PANCALDO                             via Leone Pancaldo

 

 

TARGHE: via – Leone Pancaldo

 

angolo con via G.Buranello

 

angolo con via G.Giovanetti

 

QUARTIERE ANTICO: Mercato

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2820    CATEGORIA: 3

 

 da Google Earth, 2007. 

In verde, ipotetico tracciato della via; con in fucsia,                

via GGiovanetti e giallo, via della Cella.

 

                      da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   45160

 

UNITÀ URBANISTICA:  26 – SAMPIERDARENA

 

 da Google Earth, 2007

CAP:   16149

 

PARROCCHIA:  s.Maria della Cella

 

STORIA:

Dall’amministrazione comunale  nella seduta del 22 ago.1907,   fu attribuito  - inizialmente come vicolo - il nome del condottiero alla neoformata strada  delimitata dalla costruzione dell’attuale lungo fabbricato con tre portoni eretto dai fratelli Girardo, perpendicolare alla ferrovia ed  aperto in via A.Doria e via Vittorio Emanuele. 

Il terrapieno della linea ferroviaria, con un cavalcavia specifico, passa sopra l’inizio della strada.

Lungimirantemente, l’obbligo era di iniziare le costruzioni tenendosi lontano 20m dalla ferrovia: questo permise in un secondo tempo l’allargamento della strada ferrata da due a quattro binari.

Nel 1910 si trova scritto nell’elenco delle strade cittadine come “vico Leon Pancaldo”, situato “da via V.Emanuele verso nord a fianco della via A.Doria, con numero civico estremo: 5”.

 E sempre ‘vico’ era nel 1926, all’atto della unificazione comunale di SPd’Arena con Genova; classificato di 5a categoria.

 


Da Venezia, negli anni 1925-30 venne ad abitarvi al civ. 5 la famiglia di Giacomo Buranello (una lapide vicino al portone, ricorda il personaggio. Vedi a ‘Buranello’).


Nel 1933 era divenuta ‘via’, seppur sempre di 5.a categoria e con tre civici neri.

CIVICI:

2007=   NERI= da 1 a 5

             ROSSI= da 1r a 15r (manca 11r;  in più= 1Ar, 3Ar, 9Ar)

                            da 2r a 6r

La strada inizia da via Buranello, sottopassando la ferrovia; prosegue carrabile comunale, senso unico viario diritta sino in fondo, laddove è chiusa. Strutturata a ┤,  dall’altezza del civico 3 (a metà percorso circa) può sfociare in via Giovanetti – ove sbuca sottopassando un collegamento a terrazza tra due palazzi di quest’ultima strada. Lunga m.103,24 e larga 2,4, con due marciapiedi.

Nel Pagano/40  il vico, che dipartiva da via II Fascio d’Italia a via G.Giovanetti, aveva civv. neri 1,3,5 ed un solo rosso: 7r fruttivendolo 

 DEDICATA

al navigatore savonese, che, in terra natia, ovviamente sarà stato chiamato Leone; ma   buona parte della bibliografia lo chiama Leon, per eutonìa o dal portoghese.

Incerta e non documentata la data di nascita:  in un censimento del 1531 è dato cinquantenne, quindi nato nel 1481; ma,  desunto dall’età da lui dichiarata alla Commissione di Valladolid, risulterebbe nel 1482;  lo studioso Belloro ha calcolato dovrebbe essere nel 1490.

  Da antica casata ligure, fu figlio unico maschio di agiato artigiano di stoffa e tessitore:  Manfrino, sposo di Battistina di Repusseno (o Repossano).

  Dovette seguire i corsi scolastici del tempo: grammatica, logica, retorica, ed anche scuola di vela – indirizzato dal padre, per andare a procacciarsi la lana in Spagna o Sardegna e per divenire infine maestro nella Corporazione dei ss.Gervaso e Protasio.

  Preferì la via del mare alle fiorenti attività familiari (Baldassarre scrive che LP “diè all’acqua una nave con felice presagio detta Vittoria”; e riporta da AM de’Monti, che Leon Pancaldo era “nocchiere, e Padrone della nave Vittoria del 1522”) e tale fu l’entusiasmo, da divenire rapidamente un esperto e stimato marinaio, ricercato tra la gente di mare per armare navi e spedizioni.

  Nel 1514 sposò in Savona la giovane Selvaggia Romana, anche lei figlia di un Antonio, accimatore di panni e socio del padre. Insieme abitarono nel quartiere di sant’Elmo, nei pressi della fortezza di Priamar.

  Ma 5 anni dopo, appena seppe che in Portogallo si approntava la spedizione di Magellano (Magaglianes), partì ad arruolarsi quale marinaio semplice assieme ad una ventina di altri italiani (su 230-265 marinai; Spotorno e Verzellino dicono sulla nave Vittoria, di 85 t., quarta per grossezza dopo  la ‘sant’Antonio’ di 120 t.; la ‘Trinidad’ di 110 t.; la ‘Concepcion’ di 90t) per il primo viaggio di circumnavigazione ed alla ricerca del passaggio verso il favoloso oriente (vedi Magellano).

Imbarcato invece sull’ammiraglia Trinidad (=Trinità), una delle 5 navi della flottiglia, salpò il 20 settembre 1519 (Lamponi scrive 10 agosto) dal porto di Sanlucar (o san Luccar) de Barrameda (vicino a Siviglia), dopo aver consultato gli astri. Il 3 ottobre furono a Tenerife; da lì verso l’America del  sud a cercare il passaggio al Pacifico (così poi battezzato da Magellano per le bonacce), che fu trovato dopo tanti tentativi percorrendo ogni insenatura, con solo tre navi al seguito, nel novembre dell’anno dopo: il passaggio dall’Atlantico al Pacifico non viene descritto nei particolari perché – presumo io - non consapevoli di questa ‘uscita’, dopo averne cercato a migliaia in ogni rientranza della Terra del Fuoco. Si data nell’agosto 1520 il passaggio attraverso lo “stetto di Magellano”.

Lamponi descrive un inedito episodio: lui navigante in acque dell’America, sogna un fuoco di sant’Elmo (alone luminoso visibile di notte in corrispondenza di punte; causato da aumento del campo elettrico in corrispondenza di forti variazioni atmosferiche tipo temporali) - temutissimo quale cattivo presagio per la nave dai marinai - mentre il reale fuoco si era avviluppato nella casa a Savona con la moglie salvata in extremis da un marinaio che – seppure autore dell’incendio - doveva riconoscenza ai Pancaldo.

La vastità del Pacifico fu superiore alle aspettative ed alle scorte di acqua ed alimenti. Allo stremo, solo a marzo del 1521 avvistarono terra: erano le isole Molucche (attuali Filippine), ove il 27 aprile Magellano perdette la vita in combattimento.

A questo punto le navi superstiti erano rimaste due; di esse la Victoria, comandata da Sebastiano El Cano, ritornò in patria attraverso il Capo di Buona Speranza. Mentre invece sulla Trinidad  - rimasta indietro per una falla ed assottigliandosi l’equipaggio - il Pancaldo via via divenne dapprima timoniere, poi nocchiero, fino ad essere il personaggio più eminente sulla nave.

Si scrive che, ancora presso le Molucche, fu catturato dai portoghesi arrivati provenendo dall’occidente, che lo trattennero prigioniero causa i pessimi rapporti con gli spagnoli, e trasportato in India da dove riuscì a fuggire assieme ad un altro marinaio ligure Juan Bautista e solo nel 1526 (altri scrive il 6 settembre 1522) tornare in terra europea  (dopo 1084 giorni, cioè dieci anni di lontananza, con 18 uomini su 74; e quando gli altri erano già tornati con la nave Vittoria (il comandante Elcano si era preso tutti gli onori e premi, compreso uno stemma gentilizio arricchito con un globo ed il motto ”primus circumdedisti me”. Solo la relazione del vicentino Pigafetta, che era sulla sua nave, riuscì a far conoscere ridimensionare l’usurpatore e dar lustro alla figura di Magellano ed all’impresa di Leon Pancaldo).    

Nel 1527 fu a Valladolid in Spagna, per partecipare ad un interrogatorio dove accennò a dei libri da lui scritti sulla navigazione fatta a dimostrazione delle sue capacità non solo marinare ma anche letterarie (pare che l’opera, non andò stampata e, lasciata in mani inesperte, perduta).  

Seppur allettato dal re francese perché ritentasse la strada dell’oriente, a dicembre dell’anno 1531 arrivò a Savona; con duemila ducati ricevuti dal re portoghese Giovanni III per l’impegno d’onore di non passare al servizio di altra corona, né dare carte, né istruire altri navigatori.

Così decise fermarsi a terra nella sua villa chiamata ‘la Pancalda’ in località Lavagnola (alla confluenza tra il Lavanestro col Letimbro). Questa casa era munita di torre di avvistamento; posta vicino ad un pozzo; poco discosta dal Duomo in zona Scarzeria e dalla casa della famiglia Crema;  sulla facciata fece dipingere un affresco con il suo ritratto con uno astrolabio in mano, circondato da simboli marinari  dall’immagine delle isole vedute, e da una scritta sotto riportata).

Nel 1534 (altri dicono nel 1535, ed altri nel 1537), legalmente sciolta la promessa fatta al re portoghese, riprese il mare per una nuova spedizione usando una galea, la Santa Maria, forse di sua proprietà (assieme ad un galeone  del genovese Pietro Vivaldi, con merci genovesi) diretto in Perù; purtroppo fallì prima ancora di arrivare allo stretto di Magellano causa una tempesta che lo fece tornare verso il Rio de la Plata; qui, sbarcato per andare alla ricerca di fasciame per riparare la nave, fu assalito da  indigeni selvaggi,  ed ucciso  (un’altra versione - essendo fragili o nulle le testimonianze dei pochi sopravvissuti - sostiene che nel tentativo di raggiungere la riva prima su una scialuppa e poi a nuoto, morì annegato. Baldassarre, che sostiene questa seconda versione, aggiunge che la nave tornò a Savona e passò agli eredi; mentre invece la casa (posta in un terreno vicino al pozzo, e poi incorporata nel palazzo dei signori Vercellini) fu divisa -per pio legato- tra i padri Minori (o Minimi) Conventuali e l’oratorio di s.Catterina).

     Morì quindi nei vasti mari attorno al Rio de la Plata, nel 1538-40.

A Savona,  la torre trecentesca affacciata sul porto, fu intitolata a lui (eretta per vedetta ed a difesa dai saraceni, detta pure ‘dei piloti’ (perché stazione del servizio fisso di pilotaggio portuale) ed attuale simbolo cittadino.

   Sulla torre ci sono due scritte, una sopra lo stipite della porta «in mare irato, in subita procella, invoco te, nostra benigna stella» che si legge e scrive in italiano e parimenti in latino, dettata dal savonese Gabriello Chiabrera.  Invece su una targa serbata nell’atrio del palazzo degli Anziani si riportano le parole che lo Spotorno dice fossero fatte scrivere dallo stesso Pancaldo sulla facciata di casa sua:

«io son Leon Pancaldo Savonese, // ch’il mondo tutto rivoltai a tondo: //  le grand’Isole incognite, e il paese // d’Antipodi già vidi, e ancor giocondo // pensava rivederlo, ma comprese // l’invitto Re di Portugal che al mondo // di ciò lume darìa,  perciò con patti, // ch’io non torni mi diè duo mil ducatti».

   Si attribuisce al Pancaldo anche una discreta vena letteraria. A parte il libro del memoriale della navigazione con Magellano (detto ‘roteiro’), andato perduto, ed a parte la conoscenza delle discipline nautiche e geografiche, pare fu anche un rozzo poeta come dimostrato dai versi scritti (una ottava) sulla facciata della casa, e poi riportati all’Anziana’ quando la casa di via Scarzeria fu demolita.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale  in palazzo Ducale 

-Archivio Storico Comunale  Toponomastica - scheda 3271

-AA.VV.-Annuario-guida archidiocesi di Genova-ediz/94.426—/02.463

-Baldassarre&Bruno-Schedario degli uomini illustri in Savona-1981

-DeLandolina  GC-Sampierdarena- Rinascenza.1922-pag.50

-Enciclopedia  Motta

-Enciclopedia Sonzogno

-Enciclopedia dei liguri illustri- vol.I-ERGA   

-Il Secolo XIX quotidiano.- 17.06.06 +

-Lamponi M.-Sampierdarena-Libro Più.2002-pag.72

-Lamponi M.-Leggende, miti e arcani di Liguria-LibroPiù.2004-pag.127

-Miscosi G.- Genova e i suoi dintorni-Fabris 1937-pag.159

-Novella P.-Le strade di Genova-manoscritto bibl.Berio.1930circa-(pag.18)

-Pagano/33-pag.247; Pagano/40-pag.362

-Pastorino&Vigliero-Dizionario delle strade di Genova-Tolozzi.’85-p.1384

-Poleggi E. &C.-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.34

-Spotorno G.-storia letteraria della Liguria-1826-vol.IV-pag.170

-Tuvo&Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag.100