); ed anche mantenuta la dipendenza dal Fossato.

I tempi erano ovviamente molto lunghi e tortuosi: per esempio nel 1486 il messaggio di nomina (‘apprehensio possessionis ecclesie Sancti Bartholomei de Costa’) da Roma arriva al legato apostolico a Genova (card. Giuliano della Rovere) e questi, tramite Antonio Gavotto (canonico della chiesa di Noli) trasmise l’incarico del beneficio a ‘frater Antonius de Valentia, ordinis Minorum’. 

In un documento di collazione del rettore di questi anni -1487-, si scrive che la chiesa sempre ‘dependet et membrum existit’ del Fossato.

Ad Antonio seguì nel 1492  con identica procedura: da papa Alessandro VI al card. Paolo Campofregoso (non nella veste di arcivescovo ma quale legato pontificio), la nomina a Ilario de Adano frate minore, il quale ne prese possesso tre anni dopo (il 1 marzo 1495). 

 

XVI sec.   Corrisponde presumibilmente al 1502 quando -sempre sottoposta al Fossato- ricevette da giù un sacerdote fisso, probabilmente non vallombrosano, non rettore  ma  perpetuo, e quindi probabilmente parroco, con cura delle anime e rispondente  alla Curia – ovvero all’ordinario diocesano; pertanto tassata di un soldo.  Questo testimonierebbe un passaggio della nomina dell’abate, all’abate commendatario e non più da Roma.      

 A riprova, nel 1508 appare incaricato Agostino Fieschi, che era canonico della cattedrale, da parte del commendatario Ilario Gentile; alla nomina, riceve un inventario del patrimonio della chiesa -arredi sacri, ecc.- stilato dal predecessore.

   Infatti, nel 1580, minacciando di rovina, sia per vetustà e sia per il coinvolgimento delle lotte avvenute nei secoli precedenti con battaglie che coinvolsero la zona,  venne restaurata o addirittura ricostruita e decorata a spese del patrizio Bartolomeo Centurione (con sigla B.C).

La famiglia Centurione era di recente formazione e con rapida ascesa socio-economica, tanto che ne 1528 era albergo. In questi anni, Barnaba Centurione, aveva acquistato vicino al mare il sedime e chiostro del monastero femminile di s.Maria del Sepolcro, costruendovi un palazzo poi detto ‘del Monastero’): A) il quale possedeva una villa in salita s.Barborino (che poi passò di proprietà ai Pallavicini) e che fu munifico benefattore anche della chiesa degli Angeli.  B) vedi gli affreschi emersi nei restautri del 2008.  C) la critica ha propeso che non fu allora il tempo dei mutamenti sostanziali che cambiarono aspetto alla chiesuola, i  quali invece sono imputabili  a restauri successivi (Quando D’Andrade fece i primi rilievi per un restauro storico, non trovò alcuna struttura –escluso le medievali- riferibile al periodo anteriore al settecento-ottocento). D) Da quest’anno, viene descritta lievemente più vasta: di m. 18,25x5,2, sempre con pianta a T, una navata, transetto sporgente; modifiche sostanziali furono apportate alla torre  trasformandola da nolare in  campanaria (con conseguente rifacimento delle centine delle finestre che dovevano essere bifore, costruzione della cornice e dei timpanetti cuspidati i cui stipiti sono sottolineati da lesene in pietra nera dai quali dovevano formarsi i due archetti della bifora sorretta da colonnina senza base con capitello a doppia mensola, dei quali uno venne ritrovato murato, durante i restauri ottocenteschi; nonché della cuspide in mattoni.

  

la sigla B.C    e               si presume raffigurazione di s.Gualberto – la scritta recita                                

stemma dei Centurione   “ecce ego obducam eis cicatricem _ curabo eos . jer  cm”

Questa nuova costruzione, sempre affidata alla gestione degli abati del Fossato, fu visitata due anni dopo -1582- da monsignor Bossio, che la descrisse ancora completamente spoglia di altari e di mezzi (“altaria omnia omnibus necessariis instruantur intra annum”), seppur la definì parrocchia (pare che questo titolo le era stato concesso dal 1522 seppur non sottoposta alla pieve sampierdarenese di s.Martino poiché il suo parroco faceva parte del Collegio Urbano dei parroci dipendenti dall’arcivescovo.

 

XVII sec. Nel 1602 il patrizio Giuliano Centurione del ramo Scotti istituiva (v.atti del notaio Giulio Romairone) una cappellanìa con l’obbligo del suono delle campane tre volte al giorno, per scandire il tempo e per invitare alla preghiera; usanza che prima non c’era (in tutte le altre chiese era uso fin dal 1240 dare i tocchi dell’Ave Maria tre volte al dì)

 Da documenti datati dicembre 1625, una nota recita “spesa fatta da Giulio Della Torre deputato,  pagata al maestro Bernardo pittore, per costo di un’ancona di Nostra Signora per la cappella di Promontorio. Lire 21 soldi 12 “; oltre alle spese pagate al religioso Gerolamo Solaro “per il costo di una pietra scura per l’altare di detta cappella”.

Quando nel 1632 i monaci di Vallombrosa -dopo alterne presenze- definitivamente abbandonarono le due chiese, si estinse la vita monacale ed esse divennero definitivamente commende di giuspatronato a favore di cardinali liguri, con incarico duplice –al Fossato, non parrocchia- ed alla  Costa, parrocchia- finché -su istanza dell’arciv. genovese march. mons. Giovanni Lercari- papa Clemente XIII le concesse ambedue in perpetuo all’arcivescovo del capoluogo stesso che così divenne Abate commendatario del Fossato (che essendo priva di giurisdizione territoriale non doveva provvedere alla cura delle evidentemente pochissime anime circostanti), e parroco di Promontorio (funzione esercitata delegando, con il beneplacito della santa Sede, un rettore -o vicario- a vantaggio di un più considerevole numero di abitanti attorno all’abbazia; dava diritto a portare nell’esercizio delle sue funzioni, un cappino rosso. Proprio in quegli anni, l’erezione dell’ultima cerchia muraria, divise in due il territorio di competenza parrocchiale per cui in contemporanea la chiesa era a metà intramuraria e metà fuori mura), con possibilità di nominare un Vicario - che diveniva Rettore, abbate, parroco. Molti cardinali governarono la cura abbaziale di Promontorio e del Fossato pur risiedendo a Roma in servizio della s.Sede.

Nel 1636 -29 ottobre- si fondava presso la chiesa la Compagnia del Santissimo Sacramento.

Nel 1648 appare abate commedatario Benedetto Giustiniani e rettore Giovanni di Niccolò, personaggio di fiducia dell’arcivescovo. Come scritto nelle carte della 2ª sezione civile del Tribunale,  l’abate nel prendere possesso dei beni delle abbazie, procurava di pagare e liquidare ai contadini i miglioramenti che essi avevano apportato alla casa ed alle terre in consegna.

Si invertivano così i poteri direttivi tra le due abbazie (la cui unione era però ‘pleno jure’) ma restava costante l’azione parrocchiale.

 

XVIII sec. Nel 1720 divenne abate commendatario il cardinale DeMarini Carlo (vedi), che però il più tempo lo trascorreva a Roma presso la s.Sede. Ciò malgrado, rimase in carica sino alla sua morte nel 1747. In questi tempo l’abbazia possedeva vasti terreni nell’alessandrino, sia presso Basaluzzo (ricerche di don Brizzolara chiarirono proprietà in quei luoghi dal 1551, per 565 pertiche)  e Pastorana (nell’anno 1662 la m.ca Isabella Trotta vendette 4 staia di grano all’abbazia e l’abate pose lite rivendicando che tali B.Figino e O.Fazioli “tengono molti beni  obnoxie (?) a detta abbazia e notati nel libro del Registro”. Nel 1776 il prevosto e procuratore don Fracchia di Tassarolo (AL) scrisse a mons.Lercari che il nuovo catasto torinese del 1775 aveva fatto misure scorrette; cosa decise fare monsignore non è dato sapersi), che a Begato (vicino al cimitero, affidato per varie generazioni di Montarsolo). Nel periodo, rettore del Fossato era un vice-abbate riconosciuto in don Giovanni Gerolamo Bacigalupo.

Nel 1749 (ed ancora nel 1770) la chiesa aveva oltre al centrale, 4 altari intitolati a san Bernardo, ss.Desiderio e Modesta (dei quali possedeva preziose reliquie), san Michele (di cui è ancora l’ancona***), ed a NS del Rosario con statua lignea. La torre aveva 2 campane.

Abbate commendatario divenne Giorgio Doria, rettore era divenuto l’abate Constanzo Grondona

L’abate-parroco di Promontorio Luigi Vaccarezza, ebbe riconosciuto l’aggregazione al Collegio Urbano dei Parroci il 29 nov.1786 (che prima non possedeva, venendo il parroco nominato non dall’arcivescovo di Genova ma direttamente dalla s.Sede; e confermava la mai dipendenza dalla parrocchia del borgo sottostante, la vicaria di s.Martino. Questo perdurò fino al 1956 quando, inaugurata la parrocchia di s.Maria della Vittoria, l’aggregazione passò ad essa –più vicina al Centro- e Promontorio fu passato al I Vicariato Foraneo con sede alla Cella): con questo ammissione, acquistò il diritto –unico in Genova- di portare il cappino color cremisi oltre che quello rosso. Questo durò fino al 1956, quando nacque la nuova parrocchia in santa Maria della Vittoria con territorio a levante delle mura; e Promontorio divenne così parte del 1° vicariato “foraneo”  di Sampierdarena e Cornigliano).  Fu sotto la sua gestione che iniziò una profonda metamorfosi architettonica, che la trasformò da romanica originaria (planimetricamente detta a “tau” perché a navata unica; i muri perimetrali in pietra a vista della zona absidale, il transetto, il presbiterio ed il coro) a un miscuglio architettonico aggiunto di falso rinascimento che purtroppo con la sua mole sproporzionata arrivò a soffocare la parte antica; inizialmente fu solo aggiunta la navata destra (ma, già a spese ovviamente del fianco della navata originale; sarà divenuta più pratica sotto l’aspetto abitativo, ma certamente negativo per quello storico-architettonico).

Nel 1794, era abate l’arcivescovo Giovanni Lercari, e vice-abbate era Giovanni Monteverde.

-Il 2 maggio 1798 il segretario generale del direttorio della Polcevera, scrisse aver requisito dalla chiesa la somma di lire 2513 in oro, argenti e gioie: questi beni, posti in sacchetti ben sigillati a fuoco, furono depositati all’Amministrazione Centrale. E, cessato di vivere la Repubblica di Genova, lo stesso direttorio decise costituire Comuni  -indipendenti uno dall’altro- sia Promontorio che San Pier d’Arena (solo nel 1804, il Governo in atto decise l’unione di uno nell’altro (vedi))  

Le leggi napoleoniche relative al clero e la loro concentrazione in alcune sedi ed abbandono di altre, favorirono un grave equivoco quando, subentrato dopo pochi anni il regno dei Savoia, il regio Economato Generale di Torino ritenne la sottostante abbazia  di sBdF soppressa e quindi tutti i suoi beni (fabbricati e terreni) assorbiti nel patrimonio economale. Da allora continuarono ad essere nominati i rettori alla Costa dall’arcivescovado, ma senza riconoscimento dei beni posseduti al Fossato; i dipendenti dall’Economato Generale di Torino propugnarono, difesero e si comportarono giudicando che l’abbazia del Fossato doveva ritenersi soppressa e che di conseguenza loro potevano disporre dei beni a loro piacimento (della canonica, chiostro, i fabbricati e terreni vicini): in effetti questi furono abbastanza rapidi nel venderli tutti escluso l’edificio della chiesa.  Solo don Brizzolara riuscì –documenti alla mano- a rivendicare le proprietà. La Santa Sede continuò a ufficialmente nominare un continuatore della reggenza alla Costa, ma al Fossato, non riconosciuto proprietario dei beni, fondamentalmente qualsiasi sacerdote nominato era un poverissimo, impossibilitato a qualsiasi restauro o miglioria.

 

XIX sec.  Nel 1804 il Governo in atto decise l’unione del Comune di Promontorio in quello della sottostante San Pier d’Arena; gli abitanti del colle accettarono con la clausola che la propria parrocchia restasse autonoma.

Dal 6 gennaio 1807 al 24 giugno 1822 fu rettore, ossia vice-abbate, don Nicolò Schiaffino, mentre abate era il cardinale Giuseppe Spina.

Al 1820 D’Andrade, in una corrispondenza con O.Germano, riferisce una decorazione ad affresco della Cappella del Rosario, da parte del Paolo DeFerrari (definito ‘distinto ornatista’)

Si sa che il 30 giugno 1822 ci fu una visita pastorale dell’arcivescovo Lambruschini, della quale però non rimane alcuna traccia documentata.

Il 26 maggio 1826 morì trentacinquenne il -da soli due anni rettore - Filippo Antonio Schiaffino (una lapide ora scomparsa posta sul suo sepolcro davanti all’altare  di NS del Rosario e descrivente  ANTONIO SCHIAFFINO –ECCLESIAE PROMONTORII RECTORI- OPTIMO PIO OMNIBUS ACCEPTISSIMO – TEMPLO RESTAURATO ET AUCTO – DIE 26 MAII 1826 DEFUNCTO – DOLENTES FRATRES –EXTREMUM HOC MUNUS POSUERE = AD Antonio Schiaffino rettore della chiesa di Promontorio ottimo pio ed accettatissimo da tutti  morto il 26 maggio 1826 dopo aver restaurato ed accresciuto il sacro tempio, i fratelli dolenti posero questo estremo ricordo) che da poco l’ aveva ingrandita ancora, usufruendo di generosi contributi di alcuni fedeli (una lapide ricorda          “CAPPELLARIA FONDATA DA GIROLAMO GIOVO-MORTO A 6 APRILE 1827-CON TESTAM° IN NOT° DOM BONIFACIO-PER UNA MESSA ALMENO FESTIVA-DA CELEBRARSI IN QUESTA CHIESA-PER L’ANIMA SUA E DEI SUOI CONGIUNTI”.

 anno 2009

 E più tardi, nel  1842,  fu apposta su un sepolcro la targa marmorea  “ALLA MEMORIA DI ANTONIA ROMAIRONE FU FRANCO -CHE FU LARGA DI ELEMOSINE A QUESTA CHIESA  -  AGGIUNTOVI IL LATO DESTRO ***A SUE SPESE  -  E ISTITUI’ IN MORTE DEL SUO AVERE  -  UNA CAPPELLARIA QUOTIDIANA  -  IL PARROCO E LI FACCENDIERI  -   A NOME DEL POPOLO RICONOSCENTI   -   MDCCCXLII “).

In conseguenza di questi lavori, era “accresciuta” (come dice la targa marmorea) divenuta larga m.11,8 e lunga m.17,7 più 10,3 m. di presbiterio; era stata aggiunta la navata di sinistra (navata detta “del Rosario” (a spese della fiancata omolaterale antica); sacrificato tutto l’abside centrale originale, per poterla allungare; quasi tutte le pareti interne furono intonacate occultando le strutture più antiche;   la volta a botte è sicuramente aggiunta; la torre campanaria fu modificata con quattro aperture per altrettante campane. Si presuppone che anche la cuspide non sia originaria così aguzza come è ora, ma che se in origine fosse piatta ed il cui ultimo piano -cella campanaria- fu distrutto per essere sostituito da un tetto a punta più alto).

   DiFabio dice che ‘mutamenti estesi e sicuri nella “forma ecclesiae” avvengono tra la fine del XVIII e la metà del XIX secolo. Sembra infatti che la navata sud sia stata aggiunta  al corpo di fabbrica originario allo scadere del XVIII secolo o ai primi del successivo....Più incerta la datazione della navata nord, costruita secondo il Ceschi nel 1824-6, e nel 1840 circa secondo Ottavio Germano. Della stessa epoca anche la coloritura della facciata, la quale,probabilmente, si deve considerare come risultato di questa serie di interventi che trasformarono la chiesa da mono a trinavata”: quanto scritto sopra preciserebbe il periodo di queste profonde ristrutturazioni.

   Dall’anno 1827 al 31 arrivò come parroco, da Fontanegli –ove aveva servito per 22 anni- Iliano Giuseppe David di Pratolongo; morì a 60 anni.

   Una lettera datata 22.5.1829 dell’Intendente Generale cav. Demarini,  risponde al rev. Rettore della chiesa di Promontorio che aveva fatto “istanza per lo stabilimento di un regolare Consiglio di fabbriceria nella chiesa”, rispose che “..per decreto 1809...la nomina di due fabbricieri spetta a questo Generale Ufficio” e pertanto “delibera: sono nominati membri ..i signori Napoleone Tomasi di Lorenzo e GioBatta Pambianchi; sono inoltre membri di diritto ...il rev. Provvisto pro tempore  ed il signor Sindaco del Comune; si dovranno fare altresì elezioni di altri tre soggetti competente all’Autorità Ecclesiastica”.

   Conferito dall’arciv. mons. Airenti, dal 1832 per soli tre anni fu rettore Onorato Olcese, ex conventuale, autore di varie pubblicazioni di storia e di critica’. Morì nell’abbazia a 78 anni. Viene citato dal Casalis a pag. 550 del vol.7 del suo dizionario.

   Dal 1835, per altri 33 anni, la sua opera fu continuata dal sac. don Rivano Francesco di Pegli, che rimase in attività sino al 1868 quando dovette rinunciare alla cura dell’abbazia, lasciando vacante il rettorato e tornando a Pegli ove morì 75enne.    In questi anni sostituì l’immagine di san  Michele con quello della Madonna, soprannominata NS della Salute: (oppure, “N.Signora, salute degli infermi”. Quando nel 1835-6 scoppiò una gravissima epidemia di colera (alcuni dicono peste), molte persone accorsero a pregare questa Madonna per indulgenza e pietà: questa particolare devozione determinò l’arrivo in preghiera anche dell’abate Commendatario, il cardinale Placido Maria Tadini. Alla fine dell’epidemia, fu eretto un altare apposito in marmo per questa icona settecentesca (anche con l’aiuto economico di molti cittadini , tra i quali particolarmente generosi furono i fratelli Frixione Emanuele e Giuseppe. Il Gazzettino S. dice che il culto ebbe origine  con una epidemia di peste scoppiata nelle metà de 1800, ma che il massimo della venerazione avvenne con l’epidemia di influenza chiamata “spagnola” che nel 1919  mieté nell’Europa milioni di morti).

             

Madonna della Salute                                      sua collocazione nell’abside navata destra

L’opera viene attribuita alla scuola del marchigiano G.B.Salvi (detto anche ‘Sassoferrato’ dal paese d’origine in terra di Ancona, 1605-1685, discreto pittore (e proprietario di una fabbrica di ceramiche) seguace di Reni e Domenichino, ricercato autore di quadri sacri, specie Madonne; in forma eccessivamente  manieristica e leziosa al punto da creare uno stile, e tale da fargli assegnare molti dipinti  anche se non suffragati da altre prove sicure). Venne ritrovata in quell’epoca dall’abate Onorato Olcese che dapprima la espose nella chiesa, poi nella cappella dell’ospedale di palazzo Masnata (via A.Cantore), poi di nuovo a Promontorio dove la particolare attenzione determinò in Francesco Rivano, successore nella gestione dell’abbazia, la decisione di festeggiare la Madonna della Salute nella seconda domenica di ottobre. Divenne patrona della Confraternita. Fu restaurata dal maestro Franco Franchi.

Nel 1837, trentacinquenne, stila un promemoria affermante: che lui è rettore, patrono è s.e. l’arcivescovo abbate-patrone ed a cui spetta la collazione perpetua di questa chiesa. La chiesa sembra solo benedetta perché non esiste memoria sia consacrata. Tre gli altari la cui manutenzione è a carico della chiesa. Pochi arredi e olio. Quattro i fabbricieri sono Emmanuele Frixione, Emilio Ronco, Paolo Cappanera, Giacomo Barabbino: sono senza alcuna rendita con unica entrata le elemosine. La chiesa non ha alcun reddito fuorché: un canone di £.10 che paga Lorenzo Montarsolo per un bosco a Begato; un pio lascito di una lampada quotidiana al ss.Sacramento fatto dal fu NN.Patrone al quale da molti anni non si adempie, fondato su d’una villa situata in Promontorio di spettanza adesso al signor Luigi Deferari q.Nicolò; il Parroco non ha altro, nemmeno un curato o coadiutore sebbene in un atto notarile obbliga il parroco d.Giuseppe Ardito a prestare servizio per una cappellania avuta in patrimonio ma al quale dovere finora non ha adempiuto. Tre cappellanie: 1) di £.500 dei Centurione, posseduta e servita da d.Bixio; 2) festiva, servita dal cañco (?) Portoghese Gioachino Landada che abita nell’abbazia al Fossato, di gius patronato dei sig. Bracelli-Spinola i quali somministrano i rediti più o meno secondo pagano i fondi di Roma, a un di presso 200 lire abusive 3) posseduta a titolo di patrimonio da detto Giuseppe Ardito colla limosina di lire n.300 obbligato a celebrare ed applicare N.100 Messe comprese le festive tutte, di gius patronato del sig. Pasquale Giovo, il quale riscuote l’annuo reddito di £.672, e non so con che coscienza, pagata la suddetta somma al Cappellano, si rimborsa il rimanente. Per  cosifatta ingiustizia la Chiesa è stata già ammessa al beneficio dei poveri, già sono state spedite le citazioni, e dopo le ferie autunnali si verrà alla trattativa di detta causa. Il numero dei Preti in questa parrocchia è di quattro: d.Venanzio Bixio d’anni 27 che vive col signor Medico Giuseppe Podestà a Belvedere. d.Giuseppe Ardito che vive con sua ava in SPd’Arena, d.Francesco Bessoni custode nel Santuario di Belvedere ove vive, ed il direttore nell’Oratorio degli Angeli d.Luigi Gastaldi ove vive e si comporta come per fare un contraltare alla Parrocchia visto che spiega il Vangelo ed esegue novene, tridui e funzioni; di essi solo d.Bixio sebbene non obbligato aiuta indefessamente assistendo alle funzioni, confessando, insegnando dottrina. Nel distretto di questa chiesa parrocchiale vi è anche la chiesa abbaziale di s.Bartolomeo del Fossato.Le sacre reliquie con i soli sigilli senza alcuna autentica sono di Maria ss., della croce, di sBartolomeo apostolo, di sBernardo abbate, di sGiuseppe Sposo di Maria e di sGiuseppe da Cupertino. In detta Chiesa non v’è alcuna Indulgenza.Con molta venerazione e grande straordinario concorso si amministra il ssViatico agli infermi, e a quest’effetto vi sono gli arredi necessari. Non si fa alcuna conferenza intorno ai casi di coscienza. Io Francesco Rivano Parroco confermo quanto ho riferito sopra con mio giuramento tasto pectore addi 14 novembre 1837   -don Rivano scrive anche possedere “le bolle di una provvista fatta da s.Em.za l’Arcivescovo Tadini il giorno 30 sett.1835”, ma esse non sono state trovate.

-Nello stesso anno 1837 il primo accenno ad un organo posto in fondo alla chiesa,  a tre campane  nel campanile munito di orologio; alla presenza di tre soli altari in marmo (il maggiore, del Rosario e quello di NS della Salute (che aveva ‘spodestato’ san Michele)).

-Nel 1844 –rettore sempre don Rivano-, fu rifatta la facciata ed abbattuta l’abside originale, furono eretti -nell’area dell’orto- una più ampia e nuova abside, un presbiterio, una sacrestia ed una casa.  Purtuttavia la chiesa rimase di modeste proporzioni, in cui trovano ora posto 3 altari, nel tempo rifatti in marmo (uno al titolare san Bartolomeo, uno a NS del Rosario, il terzo alla Madonna della Salute).

Di Fabio pone quest’anno come l’ultimo in cui si potevano vedere le strutture del XII secolo (torre e zona absidale) perché “il rettore della parrocchia curò la demolizione fino a livello del pavimento dell’abside maggiore, facendola ampliare notevolmente; le absidiole vennero invece conservate. Di questo periodo probabilmente, sono anche le coperture a botte della nave centrale e la decorazione architettonica classicheggiante delle arcate, inquadrate da lesene scanalate con capitelli corinzi che reggono una cornice rettilinea modanata”.

-Nel 1847 alla morte del card.Tadini, ultimo abate commendatario, si applicarono le disposizioni del Concilio di Trento (e la successiva  costituzione “cum illud semper” , emanata da Benedetto XIV il 14 dic.1742) per cui la santa Sede con lentezza lumachesca cercò mettere a regolare concorso il posto vacante. In attesa, -per un quarantennio, ovvero sino al 1888-, la chiesa fu governata da “Economi spirituali” che saranno ufficializzati solo nel 1889 con don Revello.

-Nel 1848 vi venne sepolto in forma semplice mons. Francesco Giuseppe Rodriguez De Andrade, vescovo di Funchal (capoluogo dell’isola di Madera). Solo 43 anni dopo la tomba posta al centro dello spazio antistante l’altare maggiore, venne contraddistinta da un marmo, scolpito da Pietro Roncallo (scultore sampierdarenese di eccellente pregio, scarsamente valorizzato in patria). In patria, l’illustre prelato, nato da nobile famiglia il 27 feb.1787, laureato in teologia, vescovo dal set.1821 –in un complicato periodo storico del Portogallo: separazione della Spagna, colonie in America, intrighi di corte più o meno favoriti da altre nazioni- aveva politicamente sorretto le sorti del principe Michele di Braganza (Miguel de Portugal) che -da reggente della minorenne principessa Maria Braganza candidata al trono portoghese- si autoproclamò re del Portogallo (1828) e vi rimase per 6 anni; ma fu politicamente sconfitto dai fedeli della principessa e costretto all’esilio (ago/1834) assieme ai suoi sostenitori: in molti vennero a Genova; ed il prelato, fu  ospitato (1836) al Fossato dal carmelitano mons. Placido Tadini arcivescovo di Genova con cui stabilì subito rapporto di collaborazione religiosa (fu partecipe ai festeggiamenti per il primo centenario della canonizzazione si s.Caterina Fieschi Adorno il 30 apr/37. Frequenti erano i suoi pellegrinaggi di preghiera alla chiesa di Promontorio a cui lasciò in dono il suo anello episcopale adorno di un diamante di grosso pregio (scomparso).

Morì per un attacco apoplettico nella notte del 2 magg.1838, lasciandogli il tempo per far capire il desiderio di restare a Promontorio; la salma fu imbalsamata (per la speranza di una amnistia con possibile rientro in patria, che però non fu data). Ricevette sei giorni di suffragio (tre in sBdF e tre alla Costa), e poi fu inumata nella navata principale a Promontorio in forma semplice sempre nell’attesa di un auspicato rientro nella terra natale. La sua memoria venne tenuta viva dai sacerdoti venuti in esilio al suo seguito: tra essi, nel 1843 il mons.  Francesco Ignazio dei marchesi Cabrera di Cordova, in accordo con l’arcivescovo Tadini, aprì in Promontorio un seminario per chierici spagnoli; 5 anni dopo però, per gravi problemi politici italiani ostili alle congregazioni religiose, il seminario fu chiuso ed i suoi religiosi si trasferirono in Spagna nella Compagnia di Gesù. La S.Sede non lo aveva rimosso dall’incarico in Madera quindi il presule rimase nominalmente vescovo di Funchal fino alla morte.


Nessuno più si ricordò di questa illustre sepoltura finché l’abate Carlo Revello sottrasse all’oblio la tomba decorandola con una pregevole lapide commemorativa  (offerta dal vescovo di Funchal succedutogli mons.M.Agostino Barreto, quale omaggio su cui spiccano l’ alfa-omega (simboli del principio e fine per i cristiani); lo stemma episcopale con cappello a tre ordini di nappe (da vescovo); la corona di barone a sette perle; lo scudo ovaloide con i simboli gentilizi di famiglia (croce trifogliata d’oro in campo rosso; 5 gigli rossi dei Rodrigues in campo d’oro;  banda rossa in campo verde dei D’Andrade –quest’ultima bordata d’argento e caricata in nero col motto ‘Ave Maria’); l’iscrizione dettata dal prof.sac.Giuseppe Tacchino vice rettore del nostro Seminario arcivescovile: A.xP(di Pax).Ω  FRANCISCUS JOSEPHUS RODRIGUEZ D’ANDRADE  - DOMO OLISSIPONE – FUNCHALENS. IN MADEIRA INSULA PONT. – LUSITANIA CIVICO TURBATA MOTU – EXTORRIS – AD PROXIMUM  S. BARTHOL. MONASTERIUM – VIRIBUS NONANIMO FRACTUS – IN PACE. xP. QUIEVIT – KAL. MAI AN. M.D.CCCXXXVIII- AN. NATUS LXXVII – NE TANTI VIRI – PRO PATRIA SIBI OPTATISSIMA HEU TANTA PERPESSI – EXCIDERET MEMORIA – E.A.BARRETO – DECESSORI SUO – MONUMENTUM P.C. – ANNO MDCCCXCI

La lapide fu messa a posto con cerimonia solenne il 14 giu 1891 presieduta da alto prelato delle Vigne


 

-Nel 1860, sempre col concorso di numerosi fedeli, la chiesa si arricchì di un armonium ** costruito dai fratelli Agati di Pistoia, e collocato nel coro.

Viene riferito a quest’anno un rivestimento in mattoni, parzialmente ancora conservato,  della cuspide campanaria. Ed è da questa data che non risultano più restauri e modifiche, fino alla fine del secolo.

-Il 30 aprile 1865, con regio decreto n. 2273, il Comune di San Pier d’Arena divenne città. Questo evento favorì la confusione perché anche il Municipio –che già nel territorio di promontorio aveva aperto il cimitero (oltre 50mila mq), si sentì autorizzato a intromettersi anche nella divisione parrocchiale e poi nel progettarvi il grande ospedale (altri 70mila mq). Cosicché infine la Curia, decidendo come se la parrocchia di Promontorio e del Fossato fosse praticamente ‘estinta e quindi abolita’, nominò due nuove parrocchie: SM delle Grazie e quella di san Gaetano, molto a spese dell’indifeso territorio di Promontorio.

-Il 30 aprile 1866 ci fu una visita pastorale dell’arciv. mons. M.Charvaz: il sacerdote don F.Rivano stilò una relazione in cui precisò che ===I=nel 1835 quando era arrivato i parrocchiani erano circa 700; solo la metà è ammessa alla s.Comunione; l’abuso dominante sono le osterie aperte tutto il giorno. ===II=La rettoria è sicuramente benedetta ma non ci sono documenti che sia consacrata. ===III=La chiesa ha tre altari, il maggiore dedicato a s.Bartolomeo; in ‘cornu evangelii’ quello del s.Rosario; in ‘cornu epistolae’ quello di NS della Salute (unico privilegiato in perpetuum con decreto della s.Congregazione delle Indulgenze 30 sett.1840, alla manutenzione dei quali è obbligata la fabbriceria). ===IV=Possiede 10 piviali, 21 pianete feriali, 18 festive, 28 solenni; 3 calici, 106 candelieri; 22 camici, 11 accrespati per solennità; 12 cotte; 34 amitti; 28 corporali; 42 palle; 110 purificatoi; 20 tovaglie; 6 asciugamani. ===V=Un organo con tre campane. ===VI=Non ha beni stabili né redditi né diritti o privilegi, ma ha l’onere di pensare alle spese delle funzioni e lampade. ===VII= ha solo tre cappellanie, esattamente adempiute e delle quali è apposta in sacristia la tabella: 1=dapprima quotidiana ora ridotta a 85 per decreto di mons. provicario gen. canonico P.Andrea Chiarella 22712/1863 ad triennium pere cui cessò essere quotidiana. Fondata dall’ill.mo marchese GiulianoCenturione q.Oberto con suo testamento 24.8.1604, amministrato dalla Fidei Commisseria Centurione che ha pure la nomina del Cappellano, della rendita di £.5oo (nuove) –2= fondata sui monti di Roma dall’ill.ma sig.ra march. Cristina Lucrezia Centurione Bracelli l’anno 1718 della rendita all’incirca di lire nuove 170 secondo il reddito camerale, la limosina della quale fu ridotta per un decennio a £.4 ciascuna addi 24 aprile 1866, e prorogato per un secondo decennio ai 27 marzo 1866 con decreto della s.Fabbrica di s.Pietro amministrata con diritto di nomina del Cappellano dagli ill.mi Sig.ri Patrizi Genovesi Fratelli Spinola-Bracelli—3)quotidiana, con testamento di  sig.Gerolamo Giovo l’anno 1826, Notaro Rolleri,  della rendita di £.650  che fu data a titolo di nomina del Cappellano dai suddetti eredi Giovo, e dal parroco pro-tempore. ===VIII= si trovano in Sancta Sanctorum uno in cornu Epistoli e l’altro in cornu Evangeli due quadri di s.Reliquie appartenenti una volta ai PP.Cappuccini della concezione in Genova e donati a questa Chiesa da sua eminenza il Cardinale Spina (Abate) Arcivescovo di Genova, oltre a 4 reliquiari che si espongono all’altare Maggiore nonché la Reliquia del legno della s.Croce, della BV Maria, dell’Apostolo s.Bartolomeo, di Giuseppe Sposo di Maria ss di s.Bernardo Dottore ed Abate di s.Giuseppe da Cupertino, le quali si trovano nella propria teca, con ceralacca sigillata, ma però senza autentica. ===IX= ha Fabbriceria con 5 membri oltre il Parroco la quale amministra la Chiesa con soddisfacimento della popolazione, né mai furono mosse lagnanze. ===X= i Sacerdoti sono 3: d.Pietro Raffo, anni 27, curato: d.Luigi Benvenuto custode nel santuario di NS di Belvedere, di anni 47; ex frate M.O. per nome Giovanni Parodi, età 69, cappellano dell’Oratorio agli Angeli e custode del Cimitero della città di Genova volgarmente detto il Cimitero degli Angeli. Il primo come curato presta scrupolosamente il suo servizio; il secondo graziosamente accorre all’assistenza degli ammalati e moribondi, sempre pronto al servizio non solo del santuario ma ancora di questa Chiesa parrocchiale in tutte le solennità e funzioni che occorrono; il 3° che interviene alle funzioni tutte le volte che è libero: tutti e tre vanno in abito e tonsura siccome prescrivono i canoni, di ottimi costumi e di morale condotta, godendo fama di esemplari sacerdoti presso di questa e delle circostanti popolazioni. Il Curato convive col Parroco; quello a Belvedere tiene necessariamente presso di sé una savia domestica e celebra ogni giorno la s.Messa; e il 3° vive da solo, celebra quasi ogni giorno, sempre nei festivi. Vi è pure un Chierico Minorista per nome GioBatta Noceti in età d’anni 74 inserviente nel Santuario vicino e che veste abito clericale, fornito di savi costumi e lodevole condotta. Non vi è in questa Parrocchia alcun Sacerdote che abiti fuori del distretto. ===XI=i seppelliti in Chiesa sono due. Questa parrocchia non ha cimitero proprio essendo utilizzato per i domiciliati in città  quello degli Angeli. ===XII= nel distretto di questa Parrocchia vi sono le seguenti Chiese 1° il santuario di NS di Belvedere; 2° Chiesa abbaziale di s.Bartolomeo del Fossato; 3° l’Oratorio di NS del Carmine agli Angeli dentro città; 4° la cappella nel Palazzo Cataldi ora stabilimento delle Figlie del Buon Pastore e la cappella dei signori Airenti. ===XIII= vi è una Confraternita del ss Rosario che serve per accompagnare i defunti al cimitero. ===XIV= da quasi due anni nel distretto sono le Monache del Buon Pastore addette al bene delle figlie penitenti in N di 40 circa con educandato nel quale sono 23 ragazze le quali  Monache tengono scuola per le ragazze di questa Parrocchia. ===XV=non vi è ospedale ne altra Istituzione di carità cristiana. ===XVI=vi è la scuola per le ragazze dalle Monache, e da un mese circa fa scuola ai ragazzi in una stanza attigua alla sacristia il signor Bartolomeo Podestà della parrocchia di S.Pier d’Arena, uomo di una quarantina d’anni di ottimi costumi, religioso, che fece i suoi studi in questo seminario di Genova e che aspira ad essere iniziato negli Ordini sacri. ===XVII=non si tiene conferenza mensile dei capi di coscienza giusto il prescritto del Sinodo, perché il Parroco aggregato al VCollegio dei Parroci Urbani, interviene a quella, che si tiene mensilmente nel palazzo arcivescovile di Genova. L’arciv. mons. Charvaz,  approvò l’ordine e la funzionalità della Chiesa di Promontorio e di Belvedere. Prese atto della estrema povertà di sBdF

 Nel 1868, rinunciando don Rivano il 28 aprile di quell’anno, gli successe  don Patrone Andrea da Crevari nella qualità di parroco amministratore, fino al 1888. Esisteva ancora, in quegli anni, la disputa tra il governo politico sul diritto di nomina a parroco (il regio Economo significò immediatamente la sua pretesa nomina (nella persona di don Bernabò Brea); e la Curia, il cui proVicario Chiarella fece capire l’intenzione di ritenere la parrocchia in diritto comune e quindi che si doveva provvedere per concorso). Don Brizzolara lo accuserà aver sopportato tre gravi decisioni della Curia a danno dell’abbazia (definite ‘enorme cantonata’; e la stessa, errata interpretazione, fu data per s.Andrea di Borzone): primo, datato 8.7.1868 una lettera di risposta all’Economato Generale di Torino, affermante che il Beneficio di Promontorio rientrava nel ‘diritto comune’ (affermazione basata su due errori: uno che Promontorio fosse disgiunto dal Fossato; e due, che il Fossato stesso fosse beneficio della Curia dimenticando che invece era, ed è della s.Sede); secondo che tutti gli arcivescovi (Lercari, Lambruschini, Tadini ed infine Magnasco con suo atto del 26.7.1871) sempre trattano Promontorio come se disgiunta dal Fossato quando è proprio l’abbazia del Fossato base e cardine delle due chiese; terza quando il provicario della curia non accettò la giusta ipotesi dell’Economo Generale dei Benefici ecclesiastici di Torino e ne rifiutò la giusta valutazione. 

Nel 1888 gli successe don Revello Carlo di Recco; il qualre fu nominato l’anno seguente in forma ufficiale responsabile della parrocchia  (definendosi finalmente, dopo quarant’anni di reggenza di un ‘economo spirituale’) il ‘beneficio vacante’ del 1847 (vedi). Quale anche economo, rimase in carica fino al 1892 (seguito per un solo anno da DeNicolini Giovanni).  Fece pratiche presso la Commissione Conservatrice dei monumenti, per avere mezzi per fare le riparazioni necessarie sia al Fossato che alla Costa (di quest’ultima, specie il campanile) e riconosciute in una indagine effettuata dai commissari Alfredo D’Andrade (durante la quale aveva tratto degli schizzi personali) ed Al.Cervetto, che avevano sottolineato per la prima volta “l’importanza archeologica  di questa struttura medievale”, antichissima attorno al 1000.

Nel 1893-4 -alla morte del predecessore- prese l’incarico il sac. Brizzolara Giovanni, da Temossi di Borzonasca (insigne studioso storico e di diritto pubblico, divenne pignolo ricercatore e tenace rivendicatore dei diritti dapprima della abbazia di Borzone di cui curò i restauri e ne illustrò le memorie. Dopo ciò, ebbe incarico dall’arciv. Reggio di rivendicare il Beneficio parrocchiale della Costa ma soprattutto del Fossato dove sia la canonica che il  chiostro ed i terreni erano stati venduti all’asta o incamerati dall’Economato, il quale pagava un Reggente con una somma annuale (£.300).

Con bolla di Leone XIII prese possesso dell’investitura il 24 agosto 1896. Entrò subito in lite legale con tutti, producendo carteggi e documenti pazientemente ricercati negli archivi, dinanzi al tribunale genovese: antagonisti divennero l’Economato della Curia (perché doveva proibire l’economato torinese di vendere); il governo e -per lui- l’Economato Generale (Brizzolara e mons Reggio, assistiti dall’’Ufficio del Contenzioso ecclesiastico’ (avv. Capellini V e Mangini L. fino alla sentenza del 23.1900 letta dal presidente avv.Limenio Rosso nella quale venivano respinte quasi tutte le eccezioni pregiudiziali dell’economato, concludendo che l’abbazia di sBdF non fu mai soppressa e quindi è giuridicamente esistente con tutti i beni che l’Economato doveva conservare alla quale va annessa ed incorporata e soggetta a vicaria la abbazia della Costa. Don Brizzolara ottenne il regio exequatur e l’immissione nella temporalità del benefizio. Alla sentenza fu proposto appello; ma favorì un pacifico componimento firmato il 29 dicembre 1900 (con strascichi burocratici superati di volta in volta, fino ad essere totalmente ed approvato dal ministero quattro mesi dopo); il Comune di San Pier d’Arena per errata valutazione delle tasse dei fabbricati; i suoi predecessori disordinati e scorretti; i privati per rivendicare le proprietà dalla abbazia. Non solo, perché dopo tanti anni di abbandono si ritrovò le strutture deteriorate e prossime al cedimento, specie il tetto. Scrisse pure una “storia di Promontorio”, giungendo alla conclusione che la chiesa di Promontorio non potesse essere anteriore al XIV secolo; ma -poteva essere- che ancor prima dell’anno mille alla Costa ci fosse un monastero di Benedettini con relativa chiesa, abbandonato dopo che nel 930 Genova per la seconda volta fu distrutta dai saraceni; lo stesso per il Fossato quando i Vallombrosani arrivarono nell’anno 1064.

Questo sacerdote anche molto si adoperò per chiarire il suo potere e i suoi dovuti, andati malamente dispersi nell’arco degli ultimi anni vacanti, ottenendo il riconoscimento della assoluta indipendenza parrocchiale (con relativo titolo abbaziale).

-Il Novella lo pone come primo abate parroco, a seguire gli abati commendatari.

-Nel 1894 il parroco ragguagliò l’Ufficio per la Conservazione dei Monumenti (D’Andrade) del nuovo cattivo stato del campanile; anche l’economo della Confraternita telegrafò riguardo la guglia “si sfascia- imminente rovina- urgono provvedimenti-...”. Furono inviati due consulenti (Germano Ottaviano e DeMarchi Angelo) che promuovono un restauro del campanile, eseguiti da volontari parrocchiani, la domenica come extra lavoro. Intanto D’Andrade studiò bene la torre per promuovere la richiesta dei fondi per un lavoro definitivo, concludendo  che per rimetterlo nella forma primitiva occorreva ‘restaurare le finestre e ridurre l’ultimo piano’. Queste ultime parole allarmarono il parroco, che con la sua indomita tracotanza pretese sovrintendere ai lavori; furono ovvi rapporti di chiarimento e rassicurazioni di conservazione. I problemi infatti, erano sempre e solo finanziari.

-Ma nel gennaio 1896 iniziarono i lavori con una prevista spesa di 2mila lire circa (direttore A.D’Andrade; vice O.Germano; disegnatore Ferruccio Roseo;  soprastante A.DeMarchi; muratori F.Sicco e G.Costa; manovali G.Barabino, D.Vescogni, E.Bianchetti, P.Pademasi; ponteggiatore E.Navone; scalpellini A.Barabino, F. ed N.Bianchetti, A.Patri)  con assaggi (nella relazione fu scritto ‘asaggi’) di scrostamento e misurazioni idonee a valutare l’antico col vecchio; portarono ben presto a ritrovare –come presunto dal direttore- antiche strutture coperte, in particolare un capitello a stampella e, alla base del campanile nelle murature di riempimento, frammenti di colonnina di una monofora, murature nei pilastri verso il presbiterio e l’abside, rifacimento di gran parte delle lesene romaniche, copertura di abbadini sul tetto.

I lavori comportarono anche ricostruire con nuova muratura gli angoli della base della torre che erano stati distrutti precedentemente in modo da poterne compromettere la staticità.

Gli studi permisero di valutare che in origine la pianta della chiesa era sì a croce commissa triabsidata, ma col transetto obliquo rispetto la nave (come già era al Fossato, ove era stato invece conservato tale) in modo da potersi rilevare una differenza di circa tre metri  tra la vecchia e la nuova chiesa. Questo rilevamento viene considerato “l’atto di ri-nascita ufficiale dell’antico edificio”. Ovvero si restituì alla storia medievale locale quello che per secoli era rimasto sotto insipienti murature ottocentesche, che avevano trasformato –e purtroppo sostanzialmente in forma definitiva- una ecclesia romanica in banale chiesuola di campagna. Un restauro modesto nello spazio, ed esiguo nel rilevamento di tracce secolari, ma fondamentale per la restituzione storica; e condotto con opportunità quando fu deciso non  allargare l’indagine, conservando –vedi la guglia- le strutture in atto.

-Nell’anno 1897 don Brizzolara provvide a cambiare una campana  di 63 kg rotta, rifondendola, presso la fonderia genovese di Luigi Boero fu Benedetto. Per levarla e mettere la nuova, gli fu presentato un conto di 186,75 lire.

-Subito dopo il suo incarico, l’arcivescovo mons. Tommaso marchese Reggio sottopose a tutti i sacerdoti un questionario-sondaggio riassuntivo, da presentarsi all’atto della prossima sacra Visita; e risulta così compilato (riassunto):

“chiese unite di S.Bartolomeo del Fossato e della Costa possedute dall’abbate parroco Giovanni Brizzolara dall’anno 1896 nato in S.Maria di Temossi e dell’età di 57 anni. Specchietto della popolazione di s.Bartolomeo di Promontorio: Fossato 800, Angeli 360, Costa 374, Belvedere 176. DOMANDA I se fu consacrata: presumibile di si per ambedue dai vallombrosani; ambedue tre soli altari; alla Costa spostato il maggiore; a metà del secolo dei lavori iniziati lasciarono la chiesa in stato deplorevole. DOMANDA II se vi è tenuto il ss.Sacramento: essendo vacante dal 1847 al 1893, sBdF fu spogliata dal regio Economato (alcune cose trasferite alla Costa) e non si tenne più  se non alla Costa; DOMANDA III se la chiesa ha tutto il necessario: durante la vacanza, sBdF che fu sempre la principale di questa parrocchia, fu spogliata come sopra. Il rev. Francesco Rivano alla Costa dal 1835 al 1867 che vi era stato messo con atto irregolare e contrario al diritto ed all’uso dei secoli passati avea provvisto la Costa di numerose suppellettili che però in parte si consumarono ed altri furono alienati con poco giudizio dai due economi Andrea Patrone e Giovanni DeNicolini. Rimane ancora sufficiente.  DOMANDA IV fonte battesimale, olio santo, confessionali: nel 1582 alla parrocchia della Costa non c’era ancora il Battistero e fu fatto in seguito alla visita di mons. Bosio in quell’anno. Il Fossato non ha il confessionale. DOMANDA V il cimitero: i defunti non si possono portare in questa chiesa DOMANDA VI dottrina : si fa dottrina ai piccoli, catechismo e vangelo ai grandi. Al Fossato non c’è servizio regolare come vi era sempre stato fino al 1847 anche se è la parte più popolata. DOMANDA VII registri : morti non registrati dal 1887 al 1896-cresimati  solo un giorno del 1793 da mons. Lercari abbate del Fossato-alcuni registri di stato delle anime l’ultimo è del 1896 –non matrimoni civili né ecclesiastici. DOMANDA VIII, oltre l’abbate, c’è un vice curato ed un cappellano all’oratorio degli Angeli. DOMANDA IX, X e XI: i redditi: le due abbazie sono sempre state unite sotto unica cura parrocchiale, ma solo la Costa ha un usufrutto dalla vicaria di 377,57 dal 1818 dall’erario dello Stato ed alcune cappellanie a) £.500/anno da GiulianoCenturione del 1602; b) £. 450 da Giovo Girolamo; c) £. 379,5Cristina Lucrezia Lodovica Bracelli del 1718; d) £. 52 da Lucrezia Bargogli Bracelli del 1678; e) una cappellania Romairone del 1839 affidata al causidico Gariboldo è andata perduta per mal gestione dello stesso. DOMANDA XII i conti= il cassiere scaduto di carica dal 19 luglio 1859 tirava innanzi in modo illegale sprecando il denaro della Chiesa. In regola dal 20.XII.1897 appena lo scrivente prese il governo DOMANDA XIII visite: l’ultima visita fu fatta il 20 novembre 1877 da mons. Boraggini a nome dell’arciv. Salvatore Magnasco DOMANDA XIV succursali:sBdF ebbe sempre cura della Costa. Nella circoscrizione è compreso il convento di Belvedere e l’Oratorio di NSdegli Angeli DOMANDA  XV  scuole: esiste una scuola elementare mista fatta da una maestra maritata; DOMANDA XVI si tengono conferenze? : la parrocchia abbaziale di Promontorio in quanto al governo delle anime soggetta all’arcivescovo di Genova immediatamente, tanto l’abbate parroco come il clero che possa avere in Parrocchia devono prender parte alle conferenze che si fanno nell’episcopio. 

firmato Giovanni Brizzolara il 9 ottobre 1898

NOTE= Nel 1801 mons. Giovanni Lercari primo arcivescovo di Genova che fu anche abbate di sBdPromontorio, eresse a parrocchia il monastero di sBdCertosa, seppur nella circoscrizione comunale di SPdA, togliendo una rilevante zona di competenza. Dal 1847 il beneficio abbaziale-parrocchiale fu lasciato vacante. Nel 1884 nuova parrocchia sMdelleGrazie con ulteriore sottrazione di territorio. Nel febbraio 1893 si volle mettere un economo alla Vicaria della Costa il quale per tre anni si disse parroco e per tale si firmò sempre in tutti i libri (in più rapì alla chiesa 10mila franchi, fece debiti, fece il mestiere dei ladri e degli impostori

-Appena subentrato, don Brizzolara dovette incassare una dichiarazione dell’arcivescovo Tommaso Reggio datata 8 ottobre 1895, in cui di affermava ‘aderendo alle vive  istanze presentate a Noi dal consiglio di Fabbriceria del Santuario di NS di Belvedere,... dichiariamo lo stesso immediatamente soggetto alla Nostra Giurisdizione, togliendolo in pari tempo da quella della Parrocchia di s.Bartolomeo di Promontorio, salvi i diritti di parrocchialità’. Al Custode pro tempore di Belvedere fu dato così il titolo di Rettore, con la giunta del cappino, ma senza cura di anime.

-Parimenti, nel 1898 nasce la parrocchia di san Teodoro, che aggrega a sé una parte del territorio, prima di sBdF.

 addobbi dell’epoca inizi 1900

 

XX sec. -Nel 1902 sul quotidiano ‘Il Cittadino’ comparve un articolo annunciante la ripresa dei lavori di ripristino del tetto (chiesa e canonica. Direttore C.Bertea, soprastante A. DeMarchi, capomastro e fornitore D.Barabino; spesa lire 1400) iniziati nel 1895 col campanile e sospesi per lo ‘stato irregolare in cui si trovava il Beneficio’ ovvero il regio Economato di Torino (in realtà questi lavori sollecitati da don Brizzolara, non rientravano negli ‘studi’ del D’Andrade nel senso che non erano valutati restauri ma riparazioni e non rientravano quindi nella esigua cifra che lui aveva a disposizione e che lo avevano messo nel desiderio di ‘fare un restauro completo...in modo da mettere in evidenza i pregi artistici di quel monumento, del quale ho già allestito un progetto’). Parteciparono: il regio Commissario straordinario di SPd’A conte cav.avv.DeBenedetti Angelo £.1160; municipio di Ge per ‘entro le mura’ £.240, in quantità relativa al numero dei parrocchiani; ministero pubblica istruzione £.500; offerte di privati £.2340; la fabbriceria  con soldi e materiale edile. Il Parroco anelava anche sostituire il pulpito che era in cotto e che fu abbattuto nel 1895, e gli stipiti del portale maggiore. Arriva una campana di 191 chili con ceppo in ghisa e bocce da contrappeso, batacchio di 6 kg.(viaggio e collocazione=totale 665,48 lire; una campanetta vecchia di 35 kg resa  in sconto prezzo).

Il 27 nov. 1908 al parroco vien chiesta partecipazione alla protesta contro il licenziamento del Cappellano dell’Ospedale

-Nel 1905 (sindaco N.Ronco) al parroco vene sottoposta la tassa sui cani; spera esserne esentato per il suo cagnetto chiamato Tripoli, giudicando la canonica casa rurale. Ricorso respinto sia nel 1911 che 1914.

-Il 20 gennaio 1906 il parroco comunicò al D’Andrade di aver ordinato alla ditta Ortelli un pulpito in marmo, in sostituzione di quello precedente che era stato ‘diroccato’ dieci anni prima. Quando fu inviato il DeMarchi a sopralluogo, trovò “la cosa già fatta, forse troppo appoggiata alla lesena in pietra da poco rievidenziata”; ma con orrore constatò che “le parti antiche -sia quelle ritrovate che quelle ricostrutte, quindi -due lesene, i quattro pilastri ed i quattro archi che reggono il campanile- coperti da una tinta vandalica”.  La reazione del D’Andrade fu una lettera al parroco descrivente che l’edificio era pregevole d’arte e di storia, e che in quanto tale, nessuna manomissione poteva essere approvata dal suo Ufficio.

-Il 30 apr.1907 comparve uno stampato a due pagine con stampa dell’abbazia di sBdF e parte della sua storia, firmato da don Brizzolara parroco di sBdF e della Costa di Promontorio

-Il 13 novembre 1907 il “sac.Giovanni Brizzolara abbate Parroco”, rispose alla Curia che chiedeva per pubblicare l’Annuario Ecclesiastico, quali piazze,vie,vicoli e numeri civici appartengono al distretto parrocchiale. Lui risponde in maniera non facilmente comprensibile e con sottolineature non spiegate: “ San Bartolomeo del Fossato – via omonima  - caseggiato Bianchi – confine nuova ferrovia – villa Peverolla o Maibene – fino a tutti i d’intorni dell’abbazia / Piazzetta della Chiesa abbaziale /  q.Costa- Istituto delle Figlie di Sant’Anna colle case coloniche soprastanti sino in cima a salita di san Bartolomeo in prossimità della vicaria della Costa. / Parte superiore di Villa Scassi fino alla Chiesa della Costa fiancheggiata da via Imperiale, o crosa dei disperati. /  Salita SantAntonino – da villa Carrozzino sopra l’ospedale di S.P.d’Arena alla Chiesa vicariale della Costa. /  Dalla Chiesa della Costa al quartiere Crocetta con relativa piazza. /  Quartiere di Belvedere a partire dalle case Monticelli fino al Santuario –continua fino al forte crocetta – Divisione della collina di Belvedere dalle Parrocchie di San Gaetano e Certosa, la strada che dalla Chiesa e Monastero delle Suore della presentazione o San Pietro in Vincoli passa sulla piazza della Chiesa di Belvedere fino al forte Crocetta. /  Via da salita Pietra alla piazza Crocetta, continua al cimitero della Castagna e all’antico cimitero della città di Genova per porta Angeli. /  Quartiere degli Angeli, entro le mura di Genova. / Dal forte Tenaglie alla valletta che discende in via Venezia –mura murateOratorio già annesso all’atterrato convento dei Carmelitani della primitiva  osservaza (sic) – e più per salita Angeli fino al vico che scende in via Venezia, e da ponente fino al vico Buonvicini – presso l’asilo infantile Tollot.

-La chiesa, nel 1910 fu posta sotto tutela e vincolo da parte della Soprintendenza alle Belle Arti (oggi, ‘per i beni architettonici e per il paesaggio della Liguria’).

-il 14 sett. 1913 alcuni fanciulli nel terreno davanti all’entrata, rinvennero uno scheletro umano di antica sepoltura, recante al collo una medaglia (fatta a cuore con scrittura illeggibile, sormontato da grossa croce con cricifisso) la cui unica coniazione vien fatta risalire tra il 1384-1430.

-Nel 1913 il parroco fece di sua necessità e a maggior comodo del campanaro,  riaprire il passaggio per il campanile. Era stato chiuso  nei restauri del 1895 dal D’Andrade il quale molto si irritò per questa iniziativa facendogli scrivere  “quelli che han trovato i denari per guastare devono trovare ora quelli per correggere il male fatto, e non basta che i responsabili dicano che faranno, ma dovranno farlo sotto sorveglianza nostra perché dobbiamo essere garantiti che il monumento non abbia a soffrire danni da lavori mal fatti”.

-Nel 1916 furono don Brizzolara e la Fabbriceria a chiedere al vescovo, mons. Lodovico Gavotti, di precisare i confini parrocchiali riscontrandoli scorretti, sottolineando che mai erano stati definiti d’ufficio e lasciati fino ad allora a ’memoria d’uomo’. Allo scopo sottolineava che a nord-ovest era salita al forte Crocetta che limitativa il territorio con tutte le case a destra, fino al casotto del dazio; ad accezione del civ.15 di proprietà Sciaccaluga (di competenza di Certosa). A nord est, il territorio comprendendo incluso dal forte Tenaglia era confine sino a metà salita degli Angeli (a nord ed a destra salendo, di via (allora vicolo) Bonvicini che sbocca sulle mura). A sud est –io credo sia stata via DeMarini che facesse confine in quanto vengono citati punti di riferimento a me sconosciuti, e quindi trascrivo letteralmente: “a sud, dai piedi delle mura proseguendo verso ponente,  comprende la casa colonica e la villa detta ‘Maiben’ (presumo la villa Pallavicini di vico Cibeo), allora della signora Aurelia Carlevaro vedova  Montarsolo, fino al confine della proprietà dell’avv. Tito Augusto Pizzardi ed eredi, e quindi proseguendo in linea retta comprende  l’ex proprietà dell’istituto delle Figlie di sant’Anna, tutto il ‘nuovo Ospedale di San Pier d’Arena’ fino a raggiungere la proprietà Bertorello, già ‘Carrossini o Carozini’ (nella cui proprietà furono costruite delle case sia a destra che (due) a sinistra del corso dei Colli) inclusivamente fino all’incontro del corso dei Colli. Da qui il confine prosegue lungo detto corso verso sud,  sino all’incontro della salita Belvedere (punto estremo a sud ovest), e quindi per la salita stessa -il territorio a levante- fino al forte Crocetta”.  Le proteste del sacerdote e della fabbriceria, si riferivano al fatto che secondo questo itinerario, a Promontorio sarebbe dovuto comprendere la villa Sciaccaluga, i territori a levante di corso dei Colli (e quindi anche le Pietrine, che invece appartenevano a san Gaetano), e tutto il nord di corso dei Colli (a partire dal cancello della proprietà già Carozini, mentre invece due ville costruite a sinistra del corso erano state benedette da s.Gaetano).

-L’abate morì ai primi di luglio1918, appena finita la grande guerra e nel periodo di recessione economica nazionale;  fu sepolto a Temossi.

 Nel 1920 in seguito a concorso, fu nominato abbate Parodi Angelo, il quale  si trovò, in virtù del precedente parroco, sia il titolo abbaziale che l’assoluta indipendenza dalla abbazia sottostante di sBdF; ma una abbastanza disastrosa condizione strutturale che perdurò per un cinquantennio e più: tentò la strada delle suppliche sia con gli addetti alla conservazione dei monumenti (che lui giudicava inadempienti anche se interessati, causa il governo centrale instabile ed indebitato; anche l’interessamento del prof Vernazza fu inefficiente), sia con il sindaco (che a parer suo era disinteressato perché socialista e quindi ‘interessato ai trionfi di Lenin’). Ottenne una visita dell’arcivescovo Signori nel 1922 (il quale avendo forse già in mente di scorporare le parrocchie di san Bartolomeo (del Fossato e della Costa) ed avendo avuto sensazione di maggior capacità, aveva promesso a don Gazzolo -curato alle Grazie- di divenire partecipe del ricupero dell’abbazia); ma ne nacque un poco edificante equivoco tra il parroco don Parodi, e don Gazzolo il quale - un bel pò esorbitando il suo incarico (curato alle dipendenze del parroco con il precipuo incarico di trovare i fondi per il restauro e, come soddisfazione, avere l’incarico del catechismo ai ragazzi) - si mosse come se il parroco fosse lui creando una diatriba di incarico parocchiale durata a lungo con animi avvelenati e rancorosi. Comunque fu fatto il restauro e l’anno dopo  si riebbe una visita pastorale.

-Nel 1934, vent’anni dopo la morte di D’Andrade, si completò la liberazione delle parti antiche, scrostando l’intonaco che le nascondeva e caratterizzandole con un “impasto diluito di piombaggine commista a cemento, dato a spugna”.

-Nell’aprile 1942-XX, per esigenze di guerra, il generale di brigata M.Grosso ordinò il sequestro delle 5 campane (valutate 1599 kg) per il ricupero del bronzo (non tutte, la legge ordinava il 50-60% in peso esistente sul campanile; così infatti ne rimossero per kg. 960)

-Il 10 giu.1955 l’abbazia di  san B.del Fossato venne creata  parrocchia  autonoma, con un territorio di competenza interamente ed esclusivamente stralciato dalle parrocchie limitrofe ed affidata a don Angelo Lagomarsino.

   Don Angelo Parodi presentò atto di rinuncia di titolare della Costa, dal 1 settembre dello stesso anno. La Curia nominò dalla stesa data  titolare don Camillo Cavo (Parroco del nosocomio della ‘Doria’ vulgo ricovero di Mendicità; arciv. mons. Siri G.).

Il cerimoniale dell’investitura prevede che il delegato arcivescovile legga l’atto di delegazione ed introduce il Novello all’altare maggiore per baciare la mensa; poi al coro dove sono custoditi i sacri olii (sic), al confessionale, al battistero, al campanile, al pulpito da dove il nuovo parroco si rivolge ai fedeli; poi ancora alla sacrestia ed all’archivio per i registri parrocchiali. Nell’attesa di espletare la burocrazia  fu dato incarico ad un reggente, amministratore interino, sac. Felice Grasso. All’atto fu fatto un accertamento patrimoniale ed economico (riassunto): “il benefico parrocchiale nulla possiede avente pregio artistico o storico né possiede arredi o suppellettili sacre. Lo stato patrimoniale risulta ATTIVO= casa canonica (2 piani, 10 vani, assicurata contro incendio); appezzam. terreno (orto); rendita (buoni al 3,5% per £. 2065) ; canone(£.5,6 di bosco detto “Riavatta” in Monterotondo non pìù pagato dal 1920). A parte don Parodi stilò con la Fabbriceria una distinta degli oggetti sacri e delle offerte in preziosi a NS della Salute ed a NS del Rosario. PASSIVO= imposta fabbricati; assicurazione”. 

--Il 12 sett 1956 il card. mons. Siri costituì (entrò in vigore il 23 dic successivo) una nuova parrocchia nella neo eretta chiesa di Santa Maria della Vittoria, con i segg. confini: “partendo dall’incontro di via s.Bartolomeo del F. colle mura degli Angeli, il confine della nuova parrocchia prosegue lungo la parte dello strapiombo che sovrasta il piazzale della camionale e la zona della Chiappella fino a raggiungere il fondo della valletta che sta a sud di via Melegari. Ad est confine con s.Teodoro (descrizione); a nord tutto il territorio –tanto di s.Teodoro quanto di Promontorio- viene assegnato alla nuova parrocchia sino al limite indicato dalla Porta degli Angeli, col quale resta fissato il confine a sud della parrocchia di sBdP. Ma all’abate Cavo le cose non dovettero avere facile sviluppo per motivi di salute aggravatesi fino al decesso. 

-5 giorni dopo la morte del predecessore, il giorno 11.6.1961 al  rettorato la chiesa venne chiamato priore-parroco  don Lagomarsino Angelo Aldo, proveniente da Teriasca. Già conosceva i problemi parrocchiali, specie quelli ‘colorati’(così li chiama mons. Siri, che fa cenno, prima a “ho ringraziato Dio quando se ne sono andati gli indigesti occupanti della canonica” (una famiglia che vi risiedeva dal 1940 e che risultava ‘tutt’altro che raccomandabile’: non sappiamo chi furono); poi fa un riferimento ai tempi prima di don Cavo –e quindi di don Parodi- definendoli ‘ineccepibili ma piuttosto statici e lunghissimi’). Si rese subito conto della necessità di lavori urgenti di riparazione tetto e riordino archivio. Una sua relazione nello stesso anno descrive la presenza di 400 parrocchiani, più 200 della Batteria dehgli Angeli (meridionali) e di v.Porta Murata che però gravitano fuori; frequenza alla messa festiva di 75-95 circa, 3-5 feriale; 2-3 comunioni; 6 iscritti agli uomini cattolici e 7 donne; 4 della s.Vincenzo.

-Nel 1962 la Chiesa parrocchiale viene autorizzata dal Prefetto all’acquisto per 900mila lire di un terreno prospiciente il piazzale destinato a costruzioni di locali per le opere parrocchiali (ma non viene specificato quale terreno).

-Avvenne nel gen.1973, la nomina ad abate-parroco del 46enne sac. G.B.Ramella, mantovano di Asola ma genovese di adozione, che trovò il momento favorevole e riportò  la chiesuola ai fasti dovuti, sensibilizzando la autorità, provvedendo a restauri di nuovo radicali ma necessari per correggere le numerose precarietà che nel tempo si erano impadronite delle strutture. Tra le tante novità apportate ci fu la creazione di un gruppo “Amici dell’Abbazia” (tra i quali figurano nomi di spicco nell’ambito degli artisti, come Lippi Luigi, Piastra Oreste, DiGiuseppe Giacomo, Gaeta Flaviano, Molinari Carlo e furono promotori della riparazione del portale che minacciava di precipitare addosso a chi entrava).

Per questi ed altri meriti, nel giu.1989 il sacerdote fu insignito dal Capo dello Stato F.Cossiga del titolo di Cavaliere nell’Ordine al merito della Repubblica. Morì dopo lunga e debilitante malattia diabetica nel suo paese d’origine, nei primi giorni dell’agosto 2003; ed il funerale celebrato il 6 nella chiesa di Cortecavachiello in san Pietro. Aveva diacono permanente don Oreda Nazareno. Gestiva la parrocchia di 1500 anime comprendente nel territorio la cappella del cimitero della Castagna e l’Oratorio di NS del Rosario (della Confraternita omonima).

 

XXI sec. Nello stesso anno 2003, per breve periodo fu affidata a don Molinari Walter, parroco ufficiale a Belvedere, ma che fu allontanato dopo poco più di un anno dalla Curia per comportamento non consono alla carica in atto (si dice problemi di omosessualità).

Nel 2004 è incaricato della missione il giovane don Novara Mario che gestisce ed abita nella parrocchia di NS di Belvedere.

Dal 200_ è gestita da don _

Anticamente l’abbazia era uso chiamarla ‘la chiesa di chi vuole voler bene’ o, ‘dei fidanzatini’ essendo mèta di passeggiate religioso-affettive . La domenica, quando non esistevano i mezzi di trasporto personalizzati, era primo traguardo di scampagnate, di comitive e famiglie che andavano a passare le festività all’aperto.


                                                     

STRUTTURE  


ESTERNO

=il sagrato ed il piazzale adiacente, rifatti con i ciottoli  (chiamati “risseu”), fu ampliato dalla fabbriceria con 350 mq acquistati nel 1932; e fu restaurato nel  sett.1990. Ha ospitato mostre di quadri organizzate dai “pittori amici dell’Abbazia”. Tra essi sono da ricordare tele di C.Molinari, L.Lippi, D.Meola, O.Piastra, F.Torre.

 L’orientamento della chiesa è Ovest→Est. L’edificio aggiunto, adibito a canonica, posizionato a L rispetto la chiesa, indirizzato nord-sud, già compare nella carta vinzoniana del 1757.

Sul sagrato si apre anche l’Oratorio: ampo vano rettangolare. Nel 2008 era usato come deposito di materiale sacro e sede della Confraternita.

 

ingresso al sagrato                                         ingresso Oratorio

 =La facciata ottocentesca, semplice e dimessa, a capanna con la parte centrale lievemente aggettante e  sulla quale si apre –con stipiti marmorei- l’ingresso principale rettangolare corrispondente alla navata centrale, sormontato sia da una lapide che ricorda “VENERABILIS . VICARIA / ABBATIAE CURATAE S. BARTHOLOMAEI DE FOSSATO / PROMONTORII / TERTIO . RESTAURATA . ANNO REPARATAE SALUTIS . MCMXIV “;   e sia da un emi-rosone a lunetta con vetri colorati (al centro di essa, in un cerchio, l’immagine del volto della Madonna). Ai lati dell’ingresso, in corrispondenza delle due navate laterali interne, due finestre rettangolari laterali munite di griglia sbarre,  che la rendono tripartita. Sotto la finestra di sinistra c’è una porticina che offre accesso supplettivo alla navata sinistra.

   

                                                       lunotto facciata anteriore

 

 

=I Lati esterni:

a)-quello sinistro, a nord; appare composto da due caseggiati, diversi in altezza: più basso quello ad occidente e corrispondente alla chiesa attuale; più alto quello a levante che appare aggiunto; separati tra loro da un  metro e più di muro a nudo fatto con massi sovrapposti di pietre di Promontorio, risalente alla vecchia chiesa duecentesca. Nel primo si apre una finestra a cupola, posizionata pressoché in corrispondenza del campanile; nel secondo ci sono una porticina in basso ed una finestra rettangolare sopra.

Una fessura nel muro, viene usata come estemporanea nicchia votiva. Al confine di levante della facciata, una lapide non ufficiale dice: Piazza della Chiesa.

-b) quello di destra, a mare è visibile per pochi metri solamente essendovi addossati l’edificio della canonica (sacrestia nuova ed abitazione).

 

=Le sacrestie, sono due: una –l’attuale in uso- è una piccola stanza alla quale si accede sia dalla chiesa (sia da porticina retro altare, e sia da porticina posta a metà della facciata lat.esterna della navata di destra)   e sia dall’ingresso proprio, a fianco della chiesa.. Da questa stanzetta, si accede: a destra alla scala che porta al piano superiore, all’abitazione del sacerdote; invece diritto, si passa ad altra stanzetta dietro l’abside di sinistra (si vede bene a nudo il muro rotondo fatto con pietre nere) e per terra una grossa lapide funeraria; questa stanza, a sua volta, ha due porte: una per entrare in chiesa a livello del coro dietro l’altare maggiare, l’altra per entrare nella sacrestia vera e propria, antica, attualmente adibita a deposito di materiali.

In questa seconda, affisse al muro ci sono due lapidi (Romairone e un restauro) e, sul muro con due finestre, una pietra nera intarsiata, di circa 1m².  

Pietra nera intarsiata                    Lapide Romairone

=La canonica affiancata è sede della sacrestia ed al piano superiore dell’abitazione del sacerdote ed è descritta sopra. Forse anticamente era adibita a orto o chiostro del convento,

=Il campanile  assieme ad alcune parti della volta, è l’unico superstite della struttura romanica originaria. Permane la forma piramidale ottagonale (come san Donato a Genova, dell’XI secolo). Si eleva al centro della chiesa, su solide basi con raccordi a cuffie sulla crociera centrale del transetto e le nicchie a fornice di coronamento esterno all’abside maggiore (tutti elementi di derivazione lombarda): due archi obliqui raccordano l’esagono che serve da cella ed è coperto da una piramide ottagonale di mattoni, risalenti al 1200. Rappresenta una svolta nella tecnica architettonica che prepara la cupola di san Pietro: la volta rotonda su base  di quattro pilastri.

  

                                  

Inizialmente di sole due campane; nel 1837 divennero tre (Remondini dice che c’era anche un orologio); nel 1894 ne fu aggiunta una quarta.

Fu restaurato agli inizi del secolo 1900 dall’arch. -ed archeologo- comm. D’Andrade Alfredo.

Laddove emerge dal tetto, fu fatto un basamento in pietre squadrate, anche per proteggerlo dal vento particolarmente violento in determinate occasioni.

Nella notte tra l’8-9 giu.1979, fu colpito da un fulmine, rimanendo danneggiato nella staticità della cuspide. Fu così ancora restaurato nel 1983, con il concorso della Comunità di Promontorio e di un gruppo di pittori che con il ricavato della mostra diedero inizio al restauro cui parteciparono poi tutti gli enti responsabili.

 

Così, con l’intervento di molti, ed in molti anni, l’aspetto generale non è più quello originale della chiesa romanica; mutata profondamente nella sua fisionomia, ha i tratti apparenti di una normale chiesa di paese.  Le critiche sono molto severe; le ristrutturazioni interne, i corpi abitativi aggiunti, la torre modificata: sono motivi ricorrenti per classificare l’edificio quale ‘secondario’, ‘esempio di chiesa minore’; non privo di significato nello studio dell’architettura medievale, ma irrimediabilmente turbato nell’aspetto primitivo, solitario, di remoto monumento.

 

INTERNO

Dopo i vari restauri, solo alcuni muri della volta rivelano la tipica struttura duecentesca romanica, contribuendo a definire l’origine medievale (in particolare

==le due absidi degli altari minori;

==i quattro poderosi pilastri che sostengono il tiburio con in parte le relative arcate ed i loro capitelli, che però furono scalpellati nel ‘700 per l’intonacatura; ed infine la torre nolare); e guardando dal fondo della chiesa verso l’altare,

==i due archi della volta danno la sensazione ottica definita “inclinato capite” cioè di inclinazione verso l’altare maggiore, dovuta al transetto volutamente costruito fuori squadra.

È divisa in tre navate da pilastri rettangolari (il cui interno è di pietre e mattoni di nessun interesse storico), ed alle quali –nelle ristrutturazioni- sono addossate delle lesene.

Descriviamo separatamente le strutture fisse dagli arredi mobili (soggetti a spostamenti a seconda delle necessità parrocchiali).

 

NAVATA SINISTRA,  inizia con una porticina che si apre sulla facciata principale, sormontata dalla finestra chiusa da grata.  Nell’angolo estremo di sinista dell’ingresso, un modesto battistero. Tutta la navata ha la volta è a botte. La facciata è liscia e non ha arredi fissi. Orientata a levante termina con l’abside duecentesco fatto di pietra di Promontorio

                                       

abside della navata sinistra                           navata centrale ed altare maggiore               

                                          

NAVATA CENTRALE corrisponde all’entrata principale: alla destra di quest’ultima, nella controfacciata è stata messa in evidenza una nicchia di trenta cm³, nella quale nel 2009 è riposta una statuetta della Madonna con Bambino. Nella facciata interna dei pilastri, nel 2008 sono stati messi in evidenza delle decorazioni, firmate con tanto di stemma e sigla BC, di –dicono- relativamente scarsa importanza estetica.

 

stemma Centurione              sostegno campanile

Prima di concludersi ci sono: a terra una lapide sepolcrale relativa all’arcivescovo D’Andrade; in alto un transetto –con volta a cupola- limitato dalle 4 colonne duecentesche che sorreggono il campanile.

  

sepolcro D’Andrade                          nicchia di antico tabernacolo            nicchia destra        

 

-al lato sinistro, quasi a terra, un piccolo moderno pulpito

-nell’antico muro di sostegno dell’abside, grosse pietre scalpellate di marmo nero di Promontorio sostengono la base del campanile. Nel muro c’è una nicchia rettangolare scolpita nella pietra: era il tabernacolo aperto,  con l’eucaristia esposta costantemente alla preghiera dei fedeli, finché con l’eresia del giansenismo divenne obbligo chiuderla, in genere sull’altare; in altra opposta, si posava la Bibbia o il Vangelo.

-l’abside centrale, al quale fu tolta la balaustra, ha al centro l’altare (vedi arredi mobili)

-ai due lati due grossi quadri di reliquari (vedi arredi mobili)

-dietro l’altare maggiore, ci sono-

--a destra una porta che conduce nella stanza retro-abside di destra di pietre nere, e –da essa- alla vecchia sacrestia.

--a sinistra una porta conduce in una stanza sottolivellata, usata come deposito di materiale sacro, e nella quale si nota il retro-abside di sinistra fatto in pietre di Promontorio. Il soffitto è molto assai precario perché le travi di legno appaiono marcite completamente.

 

retro abside sinistro                                  retro abside destro

--un organo di costruzione recente, appoggiato al retro altare

 l’organo sopra l’ingresso

--un coro ligneo, con pavimento altrettanto ligneo; come l’organo, nel 2009 ambedue abbastanza trascurati.

 

NAVATA DESTRA

-nella controfacciata c’è la finestra

-nella parete laterale esterna, a metà circa, c’è la porticina per andare nella sacrestia, sormontata da finestruola con grata in ferro (come se desse adito ad un posto di osservazione e partecipazione alla Messa di una monaca di clausura).

Durante i resturi dell’anno 2007, sulla parete esterna è stato evidenziato un affresco che sino ad allora esisteva coperto; un san Giovanni Gualberto sul cui cartiglio sta scritto “ecce ego obducam eis cicatricem et? curabo eos. Jer.cn?”

-nella parte interna dei pilastri che separano la navata da quella centrale, sono stati messi in evidenza due grosse nicchie-camminamenti a salire, con gradini, (che partendo da una certa altezza, richiedevano iniziare da metà navata), i quali probabilmente portavano ad altrettanti pulpiti attualmente scomparsi.

  

abside navata destra                   primitivo  accesso al pulpito

con Madonna Salute                  accessibile dalla navata di destra

 

-il soffitto ha la volta a due crociere con archi di valico

 

Alcune lapidi tombali, ricordano Tito Straffarello e Carlotta Vigo, deceduti nel 1834 rispettivamente a 32 e 24 anni ; ma altre sono datate del 1825 e 1826.

 

ARREDI   Normalmente posizionata lungo la parete del fianco a nord colpisce subito l’attenzione, appoggiata a terra, una bella statua lignea della Madonna del Rosario, opera attribuita alla scuola di Anton Maria Maragliano (ma non risulta nel libro specifico); fu restaurata nel 1987 dal Lions Club di San Pier d’Arena sensibilizzati dall’abate Ramella; appartiene alla Confraternita. Pare fosse contornata da 15 quadretti con i misteri del Rosario, ma evidentemente furono rimossi o sottratti. Poco oltre il labaro della Confraternita.  

Nel 1989 don Ramella aveva posto nella navata, vari dipinti di autori recenti, forse in seguito ad un tentativo di instaurare una giornata annuale tradizionale col tema pittura-abbazia; in realtà sono poco consoni alle vestigia dell’abbazia che ha sì perduto l’autorevolezza dello stile romanico iniziale, ma neanche ha la veste di chiesa moderna; neppure accettabili sono le vetrate policrome moderne fatte applicare dallo stesso sacerdote.  Così a sinistra c’era un grande dipinto del santo titolare, opera del concittadino Carlo Molinari  (rappresenta il martirio del santo Bartolomeo, uno dei dodici apostoli che scelse andare a predicare in oriente e si tramanda fu martirizzato scorticato vivo; questi è illuminato dall’alto come in aureola, e in primo piano si intravedono le oscure figure dei suoi carnefici, uno dei quali appare come sbigottito di fronte all’orrore di quello che sta compiendo). Un’altra tela dello stesso autore, raffigurante san Giovanni Gualberto, contitolare dell’abbazia, e promosso da Paolo VI patrono del Corpo Forestale perché promotore della silvicultura e forestazione: per questo motivo, le Guardie Forestali salgono annualmente al tempio per onorarne la memoria, fu ospitata e  consacrata dal dic.1990;  la venerazione di san Gualberto nacque nel 1973 in occasione del nono  centenario della sua morte: fu benedetta una copia su legno, di una antica stampa conservata a Vallombrosa, e raffigurante il Santo in ginocchio su cui appare un crocefisso che lo invita a fondare il monastero.  Altro olio, di m.1,5x2, raffigurante san Benedetto da Norcia, opera della concittadina Lia Meini Volta, fu donato nel 1994; ed uno raffigurante il Battesimo di Gesù, di Enrica Rosso, donato 1996.

Nell’abside della navata sinistra, è ospitata una seconda Madonna del Rosario lignea, policroma, di minori proporzioni ed un poco meno curata della precedente. Sotto l’altare una grossa teca conserva il calco in gesso di un ‘Cristo morto

Il basso pulpito è del 1906, in marmo scolpito da Ortelli F.

      

pulpito                                Madonna, con dietro il labaro   Madonna del Rosario   reliquario (partic)

Ai lati due ampi reliquiari  lignei sottolineano il culto di esse particolarmente coltivato dai vallombrosani.

 

In un rinnovamento a più ampio respiro, fu tolta la balaustra -sostituita da lastre di marmo della ditta concittadina Grasso-; e restaurando tutta l’abside (lavoro dell’impresa Pruzzo di Fumeri); sostituito un finestrone con una vetrata colorata rappresentata stilizzata una croce (opera del parrocchiano Renzo Norma, e dono dei coniugi Pietro e Gianna Ciampi). 

L’altare centrale è vincolato dalla Sovrintendenza alle Belle Arti. Quando occorse ottemperare al requisito di essere rivolto ai fedeli (come dettato dalla riforma del Concilio Vaticano II), con l’offerta dei fratelli Balbi e su disegno ed opera dello scultore Airaldi G.B., fu dedicato un nuovo altare (a forma di trittico in bronzo patinato d’oro, con al centro il riquadro con l’immagine di Gesù che porta l’ostia quale pane di vita religiosa; a sinistra l’incoronazione di M.Vergine ed a destra l’Annunciazione ambedue quali elementi di raccordo col tema della devozione alla Madonna che in particolare si è curato nella abbazia).  

 

anno 2009    altare maggiore                              un reliquiario

L’altare all’apice della navata destra -già ricostruito nel 1837 e dedicato a san Michele la cui tela presente in chiesa dal 1749, è scomparsa- è invece dedicato a N.Signora della Salute (“salus infirmorum”) sopra descritta: il quadro originale fu rubato nel 1997 circa, e fu ritrovato dalle autorità alla stazione di Brignole, pronto per essere trafugato definitivamente dalla chiesa.

Dal 1837, sull’orchestra in fondo della chiesa e sopra l’ingresso, c’è un organo opera dei fratelli Agati di Pistoia.

Vengono descritti l’esistenza di un ‘Crocifisso’ ligneo, di stile spagnolo; di un quadro di  ‘san Bernardo’; una tela cinquecentesca della ‘Sacra Famiglia’ scomparsa; altra tela di un ‘san Bartolomeo tra due santi’ gravemente danneggiata

Una caratteristica è rappresentata dal presepe natalizio, tradizione nata nel 1996 a cura del Gruppo Amici del Presepe di San Pier d’Arena che proposero ricreando l’ambiente sampierdarenese: sullo sfondo la collina e l’abbazia di Promontorio; al centro le principali ville, crose e case con i tetti di ardesia, sacre edicole e negozi con personaggi dediti ad antichi mestieri; in primo piano la spiaggia con la Lanterna e la Natività.  

   presepe anno 2000  

L’archivio parrocchiale, che inizia dal 1700 circa, è ricco di denunce di mortalità neonatale ed infantile; e per fortuna anche di matrimoni. É conservato in uno studiolo al piano superiore dove è l’abitazione del sacerdote

   L’elenco dei priori cita - degli Abati dei monaci Vallombrosani : Antonio, 1138 ; Giovanni, 1157 ; Geremia, 1197 ; Manfredo, 1216 ; Ansaldo, 1224 ; Enrico, 1252; GiacomoI° ,1252; Giacomo II°, 1266; Benvenuto, 1276 ; Lorenzo, 1286; Bartolomeo, 1302; Ogerio, 1305; Matteo da Perugina, 1332; Bartolomeo, 1384; Bartolomeo da Cogoleto, 1414; Lazzaro Lipoma, 1442

—ai quali seguono prima gli abati commendatari : Urbano Fieschi, 1484; Matteo, 1487; Ilario Gentile, 1502; Tomaso Dinegro, 1510; Giacomo Dinegro, 1539 ; Tomasino Dinegro, 1572;  Nicolò Dinegro, 1572; GB Lomellini,1577; Benedetto Giustiniani card, 1558; Vincenzo Giustiniani,1621; Giacomo Pastori, 1632 ; Bartolomeo Pensa, 1635 ;  Vincenzo Giustiniani, 1648; Carbonara Francesco, 1669; Antonio Ratti, 1673; Carlo Demarini, card., 1722; Giorgio Doria. 1747; Nicolò Lercari 1749; Giovanni Lercari, 1759; Giuseppe Spina, card., 1805; Vincenzo Virenti, 1829; Placido Tadini, card., 1832; Francesco Rivano, 1844 .

-- poi l’elenco dei rettori:

anno 1604 DeFerrari Agostino ; 1634-57 Boiga Gio.Bartolomeo ; 1658-99 Cosmello Carlo Antonio (proveniente da Montaldo d’Acqui dove era da 14 anni) ; 1700-40 Bacigalupo Gio.Girolamo ; 1741-82 Grondona Costantino o Costanzo (sampierdarenese; morì a 73 anni) ; 1783-6 Canepa Filippo Ambrogio (traslocato da Morazzana) ; 1786-90 Vaccarezza Luigi ; 1790-1800 Monteverde Giovanni ; 1801-5 Grondona Pietro ; 1805-7 Grasso Bernardo ; 1807-24 Schiaffino Nicolò (che vi morì); 1824-6 Schiaffino Antonio ; 1827-31 Iliano Giuseppe David; 1832-5 Olcese Onorato; 1835-68 Rivano Francesco ; 1868-88 Patrone Andrea ; 1888-92 Revello Carlo ; 1893 DeNicolini Giovanni ;  

--infine gli abati parroci: 1893 Giovanni Brizzolara; 1919 Parodi Angelo;  1955 Cavo Camillo; 1961 Lagomarsino Angelo;  1973 Ramella GB ;  2003 Molinari Walter; 2004 Novara Mario

 

La Confraternita del Santo Rosario –fino ad oggi sopravvissuta al diminuito impegno dei fedeli di Sampierdarena-,  ricca del tradizionale gonfalone e delle ricamate mantelline, delle cappe, dei meravigliosi pastorali, e  -per la processione- delle due statue della Madonna e di due Cristi tardo settecenteschi, di cui uno detto “bianco”, della scuola del Maragliano, ricollocato in sede dopo restauro nel 1980; e l’altro “moro”, donato dalla famiglia Frasinetti; ambedue  particolarmente preziosi sia per le dimensioni che per gli intagli, tutto a gloria e simboli del recente passato: sino a pochi anni fa era un vanto dimostrare la forza di sostenere e mantenere in equilibrio -specie in giornate ventose- i 120 chili e più di quei legni; oggi è difficile trovare i giovani che si dedichino e si impratichiscano in tale arte.

      

la Confraternita in processione                         modulo per iscrizione

     

Cristo bianco                             Cristo nero                            Gonfalone

 

***Vedi i “capitoli.doc” della neonata confraternita del s.Rosario in Promontorio, del 1734, nel file “nuova cartella”, da riportare qui****.

 

 BIBLIOGRAFIA 

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-Archivio Parrocchiale di Promontorio

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica -  scheda 3727

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-DiFabio C.-Medioevo restaurato-Genova rivista comunale.1984-pag.71

-Gazzettino S : 2/73.2  +  8/73.5  +  1/74.10  +  2/74.5  +  7/74.4  +  7/80.6  +  5/81.4  +  9/82.9  + 1/84.4  +  7/84.7  +  1/85.5  +  7/85.2  +  2/86.6  +   8/86.7  +  1/89.10  +  5/89.4  +  9/89.22  +  1/90.14  +  2/91.4  +  4/94.6  +  1/95.3  +   3/95.2  +  8/95.7  +   1/98.3  + 

-Genova  rivista del Comune- 7/57.26  +

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-Remondini A-Parrocchie dell’Arch.di Ge.-Tip.Lett.Catt.-1882-pag.141

-Roscelli D.-Nicolò Barabino-soc.Universale.1982-pag.148

-Salvestrini F.-I Vallombrosani in Liguria-Viella 2010-pag.161

-Tuvo T.-SanPierd’Arena come eravamo-Mondani.1983-pag.120.132 –-----Tuvo&Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag.49.168

-Ubertis L-Uomini,uomini di fede e santi a Genova-Fassicomo-1987


PROMONTORIO:    -salita Promontorio da via sant’Antonio all’incontro con via alla chiesa                                                                                                                                                                    

                                   -piazza Promontorio da corso dei colli a via Porta Angeli

                                   -via alla Chiesa di  Promontorio da pza  all’incontro con salita

                                   -via alla Chiesa di Promontorio e fossato di san

                                                      Bartolomeo : dalla salita P. all’incontro con vico Imperiale

 

 

Questi nomi, di origine ed uso popolare, furono sanciti dal municipio di San Pier d’Arena nell’anno 1900 con delibera che definiva i nomi, e con applicazione - dal genn.1901 - delle targhe in marmo per opera dell’impresa Calvi-Rebora-Barabino.

Tale decisione permase sino alla modifica, approvata circa nell’anno  1926 con il cambio di tutti i  nomi.

 

===la SALITA:  corrisponde all’attuale salita Salvator Rosa.

Di una ampia fascia di terreno posta in alto ed  a ponente della salita, si possiede la lunga cronologia causa una vertenza giuridica condotta da don Brizzolara parroco di Promontorio che ritrovò i vari documenti di possesso.

==il 18.5.1683  in enfiteusi le “villa, macerie e peschiera sulla Costa di Promontorio” (posti ad est con la strada pubblica, ad ovest col fossato, a tramontana con eredi Locatti(?) ed a sud col mag.co Ottaviano Imperiale) furono dati in affitto da Franco Maria Imperiale q. GioGiacomo, a GioMaria Firpo q. Antonio. ==Finita questa locazione, il 15.8.1707 lo stesso FrancoMaria affittò per tre generazioni al sig. Antonio Negrone q. Ambrogio (e ne usufruì il figlio Ambrogio). ==Finita anche questa, il 7 aprile 1767 da Placido Imperiale di sAngelo q.Giulio q. FrancoMaria fu consegnata (“venduto il dominio utile”) a Giovanni Merello q GB anche a lui per tre generazioni (ne usufruirono la figlia  MariaTommasina moglie di GioFranco Rollero ed il nipote Giuseppe che estinse i Merello nel 1810).

==Da questi, il 14 aprile 1810  passò prima a Narizzano Nicolò fu Stefano ==poi il 12 settembre 1823 a Viotti Tomaso fu Dom.co sempre con l’onere di pagare ancora un canone annuo agli Imperiale. Da esso –non specificato quando- entrò in possesso della

==Romairone Antonietta fu Franco e fu Gnecco Paula. Il 25 febbraio 1839 faceva testamento, che morendo 62enne il 10 gennaio dell’anno dopo in Promontorio divenne esecutivo, lasciando ad un avvocato esecutore testamentario Garibaldo GB delle precise volontà, ‘ne varietur’: “ A) essere sepolta in Oregina; B) mi saranno fatti due funerali, cioè, uno nella parrocchia ove morirò con 24 torcie di Libbre Cinque ciascuna al feretro, Ventiquattro Candele di una libbra ciascuna all’Altare maggiore, e quattro Candele di una Libbra ciascuna ad ognuno degli altri Altari, ed altre cere solite; ed eguale dove verrò sepolta”; C) mille messe lette secondo la mia intenzione coll’elemosina di lire una e centesimi sessanta per ciascuna Messa; D)  omissis, per oggetti a varie persone, parenti e servitù tra cui la villa sottodescritta alla cameriera Pittaluga Francesca vedova Pirandello ed una casa al servitore GB Pirandello finché vivevano); E) una Cappellania laicale -gestita dai Fabbricieri, dai vari parroci cappellani di Promontorio e dall’esecutore Garibaldo, collettivamente- per celebrare una  messa quotidianamente anche a comodo della popolazione e per far scuola gratis nei giorni feriali ad otto ragazzi maschij (sic) di detto luogo di Promontorio. Quest’ultima cappellania proveniva dall’usufrutto di due lotti di terreno “siti in salita Promontorio confinanti ad est con la salita stessa: il 1°) composto di “al civ.15, villa  fruttiva, olivata, vignata e seminativa con due case di affitto con i civv. 11.12.13, con terreno a ponente sino al fossato, a nord con dott. Canevaro ed a sud con secondo lotto; il 2°) al civ. 9 villa fruttiva, olivata, vignata e seminativa con casa colonica confinante a ponente col fossato ed a sud con la salita Promontorio e proprietà Carossino Alessandro”.

   L’ eredità della Romairone subì complicazioni legali:

  = nel 1853 in Tribunale tale signora Giuditta Gnecco q.Emanuele e vedova di Pietro Gnecco, presentò un documento del 26 aprile 1841 aver avuto in dono dalla duchessa donna Carolina Imperiale figlia del fu principe d.Giulio autorizzata dal marito duca GB Capece Pisicelli e residenti a Napoli, attestante il pieno dominio della villa con casa in Promontorio.

    = nel 1866, ripetute nel 1869, sopravvennero delle leggi di soppressione di alcuni ordini religiosi eversive dell’asse ecclesiastico, con incameramento dei beni da parte dell’Economato di Torino: questa legge rese vacante l’abbazia di Promontorio –anche se gestita da don Rivano?quale supplente-  fino al maggio 1893 quando fu affidata a don Brizzolara (anche se il governo torinese gli rifiutava pertinacemente l’Exequatur alla bolla pontificia che lo nominava abbate Parroco di Promontorio secondo la tradizione dei secoli passati) che rivendicò i benefici incamerati da altri: venne fuori che il figlio dell’avvocato, avv. Edoardo in conseguenza di quelle leggi aveva rivendicato per sé i beni e li aveva svincolati a suo nome; dovendoli restituire pattuì un compenso economico che però non fu in grado di onorare per cui il parroco andò in causa civile, che vinse, ottenendo che i terreni fossero venduti all’asta.   

= il civico 9 (intanto divenuto civ. 14 nel 1895 era stato venduto alla famiglia Mongiardino; e nel 1897 era conduttore dei terreni Sbarbaro Giuseppe. Il civ.15 (divenuto 22) era abitato da Gaetano Sbarbaro, poi dalla sua vedova Vernazza Teresa e poi nel 1895 da Giuseppe Parodi. I civv. 11 e 12 (divenuti 16 e 18) erano ai fittavoli Mantero Francesco e Gazzo GiovanniBattista. Il civ. 13 (divenuto 20) nel 1897 era divenuto inabitabile ma era stato restaurato dalla signora Bellona Maria. Il tribunale vendette il lotto superiore a Rossi Serafino fu Carlo, residente in piazza Fossatello a Genova, per 6720 lire e che poi lo rivendette all’avv. Girolamo Parodi nel dic.1899; il lotto inferiore alla signora Bellona, moglie dell’avvocato Parodi Girolamo, per 5500: cosicché l’avvocato ottenne un vasto terreno ex Romairone per sole 13mila lire contro il valore reale di oltre 200mila.

Sappiamo quindi che prima dell’anno 1900, dalla via sant’Antonio (via N.Daste), la salita Promontorio arrivava sia alla chiesa che alla piazza omonime, cosicché tutta la crosa aveva un  nome unico.

Le cose andarono a complicarsi alla fine dell’ anno 1901, con il frazionamento dei singoli tratti: venendo così interrotta la titolazione all’incrocio con la crosa proveniente dalla chiesa,  dal trogolo (allora vi abitarono : al civ. 1-2-3-4-5 eredi Dellepiane ; 6 proprietà ospedale civile ; 7 eredi Ronco ; 8 Carrozini ; 9-11-12-13-15 avvocato Parodi (in una di queste visse Dante Conte) ; 10 Pallavicini ; 14 proprietà municipale ; 16 vedova Berretta ; 17-22-23-26 eredi Mongiardino ; 18-19-20 Rocca Luigi ; 21-24-25 sorelle Bonnino).

Lo stesso lungo tratto divenne poi salita S.Rosa, a sua volta diviso in superiore ed inferiore.

Il Pagano/1912 riporta la residenza del pittore Angelo Vernazza (vedi sS.sRosa).

 

 

===La PIAZZA:  posta sulla spianata del Promontorio sul percorso dell’antica via Aurelia,  anch’essa seguì le sorti della salita omonima: così fu chiamata nel 1900 (quando vi abitarono : al civ 34 casa Frixione ; 35-36 casa Barabino Angelo ; 37-38 casa di proprietà municipale ; 38a casa Bianchetti Pietro ; 39 casa Frassinetti); poi  ebbe il nome  cambiato in piazza Mosto, poi in piazza Gandolfi, ed infine ha  perduto la titolazione quando è stata inglobata in corso L.Martinetti.

 

Carta del Vinzoni, 1757La prima casupola appare    

essere di Domenico Drago; quella dopo – come piantina sotto – di Parodi (qui,  Lorenzo)

                           

Fu ovviamente la mèta, di più d’una stradina a salire (o scendere, ovviamente) dalla spiaggia alla strada romana, tutte collocate sulla cresta di un crinale (anche se non tutti allo steso livello e quindi sia con vallette intgermedie di diversa profondità e sia altrettanto di un anfiteatro a valle più o meno largo); strade come oggi –a ponente-: via Castelli-salita s.Rosa; oppure via Gioberti (o vico Stretto s.Antonio)-Franzoniane-salita s.Barborino; ed –a levante (via Imperiale)=via D.Chiesa -v.Balbi Piovera-via Derchi;  oppure via GBCarpaneto-via sBdFossato-sal.DConte

pianta del piano terra, settecentesca, delle prime case poste sulla piazzetta.

La più grossa (A) è la ‘villa Gerolamo Beviacqua, con  sul retro la ‘piazza nel’Osteria’ ed un pozzo nel muro trasverso.

Della B non è citato il proprietario; mentre a sinistra di A c’è la casa di Giuseppe Parodi

La C appare essere di Giovanni Giustignani.

 

Ospitò le antiche osterie-trattorie:- del ‘Bagasciu’, gestita da Angelo Barabino (figlio della Gilda che gestiva il locale dal 1896 ; morto nel 1930, gli successe Attilio fino a circa il 1950; si racconta che  nel 1920 in corrispondenza della ‘Conferenza di Genova e Rapallo’, ospitati a mangiare, andarono in visibilio i ministri degli esteri francese –Petain-, ungherese –Kagas-, cinese –Teching Ha Gong e russo –Cicerin-); -della ‘Rosa(il trattore era originario dalle terre del santuario della Vittoria, e vi rimase sino al 1980 circa); -‘Africa’ di Luciano Rivelli.

 Una lapide a ricordo dei Caduti nella guerra del 1915.18, cita:

“ Promontorio e Belvedere ai suoi gloriosi caduti in guerra - 1915-18  -  il cap. Molaschi Giuseppe – serg. Mora Francesco – cap.magg. Bevegni Andrea – cap.magg. Bruzzo Agostino – cap.magg. Lanfranchi Raimondo – sold. Bozzolo GB – serg. Sporta Carlo – sold. Bruzzo Enrico – Cappanera Antonio – Mascardi GB – Molinari Erminio – Podestà GB – Solenià Mario“.

 

Una seconda lapide collocata nell’ago 1959 ricorda i partigiani con lo scritto: ”per l’avvenire luminoso della patria – per la grandezza di un ideale -    trucidati dai nazifascisti – i partigiani – Andreani Amedeo – Lavelli Ugo – Lertora GB – Massa Antonio – Parodi Adriano”.

 

   

===La “VIA ALLA CHIESA DI PROMONTORIO” divenne nel 1900 quel tratto che dalla piazza arriva al bivio con salita S.Rosa,  dove c’era il trogolo. 

 

 

===La “VIA ALLA CHIESA DI PROMONTORIO ED AL FOSSATO DI SAN BARTOLOMEO”, divenne titolo per il tratto che va dal bivio con la salita Promontorio, sino al bivio con la “salita san Bartolomeo” (salita D.Conte che porta  al Fossato), e con vico Imperiale (via G.B.Derchi, che ora finisce in via Carrea) (vi abitavano al civ 6 casa Opera pia Brignole Sale DeFerrari ; al 7-8 canonica della chiesa ; al 9 Pizzorno Raffaele).

 

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale  

-Archivio parrocchiale abbazia Promontorio

-Opuscolo “Progetto per strada a monte”     

-Gazzettino Sampierdarenese :  9/89.8
PROVVIDENZA                             via della Provvidenza

 

 

era il modo popolare di chiamare l’attuale via Carzino, con evidente

riferimento all’istituto omonimo, opera iniziata da don Daste che aveva sede a monte della strada , prima di trasferirsi in salita Belvedere.

A questa strada,  neoformatasi sul terreno degli orti del  principe Centurione, e da lui donata al Comune permettendo la congiunzione tra via Vittorio Emanuele (piazza Vittorio Veneto) e via sant’Antonio (via N.Daste), fu poi preferito dare nell’anno 1900 in forma ufficiale il nome di via G.Mameli.