PIRLONE                                        via Dario Pirlone

 

 

TARGHE:-

San Pier d’Arena – via – Dario Pirlone – medaglia d’oro al V.M. – 1914-1942

 

 

QUARTIERE ANTICO:   confine tra Castello e Coscia

N° IMMATRICOLAZIONE:   la strada è successiva alla applicazione

      

da MVinzoni, 1757                            Dal Pagano/1961 (ancora anonima)

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA -n°:   48850

UNITÀ URBANISTICA:  26 - SAMPIERDARENA

 da Google Earth 2007.            

la strada, è a ponente della villa Fortezza.

 

CAP:   16149

PARROCCHIA:   s.Maria della Cella

STRUTTURA: senso unico viario da via N.Daste alla piazza (del mercato di)  Treponti.   La dedica, fu decisa in Consiglio Comunale il 26 ott.1970. A seguito della nuova denominazione, il civ. 1 della piazza divenne civ. 1 della via.

 

CIVICI

2007=   neri= 1 e 2

 

DEDICATA 


al giovane sampierdarenese nato nel 1914 divenuto sergente maggiore del 185° artiglieria, effettivo della divisione Folgore.

Risulta che in azioni belliche precedenti già era stato catturato dagli inglesi, dai quali era riuscito a fuggire.

Nello schieramento italiano in Africa (vedi descrizione sotto della battaglia), fu incaricato della direzione di una batteria anticarro.

Morì eroicamente, nei combattimenti della III battaglia di El Alamein, il 24 ott.1942.

 


La motivazione alla medaglia d’oro dice durante questa battaglia:            “comandante di un pezzo anticarro impegnato da forte formazione di carri armati nemica, riusciva, dopo strenua lotta, ad infliggere al nemico sensibili perdite, catturando con ardita mossa l’equipaggio di un carro colpito. Successivamente, avuto immobilizzato il pezzo, feriti tutti serventi, ferito egli stesso gravemente alle gambe, incitava i dipendenti a non perdersi d’animo e continuare a combattere con le bombe a mano ed i pugnali. Sopraffatto dal nemico, irrompente nella postazione, vincendo lo strazio del suo corpo martoriato, sorreggendosi con sforzo supremo sulle gambe maciullate, scaricava la pistola sul nemico gridando: ’voi non mi avrete vivo. Viva l’Italia’. Cadeva da prode”.   

Fu insignito di medaglia d’oro, al Valore Militare alla memoria.

 

Una versione relativa alla sua morte  avvenuta nei concitati istanti dell’attacco inglese, non ha sicure fonti documentate; per cui sono state fatte solo delle congetture a posteriori:  sia che si era offerto di tenere da solo la posizione, per permettere il ripiegamento dei propri commilitoni (i quali però erano reticenti all’idea di lasciarlo, così ferito, in balia di un destino assai incerto) e sia che, per un atteggiamento spavaldo confacente allo spirito di un parà, lo abbia indotto ad una difesa ad oltranza di fronte al nemico.

Una ‘voce’ ha aggiunto una ulteriore versione,  che contrasta con la motivazione della medaglia (la quale non sarebbe stata concessa se essa fosse stata espressa prima della decorazione):  che addirittura si sia suicidato per togliere gli amici dalle titubanze (gesto però non consono allo stile ed alla mentalità di un componente della Folgore ma eventualmente da valutarsi nel contesto della situazione finale in cui è avvenuto, con i nervi tesi all’estremo dell’umano sostenibile).

 

LA FOLGORE:   A Tarquinia, dall’azione del colonnello pilota Giuseppe Baudoin nei primi anni di guerra, nacque una nuova divisione; era un’ idea che andava diffondendosi nell’ambiente para-aereo (i fallschirmjäger tedeschi), ovvero una forza di fanti-paracadutisti. Iniziando con 60 volontari, che sarebbero divenuti istruttori, e dopo tentativi -anche tragicamente finiti- di organizzare il lancio in gruppi, furono ben presto inviati –inizio 1941- alcuni a Cefalonia dove però non combatterono per immediata resa delle truppe greche; ed un altro gruppo in Cirenaica per proteggere la ritirata della X armata.  A fine 1941 il gruppo ebbe battesimo di “Folgore” e, via mare fu inviata in Africa ove dovette cambiare nome in ‘divisione cacciatori d’Africa’, togliendosi i fregi dei paracadutisti dalla manica e lasciando nei depositi paracadute e tutto l’armamentario specializzato.  Rommel provvide a schierare subito il reparto nel deserto, quale ‘unità d’assalto’.

Erwin Rommel, attaccando dalla Libia verso est, via via travolse le linee inglesi; e dietro al nemico in rotta che scappava, lo inseguì tanto che si allontanò troppo dai rifornimenti (che non potevano più venire direttamente, essendo cielo e mare praticamente in mano al nemico); mentre gli inglesi arretrando si avvicinavano al loro continuamente ben rifornito. Per esaurimento di mezzi, dovette fermarsi su una linea frontale che aveva inizio presso il piccolo centro chiamato El Elamein

La guerra. Agli occhi di oggi, la guerra combattuta dai nostri soldati appare spregevole perché di  aggressione, a fianco di un alleato che non disdegnava la sopraffazione violenta e gratuita (e moralmente perversa, visto i lager e le discriminazioni razziali), solo per testimoniare a se stessa le sue capacità di potere. Al punto che il commentatore televisivo si è espresso dicendo”è stata una fortuna che l’Italia abbia perso, se no chissà cosa poteva succedere...”.

A spiegazione, Maggiani scrive che là i soldati ci si trovarono volenti o nolenti, facendo il loro dovere e perché non c’era altro da fare se non sacrificarsi fino alla morte.

Questi ragazzi si trovarono a vestire il grigioverde –nella mentalità postbellica di quelli che si sono arrogantemente autoconvinti di averla vinta loro la guerra- per combattere la guerra di Mussolini (non della Patria); e quindi ben sta se hanno perduto,  e se sono votati all’oblio e al disinteresse dei giovani di oggi, venendo ricordati solo quelli.

E’ vero che molti soldati avrebbero preferito starsene a casa e vivere in pace; ma -mio pensiero- è  altrettanto vero che quei giovani erano là perché –se non loro, ma sicuro i loro genitori- prima di partire avevano inneggiato chi prometteva quelle conquiste. La colpa –se di colpe si deve parlare- non fu solo di chi decise, ma anche di chi consentì ed applaudì che quella decisione fosse presa. E per un verso o per altro, erano la maggior parte degli italiani, ivi compresi molti partigiani dopo o quantomeno i loro genitori.  Questo, non per giustificare il fascismo, ma perché la Storia deve essere obiettiva, e non di parte: è troppo comodo oggi scrivere –o lasciare intendere- che fu colpa di tizio e di caio: fu colpa nostra, di noi italiani...quasi tutti, ma...democraticamente... la maggioranza..

Mutismo e indifferenza, c’è ancora adesso, dopo 60 anni di tempo, in attesa di ridimensionamento

El Alamein è una località sulla costa della Cirenaica (Libia), 120 km a ovest di Alessandria e del Nilo. Il fronte iniziava dalla fascia litoranea e di approfondiva per 65 km all’interno- si arriva a MarsaMatruh, ove c’è una ampia zona collinosa nel deserto che prende il nome dall’arabo ‘Tel el alamein”  ovvero ‘colline dalle vette gemelle’.

PREMESSE: Rommel (per l’occasione nominato ‘la Volpe del deserto’) alla guida dell’esercito italo-tedesco e forte di solo 96mila soldati -dei quali 56m italiani-, 600 carri armati, 500 aeroplani- iniziò l’offensiva il 21 genn.1941 e fece arretrare l’esecito alleato guidato dal gen. Claude Auchinleck  (forte di 150mila uomini,  1200 carri e 1500 aerei) fino a quel punto della fascia costiera. Ma, la quasi totale assenza di rifornimenti (sia di rincalzi che di mezzi –soprattutto carri, benzina ed aerei) lo costrinse ad arrestare la marcia –che sembrava trionfale e prossima ad occupare il canale di Suez- a 105 km da Alessandria. 

Gli inglesi, anche loro disfatti ed usurati, approfittarono però di questa sosta per abbondantemente approvigionarsi, mentre W.Churchill affidava l’incarico al gen. Gott (ma questi perse la vita mentre veniva ad assumere il comando); fu sostituito dal gen. Bernard Montgomery.

Rommel tentò approfittare, e (30 ago) tentò un improvviso attacco con carri armati, che –mancando di supporto- fu respinto;  dovette così andare a Berlino –ufficialmente per ragioni di salute- ma in sostanza per rendere conto della situazione, lasciando il comando al vice, gen. Georg Stumme –che morì di infarto il giorno dell’attacco, mentre ispezionava le linee-. Il comando fu temporaneamente assunto dal gen. Von Thoma.

Furono gli inglesi che resisi consci della situazione degli avversari, iniziarono attacchi aereonavali alle basi, tra tutte Tobruk. Ma la reazione italotedesca li fece desistere.

Si stabilì quindi una linea di fronte -di truppe contrapposte ed in stallo- perpendicolare alla costa, che si addentrava per 50 km  fino ad arrivare alla depressione di El Quattara (che garantiva l’intransitabilità dei mezzi e quindi –reciprocamente- l’accerchiamento). Il fronte italotedesco vedeva: sulla costa un reggimento di bersaglieri, seguito in successione -dalla 164° divisione tedesca; div. Trento; div. Bologna; mezza brig.parà Ramcke; div. Brescia; altra mezza Ramcke; div. Folgore all’apice  dell’interno. Di rincalzo, nelle retrovie stavamno -a salire dal mare- la 70a div.tedesca, seguita dalla div.motor.Trieste, div. Littorio, 21a div. corazz. tedesca,  div. Ariete e –dietro alla Folgore- la div. Pavia (che insieme alla Brescia e la Ramcke, formavano il X corpo d’Armata).

La 185° divisione fanteria Folgore era comandata dal gen. Frattini, ed era composta dal 186° e 187° regg. paracadutisti associati al 185° rgt artiglieria-paracadutisti.

  frecce di attacco e  -in nero- zone da loro conquistate il 24 ottobre

 

LA BATTAGLIA Furono 5mila uomini, contro 15-20mila; cannoni di piccolo calibro, contro 300 mezzi corazzati....

Iniziò il  23 ottobre 1942, alle 20,42: gli inglesi, rinforzati in tutti i settori- e guidati dal generale inglese Bernard Law Montgomery,  iniziarono a sorpresa una controffensiva (chiamata Lightfoot), contando su molteplici situazioni di vantaggio non ultima l’assenza di Rommel, rientrato d’urganza il  25 ott.. Ma già il 26 ott. la situazione delle truppe italotedesche  era divenuta  drammatica. L’aviazione alletata troncava tutte le iniziative.

Lo scopo era un tentativo di sgretolare le difese italo tedesche mediante bombardamento serrato aereo-navale e terrestre, contando di 973 aerei contro i 340 dell’Asse; 3171 cannoni contro 2433, incuneamento di pattuglie nei campi minati, simulati sbarchi alle spalle tenendo l’avversario costantemente allertato e facendogli sprecare rifornimenti già al limite e senza prospettiva di reintegro.  Lo squilibrio di forze era modificato in peggio per noi:  196mila uomini contro 104; 435 autoblindo contro 119; 1029 carri armati contro 490 (di cui 279 M13 italiani inefficaci contro le corazze nemiche e con munizioni che appena scalfivano la corazza dei Grant e Sherman, mentre i Tigre tedeschi furono da Hitler concentrati verso la Russia.

Da quell’inizio, si combatté una grande battaglia che –in parallelo a Leningrado- praticamente decisero le sorti del conflitto in genere: in Africa, furono 10 giorni che iniziarono lo sconvolgimento ed infine il ribaltamento della sorte della seconda guerra mondiale; per tanti motivi sommati, ma soprattutto organizzativi, le forze dell’Asse dopo mesi di continue vittorie su tutti i campi di guerra dovettero ripiegare -seppur dopo strenua e logorante lotta- sopraffatti dal nemico più ben organizzato (d’altra parte Hitler stesso aveva sottovalutato l’impegno in Africa, concentrando mezzi e forze  sul fronte russo, dove perdendo, subì la seconda fatale debacle che lo costrinse a difendersi, sino alla disfatta totale).

Luserna-Dominioni scrivono, in una sorta di diario, che “...Gli italiani del 1942, ad El Alamein, posseggono una sola superiorità, ma essenziale: nelle truppe sono rimasti soltanto i soldati veri e gli altri se la sono tempestivamente squagliata..” ; ”....il giorno 24, con la luna piena “si scatena «l’ultima battaglia». L’inglese attacca a sud e a nord, ovunque con massiccia superiorità di mezzi. “...Le 4.30. Il tiro (inglese) anziché diminuire aumenta di intensità...Le 5.20. Il tiro avversario è durato esattamente un’ora...sta venendo avanti su due colonne, il nemico...falcidiati dalle (nostre) raffiche cerca riparo e lancia due razzi rossi...chiamano in soccorso i carri...eccoli, sono del General Lee...ma gli artiglieri vigilano...i pachidermi tentennano...poi ripegano a precipizio...tre volte i carri tentano l’attacco e tre volte vengono arrestati...in una uadi giacciono stravaccati tre o quattrocento inglesi, logorati dalla fatica e dalla sconfitta...chi siete? Credevamo che nessun uomo potesse resistere ad un attacco come il nostro”.   Doronzo, dei parà, nel suo libro non cita il Nostro; scrive una sua relazione, di quel 24 ottobre. Inizia il diario con un capitano artigliere  che al suo quesito circa i proiettili di troppo piccolo calibro e pericolosamente accatastati vicino al pezzo, gli risponde: «si,  hai ragione, ma vedi qui da noi valgono il doppio». E subito dopo “…gli artiglieri penso siano i più sacrificati perché…debbono vivere con quello che passa la sussistenza e, diciamolo pure, nella migliore delle ipotesi è sempre troppo poco. Aggiungiamo che i pezzi e il munizionamento se lo son dovuti portare fin qui a spalla e si parla di quintali trascinati su terreno sabbioso e irregolare… All’improvviso il cielo a est si accende come se lungo tutta la linea ci fossero cannoni che sparano simultaneamente…ci siamo di nuovo…passa un bel quarto d’ora e quelli non la piantano per niente…i colpi arrivano a migliaia…solo quando si schiarisce il cielo a est… lo spettacolo è terrificante, quello che era il terreno che noi conoscevamo non ha più nulla di terrestre, letteralmente coperto di buche come piccoli crateri dai bordi imbiancati dalle esplosioni…come posso essermi salvato?”;  e davanti innumerevoli carri armati colpiti (ne conta 11, ma poi ne vede uno qua vicino ’assai grande’, due che stanno  bruciando; e –più lontano- quattro di quelli grandi; e 15 di mezzi più piccoli,  camionette...).Infatti  la battaglia pare che si sia sviluppata ai fianchi, non coinvolgendo direttamente la sua postazione messa in mezzo tra i colpi inglesi e quelli italiani

Il nemico comunque è stato respinto.  Pirlone è morto.

Dopo la battaglia del 23-24, a fine mese, gli inglesi iniziarono a tentare di sfondare sulla costa; poiché a sud –nell’entroterra- ha devuto rinunciare a combattere contro la Folgore alla quale era stata offerta la resa con l’onore delle armi, ovviamente rifiutata.

E poi, “dal 28 ottobre il settore della «Folgore» è tornato tranquillo: paracadutisti e guastatori rafforzano le posizioni sconvolte, nell’euforia della rude vittoria: le falle sono turate. A nord le cose vanno male, ma essi lo ignorano...Ignorano la consumata decisione di sacrificare le truppe italiane del centro e dell’ala destra, pur di lasciare alle truppe tedesche dell’ala sinistra la libertà di ripiegare... A sud (il nemico) è ribattuto dalla  «Folgore»: «Interfectus est» direbbe Giulio Cesare, è fatto a pezzi. Allora concentra tutto il peso a nord e dopo dodici giorni riesce a sfondare.

La «Folgore», sino ad allora vittoriosa, è aggirata e condannata.

Il 2 novembre Montgomery ordinò l’operazione sfondamento ‘supercharge’.

Due giorni dopo, il 4 novembre, la Folgore, che da 5mila uomini ne contava 272 e 32 ufficiali, fu travolta.

LA FINE : Rommel ebbe l’ordine di disimpegnare prima le truppe tedesche e per ultime quelle italiane. Il 23 genn.43 le truppe italiane abbandonarono Tripoli; (agli inizi di febbraio von Paulus si arrenderà a Stalingrado); il 13 maggio le forze dell’Asse rimaste in Tunisia, si arresero.

Gli italo tedeschi persero 12mila uomini (morti+feriti+dispesi) e subirono 25 mila prigionieri; gli Alleati perdettero 23.500 uomini.

Uniti nella lotta (artiglieri, bersaglieri, carristi, piloti d’aereo), tutti fanno parte delle memorabile battaglia; da allora ed anche per loro merito, in particolare la Folgore (ai cui superstiti fu riconosciuto l’onore delle armi) il nome El Alamein è parola simbolo del coraggio. L’epitaffio, scritto su una lapide nel cimitero,  recita ‘mancò la fortuna, non il valore’.

La divisione Folgore ebbe quattro medaglie d’oro collettive -una per i singoli reggimenti- e 16 individuali; tra queste ultime, quella per il nostro sergente maggiore.

Quota 33  Sul colle più alto, sulle mappe segnato con quel nome, c’è un cimitero in piena zona dove erano nascoste oltre un milione di mine.

                      

il sacrario                                                                                                   francobollo 1998

 

        

 

      

i nomi degli sconosciuti           “ignoti a noi, noti a Dio”           i loculi

 

Eretto ad opera del conte arch. ten.col.Paolo Caccia Dominioni (alpino già comandante del 31 batt. Guastatori); questi, –riprendendo una iniziativa inglese già in atto durante il conflitto- dal 1959 (altrove si scrive 1949) assieme al serg.magg. Chiodini Renato, dedicò gli ultimi anni della vita al ricupero e riconoscimento dei caduti e per questo insignito di medaglia d’oro. Nel vasto cimitero di guerra italiano riposano 4814 soldati italiani (inj internet si scrive 4634) dei quali 1300 ‘ignoti a noi, noti a Dio’, e molti africani nostri coloniali (228, si precisa), che furono sconfitti, ma che diedero fulgido esempio di come si affrontano le responsabilità, anche se subite, e spesso non condivise (i tedeschi persero 10mila soldati, gli alleati 13.500).

Il Col., anche architetto, fece costruire il torrione nel quale riportare le salme -quali ormai ossario-. Vennero ricomposte nei locali attorno ad un salone centrale (ove è l’altare, ed ora il busto del colonnello) dopo aver smantellato il cimitero terreno (aumentando giorno per giorno, era diventata una inquietante e struggente distesa di croci); attorno, un recinto che fu completato con un ingresso con corte d’onore; nell’interno servizi, sala museo di cimeli, sala proiezione ed una sala allegata che ospita i resti di un centinaio di scalpellini pugliesi morti durante la costruzione della diga di Assuan nel 1903 (nel 1960-73 fu costruita -a monte delle cataratte- quella ‘alta’).

 

Nel lungo elenco compare il nome di una donna, la “inf. Maria”; che è presumibile sia nome e professione inventate,  non conoscendo la persona. I resti di questa donna furono ritrovati – vicino a quelli di due militi - durante la ricerca delle spoglie, nel deserto di el Qattara. Nessuno conosce perché fosse lì, né chi fu; comunque – raccolte le spoglie (operazione di ricupero delle salme già iniziata dagli inglesi a mezzo di nostri prigionieri) per non lasciare la tomba anonima le fu dato il nome inventato di “Maria“; e collocata assieme agli altri. Esistevano in servizio delle infermiere –monache: può essere; non crocerossine ufficiali, perché non c’erano; oppure la compagna di qualche ufficiale.

Nel 2002, il presidente della Repubblica Ciampi, considerato che dopo la vittoria in terra d’Africa gli Alleati riuscirono da là a sbarcare in Italia e decretare la fine del fascismo, ha espresso il suo apparentemente ambiguo  ‘grazie italiani, per aver perso’.

Nel 2008 si ha notizia che l’Egitto ha ceduto all’Italia l’area del cimitero-sacrario di ‘Quota 33’: nel deserto.

Il fratello risulta aderente all’associazione del Nastro Azzurro.

 

BIBLIOGRAFIA

-Albo dei decorati al Valor Militare-Ist.del Nastro Azzurro.1977- pag.167

-Archivio Storico Comunale - Toponomastica , scheda 3536

-AA.VV.-Annuario.guida dell’archidiocesi-ed/94-pag.430—ed/02-pag.467

-Doronzo R.-Folgore! E si moriva-Mursia.1978-pag.97

-Gazzettino Sampierdarenese : 1/75.4  

-Il Giornale : 6.12.99 +                 

-Il Secolo XIX : 20 e 21.10.2002  +  17.06.06 + 10.04.08

-L’Alpino-rivista mensile dell’ANA- n.1/2008-pag.14

-Lamponi M.-Sampierdarena-LibroPiù.2002- pag. 72

-Luserna.Dominioni-I ragazzi della Folgore-Longanesi1972-pag.136.184

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Genova-Tolozzi.’85-p.1480

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.35.51

 

--  non citato Enciclopedia Sonzogno e Motta.