PALMETTA                                piazza Palmetta

 

TARGA: piazza Palmetta

   

 

 

QUARTIERE ANTICO: san Martino

 

N°  INFORMATICO:   2819     CATEGORIA: 3

 da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   45100

UNITÀ URBANISTICA: 24 - CAMPASSO

  da google Earth, 2007

CAP:   16151

PARROCCHIA:  s.Giovanni Bosco

STRUTTURA:   la piazza è posta a ponente di via Walter Fillak, e comunica con essa tramite via  G. Salinero; è chiusa ad altri sbocchi, e possiede un transito veicolare rotatorio con senso antiorario (generalmente impossibile completarlo per le auto in sosta).

È servita da ambedue gli acquedotti, DeFerrari Galliera e Nicolay.

 

CIVICI     Neri= da 1 a 7 (esclusi 3 e 5);                     e da  2 a 4

                 Rossi= da 1r a 19r (compresi 9ab e 17a);    e da  2r a 10r

===civv.1 e 3 neocostruiti nel 1953; quest’ultimo da abitazione fu trasformato in magazzino nel ’77.  

 

STORIA 

 

IL TOPONIMO

   Il toponimo non ha un etimo preciso, e varie sono le interpretazioni, nessuna documentata e sicura.

   A mio avviso, sicuramente quello stradale si sovrappone a quello più antico della fine del 1700, riguardante la località.

==1==non un quartiere, ma tutta una ampissima fascia di terreno che in sezione est-ovest viene delimitata dal crinale del Belvedere sino al Polcevera. Mentre per la limitazione nord-sud vede due versioni -quali più frequenti adottate dagli storici-: 1A= comprendente il territorio tra Certosa e l’ attuale via A.Caveri.  A conferma di questa ipotesi, a mie mani alcune carte: la prima, del 1757 (ma preparata molto prima), di Matteo Vinzoni, non cita questo nome perché probabilmente ancora con esisteva; la seconda, dell’ ing. arch. Brusco, del 1781 (vedi sotto) pone il nome Palmetta  a nord, ovvero dopo, la chiesa di s.Martino – seguendo la strada, su quello che nella carta del Vinzoni era terreno dei Cicala; la terza, sempre del capitano Brusco ma del 1790, ove scrive “Principio della strada della Palmetta”  in corrispondenza dell’inizio dell’attuale via Vicenza. 

 


 

a monte della chiesa di s.Martino, la scritta ‘La Palmetta’

 

dic. 1781 - G.Brusco-Progetto per allargare la Strada del Mercato di San Pierdarena fino alla Palmetta -.

ASG.Raccolta cartogr. Busta 18 n.900 – particolare.


 

1B= versione molto più allargata, che - sempre dai confini nord del borgo, con Certosa - va a sud fino ad una ipotetica linea che passa per via GB Monti. Ambedue le interpretazioni, a fondo valle comprendono  i quartieri di san Martino (che iniziava dal quartiere Mercato) e del Campasso (che a sua volta comprendeva la piana di piazza d’Armi). (vedere ‘vico Governolo’)

==2==l’idea dell’esistenza di un palmeto nella zona, o singola e maestosa come ora in piazza Montano ed allora preciso punto di riferimento più della villa che la ospitava, ha una sua logica, vista la longevità di simili piante; anche se non è stata dimostrata una  precisa localizzazione di simile ornamento non spontaneo nella zona. In questa direzione interpreta DeLandolina, scrivendo che fu proprio nei giardini della villa Currò esisteva un palmeto “che nella dolcezza del suo clima vi giungono a fioritura”.

==3==Altra interpretazione è legata - come la frazione Palmaro a Pegli - alla cerimonia religiosa della domenica delle palme (quarta di Quaresima, iniziale della settimana santa culminante nella Pasqua, celebrata in memoria della trionfale entrata di Gesù in Gerusalemme Per la cerimonia religiosa si tagliavano dei rami da una palma che se esistente nella zona, la fece divenire punto di riferimento popolare; fino a che, morta la pianta, rimase il nome, mentre la cerimonia senza il materiale primo, fu sostituita gradatamente con la benedizione dell’ ulivo), eseguita per 600 anni nel piazzale dell’unica parrocchia esistente nel borgo. Unendo le due ultime interpretazioni, si può pensare che per la cerimonia religiosa si traessero i rami da una o più palme esistenti nella zona, divenuta così punto di riferimento popolare; fino a che, morta la pianta, rimase il nome, mentre la cerimonia senza il materiale primo fu sostituita gradatamente con la benedizione dell’ ulivo.

==4==Meno probabile un’ altra origine relativa alla parte di poppa di una nave in gergo chiamata palmetta (posta dietro al timone, e nelle navi a motore, sovrastante il tunnel dell’elica; zona riservata allo stivaggio della mercanzia delicata, fragile o di valore; un proprietario (Currò) che faceva corrispondere le preziosità della stiva alla sua villa).

LA LOCALITA’

Come già detto ne ‘il toponimo’, non potendo definire una posizione precisa, è divenuto uso la dizione “alla Palmetta”  per indicare genericamente la zona del Campasso, rione san Martino (dove era l’antica parrocchiale).

   A conferma, Tuvo riferisce che il 1 giugno 1825, «nello stradone di Polcevera, in località Palmetta, avviene lo storico incontro tra i re Carlo Felice e la regina Cristina con l’Imperatore d’Austria Francesco I. Con lui c’è il cancelliere dell’Impero principe di Metternich, il vicerè del Lombardo Veneto arciduca Ranieri e la viceregina; il corteo reale imperiale sfila lentamnente tra la folla plaudente seguito da un largo seguito di carrozze e cavalieri, mentre un cordone di truppe è schierato lungo la strada che conduce a San Pier d’Arena, sino a Genova. In piazza della Lanterna le truppe sono passate in rivista dai Sovrani. Indi il corteo raggiunge...(Genova, ove tutti saranno ospitati nelle lussuose residenze)...Nei giorni seguenti furono effettuate delle regate alle quali parteciparono equipaggi sampierdarenesi»

LA STRADA  antica

  Il nome – in un progetto del Brusco del 1790 – mirante ad allargare la attuale via Rolando (limando le proprietà e lasciando ristretto dove i palazzi) e ad aprire uno “stradone che passa fino à Rivarolo” indicava invece - in corrispondenza dell’attuale via Vicenza - “Principio della strada della Palmetta”.

  Nel regio decreto del 1857 la sovrappone a via W.Fillak: infatti la via a fondo valle che dalla porta Lanterna andava verso Pontedecimo, viene chiamata strada nuova Provinciale, e – nel tratto dell’attiuale zona di san Martino - anche “stradone della Palmetta”. A conferma, nel luglio 1861  un atto notarile riguardante una casa venduta a Certosa, conferma che essa è posta  “in capo al regio stradale, detto della Palmetta”. 

   Negli ultimi decenni del 1800, l’amministrazione comunale decise di dare il nome di via Vittorio Emanuele a tutta la strada che dalla porta Lanterna arrivava sino a Rivarolo ed oltre. Nel 1902 c.a, via V.Emanuele  venne a sua volta frazionata, e questo pezzo fu dedicato al re assassinato diventando via Umberto I. Ed è da questa strada, che il Novella nei primi decenni del 1900 descrive esistere una “via Palmetta” (quindi potrebbe essere qualsiasi di esse, tra le attuali via A.Caveri e  via G.Salinero).

LA PIAZZA attuale

I primi palazzi che delimitarono una piazzetta, distaccandola così dalla strada principale, furono eretti nel 1888 per iniziativa di  imprenditori come i fratelli Rusca (proprietari delle cave di monte Gazzo) e soprattutti di Vignolo Agostino (giudicato “speculatore” perché dopo varie operazioni azzardate andò in fallimento, cosa estremamente grave sempre, ma  a quei tempi assolutamente dequalificante): in quegli anni, seppur in un momento di grave crisi, l’industria già insediatasi nella zona, aveva chiamato tanta manovalanza dalle regioni vicine, il più spesso poveri ed analfabeti, comunque tutti senza una abitazione decente e con gravi difficoltà a pagare una pigione adeguata. L’operazione fu resa possibile dalla lottizzazione dei terreni sia da parte delle ferrovie (che l’avevano ricevuto dal Demanio, il quale a sua volta dal Genio) sia da parte della Carrena stessa che aveva comperato più terreno di quanto gliene occorresse e così se ne disfaceva capitalizzandolo.

   Appare in uno studio comunale anteriore all’anno 1900, una piantina in cui si propone al Comune il toponimo di Palmetta ad una piazza allora senza nome, posta ad ovest di via Vittorio Emanuele (allora, tale via andava dalla Lanterna a Rivarolo ed oltre; ma qui si riferisce allo specifico punto corrispondente a via W Fillak), e creatasi tra i civici (di allora, 51 e 53: quelli delimitanti la piazza oggi); nel dic.1900 viene riproposta alla giunta, col nome di “piazza della Palmetta”,  confermando il nome popolare antico.

    Il desiderio di  non cancellare dalla memoria un nome storico, non significa che la palma –ammesso sia esistita nell’antichità- fosse ubicata nel posto. La titolazione stradale quindi, diviene puramente simbolica, come  via della Coscia.

   Una fonte dice che ospitò la prima pista per gare da ciclismo, negli anni inizi 1900;  la stessa cartina comunale di sopra, segnala un “vico della Pista” in una zona poco più a sud, tra via Miani e via Bezzecca: si presume quindi che in verità la pista fu eretta in quella zona vicina.

   Nel 1910, sulla pubblicazione edita dal Comune, la piazza è descritta ‘da via Volturno verso il Polcevera’, ed aveva civici sino al 5 e 6.

in questa visione (anni 1923-25), presa con il torrente alle spalle, dietro la ciminiera della corderia, si vede la piazza Palmetta (esasperata in grandezza) con al centro il truogolo. A sinistra, ai piedi dei monti, filari d’albero della piazza d’Armi. A destra in diagonale, vico Chiusone.

 

   Nella piazza, prima di essere riassettata,  vengono ricordati negli anni 1920-30 dei trogoli (posti all’estremità sud, ove le massaie andavano a lavare i panni, e ricordati anche da E.Morasso per i pettegolezzi che sopperivano ai giornali ed ai bollettini locali; evidentemente in quegli anni nelle case popolari non esisteva ancora il servizio dell’acquedotto nei singoli appartamenti: le chiacchiere tra comari, favorirono e diedero corpo ad una strana leggenda di fantasmi locali, che la  scarsa illuminazione e la fantasia alimentarono fino a divenire un fatto di interesse generale, dividendo i timorosi da spavalde ronde munite di nodosi randelli; finché non fu chiarito trattarsi di un amante notturno di una sconsolata moglie, di operaio che lavorava nei turni di notte)  e l’entrata di servizio delle corderie (poi della Feltrinelli. L’ingresso principale era in via UmbertoI a livello del civ. 44; vantavano la presenza di 200 operai -maggiormente donne-).

   Nel 1926, momento della unificazione di SPd’Arena con Genova, era l’unica piazza con questa titolazione e quindi non subì variazioni.

   Riconfermata nel 1933, viene descritta  di 5.a categoria, ma con civv. fino al 4 e 7.

   Nel Pagano/40, descritta “da via G.Salineri verso il Polcevera” non ha civv. neri ed ha un solo civico rosso: 4r=Tinelli M. carbonaio.

 

STORIA   Molto anticamente, erano comunque terreni poco abitati, insalubri nella parte più a nord, praticamente fuori del paese e lontani dal centro organizzato e su terreno scosceso. La carta del Vinzoni, e quindi ancora nel 1757, è significativa perché finisce quando descrive  la antica abbazia  di sanMartino: oltre, più nulla eccetto che erano terreni dei Cicala.

Lamentandosi già i paesani sampierdarenesi dell’eccessiva lontananza della chiesa parrocchiale, questi terreni a maggior ragione erano considerati  campagna brulla, acquitrinosa se pioveva e quindi poco produttiva e disabitata (considerando che tutti gli abitanti a San Pier d’Arena nel 1815 erano in 5345); spesso i radi abitanti si dovevano confrontare con i soldati, sia quelli che passavano andando a difendere i confini sia quelli delle guerre d’invasione: ambedue che razziavano tutto quello che trovavano, come bottino e paga, e che spesso per ottenerlo uccidevano e devastavano (difficile doveva essere -e rimanere- fedeli a “mamma Genova” con lei lontana e ben racchiusa nelle sue mura, quando a questi contadini toccava rimanere  lì a subire le angherie e violenze degli armati in gruppo; o -in alternativa- perdere tutti i beni se non anche la vita. Questo perché a fine di ogni guerra, tornavano i soldati genovesi per punire non solo chi avesse favorito o inneggiato alla loro presenza, ma anche chi era stato obbligato a collaborare).

   Per la comunità, il primo punto di riferimento, ovviamente era il parroco di san Martino.

 

   La zona fu travagliata nell’apr.1747: l’ingegnere francese Sicre, maresciallo di campo, applicando quanto già auspicato dal collega Jean-Ubalde de Pène, fece tagliare il territorio, dal torrente Polcevera  al Belvedere, con articolati trinceramenti tutti collegati, alternati da ridotte e postazioni di artiglieria rinforzati da muretti a secco: torneranno utili quando a metà maggio, 70 battaglioni austriaci e 12 piemontesi (60mila, contro 20mila genovesi aiutati da forze gallispani) arrivarono in zona e tra il 12 e 13 giugno attaccarono da tutti i lati Genova. I trinceramenti ed i forti ressero l’urto dei primi attacchi smorzando le prime velleità del nemico, che allora pose assedio da lontano; quando ormai la situazione era giunta agli estremi sopportabili, l’esercito nemico dovette improvvisamente e miracolosamente allontanarsi perché richiamato verso il Monginevro, attaccato da ingenti truppe francesi.

   Nel 1757  esce il libro del Vinzoni con la carta “dell’acquedotti” e relative  proprietà: si vede bene che mentre la fascia lungo la strada (via C.Rolando) è distribuita ad una decina di proprietari, la fascia sotto il Belvedere appartiene – da sud - ai magnifici: Lorenzo Lomellini, fratelli Pinelli, fratelli Grimaldi (GioGiacomo e GioBatta con le loro ville lungo la strada), Giuseppe Lagomarzino con la villa di via Caveri; signori Morci (illustri sconosciuti), magnifici Cicala e Sebastiano Pallavicini. Non passa inosservato che tutta la fascia del crinale da salita Millelire a Certosa  non è descritta nei confini di proprietà personali. Ancora più scarna, limitata a nord sino all’abbazia di san Martino e senza nomi, la carta dell’’Atlante del «Dominio della Serenissima...» del 1773.

   Nel 1781  l’ingegnere militare Giacomo Brusco su proposta delle Autorità locali, tentò risolvere la viabilità del centro del borgo, già allora ‘congestionato’. Propose un rettifilo -poi non realizzato- che si sovrappone all’attuale via C.Rolando e che superata la chiesa di san Gaetano, percorre un ulteriore tratto di duecento metri circa (con a ponente della strada la proprietà dei sig. Ghezzi, poi  altri 200 di proprietà ‘delli mag.ci Rovereti’)  sino all’abbazia di san Martino; oltre la quale, “al principio dello stradone di Rivarolo c’è una zona chiamata ‘la Palmetta’”.

Un’altra relazione di un architetto (Claudio Steracca?) del luglio 1790, che proseguì i progetti del  Col. Cap. Ing.re Brusco,  relativa sia all’eliminazione di tutti i torrentelli e canali d’acqua che attraversavano la via (oggi v.C.Rolando), sia al suo allargamento, scrive “la strada nuova slargata che dalla Piazza del Mercato di S.Pier d’Arena, passa à S.Martino, ed alla Palmetta...”. Ambedue puntualizzano essere punto focale della Palmetta, l’attuale piazza R.Masnata (anzi, la seconda relazione, scrive all’altezza dell’attuale via Vicenza ‘Principio della strada della Palmetta’)

     Ancora nel 1850 la zona era praticamente tutta campagna  con qualche rara casa di contadini, sparsa nei prati con orti e vigneti, tagliata da numerosi torrentelli scarsamente arginati, asciutti od impetuosi a seconda del tempo;  i più grossi prima che sfociassero nel Polcevera erano usati per alimentare dei mulini, anche lui senza argini, a volte in secca ed altre in devastante espansione; solo vicino ai ruderi della abbazia di san Martino, un maggiore agglomerato con le solite osterie.  Il passaggio della ferrovia a metà secolo, aumentò la popolazione locale e conseguentemente la lenta ma inesorabile presenza umana anche nella zona da bonificare; in quell’epoca di metà 1800 nacquero così lungo la strada rade casupole di artigiani  e poi le prime industrie (dei Maclaren & Wilson; in SPd’A si contavano allora circa 13mila anime; c’era  tra le rade case un palazzotto che Thomas Robertson (uno dei primi industriali del ferro ed acciaio) prese in affitto dal marchese Negrotto Cambiaso (proprietario della maggior parte dei terreni della Palmetta); scrivendosi che era aperto sulla strada tramite un giardino, potrebbe essere la palazzina Tuo, al civ.    di via W.Fillak). Ovviamente niente illuminazione, niente acqua in casa, niente scuole, tanta miseria e semplicità; la vita media non superava i 40 anni, essendo altissima la mortalità infantile.

   Alcune carte di fine ottocento-primo 1900, relative all’istituto don Bosco e purtroppo non vaste da allargare sopra  via Cristofoli fino al crinale; descrivono proprietari  dei terreni (ad est): 1876-92 a mare i Durazzo-Pallavicini ed a monte i Montano-Negrotto (i primi furono discendenti di due famiglie importantissime e di origini antichissime feudali: per i Durazzo in quegli anni era MarcelloIV -1821.1904-  che andò sposo –1847- a Teresa Pallavicini –1829.1914- figlia del grande Ignazio proprietario della casa di via Balbi e della villa a Pegli. I due ebbero un figlio, GiacomoFilippo che assunse ambedue i nomi –1848.1921- e che sposò in prime nozze  Masetti Giulia ed in seconde Matilde Giustiniani senza mai avere figli. Matilde quando restò vedova, sposò Pierino Negrotto Cambiaso); 1890-1907, a mare sempre i Durazzo Pallavicini ed a monte i Moro

     Dal 1900 in poi, ci fu un crescere disordinato di modeste fabbrichette (turaccioli, candele, sapone, mulini, cordame), e- con esse- le case per gli operai, magazzini, depositi, capannoni; e via via essendo zona di estrema periferia, tra gli onesti e timorati lavoratori, la massa dei più tristi: disoccupati, avventurieri, beoni, attaccabrighe, ladri, sfaccendati e contrabbandieri (allora c’era il dazio da pagare!).

 

BIBLIOGRAFIA

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