MOSTO                                         piazza Antonio Mosto

 

   Attualmente la titolazione è in Albaro e non più a San Pier d’Arena .

   Agli inizi del secolo 1900, lo spiazzo appare esistere con il nome generico di “piazza Promontorio” (e con l’indicazione dell’esistenza di casa Frixione).   

Appare vincolato dalla Soprintendenza  un cancello e portale di una ex villa Doria poi Moro; forse di questa casa.

   Fu quindi dedicata al patriota: il suo nome appare citato a penna in una aggiunta posteriore alla stampa dell’elenco delle strade cittadine del 1910: “dal corso dei Colli” (poi corso Dante Alighieri, oggi corso L.Martinetti) ”alla via Porta Angeli, con civici sino al 6 e 7”.

  In quell’epoca vi erano delle trattorie, chiamate ‘Caegà’ e ‘Baggetto

  Nel 1926, riscontrando esistere una omonima via in Centro, dal Comune genovese fu deciso il cambio della titolazione che avvenne ufficialmente dal 19 agosto 1935 quando fu  dedicata a Francesco Gandolfi (il cui nome già è accennato dal Novella). Con questo nome ha  persistito sino alla completa personale cancellazione avvenuta nel 1998-9 anche come piazza a sé, per essere considerata ultimo tratto di corso L.Martinetti.

  Al civ. 1r –ancora segnata nella piazza A.Mosto- nel 1940 c’era l’ “Osteria - di - Barabino Attilio / cucina casalinga – vini fini del Piemonte (per vino £.1,6; pane e coperto £.2; pastasciutta £.5; carne alla milanese £.6; rosto con contorno £.5; frutta £.2; tot £. 21,80)

   Sulla facciata del civ. 5, furono apposte :

---una lapide-edicola con in un tondo l’effige della Madonna e sotto la scritta “tota pulcra est Maria”; un altro piccolo marmo sottostante ricorda la data “5 settembre MCMXX”

---una lapide ricordo “Promontorio e Belvedere – ai loro – gloriosi caduti”. Ricordo caduti in guerra   - (a destra)  cap. Molaschi Giuseppe – serg. Mora Fancesco – cap.m. Bevegni Andrea – Bruzzo Agostino – Campodonico R*** - serg. Carlo Scorta***   - (a sinistra) Bruzzo Enrico – Cappanera Antonio – Mascardi GB – Molinari Enrico – Podestà GB – Solenni Mario “ ( ***da ricontrollare i nomi)

 

   Una lapide, ricorda i caduti in guerra del quartiere Promontorio

   Dalla piazzetta, inizia la strada che porta  “alla vetusta chiesa di san Bartolomeo della Costa, che sorge a capo di un ridente poggio, che domina la sottoposta vallata”

 

DEDICATA al genovese, nato il 12 lug.1824, distintosi per le sue scelte fondamentali di vita, tutte  mirate all’unificazione d’Italia.

                          

lapide a Mosto in via Vallechiara a Genova            ritratto

Optò fin da giovanissimo schierandosi a fianco delle idee mazziniane e dell’azione garibaldina, sanando in quanto amico di entrambi, gli eventuali dissidi di “primattori”; Mazzini scherzando, di lui diceva “vi presento l’amico Mosto. Egli non gioca, non beve, non bestemmia, non fuma. Ha solo un vizio: quello... di non averne nessuno”.


Abitava una casa a Genova, in via Vallechiara, ove è posta una lapide con busto bronzeo: “abitò questa casa / Antoniuo Mosto / duce / dei carabinieri genovesi / da Palemo a Mentana”.


Nel 1854 è già presente nel sociale, quale socio della genovese “Società Filantropica Alimentaria”, mirata a combattere il carovita usando il sistema dell’acquisto di merci all’ingrosso e rivendita al minuto a prezzo praticamente di costo.La società visse per un anno e mezzo e costituisce l’abbozzo delle prossime a venire cooperative.

Il 29 giu.1857 partecipò ai moti genovesi con conseguente condanna a morte, che evitò fuggendo all’estero. Seguì amnistia.

Assieme a Bartolomeo Francesco Savi (che morì suicida nel 1865), fondò i Carabinieri Genovesi, specialisti nel tiro con l’arma che si rivelò assai spesso decisiva nel “colpire nel mucchio” falcidiando le truppe nemiche ancora ancorate alla formazione di compatto quadrato, che poi guidò nelle varie spedizioni garibaldine.


 

Furono volutamente dimenticati dalla storiografia ufficiale, perché partiti come mazziniani-repubblicani. Il reparto partecipò a tutte le operazioni dal 1850 al 1870; nacquero infatti agli inizi del 1851 quando –presumo a Genova - fu ufficialmente fondata la “società di tiro a segno”, che promsse l’uso della carabina - con gare ed esercitazioni domencali, fatte a proprie spese compreso l’arma, tra le quali fu preferita –divenendo poi d’ordinanza - la carabina a canna rigata e di piccolo calibro fabbricate in Belgio ed allora in dotazione dei tiratori scelti svizzeri – i quali si chiamavano  scharfschützen o carabinieri).


un Carabiniere genovese (particolare di litografia francese; dopo una fotografia di M.Bellardet).


 


Considerate le spese personali da sostenere, i frequentatori erano piccoli borghesi commercianti o professionisti; pochi i popolani, rari i ricchi (come Mosto, appartenente a famiglia di negozianti). Taciuto è il loro ruolo nella rivolta genovese del 29 giugno 1857 che fallì dopo aver conquistato forte Diamante: il centinaio di arrestati (tra i quali A.Mosto –fuggito- e FB Savi) furono rinchiusi in sant’Andrea e condannati a pesanti pene detentive che scontarono in parte, fino al 28 aprile 1859 quando con la guerra all’Austria furono amnistiati per poter partecipare alla campagna militare, dapprima distribuiti nelle varie compagnie di Cacciatori delle Alpi e solo dopo formando un corpo separato con divisa grigio-azzurra e che fu completato (causa morti e promossi)  da volontari lombardi. Combatterono a Malnate (26 maggio 1859) in 28 contro oltre 400 tedeschi. Nel 1860 erano una quarantina a partire il  maggio da Quarto, e divenne loro comandante  Antonio Mosto (ma non potè essere presente perché condannato a morte – in contumacia- per la parteciazione ai moti del 1857); combatterono a Marsala e Calatafimi, messi in prima fila subendo gravi perdite (15, tra morti e feriti) ma producendone di peggio; fino a Palermo venendo via via rinforzati con altri elementi provenienti da Genova con Pianciani: nel passaggio in Calabria erano un battaglione di 180 con 4 ufficiali. A settembre 1860, Mosto fu reintegrato al comando fino al Volturno ed a novembre quando il corpo fu sciolto perché diventavano leggendari ma sospetti di essere presenti non per obbedienza quanto per propagandare le idee repubblicane. Nel frattempo, le società di Tiro a segno si erano moltiplicate. Ripresa nel 1866 la guerra all’Austria: non furono molto graditi, e  quindi inseriti assieme ai bersaglieri volontari, denominati anonimamente ‘corpo di volontari’, insieme a ginnasti delle soc. Ginnastica genovese; il tutto durò un mesetto (dall’1 al 24 luglio)e si concluse con Custoza col rimpatrio e scioglòimento. Nel 1867 Garibaldi iniziò (con 100 carabinieri inseriti in un battaglione di bersaglieri ecomandati dal maggiore Mosto, raggiunti da altri 300 provenienti da genova) una campagna nel Lazio che durò soli pochi giorni e durante la quale Mosto fu gravemente ferito alla coscia dx. lascando il comando a Luigi Stallo. Il 3 novembre combatterono a Mentana ed  il 5 novembre 1867 Garibaldi li sciolse.

Nell’autunno 1870 i volontari con Garibaldi accorsero a Digione in Francia entrando nell’armata dei Vosgi: qui dovettero cambiare le vecchie carabine divenute obsolete e, quando a febbraio del 71 finirono le ostilità, furono sciolti con la consapevolezza che non sarebbero più stati richiamati essendo stato adottato il servizio militare obbligatorio nazionale. Solo a livello locale rimase in vita la società dei Carabinieri Genovesi, almeno sino alla fine del 1800.

           

                                                              lapide murata a Tursi del “Tiro al bersaglio”

 

Fece pressoché tutte le campagne militari garibaldine, dal 1849 al 1860 in Sicilia (ove a Milazzo fu decorato con medaglia d’oro al V.M. per il comportamento in battaglia quando pur perdendo metà dei suoi carabinieri genovesi, seppe dare l’esempio  reggendo valorosamente la sua posizione. Garibaldi donò a lui ed ai suoi soldati una bandiera italiana ricamata dalle donne napoletane; essa pervenne a Genova nel 1861 ed è gelosamemnte conservata al Museo del Risorgimento,  usata per particolari cerimonie –come il funerale a Mazzini- (dei “mille”, quarantatre (59 scrive Badinelli) soldati portavano quel nome ‘carabiniere’ derivato dall’arma in dotazione di produzione svizzera; dapprima invidiati per le belle carabine federali portate da casa (come pure la divisa) ed usate per le gare di tiro a segno, poi per il nome glorioso che si fecero combattendo: marciavano sempre in testa alla colonna formata dalle otto compagnie dei Cacciatori delle Alpi.

Già allora mostrava più anni di quelli che aveva, causa la barba piena e lunga, sguardo acuto gettato sempre in avanti attraverso gli occhiali con montatura dorata: sembrava “tra un asceta e un archeologo che da quelle parti andasse cercando ove fu Segesta. Quel che valesse per fegato e cuore, chi non lo sapeva, lo indovinava” o lo veniva a sapere dal racconto delle sue gesta: dal suo fare durante i moti, al 1866 quando fu nominato comandante di un battaglione di volontari genovesi (vedi ad Armirotti); al 1867 quando fu ferito a Monterotondo nell’ Agro Romano.

Divenuto uomo politico, partecipò in modo decisivo quale intermediario tra Mazzini e Vittorio Emanuele II (in vista di un accordo tra governo monarchico e partito d’azione repubblicano). Fu attivo nel 1863-4 per la liberazione del Veneto; fu incaricato di presiedere a numerosi comitati.

Nel 1851, a Genova aveva partecipato, divenendo consigliere a fianco di Stefano Canzio  ed altri, alla fondazione della “ società del tiro nazionale per la Provincia di Genova”, avente lo scopo di fornire i mezzi all’esercizio del tiro al bersaglio, preparando provetti tiratori; la società divenne fucina, dalla quale emersero tutti i giovani che formarono il corpo garibaldini dei Carabinieri, e seppero distinguersi nelle varie battaglie, guidati appunto dal Mosto col grado di colonnello, poi di generale.

Nel 1870 si ritirò dalla vita pubblica , dedicandosi al commercio, pur sempre partecipando attivamente -anche economicamente- alla causa dell’indipendenza, e impegnandosi nell’ambito del movimento democratico soprattutto contribuendo allo sviluppo dell’ associazionismo operaio. Il 23 marzo di quell’anno, risulta presente ad una riunione tra cospiratori  del Comitato rivoluzionario, assieme a S.Canzio, ad una riunione con Mazzini venuto a Genova da Lugano: lo scopo era fare il punto insurrezionale, con la agognata méta di una Italia anche repubblicana, ma -più impellente- di Roma capitale, anche se purtroppo monarchica.

A Marsala arrivò come capitano (avendo FB Savi come tenente, S.Canzio sergente, D.Uziel caporale)

Con questo spirito continuò la lotta politico-sociale, sino alla fine  avvenuta in Genova il 30 giu.1890.

   Una lapide con ritratto fu posta a memoria in largo della Zecca (via Vallechiara); ed il busto a villetta DiNegro.

   Esistono un Mosto Carlo, genovesefratello di Antonio che nella sèpedizione dei Mille morì a Palermo sulle alture del Parco: inseguito dai borbonici, stremato, attese il loro arrivo rassegnato e così fu finito a colpi di baionetta. Ricordato in una lapide nell’atrio di Tursi, che fu semplice  milite – incluso nei ‘Carabinieri genovesi’ – sbarcati a Marsala con Garibaldi; quando il nostro Antonio era di essi il capitano (e Stefano Canzio sergente, Uziel Davide caporale). E risulta che fu -sempre quale Carabiniere genovese -  poi  incorporati nei Cacciatori delle Alpi.

Ed un Giovanni Battista Mosto, popolano genovese non imparentato con i precedenti. Analfabeta, si imbarcò sul Lombardo e fece tutta la campana di Sicilia; l’8 novembre 1860 si arruolò nella Regia Marina da guerra e fu lontano dal teatro di guerra così non poté dimostrarne la presenza se non molto dopo, su testimonianza di A.Mosto e S.Canzio e non poté riceverne neanche la pensione.

 

BIBLIOGRAFIA

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