MADDALONI                                            vico Maddaloni

 

   Attualmente è una via  alla Foce.

   Non c’è più a San Pier d’Arena: il vicolo era il più a monte delle piccole traverse  che collegano  via della Cella  con via G.Giovanetti.

Il nome fu sostituito con delibera del Podestà  del 19 agosto1935, con l’attuale via Enrico Uziel.

   Nell’anno 1900 circa, sull’ondata preferenziale delle imprese ed eroi garibaldini quali titolari delle neoformate strade cittadine -conseguenti all’ intensa edificazione- fu proposto il nome di Maddaloni a quel vicolo allora ancora innominato che univa “via della Cella con via A.Doria”.

In quegli anni, nella casa segnata  col civ. 1 e 2, era l’’Opera Pia Oneto’.

   Nel 1910 è segnato nell’elenco delle strade cittadine, “da via Cella a via A.Doria”. con civv. sino al 3.

  Nel 1927 sempre vi compare, classificato di 5° categoria, anche se indirettamente vi si legge la prossima eliminazione essendoci una omonima via in Centro: con l’annessione del suburbio nella Grande Genova, furono eliminati nella periferia tutti  i doppioni di nominativi, sempre a vantaggio del Centro.

    Ancora nel 1933 era di 5.a categoria, e con  tre numeri civici.    Al suo posto era stato proposto anche il nome di “vico della Pace”, ma evidentemente non fu preferito.

 

DEDICATA alla zona di battaglia dei garibaldini, guidati da Nino Bixio, contro le truppe borboniche provenienti da Capua, il 1 ott.1860, mentre Garibaldi era impegnato nel più grande scontro al Volturno. Se i Borboni avessero vinto e fossero passati, si sarebbero incuneati pericolosamente nella battaglia di Garibaldi. I locali ci tengono a scrivere che la battaglia avvenne “ai Ponti della valle di Maddaloni”, zona campana in provincia di Caserta, nell’entroterra di Napoli.

L’impegno di Bixio era semplice: ”tenere Maddaloni. Se occorre, morire”. In diecimila contro più del doppio delle forze nemiche, si aprì una battaglia indipendente, ai margini della più grande battaglia di Garibaldi.

I Borboni volevano passare per arrivare a Napoli: erano truppe di mercenari bavaresi e svizzeri guidati dal gen von Meckel che perdette un figlio nella battaglia: al mattino lanciarono l’attacco, che inizialmente sfondò le linee garibaldine. Solo verso mezzogiorno dopo ininterrotti assalti e contrassalti alla baionetta, la sorte –con Bixio sempre davanti a tutti - si sbilanciò a favore dei volontari garibaldini; alle ore quattordici il nemico era in rotta malgrado possedde numerosi cannoni, riparando verso Dugenta.

Bixio vinse. Senza il Generale, da solo, condusse i suoi soldati al successo, legando a questa battaglia la propria fama di condottiero.

Migliaia furono i caduti d’ambo le parti; solo dopo 29 anni fu eretto a Ponti Della Valle, un ossario a memoria e conservazione.


 

 

Tra essi, il nostro concittadino Quirico Traverso: cadde in località villa Gualtieri ai Ponti della Valle, lo stesso 1 ottobre. Viene ricordato in lapide presso la SMS Universale e sul monumento a Garibaldi in piazza del Monastero. Ma anche numerosi altri genovesi.


 

Dopo aver abbandonato la divisa militare,  N.Bixio  si dedicò alla politica;  ma ben tosto preferì rinunciare anche a  quella, e  -facendosi costruire a Liverpool un grosso piroscafo di 3000 t. -che volle battezzare “Maddaloni”-  , decise tornare alla vita del mare e partire alla ricerca di nuove fonti commerciali con l’oriente.  Nel viaggio, iniziato nel giu.1873, mise prua verso Batavia, ove già in gioventù era rimasto prigioniero dei malesi. I governatori di quella città, lo noleggiarono per il trasporto di truppe da usarsi contro il sultano Actim, di recente ribellatosi agli olandesi; così momentaneamente distratto  dal caricare spezie, stracarico di soldati  mise  prua verso Sumatra. Ma durante il viaggio,  l’eroe fu troncato,  il 16 dic.1873,  da una infezione di colera.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 2493  

-Cappellini A.-Nino Bixio-Ceretti.1950-

-DeLandolina GC.-Sampierdarena-Rinascenza.1922-pag.45

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzogno

-Ferrari GB-Capitani di mare e bastimenti-Tigullio 1939-pag.87

-Internet-battaglia di Maddaloni

-Novella P.-Guida di Genova-manoscritto bbl.Beri 1930-pag. 18

-Pagano/1933-pag.247

 


MADONNETTA                                    crosa della Madonnetta

 

 

Unicamente in una mappa  datata 1847, il torrente e la crosa affiancata -comunemente non conosciuti come rii – esistono col nome “crosa e riva della Madonnetta”.

Non è chiaro se riporta una dizione popolare, relativa al luogo  dove c’era la cappelletta della Madonna della Vista che descriviamo a via L.Dottesio’ (in quanto era collocata vicino a ove ora sorge la chiesa parrocchiale).

Su questa carta è scritta a mano ed a fianco, “via Manin”, ovvero l’attuale via GD Cassni; ma non è proprio precisa perché mentre la nostra crosa finisce presso la facciata di levante della villa Grimaldi di via Dottesio, la via Cassini è 50-100 metri ancora  più a levante). Il torrente fu soggetto a un violento straripamento, descritto alla Madonna della Vista

 carta anonima del 1847

MAGELLANO                                          corso Ferdinando Magellano

 

TARGHE:

S. Pier d’Arena–2734 - corso - Ferdinando Magellano –navigatore– 1480-1521

Corso – Ferdinando Magellano – navigatore – 1480-1521                                                                                                             

inizio strada a ponente

 

QUARTIERE ANTICO: Mercato

 da MVinzoni, 1757.  In fucsia, salita Inf.SRosa; giallo salita sBarborino; rosso, corso O.Scassi

N° IMMATRICOLAZIONE:  2734  (era il n° di piazza capitan Bove)

          

da Pagano/ 1961                                                  da Google earth 2007. in giallo, ponte di via GBMonti;                 .                                                                            celeste, via V. da Gama; rosso, corso OScassi.

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 35060

UNITÀ URBANISTICA: 27 - BELVEDERE

 

CAP: 16149

PARROCCHIA: Cristo Re

STRUTTURA: doppio senso veicolare, da corso O.Scassi a via Vasco da Gama.

 

STORIA della strada: ancora nel feb.1926, -all’atto di annessione del comune di San Pier d’Arena con Genova, con pubblica relazione venne mostrato - studiato dall’ing. Sirtori Pietro, ex assessore e già approvato - di arrivare al corso Roma (oggi O.Scassi)davanti  all’ospedale tramite una salita che , sul versante ovest dall’abbazia di  san Bartolomeo all’altezza di Promontorio avrebbe proseguito in quota 40  fino al Campasso e Rivarolo; non era ancora in previsione quindi  passare dal Corso Dante Alighieri (ex dei Colli - attuale Martinetti).

Solo circa nel 1935 si decise arrivare alla quota 40 anche da corso D.Alighieri (L.Martinetti), aprendo via Vasco da Gama  e completare corso Magellano, i cui palazzi a fianco nel 1936 appaiono già eretti.

   La titolazione al marinaio fu decisa dal Consiglio comunale il 7 genn.1955.

   La strada, procedendo verso ponente inizia: a destra da dopo la gabina degli ascensori  e finisce coprendendo il palazzo d’angolo, con via V.de Gama; a sinistra inizia - allo sbocco di salita s.Barborino - con una scala a più rampe, che la collega con la sottostante via La Spezia; e finisce all’incrocio con salita Inferiore s.Rosa.

   Nell’angolo con corso O.Scassi c’è una costruzione di ingresso ai due ascensori che portano in via A.Cantore. Non avendo numero civico viene scelto descriverla in corso O.Scassi.

===civ. 3 La CHIESA, dedicata a Cristo Re (per esteso: “Gesù Cristo, re dell’universo”), una delle nove del Vicariato locale.

Dalla Curia competente nel 1958, fu prospettata come nuova parrocchia nel quartiere di Quota  40, allora in rapida espansione (case alveare, assenza di spazi di posteggi sufficienti e punti di aggregazione sociali, viabilità convulsa –anche ‘urgente’ per il pronto soccorso dell’ospedale confinante). 

La zona era in quel tempo inclusa ai confini dei territori di competenza delle chiese della Cella, Grazie e Promontorio. Così, nel fondo del civ.2 di corso Magellano, una ampia sala venne adibita a novella chiesa ed il 23 ago.1958 iniziò il servizio religioso, affidato a don Ciclic Riccardo  che ne prese ufficiale possesso nel novembre dello stesso anno.

 

orti, sui quali sono sorti la chiesa, la strada e i palazzi

Nell’estate successiva, iniziarono i lavori di sbancamento della collina (progetto dell’arch. Alessandro Braghieri, coadiuvato da arch. Ferreri Valentina e Raffetto MTeresa; affidato all’impresa Schiappacasse; su terreno di 1000 mq, di proprietà dell’ ospedale - che lo vendette alla Curia), seguiti dai lavori di erezione  (impresa Stura; prima pietra posata da mons.Siri il 30 ott.1960).

 S

ingresso principale                                                       retro, da finestra dell’ospedale

 

Sorse un edificio di m.18x24 di base, ad unica navata composta da piloni in cemento armato che si incrociano in alto. Ampi finestroni garantiscono una buona illuminazione naturale di base. Un battistero è collocato in un vano a parte, raggiungibile con un breve passaggio. Completata con parziale aiuto economico dello Stato nel 1966, ma pur sempe in notevole economia, fu inaugurata (incompleta) con benedizione arcivescovile il 29 ott.1966.

   Dopo don Riccardo Ciglic parroco fondatore ed oggi aiuto pastorale) nel 1997 subentrò don Moriani Silvestro aiutato dal vechio parroco.

L’11 febbraio 2001, un vento particolarmente teso riuscì a piegare pericolosamente la croce posta sulla sommità del tempio, obbligando rimuoverla in attesa di riparazione.

   Negli iniziali anni 2000, fu elaborato un progetto di adeguamento (partendo dal giudizio di ambiente dimesso e privo di identità, ed in seguito alla nuova riforma liturgica che prevedeva un ‘adeguamento’ delle chiese, furono inseriti riscaldamento ed arredi che dessero il senso del trascendentale e della presenza di Dio tramite possibilità di raccoglimento,  ecc., detta ‘concinnitas, ovver rapporto tra forma e funzione, spazio e confort). Fu studiata la possibilità di alzare - onde rendere meglio visibile - il presbiterio; porre sulla parete di fondo dello stesso una controparete in pietra, detta ‘luna’ dal colore chiaro-delicato che facesse da contrasto alla pietra detta ‘supai’ più nivea, dell’altare e dell’ambone; sopraelevare e rendere meglio visibile anche il battesimale  -in pietra supai, e con catino in rame; reintonacare le pareti già tali, con colore beige lasciando le parti verticali con cemento a vista ma più chiare, come a evidenziare una croce i cui bracci vanno in verticale (dall’ingresso all’altare) e trasversale; pulire le vetrate policrome; lucidare i pavimenti. L’operazione è stata terminata nell’ottobre 2008.

   

    La festa  del titolare ricorre l’ultima domenica di novembre (ultima dell’anno liturgico); ma particolare solennità acquistano anche le feste della Maternità divina della Madonna (il 1 gennaio); di don Bosco e di altri santi.

   Nel territorio si contano circa (da 5mila iniziali) 9mila anime; e come struttura religiosa aggregata, la cappella nell’Ospedale civile intitolata alla “Regina Mundi” ed il cui cappellano è don Parodi Pasquale.

   La parrocchia comprende 84 caseggiati delle strade adiacenti, compreso tutto l’ospedale affiancato, per una popolazione di 9000 anime circa. Fanno parte della comunità varie associazioni come la Conferenza di san Vincenzo de Paoli, l’apostolato della preghiera, un laboratorio, l’Azione cattolica e varie attività giovanili (tra i quali una cantoria).

  Sono ospitati arredi d’arte  interessanti, tra i quali  ---una Via Crucis in bronzo (opere dell’artista Elsa Bifoli-Lauro, genovese, nata nel giu.1907, compiuti gli studi all’ Accademia Ligustica, lavorò intensamente come pittrice per molte esposizioni, e scultrice anche per monumenti funerari); due statue in carta pressata di sant’Antonio  e Cristo morto;  un trittico con al centro la figura di Cristo Re, dapprima posto sull’altare maggiore e poi spostato sopra la porta della sacrestia; un crocifisso processionale in rame argentato e smaltato (dello scultore Nani, di Bergamo); una statua di san Giovannino, un bronzo raffigurante Gesù seminatore; un dipinto del sacro Cuore attribuito a Mattia Traverso;  due Angioletti lignei attribuiti alla scuola del Canova; altri dipinti, paramenti, reliquiari  ed oggetti sacri genericamente preziosi.  Nel 2008 è stato aggiudicato un ‘Cristo crocifisso’ giudicato capolavoro della metà del quattrocento, (arch GLuca Zanelli, esperto della Soprintendenza Beni Stor-Artist e Etnoantropologici della Lig.).

Dopo il ritrovamento nel sett/74 tra macerie e detriti, in viale Sauli civ.61, in san Vincenzo, fu disposto donarlo alla - da poco ultimata dall’arch. Giorgio Gnudi - chiesa di Cristo Re. In essa, fu collocato in posto defilato in attesa di restauro. Arrivato il momento,  fu affidato al restauratore Nino Silvestri che si accorse delle qualità ed antichità dell’opera (definito “di impatto forte, suggestivo e unanime”, “ci si trova di fronte ad un’opera straordinaria per tecnica e forza espressiva, eseguita da abile scultore nella cura dei particolari, specialmente il dettaglio della bocca dischiusa a mostrare la dentaura”; si è supposto ‘una scultura ripresa dal vero, di un cadavere umano’). Ricerche iniziate per conoscerne la provenienza naturale, si sono rivelate infruttose per cui prevale l’ipotesi di una proprietà privata o di qualche cappella distrutta durante i bombardamenti del secondo conflitto mondiale. L’opera, finito il restauro nel sett/08, prima di essere portata nella chiesa, è stata esposta al museo diocesano (dove l’ufficio Arte Sacra ha promosso incontri di approfondimento e visita).

Da data non specificata, l’edificio è vincolato e tutelato dalla Soprintendenza.

 

 

     

 

CIVICI (in crescendo, da levante a ponente)

2007= NERI   =  da 1 a 11 (compresi 1ABCD)

                            e da 2 a 6, e da 14 a 20

           ROSSI =  da 5r a 49r (compresi 5Ar, 11AHr; mancano 1r, 3r)

                            e da 2r a 100r (mancano 92r→98r)

===civ. 1  costruito circa nel 1965, fu assegnato nel 1961 alla porta allora senza numero. Tutti gli altri civici uno, caratterizzati delle lettere dell’alfabeto da a a d; si sviluppano in unica strada che inizia da fianco della chiesa, passa retro ad essa e, a tornanti arriva sino in cima dove questa appendice finisce chiusa. Lungo essa non ci sono servizi né posteggi risicati al millimetro, escluso un cancello che... permette raggiungere le camere mortuarie dell’ospedale anche da questa parte. Tutto questo fu oggetto di polemiche con i civici che si affacciano su questo servizio, ma al massimo ottennero una tettoia.   Furono eretti l’ 1a ed 1b, nel 1964 ; 1c, nel 1965 ; 1d, nel 1966.

 

inizio della deviazione con i vari numeri 1

===civ. 2,4,6 eretti nel 1957. Il civ.2 ospitò nei suoi fondi le prime attività della nuova parrocchia di Cristo Re. Al civ. 4/23, nel 2002, compare un punto di aggregazione ecclesiale chiamato “Gioventù Mariana femminile” con Ciarla Giuliana responsabile

===Il civ.3 nel 1962 ; il civ. 5 fu eretto nel 1958

===civv. 7, 9, 11  appaiono eretti rispettivamente nel 1957,1957,1956.

===civ. 16  del 1955, si apre con un portone anche in via La Spezia.

===civ.18 fu assegnato nel 1958, quale secondario al civ.10 di via LaSpezia.

===civ. 20 fu ‘sottratto’ a corso O.Scassi nel 1955 all’atto della titolazione stradale. Possiede un’entrata secondaria nella scalinata. Sul portone c’è una immagine sacra moderna.

 

DEDICATA Al navigatore portoghese detto italianamente Ferdinando Magellano, in portoghese Ferñào (o Ferñam) de Magalhàes (o Magallañes o Magagliañes),  nato a Sabrosa nel 1480.

   Ricordato perché con una nave fu il primo a fare il giro del globo ed a dimostrare in pratica la discussa sfericità della terra, tema già proposto da Colombo ma non dimostrato.

   Prese parte a numerose spedizioni dirette in oriente, viaggiando con Almeida (1505), Pereira e con AlfonsoAlbuquerque (Madagascar e Ceylon) nelle Molucche (o ‘isole degli aromi’; 1517),  trovandosi spesso in situazioni estreme, sia di mare che di combattimenti contro ostili o pirati, rimanendo più volte anche ferito.

   A casa, dedicatosi agli studi cosmografici, concepì il disegno di raggiungere l’oriente passando dall’occidente: offrì il suo progetto al re spagnolo  (causa dissapori col re portoghese Emanuele I; a cui succedette il figlio Giovanni III nel 1521) ritenendolo il più interessato in quanto già in possesso di varie colonie sparse sul tragitto ed all’arrivo: gli propose occupare a suo nome quella parte di Indie Orientali (facenti parte delle Molucche), battendo una rotta tutta nuova e diversa da quella dei portoghesi  (in Portogallo, un re era detto Enrico il Navigatore; al suo servizio aveva il genovese Antoniotto Usodimare 1415-61, il veneziano Alvise Cadamosto (1432-88=Africa occid. fino a Capo Verde); Alfonso de Albuquerque (che si spinse fino a Ceylon); Vasco de Gama (che arrivò in India). In Spagna il re Ferdinando d’Aragona con Isabella di Castiglia, vinti i mori (1492) ebbero a servizio il veneziano Sebastiano Caboto (1477-1555) e diedero via libera ai ‘conquistadores’ Hernando Cortès (Messico), Francisco Pizarro (Perù). Seguì Carlo V (1500-59, con l’impero su cui non tramontava mai il sole: l’Evo Moderno; favorì l’evento di Magellano, portoghese).

   Furono necessarie, sia l’iniziale nomina - ottenuta da Carlo I di Spagna (il quale contemporaneamente fu riconosciuto anche come re d’ Alemagna col nome di Carlo V); la situazione era ingarbugliata: gli spagnoli, che diffidavano di un portoghese, e sia titubanti di affidargli delle navi con marinai anche loro portoghesi – che in gran parte furono sbarcati - e sia imponendogli un ispettore generale, detto ‘vehedor’ come suo pari grado; i portoghesi, che lo trattavano da traditore e quindi passibile di punizione e che comunque ostacolarono il più possibile la missione;  e sia la concessione di 5 navi battezzate sant’Antonio (di 120 t. ove navigavano il ‘vehedor’ Juan de Cartagena e due italiani)Trinidad (di 110 t. ammiraglia con le insegne del comandante generale, aveva 10 italiani tra i quali i tre sottodescritti)Conception (di 90 t.; comandata dallo spagnolo Gaspare de Quesada, con un italiano)Victoria (di 85 t.;comandata dallo spagnolo Luigi de Mendoza, con 5 italiani; sarà la nave che tornerà al comando di Sebastiano del Cano)Santiago (di 75 t.; comandata dal portoghese Giovanni Serrano; con 4 italiani); e l’armamento di 262-5 marinai (di cui 178 spagnoli, 23 italiani, 61 di nazionalità mista  quali portoghesi, fiamminghi, tedeschi, francesi).

Sulla Trinidad ci furono Leon Pancaldo (savonese, 1490-1538; partito con l’incarico di ‘sobresaliente’, divenne poi ‘pilota’; riportò la nave in Spagna dopo circa 10 anni), Antonio Pigafetta (vicentino, già Cavaliere dell’Ordine di Rodi, storico-sobresaliente-poi criado=addetto alla persona del comandante della spedizione; a bordo, raccontò la tragica ed avventurosa circumnavigazione con la verità giornaliera dei fatti) ed i ‘ginovés’ GB da Ponzerone (SestriLev. 1485- ; nostromo sulla Trinidad. Nel ruolino è chiamato Juan Bauptista de Punçozol, natural de Çestre que es ne la ribera de Génova. Anche lui tenne un ruolino di marcia, detto ‘roteiro’ che poi integrò la relazione finale di Pigafetta) con suo figlio Domenico (Altri scrivono che tra gli italiani c’erano un Giambattista di Polcevera, e Baldassarre pilota maggiore, e forse anche Francesco Calvo contro mastro, e un Martino de Judicibus).

Pare infine che lo scopo della missione stipulato tra Magellano e le Autorità spagnole, fu ritenuto segreto da non comunicare ai vari comandanti; questo, sommato a problemi di nazionalità tra comandanti stessi ed alla rotta incerta, fu motivo poi  di grandi incomprensioni e ribellioni.

1==Partiti da Siviglia, abbandonarono le coste europee a Sanlùcar de Barrameda all’alba del 20 settembre 1519 (altri dicono 1518; altri da San Lucar di Tenerife; Spotorno dice il 10 agosto 1519 dal canale di Siviglia), con meta: l’ignoto.

Costeggiò l’Africa sino a Sierra Leone (qui il primo ammutinamento del comandante della s.Antonio che da Tenerife voleva andare subito ad ovest: fu destituito e messo in catene. E l’impiccagione di un quartiermastro omosessuale), traversò l’Atlantico seguendo la linea equinoziale,  diretto inizialmente verso il Brasile (ove arrivò il 13 dic. 1519, nella Tierra di Santa Cruz; Brazil fu il nome dato al territorio nel 1500 dallo scopritore portoghese Cabral, e significa ‘legno tinto’).

2==Da qui, iniziò costeggiando verso sud raggiunse (10 gennaio 1520) Rio de la Plata (Giovanni Diaz de Solis fu il primo ad arrivare nel 1515 ed a così battezzare l’estuario del fiume; chiamò la zona ‘mare dolce’ poco prima di essere catturato dagli indigeni, e da loro mangiato arrosto), per -scendendo a sud e superando varie e terribili tempeste ed uragani- arrivare a svernare dopo 192 giorni di navigazione, a Puerto San Juliano fino a Pasqua (31 marzo 1520 ). Mentre provava, con le navi più piccole, tutte le insenature ed imboccature alla ricerca del passaggio, durante i 5 mesi di sosta a san Giuliano dovette superare una seconda ribellione di  tre comandanti (poiché congiuravano per tornare indietro, furono  processati ed abbastanza spietatamente uccisi in tre modi diversi: fece pugnalare Mendoza dall’ufficiale addetto alla giustizia (chiamato merinho mûr); decapitare Quesada, ed  abbandonare a terra  da solo il primo ribelle Giovanni da Cartagena).  Ripreso il viaggio verso sud, a Capo Santa Croce alla foce del rio omonimo,  perdette il più piccolo vascello Santiago (carico di viveri, per naufragio sugli scogli).

Durante l’esplorazione dell’imboccatura (battezzata ‘insenatura o baia delle Undicimila Vergini’), trovarono il canale che separava la Patagonia (così chiamata per le rozze calzature di pelle) dalla terra del Fuoco (così chiamata per i molti fuochi visti accesi di notte) e che poi sarà il vero passaggio: “sempre acqua salata sulla rotta ad ovest!”.

Fu qui che la più grande di tutte le navi, il sant’Antonio, si ammutinò al nuovo comandante de Mesquita; il pilota Esteban (Stefano) Gomez,  riuscì a scappare furtivamente per tornarsene in Spagna ed attribuirsi il merito della scoperta del passaggio. 

3==Con le tre navi rimaste , il 21ott.1520 imboccò lo stretto (a cui poi fu dato il suo nome), lo superò nei primi di novembre (dapprima inviò un battello in avanscoperta; ad esso tenne dietro l’ammiraglia), iniziando per primo l’attraversamento dell’oceano –allora chiamato ‘mar del Zur’ e che lui stesso ribattezzò ‘Pacifico’ perché gli permise una rapida navigazione con correnti e venti favorevoli, ma di non prevista  lunghezza.

4==seppur favoriti dal vento, a parte terre ‘desventuradas’ -perché scogli brulli, disabitati e senza risorse-avvistati il 13 febbraio, raggiunsero le prime isole dopo tre mesi e venti giorni di fame, sete e malattie (specie lo scorbuto) il 6 mar.1521 (oggi sono le Marianne, di cui la più grande è l’isola di Guam; inizialmente fu chiamata “las Velas “ ossia “dei ladroni” perché nella sosta gli abitanti tentarono di rubare persino lo schifo della capitana). 

5==Trovarono, un’altra isola che battezzarono ‘dei Buoni Segnali’ perché ritenuta di buono auspicio essendo più ospitale e con pepite d’oro. Il 7 aprile furono sull’isola di Malhu (battezzata “san Lazzaro”, inclusa in un grande arcipelago da loro battezzato ‘Isole della Valle Senza Pericoli’;  poi divenuto Filippine, in onore di Filippo d’ Austria , figlio di Carlo V).  Da qui, all’isola di Mecangor (ricevuti con buona accoglienza); all’isola Cebu (ove re e sudditi si convertirono al cristianesimo ed accettarono subordinarsi al re di Spagna); poi (tentando continuare a sottoporre le isole al governo spagnolo e convertirne la popolaziomne), il 27 aprile 1521 sbarcarono nell’isola di Matan (o Batan o Bactan posta all’estremo nord). Qui la popolazione si ribellò loro, manifestando avversione; per insistere furono armati tre battelli che, sbarcati si trovarono sessanta contro mille e più indigeni: nello scontro Magellano, di soli 41 anni,  venne ucciso da una freccia (Brusco scrive “colpito al capo da una grossa pietra, rotta una coscia da un’altra, cadde sotto una pioggia di lance”. Altri ancora scrivono che Magellano partecipava ad uno scontro tra due tribù, una comandata da Humabon da lui convertito, e l’altra ostile).

Il portoghese Duarte Barbosa, parente di Magellano, gli successe al comando, e Giovanni Serrano divenne pilota. Ma le tribolazioni non finirono: tornati a Cebu, trovarono ostile la popolazione accusante i marinai di aver violentato le donne e di aver voluto “scambiare l’oro alla pari col ferro”; alcuni traditori si  erano alleati col re avversario, facilitando la morte di 25 compagni: vennero trucidati in un agguato pochi giorni dopo; tra essi il timoniere Serrano che, prigioniero e legato urlava lo riscattassero ma che –per paura o gelosia di comando- fu abbandonato dai compagni.

Le tre navi riuscirono a riprendere il largo ma la carenza di marinai, contandosi in 115 presenti (con 147 morti), rese giocoforza abbandonare la Conception, incendiandola.

6==Assunse il comando prima Lopez de Carvalho, poi deposto a favore di Gonzales Gomez de Espinosa, sulla Trinidad (mentre sulla Victoria prese il comando Juan Sebastian Elcano (o DelCano) già primo ufficiale della Conception e già in catene avendo parteggiato con de Cartagena). Il nostro Juan Bauptista de  Ponçoron divenne ‘governatore dell’armata’. Ma il passaggio di comando e la perdita del motivo di missione, favorirono l’esercizio di atti di pirateria e sacche ggio (durante la visita ad altre isole delle Filippine) ma ciò anche alle Molucche (sia in Borneo, che Celèbes ed in Palau; in quest’ultima fu compiuta razzia arrivando a catturarne il governatore) ove arrivarono l’8 novembre1521 (dopo 2anni 2mesi e 28 giorni dalla partenza) prendendo coscienza di essere arrivati circumnavigando la terra.

Quelle isole erano  dominio portoghesere e gli spagnoli della spedizione trovaro vantaggioso approfittare dello scontento, sia per proporre vassallaggio al re di Castiglia, sia per avere carico di doni e di spezie (chiodi di garofano, noce moscata, sandalo e oro ) che dovevano andare ai portoghesi

ed in cambio di fortificazione dei porti. Così a stive ripiene, il 16 dicembre decisero tornare in Spagna, sperando non incontrare i portoghesi; erano rimasti in 113 distribuiti 53 sulla Trinidad e 60 sulla Victoria (sulla quale trasferiti il Pigafetta e GB.da SestriL. col figlio)

7A==Nella navigazione, la Trinidad  dovette rimanere indietro per una falla; tutta la sua storia si è risaputa solo nel 1895 quando il ricercatore  genovese prospero peragallo trovò nell’archivio di Lisbona una lettera inviata al re di Spagna (evidentemente catturata dai portoghesi, ma per fortuna rubricata) da Leon Pancaldo e da GB da Ponçoron, prigionieri dei portoghesi in Mozambico.

Causa la falla, si accordarono perché la Trinidad tornasse indietro a ripararsi (occorsero altri 4 mesi e 16 giorni) e che tornasse a casa seguendo la rotta a levante, riattraversando il Pacifico per non incontrare portoghesi: l’ipotesi iniziale era arrivare a Panama, trasportare la merce a dorso di mulo per riprenderla dalle Antille a Castiglia. Così, il 6 apr.1522, partiti da Ternate (con Gonzalo Gomez de Espinoza al comando; presenti Leon Pancaldo e GB di Ponzerone e 51 marinai), incapparono in pieno Pacifico o a terribili ‘ristagni equatoriali’ o a tempeste inaudite: malattia, fame, fatiche, ridussero l’equipaggio a 30 uomini, al punto che dovette rinunciare a procedere verso levante e tornare all’isola dei Ladroni. Qui giunti, alcuni membri dell’equipaggio fuggirono. Fu deciso tornare a Ternate, ma nel frattempo questo porto era stato riconquistato dai portoghesi con a capo il generale Antonio de Brito. Questi catturò l’equipaggio stremato dei quali, solo sette erano ancora in possibilità di servizio. A suo piacimento, dopo averli minacciati di ‘cortar la cabeza’ perché al seguito di un traditore, li tenne prigionieri per quattro mesi trattandoli da schiavi e come tali li portò a vendere a Cochino in India ove ristettero per altri dieci mesi in condizioni di estremo disagio anche se soccorsi da benevoli stranieri. Qui, sia Leon Pancaldo che GB da Ponçoron riuscirono a fuggire aiutati da missionari; ma –quando già sulla nave Santa Catterina- un guasto obbligò andare a sostare a Mozambico (colonia portoghese) ove furono scoperti, accusati di evasione e rinviati in catene in India; anche questa nave dovette ritornare a Mozambico per avarie; così  furono trattenuti in stato di prigionia stretta, tanto che GB si ammalò e non si riprese più, morendo di stenti e sofferenze; tramite sempre missionari, avevano tentato inviare lettere a CarloV che però mai le lesse essendo finite in mano portoghese. Più fortunato fu invece LeonPancaldo che riuscì a intruffolarsi clandestino sulla nave (italiana?) Francesco Perero, ove si fece trovare in alto mare e dalla quale si fece sbarcare in Portogallo. Per conto di CarloV fu sottoposto ad inchiesta: è datata 2 agosto 1527 una sua deposizione, resa alla curia di Ciudad Rodriguez, insieme al capitano Gomez Gonzales de Espinosa che già era rientrato in patria.

7B==Invece la Victoria con a bordo il Pigafetta e pochi  altri genovesi riuscì seguendo una rotta ormai nota a traversare l’oceano Indiano e doppiare il Capo di Buona Speranza, con equipaggio dimezzato dalle malattie (tra cui Domenico, figlio di GB). Ma dovette approdare il 9 luglio a capo Verde, possedimento portoghese, ove 13 di loro furono trattenuti  prigionieri (poi processati a Lisbona). Poté ritornare in Spagna il 6 settembre 1522 con solo 18 marinai (Spotorno riferisce apprendere da scritti dello storico spagnolo Herrera, che quel giorno sbarcarono a S.Lucar  in 30). Il comandante Juan S Elcano tacque di Magellano arrivato alle Molucche e quindi autore del periplo; così, dal re spagnolo si prese tutti gli onori dell’impresa (tra cui uno stemma nobiliare con il globo terracqueo ed il motto “primus circumdedisti me”). Ma la relazione del Pigafetta, fece giustizia postuma con riconoscimento dell’ impresa di Magellano, anche se da lui personalmente interrotta prima del ritorno (quando l’ultimo terzo di rotta era però già conosciuto, anche se con i portoghesi padroni di quei mari)

   Raggiungere l’oriente passando dall’ovest si rivelò per allora inutile perché troppo lontano e lunga la navigazione; ma le risultanze scientifiche furono enormi:  si dimostrò la rotondità della terra; il passaggio a sud dell’ America; la vastità del Pacifico;  la scoperta di nuove terre; l’inesistenza di altre terre presupposte da studiosi tolemaici.

   Per tutte queste rivoluzionarie scoperte, Magellano viene universalmente riconosciuto come uno dei  più grandi navigatori di tutti i tempi; ed è il simbolo internazionale di marineria.

 

BIBLIOGRAFIA

-Agenda pastorale di servizio-il Cittadino-anno 2010-23sett.1nov.

-Archivio Storico Comunale - Toponomastica scheda 2508

-AA.VV.-Scultura a Genova e in Liguria-Carige-III-pag.285

-AA.VV-Annuario-guida archidiocesi di Genova-1994.415; 2002.453

-Brusco C.-GB da Ponzerone nostromo di Magellano-Bibl.ACompagna.XVII

-Enciclopedia  Motta

-Enciclopedia Sonzogno

-Ferrero L.-Il Cittadino- del 21.09.08-pag.24

-Gazzettino Sampierdarenese  9/78.9

-Il Cittadino, settimanale-07.10.1997 p.12 + 12.10.08-pag.12 -

-Lamponi M.- Sampierdarena -. Libro Più.2002- pag. 186

-Orengo&Zanelli-Lazzaro Calvi, san Martino...-Silvana 2009-pag. 20.21

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.34.35

-Roscelli D.-Nicolò Barabino-Soc.Universale.1982-148=solo citata chiesa  

-SpotornoG-storia letteraria della Liguria-Forni.1972-vol.IV-pag.169

-38.103=non c’è

 


MAGELLANO                         scalinata  Magellano

 

TARGA:

San Pier d’Arena –scalinata–Magellano– navigatore-esploratore– 1480-1521

S.Pier d’Arena – 2871 - Scalinata Magellano

 

targa  all’apice della scalinata

 

 

in angolo con via La Spezia

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   non c’é

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   35080

UNITÀ URBANISTICA: 27 - BELVEDERE

              da Google Earth, 2007. In .da Pagano/1961                                           rosso, via LaSpezia; giallo, corso Magellano

 

CAP:   19149

PARROCCHIAera di s.Maria della Cella ora è Cristo Re

STRUTTURA: raccorda via La Spezia con corso F.Magellano.

È una  ripida scalinata di oltre 130 scalini.

Permette di valutare  sia lo sbalzo che la ripidità del terreno, non apprezzabili altrimenti, causa la presenza dei caseggiati.

Fu denominata con delibera del 22 marzo 1957.

CIVICI:

2007= civv. 2 e 4

===civ. 2 , assegnato nel 1961 quale secondario  al civ. 20 della via omonima .    

DEDICATA  vedi a: Magellano,  corso F.-

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale -  Toponomastica scheda 2509

-AA.VV.-Guida archidiocesi- ed./1994-pag.415; ed/2002-pag.453

-Lamponi M.- Sampierdarena – Libro Più.2002 – pag. 187

MAGENTA                                          vico Magenta

 

 

   Poco prima dell’anno 1900, fu deciso dare questo nome al vicolo - già volgarmente detto “vico del Cè” , posto tra via Galata (via Pietro Chiesa) e via Vittorio Emanuele (via Buranello)-piazza N.Barabino.

In quegli anni c’era un unico civ. 1, ove abitavano gli eredi Sommariva.

   Nel 1910 è incluso nell’elenco delle vie sampierdarenesi “da via Galata a via Vitt.Emanuele” con solo il  civ. 1.

   Nell’elenco delle vie del 1927 edito subito dopo l’annessione, compare il vicolo sampierdarenese, classificato di 5a categoria, ma prossimo ad essere cambiato a vantaggio della omonima genovese di prima categoria.

   Nel 1933 era sempre di 5.a categoria e  con un solo numero civico nero.

  Fu  deciso con delibera del podestà il 19 ago.1935 la variazione con l’attuale ‘via della Coscia’ e da SanPierd’Arena il nome è scomparso, rimanendo ad una via in Castelletto.

 

DEDICATO alla città  in provincia di Milano, posta sulla sinistra del Ticino, presso cui venne combattuta una aspra battaglia nel corso della seconda guerra di Indipendenza, il 4 giugno 1859, tra 55mila soldati franco-piemontesi comandati da P. Mac-Mahon con la presenza dell’imperatore Napoleone III, contro 50mila austriaci, comandati dal maresciallo F. Gyulay. 

L’esito rimase incerto sino al tardo pomeriggio quando entrò in linea un corpo di armata del generale francese Mac Mahon, fiancheggiato dalla legione sarda del generale Manfredo Fanti: queste truppe fresche, assalendo d’impeto il fianco destro del nemico, decisero la rotta degli austriaci che dovettero ripiegare verso le loro terre comprese nel Quadrilatero, ed  aprendo così la via di Milano - ed il giorno 8, la città stessa - alle truppe francesi ed italiane, con i loro comandanti,  Napoleone III e Vittorio Emanuele.

Un ossario, raccoglie i resti delle numerose vittime della battaglia, delle quali molte morirono perché non esisteva alcun mezzo né iniziativa di soccorso.

Il gen. Mac Mahon venne nominato duca di Magenta .

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 2512

-DeLandolina GC.-Sampierdarena-Rinascenza.1922-pag.45

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzogno

-Novella P.-Strade di Ge.-Manoscritto bibl.Berio.1900-pag.18

-Pagano/1933-pag.247

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1048
MALCONSIGLIO                     crosa del Malconsiglio

 

si riferisce ad una stradina già conosciuta prima del XIII secolo, che dal dosso del colle di san Benigno, scendeva nel borgo attraverso il fossato di san Bartolomeo.

Fu descritta “ via sive crosa mali consilii, ad ruverascum et inde ad sanctum Bartholomeum et inde ad sanctum Petrum de arena” (la traduzione è «via, ossia crosa del malconsiglio, che va  al dirupo e quindi a san Bartolomeo e da lì a SanPierd’Arena».

NB in latino la parola ruverascum non esiste, quindi è un latinismo, da rupes ovvero dirupo).

Il nome non nasconde le gravi difficoltà a percorrerlo, e può corrispondere benissimo all’ attuale ripida e sconnessa ‘salita ai Bastioni’ (vedi), in realtà meno di una mulattiera.

Sul Pagano, un simile percorso è citato sotto la voce “Aurelia”.

NB: mentre le altre strade dopo il nome sono specificate con “(via)”, oppure “(vico san)”, questa è così descritta: “(baracche poste sotto le mura) categoria 6ª (dal versante di Sampierdarena a via di Francia”. Corrisponderebbe allora alla via sotto le Mura degli Angeli.

In altri testi, era la antica «Rompicollo» (vedi).

Essendo tutti nomi popolari, ognuno è plausibile, in quanto tutti indicativi di un percorso assai disagevole.

BIBLIOGRAFIA

-Rivista Genova:   11/38.38

-Pagano/1933-pag.244


MALFETTANI                            via  Mario  Malfettani

 

 

TARGA: via - Mario Malfettani

 

angolo con via GB Monti

   

angolo con via Dattilo

  

angolo con via F.Anzani 

  

angolo con  via  C.Rota                                                      

QUARTIERE ANTICO: San Martino

 da MVinzoni, 1757. Ipotetici tracciati: in fucsia, via GBMonti; celeste via CRota; rosso, via sGBosco; giallo, via PCristofoli.

 

N°  IMMATRICOLAZIONE:  2795,    CATEGORIA:  2

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 35420   (sull’ elenco strade della Toponomastica ed.86  viene  chiamato Mauro)

UNITÀ URBANISTICA:  25 - SAN GAETANO                                                             

 da Google Earth 2007- In celeste via GBMonti; rosso, via CRota

 

CAP: 16151                                                                                                                                                                                                                                                                 

PARROCCHIA: NS del ss.Sacramento            
STRUTTURA:    da via C. Rota,  a via G.B.Monti; in tale direzione,  senso unico veicolare.

È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera.

 

STORIA: A fine 1800, la lottizzazione di tutti quei prati ed orti, precedentemente facenti parte della proprietà di Ferdinando Spinola e dell’abate Spinola q. Nicolò, permise ad imprenditori edili di erigere palazzi e delimitare nuove strade, tra le quali la nostra.

Tra le attuali via M.Malfettani e  via P.Cristofoli, esisteva negli anni di inizio 1900 uno spiazzo non ancora costruito, detto ‘della fornace’ (ove fabbricavano mattoni): in questo terreno avvennero i primi calci ad un pallone giocati dagli inglesi dipendenti dell’Ansaldo che vicino al posto di lavoro sgambettavano nel nuovo sport allenandosi; la partita vera veniva eseguita poi a piazza d’Armi ove era lo spiazzo di misura necessaria.

   Il 16.apr.1914 la giunta municipale sottomise al sindaco la proposta di titolare al sindacalista, una traversa - fino ad allora innominata, di recente nascita - sul terreno una volta di proprietà Cristofoli - e tesa tra via C.Rota e G.B.Monti.

   La proposta fu evidentemente accettata se ne leggiamo il nome nell’elenco delle vie che diverranno ufficiali per la Grande Genova.

   Il Pagano/25 vi colloca al 3r la ditta Grosso D. tel.41-478 di carbone fossile e combustibili in genere.

      Quindi nel 1933 era identica ad oggi, allora classificata di 4.a categoria e con 2 civici; al 23r in quegli anni c’era una ‘soc.an. per l’Industria del Latte’ che lo raccoglieva in deposito; al 34r la macelleria di Ferrando GB..

CIVICI :

2007 *  =   Neri   = da 1 a 3

                  Rossi = da 1r a 25r                  e da 2r a 36r

Nel Pagano/40 la strada collegava vina G.B.Monti a via C.Rota ed aveva al civ.3 l’Ist.Naz.Fascista per l’Assicurazione contro gli infortuni. I civici rossi comprendevano un parrucchiere al 12r, drogheria 24r, stiratoria 30r, carbonaio 32r, nacelleria 36r.

 

DEDICATA  al sindacalista, dottore in legge, attivo socialista, nonché giornalista e poeta, nato a Genova nel 1875, che condusse innumerevoli battaglie politiche, compendiando in sé la storia del nascente socialismo e del sindacalismo operaio, in tutte le sue rivendicazioni.


 

   Per il suo equilibrio, educazione e sapere, ricevette la stima da tutte le parti contendenti, facilitando nelle contese la soluzione pacifica e più logica;  sempre in lotta in tutte le assemblee, era oratore caratteristico: gentile ma implacabile,  generoso ma autoritario, simpaticissimo ma intollerante.


   In Consiglio comunale, era uno dei più assidui  e temuto frequentatore, sempre in lotta contro la prepotenza e la grettezza: sempre amando la sua città di tenerissimo sentimento, difese gli immigrati contro i  concittadini che volevano “Genova  dei genovesi”; una sua interrogazione, fece una volta rovesciare la civica amministrazione.

  Quando nel dic.1896 la polizia chiuse le Camere del Lavoro , anche il giornale e le abitazioni private dei collaboratori furono perquisiti: andarono così sequestrati opuscoli e lettere private alla ricerca di elementi di incriminazione contro lo stato; nel 1898 fu costretto ad allontanarsi dalla città per sottrarsi al carcere.

   Nel 1893 appare collaboratore del giornale settimanale di letteratura e d’arte ‘Liguria’ e della ‘Gazzetta dei Dibattimenti’ (cronaca giudiziaria penale e civile;  nel 1894 compaiono le dimissioni da redattore).

Nel 1897 lo leggiamo collaboratore sia della rivista settimanale di letteratura ed arte ‘Endymion(che si proponeva far leggere ’il bello nel bello e per il bello’) sia de ‘la Sbarra’ (giornale di cronaca e critica giudiziaria, commerciale ed amministrativa); ed a seguito per la rivista letteraria artistica teatrale ‘Iride’ (che prosegui la pubblicazione al posto della precedente quando al numero 9 cessò di essere stampata).

Negli anni 1899  fu collaboratore del ‘Il Secolo XXquindicinale con tendenza alla letteratura ed arte; e de ‘il Giornale’ quotidiano  politico, artistico e commerciale, con una rubrica dedicata alla ‘cronaca di Sampierdarena’: in prima pagina  del 70° numero, si pubblicò l’abbandono della redazione da parte del Malfettani.        

Divenne redattore responsabile (dal n°.92 al n°.101 del 1902 col sottotitolo ‘la Lima’ derivato dalla fusione con l’omonimo di Oneglia e dal n° 1 del 1910 col sottotitolo ‘settimanale socialista’) del giornale socialista settimanale “Era Nuova”, edito ancor prima che si pubblicasse l’attuale “il Lavoro”; piccola ma squillante voce di libertà e giustizia politica.

Dal suo nascere nel 1903, al 1907  divenne cronista de “Il Lavoro”, firmando con le iniziali o con lo pseudonimo “Erica”; sempre pronto a fustigare le ingiustizie, gli “amabili colleghi”, i “beccamorti”, e promettendo inchieste contro le camorre ed intrighi. 

   Costituì il “Circolo Carlo Pisacane”, pagina memorabile nella storia del partito socialista genovese.

   Fu in prima linea nello sciopero dell’anno 1900, che conquistò al proletariato il diritto di cittadinanza politica, ed in quello del 1904 (in questo anno, il 14 luglio era presente come spettatore in Consiglio comunale –sindaco GB Boraggini- e fu attore di clamorosa protesta finita con intervento della forza pubblica, interruzione della seduta e  sgombero dell’aula (era in discussione la direttissima ferroviaria col Piemonte; favorito era il tracciato Genova-Fraconalto-Gavi-Novi; la maggioranza ripropose quello Genova-Rigoroso-Tortona. La sinistra socialista reagì a questa variazione come fosse supruso; il clamore divenne incontenibile e lo stesso pubblico divenne protagonista dell’intervento della polizia. Il nostro fu nominalmente additato come tra i più accesi.)).

   Pubblicò delle poesie, spesso ammantate di simbolismi come era tipico in quell’epoca bohémien , alcune anche a carattere sociale ; andarono raccolte col titolo “ Fiori Vermigli”, cantando assieme al profumo dei fiori e le fragranze della primavera, il dolore dei poveri e la missione sociale dell’arte.

   Morì il 1 aprile 1911, a soli 36 anni, suicidatosi per precipitazione, per motivi non conosciuti: disperazione, tristezza, logorio dovuto al suo carattere mai domo né flessibile: vinto ma non domo.

   Fu sepolto a Staglieno,  vicino al tempio di Mazzini.

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale -  Toponomastica - scheda 2538

-AA.VV.-Annuario.guida archidiocesi-ed./94-pag.416—ed./02-pag.453

-AA.VV.-1886-1996 oltre un secolo di Liguria-Il SecoloXIX-pag.66

-Beccaria R.-i periodici genovesi dal 1473…-Genova.1994-pag684

-Gazzettino Sampierdarenese:  4/90.5

-Il Lavoro- Novant’anni con...-voce di Genova dal 1903.-pag.19

-Medulla M.Sampierdarena- DeFerrari 2007-pag.21

-Novella P.-Strade di Ge.-Manoscritto bibl.Berio.1900-pag.18

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-pag.1058

-Poleggi E. &C.-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.34

-Salucci Arturo-Chiaroscuri genovesi-Libreria Edit. Moderna-1912 .53

-Tuvo.Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag.109 foto

 

-non citato ES


MALINVERNI                                       via Giuseppe Malinverni

 

 

TARGA: via Giuseppe Malinverni – caduto per la libertà – 1925- 23-3-1945

    

vicino a via .ACantore                                                         

   

angolo con via  L.Dottesio

 

QUARTIERE ANTICO: Coscia

 da MVinzoni, 1757. Ipotetici tracciati di: in fucsia, via DChiesa; giallo via GBPiovera

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2796

da Pagano/1961

 

 

 

 

 

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   35460

UNITÀ URBANISTICA: 28 – s.BARTOLOMEO

 da MVinzoni 1757. In fucsia via DChiesa; giallo via ACantpore; celeste via NDaste.

 

CAP:   16149

PARROCCHIA:  N.S. sM.delle Grazie 

STRUTTURA: strada carrabile comunale, senso unico veicolare da via A.Cantore a via L.Dottesio.

Lunga m.85 , larga m. 7 , con 2 marciapiedi.

È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera

 

CIVICI

2007= NERI   = da 1 a 3                      e da 2 a 6

            ROSSI = da 1r a 18r                 e da 2r a 18r (compreso 10Ar)      

===I civv. 2 e 4 , furono progettati nel 1906, allora di proprietà Zaccheo. Le grandi lesene collegate ad arco che scansionano la facciata, ed i  disegni dei ferri dei poggioli, scale e portone, sono tipicamente in stile  liberty.

===civ.6 fu assegnato nel 1958 alla nuova apertura sulla strada dell’interno 1 del civ. 20 di via Cantore.

===civ. 7r  il bar che nel 1950 era di Boccignone Giovanni.

 

 

STORIAdella strada:  Nel 1773 appare non esistere nelle carte vinzoniane, posta dentro la proprietà dei Francavici a ponente di quella degli Spinola di San Pietro.   Nel 1850 circa è descritta in corrispondenza del fossato della ‘Crocetta di  N.S.della Vista’ : torrentello che dalle falde di Promontorio arrivava al mare,  separando il territorio “della crosa Larga” (a ponente) da quello -a levante- “delle Catene” (e “della Coscia”) .

   Prima della nascita di via A.Cantore, si chiamava via E. De Amicis ed era un tutt’uno continuato di omonimo con la attuale soprastante (cioè con l’attuale via B.Piovera), e tutta allora si chiamava sino al 1935.

   Dal 19 agosto 1935 per delibera del podestà- divennero via G.Balbi Piovera.

   Dal 14 nov.1946 per delibera della Giunta comunale, i civv. 1, 2, 3, 4 furono sottratti alla vecchia titolazione e trasferiti al nome attuale  di  G.Malinverni.    


   

 

Alla sommità (la strada è in leggera pendenza) c’è una piccola lapide che ricorda:  “ CLN  CVL  - qui cadde - per la libertà della patria -  il partigiano - Rocco Giuseppe - fu Luigi  - 1922-1945 - a cura del Comune di Genova”


 Il partigiano cadde in conseguenza dell’iniziativa presa il 24 aprile 1945 dal CLN Ligure di non aspettare l’arrivo dei partigiani di montagna e di anticipare l’insurrezione contro le truppe tedesche (15mila  uomini ed oltre 50 pezzi di artiglieria -comandate dal gen. von Meinhold) - perché stavano iniziando l’evacuazione della città ma minacciando la possibilità di successive gravi distruzioni da loro già predisposte nel porto e in alte zone logistiche: indispensabile apparve quindi non lasciarli andar via. Il 24 stesso, si ricuperarono le armi dai depositi segreti posti  al Campasso ed altrove,  si occuparono zone strategiche (linee telefoniche, la radio, i rifornimenti idrici ed elettrici), e si disposero  blocchi stradali (in via W.Fillak presso la Ciclistica, sulla Camionale e presso l’Ansaldo) ove i partigiani ingaggiarono feroci battaglie con le truppe tedesche che cercavano di uscire, ricacciandole indietro. Così costrinsero il generale tedesco alla resa  il giorno 26, senza distruggere la città.  Il Rocco morì in questi scontri il 24, primo giorno di insurrezione.

===Civ.17  Aveva sede la CFFS (Centro Formazione Fisico Sportiva) nata nel 1976 da volontari desiderosi di dedicarsi al gioco del pallone, agli anziani (ai quali proporre attività fisiche di movimento (quale il nuoto), differenziate secondo necessità ed eventuali handicap); ma soprattutto della pallamano (in quest’ultima disciplina riuscì a primeggiare vincendo il campionato e con esso la possibilità di accedere alla serie B;  ma dovette rinunciare per carenza economica e nella crisi, fu costretta a sciogliersi ).

 

DEDICATA al partigiano nato a Rivarolo l’ 8 apr.1925. Dopo aver studiato nell’Ist. Tecnico-Industriale Galileo Galiei di piazza Sopranis, divenne perito capotecnico meccanico,  e quindi disegnatore dell’ Ansaldo. Era un tipo riservato, sempre vestito semplice ma ricercato, facendolo appatrire più maturo dell’età che aveva.

Dopo l’8 sett.1943- si inserì nelle fila della resistenza, partecipando dapprima con i GAP e poi, ricercato dalla polizia, scappò nella formazione di montagna della III Brigata Liguria (divisione Garibaldi-Mingo), col nome di battaglia “Otto” . 

   Sfuggito fortunosamente al rastrellamento della Benedicta dell’apr.1944, rientrò in città operando nella zona del Campasso con i gradi di vicecomandante della Brigata SAP Buranello, che aveva la sede di comando in via Polleri a Genova.  Questo punto di riferimento e direzionale, venne scoperto dai nazifascisti, seppur mascherato da ufficio commerciale. A macchia d’olio, dalla fine di dicembre in poi,  molti furono gli arrestati perché si presentavano all’ufficio tenuto sotto sorveglianza. Tra essi, anche il Malinverni  che fu prelevato nel gennaio del 1945 e portato -dapprima nella Casa del Fascio di via  A.Carzino -allora caserma delle Brigate Nere - poi a Marassi nella famigerata IV sezione, con saltuari interrogatori-torture alla Casa dello Studente.

   Altre azioni partigiane con prigionieri eccellenti, favorirono il tentativo di scambio o quantomeno della grazia dalla condanna a morte. Erano in corso le trattative quando il 22 marzo 1945  una pattuglia di 15 partigiani della Brigata Volante Balilla (creatasi dopo gli eventi della Benedicta; insieme alla brigata Pio facente parte della div. Mingo; addetta al controllo del territorio attorno a Campomorone) comandata da ‘Battista’ con ‘Biscia’ (Poirè Carmelo) attuò nella zona tra Cravasco e PietraLavezzara un agguato contro una formazione di nove soldati tedeschi tra cui due graduati (provenienti da zona Caffarella,  passavano per Cravasco ove si erano fermati a mangiare e bere all’osteria, programmando arrivare a Pietra Lavezzara; lasciati passare i due in avanguarfdia, furono falciati prima i sette che procedevano in fila indiana e poi i due davanti) conclusasi con la morte di tutti. I partigiani si rifugiarono sui monti, allertati da possibili rastrellamenti.

   Per rappresaglia si interruppero le trattative ed il Malinverni fu portato il 23 mar.1945 a Cravasco di Isoverde, (ove già dal giorno prima un centinaio tra SS e fascisti repubblichini facevano violenza alla popolazione (220 abitanti) incendiando una ventina di case, arrestando e maltrattando il parroco don Parodi assieme ai pochi uomini trovati, e razziando bestiame).

Assieme ad altri 17 prigionieri, fu fucilato contro il muro del cimitero: erano pressoché tutti, responsabili dell’organizzazione militare clandestina (5 militari graduati dello StatoMaggiore;  6 delle SAP tra i quali il nostro; 4 partigiani di montagna tra i quali Cesare Dattilo; 2 GAP tra cui Quartini da poco amputato di un arto inferiore). Dei 20 prelevati da Marassi, due (Tristano Luise ed Eugenio Bindi)  erano riusciti a fuggire sgattaiolando via dal camion mentre marciava, ed uno dei 18,  Diodati Arrigo, ‘Franco’,  riuscì invece a sopravvivere fingendosi morto seppur ferito al collo che gli evitò il colpo di grazia= riuscirà a raggiungere PLavezzara e poi la Brigata Pio.

   Assieme agli altri fu seppellito nel cimitero a fianco, e solo dopo la liberazione, la salma fu portata al paese di origine.

    Il Tribunale militare partigiano della VI zona, con l’assenso degli Alleati, ordinò come contro-rappresaglia la fucilazione di 39 prigionieri, rinchiusi nel campo di concentramento di Loco di Rovegno e di Cabella Ligure (2 civili; 1 bersagliere; 23 ufficiali, militi tedeschi e mongoli della Turkestan; 13 della Brigata Nera di Alessandria. Tra essi c’erano 16 italiani: due ragazzi di 16 anni, tre di 17, due di 18, uno di 19); lo stesso ‘Battista’ il 4 aprile eseguì l’ordine in loc. Vixella del monte Carlo. La spirale per fortuna si fermò qui: il Comando tedesco provvide al ricupero delle salme dei suoi fucilati (facendosi aiutare da un gruppo di vecchi, una trentina di donne ed un uomo del paese di PietraL., i quali -usando slitte e carriole-  trasportarono le salme fino al paese dove un camion le tradusse a Genova), e non organizzò alcuna contromossa.

   Scritto dalla parte opposta, il quotidiano genovese ‘Il Lavoro’del 24 marzo 1945, pubblicò il messaggio del Comando germanico che mirava a stigmatizzare non tanto lo scontro a fuoco quanto il ‘colpo di grazia’ amministrato ai feriti: «il 22 corrente, un gruppo di fuorilegge, in una imboscata ha aperto il fuoco a Cravasco a nord ovest di Pontedecimo contro nove soldati tedeschi. Cinque dei soldati sono rimasti fulminati sul colpo: gli alti quattro che erano caduti feriti, sono stati finiti selvaggiamente a colpi alla nuca dalle belve umane. Come giusta rappresaglia, il Comando germanico ha ordinato la fucilazione di 18 individui precedentemente condannati a morte dal Tribunale di guerra per delitti di vario genere. La sentenza è stata eseguita sul luogo del delitto e senza dare corso a domande di grazia perché ogni possibilità in questo senso era venuta a decadere per il crimine compiuto dai loro compari che non si sono peritati di massacrare anche gli inermi feriti».

   Cravasco fu dichiarato “villaggio martire”; e contro l’iniziale disinteresse statale (tasse, affitti, sovvenzioni) si proposero positivamente iniziative mirate a sensibilizzare il ricupero dell’economia locale ed il ripristino delle abitazioni bruciate o comunque danneggiate.

   Al partigiano è stato titolato il club aperto in via G.Balbi Piovera al civ.47r.

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MAMELI                                                        via Goffredo Mameli

 

LA STRADA  La titolazione al patriota, non è più a Sampierdarena; fu cambiata in epoca post bellica con l’intestazione ad Alfredo.Carzino (vedi, con più specificati i singoli palazzi) .

   Nella carta Vinzoniana del 1770 compare un tracciato già esistente, parallelo alla crosa della Cella e dei Buoi, che dal lato a levante della villa Centurione del Monastero arriva diritto alla via centrale principale oggi don Daste.

    Viene citata ufficialmente esistente nel 1890, quale nuova traversale da via Vittorio Emanuele (via G.Buranello) a via sant’Antonio (meglio, a via Mercato, e infine via N.Daste), in quanto ceduta al Comune dal principe Centurione,  essendosi formata nelle sue proprietà vendute a privati per costruire.

 

a penna, riporta l’anno 1893

   Nel 1901, un’impresa (Barabino-Calvi-Rebora) pose all’inizio, la prima targa in marmo per ordine del Comune; ma popolarmente venne pure chiamata “via della Provvidenza” da quando don Daste vi trovò la prima reale sede della sua opera assistenziale, fino al 1920.

 

In questo stesso anno fu affissa sulla facciata del civ.3, casa dell’Istituto (“con laboratorio di biancheria e fiori”), la grossa lapide che ancora oggi è visibile, in memoria del prete.

Don Daste – fondatore della Pia Casa della Divina Provvidenza - era deceduto il 07.02.1899.

Da subito un comitato volle apporre una lapide a memoria: un gruppo di circa venti cittadini, si era allo scopo congiunto per raccogliere il fondo necessario (tra i quali, presidente il prf cav. Pasquale Marullier fu Carlo (napoletano ma qui domiciliato, e che aveva dettato l’epigrafe); l’ing. Pietro Sirtori – che aveva disegnato come doveva essere la lapide; il cav. Nicolò Mazzino (che si era sobbarcato per intero l’onere della spesa – sia del marmo che dell’incisione ed affissione - lasciando che la somma già raccolta andasse a vantaggio dell’Istituto); l’industriale Sallustio Diana; l’avv. Giacomo Recagni; don Domenico Olcese parroco;  l’industriale Cinzio Bagnara; il marmista Francesco Grosso fu Agostino (che mise in opera la lapide gratuitamente) e vari altri (i commercianti: Sciaccaluga Emanuele, Motta Quirico, Chiappe Ernesto, Ricca Carlo; nonché Chiappe Arturo, possidente; DeBenedetti Angelo commissario straordinario del Comune; DuLac Capet Carlo regio pensionato; le signore (proprietarie e nubili) Pavan Clotilde, Dellepiane Apollonia, Dellepiane Maria e Morasso Maria.

Questo marmo, in data 20 gennaio 1901 su atto del notaio sampierdarenese dr. Perroni Luigi – con testimoni i sigg. Gancia Mario fu Michele e Pernecco GB di Luigi sampierdarenesi e impiegati comunali - perché fosse indelebilmente conservato anche dal Municipio locale - fu consegnato e regalato al Municipio stesso perché la conservi in perpetuo.

Vi fu scritto: “queste mura parlano della pietà -  di Nicolò D’Aste  - povero falegname , insigne Sacerdote  -  che nella Fede di Cristo limosinando  -  questo ricovero innalzò   -  alla femminile virtù --- Per pubblica sottoscrizione  -  i suoi concittadini  -  Q.L.P.  -  l’anno del Signore 1900 ”    

(il nome  D ASTE sulla lapide, è scritto con un lieve distacco dopo la D: probabilmente lo scultore  aveva messo l’apostrofo, e fu costretto a correggere cancellandola).

Il dono della lapide fu ricevuto – in mancanza di un sindaco essendo scaduto il mandato del cav. Malfettani Federico e prima che subentrasse il comm.pf.ing. Nino Ronco - dal regio Commissario Straordinario il conte cav.avv-. Angelo DeBenedetti, patrizio sarzanese, che pronunciò un commovente discorso. Quindi la lapide è comunale, come lo attesta il piccolo stemma civico. (il dr. Alfredo Remedi non ha trovato però la registrazione dell’atto di acquisizione da arte del Comune, anche se lo stemma posto al vertice e i due testimoni ambedue dipendenti comunali, dovrebbero testimonarne l’accettazione).

Questa lapide, su iniziativa nata nel 1976 del Gazzettino Sampierdarenese,  fu restaurata gratuitamente dal marmista D.Grasso nel 1982.

 

   Il Pagano 1902 riporta al civ. 2 l’appaltatore di costruzioni Trucco Gaetano (attivo ancora nel 1925; dal 1912 compare anche un Trucco Giuseppe  che ha materiale da costruzione ed assieme una fornace di mattoni); --- la fabbrica di pesi e misure di Demarchi Ambrogio success. Marchese ed ancora presente nel 1912;---  la Lechner e Muratori’ di biacca, attiva anche nel 1925

   Sul Pagano 1908’ si segnalano al civ.8  la sede dei produttori di biacca e fabbrica di colori e vernici Lechner e Muratori (¡ reclamizza ‘casa Italo Svizzera-ufficio e magazzino via G.Mameli, 8. Fabbrica via VEmanuele,5- annuncio speciale a Genova, rubrica colori; produttiva ancora nel 1925).

   Nel 1910 compare nell’elenco delle vie cittadine “da via V.Emanuele a via N.d’Aste (sic)”, con civv. sino al 3 ed 8.

   Nel 1911* e 1912° (vedi 1908) non è segnalata la farmacia che compare però nel 1919 al civ. 8 col nome “alla Cooperazione (oggi Popolare Sociale, nata si dice nella seconda metà del 1800,  ma compare sul Pagano solo negli anni tra il 1913 e 1919. In quest’ultimo anno aveva tel.820; nel 1925 tel. 41005).

   Nell’anno 1920 subirono un aumento di tasse da parte del Comune la soc. Muratori-Lechner (vedi 1902)  ed il sig. Molinari Alessandro titolare del teatro e cinematografo “G.Mameli” (già “Volta”, tel. 3935; cinema e varietà, tutti i giorni dalle ore 15 in poi-telef.41227-. Non vasto, internamente senza alcun segno d’arte, fu aperto al pubblico nel 1914; aveva all’esterno una leggiadra facciata,  evidenziata da due quasi evanescenti figure muliebri).

   Nel Pagano/1919, 1920, 1921, 1925, al civ. 1 abitò fino oltre 1925 il medico dott. Carlo Bonanni (1862-1948). Nel 1911 abitava in via sant’Antonio e si appoggiava (non era da tutti avere il telefono) sia alla farmacia Sibelli che alla Milanesio; nel 1919-21 era in via U.Rela; nel 1925 è qui. Medico nel territorio sampierdarenese, fu anche  consigliere comunale e stimato benefattore per l’assistenza ai bisognosi: per questo merito, è stato insignito di una titolazione stradale nella zona di via Bologna in san Teodoro;-- al civ.15r Cocco Mario vendeva, ancora nel 1925, ‘articoli tecnici”;-- 17r i f.lli Pittaluga¨ (oppure “Pittaluga e Figli, ditta¨”) accordano pianoforti; nel 1925 aggiungono “e Figli; specificando: Casa fondata nel 1848. Unica fabbrica Ligure di Pianoforti ed Armonium a Genova; rappresentanti dei migliori e rinomati autopiani Kastner-Leipzig-London, montati sui primari Pianoforti Grotrian Steinweg-J.Bluthner-R.Lipp-Ed-Seiller-R.Weissbrod. Depositari di tutte le marche estere, cambi, affitti, riparatiure, accordature”;-- al 31r p.p. le Assicurazioni Genenali di Venezia, dal ’19 akl ’25 -Anonima Ital.Infortuni-Agente Pr.le Lagorio, Silvi;--.

Funzionante era il ‘teatro Mameli’

 

appare in costruzione il civ.3 e non c’è in fondo quello di via Cantore

   Quando nel 1926 la periferia venne assorbita nella Grande Genova, cinque centri vantavano una strada intitolata al giovane patriota: Centro, Rivarolo, SPd’Arena (di 3a categoria), Sestri e Voltri.

Nel Costa/1928 si segnalano questi esercizi commerciali:

1=piani a cilindro (noleggio) di Tadini e Sclaverano---1=vini Molinari Alessandro---5p.p.=grossista giocattoli, mercerie, profumi Duilio Cesare---6r=modista Bondi Iole---10r=marmista flli Buzzone fu Federico---15r=macchinari usati Cocco Mario—17 fabbrica pianoforti Pittaluga e F.----20r=abiti fatti di Baroni E.---22=farmacia Alla Cooperazione---29r=garage Grassi--- 31r Assicurazioni Generali & An.Italiana Assic. contro grandine, infortuni;  e riassicurazioni---

   Nel Pagano/1933 durante il fascismo,. Al civ.1 Tadini e Scloverano erano una antica ditta di pianoforti (piani autopiani – noleggi – vendite – cambi – musica); al civ.2 oltre alla sede della Società di Mutuo Soccorso Universale, c’era quella delle brigate nere e dell’Unione Marinara Fascista; al civ.5 un circolo schermisti.

Qui è scritto aveva sede – forse provenienti dalle sale dell’Universale - anche una succursale del “liceo Musicale Angelo Gasparini: fondato nel 1908, con insegnanti tutti diplomati nei regi conservatori: nove di pianoforte; tre per violino; uno rispettivamente per teoria, armonia, canto, violoncello, storia della musica. Sul Pagano/33 detto liceo è in via XX Settembre 16.4 con succursali nell’abitaz. del maestro in v.David Chiossone 1,  ed a SPdA in via Mameli, però 5; in questa data ci sono attivi tre Gasparini, uno  Angelo, maestro di musica; Jole, maestra di canto; Luigia, maestra di pianoforte;

 al civ. 8 la farmacia ’alla Cooperazione’ Nel 1933 fungeva da recapito a vari medici della zona (dr Steneri, Roncagliolo, Bonanni, Lanza ed i due Gandolfo);al 15r negozio di articoli tecnici di Cocco Mario; al 17r Pittaluga Giuseppe & Giovanni¨ gestivano la fabbrica ligure di autopiani, pianoforti e armonium; accordatori, riparatori;  al 29r la pasticceria f.lli Pastorino con negozi in via Daste, via Carducci e corso Dante Alighieri. Non specificato dove, nello spazio dell’attuale supermercato c’era un rispettabilissimo teatro-cinema (chiamato dapprima Volta, eretto nel 1914 su un preesistente padiglione cinematografico, in stile liberty , ricco di decorazioni esterne; poi Mameli, infine Astoria).

   Appare già trasferita di sede l’opera don Daste.

   In quell’anno fu pavimentata con masselli di granito per tutti  i 600 mq di superficie,  con la spesa di 50mila lire .

   Nel 1935, il 19 giugno, il podestà deliberò fosse cambiato il nome per non sovrapporsi all’omonima genovese, e la fece chiamare ‘via Popolo d’Italia’.

   Nel 1945, il 19 luglio, la Giunta comunale decise per denominarla ‘via Alfredo Carzino’.

   Negli anni le case non hanno subìto variazioni di numerazione o di rifacimento.

DEDICATA al patriota genovese, nato (in una modesta casa presa in affitto dai genitori) il 5 sett.1827 in piazza san Bernardo, 11(il Secolo XIX dice 30) e battezzato in san Donato con i nomi Giacomo (del padrino), Raimondo (nonno paterno), Goffredo (nel ricordo di un parente della madre, Gottifredo Zoagli padre di Nicola doge,  fondatore nella colonia di Caffa sul mar Nero, e poi ammiraglio e governatore della Corsica)

   I genitori  furono l’aristocratico cagliaritano, marchese Giorgio, dei conti Mannelli, ufficiale della Marina sarda distintosi nella spedizione nel 1818 contro il bey di Tripoli e che raggiunse il grado di contrammiraglio; ed  Adelaide, nobildonna unicogenita della marchesa Angela Lomellini e del marchese Nicolò Zoagli dell’ antica famiglia dei Zoagli che conta negli ascendenti due dogi della Repubblica (Nicola-1394 e G.B.-1561) nonché consoli ed ammiragli della Superba). 

   Primogenito di sei figli (gli altri nasceranno in piazza san Genesio (oggi largo Sanguineti) in una casa di proprietà dei Zoagli occupata un anno dopo; 2 maschi, GB e Nicola, e tre femmine morte tutte in fresca età giovanile: Emilia (o Eulalia), Angelina ed Elisa (o Luisa)), già da fanciullo, era bello fisicamente, ricco d’ingegno, ma di fragile costituzione da passare tre quarti della sua infanzia a letto, e di carattere irrequieto: rimasto indietro negli studi per motivi di salute, era molto taciturno, malinconicoe delicato verso gli altri

Solo all’età di tredicenne, rapidamente ricuperò gli anni perduti con una personalità mista: credeva in Dio ma anche nei rivoluzionari; buono, ma fiero di determinati ideali (prima privatamente sotto la guida del mazziniano Michele Giuseppe Canale (scrittore di una ‘storia della Repubblica’) e poi  presso l’istituto degli Scolopi (più laici e progressisti dei Gesuiti)).

Interessante digressione si può portare sui metodi scolastici di allora (1841): a Goffredo 14enne, l’insegnamento mirava soprattutto coltivare i sentimenti, basandosi su fantasia, curiosità e cultura classica (la Bibbia, i classici latini, la letteratura italiana con Parini, Monti, Dante, Foscolo, Manzoni, Leopardi, Guerrazzi, ecc; e straniera con Goethe, Schiller, Byron, Moore);  si basava su saggi letterari nel comporre di ‘rettorica’ (ovvero scrivere prosa o poesia latina o italiana su argomenti storici) o di ‘umanità’ (sempre in latino o italiano ma su argomenti di storia sacra, mitologica, romana),grammatica, aritmetica, lingua italica, calligrafia. Con periodici saggi anche semipubblici o in  trattenimenti accademici si distribuivano solennemente dei premi e votazioni (dati in ‘menzioni’, a loro volta basate sull’impegno, la assidua quotidianità alle lezioni, al risultato). Così leggiamo di Goffredo in quegli anni che si cimentò in una ‘canzone libera intitolata‘ispirata ed ispiratrice’ ed altra ‘corona’ quest’ultima recitata da un altro allievo; e lo vediamo premiato (‘in solemni praemiorum distributione-meriti insignibus decorati sunt experti probatique ex rhetorica,... merito pares Mameli Godefridus...’).   Suoi compagni di scuola erano Nicolò Montano, Lazzaro Romairone, Bartolomeo Boccardi 

Dopo il liceo, a fine 1841 si iscrisse alla facoltà universitaria di filosofia, passando poi a giurisprudenza (i cui due primi anni erano comunque di filosofia), ma fu obbligato a sospendere gli studi, perché allontanato per un anno dall’università causa un violento e ‘con vie di fatto’ litigio con un compagno di corso (Giuseppe Lullin, diciottenne cagliaritano). Così  la sua attenzione, liberata dall’impegno scolastivo, venne totalmente attratta da interessi affettivi (si innamorò della marchesina Geronima Ferretti; ma i genitori di lei le imposero nel 1846  un matrimonio più ‘sicuro’. A lei dedicò un carme intiolato Un’idea’, siglato ‘R.R.di F.’), politici e di amor patrio, misti ad un non sopito odio contro i dominatori stranieri.

Dal 1842 produsse: dei saggi poetici come ‘Giovine crociato’ e la ‘Battaglia di Marengo’; un dramma il ‘Paolo da Novi; altri carmi, la ‘Vergine e l’amante’, ‘Ballata’; delle odi come ‘Dolori e Speranze’ ed inni:  a Roma, Dante, Apostoli, i fratelli Bandiera,; nonché, scritti, orazioni, discorsi pubblici, tutti tesi ad incitare l’ animo alla lotta mescolando nella sua ancora immatura età, l’ardore e l’impeto del padre, con la dolce fermezza della madre.

Erano anni di grande fermento: i Piemontesi, “foresti”, erano poco tollerati perché da secoli nemici e  dal 1815  affossatori della vecchia e gloriosa repubblica (culminati infine con Lamarmora che costrinse la città ad arrendersi offendendola con arroganza e violenza, dando avvio ad un lungo attrito tra Genova ed i bersaglieri; l’Austria, ancora imperante in Italia veniva odiata, continuamente ricordando i fatti del Balilla, ed era l’unico sentimento che accomunava la gente, specie nei fortissimi contrasti tra repubblicani e monarchici; Mazzini che alimentava lo spirito ribelle, anche se nel 1833 la Giovine Italia aveva avuto il massacro di 14 affiliati; le società segrete -spesso mascherate da Società Scientifiche- creavano immensa preoccupazione alla polizia di stato: tra esse la “Entelema” circolo culturale chiavarese di cui Goffredo divenne l’anima, nato per discutere di storia e letteratura ma che -con l’immissione di Bixio- acquisì alto ideale mazziniano e politico in genere; l’elezione di Pio IX acclamato come papa liberale, nell’idea di rendere favorevole l’opera del clero tendenzialmente conservatore; l’istituzione della Guardia Nazionale per le continue manifestazioni popolari, miranti a forzare la mano ad un titubante re torinese. Non poca confusione comportava  essere Mazziniani repubblicani, avverso ai Gesuiti (accusati di conservatorismo) e contemporaneamente constatare che solo l’avversato re del Piemonte avrebbe potuto realizzare l’unità nazionale (con avvenimenti altrettanto contrastanti: le riforme di Pio IX e quelle albertine (questi nel sett.1847 scaldò gli animi scrivendo ‘se la Provvidenza ci manda la guerra dell’indipendenza d’Italia, io monterò a cavallo coi miei figli e mi porrò alla testa del mio esercito’; e nel nov.1847 in visita a Genova fu fermato da Bixio con la famosa frase ‘sire, passate il Ticino e saremo tutti con voi’, generando nel re uno spavento profondo essendo di temperamento incostante, per cui temporeggiava e forniva sospetto di intempestivi pentimenti), mentre tutta l’Italia ribolliva di agitazioni (a Palermo,  a Pavia,  e il 18 marzo a Milano prologo delle 5 famose giornate).

Sentimentale e poeta quale si forzava di essere, fu il 1846 con la poesia ‘ad un Angelo’ a segnare una netta trasformazione espressiva in senso sociale ed umanitario.

A metà 1847 compose il primo inno, titolato ‘Dio e popolo’, lasciato da parte per declamarlo il 10 dicembre 1847 in Oregina, in occasione dell’anniversario e commemorazione della cacciata degli Austriaci,  dei fatti del Balilla, dello scioglimento del voto del  1746 (in occasione della grande e solenne manifestazione popolare indetta anche per la celebrazione delle bandiere: convennero all’Acquasola più di 25mila persone con un migliaio di bandiere municipali e delle varie nazioni; tra esse comparvero anche due tricolori: in quell’occasione egli osò sventolare per la prima vota a Genova la bandiera nata a Reggio Emilia, e che la polizia per evitare subbugli, dovette rassegnarsi lasciare libere. Carducci in un saggio dedicato al Mameli, segnala che nel corteo,  fu lui il primo a  sventolare  il tricolore  con un gesto che anche i più accesi titubavano e paventavano compiere. L’inno ha come ritornello le parole <che se il popolo si desta-Dio combatte alla sua testa-la sua folgore gli da>)). In attesa, l’8 settembre 1847  scrisse i versi che compongono le parole di un secondo inno ‘Il canto degli Italiani’ (questa poesia, portata a Torino dal pittore Ulisse Borzino, non appena letta in casa dell’ amico Lorenzo Valerio ove si leggevano al pianoforte vari inni provenienti da tutta Italia, nell’entusiasmo generale fu musicata di getto da Michele Novaro (anche lui genovese, maestro di musica, autore di molti canti patriottici, vissuto dal 1818 (o 1822) al 1885: quella sera, tornato a casa, sul suo clavicembalo tanto studiò le prime note gettate in casa Valerio che alla fine produsse la musica voluta). Il testo forse anche lui fu cantato la prima volta in pubblico a Genova il 10 dic.1847 in Oregina, come descritto sopra, ed essendo assai orecchiabile, ebbe rapidissima diffusione: la polizia rincorreva come fiera all’assalto tutti coloro che lo cantavano, favorendone invece la diffusione e l’esternazione in ogni minima occasione ufficiale o non. Col nuovo titolo tratto dalla sue prime parole (‘Fratelli d’Italia’) il popolo in un lampo lo aveva fatto suo; fu cantato da tutti, civili alle feste e raduni, e militari (soldati  dall’epoca della prima guerra di Indipendenza fino alla costituzione del regno unito); ed è ancor oggi inno ufficiale della Repubblica italiana. L'INNO oggi,  è provocato dal senatore Bossi a capo della Lega, che preferiscono il coro del Nabucco, decisamente lagnoso per essere un inno; almeno, quello di Mameli è 'tonico'. Chiedersi se musicalmente è meglio Verdi, ha una risposta ovvia; ma qui non si tratta di festival con un migliore vincitore, ma di provare quel minimo di scossa, di guizzo, di brio capace di svegliarci dal torpore nazionale. Ma essi fanno finta di non sapere -a puro scopo provocatorio- che esso fu scelto da G.Verdi stesso, nel 1846, per inserirlo nel suo “Inno delle Nazioni” (assieme alla Marsigliese ed al God Save the King); e non valutano che tra le righe c'è il simbolo fondamentale dei padani, là dove scrive “  Dall'Alpi a Sicilia, ovunque è Legnano”.  Comunque appare ovvio che l'attacco della Lega non esisterebbe, se alla base del sentimento nazionale non ci fosse un grave lacuna emotiva, una stanchezza dell'orgoglio (anche se il contrario, ovvero il nazionalismo spinto oggi sarebbe un male peggiore: i confini non debbono essere più sacri; non ci si mette sull'attenti con la mano sul cuore al suono dell'inno; non ci sono neanche più ideali a sostenere la lingua (favorendo il romanesco e sopportando l'ignoranza sulla grammatica e sintassi); ci facciamo scivolare sulla pelle le critiche della stampa estera.

Altrettanto Michele NOVARO, che compose la musica nel 1848, che -tutt'altro che antitradizionalista- fondò a Genova una “Scuola Corale Popolare”; curò una antologia di canti popolari (raccolti in un album titolato “Viva l'Italia”); e nel 1874 scrisse un'opera buffa dialettale “O mego pé forza”.

Poiché il mondo è sempre pieno di revisori che tentano di mettersi in mostra producendo nulla se non tentare di distruggere l’opera degli altri, negli anni prima del 2000 si iniziò un insistente lavorio per fargli preferire il canto verdiano dal Nabucco, non nato allo scopo, molto più musicale ma privo della gagliardia necessaria per un inno. Alla fine, fu il presidente della Repubblica Adelio Ciampi a spezzare gli indugi,  dando netta preferenza all’inno di Mameli e coinvolgendo anche i titubanti in una orgogliosa scelta definitiva assieme all’esternazione del tricolore: le parole dell’inno possono essere superate, Roma è capitale e l’Italia è fatta, ma quello che conta è lo spirito e la grinta per arrivare a tutte le méte  ulteriori.

Ma maturava il momento dell’azione. Appena fu costituita la Guardia Nazionale, si iscrisse e subito fu nominato tenente di compagnia, capitanata dall’ex ministro Vincenzo Ricci.

E così ventunenne(con Bixio come luogotenente anche se più anziano),    comandando 300 giovani (la ‘compagnia genovese Mazzini’) accorse a Milano dove erano scoppiate le famose 5 giornate (il 17  le prime avvisaglie avevano fatto allontanare governatore e viceré: la notizia arrivò a Genova il giorno dopo, primo delle fatidiche 5 giornate: 18-22 marzo 1848,  mettendo in moto Nino Bixio. Per il 19 esisteva per Mameli un impegno vincolante: un comizio da tenere al teatro Diurno dell’Acquasola (oggi Politeama Genovese) diretto alla gioventù locale; di fronte ad una folla enorme, disse chiaro “a Milano si muore, io e gli amici partiamo stanotte”. Il gruppo di cento volontari non raggiunse Milano perché, inglobato in una colonna  guidata dal generale Torres, perdette il tempo opportuno. Mameli, giunto egualmente da solo nella capitale lombarda,  assolse alcuni incarichi militari e si incontrò con  Mazzini suo idolo. Raggiunse il gruppo dei 300 a Gravellone il pomeriggio del 20 e   furono guidati a combattere a Governolo, e dopo a Vicenza; fino alla sconfitta di Custoza ed all’armistizio di Salasco. Subito dopo si unirono alla protesta armata di Garibaldi che aveva rifiutato l’armistizio, partecipando alle battaglie di Luino e Morazzone in 3mila contro 15mila, fino allo scioglimento forzato e ritorno a Genova ove il 16 settembre 1848  recitò al Carlo Felice con commozione di popolo ed a beneficio della città veneta liberata ma assediata (in tutte le città italiane si erano aperte questue per soccorrerla dalla fame e miseria) un suo canto intitolato ‘Milano e Venezia’. La storia produttiva del poeta, si arricchisce nel 1848 di un altro inno intitolato “Inno militare” che, su promozione del Mazzini,  fu musicato da Verdi. Questi, cercando di comporre ‘più popolare possibile’ restituì in ottobre parole e musica a Mazzini, sollecitando alcune variazioni poetiche per favorire il ritmo musicale. La lettera, inviata in Svizzera ove Mazzini era rifugiato, non arrivò a destinazione (forse il Mazzini si era già allontanato), cosicché  fu ritornata a Milano ai Ricordi, e là giacque inutilizzata.

Garibaldi a settembre 1848 è a Genova. A fine ottobre parte con 500 volontari compresi Bixio e Mameli, per Ravenna  intenzionato a proseguire per Venezia. Mameli volle fare di più: si precipitò ad Ancona dove era il padre a comando della fregata sarda DeGeneys, invitandolo in nome dell’unità d’Italia ad una azione diretta contro l’Austria (il burrascoso incontrò terminò col rifiuto del genitore di disubbidire agli ordini del re, concedendo recitare ai suoi ufficiali l’ode per Venezia. Caro costò lo stesso all’ufficiale, perché venne immediatamente sospeso e messo anzitempo a riposo. Fu il maggiore motivo di rimorso del giovane, nei lunghi giorni dell’agonia finale).  Qui venne a sapere che a Roma Pio IX era fuggito e la città in mano ad una Giunta d’attesa. Così scelse scendere a Roma precedendo il Bixio di pochi giorni, per proclamare infine con lui la Repubblica Romana l’8.1.49.

Il 23 marzo Carlo Alberto venne battuto a Novara, ed abdicò. Gli Austriaci imposero patti duri, e Genova il 28 marzo insorse e  cacciò il presidio piemontese: Mameli da Roma accorse con Bixio e 450 volontari per porsi a disposizione del gen Avezzana; ma arrivarono il 7 aprile, che già tutto era finito (dalla costa di san Benigno, con la resa del forte di san Giuliano e di Belvedere, si era completato l’accerchiamento della città).

Il negoziato prevedeva la resa e  l’imbarco dei ribelli (da Lamarmora classificati ‘radicali e facinorosi nazionali e stranieri’); Avezzana, Cambiaso, Mameli e Bixio con 450 volontari si imbarcarono sul  vapore americano ‘Princetown’, sino a Livorno e poi a Civitavecchia ove giunsero il 30 aprile in tempo per vedere sbarcare da navi francesi le truppe del generale francese Oudinot da inviare contro Roma (disobbedì all’ordine di aspettare un altro contingente che era in attesa di imbarco a Marsiglia. C’era anche  Avezzana, suo generale, e che il 22 aprile 1849 su carta intestata della Guardia Nazionale di Genova, gli firmò un documento: “il sottoscritto nomina Goffredo Mameli suo aiutante di campo. Ordina per conseguenza a tutte le autorità civili e militari di ricevere gli ordini sia a voce che in iscritto i quali venissero trasmessi dal detto ufficiale. Il generale Giuseppe Avezzana)

Così il giorno 30 aprile Roma fu  assalita dall’esercito francese, anch’esso repubblicano, ma fu fermato, obbligando l’Oudinot ad un temporaneo armistizio. Dopo questi scontri Goffredo si ritrovò col grado di capitano di stato maggiore, comandante di 5mila fanti (contro 30 mila) ed innamorato di Adele Brambati (patriota veneziana, trentenne (otto anni più anziana di lui, moglie di un funzionario che era rientrato a Venezia). Garibaldi approfittò della pausa per guidare una insurrezione napoletana antibirbonica, guidando Mameli ed i volontari alle vittorie di Palestrina e Velletri.

Ma i francesi, rinforzati con 35mila soldati rotto l’armistizio li costrinsero a rientrare  a Roma ove   il 3 giu.1849 nella difesa della villa  Pamphili (il Secolo scrive Corsini) vicino a porta s.Pancrazio al terzo contrattacco in una  carica alla baionetta, Mameli fu ferito alla tibia sinistra poco sotto il ginocchio (identica ferita di Alessandro DeStefanis morto durante l’insurrezione di Genova; e Bixio all’inguine). Portato all’ospedale della Trinità dei Pellegrini, fu tardi quando il chirurgo Agostino Bertani -venuto a consulto il 19 giugno- ritenne doversi amputare l’arto sopra il ginocchio.Ma la ferita complicata dalla cancrena, gli permise sopravvivere per un mese assistito dal suo attendente (anch’egli genovese, e che somigliando al papa era stato soprannominato Pionono). Dopo una nottata di deliri (chiamò il padre per chiedergli scusa della leggerezza commessa e costata la carriera, declamò versi sconnessi, inneggiò alla patria augurandole giorni migliori, chiamando la dolce Adele) l’infezione  lo uccise alle 7,30 del mattino del 6 luglio, a nemmeno 22 anni (mentre lui sperava in un arto artificiale di origine parigina o comunque -senza una gamba- di almeno poter combattere a cavallo; ancora quando da tre giorni il nemico era entrato  vincitore in Roma e gli amici avevano dovuto abbandonarlo per la triste via dell’esilio, lasciandolo con Adele, Pionono ed il Bertani: questi scrisse il giorno 2 a Genova il drammatico dispaccio ‘Goffredo è spacciato. Si affrettino’, ma questo arrivò il 7. E quando poi il padre arrivò il giorno 9 a Roma restituita al Papa,  nel caos gli  fu  negato –con non poca arroganza- il  poter ricuperarne le spoglie, anche perché nascoste dal Bertani, non sapevano dove fossero. Gli fu resa solo la spada, dono di Mazzini).

I suoi resti - imbalsamati dallo stesso Bertani (che sottrasse una ciocca di capelli per la famiglia), furono sepolti  con modestissime esequie nei sotterranei della vicina chiesa di s.Maria in Monticelli, dalla quale -in gran segreto dal Bertani- furono poi traslati ‘in deposito’ in un feretro distinto dalle sue iniziali inchiodate all’interno, nella chiesa delle Stimmate. Poi furono ricercate a lungo ma senza esito dai familiari per essere riportate a Genova (sempre per malaugurate interferenze, come dapprima la guerra stessa, poi smarrimento di lettere di autorizzazione a procedere, ritardo negli interventi tipo la  morte di chi aveva in custodia le spoglie e quindi provvisorio smarrimento). Il 21 settembre 1870, il Bertani rientrato a Roma dopo la breccia di Porta Pia, fece ritrovare la cassa. Dal Comune di Roma il 9 giugno 1872 (ad un anno circa dalla morte del padre Giorgio ed a tre mesi di Mazzini)  fu trasferita al Campo Verano. Nel 1940 furono traslate al Vittoriano e, dal 1941 riunite assieme a quelli di tutti i difensori di Roma nel mausoleo del Gianicolo.

Una brevissima esistenza -troncata da una palla francese e repubblicana -  riuscì  a farsi classificare grande dal popolo e dagli storici (ma inviso e quindi trascurato dai governanti di allora -sia il re che il papa- per una costante ostilità nei loro confronti degli ideali mazziniani),  perché fu capace di affratellare tutti gli italiani con quell’inno. Cent’anni dopo con la vittoria repubblicana al primo referendum democratico post bellico, fu riproposto come inno nazionale: per la precisione si sa che nel 1946 il neo ministro della guerra Facchinetti dovendo sostituire in fretta la Marcia Reale propose l’inno di Mameli perché già pronto; esso fu accettato dal Consiglio dei Ministri solo in via provvisoria. Ma evidentemente tra i nostri difetti c’è che niente è più definitivo delle decisioni provvisorie!. Per questo più volte  questo inno si è attirato critiche le più disparate, per la sua istintiva semplicità e per non essere all’altezza del ruolo che svolge, sia per qualità del testo che della musica (con preferenza delle classiche note verdiane dal Nabucco.

Mio personale giudizio è che un inno non deve essere un classico musicale o letterale, ma deve essere un ‘valore’ che per orecchiabilità e per semplicità, sappia accomunare ‘con immediatezza e vitalità’  tutta la popolazione che lo canta; e questo parere è suffragato dalla lettura dei testi degli altri inni nazionali, dal francese in primis, che offrono soprattutto una musica molto solenne o enfatica con testi che banalmente o irruentemente invocano la protezione divina o incitano  all’unione ed alla ribellione all’oppressione di qualsiasi tipo: unità, giustizia,libertà, dio salvi la regina, ‘in god we trust’.   Al limite contrario forse allora  quello spagnolo e san Marino, che hanno solo una musica, senza un testo.

In nessuna città italiana mai fu eretto un monumento a suo onore e - con particolare torto - neppure nella sua città natale, che limitandosi a numerose lapidi ha favorito un mesto velo di dimenticanza (all’Università (nel 1872 dagli studenti), pza s.Bernardo 30, via s.Lorenzo 11 (questa targa dovette essere ritoccata cancellando la frase ‘in questa casa ebbe culla’ quando si chiarì che vi aveva solo abitato essendo nato in via s.Bernardo), pal. Ducale (v.T.Reggio), v Delle Grazie 13).

 

L’inno e le polemiche degli anni 2000.  Se Goffredo può essere considerato simbolo dell'attuale Italia, avendo il giovanissimo combattuto nel marzo 1848 per la liberazione della Lombardia (Padania) dagli Austriaci, e l'anno dopo a Roma per sostenere la Repubblica, l 'INNO oggi è provocato dal senatore Bossi a capo della Lega, che preferiscono il coro del Nabucco (decisamente lagnoso per essere un inno; almeno, quello di Mameli è 'tonico'. Chiedersi se musicalmente è meglio Verdi, ha una risposta ovvia; ma qui non si tratta di festival con un migliore vincitore, ma di provare quel minimo di scossa, di guizzo, di brio capace di svegliarci dal torpore nazionale). Ma essi fanno finta di non sapere -a puro scopo provocatorio - che esso fu scelto da G.Verdi stesso, nel 1846, per inserirlo nel suo “Inno delle Nazioni” (assieme alla Marsigliese ed al God Save the King); e non valutano che tra le righe c'è il simbolo fondamentale dei padani, là dove scrive “  Dall'Alpi a Sicilia, ovunque è Legnano”.  Comunque appare ovvio che l'attacco della Lega non esisterebbe, se alla base del sentimento nazionale non ci fosse un grave lacuna emotiva, una stanchezza dell'orgoglio (anche se il contrario, ovvero il nazionalismo spinto oggi sarebbe un male peggiore: i confini non debbono essere più sacri; non ci si mette sull'attenti con la mano sul cuore al suono dell'inno; non ci sono neanche più ideali a sostenere la lingua (favorendo il romanesco e sopportando l'ignoranza sulla grammatica e sintassi); ci facciamo scivolare sulla pelle le critiche della stampa estera.

Altrettanto Michele NOVARO, che compose la musica nel 1848, che -tutt'altro che antitradizionalista- fondò a Genova una “Scuola Corale Popolare”; curò una antologia di canti popolari (raccolti in un album titolato “Viva l'Italia”); e nel 1874 scrisse un'opera buffa dialettale “O mego pé forza”.

 

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale    

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda n° 2551

-AA.VV.-novant’anni con IL LAVORO voce di Ge dal 1903-p.26

-Ballero Felice-Encicl.Lig.Illustri.-vol.I.testo+foto  

-Barrini AG.-scritti editi e inediti di GoffredoM.-SocLStPatria.1902

-DeLandolina GC- Sampierdarena –Rinascenza.1922- pag. 22.46

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzogno

-Genova, rivista del Comune-7/57.13

-Il Secolo XIX del 22.02.04

-Millefiore&Sborgi-Un’idea di città-CentroCivico SPdA.1986-p.75

-Museo s.Agostino-archivio toponomastica

-Novella P.-Strade di Ge.Manoscritto bibl.Berio.1900-pag.18

-Pagano/1908–pagg.873-9----/1933-pag.247.874

-Pastorino&Vigliero-Dizion. delle strade di Ge.-Tolozzi’85-p.1060

-Pescio A..- Giorni e figure- LEM.1923- pag.99

-Pescio A.-I nomi delle strade di Genova-Forni.1986-pag.169

-Regina Annuario genovese del sig. -1902-pag 475

-Remedi A.-ricerche per conto Biblioteca Comunale Gallino-

-Rivista comunale ‘Genova’ : 9/33.   +   3/49.1          

-Seghetti Domenico-I grandi Liguri-ed.Ceretti . vol.2

-Tuvo T.-SanPier d’Arena come eravamo-Mondani.1983-pag.38foto

-Vassallo A.-la famiglia Mameli-rivista Acompagna n.3/28-pag.1


MAMIANI                                             via Terenzio Mamiani

 

TARGHE: -San Pier d’Arena – via – Terenzio Mamiani

                -via Mamiani

                                                         

 

angolo con via S.Canzio

 

angolo con via P.Pesce

 

angolo con via san Pier d’Arena

QUARTIERE ANTICO – Canto

 da MVinzoni, 1757.

In giallo la crosa dei Buoi; rosso il corrisppondente ipotetico di via  SCanzio.

N° IMMATRICOLAZIONE:   2797,   CATEGORIA:  2

da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:  35620

UNITÀ URBANISTICA:  26 - SAMPIERDARENA

 Da Google Earth 2007. In giallo via SCanzio; rosso, via PPesce

 

CAP:   16149 (era 16151)

PARROCCHIA:   S.M. della CELLA

STRUTTURA:  da via S.Canzio, senso unico viario a via P.Pesce e via San Pier d’Arena (dove sfocia con un caratteristico sottopasso).

   Strada carrabile comunale, lunga m.133,19, e larga 6,82; con marciapiedi.

   È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera.

 

STORIA:   Nella carta Vinzoniana del 1757, il tracciato della strada non esiste, e quindi è stato aperto lottizzando i terreni. Aveva: a levante la crosa dei Buoi; a nord, una vasta proprietà del mag.co Rainero Grimaldi; a mare due strisce affiancate di terreno, appartenenti a levante a Francesco Rovere, ed a ponente allo stesso Grimaldi di sopra; a ponente altro vasto terreno di Ambrogio Sauli il quale ha allo sbocco ipotetico a mare della strada, sulla palizzata a mare, una serie di 6 case la cui proprietà è  di difficile lettura (e quindi insicuro): da ponente: 1= RR.PP. della Cella; 2=Pietro Pittaluga; 3=Agostino Oliva(ri; o Novara); 4=Ill.mo Magistrato degli In.....tti; 5=sig. Giuseppe Alizeri;   6= mag.ci Pinotti per...Z (o F)..t.; 6=Giuseppe Alizeri..per...l’Alta (?); 7=villa di Ambrogio Saoli

Nell’anno 1901, una impresa Barabino-Calvi-Rebora fu incaricata di apporre la targa in marmo alla strada; fu chiamata semplicemente “via Mamiani”, come ancora la targa attesta tuttora, ed allora iniziante da via N.Barabino per arrivare a via C.Colombo, di 4.a categoria e con civici sino all’11 e 12 (nella casa civ.1 abitava Testa Lodovico e C ; al 2, 3, 4, 4a 6, 7, 8, 9 Berlingeri Edoardo; al 5 Bianchi Stefano e C ; 10, 11 eredi Tubino).

   Nel 1910 appare già inclusa nell’elenco delle strade cittadine, col solo cognome senza il nome: “via Mamiani”  da via N.Barabino a via C.Colombo  con civv. sino a 11 e 12.

   In questo stesso anno, in un capannone ivi esistente vicino alla crosa dei Buoi, fu aperto il cinema Ideal, che però durò assai poco;

      Nel 1927, essendo l’unica strada con questa titolazione, ed ancora con il solo cognome, non fu cancellata all’atto della unificazione nella grande Genova.

   Il Pagano/1933¤ segnala quanto sopra segnato

   Fu nel 1935 che la targa venne modificata con l’aggiunta del nome.

   Nel Pagano/40 abdava da via S.Canzio a via N.Barabino, ed aveva civici neri da 1 a 11 e da 2 a 10; e civici rossi con 5r frutta;  8r bottiglieria 9r osteria; 10r macelleria; 11r carbonaio; 12r tessuti; 13r polliv.; 19r tessuti; 20r commestib.; 21r tripperia; 22r latteria; 23r osteria; 24r parrucch.; 28r cereali; 36r segheria; 40r offic.mecc.

 

CIVICI

2007=   civici neri: da 1 a 15 (mancano 3 e 5); e da 2 a 12

                       rossi: da 1 a 39 (con 23A e 23B); da 2 a 46 (manca 14; con 12A e 34A)

   Posta nella zona del Canto al riparo della marina, fu sempre strada popolosa operaia, favorita dalla vicinanza dei grossi stabilimenti, dal mare, dal centro città. Numerose botteghe hanno testimoniato negli anni la vivace popolarità (solita osteria bottiglieria e grossista di vini, macelleria, tripperia, latteria, maglieria, panificio, un carbonaio, fruttivendolo,  fornaio, pollivendolo, parrucchiere, elettrauto, materiali elettrici, officine meccaniche, depositi ed autotrasporti, il tutto andato smorzandosi negli anni di inizio 2000 per lo spostamento della attività commerciali in zona Fiumara); tra essi:

Il Pagano/1902-08  segnalano due imprese di ‘asfaltisti’al civ.4: Cavo Francesco ed al 4/2 Pallavicini  Giovanni;--- ed al 5 la vaccheria di Dodi Emilio;---

 nel 1912 compaiono ancora i due ‘asfaltisti’ del 1902. All’11r il forno di Pittaluga Eliseo (nel tratto di sottopassaggio, esisteva questo forno a legna, gestito dal “Liseo”, ove i residenti, anche nel periodo subito dopo l’ultima guerra, andavano a rifornirsi di pane fresco, polpettoni, torte (era uso preparare tutto in casa e portarlo là a cuocere ben coperto nella lana per mantenere la lievitatura; specie nel periodo natalizio, il classico pandolce, era  confezionato dalle varie famiglie con propria ricetta esclusiva, per alcuni arricchito dai pinoli e canditi comperati dal ‘Ruffini’ ubicato nell’angolo della vicina attuale via Molteni).

Al 16r un altro forno,  di Distefano Placido.

   Il Pagano/1925 segnala al civ. 11r il Pittaluga Eliseo divenuto formaggiaio18r il negozio di foraggi di Roncati e Cicero (nel 1933, deposito)40r (di via “Marniani”) la fabbr. e negoz. di cinghie per trasmissione e di impermeabili (inteso come materiali impermeabilizzanti) dell’ing. Moda Luigi,  tel.41117; proprietario anche della “Società Anonima Olii Lubrificanti e Affini <S.O.L.E.A.”> 

In particolare

===civ. 9 fu costruito nuovo nel 1944 

Nel Pagano/50 vi vengono descritti due osterie (9r di Pesce V.; 23r cantine vinicole dei f.lli Rinaldi); ed all’8r un bar-caffé (di Carzato M.); nessuna trattoria.

===civv 2a, 2b; 7 furono assegnati a porte senza numero nel 1950 e ’52.

===civ 3 fu soppresso per ristrutturazione del caseggiato, nel 1973

===civ.13r (ove l’elenco telefoni SIP/1977 cita esservi Ottonelli M.M.) la sede dell’UGES Esperia Unione Ginnastico Escursionistica sportiva: era il nome di una squadra locale di calcio che fu costretta a sciogliersi in epoca fascista, con colori sociali metà maglia a sinistra bianca e metà destra verde, con stemme centrale sul petto; nata (statuto) il  23 agosto 1953; da 5 amici (tra i quali Angelo Cremonesi) appassionati di canotaggio a sedile fisso,“alla marinara” (e –dal 2000, adottato anche il sedile mobile) , con sede nel ‘bar Lino’ –credo in via SanPierd’Arena- e, prima imbarcazione e prima vittoria, una barca imprestata dalla soc.Foce. Da allora ha collezionato un bel palmarès di vittorie comprendente alcune vitorie al Palio di s.Pietro (ora Palio Città di Genova) e fautrice del palio marinaro tra le vecchie repubbliche.

Recenti sportivi sono GCarlo Caramagno (bronzo nei campionati nazionali), Stefano Biancheri (che ha fatto parte dell’equipaggio del galeone vincitore il Palio delle Repubbliche del 1999), Filippini, i due fratelli Stefano e Davide Leoncini, Roberto Zanatta (presidente nell’anno 2000).

===civ.    dal cancello che apriva una strada carraia verso i box delle ex poste, si intravede questa torre che, per essere residuo di quella del Canto - che manca all’appello tra le saracene - è troppo piccola; ma porge un quesito: che ci fa una torre simile nel retro dei palazzi di via San Pier d’Arena?

 

 

DEDICATA  al politico-filosofo-scrittore conte Della Rovere e di Sant'Angelo in Lizzola, nato a Pesaro il 27 settembre 1799 (Wikipedia scrive 19 settembre) da G.Francesco. Era cugino di G.Leopardi.


Fin da giovane, introdotto nella società colta ed elegante, culturalmente ben preparato, con base cattolico-liberale (con ottimistica visione del futuro quale disegno Provvidenziale) fu inviato a Firenze (1826) ove iniziò ad interessarsi ai problemi sociali programmando e partecipando ai moti insurrezionali


del 1831, di Toscana, di Bologna (detti di Romagna: fu nella vittoria nominato deputato e Ministro dell’Interno del governo provvisorio,  chiamato “delle Province Unite Italiane”). Sopravvenuta la reazione austriaca, fu catturato ed imprigionato a Venezia per quattro mesi mentre  papa Gregorio XVI lo condannò all’esilio perpetuo.  

  Dovette così emigrare a Parigi, ove mantenne i rapporti con gli esuli, politici, letterati, proseguendo sia la sua opera di attivista ma anche di studioso.

   Nel 1847 da Parigi, mandò alle stampe (tipogr. Pellas-Ge, con dedica al sac. Giuseppe Gando) un “Inno a san Giorgio, patrono di Genova, celebrandosi il centenario della cacciata degli Stranieri”. Unico nel secolo ed in Italia, a celebrare il santo cavaliere, partendo con la rievocazione delle glorie della città, ricordando come le guerre civili determinarono la assoggettazione agli stranieri, termina invocandolo perché –amico delle libertà- guidi gli italiani nell’opera di pace ma contro l’oppressione. Un infiammto ed infervorato messaggio ricco di sentimenti patriottici :

«Forza di gioventù lieta da’ marmi

«fiorente, ch’ogni loda a dietro lassi

«d’achei scalpelli e di toscani carmi,

«degno, san Gorgio (oh con quest’occhi lassi

«il vedess’ io), che innanzi a te ne l’armi

«un popolo d’eroi vincente passi.

   Non appena sentore che in quest’anno Pio IX  concedeva  una amnistia, da Marsiglia passò per Genova ove si fermò alcuni mesi ricevendo festosa accoglienza da coloro con cui aveva mantenuto rapporti dall’esilio. Con Domenico Buffa, qui fondò il giornale "La Lega Italiana", sostituito tre mesi dopo da "Il Pensiero Italiano".

   Scese a Roma nel 1848 vivendo nel 1849 gli sconcertanti momenti della città divenuta repubblicana; avendo ricevuto vari incarichi ufficiali nel governo pontificio di Pio IX (ministro degli Interni e poi degli Esteri), fu ovviamente contrario all’impresa garibaldina e mameliana della Repubblica Romana

   Dopo la caduta della Repubblica Romana, tornò a Genova, occupando nel periodo 1850-6 l’incarico di deputato al parlamento subalpino; e qui fondò l’Accademia di Filosofia Italiana.

   Si trasferì a Torino -1857- per la nomina alla cattedra universitaria di Storia e Filosofia; ad essa seguì, nel governo Cavour, quella alla carica di  ministro della Pubblica Istruzione (1858-60). In quegli anni approvò i nuovi programmi scolastici, che includevano l'insegnamento della religione tra le materie fondamentali.

  Ritrasferito di nuovo a  Roma, sempre propugnando le sue idee anti-austriache; appoggiato dal Cavour che gli fece salire i più alti gradini della carriera responsabile del nuovo governo italiano, sino a senatore del regno (1864), occupò la cattedra di Filosofia della storia fino al 1871.                         

  Politicamente un  moderato, ispirò una visione storico-filosofica del concetto di Unità che divenne modello di programma di insegnamento, nella fase dall'ultimo governo del Regno di Sardegna (presieduto da Cavour) al primo del nuovo dell'Unità raggiunta del Regno d'Italia.

Scrisse molti studi e  trattati sia filosofici (Del rinnovamento della filosofia antica italiana – 1836; Confessioni di un metafisico – 1865), storici che politici; compose versi e poesie (polemizzò col cugino sul pessimismo leopardiano).

   Morì a Roma, il 21 maggio 1885.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 2553

-DeLandolina GC.-Sampierdarena-Rinascenza.1922. pag.46

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzogno

-Enciclopedia Treccani ed./1930 vol.V

-GazzettinoSampierdarenese  :  1/91.8

-Grosso O.-San Giorgio dei genovesi-Moderna.1913-pag.287.291

-Internet - Wikipedia

-Lamponi M.-Sampierdarena-LibroPiù.2992 – pag. 107

-Novella P.-Strade di Ge-Manoscritto bibl.Berio.1900-pag.18

-Pagano/1908-pag.873---/1933-pag.247---/1961-pag.268

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-p.1061

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.33

 

la strada non è inclusa in 101/94.416
MANIN                                                        via Daniele Manin

 

 

Non più a Sampierdarena;  il nome fu sostituito con l’attuale via G.D.Cassini.

Prima del 1850 era chiamata “via  Catena” e poi, forse sempre popolarmente, via Marina (vedi sotto a 1902), e dava nome eguale alla zona (che confinava: con “la Coscia” a levante,  e “della Crosa Larga” a ponente); e delimitava gli orti - che dalla strada comunale De Marini arrivavano sino alla Strada Reale a mare - di proprietà dei Derchi a ponente e della famiglia Cambiaso a levante.

   Con l’avvento della ferrovia e dell’apertura della via affiancata (Vittorio Emanuele), nel 1853  assunse la struttura attuale (da via DeMarini a via Vittorio Emanuele- piazza Bovio , comprendendo il voltino della ferrovia).

Sono di quegli anni alcune case e la farmacia Bassano.


       Un quadro votivo della Madonna della Guardia riferisce che un giovane di Sestri, transitando il 1 febbraio 1894 per via Manin a Sampierdarena, rimase sotto un tram carico di gente e fu quasi stritolato: per intercessione della Madonna, dopo molte cure fu restituito alla sua famiglia (a parte la fantasia nel ritratto, è di fatto che in via Manin non sono mai transitati i tram – neanche gli omnibus a trazione animale - non essendoci la linea, se non nella corrispondente piazza Barabino).

  


 

Nel Pagano 1902 troviamo: al civ.4 si apriva De Andreis-Casanova tel.900 (producevano litografie per illustrare casse e latte da conserva alimentare).,

   Nel Pagano 1908 troviamo che la farmacia Bassano GB è ‘in via De Marini angolo via Marina’: quest’ultimo nome, riferito a via Manin, è unico e non so da dove sia tratto.

I due lattonieri evidentemente si sono separati: al civ. 4 rimane DeAndreis Gottardo ed al civ. 7 Casanova Giacomo, attivo ancora nel 1912: due delle 8 fabbriche  locali attrezzate.

   Nel 1910 era semplicemente “via Manin da via DeMarini a via Vitt:Emanuele” , con civici -allora distinti in neri e rossi- sino al 4 e 9 .

    Il Pagano 1912 cita nella via il confettiere Moizo Attilio; tre stabilimenti per la  lavorazione della latta: di Nasturzio Silvestro; (dei quali due anche abilitati a litografare per illustrare le casse e latte per le conserve alimentari): civ. 4  di DeAndreis Gottardo, tel 900;   civ. 7 di  Casanova Giacomo; Bertorello Salvatore demolitore di bastimenti(anche in via C.Colombo).

Tutti  presenti anche nel Pagano/25.  

 

Nel Pagano/25 quelli del 1912: al civ.3 il rag. Rivali & Ratto vendono articoli tecnici;-- al 4 Alvise Angelo spedizioniere ed impresa trasporti, tel.41007;--al civ. 5 Casanova G. tel. 41114, fabbrica casse di legno ed al civ.7 litografie per illustrare casse e latte per conserve alimentari.-- al civ. 6 la soc.an. Stabilimenti G. DeAndreis, tel.41206;-- la farmacia è al civ. 12-14 e sempre intestata a Bassano GB con telef. 41069;-- Nasturzio è trasferito in via VEmanuele;--  

   Nell’elenco stampato nel 1927 con le strade della grande Genova, il nome del patriota dava indicazione alla via di SPd’Arena (di 3a categoria) ed alla piazza in GenovaCentro: venne così deciso il cambio della titolazione.

   Ma ancora nel 1933 era titolata uguale, ed oltre la farmacia ospitava il confettiere Moizo Attilio.

  Cosicché, solo il 19 ago.1935 il podestà deliberò fosse chiamata ‘via Gian Domenico Cassini’.

La salma rientrò a Venezia il 22 marzo 1868, circa due anni dopo la liberazione della città al termine della Terza guerra di indipendenza, ove venne salutata con una festa funebre in Piazza S. Marco, preceduta da una processione funebre, lungo la Riva degli Schiavoni.

Il figlio Giorgio (1831-1884) sarà anch'egli patriota: uno dei "Mille" di Garibaldi, ferito a Calatafimi.

 

DEDICATA  all’ avvocato veneziano, nato il 13 magg.1804, attivissimo fin da giovane nella lotta anti austriaca e favorevole all’annessione al Piemonte per una unità italiana.                                                     Il giovane proveniva da una famiglia ebrea e, alla nascita viene registrato come Daniele Fonseca; solo quando in seguito la famiglia si convertì al cattolicesimo, come era prassi, assunse il cognome del padrino di battesimo, Pietro Manin, che era nipote senza figli di Ludovico Manin (1726-1802, ultimo doge). Ottenuta la laurea in giurisprudenza a Padova nel 1821, si dedicò all'attività forense nella città natia e nel 1824 sposò Teresa Perissinotti (1795-1849, appartenente ad una famiglia aristocratica veneziana con ampie proprietà terriere). Contribuì a fondare la Società nazionale italiana.                                                           Animò l’eroica difesa di Venezia: arrestato e imprigionato dalla polizia austriaca per attività antinazionale, fu liberato dall’insurrezione popolare del 17 marzo 1848 (insieme a  Nicolò Tommaseo) che proclamò il giorno 23 la Repubblica di San Marco o Veneta ove fu eletto dapprima ministro, poi presidente, e poi addirittura Dittatore (dal 13 al 24 agosto 1849 avviando con intelligenza e coraggio una serie di riforme in senso democratico-liberale (suffraghio universale maschile; libertà di stampa e di culto; nonché proposta di annessione al Piemonte). Quando però il Piemonte fu sopraffatto dal ritorno austriaco (sconfitta di C.Alberto nella I guerra d’indipendenza: a Custoza 23-25 luglio 1848; ed a Novara 23 marzo 1849) mantenne un atteggiamento mirabile e degno, nel riorganizzare e animare la resistenza della città, assediata dalle truppe austriache del Radetzky.             Per queste sue idee ed imprese, alla capitolazione  (22 agosto 1849) fu condannato all’esilio emigrando a Parigi dove viveva insegnando la lingua italiana; e dove morì a 53 anni  il 23 (Wikipedia scrive il 22) settembre 1857.

 

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 2556

-Archivio  Ferrovie Porta Principe

-A-sconosciuto-Storia del trasporto pubblico a Genova-sagep.1980-pag.28foto

-DeLandolina GC.-Sampierdarena-Rinascenza.1922-pag.46

-Enciclopedia ZanichelliDeAgostini

-Internet - Wikipedia

-Novella P-storia di Genova-manoscritto 1930 Bibl.Berio-pagg. 18.36

-Pescio A.-I nomi delle strade di Ge.-Forni.1986-pag.212


MANTOVANI                         via Paolo Mantovani

 

TARGA: via – Paolo Mantovani – 1930-1993

 

 

angolo con via R.Pieragostini

 

di fronte a via Fiumara

 

QUARTIERE ANTICO: Coscia – Fiumara

 da MVinzoni, 1757. La zona a ponente del ponte dove oggi scorre la nostra strada.

UNITÀ URBANISTICA: 26 – SAMPIERDARENA

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA – n°: 35810

 da Google Earth, 2007. In grigio, la via.

N° CAP:

PARROCCHIA:

   La Commissione comunale toponomastica, sottoposta a domanda specifica  avanzata in primis dalla Federazione Club blucerchiati, e da componenti pluripartitici della ‘sala rossa’ di Tursi, dopo 10 anni ed oltre dalla sua morte, nella prima decade di marzo 2004 diede l’approvazione per quel tratto di strada che inizia da via Pieragostini e passa dietro (a ponente) del Complesso Commerciale della Fiumara e davanti al Palamazda.

   Di fronte a qualche migliaio di tifosi chiaramente blucerchiati, ma contornati da ospiti illustri quali Spinelli (ex dirigente del Genoa, ora del Livorno), Lippi (allenatore della Nazionale), i Garrone (al padre Edoardo Garrone imprenditore della ERG è stata contemporaneamente intestata altra strada a Bolzaneto), Fabio Fazio (presentatore TV), vecchi giocatori, la moglie Dany Rusca con i figli Francesca, Ludovica, Enrico e Filippo, è stata ufficialmente scoperta la targa il giorno 6 luglio 2004.

  

sbocco in via  Pieragostini                                      ed in Lungomare Canepa

Sulla strada, da monte a mare, si aprono (prima della ferrovia) –a destra: al Palazzo dell’Ansaldo e dell’Ansaldo-Signal, seguito dal capannone ora adibito ai cinema UCI; (dopo la ferrovia) dal capannone del Mazda-palestra. A sinistra dai “Giardini Ansaldo Meccanico”, dal retro del Centro Commerciale seguito dal retro del silos auto ed infine dal lato ovest dell’AnsaldoEnergia.


   Sfocia in via Lungomare Canepa

 


   Nel 2009 venivano ripetutamente segnalate delle carcasse di auto abbandonate nei posteggi lungo la strada, occupanti lo spazio utilizzabile.

CIVICI

Nessuno pari. Dispari dal 3 al 29 (mancano 1, 7, 9, 19→23)

 

DEDICATA : di famiglia multiregionale, nacque a Roma il 9 aprile 1930. Cresciuto a Roma ed a Cremona, trovò lavoro a Roma presso gli armatori genovesi Cameli, che all’età di 25 anni lo vollero a Genova. Qui trovò la città in fase di ricupero postbellico dove armatori, brokers e petrolieri cercavano persone di carattere, decise, capaci. Trovò l’ambiente confacente al suo carattere: schivo, laconico, cocciuto, ma altrettanto organizzatore, intuitivo, volitivo. Genova, gretta e negletta andava a pallino ad un carattere che sorrideva a tutti e fiatava con nessuno. Bilaureato (economia e commercio; ed International Relations alla Boston University).

   Sposato il 8 luglio 1959, ebbe quattro figli (Francesca, Enrico,  Filippo, Ludovica).

   Di salute non perfetta (un rene ipofunzionante per calcolosi a stampo, ipertabagismo, diabete, stress), smise di fare il broker ed entrò nella Pontoil inserendo la piccola società nel grande giro delle compagnie petrolifere con giochi economici che richiedevano abilità, coraggio, fortuna, intuito e forse un certo grado di spregiudicatezza per giocare d’anticipo su incerti di valore, con cifre da capogiro.

   Quest’uomo quindi, che non amava essere secondo, né condizionato, scelse dirigere la Sampdoria non certo per il “bagno di folla” anzi forse solo perché il suo ruolo di dirigente era responsabilmente ben distinto e separato dal ruolo dei tifosi quali spettatori.

  Creò la più grande Sampdoria mai avuta, mai contestando un arbitro o avversario, moltiplicando i tifosi, creando per sé  una indistruttibile venerazione e riverenza degna di un capo tribù.

   Iniziò la presenza nello sport nel  1973-4, solo quale addetto stampa...a denti chiusi, insulinodipendente e quattro pacchetti di sigarette al dì.

In quegli anni storicamente la Sampdoria subì l’ignominia di tre punti di penalizzazione per sospetta iniziativa -da parte di un dirigente-, di corruzione; nel 1974-5 fu ripescata in A.  Alla guida aveva G.LolliGhetti e poi  E.Costa (che sconsolato aveva dichiarato che Genova non poteva mai avere una grande squadra, essendo il pubblico poco e diviso in due).

Nel 77-8 la squadra risubì la retrocessione in B.

   Sul finire (alla terz’ultima partita) della stagione successiva, il 3 luglio iniziò l’era Mantovani. In questa data, ufficialmente dal 26 ottobre 1979, acquisì da Montefiori, DeFranceschini, Garufi e Rolandi il pacchetto di maggioranza della UC Sampdoria spa e -con esso- assunse  la 12a. presidenza. Saranno15 anni di sogni ed entusiasmo.

   Con una campagna acquisti lentamente in progressione sottolineata da un passivo finale di tre-cinque miliardi all’anno (sommate anno per anno, prima di rigirare in attivo nell’86 i conti della società, parificò di tasca sua sette campagne di mercato in passivo, per un complessivo investimento di 45miliardi). Nelle spese inseriamo la costruzione del centro-ritiro di Bogliasco.

La squadra ebbe  questa successione:

1979-80= serieB 7°

1980-81= serieB 5°

1981-82= serieB 3° promossa in A               +sconfitta in semifinale di coppa Italia

1982-83= serieA 7°

   Si instaurò subito tra lui ed i fedeli, un feeling particolare, rasentante l’idolatria: entusiasmi, aumento dei tifosi, impegni morali e disciplinari al di sopra quelli sportivi, ma soprattutto vittorie. Proverbiale divenne la drastica minaccia di abbandono se si fossero manifestati turbamenti da parte dei supporters inquieti ed invadenti abituati a scavbalcare le griglie, farsi una propria giustizia, lanciare razzi e fumogeni, cori con ‘devi morire (invasioni anche pacifiche, mortaretti, monete: niente degenerazioni sportive; deferimento di Boskov alla Commissione per una infelice battuta su un giocatore avversario).

   La sua immagine nel 1980 fu avvolta nei fumi dello scandalo petroli ed incalzato da inchieste (da qui il titolo “sceicco”; ed ogni proprietà posta sotto sequestro). Tempi duri, tanto da dover procedere scortato da due gorilla.

   E come se non bastasse un infarto cardiaco (2.9.81) mentre era in trasferta a Cagliari. Così di conseguenza nel 1982 fu tra i primi operati di 5 by pass a Phoenix in Arizona, prima che -temeva- che gli ritirassero il passaporto. La convalescenza per quasi 2 anni dovette passarla in Svizzera ricevendo irrisoriamente il titolo “emigrante d’oro”; ma la sua assenza sembrò apparente in quanto in seno alla società, proseguirono anche senza la personale supervisione le scelte giuste; l’operato fu eseguito nel senso e col razionale da lui auspicato; i successivi risultati sul campo convalidarono le sue direttive; tutto contribuì a fare di lui il monarca assoluto.  

   Intanto nei processi -da primo grado alla Cassazione- andò sempre assolto.

   Nel 1984-5 diede il via nel Palasport al torneo-trofeo Alberto Ravano -calcio indoor per ragazzi delle scuole elementari liguri-.

In contemporanea iniziava un lungo ciclo, detto “era Mantovani” di entusiasmanti vittorie, ottenute da scelte sue dei personaggi, da Mancini a Vialli, Vierchowod (detto Zar, o –da Maradona- Uomo Verde), Pagliuca, Cerezo (unico straniero), Lombardo (detto Popeye), Lanna, Invernizzi, Mannini, e tutti gli altri fino a Boskov.

1983-84= serieA 7°

1984-85= serieA 4° - 23.7.85=1a Coppa Italia                + Uefa (sino agli 8vi)

1985-86= serieA 11°                                               +sconfitta in finale di coppa Italia

1986-87= serieA 5°                                         (a pari merito con Milan che vince Uefa)

1987-88= serieA 4° -19.5.88=2a Coppa Italia

1988-89= serieA 5° -28.6.89=3a Coppa Italia +10.5.89 sconfitta finale Coppa Coppe

1989-90= serieA 5° -9.5.90=CoppaDelleCoppe +29.11.90 sconfitta superCoppa Europea

1990-91= serieA 1° Campioni d’Italia con 51 punti (seguiti da: Milan ed Inter a 46 e           .                                                                            Genoa a 40) + 9.6.91 sconfitta finale di Coppa Italia       

1991-92= serieA 6°   +sconfitta semifinale Coppa Italia + sconfitta finale Coppa Campioni

1992-93= serieA 7°

(La quarta Coppa Italia sarà vinta nel campionato dopo la sua morte,  il 20.4.94)

  Guidò così la squadra per  14 anni (e tre mesi e undici giorni!) vincendo uno scudetto, una coppa delle Coppe; una supercoppa di Lega italiana; tre coppe Italia; due coppa disciplina; con cinque finali perdute (due in Europa, come a Wembley nel maggio/92, e tre in Italia).

    Morì col polmone devastato dal cancro,  il 14 ottobre1993. Il funerale fu eseguito sabato 16, con il feretro preceduto da una jazz-band stile Louisiana (era stato operato a Phoenix e là aveva conosciuto questa simpatica usanza) che suonava “what a friend we have in Jesus”, mille mani si protendevano per toccare la bara e la folla a invocare «Paolo!, Paolo!» in un delirio collettivo. Tra i sacerdoti, c’era il nostro don Ferrari, amico della famiglia, che aveva sposato una figlia.

  Riposa nel cimitero di Bogliasco (vicino al Centro di allenamento).

  É stato sostituito alla guida della società, da E.Garrone

  Si sonbo formati club sampdoriani col suo nome, anche se accomunati con gli altri nel titolo “Amici di Paolo”, nel desiderio di diffondere certi valori dello sport, in primis la disciplina.

 

BIBLIOGRAFIA

-AA.VV.-Oltre un secolo di Liguria-IlSecoloXIX.1996-pag.704

-Gazzettino Sampierdarenese n.03/04.7 +

-Gotta.Gambino-Mille volte Sampdoria-DeFerrari.1991-pag310

-Il Secolo XIX del 9/3/04 + 11/3/04 + 14.10.08   

-Magliveras D.-La grande Samp-Martintype.2002-tutto

-Parodi R.-Tutto sul derby- SES ***

-Sessarego P.-Sampdoria-NEP.1991-pag.270

-Sessarego P.-Paolo Mantovani- Tormena.1994-tutto

-Vignolo.Parodi-Sampdoria-IlSecoloXIX.1991-pag.4

-

 

 

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MANZONI                                                          via  Alessandro Manzoni

 

 

Attualmente collocata a san Fruttuoso, corrisponde alla attuale via G.B.Sasso 

   Nata agli inizi del secolo 1900 , era un nuovo tratto creatosi sulla proprietà Palau, in prosecuzione di via Carlo Rota; nel 1910 era ancora “da via P.Cristofoli verso la collina”, già con  numeri civici progressivi sino all’ 8 e 23.

   Nel Pagano 1922 è citato come unico esercizio il commestibili di Pino Italia al 68r

   L’elenco delle strade stampato dal Comune appena formata la Grande Genova nel 1926, segnala ben 8  tra vie e piazze dedicate allo scrittore: in Centro, e  programmate da essere sostituite a Pegli, Pontedecimo, Bolzaneto, Prà, Rivarolo, SPd’Arena e Sestri. La nostra era catalogata di 5a categoria.

   Nel 1933 metteva in comunicazione le vie C.Rota-P.Cristofoli con la via C.Cattaneo (via N.Ardoino), di 5.a categoria e con civici sino al 10. Vi si apriva al civ. 4 l‘unico esercizio di Molinari Aurelio¨ di metalli (ottonaio), apparecchiature per gaz, elettricità, idraulica.

   Il 19 ago.1935 il podestà deliberò si chiamasse ‘via G.B. Sasso’, da via N.Ardoino a via P.Cristofoli.

 

DEDICATA al poeta, romanziere e saggista milanese (Milano, 7 marzo 1785 – Milano 22 maggio 1873).

Di agiata famiglia: conte  da parte del padre don Pietro (putativo però, perché il padre è conosciuto ‘impotente’ e quindi 'becco' da parte della sposa, Giulia Beccaria. Pare che per primo la moglie lo tradì con Giovanni Verri, il minore di illustri fratelli; poi con Carlo Imbonati dal quale ricevette cospicua eredità); marchese da parte di nonno Cesare Beccaria. Risulterebbe quindi che fu figlio naturale del primo amante della madre; e divenne erede universale del secondo amante di essa.

Alla separazione dei genitori (1792) completò gli studi presso istituti privati religiosi lombardi, i quali invece inasprirono un anticlericalismo giacobino (primo poemetto del 1801: Del trionfo della libertà). Dopo tre anni, si trasferì dalla madre a Parigi.

Fin dall’adolescenza dimostrò inclinazioni politiche, letterarie e religiose alquanto spiccate e forti. Queste trovarono nell’adulto un equilibrio capace di fargli realizzare tutta una produzione letteraria che ben presto lo pose in primo piano nel mondo culturale di allora.

Rimase vedovo due volte; ebbe complessivamente nove figli, dei quali sette gli premorirono (l'ultimo, venti giorni prima che morisse lui ottantottenne).

 

   Fu a Genova dalla primavera del 1806 a tutto marzo dell’anno dopo, assieme alla madre Giulia attratta dal clima mite della riviera, e  castamente innamoratosi della promessa moglie del marchese Giancarlo DiNegro che  egli frequentava nella loro villetta. Qui in città faceva il turista, ed andava ad ascoltare commedie al Falcone (locale per solo aristocratici; vi lavorava la ‘Compagnia dei Dilettanti’).

   Ritornò nel 1827 per tre settimane, assieme alla moglie Enrichetta Blondel ed i 4 figli ai quali era stata prescritta una terapia marina; rifrequentò la villetta DiNegro ove si tenevano adunanze, valutazioni letterarie e politiche, nonché dibattiti sulla ‘occupazione’ piemontese. Fu ovvio oggetto di riguardo avendo già dato alle stampe le tragedie, il Cinque Maggio, e –l’anno prima- la prima edizione dei Promessi Sposi allora titolata “Fermo e Laucia”.

Fu uno dei primi a far valere i 'diritti d'autore' nati nel 1840 e sino ad allora furbescamente trascurati dagli editori che si sentivano autorizzati a 'usare' gli scritti di data antecedente. Avvenne nell'anno 1845 (con l'Unità d'Italia ancora da farsi), quando il Manzoni adì legalmente contro Le Monnier (un francese trapiantato nel granducato di Toscana), per scritti (“Fermo e Lucia”) del 1820 (poi riveduti e corretti ed autostampati come “I promessi sposi” in edizione di lusso e quindi non acquistabile dal popolo, dall'Autore stesso nel 1843).  Vinse il Manzoni in Cassazione, e delle 150mila lire pretese, ne ebbe 35mila.

L’ambiente era abbastanza incandescente ed effervescente,  per la predominanza di due sentimenti concatenati e libertari: locali (repubblica-regno) e generali (Italia-Austria). Da un lato ebbe l’approvazione e la stima da Mazzini e dei critici in genere, dall’altra duro fu l’attacco locale contro questo romanzo e la persona dell’autore portato su due fronti: da padre GB Spotorno, professore universitario di vasta cultura ma antimazziniano e che giudicò l’opera sul piano letterario come narrazione bislacca e strampalata, contraria alla civiltà del tempo, anzi come un colera culturale (tanto che riuscì sia a far sopprimere il foglio di annunci locali “l’Indicatore genovese”, il quale -oltre ad appoggiare Mazzini nemico del Re e della Religione- aveva elogiato il Manzoni), sia dagli estremisti rivoluzionari (tra i quali Giovanni Ruffini) che interpretarono  la trama come istigazione alla rassegnazione ed alla pazienza contro i potenti.

   Di indole schiva all’azione diretta ed agli estremismi, riuscì a descrivere nei suoi scritti -con purezza della lingua italiana e con insuperabile espressività e sottilissima psicologia e con serietà storica-  personaggi dalle più varie qualità morali (come Napoleone nel famoso “5 Maggio” ; e nei “Promessi Sposi”,  tutti i simboli, del bene e del male).

 

BIBLIOGRAFIA

-Aimonetto L-il Risorgimento-Lattes.1958-pag.207.277 

-Archivio Storico Comunale Toponomastica -  scheda 2570

-DeLandolina GC.-Sampierdarena-Rinascenza.1922- pag. 46

-Mannucci LF-aneddoti di vita letteraria e politica genov.-Liguria.1967-p.79

-Novella P.-strade di Genova-manoscritto bibl.Berio.1930 ca-pag.16

-Pagano/1933-pag.247

-Pescio A.-I nomi delle strade di Genova-Forni.1986-pag.213


MARABOTTO                                     via generale Francesco Marabotto

 

 

TARGA: San Pier d’Arena – 2774 –

via – Francesco Marabotto – generale comandante la piazza di Balaklava – 1812-1893

                                                                                                                    

 

QUARTIERE ANTICO: Promontorio

 da MVinzoni,1757. Ipotetici tracciati, in fucsia di via GBMonti; rosso, via dei Landi; celeste via Currò; giallo via ACaveri.

 

N°  IMMATRICOLAZIONE:   2774

  

da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   35900

UNITÀ URBANISTICA: 25 SAN GAETANO

 da Google Earth 2007. In giallo via ACaveri; rosso salita GBMillelire; fucsia via dei Landi; celeste via GMignone.

 

CAP:   16151

PARROCCHIA:   s.G.Bosco

STORIA: la strada cittadina in direzione perpendicolare a via s.Martino (via A.Saffi) all’altezza della chiesa di san Gaetano, fu dapprima titolata al generale. Così rimase sino alla delibera della Giunta comunale del 5 lug.1946, data in cui fu deciso per il passaggio all’attuale via D.G.Storace. 

Da allora il generale andò in “pensione” per una ventina d’anni  fino al 7 lug.1961, quando per delibera del Consiglio comunale gli fu assegnata l’attuale strada creatasi con l’edilizia della società immobiliare Palmetta,  ed a cui venne assegnato il n° di immatricolazione della distrutta scalinata Filangeri.

   La zona era sede di una villa residenziale andata distrutta a favore della edilizia attuale: alcuni marmi erano rimasti accantonati in una aiuola d’ angolo della strada, al confine con la salita Millelire, e poi scomparsi.

 

STRUTTURA:  doppio senso viario, prosegue via A.Caveri e finisce chiusa,   verso la collina; si collega con via Dei Landi, tramite una  strada a chiocciola, unica nella delegazione, necessaria per il ripido dislivello tra le due strade sopra e sottostanti.

L’inizio della strada, è sopra una delle ultime gallerie dei Landi; in quel punto, nel sottosuolo, la ferrovia incrocia la strada.

È una STRADA PRIVATA, chiusa al traffico pubblico nel 1999 da sbarre a comando. Ancora nel nov.03 appare inclusa nelle ‘vie private ad interesse pubblico’ e quindi programmata a divenire municipalizzata –vendita gratuita con in cambio manutenzione e servizi (illuminazione, cassonetti della spazzatura, fognature, asfalto). L’elenco fu ripubblicato sul Secolo XIX nell’agosto 2004. Dopo sei anni tutto appare fermo.

È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera.

 

CIVICI  esiste numerazione unica consecutiva per box e civici.

2007 =   da 3 a  e da 155 a 159

              da 2 a 172  ( compreso 156F; mancano 74,76,80,82,86,88)

In particolare:

===civ. 1 non esiste

===civ 3 fu costruito per primo, da una impresa diversa rispetto quelli sovrastanti. Pertanto non fa parte del complesso edilizio denominato “La Palmetta”.

   Nell’appezzamento di terreno a lato mare del civ.3, c’è il rudere di una costruzione in mattoni, forse di un pozzo, della antica villa sottostante dei Currò. Nel 1990, il progetto della soc.-coop. Gaggero2000 srl  di costruire nel posto un autosilos da 80 posti, fece nascere un ‘comitato spontaneo di protesta’ firmato dagli oltre mille abitanti della strada che chiesero al Comune dei giardini (per il quale furono studiate planimetrie e programmati campetti per il gioco della petanque, e ricreative per bambini, con l’approvazione del CdC. E degli uffici del Volontariato, e quindi il 20 febb.1992 all’assessorato dell’edilizia privata) e maggiore assistenza anche contro la frequentazione di tossicodipendenti. In attesa, il terreno dal 1992 fu tenuto sgombro da rovi e sterpi da un comitato di  volontari residenti. Nel 2001, l’attesa senza risposta alcuna, si sta facendo vana e deprimente.

   In quello di fronte invece, da un rigoglioso orto curato da un privato, unico residuato è un albicocco centrale. Infatti nel terreno -nell’aprile 2002- si è finalmente inaugurato un desiderato spazio a giardino per i residenti; tre aree distinte: una con giostre per piccoli, posizionate secondo severe e moderne leggi di sicurezza; un campo da bocce-petanque; uno spiazzo da adibire anche a pic nic con barbecue e tavoli. 

   Questo tratto stradale fu tolto  a via A.Caveri ed assegnato a via F.Marabotto nel 1961.

===civ.5 fu assegnato nel 1979 all’ingresso alla scuola

===civv. dal 14 al 156 –senza numerazione rossa ma tutta nera progressiva, compresi i box - furono costruiti dalla impresa ‘Palmetta’ di Sanguineti (proprietario di alcuni appezzamenti di terreno nella zona del civ.14), Panico, Costa e Mongiardino, dall’anno 1961-2 (i civv 120-122,  66-68, 156, 14-26) al 1972  (il civ. 157 –159 dopo concessione di passaggio alla Gescal-Pantarei).

il civ.14 sovrastante un prato

 

DEDICATA  

Famiglia= antica genovese, citata  nel X secolo quale appartenente al ramo dei visconti di Manesseno. Nei secoli dopo (il primo stemma rintracciato è del 1307), ne acquisiranno uno, così definito «d’oro all’aquila di rosso accompagnata in capo da tre torte poste in fascia dello stesso»: è una aquila al volo, sormontata da tre dischi (o torte; probabilmente i marabottini arabo-ispanici, che erano monete d’oro).

Il generale: genovese, nato nel 1812, seguì la carriera militare partecipando dapprima -come ufficiale d’artiglieria- alle guerre di Indipendenza, e poi inviato in Crimea dal governo sardo, ove migliorò la sua carriera per merito acquisito sul campo.

Questa guerra viene storicamente considerata la prima “moderna”, per le alleanze, gli interessi, ed i mezzi militari usati; qui si scontrarono le truppe russe, contro quelle di Francia, Inghilterra, Turchia e Piemonte; tra i tanti scontri, avvenne anche la battaglia di Balaclava   (25 ott.1854 . Città sul Mar Nero, vicina a Caffa, oggi in Ukraina; zona  di medioevali possedimenti coloniali genovesi quando ancora si chiamava Cembalo; viene ricordata per  gli  asprissimi combattimenti per il mantenimento del porto, affidato  alla   difesa del  Marabotto

 il forte genovese Cembalo

 

Ma della battaglia, fanno la parte del leone storico i due eserciti contrapposti nelle vaste pianure collineggianti, e le rispettive cavallerie: di esse viene coralmente citata la  carica di una brigata di cavalleria inglese il 25 ott.1854, guidata da lord  Cardigan che divenne l’eroe della guerra: l’unità, nella cosìdetta ‘carica dei 600’ andò a metà distrutta, ricoprendosi però di gloria.

La definitiva caduta della fortezza di Sebastopoli dopo 339 giorni di assedio  finì la guerra, con la sconfitta delle truppe russe (che però conservarono il possesso della penisola; questi ebbero 110mila morti, contro i 119mila degli alleati, di cui 2mila italiani).

  

la inutile ma gloriosa carica dei 600     dalla fortezza: l’odierna città di Balaklava e sullo sfondo le piane

                                                              teatro degli scontri durante la guerra di Crimea.

 

Cavour trasse da questa   partecipazione -comandata da A.Lamarmora- fecondi risultati politici per l’Italia nel febb-mar.1856, potendosi sedere al tavolo delle trattative di pace, alla pari con le altre nazioni europee.

   Nel 1844 il Marabotto, forse cliente del padre di Nicolò Barabino, insistette col sarto affinché iscrivesse il figlio all’Accademia Ligustica di Belle Arti  (e considerato la carriera che Nicolò vi svolse, il generale può essere giustamente considerato il primo benefattore del pittore).

   Divenuto maggiore generale nel 1861, comandò dapprima il 4° dipartimento e successivamente divenne membro del Comitato dell’Artiglieria, incarico che conservò anche dopo la promozione a tenente generale.

   Morì nel 1893.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale - Toponomastica scheda 2572  

-AA.VV.-Annuario, guida archidiocesi-1994-pag. 416; 2002-pag. 453

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-Gazzettino Sampierdarenese  :  2/90.14  +  3/92.5  +  

-Il Secolo XIX del 24.04.02 + 25.11.03 + 23.08.04

-Lamponi M.- Sampierdarena – Libro Più.2002- pag. 187

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-Pescio A.-I nomi delle strade di Genova-Forni.1986-pag.41

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova- Marsilio1995-tav. 22

-Roscelli D.Nicolò Barabino, maestro dei maestri-S.Universale.1982-pag.234

-non c’é :   ES + EM +  Pagano/33.271era già cambiata con v.Storace e non era ancora costruita la attuale


MARABOTTO                                via  generale  Marabotto 

 

 

 

   Titolata  nell’anno 1900, per volontà della Giunta comunale di quegli anni, fu preferito il generale piuttosto che lasciare il nome usato volgarmente  di “via Grosso (o Grasso)” (evidentemente per la presenza – all’angolo-mare con l’attuale via C.Rolando - della villa seicentesca il cui ultimo proprietario prima della demolizione portava quel nome.

 la lottizzazione della zona in mappa di fine 1800

 

   Nel Pagano/1908 nella via è scritto avere sede di commissionario e rappresentante Cornetto Giuseppe, al civ.2(anche nel 1912)

   Nel 1910 è inclusa nell’elenco delle strade cittadine, sita tra “via Umberto I e via A.Saffi”con civv. sino al 4 e 9..

   Il Pagano 1911 e 12 aggiungono rispetto al 1908: civ.2 metalli e  fabbrica di pallini da caccia di Molinari Aurelio (attivo dal 1911 al 25);---

civvNP  una farmacia nel 1912 di proprietà non conosciuta (nel 1919 è di DellaFerrera Francesco come quella di via Buranello (una foto degli anni venti (vedi sotto) mostra la prima sede della farmacia san Gaetano; mentre sia la chiesa di san Gaetano che l’ingresso della palestra erano anticipati da una inferriata);--- il negozio di straccivendolo di Zanellotti Luigi (attivo dal 1911 al 25).

   

 

   Nel Pagano 1925 al 2-5 Cornetto Giuseppe si interessava di indeterminati ‘articoli tecnici’;

   Nel 1927 era classificata di 3a categoria.

   Nel Pagano/40 limitava via Martiri Fascisti da via E.Mazzucco; aveva l’Asilo Infantile dedicato ad A.Cantore; e nei civici rossi: 4r trattoria, 8r commestibili, 10r sartoria, 12r carbon., 11r mobili, 14r latteria, 15r fruttiv., 16r calzol., 18r osteria, 20r tintoria s.Gaetano, 23r commestib., 24r commest., 27 fruttiv., 35r macell., 37r piolliv., 41r profum.

 

   Così come ancora nel 1933 quando univa via Milite Ignoto con via A.Saffi ed aveva  civici neri sino al 6 ed il 3; e la farmacia non c’era già più.

 

 

 

Al civ.4r la trattoria di Aloisio Giovanni: era stato incaricato di preparare il cibo per i carcerati, delle vicine Mandamentali; al 6-23 c’era una scuola di taglio di Ferrari Settimia; un negozio di stracci di Zanellotti Luigi

   Con delibera della Giunta comunale  del 5 lug.1946, fu cancellata questa titolazione alla strada, quando connetteva via Paolo Reti con via Carlo Rolando; ed al suo posto la via  fu denominata via Dante Gaetano Storace (alla quale si rimanda per le notizie storiche).

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale Toponomastica scheda 2573

-DeLandolina GC.- Sampierdarena-Rinascenza.1922-pag.47

-Pagano, anni/1908, /11, /12, /19-pag.1015, /25, /33-pag.247,


MARINA                                                    strada della Marina

 

 

Poiché in tanta parte si sovrappone a Lungomare Canepa, molte notizie vanno confrontate con quella via.

Ma fondamentalmente è il primo nome dato all’attuale via San Pier d’Arena  finché –presumo nella seconda metà del 1800- non le fu dato il titolo di via Cristoforo Colombo. Rientra nella parlata generale che, andare “a-a mænn-a” significava andare a questa strada.

Una strada lungo il litorale sicuramente può competere in anzianità con  quelle formalmente riconosciute come  “le prime” , ovvero la prima, l’Aurelia (attuale via alla Porta degli Angeli-salita Bersezio) e seconda quella ‘interna’ (il nome più antico fu via DeMarini).

 Nacque considerato appunto l’ attività marinara e cantieristica del borgo,  e l’ovvia necessità quindi di spostarsi lungo la spiaggia essendo l’interno occupato da orti e poi dai giardini delle ville.

  Quando nell’89aC Roma concesse ai genovesi essere ‘cives romani’, assieme ai diritti, in cambio chiese a Genova di armare delle navi e curare la difesa ed il traffico sul mare: nacquero cantieri su tutte le marine viciniori favorendo la già spontanea dedizione locale al mare ed ai viaggi, e la nostra spiaggia in particolare per un più facile sbarco del legname necessario.  Plinio il vecchio cita delle colonie genovesi nel Ponto ed in Palestina esistenti già 60 anni prima della nascita di Cristo; ed è da quei tempi –e durato fino agli inizi del 1800- che navigare e fare pirateria divenne agire comune e riconosciuto ufficialmente da tutti.

   Intorno al 1100 e per qualche secolo a posteriori, viene descritto il progressivo ed inspiegabile fenomeno di arretramento del mare: medialmente di 5-600 metri; in alcuni tratti della costa ligure, di 1200.  Non ci appare abbia interessato in forma evidente il nostro borgo: tenuto conto della nascita della chiesa della Cella,  e della marina con i bagni dell’inizio del 1900, ma sicuramente le risentì di più in zona Fiumara.

   Dal XII secolo nacquero sulla spiaggia i principali cantieri navali della Repubblica. Altri ne aveva sia  nel proprio territorio (a Sarzano e Fontanella ma purtroppo sacrificati nello spazio seppur col vantaggio dei migliori artigiani ed imprendtiori) e sia a Portovenere (levante) ed a Arenzano-Varazze (ponente) . Ma San Pier d’arena offriva su tutti innegabili vantaggi economici e funzionali: spiaggia, vicinanza, entroterra boscoso (specie di roveri), non limiti di stazza.

  E’ datato 1221 un atto notarile per cui la fam. Oliverio di Sestri alla presenza di testimoni, “promettono di consegnare in Sampierdarena a Bonagiunta Caldino,60 tavole lunghe 10 cubiti, larghe 1½ palmo e dello spessore di due dita”. Potrebbero essere state utilizzare per qualsiasi attività, anche cantieristica.

Non c’è data nella promessa di fornitura di una carena di goe 29 (=m.21,75) da parte di Rubaldo Moro di Ceranesi, da dare ad Ansaldo Rabaldo ed Opizzone Arabite sampierdarenesi. Sappiamo che nel XI e XII secolo folti erano i rovereti dell’entroterra genovese, e che le forniture erano rapide: in 15 gg. si aveva il materiale alla marina; non stagionato ovviamente perché essa dipendeva da chi acquistava; praticamente in quegli anni possiamo affermare che pochissimi erano i cantieri mediterranei con il vantaggio di foreste così vicini (a seguire, divennero famosi i legni del m.Beigua e delle vallate anche d’oltregiogo (Polcevera e Orba).

   Il 27 luglio 1242, avendo i Pisani (AnsaldoDeMari e l’ammiraglio pisano Busacarino, in nome dell’imperatore FedericoII e dei genovesi Mascherati fuoriusciti) conquistato PortoVenere e posto in assedio  Levanto, Genova accorse in aiuto: prima di partire fecero davanti alla nostra spiaggia un raduno di galee e taride ornate di guerra ed  il podestà di Genova ne fece rassegna davanti una moltitudine di folla ‘ad jocunda visio et moltitudo quod in tota plazia nullo modo stare poterant’.. Poi si trasferirono al Bisagno da dove andarono in s.Lorenzo a ricevere le insegne di sanGiorgio e la comunione. Al 4° giorno andarono a liberare gli alleati, disperdendo per mare (conquistando una galeotta, della quale molti soldati preferirono morire annegati anziché prigionieri; i Pisani si vergognarono di rientrare a Pisa e –più veloci- navigarono al largo) e per terra gli assedianti. Mentre la flotta genovese era a levante, il figlio di DeMari,  Andriolo,  tentò entrare a Genova;  ma poi con 57  galee si rifugiarono a Savona. Cosicché il 21 ago  la stessa armata di sopra composta di 83 galee ed altri legni armati si ritrovò di nuovo davanti la nostra spiaggia, con mèta Savona. Ma i pisani, ancora fuggiti verso ponente costrinsero i genovesi inseguirli ed a distruggere Albenga ed  Andora, alleate dei savonesi finché con alterne vicende il DeMari fece vela verso la Sicilia.

   Nel 1248 gli eventi pressarono nuovamente Genova: Federico era ad assediare Parma (ove erano 90 balestrieri genovesi), mirava poi scendere a Genova,  e temeva le navi che sulla nostra spiaggia si stavano varando numerose perché avrebbero potuto ospitare il re di Francia Ludovico ed andare a soggiogare la Sicilia. Il podestà era attento a queste costruzioni navali che in pochi mesi portarono ad essere 32 le galee disponibili, ma nel frattempo Federico venne sconfitto a Parma e tutti i suoi alleati diminuirono le velleità

   Un atto notarile datato 25 marzo 1254 descrive la vendita per L.11, a dei siculi, da parte di un cittadino sestrese, della barca con 7 remi, chiamata ‘s.Stefano’ e  che è arenata sulla nostra spiaggia.

  Tutti questi avvenimenti, avvertono il Senato della Repubblica dell’importanza di essere forti sul mare: abbastnza riparati dagli Appennini, i problemi potevano provebire solo dal mare. Da qui la decisione di avere sotto controllo tutti gli approdi vicini. Se questa politica accentratrice poteva portare povertà ai piccoli centri sparsi per la Riviera (Portofino, Rapallo, Camogli a levante; Voltri, Varazze, e ... Savona e Noli a ponente) per mamma Genova era il prezzo da far pagare per avere sicurezza. Ne seguì attenta eliminazione di tutte le attrezzature nei centri – fuori riviera, ma anche e più facile da controllare nel Dominio - che potessero portare concorrenza commerciale al porto (situazione definita “egioismo genovese”).    

   Il 3 dicembre 1342 la sestrese Bertola Rossi viene costituito patrono di una delle 15 galee, armate sulla nostra spiaggia e messe al comando di Pietro Boccanegra.

   Durante il XV secolo, la spiaggia è ospite di intensa attività cantieristica (il cantiere è più spesso un modesto tratto di spiaggia con 10-15 lavoranti (operai e maestri d’ascia) e solo alcuni elementi: lo scaro (ovvero in latino lo scharius -la struttura di base per sostenere il bastimento- da cui scalo, bighe per sollevare pesi ed una baracca-magazzino; il vero problema era il rifornimento del legname da reperire prima nei boschi vicini della val Polcevera –per ridurre la spesa- poi infine dal Sassello fino alla Corsica e Norvegia; considerato i mezzi di trasporto): il maggiore centro operativo della città, specie per navi di più grandi dimensioni, sia private che della Repubblica. Jeers cita che nel ventennio 1447-1465 furono varate  ben 25 navi di grande tonnellaggio, col record di 5 scafi in un anno. Il borgo offriva anche ospitalità alla manovalanza, incrementando così la residenzialità e la continuità produttiva ( da qui il toponimo ‘scalandrino’ alla zona della Coscia.

               

   Un atto notarile del 11 giugno 1416 cita: “In San Pier d’Arena – nell’orto di Aregordo di Grondona - Bertono di Venuta qm. Antonio di Lavagna, dichiara di aver comprato da Antonio de Pasqualino qm Pasqualino, al prezzo di lire 100, un battello con nove remi, un timone, trenta pezzi di corda, quattro barili e dodici fornelli. In tutte queste cose ed opere egli è partecipe e rimane partecipe per la quarta parte, sottratta la quale, restano lire settantacinque, che promette di dargli prima di Pasqua per le tre quarti parti del prezzo delle sopradette cose e  merci vendutegli”.

   Il 30 agosto 1442 il doge arrivò ad ingiungere ai fornai locali di vendere, previo pagamento, 60 cantari di biscotti al nobile Domenico Doria, patrono di una galea, indipendentemente dagli impegni presi con qualsiasi altro padrone di nave.

Tra le ordinanze, importanti sono quelle mirate a ‘preservarsi dal contagio rinnovato alla Pietra’,  del 29 marzo e 10 aprile 1476 dell’Ufficiò Sanità secondo la quale “nessuna persona di qualsiasi stato e dignità, abitante in ‘villis Sancti Petri Arene’ osi ricevere sulla spiaggia barche, leudi o altri navigli, della riviera occidentale, senza licenza del prefato Ufficio”.

Solo nel XVI secolo, affermata la supremazia dominante del porto di Genova, si iniziò a concedere convenzioni ed una certa libertà di commercio ai centri rivieraschi, pur sempre con un non discreto controllo perché gli interessi della Dominante non venissero intaccati. Possiamo dedurre che è da allora, anni 1520-50 che la Marina divenne anche approdo per commerci più interessanti ed autonomi (olio sopra tutti).

   Un documento datato 1627 parla di una sfida (“regattare vicino alla spiaggia”) tra due imbarcazioni che era stata fatta nell’agosto dell’anno prima al largo della marina di San Pier d’Arena: già esistevano regate e regole per una gara in barca a vela. Fu tra il liuto condotto da Ghiglino Francesco (con ciurma, ma di proprietà di patron Batta del Pino), e la feluca di Ghezzo Pietro (con marinai il figlio GB e Piccaluga Batino). La regata degenerò poi in rissa, per presunte scorrettezze del perdente.  É all’archivio di Stato, relativo al provvedimento preso dal Capitano di Polcevera: Pietro fu condannato a 15 lire poi –essendo tutti poveri- ridotte a quattro, suo figlio GB da trenta a otto, Batino da 10  a tre lire.  

   Datata 1637 l’immagine del borgo ripreso da Alessandro Baratta nel quale si legge “S.Piero d’Arena loco di delizie con bell.mi palazzi e giardini”. 

    Il 3 giu.1757, un perito del Comune segnala aver “visitato oggi alla spiaggia del mare la strada , molto rosa e rovinata dal mare: il danno comincia dal giro delle carrozze e termina dal ‘pontetto’ sovrapposto al fossato di san Bartolomeo, talmente che a tratti è impraticabile per le carrozze e appena a piedi asciutti vi si passa , quando calmato il mare, non arriva con l’onde a percuotervi ed allagarvi. Solo libecci e maestrali l’accrescono ma ora che all’imboccatura del torrente Polcevera sono stati fatti i moli che così allontanano dal corso antico le zavorre ed arene, la spiaggia non usufruisce e deve essere con l’arte accresciuta e riparata”. Così la Comunità di San Pier d’Arena, ordinerà ai minolli di non prelevare più lungo la marina e prendere la sabbia solo vicino alla foce del torrente, ‘dove l’illustrissimo  Deputato al porto, porrà per limite, due pilastri’ .

    Un proclama dei Padri del Comune, della Serenissima Repubblica di Genova, datato 5 ott.1758,  si fa carico provvisorio - da rifarsi sui cittadini abitanti sul tracciato che dovranno concorrere alla spesa - di ristorare ed accomodare le strade del borgo resesi impraticabili, avvalendosi di una apposita legge, addirittura del 29 ott.1481.

Ed è del 7 lug.1759 una supplica affinché venga accomodato un piccolo ponte, “rovinato in modo da potersi temere qualche grave disordine e pregiudicio de viandanti” posto sul torrente tra la casa del magnifico De Franchi Giuseppe e quella del magnifico Pallavicino Alessandro; e nel frattempo, “si raccomanda il raccomodo della strada della Marina”.

    E’ del 16 ago 1760  una lettera al Serenissimo Senato, denunciante che nella zona fiumara, per alimentare i mulini dei magnifici  fratelli Crosa, l’acqua non bene incanalata, alla marina rende impraticabile la strada che porta al Ponte, impedendo il transito delle carrozze . Ai Crosa fu ordinato costruire appositi muretti di contenzione.

   In altra lettera dello stesso periodo, da Rivarolo, il 13 ott.1760, “si implorò anche l’allargamento in più punti, della strada della Marina, ora assai stretta ed angusta, sulla quale si verificano spesso scontri di carrozze”.

   Abile costruttore navale con cantiere sulla spiaggia, fu Francesco Casanova (1778-1848).

 scaricatori sampierdarenesi con abito adeguato

   In alcune carte del periodo napoleonico, la ‘grande strada della Marina’, diviene genericamente parte della “ Route Impériale de Paris à Rome” .

      Il 14 luglio 1809 nella mattinata, da una feluca proveniente da Quarto sbarcò sulla spiaggia papa PioVII. Prigioniero dei francesi e proveniente da Roma, detronizzato da Napoleone che lo aveva posto in esilio, fu portato subito, senza subire sosta, a Campomorone e poi a Savona  con meta Fontainebleu. Abdicato Napoleone il 6 apr.1814  ripassò  -stavolta trionfalmente per il borgo fino a Campomorone- (53 colpi di cannone dal molo Vecchio, carrozze a sei cavalli, Carabinieri reali,  per la strada e dalle case fiori e drappi, arazzi e tappeti) per tornare a Roma.

   Su una lunga lettera, datata 25 febb.1815 ed indirizzata da Ippolito Cremonese (impresario a cui erano stati affidati dal Magistrato i lavori di riassetto della strada) ai “Signori componenti la Regia Delegazione degli Interni“  si legge, “…desideroso l’ultimo governo genovese di conservare la nuova comunicazione che alla sortita della porta della Lanterna si estendeva lungo la spiaggia di San Pier d’Arena, aperta dal governo francese nell’estate 1813, ma che dalle burrasche di mare era stata sensibilmente danneggiata, in specie nel muro di sostegno formante la curva che parte dal muro dell’antica strada, diede le opportune attribuzioni al Magistrato dell’Interno, il quale mi incaricò delle necessarie riparazioni. Mi accinsi all’opera al principio del mese di novembre scorso e seguitai con vario successo sino alla fine dell’anno scorso, basando il mio lavoro sul piede di lire 58 alla cannella (cm.297,7) come piacque degnarsi di stipulare meco il prefato Ecc.mo Magistrato. Nuove tempeste produssero nuovi danni; s’ingrandirono le breccie (sic) già esistenti nel muro, se ne formarono delle altre e quel che è peggio disparve il lavoro da me fatto nonché i materiali che avevo fatto trasportare ai piedi dell’opera. In tal stato di cose feci ricorso a Sua Eccellenza il Governatore Militare inglese Dalrymple, decorato in allora d’ogni più ampio potere, il quale, intesa la mia domanda, m’ordinò di soprassedere ad ogni lavoro e ordinò una perizia delle spese già. da me fatte. Questa commissione fu affidata al signor Barabino, luogotenente del genio militare; colla massima puntualità e delicatezza furono verificate, in mia compagnia,  danneggiamenti misurando le imprese fatte dal mare nel muro e tenendo conto dei materiali esistenti sul luogo, senza però aver nulla di motivato intorno al prezzo che, suppongo, figurerà nel rapporto che il signor Barabino ha fatto nel rapporto …(sic ed omissis )… .

Più futile la lettera del sindaco all’Intendente Generale del 1819, mirante a far rimuovere dalla strada i paracarri posti davanti alle abitazioni, fonte –di notte- di traumi e cadute dei pedoni o ribaltamento delle carrozze. L’anno dopo, in agosto, la popolazione viuene avvertita che ’alle 8 di mattina transiterà da questo regio borgo Sua Maestà il Re colla sua Augusta Famiglia’: andranno a Gnova. a fare i bagni.

Nel 1825 vi avvenneparte di una sfilata militare davanti al re. Vedi descritta a Piazza d’Armi.

Henry Parker, particolare di  acquerello datato 1822

 

   Nel 1830 fu scelto costruirvi (ed ebbe assegnato il civ.14) il  Teatro Ristori.

Re Carlo Alberto quale proprietario del Demanio, concesse gratuitamente il terreno (di fronte allo sbocco di via Gioberti) a 56 capi famiglia che, con richiesta presentata in comune il 7 nov.1831, ed accolta il 27 gen.1832 dal sindaco Gnecco, avevano fatto progettare all’arch. Angelo Maria Scaniglia l’erezione sull’arenile del teatro Nuovo (nel terreno interposto tra la casa Lavagnino ed il magazzino di DeLucchi, dopo aver avuto riguardo per gli scali delle imbarcazioni e della contemporanea inutilità del luogo).

Unico vincolo da parte reale, era che si  utilizzassero maestranze di “poveri operai”. Inaugurato il 28 ago.1833, fu subito dopo intitolato all’attrice Adelaide Ristori; mentre -essendo la decorazione interna  prevalentemente di colore rosso- ben presto venne soprannominato “o rossiggiu”. Aveva 600 posti; con tre ordini di logge  o barcacce, ciascuno con 19 palchetti; con addobbi signorili ed assai eleganti; con un sipario affrescato da Giovanni Fontana (1705-1837, autore anche per il Carlo Felice) raffigurante “Alcide al bivio”. Impresario e costruttore fu Lorenzo Scaniglia mentre proprietari e gestori furono gli stessi 56 palchettisti (un palco per ciascuno + quello reale centrale; il Comune aveva trovato ‘decoroso’ far acquisto –per la cifra di £.500 di una loggia per uso della Comunità, posta in seconda fila al n.10).  Nella serata inaugurale, vennero rappresentati con scroscianti applausi finali “L’Elisir d’Amore” di Gaetano Donizetti e “L’Orfana di Ginevra” di M.Ricci; in particolare furono festeggiati la voce esordiente del soprano Aman e del tenore Antognini.   Il successo -legato anche al fatto di essere stato il primo teatro popolare del ponente, dando prestigio a San Pier d’Arena- , durò però troppo poco: dall’apertura del teatro Modena nel 1857 iniziò una progressiva e lenta decadenza, finché nel 1884 fu chiuso e messo all’asta. Il compratore preferì farlo abbattere,  per costruire al suo posto delle più redditizie abitazioni.

   Dopo il 1900, la marina inizia ad essere ‘invasa’ dagli stabilimenti industriali: nel 1906 fanno domanda al Demanio di occupazione delle spiaggia, sia la società OEG che la soc. Molini Liguri; nel 1908-10 l’apertura della galleria carreggiabile del Faro munita di cunicoli specifici per l’Union des Gaz ed Acquedotto, aperta dall’impresa soc.AnonimaLavori del Porto; nel 1909 domanda  per l’impianto di binari per i tramway elettrici; e nel 1916 (c’è la guerra) sarà lAnsaldo a chiedere spazi più ampi per il proprio stabilimento navale; nel 1914 il CAP costruirà un ‘pennello di scogliera sulla spiaggia’.

   In altro documento firmato dal neo sindaco Antonio Mongiardino nel maggio 1817, si legge l’esistenza della “strada della Marina” (il Gazzettino S. riporta la spiegazione “che dal Palazzo del Vento porta a Cornigliano, ma è scorretta: la strada della marina arrivava da san Benigno al palazzo e non da esso al ponte)

   Nei documenti che riguardano la preparazione al tracciato ferroviario, datati nel periodo 1840-50, la strada a mare viene chiamata “strada Reale a Torino” e, dopo la costruzione della strada ferrata, per distinguerla dalla neonata affiancata detta “nuova strada Reale a Torino (poi via Vittorio Emanuele; ed ora via G. Buranello”), viene definita “vecchia strada Reale a Torino”.

   Ufficialmente risale al Regio Decreto del 1857 la prima denominazione di questa strada con questo nome: così viene chiamato tutto il tratto dalla Lanterna al Ponte di Cornigliano (sia passando dalla Crociera che dalla Fiumara)

   Il lungo stradone, ancora in terra battuta, fu diviso in quattro parti consecutive:  via Galata (la prima; dalla casa Lanzetta della Coscia, alla casa Morando di Crosa Larga);  via C.Colombo (da lì. fino al Canto, alla casa Ferrando);  via Nuova  (dal canto al Ponte via Crociera); via della Fiumara (dal Canto al Ponte, via estuario del torrente).

   Negli ultimi anni del 1800, le verrà per la prima volta affidato il nome preciso di via Cristoforo Colombo.

 

 

                          

                               con docks

 

 

 

 

      

 quadro di Scrivani Mario                         

 

  

cantiere di demolizione                         foto proprietà della biblioteca Gallino

 

  

via Pietro Chiesa                                         anno 1910 circa

 

 

                                                                                    fine anni 20

 

 

                                                                   iniziano i bagni; primi, i Margherita alla Coscia

 

BIBLIOGRAFIA

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-AAVV-Archivio storico del CAP-Sagep.1993-pag.314

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non c’è all’ Archivio Storico Comunale Toponomastica.


MARINAIO                                           via del Marinaio

 

 

Era il nome prima dell’attuale  via Felicita Noli, attribuita alla partigiana per delibera della Giunta comunale del 7 mar.1946, ovviamente  negli anni a seguire l’ultimo evento bellico.

    Prima ancora, si chiamava ‘via Alessandro Volta’; con questo nome, nel 1910 aveva già i civici numerati fino a 3 e 6 ed univa via Vittorio Emanuele (non la piazza Vittorio Veneto) con via N.Barabino. Nel 1933, era ancora di 4.a categoria, con civici 1,2,4.

   Divenne via del Marinaio per delibera del podestà, il 18 ago.1935.   Quindi la dedica, è durata solo 11  pochissimi anni.

  Quindi esiste ancora nel Pagano/40, da piazza V.Veneto a via S.Canzio con un solo civico nero, il 2; e rossi: 2r torte, 10r carbon., 16r trattoria ‘Giacinto’ (Derchi L), 17r latteria, 19r fruttiv., 26r commestib., 30r banco lotto, 32 pasticc., 34r tintoria, 35r parrucch., 36r mercerie.

 

DEDICATA

   SanPierd’Arena deve molto a questa categoria di lavoratori; dai piccoli vogatori ai grandi capitani, dagli onesti ai pirati e contrabbandieri, il mare è l’elemento di base per l’esistenza stessa della città.

   Il nome  è  stato usufruito per un’ altra strada della città,  genericamente chiamata via Marinai d’Italia; per essa, il Dizionario delle Strade limita la dedica ai marinai militari; a me piace pensare che sia dedicata anche ai più poveri barcaroli, che con il loro limitato lavoro, parteciparono a fare la storia della città marinara: molto della fama che vogliamo non disperdere e tenere viva, si deve a questa categoria di lavoratori.

   E poi, trovo più romantico e nello stesso tempo più corrispondente alla necessità del cittadino, per riconoscere priorità a questa categoria di lavoratori, la dedica della nostra vecchia strada, mirata al singolo individuo che aveva scelto sul mare la sua fonte di vita; e non al ‘mucchio’, laddove la genericità, disperde il sentimento di riconoscenza… a tutti …cioè a  nessuno. 

 

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale Toponomastica scheda  2641

-AA.VV.-Stradario Comune di Genova 1953-pag. 107.123

-Novella P.-Storia di Genova.Manoscritto 1930 b.Berio-pag.16

-Pagano/1961-pag.445

-Pastorino&Vigliero-Diz.strade di Genova-Tolozzi1985-pag. 1098.1308


MARSALA                                                 via Marsala

 

 

      Da questa strada, si accedeva alla chiesuola dell’Oratorio di san Martino, (descritto in vico Cicala), e fu l’antico nome dell’attuale via C.Bazzi (a cui è stata dedicata poco prima dell’ultima guerra mondiale, nell’ago.1935).

   Nel 1910 appare descritta nell’elenco delle strade cittadine “da via A.Saffi, verso la collina”, e con civv. fino al 2 e 5; nel 1926 all’atto della unificazione di SPd’Arena nella Grande Genova, fu posta a scelta tra altre  delegazioni che avevano una strada titolata alla città (Pegli, Quarto e due nel Centro: una piazza ed un distacco alla piazza); pur essendo disposto cancellarla,  nel 1933 era ancora “ via Marsala”: da via A.Saffi, ma a piazza dei Mille,  di 5.a categoria e con civici sino al 2 e 3.

   Il 6 feb.1902 alla decisione della Giunta municipale fu proposto questo nome da dedicare all’attuale vico Pieve di san Martino, mentre al nostro tratto di strada,  si proponeva il nome di via san Martino; evidentemente la proposta non fu accettata e subì le successive modifiche su descritte.

   Il Pagano/25 segnala al civ. 3-9 la merceria di DeAnna Giovanbattista

 

   Fu DEDICATA alla città sicula, in provincia di Trapani, di origini cartaginesi, ove Garibaldi ed i suoi Mille sbarcarono l’11 maggio 1860, per iniziare l’epopea che - dopo la liberazione della Sicilia – per loro si concluse al Volturno.   

     

il Piemonte                                                   il Piemonte e il Lombardo sono nel porto; a sinistra

                                                                     le tre navi napoletane Partenope, Stromboli e Capri

                                                                     sono controllate dalla nave inglese (a destra) Intrepid

   Fu scelta al posto di Sciacca, sia  per la posizione geografica che doveva consentire l’avvicinamento a Palermo con  un reclutamento locale di forze necessarie ad affrontare le battaglie con l’esercito borbonico; sia perché offriva la maggiore possibilità di sbarco senza intralci (e così andò, anche se con una dose non indifferente di fortuna e copertura politica internazionale); ma soprattutto perché dagli inglesi era stata segnalata lontana la flotta borbonica: quando essa arrivò a Marsala, lo sbarco era pressoché ultimato: il Piemonte, attraccato al molo, in mezzo a numerosi altri mercantili inglesi; il Lombardo arenatosi in una secca, sbarcò soldati e merci con barche locali.  

 Appena allontanati dai moli, arrivate le navi borboniche ci fu da parte loro un inizio di cannonegiamento, quasi subito cessato  nel timore di colpire imbarcazioni e depositi di vino inglesi. I Mille traversarono il paese accolti indifferentemente dalla popolazione; un garibaldino locale, Giuseppe Bandi, relazionò che i marsalesi li accolsero «su per giù come si accolgono i cani in chiesa».L’entusiasmo della popolazione subentrò dopo le prime vittorie.

 

 Il mazziniano Francesco Crispi, organizzatore politico di Garibaldi dichiarò al Consiglio comunale che la casa reale dei Borbone da allora  cessava di regnare sulla Sicilia; e che al suo posto subentrava Garibaldi quale dittatore. A Salemi, il generale  si proclamò dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele Re d'Italia, compiendo il primo atto del suo nuovo governo.

 

   Il nome della città proviene dall’arabo “Marsa Allah”, cioè “porto di Allah, porto di Dio”; furono  loro che ricostruirono la città, nata con i Cartaginesi (che la chiamavano Lilybaeum; da esso l’appellativo lilibetani per gli abitanti), e decaduta poi parallelamente con Roma. E nei secoli successivi fu soggetta alle più tante dominazioni: dei vandali, normanni, svevi, angioini, aragonesi e borboni, tutti ripetutamente inframmezzati alle incursioni dei pirati saraceni,  prima di trovare nella spedizione dei Mille l’ultimo ed insieme nuovo inizio.

   Il vino di Marsala è famoso in tutto il mondo: ideato come lavorazione dall’inglese John Woodhouse nel 1770 circa, che iniziò dall’ uva tipicamente assai ricca di zucchero ,per proseguire in una successione -per i profani- complessa: conciatura con vari ingredienti (mosto), poi chiarificazione (con sangue di bue), refrigerazione, pastorizzazione ed infine taglio, sino alla riuscita del vino liquoroso tipico. Si legge che la presenza dell’inglese ebbe un peso non da poco all’atto della spedizione dei Mille: Garibaldi, perché non intervenisse la flotta inglese a salvaguardia della proprietà,  dovette garantirne la difesa ed il rispetto. 

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale 

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 2657

-DeLandolina GC.-Sampierdarena-Rinascenza.1922-pag.47

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzogno

-Internet Google-Marsala

-Novella P.Strade di Ge.-Manoscritto bibl.Berio.1900-pag.18

-Pagano annuario/1933-pag.247


MARTINETTI                                      corso Luigi Andrea Martinetti

 

 

TARGHE:-

Corso – Luigi Andrea Martinetti – caduto per la Libertà – 1922-1944 – già corso dei Colli

Corso – Luigi Andrea Martinetti – caduto per la Libertà – 1922 -9.9.1944

S.Pier d’Arena – 2798 - corso-Luigi A. Martinetti - caduto per la Libertà - 1922-1944

 

                                                    

in corrispondenza di via Vasco da Gama

 

palazzo dei Pagliacci

angolo con corso Belvedere

 

nella ex piazza Gandolfi

confine con via alla Porta degli Angeli

 

QUARTIERE ANTICO: Mercato - Promontorio

 da MVinzoni, 1757. Riquadro dove si svilupperà la strada. In verde il tratto iniziale e finale di corso LMMartinetti; fucsia salita VBersezio; rosso, inizio attuale di salita Belvedere.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2798       categoria 1 da v.Cantore a sal.Belvedere

                                                                                      categoria  2 da sal.Belvedere al sommo

 

inizio strada da via A.Cantore                    da incrocio con via V da Gama                                                   

da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°   37120

UNITÀ URBANISTICA: 25 – SAN GAETANO

                                           27 – BELVEDERE

                                           28 – s.BARTOLOMEO

da Google Earth 2007

CAP:   16149

PARROCCHIA:   ss.Sacramento – escluso: (il 23A, 41, 41A)= Cristo Re -– (dal 74 al 140 e dall’87 al 117)= Belvedere—(dal 119 al 145)= Promontorio

STRUTTURA: da via A.Cantore, a via Porta degli Angeli; senso unico all’inizio per cento metri, poi tutta a doppio senso veicolare  sino alla fine.

    

   È lunga 1857m; larga circa 7m; raggiunge una pendenza del 12%; possiede alcuni tornanti ripetutamente collegati dalla lunga scalinata Belvedere e strettoie dove costantemente si ingorgano gli automezzi; comunque tutto il tragitto perennemente ai limiti dell’ingolfamento causa necessità personali di posteggio in doppia fila malgrado un grosso provvidenziale autosilos, destinato però in gran parte a box privati.

 

il tetto dell’autosilos

   Durante l’erta salita, si distaccano numerose appendici omonime che salgono a costruzioni arretrate rispetto l’asse viario, e - con titolazione propria – solo le  vie Cairoli, Farini, Vasco da Gama, Cevasco e Promontorio.  

STORIA: La carta del  Vinzoni è la prima a guidarci nella ricostruzione. Prima dell’apertura di via Cantore, la strada iniziava all’angolo tra via sant’Antonio(via N.Daste) a levante e via Mercato a ponente. In prosecuzione verso il monte di via della Cella, da questo incrocio continuava chiamandosi “salita Belvederee portava alle ville Lomellini-Boccardo (scomparsa), Grimaldi (Carabinieri)  e Doria  (Ist.Don Daste)-. È con questo suo primo nome che è  conosciuta nel Regio Decreto del 1875.

    Nei primi anni del 1900, venne aperto un percorso stradale che, iniziando subito dopo la villa dei Grimaldi, fiancheggiando e sovrapponendosi al lungo fondo valle ed il torrente che vi scorreva (coperto), ebbe cambiato nome in “corso dei Colli”.  

Era in supporto all’unica angusta stradina di accesso al nuovo Cimitero che l’amministrazione aveva scelto fosse aperto alla Castagna. Il percorso venne gradualmente allargato, via via  comperando dai privati e permutando terreni limitrofi; e solo nel 1930, da Coronata al cimitero, nacque un servizio pubblico con  un ’autobus’,  gestito prima dalla soc.accom. Pittaluga &C., rilevata poi nel 1928-VI dal sig. Morgante Antonio, iniziando con due vetture alle quali erano state sostituite le gomme piene con pneumatici, applicati illuminazione e segnali elettrici e previo programma approvato dalll’on. Circolo Ferroviario di Genova. Ad ottobre, un terzo bus più moderno era costato 85mila lire. Ma l’azienda andò in passivo (viaggi incompleti, personale, diminuzione oraro apertura Cimitero, pochi abitanti le alture) e nel genn/29 dovette chiedere un sussidio di 100mila lire all’on. Superiorità (Podestà) del Comune locale. La nota spese comprendeva assicurazioni, 2 chaffeurs e 2 bigliettari, benzina-gomme-ricambi ed olio, marche da bollo, meccanico e dirigente).

   Contemporanea all’apertura della nuova via A.Cantore (che tagliando perpendicolarmente il tratto iniziale, lo tranciò ed anche accorciò –perché va detratto anche il pezzettino di sbocco in via NDaste), con delibera del podestà del 19 ago.1935 venne intitolato  corso Dante Alighieri (38.57+109 non riconosce questo passaggio e, da corso dei Colli va direttamente a corso L.Martinetti) e la salita Belvedere fu fatta iniziare dalla chiesa di s.Pietro. 

Nel 1955 fu definito il passaggio a via della Cella, del trattino rimasto a mare, avendo unicamente civici rossi.

Infine -dopo la guerra- con delibera della Giunta Comunale, dal 14 mar.1946 fu dedicata al partigiano concittadino.

Nel 1961 si diede il via, per una ventina d’anni a seguire, ad una selvaggia ed ossessiva forma di costruzione nel tratto medio-alto: ogni minimo spazio veniva usato e sfruttato per erigere case senza il minimo interesse ai beni sociali di spazio, posteggi, verde, servizi e costringendo la popolazione ad uno snervante continuo logoramento e scontro di sopportazione. Sarebbe continuato, se dopo vent’anni una rivolta popolare di pochi ma esasperati abitanti, con infuocate assemblee pubbliche e proteste plateali riuscì a dare freno a questo smodato ed insensato sfruttamento ; ancora nel 1979 si elencavano tutti i disagi della lunga strada, dai posteggi al verde, dai servizi allo spazio per l’asilo, dalle strettoie che dimezzano la carreggiata all’illuminazione.

   Ultimo insediamento edile fu nel 1982, per il complesso chiamato ‘residenza al sole’; dapprima  bloccato dal TAR ma poi sbloccato dal Consiglio di Stato; sfruttando alcune scorrettezze costruttive, con lunghe ‘trattative’ si ottenne il parco retrostante e l’utilizzo di un appartamento a scopi sociali .

 

CIVICI 2007

UU25 = solo pari =  neri da 4 a 12  ;   rossi  da 8r a 26r

UU27 = NERI   =  da 1 a 145   compresi 3A, 23AB, 41A, 77G, 83A, 143A.

 (tra parentesi, mancano)                          mancano  17, 31, 35, 43→47, 63, 65, 91→105, 131→137

                          = da 14 a 144  compresi 34A→F, 80(A)B, 94A, 96A, 98A, 100AB(C)D

                                                                  mancano 16, 20, 46. 48, 60, 70, 72. 

             ROSSI = da 3r a 315r compresi 121ABC, 123ABC, 125AB, 141(AB)C, 167(A)B, 199A→D, 201A→O, 203A→M, 251A, 259A, 279AB, 281A→(L)M  

                                                  mancano 511, 127137, 205, 239, 2479, 265, 2717, 283, 309.

                          = da 28r a 206r  compresi 36(A→F)G→(N)R, 40AO, 52A, 134(AB)C(D)F, 144A, 150(A)BF, 152AB(C)D, 156A, 164(A→G)H, 166A, 170AQ, 172AZ, 174AF, 176AZ, 178ABC, 180A(B)C. 

                                                                        mancano 72, 102, 104, 118, 158→164, 186→198

UU28 = NERI   = 147 e 149

              ROSSI = il 317r

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RIASSUMENDO

NERI                                 da   1 a 145=UU27;  da 147 a 149=UU28

             da 4 a 12=UU25; da 14 a 144= UU27

ROSSI da 8 a 26=UU25;  da 28 a 206=UU27; 

                                            da 3 a 315=UU27 ;             il 317=UU28  

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===civ.2:   posto nell’angolo a ponente tra il Corso dei Colli e via Mercato (via N.Daste) non esiste più; c’era fino a quando il taglio di via A.Cantore e la ricostruzione dell’edificio -ora aperto sul grande asse principale- cambiarono la fisionomia del tratto iniziale della strada. Pensiamo senza certezza che sia appartenuto ad un edificio esistito nel punto per pochi anni, di proprietà Vincenzo Chiarella. Approvato nel genn.1913, fu un padiglione cinematografico arredato col vistoso stile dei padiglioni espositivi dell’epoca:


lo stemma cittadino all’apice di un arco arricchito massicciamente e spettacolarmente da disegni esotici ed anche un po' africaneggianti (recenti imprese coloniali), adatti per richiamo ad un locale pubblico.

A destra della foto, completato, il civ.40 con portici, prima di via della Cella appare una casa, forse il civ.2


===civ.4:  il primo edificio della strada posto all’angolo a ponente con via A.Cantore, già sul terreno di levante del giardino della soprastante villa Doria (oggi Istituto don .Daste;  della cui rimane un muraglione nel retro del civ. 47 di v.A.Cantore facente parte della limitazione ad ovest dei giardini stessi e dove nel 1910 passava la parte est della pista ciclabile), è detto comunemente “il palazzo delle anfore”, anche se esse, sei di numero, solennemente poste sul tetto all’atto della costruzione, non ci sono più perché furono rimosse durante la guerra del 1940 -per motivi di sicurezza- e mai più riposte in sito (evidentemente distrutte essendo impossibile trasferirle).

Sorto nel 1930, prima dell’apertura di via A.Cantore (1935), ad opera di una cooperativa popolare chiamata “La Ligure Edilizia” gestita dagli Stura (essi a lungo ebbero gli uffici nell’ammezzato del palazzo), affidata all’”impresa M°.Cazzulo & figlio”. La facciata fu decorata con stile post-liberty:  grossi mascheroni, e affreschi nella parte centrale riproducenti il disegno di grossi mattoni (ma ora scomparso dopo la ristrutturazione del 1970) e volute floreali tipiche di quello stile.

   Essendo posto all’inizio della lunga strada ormai tutta asfaltata sino all’apice, nei casi di piogge torrentizie è sede di irrimediabile allagamento dei fondi, con gravi danni ai materiali depositati (del calzaturificio Maiolino; del bar Liz di Cecere posto di fronte ma con magazzini nei fondi; dei privati che non possono più usufruire dei locali).

   Nel 1950 all’int.1 aveva sede la sottosezione locale del ‘Centro Alpinistico Italiano. Nel 2007 i tre appartamenti del primo piano ammezzato è occupato da professionisti compreso –la portineria ed il 3- un Centro di estetica.

===civ. 6: la costruzione appare datata del 1927

===civ. 9:   Villa GRIMALDI, ora Stazione dei Carabinieri

   Dalla carta vinzoniana, si rileva che il terreno risaliva verso monte di oltre 50m circa dalla villa stessa, mentre a mare scendeva sino alla strada principale via sant’Antonio (via N.Daste) ed era il corso della salita Belvedere che la separava dalla confinante proprietà della villa Doria-DeMari (oggi Ist. don Daste).  Dove in via A.Cantore sono il civ.39 nell’angolo est con la nostra strada, e di fronte il civ. 40,  era tutto giardino degradante, di pertinenza della villa.

Questo terreno era trattato a giardino nella parte alta anteriore all’edificio (dove è un parcheggio asfaltato per le auto), ed a orti e vigneti nella parte bassa .

    Di questa villa, non esistono fonti storiche antecedenti al 1757, anno in cui sulla carta del Vinzoni viene descritta la proprietà -allora di Agostino Grimaldi, e dei suoi fratelli : la casata aveva costruito nel borgo numerosi altri caseggiati.

    La struttura permette giudicare la costruzione risalente al ‘600.

    Negli ultimi anni del 1800 divenne proprietà di Moro, che in tempi successivi la rivendette alla Provincia.

   Dal 1939 è sede della Stazione caserma dei Carabinieri (una fonte raccolta dal Gazzettino S, segnala che in data 14 dic.1817 il consiglio comunale locale approva la spesa per l’accasermamento della Brigata dei reali Carabinieri, venuta a stazione a San Pier d’Arena, in -allora- corso Belvedere. L’Arma, fu però ufficialmente costituita il 14.1.1861 con la costituzione del regno d’Italia e denominata Arma dei Reali Carabinieri (a questi militari ed alla loro bandiera, nel tempo  furono assegnate 2 medaglie d’oro, 2 d’argento, 4 di bronzo, 2 croci al valor militare, una di cavaliere dell’ordine militare).

 Subito dopo l’ultima guerra alla Liberazione, la villa fu occupata dalla polizia partigiana della brigata Balilla.

   Architettonicamente l’edificio appartiene allo stile locale tradizionale, con un volume rettangolare (a cui fu aggiunto -in epoche subito successive- un corpo ad ala, seguente il corso dei Colli, quale oggi ancora appare, inglobante la torre).

   L’ingresso principale è rivolto a sud, con un  portico affiancato da due grandi  colonne che fanno da base ad un terrazzino centrale corrispondente al salone del piano nobile. All’interno, solo il gran salone del primo piano appare ancora affrescato sulla volta.

In una sala – come nelle foto sotto - è ripetuto sulla volta uno stemma: ricerche non concluse positivamente sul suo significato concedono pensare alla coincidenza della famiglia Moro, con il moro contenuto in esso; non essendo famiglia di nobili, l’elmo piumato soprastante giustificherebbe la qualità di semplici ‘cavalieri’ (titolo onorifico in epoca assi gradito e qualificante).

   Le ristrutturazioni successive applicate nei primi anni del 1800, hanno modificato in maniera sostanziale le strutture originali -specie quelle esterne-.

   Non specificato da quando, l’edificio è vincolato e tutelato dalla Soprintendenza per i beni architettonici.

   Essendo caserma, e quindi territorio militare, è difficile visitarla. Gli appartamenti privati del Comandante e del vice, sono affrescati nei soffitti con

disegni dai toni vivaci ma di più recente produzione rispetto l’età della villa, possedendo cartigli che sembrano avere riferimento all’Arma stessa.

 

                                                                

cinque immagini di soffitto di un salone, con decorazione centrale e marginale

  

stemma                                “a forti membra ardito cor s’accoppia”

              

soffitto di una sala                                                 soffitto di altra sala

 

  L’Arma   Se è chiaro il compito di sempre, che mette l’Arma in condizione di assoluta chiarezza d’intenti in qualsiasi epoca, difficile fu l’applicazione solo quando in piena guerra mondiale il governo della RSI non era condiviso da tanta parte della popolazione e di converso, l’Arma era considerata inaffidabile dai gerarchi tedeschi perché –unica in Italia- aveva giurato fedeltà solo al re e non al governo (o statuto), quindi con doppia faccia: da  un lato apparente collaborazione, dall’altra più profondamente radicata antifascista, aperta ai liberal-massoni ed ostili ai tedeschi (tipo perquisizioni superficiali, avvertimento degli inquisiti, introduzione di interpreti-spie, pattuglie disinteressate alla propaganda comunista, ecc.). Dopo l’8 settembre, per ordine di Hitler stesso, furono ‘sciolti’ in quanto inquadrati nell’esercito della GNR     (dovendo così rigiurare fedeltà alla repubblica RSI; in sostanza erano incolpati di ‘tradimento’ avendo il ‘reuccio vigliacco’ venduto la patria al nemico; e ciò poteva significare, per  molti, l’invio in Germania).  Questo ingrato compito toccò al comandante della compagnia locale il maggiore Raffaele Vitali che riuscì a mantenere l’onore dell’impegno pur dovendo essere fedele al questore di un governo non democratico (furono i suoi uomini che arrestarono nel dic.1943 alcuni operai trovati armati; questi ultimi, giudicati dal Tribunale militare, furono fucilati).

La serietà con la quale prestano servizio, l’impegno svolto spesso col sacrificio della vita, senza fare classifiche,  hanno creato nella popolazione nazionale una stima e simpatia rispetto tutte le altre armi che svolgono lo stesso ruolo ma malvisto per tradizione popolare: polizia e guardia di finanza, e gli stessi municipali.

Vale la spesa spendere due righe che confermare la non corrispondenza con i ‘carabinieri garibaldini’ (vedi a Mosto), leggendari volontari al seguito del generale, tra i quali molti sampierdarenesi furono attivi e generosi combattenti e le cui epiche gesta continuarono fino al 1871 in Francia. La loro carabina, moderna nel 1859, divenne obsoleta e superata  dopo appena sei anni; ma fu poco più di un lustro che cambiò le sorti di numerose battaglie e del destino dell’intera Nazione.

 

Il grosso caseggiato, nella parte a levante possiede una torre di difesa o avvistamento, a corpo quadrato, scoperta a terrazza, con muri assai spessi, tozza perché appare mutilata in altezza.

   Nel giu/2003 il Secolo XIX segnalava la morosità dell’Arma nei confronti della Provincia che risulta proprietaria per statuto dello stabile. L’affitto ammonterebbe a poco più di 150mila euro all’anno; fu subito saldato.

===civ. 11r  uno dei tre  ‘circolo ARCI’ (altri in via Daste 3, e vico Stallo 9r)

===civ. 13 nel 1950 vi lavoravano Conte Cesare, ditta con macchinari ed attrezzature di stampa e lavorazione della latta, e al 13r le cantine Morino S.

===civv. 19-21-23 sono del 1910; l’ultimo appare come unito dopo agli altri due, perché la facciata è diversa salvo i poggioli che sono eguali .

===civ. 24r  nel 1950 il bar era di Fasano E.

 

Prima rientranza di corso Martinetti:           Il palazzo a destra è l’ultimo di via N.Ronco; solo un                         

Sullo sfondo la costruzione delle suore                 antico muretto separa le due strade.A fianco ed a destra del                         

Pietrine abbattuto nel 2010. A sin. via Ronco           muro, la scaletta che comunica con salita Inf. S.Rosa

 

 

                  decorazioni floreali stile liberty

===civ. 25r.: vecchia fabbrica di manifattura latta-cromo-litografia, di proprietà Bozzolo & C., aperta ancora nel 1950 anche sulla sottostante via Nino Ronco (la quale però non si apre nella strada principale perché privata). Per ora, sett.’99, è chiusa e vuota; nel 2004 si parla di ristrutturazione.

Nel 2007 tutto il fabbricato è stato ristrutturato ad appartamenti, con ingresso principale in via N.Ronco.

                                                 

=== con l’apertura del nuovo ospedale di villa Scassi (1915), a cui si accedeva solo da via E.DeAmicis (via Balbi Piovera), apparve necessario sia un collegamento anche con questo asse stradale oltre a proseguire per la cosiddetta Quota 40. I malati, ancor nel 1920 erano trasportati su un carrettino trainato da un asinello, di proprietà dell’ospedale; solo nel 1923 si ebbe un carro trainato da un cavallo che resistette sino all’acquisto del primo automezzo nel nov.1926. La strada fu affidata alla stessa ditta che costruì l’ospedale (ditta Carena); ma la realizzazione funzionale si verificò parecchi anni dopo, per motivi che non conosco.  A questa deviazione fu data titolazione propria di via Vasco da Gama.

===civ. 31 demolito nel 1957

===civ. 34a, 37, 39 nuovi nel 1957; il 34b nel 1963 ;   il 34c nel 1959 ;  il 34d  nel 1961 ; il 34e del 1964 ; il 34f del 1971 ;

===civ. 35  fu demolito nel 1969

===civ. 41 fu demolito e ricostruito nel 1968 ; il 41a assegnato a nuova casa nel 1969 ; il 43 fu demolito nel 1988 

===civv. 42, 44   nuove costruzioni del 1957 ; il 46 del 1966 ; il 48 del 1963 ; i 48 a,b,c del 1965 (quelli sottolineati, nel 1967 passarono a via F.Cevasco);

===civv. 50-52 molto probabilmente sopraelevato in tempi successivi all’edificazione che dallo stile risale agli anni 1915-25. Ha due scale separate, in unico palazzo esternamente decorato sulla facciata anteriore: quattro finestre per parte ed una quinta centrale disegnata; decorazioni a rilievo sopra e sotto le finestre

===civ. 51:  c’era, descritta come palazzina a due piani comunemente detta ‘palazzo della musica’, ove furono ospitati, in otto vani e per vent’anni, i ragazzi orfani o abbandonati curati dal patronato locale di san Vincenzo dè Paoli, prima del trasferimento a Belvedere. Demolita, fu rifatta nel 1958.

             

palazzo della musica; nello striscione bianco

è scritto “Patronato San Vincenzo de’ Paoli”

===civv. 52a, nuovo nel 1960; i 54,56,58 furono assegnati a nuove costruzioni nel 1955.

                                                                                         

      


===civ. 53 demolito e ricostruito. Un vasto autosilos per auto  fu proposto nel 1981, iniziato nel ’84, finito nel ’89, completato nel 1993, dietro alla casa dei Pagliacci (inizialmente si pensò comprendesse anche l’antico palazzo, ma venne poi il vincolo del Ministero dei beni culturali che ne bloccò la demolizione: già svuotato degli abitanti, le transenne  ed  impalcature  già montate furono rimosse e per un certo tempo il palazzo rimase abbandonato a se stesso);

un’area di 1870 mq per un edificio lungo 108m e largo 17,2; i box però, venduti a privati, elusero in buona parte il desiderio del comitato locale che aveva accettato l’ennesima costruzione e furto di verde pur di poter sfoltire il problema posteggi che assilla la strada.

   Sul tetto -progettato come ‘onere di urbanizzazione’ nel 1986 (ovvero prezzo da pagare, a favore del quartiere, sulla base di una delibera del CC del lug.93 che prevedeva ristrutturare ad uso residenziale il palazzo dei Pagliacci e creare strutture sportive non intaccando il verde pubblico, vista mare e circondato da un briciolo di verde residuo)- in un’area di 3500 mq, dal 1995 fu approntato dalla soc. costruttrice Agopa srl  un centro polisportivo suddiviso in due  livelli colorati vivacemente per renderli più gradevoli; nella parte  superiore vediamo una pista di pattinaggio, un campo da calcetto in erba sintetica ed una palestra per ginnastica e salto in alto; nella parte sottolivellata di pochi scalini, un campo sportivo con 4 piste diversamente colorate,  di 100m , pedana e buca per salto in lungo e triplo –. Completati dal Comune, dal Coni, dal quartiere, con l’aiuto dei volontari soci, furono assegnati in gestione all’”Atletica don Bosco” nell’ott.1999 , compreso l’utilizzo da parte delle scuole locali . All’inizio la convenzione tra Comune e società costruttrice prevedeva sul tetto una sistemazione a ‘verde pensile pubblico’ : la scelta, risultata impraticabile, fu variata e dopo le solite diatribe durate anni, ricomposta. L’anno dopo, l’impianto fu affidato in gestione alla ‘soc. Universale Alba Docilia’ presidente Priarone Alberto, il quale ha fatto arricchire (aiutato dal Comune e Circoscrizione) l’impianto con riscaldamento a pannelli solari ed una copertura parziale della pista per ripararla dal vento ed intemperie. Viene utilizzato nel pomeriggio da giovani atleti della società, da studenti del liceo Fermi e della facoltà di scienze motorie, da anziani per ginnastica della terza età, da scolari delle elementari per corsi di avviamento allo sport; ovviamente essendo all’aperto, d’inverso le attività sono ridotte. Nel 2005 la quindicenne Genesis Delgado con i colori della società ha vinto il primato italiano cadette di pentathlon (salto in alto e lungo, corsa di 80m e 600, giavellotto). Nel 2006 è scritto che la società, posta dell’impanto autosilos di corso Martinetti, gestita da DonBosco-Universale, paga al Comune quale canone annuo la somma di 974,08 euro.

  

 

===civ. 55 è il cosiddetto Palazzo dei Pagliacci, con la facciata architettonicamente in stile post-liberty (o secessionista), fu eretto  a metà del primo decennio del secolo XX, su disegno di un architetto rimasto sconosciuto, e nel credibile intendimento di un palazzo residenziale personalizzato, attento alla nuova urbanizzazione della piccola città. Viene descritto come “un unicum” –non solo per la collocazione come era allora- ma anche nella storia del modernismo. Allora moderno, si distingue per evidente architettura secessionista: l’intreccio tra le lesene verticali centrali –innalzate da centrali volute lineari centripete, che vanno a fare come una gassa ai due lati sotto le finestre del terzo piano, ed i festoni floreali ai lati del portone e simmetricamente  alla cornice sottotetto- ed gli ampi cerchi apicali allargati ad onda; ricordano i disegni del padiglione Sampierdarena di Coppedé all’esposizione di Sempione  nel 1906. Solo l’intensivo sviluppo costruttivo post bellico lo ha appiattito, soffocato e quasi  annullato. Incluso in un progetto che ne vedeva la demolizione a vantaggio di un autosilos, fu svuotato degli abitanti e preparato allo scopo, ma una lotta promossa da Italia Nostra, l’Assessorato comunale alla cultura e l’Istituto di storia dell’Arte dell’Università riuscì a far porre il vincolo alla Soprintendenza ai beni ambientali. Rimase così per anni, col portone ligneo dissestato e tenuto da una catena con lucchetto, le finestre  basse murate e quelle alte spalancate, aperte a tutte le intemperie e parassiti, i muri scrostati, senza colore, avvolti da rampicanti.

       

il primo palazzo a destra della foto seminascosto   -   il palazzo neglianni 1970    ed oggi (1999)

dall’albero, è quello dei Pagliacci   

 

   Ora però, ripulito e ristrutturato ad appartamenti, osservandolo bene non si può non accorgersi delle sue qualità che ne fanno un unico  in campo regionale  per la semplicità ed armoniosità dei motivi decorativi: rimessi in evidenza le  eleganti cornici orizzontali e leggeri riquadri fioriti; testimoniano una fase di passaggio stilistico dal liberty floreale a quello più geometricamente lineare (di cui abbiamo tanti esempi diffusi nella città), a graffito. Il nomignolo fu attribuito per la presenza di  figura di clown pitturata nel cerchio centrale all’apice, ora cancellata; Lamponi scrive di una improbabile “scena dell’omonima opera lirica dipinta sulla facciata”. Il palazzo fa da punto di riferimento topografico popolare alla zona .

Dal 1984 è tutelato e vincolato dalla Soprintendenza ai beni architettonici

Ristrutturato nel 1996-7, è stato così fortunosamente sottratto ad una prevista demolizione, considerato lo stato di degrado a cui era arrivato .

===civ. 50r nel pagano 50 viene localizzata una osteria di Pilotti L.

===civv. 57 e 59  furono eretti nel 1919

===civv. 61 nuovo nel 1957;  il 66 nel 1961;  il 67 nel 1958; i 68,71 e 73 nuove costruzioni del 1956;  il 69 del 1965;  il 69a e 69b del 1968;   il 75 del 1959;  il 77 del 1964 ed il 77g del 1975 (controllare dal 77a al 77f?***); il 78 fu soppresso nel 1975 perché trasformato in autorimessa e riassegnato nel 1992 ad un interno del civ.80;  i 79, 81 del 1968;  l’ 83 del 1972 ed 83a del 1973;  gli 85, 87a, del nov.1953;  gli 86, 88 del 57;  i 90 e 92 del 1965;  i 94 e 94a, 96 e 96a del 1974; i 98 e 98a del 1978;   i 100, 100a e b  del 1983 mentre il 100d  è  dell’84;  i 102, 104, 106 del 1968; il 107 del 1966;  il 109 del  1968;  i 113, 115, 117 del 1961.

===civv. 62-64  appaiono costruzioni di struttura tipica degli inizi del 1900

retro a ponente del corso, visto dal terrazzo del civ. 34E

A sinistra in alto, l’Antoniano di sal.Belvedere; il palazzo

chiaro a destra è il retro del civ.... di corso Martinetti.

===civ. 68r **viene descritta l’esistenza di una ‘cappella di san Pier Giuliano Eymard’, asceta francescano vissuto 1811-1868, fondatore della congregazione dei sacerdoti del SS Sacramento, beatificato nel 1925.

===civ. 69 ospita al 99r le Poste e Telegrafi dal 1987.

===civ. 80: nel Pagano 1950 si descrive esserci stato un ‘Laboratorio Italiano di Chemioterapia’ non meglio specificato.

===civ  89: nella zona  dei ‘curvoni’ il caseggiato che delimita il primo tornante veniva chiamata ‘Garofalo’, probabilmente dal nome del costruttore o abitante. Eretto negli anni vicino al 1936-7, alla sua inaugurazione fu grande festa locale trattandosi di costruzione fuori dagli schemi tradizionali e vicina ai dettami della nuova arte fascista che si cercava di imporre.

                    

anni 1970  -  proprietà Gazzettino Sampierdarenese                                             

==civv.       Questa zona, e   probabilmente questi grossi caseggiati, negli anni 1920-30 costituivano un quartiere abitato da immigrati.

===civv.100A-100B sono due palazzi detti complesso ‘residenza al sole’ , gli ultimi eretti sulla strada, dall’impresa di Renzo Fossati nel 1982. Questi ottenne l’autorizzazione ai lavori dal Consiglio di Stato, che in precedenza il TAR aveva proibito. La lunga diatriba con i residenti sfociò in un compromesso in base al quale il costruttore poté alzare di un piano le costruzioni ed in cambio si impegnò di costruire i giardini a monte dei caseggiati per 12,200 mq più di cedere al Comune un locale di 250 mq   a piano terra per uso sociale.

         

foto 1980 circa – residenza del sole – foto proprietà del Gazzettino Sampierdarenese

 

===civ.176Nr: Vi è stata aperta, nell’ott.1993, la sede del Centro Auser-Genova  (‘Assoc. Naz. per l’autogestione dei servizi e la solidarietà’. Nata nel 1989 a livello nazionale sotto l’egida del sindacato pensionati Spi-Cgil, ebbe sede principale dapprima in piazza Acquaverde poi in via Balbi 29/5. Lo scopo  -da parte di volontari- è di favorire l’incontro, l’aggregazione e lavori socialmente utili da offrire alle fasce più deboli dei cittadini ovvero i vecchi, malati e bisognosi in genere. Impegnando attivamente la persona anziana, e facendola sentir parte di  una collettività (la filosofia del “rendere attive le persone”)  mira a far rinascere -laddove occorra- ed a mantenere lo spirito di vitalità dell’associato. Ben 10 sono le sedi sociali radicate nel territorio, raggiungendo i 3500 soci. Tra le attività gestite, ci sono un ‘servizio accompagnatori’ (musei, scuola bus, tutor d’area (nonni vigili), seminari culturali, conferenze, gite, attività sportive e di svago, proiezioni, ginnastica per la terza età, giochi);  il ‘Filo d’Argento’ (assistenza di soccorso morale e poi anche pratico via telefono: punti di ascolto al n° 010.24 88 122);  la ‘banca del tempo’ (scambio di tempo e di servizi) ed eventuale domiciliarità solidale e soccorso sociale (disbrigo pratiche, ).

===civ.116    come tanti altri, fu eretto alla fine del 1962; il gruppo dal civ.  120 al 140, nel 1958 ;  quelli dal 119 al 127 nel 1961;

===civ.77G  ospita le scuole elementari intitolate  “F.Taviani”; e la succursale delle scuole medie “Sampierdarena”. (uno dei due è errato)

                          

       

                

 

===civ. 129  nella valletta a ponente di Promontorio, dietro i civici 73-75-77 nacque la prima scuola elementare intitolata al sen. Taviani  il cui civico appare assegnato nel 1963 ma risulta che l’edificio era in corso di costruzione ancora nel 1973. I terreni erano di proprietà signora Mongiardino, la cui casa è in alto in via Promontorio ed ora usufruita da associazione privata; e già nel 1972 era in corso col Comune una trattativa tipo ‘do ut des’: ti lascio per privato interesse cementificare questa zona, definita ‘Belvedere uno’  (un biscione di palazzi per abitazione capace di centinaia di appartamenti), pur di avere il terreno attorno alla scuola (un’area vasta oltre 20mila mq, ma in una valletta alquanto scoscesa che fu effettivamente acquistata dal Comune) col fine di realizzare un progetto dell’arch. Giuliano Forno:  farvi sorgere un centro polisportivo immerso nel verde (con piscina, palestra, forse tennis) ed una chiesa.  Ma il Comitato di quartiere oppose strenua resistenza e riuscì nel 1976 a bloccarne l’esecuzione dall’Urbanistica, sollevando questioni di alta densità abitativa, insufficienza di reti fognarie, ingorgo nei collegamenti con le vie principali.

  

Dopo l’inizio della deviazione di corso Belvedere, la strada ha un’altra ed altima rientranza con alcuni civici del corso; nello stesso punto si affianca a salita Bersezio che scorre slivellata in alto.

 

===cento metri prima della sommità e fine della strada, si innesta salita Bersezio. Addossata al muro di contenimento di quest’ultima, dall’anno 1900 esisteva uno dei tre lavatoi sampierdarenesi: una vasca a due truogoli di circa 6 mq. Internamente era rivestito di ardesia e pavimentato in cubetti di porfido. Fu poi allacciato all’acquedotto; poi col disuso via via staccato da esso; lasciato in abbandono;  dentro si riempito di sterpaglie ed altro; fu eliminato totalmente.

 

Contenuti nella piazza, una volta nominata a sé (Promontorio, Mosto, Gandolfi) oggi tutto Martinetti, troviamo:

===311r una tabaccheria

===civ. 315r è stato un nome dell’antico locale, “La Contea – bar, birreria, pub”: da pochi anni è stato cambiato con ristorante-bar-pizzeria “Luna”.

===317r la “Antiga ostaia di Cacciuei”

===civv. 141 e 143  posti alla sommità della strada; in quest’ultimo durante una recente ristrutturazione si è ritrovata una semi colonnina di ardesia, lavorata, residuo di un probabile archivolto, anche se queste case nacquero presumibilmente come stalle o abitazioni dei contadini che lavoravano le terre padronali. Questa era l’ultima abitazione del corso:  dopo essa, iniziava la numerazione di piazza F.Gandolfi; una volta eliminata l’intestazione alla piazza, la strada è stata fatta proseguire sino al vecchio voltino al civ. 149.

===civ. 144 nuovo nel 1960

===civ. 145 neo acquisto come numero dal 1975 dalla smessa piazza F.Gandolfi

===civ. 146  a monte della piazzetta, una targa segnala esserci “Casa Famiglia per bambini – Patronato san Vincenzo de’ Paoli – suore Figlie di sant’Anna".

È l’ingresso con cancello di una strada che porta nel retro della villa aperta in salita Forte Crocetta, 11.

  

 

===civ.147 di fianco all’Ostaja, sotto il voltino è l’ingresso di villa Frisone (o Frixione), eretta nel ‘700, però poi ampiamente rimaneggiata con ridistribuzione degli spazi, nel periodo del primo ‘800 perché adibita a convento (il Remondini segnala : “in Crocetta per anche nel palazzo Frixone (sic) che fa archivolto sulla strada dopo l’anno 1870 venne aperta una cappella, ma dopo cento anni cioè verso il 1872 fu in bottega trasformata”), ed infine -nel primo ‘900- ristrutturata ad appartamenti. Si trova in una posizione decisamente importante per il traffico sempre intenso che si svolgeva nella strada a monte. Nella planimetria del Vinzoni, del 1757 risulta di proprietà di  Tomaso Frisone; nella carta del Porro invece (1835-8) è chiamata “cascinale della Crocetta” in funzione della sua innata funzione agricolo-coltiva . 

Il palazzo, strutturato a L, è posto sul crinale e possiede -ancor ora- sul lato est del crinale- un vasto appezzamento di terreno degradante a fasce coltivate sino in fondo dal torrente. La facciata a ovest, estesa sulla strada di via Promontorio, dove perde l’intonaco mostra i muri di pietra ed un portale è sormontato da un cordolo di lastre di ardesia sporgenti (ed ormai quasi tutte logore e rotte) con l’intonaco sottostante che le accompagna per sostegno, ad arco; sopra di esso il parapetto di un terrazzo.

La facciata principale, rivolta a nord, è tale dopo la ristrutturazione ottocentesca che allargò e sopraelevò l’archivolto (sotto cui allora passava la strada, e che eguale appare nella carta del Vinzoni, unente la villa col palazzo a monte, che però non faceva parte della proprietà). Sulla piazzetta, è ospitata da molti anni la famosa “trattoria dei Cacciatori”, i cui primi locali, prima della ristrutturazione, erano il primitivo vero ingresso della villa.

All’interno, solo il piano nobile conserva degli affreschi ottocenteschi e -in una sala- uno stemma nel disegno del pavimento.

La strada tagliata a monte del complesso edificato, e unente corso L.Martinetti con via alla Porta degli Angeli, fu di fatto attuata nel 1964.

===civ. 149.  è l’ultimo numero, dato al portone che si raggiunge con lieve salitina nella piazza. Una volta era il civ. 5 della piazza Gandolfi. L’edificio ha origini assai remote, esistente già nel ‘600 forse come nucleo di base per insediamenti successivi: infatti la forma attuale è dovuta alla sua funzione di residenza del personale di servizio della villa soprastante eretta dagli Spinola nella seconda metà del ‘700 e tra loro unite da una stradina di servizio (planimetria del 1805 di Brusco e Barabino). Durante l’assedio di Massena del 1800, la casa fu occupata dagli austriaci  agli ordini di Hoenzollern perché in posizione dominante, e fu teatro di scontri  in occasione delle sortite francesi fatte allo scopo di alleviare la morsa ed aprire la strada verso le valli vicine (del Veilino e Torbella ove avvennero più intense e violente battaglie).

Il 13 dic.1873, la marchesa Maria Spinola, vendette l’immobile al Comune di San Pier d’Arena, mentre la villa soprastante divenne il pensionato  per anziani Tubino-Scaniglia nel 1901; il Comune diede i tre appartamenti in affitto, fino al 1969 quando, dopo l’apertura della grande strada a monte (1964) apparve precaria la stabilità dei muri, per cui fu evacuato (1970) divenendo oggetto di abbandono e di progetti di demolizione; sono del 1986 le rimostranze perché indecoroso ricettacolo di topi, immondizie e sede di ricovero di vagabondi; fino al genn.1988 quando crollò il tetto. Imprenditori privati avanzarono proposte di acquisto, ma il Comune, interessato lo IACP, fece provvedere al ricupero e ripristino delle funzioni abitative , nel periodo 1998-9.

Nel 2010, sul muro che sostiene la salitella che conduce al portone civ. 149, è stata applicata una lapide con scritto «Pietro Enrico / Pizzorni / “Peo” / 1942-2008 / guai a chi vi tocca». Laconicamente viene spiegato essere dedicata ad un residente, strano e single, amante della caccia, che aveva nell’intercalare la frase riportata nella lapide, espressa anche senza una precisa motivazione; al punto da caratterizzare il soggetto, ed alla cui dipartita gli amici han voluto ricordarlo applicando il marmo.

===È descritto dal Gazzettino esistente nella strada ma non ben ubicato, un ‘Circolo ricreativo Aurora’ che nel 1996 promuoveva un ‘4° trofeo ANPI’, torneo di gioco alle carte.

 

DEDICATA al ventiduenne sampierdarenese, nato il 25 genn.1922. Di stanza a Roma quale sottotenente dell’aeronautica, dopo l’8 settembre tornò a Genova e, con la famiglia si trasferì a Parodi Ligure. Dovendo decidere, optò per raggiungere i partigiani -col nome di battaglia “Tom”-, divenendo ben presto comandante di un distaccamento che faceva parte della 79.a brigata d’assalto Mazzarello, e dislocato nella zona di Voltaggio.

   Nella zona di monte Tobbio (AL) nella notte del 29 set.1944, rimase ucciso  da una spia catturata (un non specificato “P ...di Bosio”; spacciandosi per partigiano, era un misto tra ricattatore, taglieggiatore, spia, un miserabile ladro e malfattore) e condannata a morte il giorno prima, ma che riuscì a liberarsi e ad armarsi: per realizzare la fuga ferì mortalmente il giovane che era di guardia  da solo –si scrive per lasciar riposare i suoi uomini, ma quando era stato raccomandato essere in due – e uno aveva proposto addirittura tre giardie (morì –pare- dopo alcuni giorni di agonia).  La ricostruzione dei fatti fece presumere che la spia, scoperto dove il Martinetti posava la pistola (sotto il cuscino), gliela aveva sottratta e nell’uscire per il ‘bisogno’ ne approfittò. Il corpo fu composto dagli amici, benedetto dal parroco delle Capanne di Marcarolo (già accusato e minacciato per aver favorito i partigiani) e sotterrato dopo il rito religioso il 29 sera con solenità militare in un prato a fianco del torerente Gorzente, accanto ad altri tre tumuli dei quali due non identificati (forse ex prigionieri alleati entgrati nei ranghi della 3a brigata Liguria).  Il giorno 2, la sorella  raggiunse con uno zio il luogo della sepoltura e prese atto della morte di Tom. 

Gimelli.III.pag 390 e AAVV-Contributo di-pag..132 dicono che la data di morte è il 29 sett.1944; 35°SPd’A dice l’1 sett.1944; Franzone, che scrive come testimone diretto, precisa che il fatto avvenne nella notte tra 28 e 29, e che morì subito colpito alla nuca con foro di uscita su una guancia).

  Un omonimo Martinetti Luigi, di Giuseppe, nato nel 1922 a Sampierdarena, appare nell’elenco dei caduti, le cui salme furono rinvenute dopo il 7 apr.1944 alla Benedicta.

  Tra i mille e mille partigiani che morirono per la fede democratica, presumo ci siano state figure più rappresentative del concetto di ‘ideale più forte della vita’. Unico rammarico è che il giovane non è proprio la figura dell’eroe (ai miei occhi, lo è di più quello omonimo della Benedicta). Il massimo rispetto per chi, in qualunque modo combattendo, ha difeso la propria e l’altrui libertà e dignità, ma mi appare forzato aver dedicato una così importante via ad un volontario che alla fine si dimostrò grossolanamente ingenuo al punto che di fronte ad uno evidentemente più furbo perse banalmente il prigioniero ed addirittura la propria vita.

 

BIBLIOGRAFIA

-Antonini S.–la Liguria di Salò-DeFerrari.2001.-pag.145.148.246.

-Archivio Storico Com. Toponomastica , scheda 2665

-AA.VV.-Catalogo delle ville genovesi-Bertelli.1967-pag.61.469.1179

-AA.VV.-Contributo di SPd’Arena alla Resistenza-PCGG.1997-pag.132

-AA.VV.-Le ville del genovesato-Valenti.1984-pag.70.77.120

-AA.VV.-Annuario-guida archidiocesi-ediz./94-pag.417-ed./02-pag.454

-Cigolini.Tomasinelli-Le acque pubbliche: i lavatoi-Ecig-pagg.19-21

-Franzone A.-Vento del Tobbio-Sambolino.1952-pag.131

-Gazzettino S.  : 3/72.4.8  +  1/73.9  +  3/73.8foto  +  3/77.8  +  2/79.5  +  7/80.4  +  9/80.3  +  4/82.1  +  7/82.1  +  9/83.17  +  9/84.3  +  2/85.5  +  3/85.7  +  5/85.8  +  8/86.14  +  1/87.6  +  2/87.12  +  3/89.1  +  7/93.11  +  2/94.7  +  3/94.11  9/94.5  +  2/95.10  +  8/95.11  +  3796.7  +  7/96.11  + 4/08.5

-Genova, rivista municipale :  5/30.341  +  6/31.497  +

-Gimelli G.-Cronache militari della resistenza-Carige.1985-vol.III-pag.78.390

-IACP : relazione storica   

-Il Secolo XIX  del  23.09.99  +  13.01.01  +  01.11.01pag. 31   +  23.04.02  +

4.6.03     + 1.7.05pag.21 +

-Millefiore.Sborgi-Un’idea di città.CentroCivico SPdA.1986-pag. 35.72.74

-Novella P-Strade di Genova-Manoscritto bibl.Berio-1900-30-pag.8

-Pagano/1950-pag.42

-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade-Tolozzi.1985-pag.1108

-Poleggi E. &C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tavv.11.23.34.35

-Remondini A.-Parrocchie dell’Archidiocesi-vol.I-pag.160

-Sborgi F.-Il mito del moderno-Microart’s xCARIGE-2003-pa.38

-Stringa P.-La Valpolcevera-Agis.1980-pag.95

-35° SanPierd’Arena    

-Tuvo T.-SanPierd’Arena come eravamo-Mondani.1983-pag. 33.35.62anfore.78

(spazio aperto n°14)  +


 

MARTINETTI                             via Luigi Andrea Martinetti

 

 

 

   La Giunta comunale il 19 luglio 1945 deliberò denominare con il nome del partigiano la strada da via A.Cantore a piazza R.Masnata, che fino ad allora dai fascisti era stata dedicata al loro martire E.Mazzucco.

   Essa già era stata ‘via san Martino’;  poi ‘via A.Saffi’;  poi ‘via E. Mazzucco’.   Una successiva delibera, del 14 marzo 1946, deciderà poi per  titolarla ‘via Carlo Rolando’, spostando il Martinetti al corso che sale verso i colli.

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale – Toponomastica,  schede 2666 e 2721

                                                   via san Martino

 

 da MVinzoni, 1757

===LA VIA: STORIA   Essendo la via Emilia-Postumia dell’epoca romana percorribile in alto da Promontorio-Belvedere, il tracciato di questa strada anche se forse esistente in quell’epoca, non era gran ché sfruttato, almeno in forma carrettabile se non dai traffici che dall’interno necessitavano andare direttamente alla marina per essere imbarcati o commerciati. L’erezione nel periodo medioevale dell’abbazia di san Martino deve aver migliorato e più bene strutturato l’accesso, anche se tutta la strada era fuori del borgo,  circondata da ampi prati che dal Belvedere arrivavano sino al Polcevera e probabilmente coltivati da contadini.

Anche allora, solo i fedeli accorrenti alle funzioni religiose festive, i radi trafficanti commerciali orientati verso l’entroterra o interessati alla  marina,  non ultimi anche tutti gli eserciti invasori via terra, debbono essere transitati lungo essa.  Comunque, già tutti i terreni – dal colledi Belvedere al torrente – erano proprietà di ricchi signori.

    Solo nel cinquecento si iniziò e costruirvi qualche villa; rimaneva però sempre una strada tendenzialmente extraurbana fino oltre al 1700: una documentazione un po’ più dettagliata, nasce dalla lettura della carte del Vinzoni.

    La carta del Vinzoni, datata 1757 ma antecedente di verie decadi nella stesura, è una delle prime a descrivere questa via - a quel tempo ancora anonima come tutte le altre: il tragitto appare sovrapponibile all’attuale, ma sappiamo che era più stretta e circondata ai lati da prati suddivisi in rade proprietà, ciascuna occupata da una villa padronale con giardino e da orti (delle ville, alcune sulla strada, altre decentrate all’interno della proprietà, seppur cinquecentesche e quindi storicamente antiche, furono classificate ‘di scarso interesse artistico’ e fu concesso abbatterle; quelle rimaste oggi, in epoca estremamente pratica e legata ai soldi, sono presenti proprio come beni immobili, ma di Un proclama dei Padri del Comune, della serenissima Repubblica di Genova, datato 5 ott.1758, obbligò i proprietari di palazzi prospicienti la strada della zona Mercato, a concorrere alla spesa per il lastricamento; detta pavimentazione fu prevista continuare verso il Ponte, interessando alla spesa 18 proprietari; e verso san Martino, per “un percorso di 418 cannelle, con coinvolgimento di 12 cittadini proprietari ed  una spesa di 1881 lire” . 

    In quei tempi, non poche erano poi le lamentele dei cittadini che ritenevano lontana e scomoda la abbazia - allora unica parrocchia -, a vantaggio della Cella, da poco affrancata dall’essere di  privati.

 ‘nessuna utilità economica’ e quindi genericamente inutilizzate o stravolte).

     Fin dall’antichità quindi non era usanza dare un nome preciso ed ufficiale alle vie, chiamandole genericamente in basa alla funzione che avevano: quindi questa era tale perché portava alla abbazia omonima, allora unica parrocchia.

   Da sempre, anche quando l’asse viario primitivo e centrale del borgo (attuale via N.Daste) era unico che dalla Coscia portasse a ponente, all’altezza del centro - in zona Mercato - si formava un bivio: una strada  portava al Ponte passando dietro la villa Centurione, ed ancora alla fine del 1700 era semplicemente chiamata ‘strada che passa a Cornigliano’; l’altra indirizzata verso l’entroterra, ed era altrettanto semplicemente chiamata “strada che in S.Pier d’Arena dal Mercato passa a san Martino”.

 

===GLI ACQUEDOTTI – non intesi col significato di oggi , ma con quello di allora che equivaleva ai torrenti, i quali dalle alture scendevano liberi a valle

disperdendosi in mille rivoli che – in caso di piogge importanti -  lasciavano a valle ampi tratti pantanosi o acquitrinosi, difficili da percorrere se non addirittura malsani (da ciò il termine dispregiativo della zona a seguire, il Campasso). Sino al 1700, non sono descritte opere di bonifica importanti, essendo occasionali e quindi accettati come ‘naturali’ – anzi benefici nello svolgimento di opera di lavatura da tutte le scorie e lordure umane che venivano abbandonate nelle strette vicinanze delle case.

--1757.  Come detto sopra, è di questo anno la consegna al Senato della carta del Vinzoni, la prima a descrivere e localizzare nella strada gli “Acquedotti” e, con essi, la successione delle proprietà. Nel grande disegno (2 metri per uno) - stilato per conto del Senato genovese, col fine di indicare il deflusso delle acque, a quei tempi malamente incanalate e tali da apportare sia utilità per i campi ma danni per le strade ed altre strutture sociali - le strade non tutte hanno nome; ma già ‘san Martino’ si chiamava la antica strada che portava alla parrocchia e faceva seguito a via Mercato (vedi) che convenzionalmente si fa finire alla confluenza con la crosa dei Buoi, prima della villa Centurione (che viene descritta in piazza N.Montano, ma il cui ingresso era, molto probabilmente, nella crosa dei Buoi).

 

===LE VILLE

Cosicché la strada appare delimitata:

a ponente: dopo la villa Centurione e la via san Cristoforo (oggi A.Scaniglia) compaiono, prima la lunga (verso il Polcevera) proprietà di Tomaso Spinola (il civ.4 attuale); seguita dai terreni di Giovannetta Lomellini,  e dell’ecc.mo Domenico Spinola (il civ. 8, sino alla chiesa di s.GB Ddecollato). A loro seguiva un lungo appezzamento di proprietà ‘dell’Ospitaletto’ (sino all’altezza di v.B.Agnese;  da poco cambiato di proprietà ma quasi illeggibile il nuovo = Magistrato degli Incurabili), a cui seguivano i terreni di un m.co Cambiaso e del m.co Stef.o Lomellino (sino all’altezza di via Tavani).

A levante  invece, la stada inizia di fronte allo sbocco della crosa dei Buoi con una serie di case strettamente affiancate, alcune ancor oggi esistenti, delle quali la prima -procedendo verso il Campasso- è la più grossa ed imponente, ma ultima di via Mercato (è una grande villa, con molto terreno alle spalle,di proprietà dell’abate Spinola q.Nicolò, oggi abbattuta, e che sarebbe posizionabile all’angolo di levante di via GBMonti). Appoggiate al villone –scrivevamo- una serie di case che appartenevano in successione a: mag.co GioLuca De Franchi (praticamente scomparsa perché sovrapponinbile alla strada via GBMonti che allora non esisteva); seguita dalla casa di Fr.sco Rapallino; dei RR.PP.Agostiniani (della Cella);  di una seconda di GioLuca DeFranchi; da quella del mag.co Filippo Centurione (quest’ultima, appare separata da un cortile dall’ultima casa della fila, la terza di GioLuca DeFranchi, che fa angolo con la “strada degli Incurabili” (vedi; -attuale via Anzani). Al di là di quest’ultima salita, che arrancava trasversalmente alla principale sino a, oggi chiamata, ‘Quota 40’, ma allora ove era un’altra villa, appare la proprietà  di Ferdinando Spinola (con una casa, ma niente villa nella carta del Vinzoni;  con villa segnata grossa ma di cui non esiste alcuna spiegazione neanche di quando è stata demolita, nella carta sottodescritta).


--1781. Di poco antecedente a questa data, un’altra carta – del Brusco, ove si confermano gli stessi nomi e – nel rettangolo a sinistra- descrive la spesa per ‘allargare’ la strada smussando le proprietà laddove erano ‘a prato’.


Seguivano – sempre a levante della strada - le proprità del ser.mo GioGiacomo Grimaldi (con villa –ora distrutta- nell’angolo con l’attuale via s.G.Bosco-. Vedi sotto il profilo). Da qui iniziavano i terreni di GioNicolò Grimaldi (ora inclusi nel territorio di don Bosco assieme ai successivi) e la proprietà dei PP.Teatini (con la chiesa allora privata di s. GiovanniB.Decollato). Seguivano le terre dei sig.ri Ghezzi (sino grossomodo via Armirotti),  e poi -estesi sino a via Caveri- quelli dei Rovereti (con la loro villa in alto, e  nel cui centro c’era l’attuale via Currò).

--1790. La strada, ancora  non aveva nome ufficiale, e viene citata come scritto sopra. (Alcuni proprietari appaiono cambiati: a  ponente iniziava con le terre di Tomaso divise tra il magn.co Giuliano Spinola ed il m.co Agostino Spinola q. Massimiliano; poi dei Lomellini; del m.co Cristoforo Spinola q. Domi.ci; da Grillo Siasaro ossia Magistrato delli Incurabili; dal m.co Francesco Ponte, dal m.co M.Cambiaso. A levante il M.co Giuliano Spinola; poi m.ca Nicoletta DeMari alias GrimaldoGB; ecc.mo Pietro Francesco Grimaldo; chiesa dei RR.PP.Teatini; sig. Ghessi; m.co Benedetto Rovereto; parrocchia di san Martino; cappellania di casa Grisella).

   Si iniziò quindi dopo questa data a dare dei nomi, sempre legati alla funzione: e poiché questa strada serviva principalmente per raggiungere l’unica parrocchia esistente nel borgo, la abbazia medioevale omonima posta in fondo alla zona, appare ovvio che fu chiamata via san Martino (posta all’inizio di vico Cicala (via A.Caveri), là viene descritta).

--1813.  Non esistendo alcuna organizzazione stradale, ancora rimangono generici i riferimenti ad alcuni palazzi esistenti nella strada e dintorni; citati perché possedevano nel loro interno una cappella privata per funzioni religiose, e quindi erano catalogate signorili-: ‘casa Galleano Domenica da via san Gaetano’ (che non è mai esistita come via); ‘casa Gentile Filippo vicino a san Martino’; ‘casa Mari Lorenzo e parimenti una ‘casa DeAlberti GioMaria, ambedue vicine a san Gaetano’; ‘casa Negrotto Lazzaro vicino alla Palmetta’; ‘casa Spinola GB alla Palmetta’.

--1872.  Questa strada centenaria, ebbe un nome nato quindi spontaneamente per ovvietà funzionale di avvicinamento alla chiesa parrocchiale, ed accettato ufficialmente  dal Comune solo assai tardi: a mie mani appare in un documento con questa data.

--1890.  La titolazione al santo di Tours rimase alla strada finché  a questa data, fu deciso di cambiare (sia per la necessità politica di inneggiare al Risorgimento, sia anche in conseguenza al fatto che la abbazia era andata miseramente distrutta  per abbandono e rimaneva attivo solo il piccolo Oratorio omonimo, di minore importanza storica): divenne così via A.Saffi.

 

 

    Dal bivio, sulla strada ancor oggi esistono la  “villa Spinola”, la “villa Grimaldi”(ora distrutta), la “villa Lomellini-Spinola”, la “villa Domenico Spinola” (di cui rimane solo la torre); la “villa -Pallavicini-Durazzo-Currò”, una volta tutte dotate di ampi spazi terrieri orientati verso e fino al torrente Polcevera (come da via Daste, a quel tempo via deMarini, le ville posizionate sulla strada estendevano le proprie proprietà verso il mare, anche da questa via le ville erano in genere alla testa di lunghi terreni coltivati a giardino, orto, frutteti, bosco, estesi sino al Belvedere oppure al torrente) ed oggi con spazi attorno praticamente nulli.

 

  Descriviamo qui solo quelle che sono andate distrutte:

 ===VILLA Gio. Giacomo GRIMALDI: dove ora è il palazzo col civ.33rosso eretto nel 1960, c’era una villa nata tra il XVI e XVII secolo non si sa ordinata da chi né da chi eretta. Solo nella planimetria Vinzoniana del 1757 risulta in quegli anni essere di proprietà del  serenissimo GioGiacomo Grimaldi per cui

è lecito presupporre che fu fatta costruire dalla famiglia di cui GioGiacomo fu erede. (tra parentesi, segnato con: *=, sono le diversità rilevate su altro libro El Siglo de los.., pag.233).

                 

dalle macerie della villa è stato salvato da un muratore

questo intaglio facente parte di uno stipite.

Sarebbe andato alla discarica. Il marmo del caminetto

venne prelevato da Valdevit; ma non lo voleva.

 

Gio. Giacomo Grimaldi era nato a Genova in Fossatello, il 12 luglio 1705, figlio unico di Alessandro (marchese di Campo Tejar in Spagna, titolo conferito all’avo PierFrancesco da Filippo II) e di MariaValeria DeMarini q.Nicolò (*=AnnaMaria De Mari).

Giovanissimo andò in paesi stranieri soprattutto per imparare l’arte militare e diplomatica: nel 1740 fu ambasciatore a Venezia alla corte viennese per 11 anni (riconosciuto in una dedica “esemplare del perfetto gentiluomo, magnanimo nell’idea, splendido nel costume et obbligante nel tratto”), salvo parentesi nel 1746 quando  tornò a Genova in occasione della guerra antiaustriaca e fu incaricato portare in località Torrazza al generale conte Schulembourg la dignitosa risposta del senato genovese. Dal 1751 al 54 fu Commissario generale in Corsica a districarsi tra ribelli corsi e francesi comandati dal marchese di Coursay (alla fine del mandato,1754,  donò alla cattedrale di Bastia un prezioso ostensorio d’argento dorato – munito di trono per esposizione - con inciso suo stemma, sigla, e data.

Nel 1752 si iscrisse quale studente della Accademia Ligustica nella quale poi divenne direttore del settore pittura nel 1795, finanziatore e protettore; all’Accademia regalò in testamento un suo ritratto in piedi dipinto da Giuseppe Rossi ed un cifra di lire mille a perpetuo.  Il 22 giugno (*=luglio) 1756 fu nominato Doge biennale, ed incoronato il 14 genn. successivo (amato e venerato dal popolo, autore di grandi veglie pubbliche domenicali e di altrettanto grandi feste da ballo o in maschera specie in rapporto a nozze di parenti o titolati, che perduravano per oltre un giorno e mezzo continuato, in modalità “non mai prima né dopo praticata”). Una sua statua adorna il salone del palazzo ducale, incluso tra i “generosi”.

Dopo il dogato, fu nominato senatore a vita e rinviato in Corsica come commissario generale;qui provvide a fortificare nuovi presidi, combatté gli insorti guidati da Clemente Paoli, vanamente bombardandoli dal castello di Paternò (subendo il loro attacco, che sconfisse la sua guarnigione svizzero-tedesca, costringendolo alla fuga a Bastia da dove gli fu ingiunto tornare a Genova ed implicitamente –giustificando gli insorti e mandando assolti alcuni ufficiali da lui condannati- gli fu dato contro. Sdegnato preferì deporre la tonaca di senatore a vita e tornare a Venezia, ove “uomo di spirito, amabile e ricco, viveva spesso ed ove poteva gioire dei piaceri della vita con più libertà che nella sua patria”), con uno stacco nel 1760 ad Avignone. Sofferente di gotta , morì 72enne, a Padova, il 26 gennaio 1777.

Oltre il palazzo in Fossatello, Gio. Giacomo possedeva la villa di San Pier d’arena, che allora era “alla fine di un viale che aveva l’ ingresso sulla “strada di s.Martino, al civ. 14”. Qui ospitò Rosalia (graziosa marsigliese, che nei giardini della villa ebbe a conoscere i coniugi Paretti, zii del futuro marito e loro futuro erede) e Seingalt conosciuto durante il viaggio in Francia. E qui, il 24 maggio 1775 stilò il testamento che fu letto anche in Senato avendo delle disposizioni di pubblico interesse: oltre a legati alle varie opere pie ed a una zitella genovese per maritarsi, volle che dai fidecommissari esecutori si erogasse annualmente una somma di 10mila lire quale stipendio per un ufficiale (col grado minimo di maresciallo di campo, che sappia addestrare, comandare e dirigere bene la truppa; somma che diveniva 2000 mensili se l’ufficiale doveva partecipare ad una guerra); ed altra somma per spedire di triennio in triennio in una accademia di Francia un giovane ingegnere militare per studiarvi l’arte e che – tornato in patria - godrà di pensione vitalizia di lire 8oo annue. Inoltre, sempre stimando prioritaria la pace, non potendo però la Repubblica schermirsi dal difendersi quando necessario, stabilì fossero acquistati 10mila fucili, nuove artiglierie, e riattato il forte di Vado – edificato quando era doge e battezzato di s.Giacomo - e che vi abitasse una piccola guarnigione. Altrettanto ogni anno ed in perpetuo una rendita per i “gentiluomini di poppa” ovvero buoni ufficiali per la navigazione; dei quali, i 4 più giovani però, che – quanto tornati in porto -  frequentassero l’Accademia Ligustica della Nautica gestita da un insegnante pagato da parte del lascito.

Il Senato per gratitudine, fissò far scolpire una sua statua: dopo varie vicissitudini, solo 15 anni dopo fu completata da Ravaschio e posta alla sinistra del trono ducale; descritta in stampe di Gravier nel 1788 su “description des beautés de Genes”; fu distrutta nella rivoluzione popolare degli anni a seguire.

 

   A fine 1700 la villa era sulla  strada, possedeva sul fianco un giardino pensile, ed era inclusa in  un ampio lotto di terreno a prato, giardino ed orti,racchiuso: dalla strada sino alle erte pendici di Belvedere, e tra la proprietà di GB Grimaldi a nord (con la ‘villa Bianca’ descritta sotto) e quella di Ferdinando Spinola a sud. 

   Come tutti i giardini ed orti del borgo, anch’esso - a fine 1800, e quando ancora di proprietà della Rebora vedova Cristofoli - fu disperso,  lottizzato e coperto di case.

 Nel tardo 1800 divenne proprietà di Pietro  Cristofoli (a cui è stata dedicata una via cittadina: vedi ad essa indicazioni sulla vita del medico garibaldino).


 

 

Sappiamo che dalla vedova Cristofoli ed eredi fu venduta nel 1912 una parte della proprietà al ‘Collegio convitto Ernesto Foscarini’ (scuola privata per elementari e tecniche con speciali corsi accelerati per nautici, sia capitani che macchinisti, che rimase sino al 1918. La foto riprende la sede della scuola; difficile è l’individuazione della villa: sembrerebbe proprio quella di via Currò, ma... 

  


   In questi anni, la strada divenne via A.Saffi, e la villa dovette subire un periodo di abbandono perché si descrive che “i fiori del giardino furono strappati dalle aiuole per lasciar posto alle ortaglie; la casa, bella nella sua semplicità delle forme architettoniche, e ridente per un loggiato di cui s’indovina tuttavia l’eleganza alberga ora un pastificio (fabbrica di pasta alimentare)”.  Nel 1922 in alcuni locali vi aveva sede un circolo ferrovieri (durante il cui uso avvenne il fatto di Egidio Mazzucco) e - non si sa da quando - era già divenuta proprietà dell’ imprenditore Capello  (che nel 1937 riuscì – malgrado ci fosse un ampio scalone affrescat o- ad ottenere l’autorizzazione alla demolizione  (per alto degrado, scarso valore storico, impossibilità di restauro) : col beneplacito delle autorità di allora, poté così arricchirsi costruendo nel posto un ampio palazzo ad uso abitativo).

===VILLA GRIMALDI, PALLAVICINO, SALESIANI (detta ‘villa Bianca’). Era posizionata arretrata rispetto la via principale, all’interno del lotto terriero; ad essa si accedeva tramite un lungo viale che iniziava dove ora grossomodo è la farmacia San Gaetano.

 


 

 

 

 

 

   LA VILLA : dalle forme -deducibili dall’immagine fotografica-, si può far risalire al periodo cinquecentesco del rinascimento, possedendo la struttura tipica locale di gran lunga prealessiana: tetto a lastre, inclinato, con abbaino decentrato; struttura fondamentale rettangolare, con un corpo laterale ad L. La facciata era caratterizzata dal portone bugnato e sormontato da stemma e nicchia, stranamente decentrato, e che dava ingresso ad uno stretto vano munito di volta a padiglioni da cui uno scalone munito di balaustra marmorea sicuramente sfociava nella loggia. La facciata comprendeva anche ampi finestroni muniti di inferriata, ed un lungo marcapiano esteso per tutta la lunghezza, divideva il piano terra dal primo ed accentuava la larghezza del rettangolo.


Al piano nobile una grande loggia laterale a tre fornici sulla facciata principale e due sulla laterale nell’angolo sud-ovest, tamponata in seguito, ma lasciando in evidenza le arcate, lesene e capitelli esistenti;guardando la facciata le ampie finestre erano inserite nella facciata con spazi irregolari creando l’illusione di una parte destra della villa vissuta in un modo più concentrato, forse dai proprietari, e l’altra –vicino al corpo laterale ad L-,  più diradata,  come forse vissuta dalla servitù o servizi.Si descrive che le volte della stanze erano affrescate con riquadri centrali.

    IL TERRENO si estendeva dalla strada sino al Belvedere ed era coltivato ad ampie fasce. Nella proprietà espressa dal Vinzoni , esisteva nella parte superiore un altro edificio (forse quello del contadino) e vicino un laghetto, ed un ninfeo.Dalla carta vinzoniana a cui si risale come primo documento scritto, nel 1757 la proprietà era intestata all’eccellentissimo Gio Batta Grimaldi.

   In epoca non accertata divenne proprietà della famiglia Pallavicino, anch’essa interessata al nostro borgo, con altri possedimenti.

   L’11 luglio 1888 il tutto fu acquistato dai Salesiani direttamente dalla marchesa Teresa Durazzo nata Pallavicini, comprendente un territorio che dalla strada principale arrivava poco oltre la ferrovia soprastante ed aveva quindi già perduto una parte degli spazi retrostanti, come detto estesi sino all’alto della collina. I Pallavicini erano generosi benefattori di don Bosco: il senatore Ignazio Alessandro, (abitante in Pegli nella fastosa villa che ora è parco comunale; pur essendo ancora genericamente giovane, nel 1800 aveva 64 anni, praticamente non usciva più di casa ove abitava  assieme alla unica ed energica figlia Teresina (vulgo Nina, 1847-1914)  sposata al conte Marcello Durazzo IV (11 dic.1821-1904, penultimo discendente dei marchesi del ramo di Gabiano) ed al nipote GiacomoFilippoV DurazzoPallavicini (7.8.1848—21.9.1921—sposo il 15.6.1874 con GiuliaDainelliMasetti, e 1.5.1912 con MatildeGiustiniani,  erede universale di entrambe le famiglie, delle quali insieme assunse il nome –dal 1873-,  ma che con lui si estinsero assieme al ramo di Gabiano) (Gabiano è un centro di Casale Monferrato, con castello, allora con titolo di marchesato e proprietà del duca Ferdinando Gonzaga da cui fu acquisito –1624-  per sua insolvenza di un grosso debito contratto; il  ramo era nato con Agostino Durazzo (1555-1630) ). Sia madre che figlio, dopo aver preso in mano la conduzione  delle aziende delle due famiglie, ricostituiranno l’archivio di famiglia trascurato dal padre e permetteranno agli studiosi di archivi di riprendere la storia della famiglia) fu il primo che nel 1850 a Torino, facendo parte di una commissione inviata a verificare l’iniziativa del prete Giovanni Bosco; entusiasta fece modo che il Senato gli elargisse una somma, instaurando così  un rapporto cordiale e confidenziale che ne approfittò nel futuro per ottenere assillantemente aiuti economici, elargiti con pazienza e bontà dal senatore e dalla figlia, sino alla promessa di una somma fissa annuale se don Bosco fosse venuto a Genova. Il senatore morì e subito dopo don Bosco venne a Genova;  ricordando la promessa andò dalla figlia Nina a chiedere la somma promessa dal padre; fu il marito Durazzo ad intervenire, frenando bruscamente e seccamente  le esigenze del sacerdote, raffreddando così il loro  amichevole rapporto. Non senza un certo imbarazzo si tentò di riprendere delle trattative quando i salesiani furono informati delle intenzioni di vendere la proprietà di San Pier d’Arena, della quale erano in più d’uno interessati ad entrarne in possesso; ma la sorte aiutò i preti in quanto l’agente dei Durazzo, Franco DeAmicis, era amico del direttore don Marengo; la ruggine si ammorbidì ed il 26 febbraio ci fu un primo incontro col conte Giacomo (il padre era divenuto pressoché cieco e la madre conservava una certa ritrosia con i salesiani): 50mila lire all’atto del contratto (in buona parte donate dal benefattore Pietro Romanengo) ed altre 50 mila a rate, sgombero delle case, miglioria della costruzione sulla strada ad uso asilo, liquidazione dei contadini, tentativo di spostamento ai confini  di vico Landi. Dopo rocambolesche vicissitudini, alla presenza del notaio Antonio Bardazza, della nobile famiglia, due testimoni ed i salesiani, il giorno 11 luglio 1889 fu firmato l’accordo di cessione.

    All’atto dell’acquisto, la villa forse era ancora occupata da Luigi Testori che da anni vi aveva impiantato una fiorente tintoria, che era stata premiata nel 1846 e che era abbastanza di alta produzione ancora nel 1860 (ed è lei presumibilmente la ‘stamperia d’indiane’ e  stoffe in seta lavorate, citata nel 1849 dal Casalis a Sampierdarena).

   «La storia dei setaioli è molto importante nella sua evoluzione.  I viaggi dall’oriente, Cina→ Arabia- avevano importanto l’arte del tessere; l’evoluzione ci portò ad essere nel 1500 i più ricercati in Europa:   l’esportazione dei cotoni, le sete, i broccati, i velluti e damaschi liguri rappresentavano un mercato floridissimo (le corti di Spagna e Francia non riuscivano ad eguagliare la bellezza, originalità e morbidezza dei tessuti e la bellezza dei disegni) sfruttato dai Lercari, Cicala, Doria. Al punto che il Banco di s.Giorgio finanziò i commercianti e favorì la Corporazione (nella quale si distinguevano con diverso statuto i tessitori, i seatieri, cendareri, filatori d’oro e argento, propensi a trasmettere di generazione in generazione i segreti delle trame) la quale in quei secoli arrivò a possedere 18mila telai corrispondenti a 25mila lavoranti: di essi oltre 10mila erano a San Pier d’Arena e val Polcevera. Non solo, il Senato intervemnne con leggi severe per evitare le emigrazioni di esperti.    I tessuti locali, erano quindi ancora molto in uso dal 1600  fino al primo 1700,  tra le dame sia aristocratiche che popolane (essendoci produzione di tessuti sia raffinati che altri accessibili a tutte le possibilità economiche). Iniziarono a  cadere in disuso, nella seconda metà di quel secolo.

La regressione economica in epoca napoleonica, determinò una regressione produttiva gravissima. Il colpo finale venne dato dalla scoperta in Francia  della colorazione stampata dei tessuti, usando macchinari e sostanze chimiche; al punto da iniziare una produzione industriale che distrusse quella artigianale.

La Repubblica corse ai ripari invitando a Genova specialisti esteri di stoffe stampate.

---La storia dei Mezzeri: ha pure essa la sua importanza nei mercati locale e europei. Già a metà del XVII secolo (1650 circa), specie in Francia avveniva l’uso pratico e comune di tele di cotone stampate in India. (dapprima dette ‘calicot’ - da Calicut, oggi Kozhikode, sulla costa del Malabar - o ‘indiane’; le originali importate tramite i portoghesi e la Compagnia delle Indie). 

Il sistema di stampa fu copiato, con l’arrivo anche delle sostanze coloranti, abbassandone i prezzi e favorendone il mercato anche nell’alto ceto al punto di minacciare quello dei setaioli; essi nel 1696 riuscirono ad ottenere da Luigi XIV un pesante freno alle importazioni, rallentandone l’evoluzione sul mercato ma determinando uno spostamento delle fabbriche dalla Francia alle nazioni vicine (Svizzera in particolare – dove nel 1746 esistevano a Mulhouse, Basilea, Neuchathel importanti fabbriche e geniali disenatori e stampatori in policromie, perfezionate decorazioni orientalizzanti e con nuovi ordinamenti. Ma anche in Alsazia e Italia). L’editto reale fu abrogato in Francia nel 1759, ma ormai la fuga era avvenuta.

Nel 1784 ecco pervenire, da Clarona a Cornigliano, i fratelli svizzeri Giovanni e Michele Speich chiamati in Genova – ove erano i setaioli ma non gli stampatori - da grossi commercianti locali il cui richiamo era secondario all’invito pressante da parte del Senato di usare produzioni locali evitando le importazioni. Cosicché i due svizzeri arrivarono forti della protezione di una concessione di esclusività (concessa nel 1787) per 15 anni, seppur con l’obbligo di istruire anche la manovalanza locale dei ‘segreti’ (le percentuali e qualità delle varie tinte; i fissativi per rendere i colori inalterabili; i mordenti – come l’acetato di Al per il rosso, di Fe per il viola, e loro miscele per ottenere finanche il color pulce; gli stampi – pare che gli Speick ne avessero oltre 1500 -; i tempi di lavorazione per le sovrapposizioni e fissazione dei colori (esistevano tcniche chiamate degommaggio= doppio bagno d’acqua a 68° con sterco di vacca e creta di Francia e poi lavaggio in acqua corrente – garanzaggio= usando la garanza di Avignone – il bollibigio= bagno di tre ore a temperatura crescente finio all’ebollizione); i tinelli di tinte, estratte da animali (la cocciniglia), da legni (quelcitrone, campeccio o fusteto, sandalo rosso, brasiliani), da radici (robbia, curcuma), da foglie (ginestra, vergourea), da paste (indaco, oriana, oricella), da erbe (guada);  ecc), e dell’essere capaci di rielaborare l’antica tradizione (anche se aveva perso ogni lettura simbolica originale) con metodologie più moderne e raffinate.

Infatti, raccogliendo sia le antiche tradizioni locali di produzione e colorazione di tessuti specie del cotone e già chiamati meizari (termine di origine araba : mi’zar=velo) e sia le originali metodiche orientali, iniziarono in località vicina al torrente Polcevera la produzione di loro tessuti chiamati appunto volgarmente ‘mezzari o mézero’. In cotone, ma anche lino o seta, è un grande scialle di misura fissa m.2,5x2,8 (e se più piccolo chiamato ‘pessotto’), capace di coprire la testa, le spalle fin oltre i lombi delle donne). Caratteristici erano i disegni indiani di foglie e fiori, con il simbolico “albero della vita” – così i nomi ‘dell’albero vecchio’ (tipico di L.Testori), ‘del castagno’ arricchiti di fiori variopinti o da animali per cui erano ‘del macaco’, ‘delle scimmie’,’del pavone’, ‘dell’elefante bianco’, e così via -. 

Che le donne amassero coprirsi con ampi scialli, si risale all’antica Roma , con lo strophium; mentre poi le veneziane lo chiarono zendado e le spagnle mantille.  

Non tutti gli allievi della ‘scuola Speich’ ebbero la genialità di creare disegni e tinteggiature, da emergere sul mercato (gradazione di colori, ombreggiature, figure estrose); unico appare sia stato il Testori, nativo da Tortona ove era ancora domiciliato nel 1833, che si era formato come capo chimico presso gli Speich, dei quali divenne genero sposando, a 33 anni, nel 1838, la diciottenne Maria figlia di Mattia (Michele?) Speich. Ebbero 10 figli, ma solo Ottavio – nato 11 giugno 1843 - si interessò dell’attività paterna. Forse fu un figlio del Testori che si sposò con la zia Rosina Speich, alla morte della quale nel 1896, in parrocchia di Cornigliano si certifica “vidua q. Testori Aloysii”). Il Testori, poi titolato professore,  da Cornigliamo nel 1825 aprì nella villa sampierdarenese un proprio stabilimento che qui funzionò fiorente sino al 1866. Nel settembre 1846 all’Esposizione dei Prodotti e delle Manifatture Nazionali, ottenne una “medaglia di rame, onorificenza per tessuti d’apparati e mesari di buona qualità e di colori vaghi ben assortiti”. Era presente nell’attività un fisico inglese di nome Palmer Gorge il quale nella richiesta di proroga del soggiorno specificò essersi già stato occupato per sei mesi ”nella fabbrica di indiane in Sampierdarena, ove nella sua qualità di Professore di fisica e molto versato nella chimica massime relativamente alla tintura…d’un nuovo giallo …e la porpora inglese finora sconosciuti. Il Testori proseguì l’attività anche dopo essere rimasto vedovo; comunque in quella data l’azienda proseguì per opera del figlio Ottavio e di alcuni nipoti che preferirono trasferirsi nel ponente genovese sia perché sfrattati (dai salesiani), sia per altre motivazioni sconosciute ma legate soprattutto al calo di interesse dell’arte prodotta.

   Si sa che a San Pier d’Arena nel 1700 si era impiantata una eguale industria della famiglia David (dal 1760 Luigi David iniziò in rione non conosciuto la produzione di teli di cotone stampati con cui le dame genovesi amavano avvolgersi; morì nel 1785.    L’attività fu continuata dai figli Giovanni e Luigi, quest’ultimo era nato 1755; nel 1812 l’azienda era ancora molto fiorente malgrado un lungo contenzioso con gli Speich e gli Hadner sul tema della qualità dei colori e dei prezzi; nel 1815 aveva ancora 113 lavoranti, risultando così la più grossa nel settore. In quegli anni si trasferì a Cornigliano.  Un ultimo erede dei Testori (il prof Edoardo, direttore didattico del liceo Mazzini, donò al Comune un opuscolo intitolato “Trattato sulla stampa delle tele di cotone” facente parte del corredo proveniente dall’antica manifattura, ultima testimonianza scritta di una attività locale di alto pregio.

 

Contrario al vincolo di quindici anni concesso agli Speick, dopo dieci anni circa, ecco comparire in San Pier d’Arena – con lagnanza degli Speick al Senato - un concorrente di nome Luigi David (ed a Genova una AngelaMaria Torre che però si limita a fazzoletti turchini). In pochi anni, e quindi agli inizi del 1800,  avevano sede in San Pier d’Arena anche: la manifattura di un certo Cristoforo Hadner (che occupava 60 stampatori e 52 operai,compresi bambini a partire dall’età di 5 anni, con produzione di 1670 pezzi fra cui 1250 mezzari; si associò con gli Speich; nel 1815 l’erede GioBatta Hadner aveva solo 24 lavoranti e si sciolse negli anni immediatamente a seguire). E quella di Doria Carlo (che aveva 22 lavoranti pagati giornalmente da 40 cent a 1,5 lire –mentre un disegnatore prendeva 2 lire e mezzo ed un chimico del colore arrivava a sei lire. In totale più di 500 lavoranti, che permettevano una ricca esportazione in Francia, Inghilterra, Olanda, Svizzera). Forse furono i Doria gli ultimi stampatori locali ancora attivi nel 1874, con 60 operai.

   Mentre il terreno era curato da un contadino che occupava una cascina vicino e con il quale nacque poi un piccolo contenzioso perché –per ovvie problematiche professionali e familiari- non voleva andarsene.

   L’ acquisto -fortemente voluto da don Bosco- mirava ad allargare  lo spazio dell’Opera Pia, a sua volta finalizzato a creare finalmente uno dei principi basilari dell’ordine: l’Oratorio.

   Il terreno acquistato dalla marchesa, inizialmente era diviso dalla primitiva proprietà salesiana da una stradina (vedi vico  Landi).

  Tutto il vasto appezzamento -compreso tra la villa e la strada- fu diviso a metà trasversalmente, dedicando la parte verso la strada  per l’Istituto e quella a monte per l’Oratorio (per il quale fu preferito aprire l’ingresso sul fianco, in quella che diverrà via don G.Bosco, praticamente come rimane oggi). Ma sino ancora al 1935 esisteva a partire da via Saffi il viale centrale sino alla villa: in quella data il 2 luglio fu dato il via all’erezione del caseggiato che fiancheggia la strada principale e si estende ancora in via san Giovanni Bosco: primi a cadere un grosso albero del viale ed i due pilastri che delimitavano sulla strada il viale stesso (E’ un anno in cui la massa cittadina è pressoché unanimemente fascista, in cui si inaugura la Camionale(29 ottobre), in cui a novembre la Società delle Nazioni indice le Sanzioni contro l’Italia che ha aggredito l’Etiopia, facendoci inventare l’autarchia).

   Nel 1965 i Salesiani “malati dalla cosiddetta ‘febbre del mattone’”, riuscirono a far dichiarare la villa obsoleta e di nessun interesse storico, e quindi demolibile a vantaggio della nuova palazzina che ancor oggi argina il limite orientale del terreno salesiano. Quando nel 1935 si volle erigere il complesso al limite della strada principale (allora via A.Saffi oggi via c.Rolando) con conseguente riorganizzazione delle strutture interne, il Comune di San Pier d’Arena si affrettò ad anticipare ai salesiani che “il palazzo GioBatta Grimaldi, ora Ricreatorio salesiano, con scalone, raffaelleschi ed altre ornamentazioni pittoriche, ha importante interesse ed è quindi sottoposto alle disposizioni contenute negli articoli di legge…”

. Su Miscio si legge: “Quando negli anni sessanta si comincerà a infradiciare con acqua fatta scorrere a bella posta le pareti del palazzo per farlo crollare questa disposizione e questa legge e questo rimorso per nulla avranno intronato le orecchie e gli occhi dei demolitori”; ed in altre pagine parlando di don Mosconi direttore dell’oratorio “Presto ritornerà a far fuori la vecchia villa Pallavicini Durazzo, con modi altrettanto singolari, idraulici specialmente, a lenta macerazione per crolli facilitati. Distratte le Belle Arti”.

===VILLA Domenico SPINOLA  Nella strada che dal centro del borgo conduceva alla abbazia di san Martino, allora parrocchia,e da qui ai confini verso Certosa,  questa villa appare l’ultima come collocazione,  costruita in epoca cinquecentesca.

Di solenni dimensioni, in modo tipicamente genovese  ad L, affiancata dalla massiccia torre, dalla carta del Vinzoni appare appartenere nell’anno 1757 appartenere al ‘magnifico Domenico Spinola’.  Nulla si sa dei proprietari nel tempi prima di allora e nemmeno per oltre cento anni dopo. Divenne infatti proprietà di un certo Grasso verso la fine del 1800, di ciò e di esso non si trovano ulteriori notizie se non indirette.

Da questi, il palazzo fu venduto (per circa 90mila lire di allora) nel 1907 al Comune locale, che la adibì a scuola:  viene definito “palazzo scuole maschili occidentale (già Grasso)”. I locali al piano terra furono per un lungo periodo utilizzati come”servizio bagni pubblici”; e si presume che corrisponda a questo palazzo quanto compare in un elenco del 1908, con le proprietà immobiliari del Comune di San Pier d’Arena:”immobile adibito a delegazione di P.S.- scuole vespertine- Bagni popolari e Caserma Guardie di P.S.”.

   Nel 1926 tutto passò in consegna a Tursi;  fu deciso nel 1963 di demolirla per erigervi il palazzo tutt’ora esistente, dall’ottobre di quell’anno adibito a scuola media statale.

La torre è sopravvissuta alla distruzione, esiste ancor oggi,  ristrutturata negli anni 2000-2002, e non più isolata ma con facciata continua ai palazzi adiacenti, è occupata dal tabacchino a piano stradale dove è visibile la svasatura di rinforzo del muro; nei piani superiori è un vano della casa adiacente che sia apre in via DGStorace; rimane ben conservato l’apice coronato da ampi mensoloni, dai quali solamente si intuisce la natura iniziale.

Il terreno assai vasto si estendeva sino al Polcevera ed alla via che nel 1777 aveva fatto aprire il doge GB Cambiaso; ed anch’esso a L si apriva sulla via san Cristoforo (via Pieragostini). Fu deturpato prima dalla ferrovia, poi dalla strada, ed infine lottizzato (via Abba, deposito AMT) lasciando una microarea nel retro che non dona neppure l’idea  reale della sua  presenza

 

                                                                            prima del restauro, e dopo

 

 

   La chiesa omonima, prima parrocchiale del borgo,  è descritta a vico Cicala.

   Tuvo trascrive la memoria dell’atleta Pavanello che disse essersi presentato “alla palestra della ‘Sampierdarenese’ che allora era relegata in aule delle Scuole Elementari in piazza San Martino”: considero un errore mnemonico dell’atleta  ed una sua valutazione vaga della località perché non è mai esistita una piazza omonima, forse quella della vicina ‘dei Mille’ (piazza Ghiglione) perché tra i vari pellegrinaggi di sede della Sampierdarenese Ginnastica ci fu anche questa piazza; comunque in quegli anni la società occupava la palestra di via generale Marabotto (via DG Storace) che era posizionata in zona san Gaetano.

 

DEDICATA  a Martino, poi divenuto santo, vescovo di Tours.

LA VITA figlio di un tribuno pagano, ufficiale romano, nato a Sabaria Sicca (territorio della Pannonia, oggi la città ha nome: Szombathely, Ungheria) nel 330 dC. circa (Giardelli scrive 315 ca; Manns, Castelli ed altri dicono 316  o 317: forse questa data renderebbe i conteggi della sua età, più veritieri).

Si descrive che a 11 anni fuggì di casa per non voler seguire la vita militare a cui era destinato, nella sua fuga trovò ospitalità da una famiglia di cristiani che lo convinsero a tornare a casa lasciandogli però il seme del Vangelo. Boschieri invece narra che la conversione seguì un sogno premonitore del dono del mantello. Ovvio,  che nessuno saprà mai i particolari di quei tempi.

È santo nazionale gallo-francese, laddove è molto popolare (in Francia si contano quattromila chiese e migliaia  di paesi, intitolati a lui); ma anche in Italia, con solido rapporto del nord ovest, perché buona parte della fanciullezza fu trascorsa a Pavia (antica Ticinum), ove il padre era stato trasferito e dove  conobbe i primi cristiani,  prima di trasferirsi ad Amiens dove nell’anno 339 fu battezzato diventando catecumeno (da pochi anni, il famoso ‘editto di Milano’ aveva decretato libera e con diritti civili la religione cattolica. Dalla persecuzioni e catacombe, la religione ‘esplose’ nel numero dei fedeli andando ad ‘invadere’ anche gli spazi propri dello stato creando un connubio di dipendenza assai pericoloso nel concetto della libertà vera e propria).

   Nell’anno 345, (all’età di 15 anni se nato nel 330; 29, se nato nel 316), per lui a malincuore, ebbe il diritto (ed anche dovere, come figlio di veterano, secondo disposizione dell’imperatore) di divenire militare nella guardia a cavallo sotto l’imperatore Flavio Claudio Giuliano (detto l’Apòstata perché nell’anno 350 –diciannovenne- i suoi studi lo portarono a abbandonare il cristianesimo, adottato da suo zio Costantino;  escluse i cristiani dall’insegnamento e  ritornò alle persecuzioni in vantaggio degli dei pagani greci; condusse campagne militari contro le popolazioni germaniche degli Allemanni e poi in Persia dove morì nel 363) che lo investì della nomina a cavaliere (simboli erano la spada, lo sperone, il falco) ed ove divenne famoso perché seppur a contatto con rudi ed ignoranti fanti, seppe sempre gestire il suo grado con umiltà e serenità.


   Facente parte della guarnigione di Amiens,  fu  in quegli anni che divenne partecipe della storica e fortemente simbolica divisione del mantello militare con un povero mendicante infreddolito. Gesto che lo contraddistingue in tutte le icone perché concomita con la sua convinta conversione alla fede cristiana.

 

 

Particolare di quadro attribuito a Lazzaro Calvi del 1584, collocato nella chiesa della Cella


Le leggende vogliono - sia che nella notte  Gesù gli apparve, vestito con l’altra metà del suo mantello, a significato che l’aveva ricevuta lui-; e sia che dopo il gesto, per tre giorni ci fu un sole splendente mirato a riscaldare il soldato, cosicché è diventata leggenda una particolare mitezza del clima in quei giorni che sono pur sempre gli ultimi dell’estate -attribuita come dono divino conseguente il suo gesto- e pertanto chiamati “estate di san Martino”, forieri della rigidità invernale.  

   Dopo sei anni di catecuminato,  nel 352  quando l’imperatore era già impegnato nella riforma dell’amministrazione e religione), ricevette il battesimo; e dopo esso –anno 354, decise abbandonare la milizia (si scrive che, per non essere tacciato di viltà, propose all’imperatore marciare alla testa delle sue truppe armato solo di una croce) ed affidarsi al vescovo Ilario di Poitiers per divenire diacono (a 34 anni lo si sa ancora in quella città a completare la sua formazione) e poi da questi essere ordinato sacerdote: in questa veste si dedicò a fare l’esorcista e ad avversare l’arianesimo che in terra franca prendeva campo tanto da essere sottoposto a frustate da un vescovo ariano.

  Tornato dai genitori, riuscì a convertire la madre; e dopo breve soggiorno a Milano -ove fondò un monastero- preferì prudentemente allontanarsi dalla città essendo entrato in contrasto col vescovo ariano Aussenzio.

   Cercò realizzare un desiderio giovanile trasferendosi in eremitaggio nell’isola Gallinara (al largo di Alberga, isoletta disabitata, esposta senza alberi ed il cui toponimo deriverebbe perché approdo delle gallinelle selvatiche. Si narra che non essendoci cibo, si nutrisse di elleboro che è velenoso, ma che non morì –si pensò perché protetto da Dio-. Molto presumibilmente passò per Genova e per il nostro borgo, ove lasciò una traccia profonda, duratura e feconda, tale da far dedicare a lui ben tre Pievi nel levante –a Framura, in Albaro e la prima nostra abbazia locale, sorta ben più tardi), dove si fermò oltre due anni assieme ad un altro correligionario (Boschieri dice 10 anni, concordando che nel 360 era a Poitiers), dedicandosi alla meditazione ed all’agricoltura.

   Quando nel 361 il vescovo Ilario, anche lui già esiliato dagli ariani, poté riprendere la sua sede di Poitiers per editto imperiale, anche Martino rientrò in Francia scegliendo proseguire là la vita solitaria iniziata nell’isola. Invece, inviato a Tours, il suo stile fece raccogliere attorno a lui numerosi discepoli decisi a condividere il suo modo di vivere (aprì a Ligugé un altro centro, il primo monastico francese, da cui provennero poi numerosi vescovi e studiosi; a Marmoutier vicino a Tours nel 375 ne aprì un altro); e risvegliò nella gente un fermento religioso inaspettato, al punto che –seppur osteggiato da alcuni nobili e un certo clero per le sue umili origini e comportamento- creò sulla sua figura un alone di santità (favorita anche per lenta ma evolutiva cristianizzazione di tutta la Gallia, per aver favorito l’apertura di conventi ed abbazie, ed aver difeso con previdente saggezza l’autonomia della Chiesa dall’autorità civile, contro le oppressioni dei poveri indifesi perseguitati sia dalle autorità civili che religiose).

   Nel 371, divenuta vacante la sede vescovile di Tours, Martino fu nominato a quella carica per volontà popolare (‘a furore di popolo’). Iniziò la sua missione con la massima semplicità monacale, con altrettanta intransigenza morale, nel modo più umile; e, povero tra i poveri favorì la pace, pur avendo trovato una diocesi non impostata anzi dissestata, bisognosa ed abbastanza confusa tra la nuova e vecchia fede.  Molto si adoperò  per oltre ventisette anni; durante i quali alcune guarigioni miracolose, liberazione degli indemoniati e resurrezioni, aumentarono la sua fama. Fu pure fondatore di due monasteri: uno a Ligugé che è il più antico d’Europa, ed uno a Marmoutier destinato a divenireuno dei più grandi centri monastici.

   Se nel suo governo molto dovette viaggiare e presto essere amato ed ossequiato dal popolo per ripetuti episodi miracolosi, in contemporanea entrò in contrasto con i numerosi correligionari che sfruttando la libertà religiosa concessa si erano adagiati nell’agio della nuova posizione sociale ottenuta con i benefici dell’imperatore, e vivevano la missione sacerdotale allontanandosi dalla semplicità iniziale della parola di Gesù (così per esempio rifiutò sedersi a tavola con l’imperatore Massimo perché egli favoriva circondarsi di sacerdoti che miravano ad una vita più di cortigiani assoggettati alla sua benevolenza imperiale  che proiettati  al bene dei fedeli soprattutto dei  poveri).

Famosi episodi della sua vita sono: ‘il Miracolo del fuoco’ (quando –subito dopo la rinuncia alle armi- volle recarsi  dall’imperatore Valentiniano per ottenere grazia per dei condannati; nel timore di acconsentire, non fu ricevuto; passata una settimana di penitenza, con veglie di preghiere e digiuno, si ripresentò all’imperatore il quale ebbe una violenta reazione di rifiuto che rientrò solo quandò all’improvviso il trono sul quale era seduto prese fuoco; persuaso dal prodigio, accettò le richieste di Martino. Dopo questo fatto, avvenne ‘la resurrezione di un fanciullo’ appena fuori dalle mura di Chartres.

  Era un periodo in cui crescevano -e più o meno radicavano- parecchi isolotti di eretici:  pericolo questo legato alla ampia e rapida espansione della fede cristiana, e quando ognuno -chiuso nella propria cultura- si sentiva convinto dell’esatta propria interpretazione del messaggio  divino (tra essi Narsete, Leucadio ma sopratutti lo spagnolo  Priscilliano ad Avila; tutti religiosi che, ostacolati dai vescovi succubi dell’imperatore, furono da esso condannati a morte: solo Martino si adoperò perché fosse eliminata questa sentenza, meritandosi la venerazione popolare anche se per ottenere il consenso dell’imperatore aveva dovuto scendere a compromessi per lui  avversi).

   Fu riconosciuto santo: uno ‘non martire’ (come anche s.Antonio) tra i primi della Chiesa,.

   Quando morì, a Candes l’8 novembre 397, la sua tomba divenne un punto mirato di pellegrinaggio per tutto il medioevo.

JdV scrisse che Ambrogio, vescovo di Milano, mentre celebrava  messa, ebbe ad addormentarsi durante la lettura dell’epistola: al risveglio, a chi gli rammentava di dover finire la cerimonia, disse di aver sognato che era morto Martino e che lui era presente al funerale (non corrisponderebbe perché Ambrogio a novembre era già morto dal 4 aprile della stesso anno)

   Una ’vita  di Martino’ fu scritta da Grergorio di Tours (Clermont-Ferrand 538ca-Tours 17 nov.594; fu storico agiografo di episodi gallo-romani e divenne vescovo della stessa città (che era una delle undici sedi metropolitane della Gallia Merovingea); da Sulpicio Severo che lo descrisse girare con un vestito di pelo ruvido, detto pallium, nero, e pendente come un saio; e lui barbuto e peloso da personaggio selvaggio; e da Tomaso da Celano (il quale dopo aver letto la storia della sua vita, la usò come modello per scrivere quella di Francesco, dichiarando Martino ‘precursore’ di Francesco). Anche da Jacopo da Varagine (nella ‘Legenda Aurea’ fa una dettagliata descrizione della sua vita).

MIRACOLI     ricca di fantastici e fantasiosi avvenimenti è lo scorrere della sua vita; ovviamente frutto dell’ingenuità di quei tempi, narrati in poesie e racconti detti ‘Martinadi’.

Recatosi nella città di Gabato, guarì il sindaco colpito da  lebbra: questi fece   cambiare nome alla città che da allora si chiamò Levroux (dal latino Leprosum);

La sua tomba fu mèta di intensi pellegrinaggi; uno stagno vicino fu oggetto di immersioni miracolose;

La ‘Cappa di san Martino’ fu a lungo considerata reliquia dai reali merovingi manenuta a protezione  sia dei bisognosi che dei malati;

A Pont-Saint-Martin, localtà della Val d’Aosta, si assicura che il santo – di passaggio – contrattò col diavolo perché non distruggesse un ponte che univa le due rive del torrente Lys; quello accettò in cambio dell’anima del prima che lo avesse attraversato; e san martino fece passare per primo un  cane, gabbando il diavolo. A ricodo, nel carnevale viene organizzato un corteo che attraversa tutto il paese

In Belgio,  il gesto del mantello veniva ricordato dai bambini di Coblenza, di Dunkerque ed altri centri -nel giorno a lui dedicato-  con il percorrere le strade con fiaccole, lanterne e cori: Giardelli cita una usanza locale anche da parte degli adulti:  mangiare di oche (è periodo del passaggio di quelle selvatiche e della caccia in genere) e bevute col vino in botte da spillare. Questi due eventi (oche e vino) giustificarono altrettante leggende (del vino, il santo che – ricercato - fa nascosto da un oste dentro una delle botti vuote; gli sgherri in cantina trovarono tutte le botti piene e, ubriachi, cessarono di cercarlo. Le oche, narrando che sempre nel tentativo di nascondersi in un recinto pieno di oche  –in questo caso per non essere nominato vescovo, non ritenendosi degno - fu scoperto dal loro starnazzare e quindi fu costretto ad accettare suo malgrado l’incarico: da qui la giusta punizione delle oche

 

TRADIZIONI

   La festa è l’ 11 novembre. È comunemente riconosciuta come data di demarcazione con la stagione dell’inverno e con tutte le operazioni ad essa congiunte

   Il taglio del mantello vorrebbe essere simbolo del taglio stagionale, riprendendo una usanza del calendario celtico di divisione  tra estate ed inverno. Viene comunemente detta “estate di san martino” il tempo di quattro giorni di sole, donati al mondo per il gesto del mantello. Il giorno di san martino precede l’inizio del periodo invernale  dell’Avvento. L’inverno quale solstizio, inizia dal 21 dicembre; ma nei tempi in cui non esistevano le comodità di oggi, fu scelta questa data – essendo il personaggio conosciuto da tutti - per considerare finiti i lavori in campagna (la semina dei prodotti invernali), sui pascoli (rientro dagli alpeggi), finita la raccolta dei frutti (noci, castagne, funghi, ecc), nonché  conclusa la vendita dei prodotti (con conseguente disponibilità economica); di conseguenza, verbale e tacito accordo, della scadenza a quella data dei contratti (inizialmente quelli di affitto a mezzadria dei fondi rustici; poi estesi a tutti i tipi di patti, basati sulla parola).  È noto che questa ricorrenza era già in atto nel genovesato dall’anno 856, ma acquisì rilevanza speciale dal secolo dopo (si era convenuto che a quella data scadevano i contratti, e si ricorreva al rinnovo ed  al pagamento dei canoni livellari. Per esempio è scritto che nell’anno 946 dC  il vescovo di Genova Teodolfo, locava una terra in Mongiardino a due fratelli obbligandoli ad un canone (monete d’argento ed un pollo) da pagarsi il giorno della  messa di san Martino; lo stesso nel 972 per delle terre a Gavi).

   La società  contadina,  dai tempi medievali, guidata dalla religione, poneva il termine anche ai fini matrimoniali (col fine di far nascere i bambini nei mesi caldi); viene narrato che in Francia, seppur frenati dalla Chiesa (che imponeva una moralizzazione dei costumi, una legittimazione del termine famiglia, benedetta dall’evento sovrannaturale dell’Avvento), inizialmente si accettava il rito pagano di ‘provare’ prima il matrimonio, essendo esso al fine specifico della riproduzione; queste trasgressioni rientravano in antichi riti agresti ripresi appunto dalla religione cristiana e da concludersi nel giorno di san Martino.

   Da buon militare, viene descritto anche come generoso, seppur deciso, antesignano di Robin Hood (togliere ai ricchi per donare ai poveri, contro i prepotenti); oppure come fervente distruttore dei templi pagani sparsi nelle terre da lui visitate (nei quali – diceva lui – si annida il Male).

 

PATRONO di numerose città (in Italia Belluno) ed innumerevoli chiese. È considerato protettore di numerose categorie di persone: della gente di chiesa; dei viaggiatori, albergatori, osti; dei poveri e mendicanti;  pastori, vignaioli e vendemmiatori; sarti, tessitori e pellicciai (si descrive che ad Amiens tutti gli anni i ellicciai regalano al vescovo una pelliccia di agnello affinché lui la doni ad un povero in nome del santo); soldati cavalieri ed armaioli; di bambini irrequieti (veniva chiamata ‘martin baton’ la frusta che il santo regalava ai bambini capricciosi, scendendo come la befana dal camino; e che poi venva usata per correggere il loro temperamento; da questa parola derivò ‘martinet’).

Protettore altresì della folta vegetazione, allora fonte di ricchezza, nel significato  del superamento della morte invernale; della fertilità dei campi (sul calendario delle Vigne si cita per il 4 luglio, giorno della sua nomina episcopale, che i contadini assoggettati ai Vescovo, portavano a lui le primizie dei campi ritenendolo di buon auspicio per l’esito dei raccolti).

Di alcuni animali domestici (oche soprattutto, usate nei banchetti importanti farcite di castagne e vino; anche  cavalli e l’orso: esso, chiamato orso martino, entra in letargo per risvegliarsi a fine febbraio o oltre ).

È pure invocato  contro i tagli, i morsi (di rettili e ragni), le eruzioni (erisipela, pustole, vaiolo), ed a favore del vino novello.

Il meccanismo della rotazione vita-morte (o viceversa considerato che l’1 nov. è giorno dei morti; e da essa, il piangere-ridere), estate-inverno, caldo-freddo, astinenza-sessualità, uomo (che da nudo-si veste: il mantello), celibe-maritato lo fanno raffigurare in Bulgaria con il simbolo della ruota.

Si scrive che è pure protettore dei ‘cornuti’: un marito che si ubriacherà alla festa di nozze, giustificherebbe il suo stato poi da sposato. Ma esiste anche una spiegazione storica: Martino era guerriero proveniente dall’Ungheria e là scalzò nella fede il dio celtico cavaliere, Kernunnos che era raffigurato con le corna in capo, eguali a quelle dei cervi – antico simbolo di ciò che cade e si rigenera con la primavera-: due corni sull’elmo divennero il simbolo dei guerrieri Galli e dei Longobardi poi, i quali quando si convertirono al cristianesimo assunsero Martino a loro santo protettore, munito di cimiero cornuto. E poiché il nome Martino pare di origine longobarda, alla pari di Pietro latino, ne conseguono tutte le tradizioni sui cornuti alimentate dai romani nel desiderio di denigrare le usanze dei nemici: così Martino era il marito cornuto di Berta madre di CarloMagno, e ‘martinaccia’ è la lumaca perché cornuta

 

USANZE paesane liguri:

---a Maxena (entroterra di Chiavari) l’11 novembre si metteva all’asta ai presenti – anche di paesi vicini- un sacco di fichi secchi di oltre trenta chili da dare nella mangiatoia delle mucche dopo aver constatato che funzionava da eccellente corroborante.

---a Leivi, nella piazza antistante la chiesa dedicata a san Rufino, l’11 novembre si metteva all’incanto il granoturco; particolarmente rinomato quello proveniente da una località detta ‘dietro la costa’.

---a Zoagli nella chiesa che dall’anno 973 è dedicata al nostro santo il pittore Raffaele Resio nel 1893 raffigurò il santo nella volta della cupola; e in una nicchia alle spalle dell’altare c’è una sua statua ‘scoplita con forte impronta popolare’; e sempre a zoagli (a volte a Rapallo) una manifestazione paganeggiante gli è dedicata sotto forma di processione ’della bandiera’alla quale partecipavano in allegro corteo tutti i mariti notoriamente traditi

---a Giustenice,  si faceva un banchetto con giustificate grandi sbronze: alla finre, al più ubriaco perso veniva posta una mitria di carta adornata di nastrini, nominandolo Abate degli stolti

---a Monterosso lo sfogo festaiolo del giorno di s.Martino, si riversava sugli operai che tornano in treno da lavorare: venivano accolti da apposito comitato con motti, lazzi ed allusioni relative alla loro assenza da casa riportate a voce o con manifesti o tramite lettere  spedite per posta giorni prima. Alla sera, dopo ampia mangiata e bevuta, una processione con l’effige di san Cornelio e rullo di tamburo, intonava davanti alla casa dei malcapitati.

---a Bastremoli (Spezia), il santo protettore contende con san Leonardo protettore  del paese di fronte; i due santi cercano di spingersi nel torrente che divide i cui abitanti  sapranno chi ha vinto perché se caduto in acqua è stato san martino, pioverà l’11 novembre; se s.Leonardo , pioverà il 6; se nessuno dei due ha vinto, non pioverà. Con buona pace di tutti.

---a Lumarzo, il giorno è chiamato “fiera dei becchi”   

PROVERBI e detti:

--“A san Martin se spinn-a o vin”; in particolare il vino novello. Secondo una tradizione, il santo inseguito dai nemici durante i giorni di un autunno, cercò rifugio presso un contadino che nella fretta lo fece nascondere in una delle  botti vuote; quando sopraggiungero i soldati, cercarono solo in cantina ma trovarono solo botti piene. Si ubriacarono e se ne andarono lasciando al contadino le botti piene del vino novello, molto usato da aspergere sulle castagne arrosto.

--“a san Martin s’inciuccan grandi e piccin”

--“a san Martin arvi a botte e assazza o vin”. Evidentemente ogni scusa è buona, anche se possiamo pensare che sia la ripetizione di una festa brumale greco-romana al dio Bacco (Dioniso per i greci),  con giustificazione cristiana.

--“a san Martin mettite o ferriolin” ovvero la mantella;  proverbio savonese che fa riferimento al freddo che può subentrare ad una opposta ‘estate di san Martino’

--“a san Martin l’inverno o l’è ‘n cammin”

--“se piove a san Martin, pioverà ancora per quaranta dì”

--“fare san Martino” l’ 11 novembre-giorno della morte del santo- per gli agricoltori (sicuramente quelli liguri) è la data di riferimento per ogni contrattazione (di alloggi, terreni, compravendite, affitti ecc.).

-- altri sono i detti conosciuti, ma, non di competenza ligure

ICONOGRAFIA è rappresentato in tante varianti come soldato romano a cavallo nell’atto di donare il mantello; meno come vescovo accanto ad uno storpio (a volte ha un modellino di una chiesa a destra (Magonza) o un’oca (solo in Baviera) o con una coppa (allusione alla vita)).  

CHIESE

   Negli ultimi anni del XIII secolo, nella diocesi milanese esistevano ben 133 chiese dedicate a lui; nel V secolo, nel genovesato, ve ne erano quattro: la nostra, Albaro, Fra mura (un marmoreo pulpito di stile barocco porta in rilievo gli emblemi dei quattro evangelisti e l’effige del santo: si racconta che fu scolpito per la basilica di san Siro genovese e che costò allora 7mila lire genovesi), Pastorana (oggi AL).

Poco frequente è stato in genere che - nelle chiese- fosse dedicata tutta  una cappella al nostro santo; una famosa –composta da 21 diversi affreschi o vetrate- fu dipinta sulle pareti, volte e vetri ad Assisi nella Basilica Inferiore da Simone Martini che attinse scrupolosamente dal testo di Jacopo da Varagine (escluso per l’investitura ed il funerale, non descritti nel libro); la scelta pare dovuta non tanto al titolo del committente nel 1312, Gentile Partino da Montefiore, cardinale francescano della chiesa romana dei santi Silvestro e Martino; quanto all’interpretazione dei parallelismi e punti di contatto tra Martino e Francesco: il primo ‘miles’ dell’imperatore e -dopo la rinuncia alle armi- soldato di Cristo, il secondo nominalmente  conosciuto come ‘novus miles Christi’; per amore di Gesù,  ambedue rinunciatari e donatori ai poveri: uno delle armi e poi del mantello, l’altro dei  beni terreni. Per tali affinità, Martino viene considerato il ‘precursore’ di Francesco.

A SPd’Arena la prima medioevale parrocchia, localizzata in vico Cicala (vedi -via A.Caveri) fu titolata a lui. Oggi  la chiesa della Cella porta il suo nome quale contitolare ed ha sul suo soffitto affreschi inerenti alla sua vita (vedi). Un rione del borgo fu titolato a lui ed è rimasto, quale ‘anticamera’ del Campasso di cui fa parte (zona compresa tra fine di via C.Rolando,  epicentro in piazza Masnata, sino all’incrocio con via del Campasso dove all’angolo d’inizio di quest’ultima esiste una sua  vecchia icona.

   DeLandolina/1922 s’abbaglia e prende grossa cantonata quando -riferendosi a ‘via san Martino’- la riferisce alla zona ove fu combattuta la famosa battaglia del 24 giu. 1859. Perché il nome dato alla chiesa, al rione ed alla strada,  è decisamente  precedente all’evento bellico.

 

 

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-Novella P.-Strade di Ge.-Manoscritto bibl.Berio.1900-pag.16

-Pastorino P-Viaggio sentimentale nella GGenova-DeFerrari2007-pag.75

-Pierini M.-Simone Martini-A.Pizzi-2000-pag.72

-Revelli C.-Per la corologia storica della Liguria-SocLStPat.1948-pag.126

-Scriba G.-Memorie storiche- su quotidiano Caffaro-aprile 1887

-Tuvo.Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag.36.294

 

 

 

 


MARTINO                                                vico san Martino

 

 

Negli anni 1900 dell’inizio secolo, fu accettata la proposta fatta alla Giunta comunale, di dare questo nome al vicolo  corrispondente all’attuale vico Pieve di San Martino, “da via Currò a via Marsala”.

Nel 1910 aveva già i civv. sino al 5.

Il Pagano/1911  segnala il forno per pane di Scragno Giovanni, al civ.13r (dal 1919 è Scagno, ancora attivo nel 1925)

Nell’elenco delle strade pubblicato nel 1927 dal Comune di Genova subito dopo l’unificazione delle delegazioni nella Grande Genova, si legge la presenza di un “vico di S.Martino”( di 5a categoria),  eguale ad altre vie situate a Pegli ed in Centro: questo impose  programmare una modifica per annullare i doppioni.

Nel Pagano 1933 ancora appare immutato, però di 4.a categoria, con civici neri 1,3,5..  Al 23r compare una officina,  di Carlo Fumagalli.

La variazione avvenne ufficialmente -e divenne come è ora- per delibera del podestà il 19 ago.1935 (che modificò molte nostre strade, come anche la vicina via Marsala divenuta via C.Bazzi).

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale - Toponomastica   scheda 2673

-Pagano/1933   pag. 247.1694


MARTIRI                                          via dei Martiri Fascisti

 

 

 

Corrisponde all’attuale via Paolo Reti.

Acquisì questa titolazione per delibera del podestà del 19 ago.1935, cancellando quella precedente di ‘via Milite Ignoto’; e rimase in atto fino al 5 lug. 1945 quando la Giunta deliberò il passaggio al partigiano.

Nel Pagano/1940 limitava piazza Montano e via delle Corporazioni. Aveva, senza un civico, la Stazione ferroviaria FFSS; con dentro -il ristorante Gaudio; -la tabaccheria; un redattore del Corriere Mercantile. Civici neri erano al 10 i fr.lli Sasso, pallini; al 15 la “Un.Ital.Tranv.Elettr (uff.) canc.Deposito vetture UITE”; la scuola elementare A.Cantore’; dei privati.

Civici rossi: 12r Azienda Comm.It. olii minerali;  13r ferramenta; 16r carbone; 22r vetri e cornici; 24r tabacch.; 25r macch.art.tecn.; 27r latteria; 28r bar, 29r osteria, 31r ardesie; 33r calzolaio; 35 panif.; 37r ristor. Martini Giuseppe (angolo con via Stennio);  45r osteria; 51r maccinari; 57r aritc.casal. Calabrese; 61r ottonierer; 61b officina DeAnna (angolo via B.Agnese); 63r radio (fabbr.); 65a verniciatore;   65b falegname; 67 calzolaio; 71r panif.; 75r sartoria; 77r commestibili; 81 fruttiv.; 83 vini; 85r ricami; 87 pasticceria Tosca (angolo via Bertelli); 91r parrucch.; 93 banco lotto; 97r tripperia; 99r parrucch.

 Durante il conflitto molti caseggiati lungo la strada furono gravemente danneggiati, specie dai bombardamenti miranti sia  a colpire la ferrovia che a terrorizzare la popolazione.

 

DEDICATA

Martire è chi sacrifica la propria vita – intesa come istintivo valore superiore a tutto, escluso per un ideale. Ed ogni fazione, ha un suo ideale, dalla religione (innumerevolòi causa le persecuzioni) alla storia (e, in essa, dai greci, ai romani tipo Muzio Scevola, Orazio Coclite, dal medioevo ai partigiani), dalla politica (magistrati, carabinieri e poliziotti) al normale civismo dell’uomo semplice di strada (un bagnino , un pompiere, una madre).

Porli alla memoria della gente, è atto dovuto.

Ma quando la fazione rimane di parte, diventa ostentazione. Diventa e rappresenta un po’ la classica dimostrazione che chi vince ha ragione e che la storia troppo spesso  viene  raccontata solo a seconda degli interessi di parte.

Ed ecco che anche i fascisti, nel loro ventennio di comando e nella loro ottica, contarono i propri martiri, sia di tempi anteguerra -come Egidio Mazzucco e Manlio Oddone (vedi) - che bellici.

Ai posteri, solo il tempo concederà leggere la storia con una maggiore obbiettività, ma sempre a grosse linee; per ora ci  limitiamo a desumere che laddove ci sono martiri, c’è violenza: ed è solo chiarendo questo concetto – che è il vero problema di civiltà, da affrontare per primo - poi potremo giudicare e trarre esperienza. La guerra di per sé è violenza; ed anche se in essa furono sancite delle regole (in parte dettate dalla CRI e dalle convenzioni internazionali tipo Ginevra), troppo spesso  il buon senso  e la misura sono sfuggiti al controllo dei singoli, per carenza di civiltà (educazione alla convivenza).

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale - Toponomastica scheda 2679

-Autore non conosciuto-Storia del trasporto pubblico a Ge.-Sagep 1980-p.250

-Pagano 1940-pag.333

-Pastorino.Vigliero-Dizion. Delle strade di Genova-Tolozzi 1985-pag. 1120
MASNATA                                               via Giuseppe Masnata

 

 da Pagano 1961

   Corrisponde al tratto laterale a monte di via N.Daste -attualmente fa parte di via A.Cantore, dove si apre il civ. 31a,  e dove in fondo è chiuso dall’ingresso dei box del silos-auto posto sotto la villa Ronco e costruito dall’impresa Gadolla.

 

foto Gazzettino Sampierdarenese              la strada – oggi – vista da via Daste

   All’inizio secolo 1900,  non esistendo via A.Cantore, questa stradina iniziava dall’attuale via N.Daste (che allora si chiamava “via generale Cantore”; alla toponomastica è scritto iniziasse da via del Mercato, ma mi appare errato essendo più a est di via della Cella che ne segnava il limite).

Essa nacque in funzione dell’erezione di due caseggiati susseguenti, ed aperti sulla via così neoformata.

   Inizia negli anni dal 1860 in poi  la ‘febbre edilizia’: municipio e privati finanziano imprese edili in crescendo vertiginoso sia per caseggiati finalizzati alle classi medio-agiate, sia per i meno abbienti, con acquisto di interi lotti da parte di impresari privati i quali stessi poi finanzieranno anche l’impresa (spesso a destinazione d’uso proprio, perché le poche case date in affitto risultano più spesso dovute a cooperative, meglio a dirsi ad associazioni operaie (anche se sussidiate da speculatori)) tipo la ‘Società anonima genovese per la costruzione di case per gli operai’.

    I due caseggiati qui eretti furono promossi per iniziativa della soc. Universale di via Carzino. In ambito associativo, si iniziò a parlare di costruire case nel 1875 per opera del socio Bonzi Giuseppe che riunì in una saletta dell’albergo del Conte anche l’ing. Salvatore Bruno, l’avv. Conte Lorenzo, Valentino Armirotti ed altri soci. Formarono una società cooperativa, dapprima denominata ‘per Meno Agiati’, pagando una lira e mezzo alla settimana. Con i soldi accumulati comperarono il terreno e previdero due caseggiati con 25 appartamenti ciascuno. La prima casa, finita dopo due anni, costò 130mila lire e fu aperta l’ 11 agosto 1877; l’assegnazione avvenne a sorteggio dentro il teatro Modena. Nel 1882 dopo quattro anni fu finito il secondo.

   Il buon esito dell’operazione e l’aumento dei soci, favorì la costruzione di altri caseggiati in zona diversa (creando l’attuale via V.Armirotti)

   In quegli anni prima del 1900, venne scritto (a quei tempi tutto a mano-penna ed inchiostro, da impiegati solerti ma non sempre eruditi,  chiamarsi “via Menagiati“ (in taluni elenchi fu meglio definita “Menoagiati” , non lasciando così il dubbio che si trattasse di  un palazzo adibito a raccogliere famiglie povere; oggi detto ‘popolare’ ).

   Nel 1910 compare nell’elenco ufficiale  delle strade cittadine, pubblicato in quell’anno dal comune, posta “da via s.Antonio verso la collina”; con civv. fino a 1 e 4.

   Nel 1919  vi appare ospitata una delle tante società di Mutuo Soccorso chiamata “l’Azione”, dedicata a F.Ferrer (vedi), con attività a carattere generale.

   Nel 1927 viene pubblicato l’elenco delle strade presenti singolarmente nelle varie delegazioni ormai unificate nella Grande Genova: SPd’Arena appare l’unica ad avere dato questo nome ad una sua via, e quindi non fu cancellato; ma le successive trasformazioni locali fecero quello che non aveva fatto la Giunta.

   Nel 1933, aveva ancora due numeri civici (civ. 2 e 4) , era di 4.a categoria, e iniziava da “via generale Cantore” (via N.Daste); in fondo era sempre chiusa, dal muraglione della villa Ronco. Questi due civici corrispondevano a due palazzi uguali che costeggiavano la strada a ponente, e che venivano comunemente chiamati “i gemelli”; di essi , quello che ancor adesso  resta, preesistendo alla grande arteria, ovviamente non possiede i portici come veniva richiesto per le nuove costruzioni prospicienti via Cantore. Il civ. 2 invece, rimanendo sulla direttrice di via A.Cantore, in questi anni venne demolito: nell’ottobre 1935 i residenti furono ingiunti –dall’Ufficio Legale del Municipio di Genova-, di abbandonare l’edificio entro quindici giorni, perché  i locali “...sono compresi fra quelli da demolirsi per l’esecuzione del piano regolatore di Genova-San Pier d’Arena, nella zona a monte della Ferrovia, approvato con Regio Decreto 28 Giugno 1934-XII”.

   Nel Pagano/1940 andava da ‘via del Mercato’ a chiusa. Aveva neri i caseggiati con civ.  2 e 4 (ma – secondo me – non è aggiornato essendo stato  il civ. 2 demolito pochi anni prima).

   Nel 1953 la denominazione ancora esisteva,  chiusa,  con un solo caseggiato;  aveva il numero di immatricolazione 2799 , ed era classificata di 2.a categoria e ancora iniziante da “via del Mercato” (sic; ma leggi sopra) ,  anche se tagliata a metà da via A.Cantore . Infatti solo nel 1955 il pezzetto a mare venne incorporato in via N.Daste con i suoi civici rossi ; mentre il tratto a monte conservò ancora il nome fino alla riunione del Consiglio Comunale del 5 apr. 1960 , quando la denominazione fu soppressa ed il civico 4 rimasto, divenne 31A di via A.Cantore .

   Nel 1961 è ancora citata con l’antico nome in qualche elenco stradale, ma già riferita come iniziante dalla via A.Cantore .

   Sul muro affiancato a questo civico 31A, c’era un’edicola di una Madonnetta (rappresentativa della Madonna della Guardia); una cosa molto semplice ma significativa ed emblematica di una fede espressiva di tempi passati: pare che l’immagine sacra sia del 1700. Per volere dei condomini la statuetta fu restaurata nel giu.1981 dal noto pittore locale Luigi Lippi (mentre la nicchia fu rinnovata a spese di uno sconosciuto imprenditore edile); essi fecero cerimoniare l’avvenimento con rinfresco ed anche con una messa vespertina celebrata dal parroco della Cella mons Ferrari . Dopo i lavori, nell’anno 2000 la nicchia e la Madonnetta sono ricomparsi sulla sommità dell’uscita dai box costruiti dalla ditta Gadolla sotto la villa Ronco.

DEDICATA al nobiluomo, nominato Cavaliere della corona d’Italia, possessore senza abitarla della villa (inizialmente dei Doria poi Serra)che si priva in via N.Daste e che con la costruzione delle case popolari  era divenuta limitante il fianco est della strada (descritta in via A.Cantore).

   Quando il Comune cittadino, circa nel 1870,  decise di affrontare il problema sanitario,  l’unica soluzione effettuabile fu l’adattamento di qualche antico palazzo momentaneamente in non uso ( nel pieno dell’immigrazione operaia per le industrie impiantate , nel 1910 si avevano all’incirca otto incidenti sul lavoro al giorno , un numero sempre più crescente di malattie dei familiari di impossibile gestione a domicilio , nonché epidemie (1870  di vaiolo ; 1872 di colera ; 1873 di colera con 17 morti in città; lug.1911 ancora colera . Si erano già superate quelle  del 1835, 1854, 1866 , con molte diecine di morti,  malamente curati se non in lazzaretti provvisori, o inviati - con i mezzi di allora- al lontano  Pammatone)).

   Così il nobile Giuseppe Masnata  avvisato degli intenti, ed approvando lo scopo umanitario,  cedette la villa con una vendita legata non ad una cifra ma accettando una assai simbolica rendita perpetua:  a queste condizioni,  il Comune , nel 1873  poté acquistare  definitivamente ed agevolmente  il palazzo e dedicarlo a primo ospedale cittadino che da lui prese il nome.

Nell’atrio dela palazzo – ora scuola - di fronte ad altra grande benefattrice dell’ospedale, la Scaniglia Tubino, cè una statua del Nostro.

   Ad esso si accedeva oltre che dall’ingresso proprio (dall’attuale via N.Daste), anche da questa stradina laterale; così ad essa fu dato il  nome di ‘via G.Masnata’ (in un libro l’ospedale viene addirittura posto in questa strada).

    Al benefattore fu intestato anche il viale che porta al padiglione maternità dell’ospedale di villa Scassi (attualmente anonimo: in tempi come oggi, si è superato il bisogno di ringraziare con larghi gesti i benefattori divenuti parte di una categoria scomoda perché sinonimi di differente classe sociale e sintomatici di un bisogno che non dovremmo avere;  specie gli enti  sotto tutela dello Stato, che è padre e padrino; sotto sotto sono sempre bene accetti, ma imbarazzano; così vengono più eufemisticamente chiamati ‘sponsor’ , parola che ci  giustifica per il loro ritorno d’immagine) .

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Comunale Toponomastica , scheda  2690

-Ciliento B-Gli scozzesi in piazza d’armi-DeFerrari.1995-pag.45

-Costa E. –Valentino Armirotti- Soc.Op.Universale.2001- pag.193

-DeLandolina GC-Sampierdarena-Rinascenza .1922-pag. 47

-Gazzettino Sampierdarenese  :  2/78.7 + 1/81.4  +  6/81.8

-Morabito.Costa-Universo della solidarietà-Priamar.1995-pag.488.491

-Novella P.-storia di Genova- manoscritto BibliotecaBerio-pag.17

-Pagano/1933-pag.247---/40-pag.333; /61-pag.277.445.quadro102.-

-Stradario del Comune di Genova edito 1953-pag.109


MASNATA                                 piazza Riccardo Masnata

 

 

TARGA: piazza – Riccardo Masnata – caduto per la libertà – 1908-luglio 1944

                                                     

 

 

QUARTIERE ANTICO: san Martino

 da MVinzoni, 1757. In celeste via san Martino che incrocia in giallo via GTavani e fucisia, via ACaveri. In rosso, la abbazia e oratorio di s.Martino.

N° IMMATRICOLAZIONE:   2800,    CATEGORIA: 1

                    

da Pagano 1961                                                                  da Google Earth 2007

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   37440

UNITÀ URBANISTICA: 24 - CAMPASSO

PARROCCHIA:  s.G.Bosco

STRUTTURA:  è posta tra la confluenza sia di via C.Rolando che di via P.Reti, in via W.Fillak.  E’ costeggiata al lato mare da un piccolo tratto di strada -omonimo  alla piazza,  che è senso unico veicolare verso ponente . Non ha numeri civici neri; esistono solo 4 civici rossi.  E’ rappresentata da un piccolo giardino con sette o otto alberi, circondato da cinque panchine .

Appare servita da ambedue gli acquedotti, DeFerrari Galliera e Nicolay

CIVICI  solo rossi, da 1r a 3r    e da 2r a 4r

 

STORIA:   La piazza, a forma triangolare, ed a sua volta è all’apice di un triangolo di strade  tutte dedicate a partigiani (Rolando, Reti, Fillak). Nella parte nord, ha all’apice un rilevatore di inquinamento (secondo i dati che fornisce, la zona è la peggiore e più inquinata sia nell’acustica che dallo smog del traffico, di tutta Genova ) . 

   I più anziani,normali usufruitori delle panchine, ricordano tra i negozi attuali, una delle vecchie tripperie della città, oggi pressoché tutte scomparse eccetto una in  via Prasio .

   Agli inizi del secolo 1900, fu intitolata “piazza Vittorio Emanuele III”, quando la via a ponente era tutta via Umberto I,  e la via interna (Rolando) era via A.Saffi.

   Una foto del 1920,  mostra le strade già tutte selciate e con posizionate le rotaie del tram; la piazzetta sembra più corta, con i soliti alberi (non forse gli stessi ligustri di adesso) e le solite panchine; all’apice del triangolo un chiostro di giornali.

 

 

 Quando invece alla ‘strada del tram’ fu dato il nome di via dei Martiri Fascisti, in concomitanza la piazzetta ebbe perduto il nome del re d’Italia e divenne una parte di quella strada.

   Nei due anni seguenti l’8 settembre 1943, la piazzetta divenne l’epicentro dell’organizzazione partigiana comunista; a gruppetti provenienti a ragnatela, si ritrovavano per comunicarsi i programmi e le novità, fino al fatidico imput a lungo atteso: ‘da stasera non più attesismo; si entra nell’illegalità’ dell’azione militare.

   Con questa caratteristica di anonimato, rimase sino alla delibera della Giunta Comunale del 26 apr.1946 quando per questo tratto –confermata l’appartenenza della strada principale a P.Reti- fu deciso fosse dedicato ad altro partigiano.

   Solo nel nov.1947 si provvide a sistemarne la numerazione.

   Nel Pagano 1950 viene segnalata la gelateria di Bernardi G.; nel 2003 da oltre un lustro è chiamata Maracanà

   Nel 1995,  al cinquantesimo anniversario della Liberazione si rinnovò una lapide, posta nell’aprile del 1945 , a ricordo dei 40 cittadini dei quartieri san Martino-Campasso, caduti in guerra. Ogni tanto il solito gruppetto di controcorrente, non democratici, irresponsabili  e dissacranti, pensa insensatamente far dispetto ai più, profanando il loro credo con scritte provocatorie, seminando quella zizzania che coinvolge gli extracomunitari che invece, nella zona almeno, ove sono numerosi, si comportano correttamente.

   Nel luglio 2003 si provvide ad un rifacimento completo della aiuola centrale, successiva revisione della viabilità ed inserimento di giovani piante d’alto fusto.

 

 

DEDICATA  al partigiano genovese, nato da Giovanni  il 18 dic.1908, residente in via delle Corporazioni (v.W.Filllak) 12/9, operaio dell’Ansaldo Meccanico, di fede antifascista,  che divenne collaboratori di G.Jori e comandante di una formazione GAP di Sampierdarena (gruppi di azione patriottica: anche se il fine era scacciare l’oppressore con una insurrezione armata, ai tedeschi i GAP crearono pochi ma gravi problemi con le conosciute ritorsioni del Turchino, dell’Olivetta, ecc.; ai fascisti produssero altrettanto seri ma minuti problemi per i multipli bersagli ‘importanti’ e con insistenza sempre più aspra in ritorsione alle torture e relative facili esecuzioni, al punto da ambedue le parti non sempre saper più distinguere l’azione di guerra da quella delinquenziale privata o rivendicativa. Antonini commenta che ‘sotto il profilo militare, il gappismo non ebbe praticamente alcun peso’); guidò -col nome di battaglia Salvatore - i suoi uomini in svariate operazioni  di guerra cittadine : ricupero e occultamento di armi,  fuga di arrestati e/o prigionieri, inviti e proclami alla popolazione (la voce di “un’altra verità” , in un’epoca in cui esisteva una unica fonte di informazioni ), sabotaggi, vere e proprie esecuzioni (forti di un decreto che determinava  nemico da sopprimere, chiunque appartenesse ai fasci)**

   Catturato nel marzo 1944, fu dapprima rinchiuso nella caserma della GNR (guardia nazionale repubblicana) in via Vicenza: da qui, riuscì ad evadere aiutato dai compagni.  Però non si allontanò da Genova, per cui  il 7 aprile comandò un gruppo di 20 compagni che bendati ed armati liberarono il comunista Alessandro Lucarelli  detenuto nell’ospedale di San Pier d’Arena e conscio di assai cattiva sorte al successivo processo.

    All’alba del 29 luglio 1944 il Tribunale Speciale aveva fatto fucilare assieme a quattro arrestati, anche Rizzolio Giacinto imputato di aver ucciso a metà anno il maggiore Palumbo in via Cantore, di aver attentato il 29 giugno all’aiutante GNR Fracasso Angelo in via Martiri Fascisti ed infine aver partecipato  alla morte delle GNR Baffico Antonio e Bruzzone Antonio il 1 luglio in via Mazzucco; nonché atti di sabotaggio a linee elettriche.

    Il 20 agosto 1944 -su indicazione di un arrestato (tal  Paveto Carlo, nato  a Voltaggio il 29.5.21 e residente a SPd’Arena via Giovanetti 4/20; era stato arrestato piantonando l’appartamento-base di via P.Salvago 14/6; ospitava un irregolare ed aveva inspiegabilmente numerose chiavi di appartamenti.  Anche un altro, Mantagnare Argante riferì essere responsabile solo di aver portato pacchi di esplosivo attraverso la città e su ordine di Jori e Masnata; e – come scritto sotto - tal Vidotto Mario sampierdarenese, nato il 14 ottobre 1927 e residente in via Giovanetti 4/19) e riconosciuto in piazza Banchi-via Orefici mentre era assieme a Chita Amilcare (che riuscì a fuggire) ed a Cassurino Mario (catturato e fucilato per aver ucciso il ten.Motta in vico Casana), fu riarrestato e dopo vivace resistenza (nella relazione la Questura si giustifica che gli agenti furono costretti a far uso delle armi) portato ferito ad una gamba in una  cella nel palazzo della Questura e sottoposto a tortura dagli uomini del famigerato Veneziani. Questa, e le lesioni riportate durante l’arresto, furono tali che per poterlo portare ad un processo fu necessario richiedere prima un ricovero all’ospedale di san Martino (Qualcosa riuscirono a strappargli nella tortura: Marzanasco Achille, abitante in via Rosetta Parodi 5/6, presunto ‘capo zona di Sampierdarena’, fu arrestato dietro “dichiarazioni di Masnata Riccardo, Cassurino Mario e Paveto Carlo”; ed un certo ‘Aldo lo spezzino’ irreperibile ma responsabile con lo Jori delle bande di terroristi e di partecipazione al movimento comunista, fu “noto al Masnata”.    Durante la degenza, il 23 ago.1944 fu compiuto un  nuovo tentativo di liberazione: un gruppo armato delle SAP e del Gruppo “Fronte della gioventù” dovevano incontrarsi di notte con un automezzo per poterlo trasportare via; ma il veicolo, intercettato da una pattuglia della X Mas e dopo un conflitto a fuoco, fu catturato ed  alcuni partecipanti, feriti, furono poi fucilati) . 

    Fu in realtà un maxi-processo, effettuato il 25 agosto1944:  sul banco degli imputati erano in 31 (24 uomini, tra cui anche don Andrea Gaggero, e 7 donne) Ma in tutto erano stati segnalati al Tribunale Speciale in 82. Dei 31 arrestati, abitanti in Sampierdarena erano: Cioncolini Jolanda, nata SPdA1909, casalinga, via dei Landi 5/15—Del Canto Giovanni detto Romolo, SPdA 1892, via Giovanetti 4/18---Fadda Armando, SPdA1913, operaio, cso dei Colli 50/2—Ghirelli Agostino, BagnolePo1905, carpentiere, via Landi—Masnata Riccardo, Ge.1908, via delle Corporazioni 12/9 —Marsanasco Achille, CandiaLomellina1907, esercente, via Rosetta Parodi 5/3 (ma “le dichiarazioni del Masnata Riccardo ed altri lo fanno ritenere capo zona di SPdArena) —Montagnara Argante, Stiene 1914, operaio, via Currò 2/4—Paveto Carlo, Voltaggio 1921, operaio, via Giovanetti 4/20—Pizzini Attilio, To 1882, commerciante, via D’Aste (sic) 4/10---Rei Luigi, Ge.1904, elettricista, scal. Landi 3/20 (uno dei capi comunisti, già sorpreso a studiare le abitudini del commissario di polizia –ufficio politico- Giusto Veneziani)—Vidotto Mario, SPdA1927, operaio, via Giovanetti 4/19

Invece degli imputati di reati contro la Repubblica Sociale ed i suoi alleati, ma irreperibili o latitanti, di SPd’Arena risultano: Balestrero Gino, SPdA1910, operaio, via delle Corporazioni 13/8—Chiti Amilcare, Montespertoli 1902, fornaio, via Degola 10/1—Derchi Domenico, SPdA1907, ferroviere, via E.Porro 1/11—Dellepiane Armando, Sestri1912, ferroviere, via Porro 11/1—Dellepiane Arturo, Ge1903, impiegato, via Milite Ignoto 23/13—Milan (o) Antonio, Ferrara1908,  tubista, via Vicenza 2/2 (risulta avviato al lavoro in Germania)—‘Maria’, dattilografa del partito, abitante nei pressi di piazza Barabino.

Due di essi (Vidotto e Paveto) con Golini Nino sestrese, dietro promessa dell’impunità,  resero “ampie confessioni, indicando tutte le persone con cui erano entrati in contatto o dalle quali avevano ricevuto incarichi. Le indicazioni di questi tre giovani sono state addirittura preziose e, col loro pentimento sincero mostrato, hanno riscattato la colpa di cui  si erano macchiati, non tanto per la loro volontà quanto per le minacciose imposizioni di delinquenti negati ad ogni senso di umanità e di giustizia, che hanno saputo sfruttare la debolezza psichica dei tre e li hanno tenuti sotto l’incubo di gravi conseguenze per le loro persone ed i rispettivi familiari”. In particolare fu appurata la posizione del sampierdarenese Germano Jori).

   Il Masnata venne condotto in aula in barella coperto da un lenzuolo per nascondere le medicazioni, reo confesso di aver personalmente ucciso il 13 aprile il ferroviere Galetti Pietro (in circostanze e motivi mai letti); e la sera del 1 luglio in via E.Mazzucco (assieme a Razzolio Giacinto (fucilato il 29 luglio)) aver personalmente colpito a morte il vice brigadiere della Gnr Antonio Baffico (giudicato dai Gap come ‘famigerato squadrista persecutore degli operai e sgherro dei tedeschi’), e di aver diretto l’operazione per l’altro concomitante omicidio del Gnr Buzzone Antonio.

   Il Tribunale Speciale concluse con sette condanne a morte (di cui sei commutate in ergastolo da espiare in campi di concentramento;  una sola confermata - da eseguirsi - quella del Masnata); tutti gli altri furono condannati a vari periodi di reclusione (407 anni in tutti).

   La sentenza, giudicata troppo mite dai fascisti, determinò una loro levata di scudi contro i giudici presso il ministro della Giustizia Pisenti che annullò tutto e predispose un nuovo processo a Pavia. Qui si confermò il giudizio contro il Masnata e annullò per altri quattro la reclusione accomunandoli nella pena di morte (Raspino Bruno, Barca Serafino, Catoni Giacomo, Capecchi Natalino).

   Purtroppo da questa sentenza si perdono le tracce del partigiano: la condanna fu eseguita senz’altro, e solo Antonini segnala con precisione, da documento della ex RSI (da Bigoni, capo della provincia, al Ministro dell’Interno), che fu fucilato a Genova il 1 settembre 1944 assieme agli altri quattro gappisti (da parte partigiana le ipotesi su questa morte furono vaghe e varie:  persino la targa stradale riporta un generico ‘luglio’, improbabile visto che l’elenco dei condannabili fu consegnato al tribunale il 3 agosto; il processo avvenne quel mese:  una fonte dice il 28 agosto; altre dicono l’ 8 settembre); non viene chiarito neanche dove fu ucciso (tanto che il suo corpo non è mai stato più ritrovato malgrado approfondite ricerche, effettuate anche negli anni dopo,  attraverso la  ricostruzione dei fatti ed appelli i più disparati).

Dopo il 3 agosto 1944, i gruppi GAP vennero assorbiti dal nuovo ordinamento delle SAP.

Fu insignito di medaglia di bronzo al VM alla memoria.

 

BIBLIOGRAFIA

-Antonini S.-la Liguria di Salò-DeFerrari.2001-pag.227.390.492

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Strico comunale -  toponomastica . scheda 2689

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-AA.VV.-Contributo di SPd’Arena alla Resistenza-PCGG.1997-p. 36.51.132  

-AA.VV.-SPd’A 35°   

-AA.VV.-Stradario del Comune di Genova, edizione 1953  -pag.109

-Gazzettino Sampierdarenese  :  9/95.9 + 07/03.5 +10/03.3

-Gimelli G.-Cronache militari della resistenza –Carige-1985-II-pag.391

-Il Secolo XIX del 04.12.01 pag 25 +

-Lamponi M.-  Sampierdarena- LibroPiù.2002-pag. 137

-Pastorino Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.Tolozzi.85-p. 282foto.1120 

-Poleggi E.&C-Atlante di Genova-Marsilio 1995-tav. 21


MAZZINI                                     Via  Mazzini

 

 

      Il 26 apr.1946 la Giunta Comunale decise l’ultimo cambiamento di titolazione della strada, dedicandola a Bruno Ghiglione.

   Non esiste più a Sampierdarena, una strada dedicata  al grande Maestro determinante della  unità e libertà nazionale; e proprio qui dove ebbe i proseliti più umili ma nel contempo più tenaci e caparbi: Genova fu la città natale, San Pier d’Arena con l’Universale,  fu la culla delle sue idee.

   La strada, gli fu dedicata, senza aggiungere il nome, agli inizi del secolo 1900 ,nel centro storico cittadino, tra via della Cella e piazza Modena.

   Nel 1901, l’impresa Barabino,Calvi,Rebora, vi pose la targa in marmo. In quegli anni il civ. 1, 2, era di eredi Raffetto e C ; 3a, di Merello Giuseppe ; 4, di ved. Parodi e sorelle; 4a di Nasturzio Silvestro ; 5, di Casanova Luigi e C .

   Dal Pagano 1902 si rilevano queste attività commerciali: civ. 1 negozio calzature di Aghina Francesco, presente sui Pagano fino al 1908;---e angolo v.della Cella farmacia Raffetto Angelo;--- 4 negozio calzature di Michelini Luigi;---4-1 ottonaio Casanova Giorgio, ancor attivo nel 1912;---5 s.lle Tubino con negozio di moda,  presente fino al 1925¨;---

   Nel Pagano 1908 (ancora nel 1911* e 1912°) si descrive esistervi queste imprese:  al 2-9 l’armaiolo Roncallo Attilio con telef 998;—al 12 negozio di frutta secca, agrumi  e verdure di Casale Davide e C, segnalato fino al 1925.

   Nel 1910  era “tra via Cella e piazza Teatro Modena” con civici neri fino al 10 ed al 5.

   Nel 1911-12 oltre quello già segnalato nel 1908: civ. 2 la levatrice Caorsi Carmela;- civ.4 la levatrice Boccardo Cater.;-  al 13r il fornaio  Galliano Antonio; l’ombrellaio Prini Francesco (egli nel 1925¨ è nell’angolo tra via VEman. e via della Cella).

   DeLandolina/1922 scrive che il mercato era intestato a lui.

  Nel Pagano 1925: al civ. 1 compare Morais Aldo con forniture industriali;-- all’1-3 la levatrice Castello Iole;--

  All’unificazione del 1926, ben nove centri si contesero il diritto del titolo che, ovviamente, rimase al primo   (Centro (la galleria ed il piazzale; ed ora in più il ‘vico alla casa di-‘),  Borzoli, Cornigliano, Nervi,Pegli, Rivarolo, SPd’Arena (di 3.a categoria), Sestri, Voltri).

   Ma nel 1933 ancora esisteva come tale, con civici neri fino al 12 ed al 5. Nel Pagano di quell’anno appare aprirsi sulla strada solo il negozio di tessuti dei f.lli Conte fu Lazzaro al civ. 10-2.

   Nell’agosto 1935 una delibera firmata dal podestà decideva chiamarla ‘via dei Triari’, in ottemperanza alla eliminazione dei doppioni nella Grande Genova.


DEDICATA al Giuseppe  Mazzini, ideologo e  fautore fondamentale della nostra unità nazionale, nato, a Genova il 22 giugno 1805 da Jacopo q.Giuseppe e da Drago Maria di Giacomo.

 Infatti, dai tempi della dominazione romana all’Unità,  l’Italia -seppur unita da un linguaggio comune- era suddivisa politicamente in tanti staterelli   che avevano favorito idee


 

usanze e necessità diverse, sempre però soggette a  servitù e sottomissione, a tanta confusione ed assai poca dignità.  

   Si abbisognava di una voce che risvegliasse la popolazione dal sopore (volutamente  ubriacata dagli equilibri necessari a tante potenze europee per conservare il proprio potere). Si ridestasse così il valore morale e spirituale della Patria unita, fornisse l’ideale per cui combattere,  ed a cui sacrificare volontariamente, non ultimo né  estremo, la vita stessa

   Col motto ‘Dio e Popolo’, la traccia sembrava precisa, ma in realtà era, specie dentro lui, grandemente contorta e di difficile spiegazione. Lui non era ateo, ma neppure cattolico (non apparteneva alla massoneria, ma neanche favoriva ‘i preti’ perché li sentiva contrari a lui ed a sua madre convinta giansenista). Quindi Dio non era un punto fermo, ma un messaggio indirizzato alla massa del popolo che sapeva religioso al punto che senza quello spirito non avrebbe potuto neanche iniziare; dovette assecondarsi accettando che potevano e dovevano convivere una religiosità individuale inserita nella religiosità dei regnanti (i quali ultimi intimamente sperava decadessero, per arrivare all’apice del desiderato:  la laicità dello stato repubblicano, ma che pur di raggiungere lo scopo unitario disprezzava essere intransigente).    Popolo. Non era come i politici di oggi che si riempiono la bocca con questa parola, ed appena al governo se ne dimenticano preferendo assecondare le necessità del partito. L’evoluzione dei primi infruttuosi e sanguinosi tentativi di insurrezione armata l’avevano avvertito che senza il consenso della popolazione l’unificazione non era concepibile; e non ci volle molto a capire altresì che purtroppo le prospettive migliori l’avevano i  Savoia, e non i ’trecento giovani e forti’, entusiasti ed ardenti, ma pochi senza il popolo.

  Altre parole fondamentali furono: Dovere, e Patria. Non occorre spiegare.

  I tempi divennero maturi con lui. La persona giusta nel momento giusto.

  Come in una orchestra, lui compositore delle note e direttore d’orchestra, eccolo a dirigere quattro suonatori autonomi ma finalmente convergenti: le nazioni europee indifferenti o “distratte”, comunque poco partecipi (il Papato che coinvolse i francesi; l’Austria contro; i Borboni contro ma prossimi ad essere travolti dall’evoluzione dei tempi e costumi; L’Inghilterra favorevole ma solo per equilibrare la Francia; la Francia favorevole sia per l’idea repubblicana, sia per contrastare i vicini oltremanica); l’esistenza di un primoattore spregiudicato, pratico e spericolato come Garibaldi; il Cavour che ambiziosamente era favorevole (dopo la Crimea, continuava a  lavorare sotto-sotto, con quella  sua caratteristica piemontese di “tenere i fili ma non farsi vedere; non  apparire direttamente  o comunque mai smodatamente tutto assieme ma solo  un po' alla volta”; infine il popolo che non tutto era pronto, ma la cui parte vivace, giovane ed attiva era anelante di agire.

   Sua assoluta fu la capacità di far convivere nell’ideale italiano, un dio con ideale laico, ed una repubblica con un regno: se l’ideologo era repubblicano, a  realizzare l’idea dell’unione sarebbe stato un re, che ovviamente avrebbe creato un regno e non una repubblica; problema non da poco perché se mal giocato poteva frustrare la semenza dei numerosi volontari, in genere repubblicani ma i cui tentativi isolati erano andati tutti a concludersi negativamente, incapaci di risvegliare il popolo dal torpore dell’abitudine; quindi, sempre sotto-sotto, doveva collaborare materialmente alla lotta fornendo aiuti a quei giovani che agli occhi del popolino erano piuttosto  dei “diavoli” , guidati da un “rivoluzionario e senza Dio”, però in pratica indispensabili perché  affiancati alle truppe regolari seppero essere  decisivi in  tutte le battaglie e nella annessione di tutti gli stati fino al sud (escluso la Repubblica Ligure che era stata annessa senza plebiscito).

   La nostra regione è sempre stata e più di ogni altra regione italiana, ininterrottamente per quasi mille anni, governata unicamente con una cultura  basata sul concetto repubblicano indipendente. E negli anni di vita del Mazzini, nella nostra città di San Pier d’Arena, fu la società Universale a  sottolineare con  incisiva presenza,  anche nel lungo periodo del regno sabaudo, l’essere qui il perno repubblicano. I cittadini sampierdarenesi furono sempre una spina nel fianco della polizia, regia e fascista; in tutte le manifestazioni popolari, è stata tra le prime a accorrere e partecipare laddove  si ventilava l’idea mazziniana della Patria una e della libera democrazia.

   Poco raccontata e giudicata marginale è stata la sua vita affettiva: più d’una sono emerse dalle lettere scritte, fra esse più legato sentimentalmente fu con Giuditta Sidoli (amore rivelato dal carteggio; lei nata nel 1814 da un barone napoletano, fu da giovanissima una figura anticonformista e rivoluzionaria: sposa 16enne con un carbonaro, ebbe 4 figli e rimase vedova nel 1828. Esiliata, esule si ritrovò sola, tra gli esuli a Marsiglia ove conobbe il 25enne Mazzini: non bella ma vivace, colta, solida di carattere e di fisico, anticattolica e calda di furore patrio, con forte concetto della virtù e del dovere ma anche espressiva e femminile;  tra loro nacque dapprima una intesa di comune idealità, fino a divenire amore ardente ed intimo ma –per i seguaci- purtroppo anche distraente dall’impegno politico), si separarono nel luglio 1833, quando Mazzini scrisse  “ho dato congedo a tutte le gioie, a tutti i conforti della vita, e per sempre...non mi è rimasto che il nudo dovere”.

   Nel 1838 fu tra i primi ad usare la parola ‘socialismo’, per indicare umanità, missione o progresso continuo.

   Morì a Pisa il 10 marzo 1872, per broncopolmonite, ospitato in casa di Pellegrino Rosselli in via della Maddalena col falso nome di Giorgio Brown.

   Le spoglie, vestite con tradizionali abiti neri, fu esposta a folto pubblico sino al giorno 13. Il 17, in treno e con immensa partecipazione popolare ad ogni stazione, furono trasferite a Genova e poste in una camera ardente. I leader nazionali repubblicani dopo scontri di pareri diversi anche all’interno del movimento, decisero (Bertani su tutti, non esistendo ancora l’inceneritore che verrà costruito nella prima decade del 1900 ) di imbalsamare la salma  (anche contro l’eventuale volontà del defunto o dei parenti; l’incarico fu affidato a Paolo Gorini, inventore di una tecnica diversa da quella classica egizia, chiamtata ‘di pietrificazione’ (l’autore preferiva la parola ‘legnificazione’, consistente nella sostituzione dei liquidi organici con sali minerali che si induriscono. L’operazione durò parecchi mesi, da primaver  sino all’autunno, vigilata da alcuni garibaldini tra i quali G.C.Abba e Bertani. Ma il suo operato, intervenuto forse un po’ troppo in ritardo, dopo lunga e laboriosa elaborazione, si concluse in modo imperfetto, incapace di garantire la conservazione perenne; cosicché fu impossibile lasciare esposta la salma in forma continua come era nelle intenzioni originarie. Una ricognizione della salma, effettuata il 19 giugno 1946, descrive il fallimento dell’esperimento di Gorini).  Fu esposta alla cittadinanza anche poche settimane dopo il referendum del 23 giugno 1946,  quando l’Italia –a tardivo ma solenne riconoscimento del valore delle sue idee-, scelse di essere una repubblica.

   La tomba, ubicata nel boschetto irregolare di Staglieno, fu inaugurata il 10 marzo 1874, nel secondo anniversario della morte. L’architetto Gaetano Vittorio Grassi, era allora uno conosciuto artista locale di ferma fede repubblicana e che per vivere faceva il correttore di bozze. Ideò allo scopo il severo mausoleo neoclassico con due colonne doriche che sorreggono un architrave recante in grosse lettere il nome Giuseppe Mazzini;  che però non poté completamente finire per motivi geologici (fortunatamente, a mio parere, perché secondo il progetto doveva essere coperta da enormi massi a sottolineare una ‘pesante monumentalità’ che sarebbe stata eccessiva).

   Il sarcofago è coperto dalle stesse bandiere che lo accompagnarono nell’ultimo viaggio da Pisa

   A San Pier d’Arena a lui è stato dedicato uno dei due edifici che fiancheggiano villa Scassi,  e che ospitano le scuole elementari. DeLandolina/1922 scrive che anche il Mercato, in quell’anno  era a lui intitolato.

   Essendo ancor oggi vitali le sue idee, la persona resta  immortale. Per l’esattezza, recenti pensatori giudicano tutte le risoluzioni da lui proposte irrimediabilmente superate in pratica (non più la concezione religiosa dell’impegno civile e politico; non più una critica ai diritti del singolo individuo; non la sacralità della patria né condanna del federalismo; non più il concetto che l’arte debba essere al servizio del bene). Ma dopo le svariate esperienze di oltre un secolo e mezzo, sia il concetto di famiglia (attraverso diversi e svariati sistemi di istituti di acculturamento); di patria (l’Europa), di economia (fallimento collettivismo ed incapacità del capitalismo ad equa distribuzione delle ricchezze); di individualità (oggi esasperata con la privacy, ma problema irrisolto quando sconfina con l’anarchia degli interessi e delle idee) mantengono – seppur cambiati nell’impostazione - validi i ‘titoli’ della sua filosofia. 

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica - scheda 2718      

-AA.VV.-Contributo di SPd’A alla Resistenza-PCGG.1997-pag.36

-Berengo G.G.-Nessi G.P.-Staglieno-Tormena.2002-pag. 121

-BuonoRaffo E.-personaggi genovesi nella storia-LionsClub2006-p.63

-DeLandolina GC.-Sampierdarena-Rinascenza.1922-pag. 47.48

-Genova, rivista del Comune-Il popolo con Mazzini 1872-1972-

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-Pagano/1908 –pag. 873-9---Pagano/1933 –pag.247.1690-7

-Pescio A.I nomi delle strade di Genova-Forni.1986-pag.224

-Repetto S.-pionieri della cremazione...-Microstori 2010-IV-pag.146

-Salucci A.-Amori mazziniani-Vallecchi.1928- pag. 9
MAZZINI                                         via Maria Mazzini

 

 

Alla madre di Giuseppe, al secolo Maria Giacinta Drago, andata moglie a 22 anni del prof. Giacomo Mazzini (da Chiavari, valente ed affermato medico; dal 1822 professore di anatomia e fisiologia dell’ateneo genovese; massone carbonaro ed indipendista),  San Pier d’Arena volle dedicare una delle due costruzioni scolastiche erette ai lati di villa Scassi; nel 1914 fu oggetto anche di proposta di una via: fu indicata la strada antistante il nuovo ospedale allora in avanzata fase di costruzione; la proposta non venne accettata ,  e fu optato per ‘corso Roma’ ( corso O.Scassi).

    Nata a Genova il 31.01.1774, seppur di agiata famiglia non ebbe una cultura scolastica profonda, come poi era uso per le donne a quei tempi. Ebbe un solo maschio Giuseppe ultimogenito (Pasolini dice terzogenito, e ‘vulgo Pippo’); e tre femmine:  Rosa (fattasi suora nelle Turchine, morì giovanissima), Antonietta (che visse, sposata, fino a 83 anni), Francesca (amatissima dal fratello, anch’essa pronta di ingegno, che però morì 29enne).

   Ovviamente l’affetto si concentrò sul maschio, precocemente sveglio d’ingegno, segno premonitore di un avvenire illimitato; ne assecondò servilmente gli ideali, non con tenera passione di madre ma con entusiasta ed ammirata fede. Lei era mèta di tutti i fedeli repubblicani, locali ed emigrati che cercavano rifugio e relazione in Liguria

   Tutta la famiglia Mazzini era di severa fede giansenista . Ambedue i genitori di Giuseppe , fin da giovani avevano coltivato assieme e trasmesso ai figli la fede nei loro grandi principi : repubblicani , massonici ed anche  che (sulla scia trionfale degli eserciti francesi portatori del messaggio di enormi mutamenti politico-religiosi-sociali) potesse sorgere un’Italia -se non una- ma almeno federativa e soprattutto libera  .   La signora Maria era l’elemento di forza della famiglia: e mentre poi nel tempo il marito, invecchiando annacquò i principi massonici e perdette gradatamente l’illusione giovanile, ella al contrario alimentò i propri ideali con tenace fermezza sia trasferendo nel figlio la possibilità di concretizzarli, sia mantenendo con lui costanti rapporti epistolari,  incentivandolo, spronandolo, fornendogli materiale e denaro

(anche se la fede ideata e  trasmessa da Giuseppe ,Dio e Popolo, era diversa dalla propria; ma -secondo lei- deviata per colpa delle persecuzioni poliziesche , del carcere e  dell’esilio). Usava i giovani preti giansenisti per copiare libri utili al figlio in esilio, e quando il figlio le scrisse disperato (specie nel 1836 si ritrovò solo e sull’orlo del baratro apertogli dai primi clamorosi insuccessi), lei gli rispose “sei il prediletto da Dio... Dio ti assiste, la mamma è al tuo fianco, la vittoria e l’avvenire ti arrideranno :lascia gracchiare gli scettici, i pusilli, che non potranno mai ostacolare il cammino degli eletti del Signore...”, dandogli la certezza che credeva in lui ciecamente.

   Rivide il figlio a Milano nel 1848, dopo 18 anni di esilio; ella si recò appositamente nella capitale lombarda, e vi rimase 20 giorni.

   Morì il 10 ago.1852, mentre nella tarda mattina rincasava dalla chiesa di san Filippo Neri; fu  colpita da una apoplessia fulminante mentre si apprestava a leggere una lettera di lui appena giunta : ebbe solo il tempo di esclamare “mê figgiu, mê figgiu!” .

   I funerali riuscirono solenni e commoventi, accompagnata da una folla immensa e commossa composta  da tutte le classi sociali anche di sacerdoti.

   Fu sepolta a Staglieno, nel boschetto irregolare, vicino al figlio ed ai martiri della ‘Giovine Italia’ fucilati nel 1833.

   Un suo busto – scolpito da Araldi Gian Battista- è stato posto nel 1956 nella piazza Corvetto, sotto al monumento del figlio.

 

DEDICATA

-Archivio Storico Comunale

-Genova , rivista municipale:   9/37.23   +   11/37.31  +  3/56.24

-Pasolini A.-Semmo da taera di Colombo-NEG.1990- pag. 19


MAZZUCCO                                     via Egidio Mazzucco

 

 

 

Dal 1936 (sostituendo via A.Saffi) al 1945, l’attuale via C.-Rolando era dedicata al martire fascista.

Vengono ricordati: ==sul lato di ponente --Salvemini; nell’angolo con via Scaniglia, il negozio di modista Castello; --nel palazzo a nord di vico Scanzi i negozi di Zino ottico, e di Porcile (ex Mazzucco, omonimo ma senza rapporto col ‘titolare’ della strada) mobili; --superata via Stennio,  trasversale ed inclinata di 45° (quale oggi è l’entrata nel deposito AMT), era una palazzina a due piani con – a piano terra - una latteria.

le corone in onore del martire,  sulla facciata della villa

 

==sul lato a levante invece, a seguire: iniziava con un tabacchino, a cui seguiva il bar Rigoletto U. (vero e primiero bar, quando gli altri locali erano prevalentemente osterie); la rosticceria Veronese (prima il padre, poi – dopo la guerra - la figlia Anna); la cartoleria Berardi;  via Dattilo ove morirono tre fascisti in scontri con i ‘rossi’; dopo via Anzani il negozio di stoffe Palli, l’osteria Lignana e d’angolo con via Rota una fioraia; dopo via C.Rota il giardino (dove poi quando vi costruirono il palazzo andò Morassuti) della villa Grimaldi  poi distrutta dall’imprenditore Capello (con tre figli dei quali Adriano, fu partigiano e deceduto poi per k, e Mario).

Il Pagano/40  elenca nei civv. neri: 9 pt fiorista Calabrese; 9/1il dr.Colajacomo V.; 10 Carcere Mandamentale; 12 bagni municipali; 14 pp scuola profess. Princ.Jolanda+scuole elem. gener.Cantore; 15 istit. don Bosco+libreria salesiana+chiesa Decollaz s.Giov.Batt e san Gaetano; 15 oratorio opera don Bosco. Nei civv. rossi dispari 1r latteria, 5r tabacchi Corazza r., 7r tessuti, 9r bar, 13r bottigl., 17r Berardi cartol., 19 tessuti, 21a frutta secca, 23 orefice, 23a parrucch.,  25 acciai e fornit.industr., 27 mobili Mazzucco, 27a commestib., 29 artioc.casal; 33 Lignana bottigl; 35a vini; 41 Coop.di Produz, stabilim.mecc., 43 osteria, 45 ricami, 47 fotografo, 53 commest., 55r borse, 57 salum., 63 trattoria Chiabrera, 65r mobili, 67r latteria, 69r cappelleria, 73r Graglia G. bar pasticc., 75r Armanino commest., 77r stirator., 79 macell., 81 cartoleria Celoria, 85 panif. Solia, 87r fruttiv.,95 oref., 99r bar drogheria, 101r elettric., 103r parrucchiere, 105r fruttiv., 107r panif., 111r Vernazza A. calzat., 115r giornali, 117 polliv., 119 bottigl. Rossi pari:  2r Castello mode, 6r pasticc., 8r macell., 10r bottigl., 12r Villasco maglie, 14 latteria, 16r Zino ottica, 18 drogheria, 20 mobili Porcile, 24r macell., 26r salum., 28 calzol., 30 mobili, 34 parrucch., 36r bottigl., 46r canc, scultore Bacigalupo P.+Valdevit marmi, 50r tessuti, 52 calzatur., 54 farmacia sGaetano, 56b tabacc., 56c ombrelli, 56d profum., 58 salum., 60 drogheria, 64r mercer., 55r calzol,. 68r bottigl.,70 parrucch., 72 calzaturif., 74 frutta, 76 friggit., 78 calzat, 80 caffè bottigl.,82 tornitore legno, 88 sartoria, 90 uova, 92 feruttiv., 96 macell., 98r mercer., 100r pizzicagnolo, 108 calzat., 110r commestib., 114 parrucc.per signora, 116 cereali, 118 mode, 120 mercer., 122 mobili, 124 fruttiv., 126 bottigl., 128 drogh Tamburelli, 130 parrucch., 134 macchin., 138 bar, 146 sala toeletta, 150 mercerie, 152 profum., 154 pesciv. 156 saponi, 162 bottigl., 164 carbone, 168 bottigl., 170 macell., 172 salum., 176 latteria, 178 parrucch.  

Fu durante la sua titolazione che in una incursione aerea una bomba distrusse la chiesa di san Gaetano.

 

 

 

DEDICATA: A voce ci è stato riferito, e confermato dalle risultanze cartacee che  negli anni 1920 nel palazzo d’angolo tra via A.Saffi (via C.Rolando) e via san G.Bosco (la ex villa di Gio Giacomo Grimaldi (vedi Vinzoni), esisteva una cooperativa di ferrovieri, sita al primo piano, e sostanzialmente punto di riferimento politico  avverso al regime. Per i fascisti  era frequentata da quella “gramigna socialista” contro cui vari ed altrettanto vani erano stati i tentativi di farla smobilitare e  chiudere, schedando anche i partecipanti.

Era un’epoca in cui gli scontri tra “i rossi” e gli squadristi dalle camicie nere, erano quotidiani e comuni in tutta la nazione; violenza che generava reazione violenta, in una spirale  impossibile ad arrestare considerate le idee estremiste delle due fazioni, e quindi voluta e ricercata.

Nell’anno 1922 la proclamazione di uno sciopero nazionale, rappresentò una prova di forza tra esse: chi si sarebbe dimostrato debole e perdente avrebbe avuto poche possibilità di sopravvivenza. Così i neri chiamarono a raccolta squadristi da tutta la Liguria, dal Piemonte, Lombardia ed Emilia; e Genova, fu posta per sette giorni in stato di assedio, con barricate, scontri, agguati, feriti e morti; si concluse con la vittoria delle camicie nere ed il loro ricupero della grande bandiera rossa che aveva sventolato dal pennone del municipio il 3 dicembre 1919 e che era tenuta custodita dai funzionari a loro consegnata quando il partito socialmassimalista era al  potere.  

Per contrastare lo sciopero rosso, dal Monferrato era sceso Egidio Mazzucco col battaglione casalese delle Camicie Nere (per ordine dato dal quadrunviro Michele Bianchi al fine di “stroncare lo sciopero generale che ‘il sovversivismo rosso’ aveva proclamato come sfida all’ordine ed alla legalità”). A Sampierdarena fin dal giorno prima, il ventunenne (altrove si scrive ventiduenne) partecipò il 2 agosto (altrove viene scritto luglio; per altri il 5) 1922 a questa ennesima sfida: assieme ad altri camerati locali facenti parte di una squadra d’azione comandata da Amedeo Buttafava, nella tarda sera (ore 22) entrarono alla carica ed in forze  dentro la cooperativa dei ferrovieri; successe lo scontro voluto ma che fu complicato da spari di pistola: il Mazzucco, colpito, perse così la vita durante il trasporto all’ospedale.    

Essendo originario di Ticineto Po (AL) circondario di Casale Monferrato, là fu riportato per la  sepoltura. 

L’avvenimento ebbe larga ripercussione nazionale. In una lettera-scontro del 3 ott. 1923, tra due giornalisti fascisti (il comm. Massimo Rocca e il dott. Lantini Ferruccio),  il primo accusò pubblicamente il secondo di essere un pusillanime, satrapo ed ignorante per non essere stato presente e attivo nello “spazzare il terreno dalla gramigna socialista”; e  per essere stato invece a “... coltivare meglio il proprio albero elettorale. Nel giorno del tuo discorso, egregio Lantini, io portavo in umile silenzio un fiore sulla tomba di Egidio Mazzucco a Casale!”. Il diverbio si concluse in una rappacificazione, dopo un duello alla spada, in cui l’accusatore rimase ferito ad una spalla).

Decisero  un marmo da apporre nella ‘casa Littoria’: “ a monito – a noi ! --  il XXIV marzo MCMXIX - mentre la follia rossa – corrompeva il lavoro – stroncava la forza – pochi operai – ribelli ai falsi tribuni – in questa casa del popolo – diventarono fascio – che secondo per nascita – indiavolato e ardente – primeggia consacrato – dal sangue eroico – di Egidio Mazzucco – XXIV marzo MCMXXIV”.    

Viene ricordato che i fascisti locali ritennero opportuno onorarne la memoria anche ponendo una targa affissa sul muro della ex casa dei ferrovieri, nel luogo della morte (un rettangolo di foglie di rovere sovrastava la targa che aveva a sinistra il fascio e -nel centro rimasto- la scritta “ qui rivive – come nei nostri cuori – l’anima di – EGIDIO MAZZUCCO – vilmente spezzata – dai nemici della Patria – 2 agosto 1922 – la squadra indiavolata”; e percotendo i passanti che passandovi davanti per distrazione o ignoranza, non si fossero levati il cappello  (per combinazione, nel 1923  si faceva pubblicità il mobilificio “premiata fabbrica mobili artistici e comuni”  di un omonimo Mazzucco Camillo posto al civ.11-13 di via A.Saffi).


                     

La lapide, con corona di alloro, sulla                               E. Mazzucco

 facciata della villa in angolo con via

san Giovanni Bosco


1) Decisero anche di dedicare al loro martire una strada scelta nella zona di via E. DeAmicis (via Balbi Piovera)in fase di costruzioni: cambiarono il nome a via G.Jaurès (oggi via G.Pittaluga; allora limitata da via Damiano Chiesa e da via G.Balbi Piovera). E così infatti lo cita il Novella, pag. 17: “ via E.Mazzucco, da via E.DeAmicis; già G.Jaurès”. 

Nell’elenco del 1927 delle vie del nuovo comune relativo alla Grande Genova, SP’Arena appare l’unica a fornire questa dedica ad una strada di 5a categoria, e quindi fu lasciata  alla delegazione. Così era ancora nel 1933, sempre di 5.a categoria, ma erroneamente  limitativa “da via E.DeAmicis a via Imperiale”; e tale rimase fino al 19 ago 1935 quando il Podestà deliberò per questa strada il cambio con lo scultore Pittaluga.

2) Il municipio decise infine di dedicare al ‘puro eroe della rivoluzione delle Camicie Nere’ la via ove era stato ucciso, per cui la titolazione vi venne trasferita nel 1936 cancellando via A.Saffi (via C.Rolando) perché divenuta doppione con quella omonima genovese.

La targa descriveva: Via / Egidio Mazzucco / martire fascista / 1922 / già via A.Saffi/

Tale rimase fino al 19 luglio 1945 quando il nome di questa strada venne dalla Giunta sostituito col partigiano Luigi Andrea Martinetti e poi definitivamente, il 14 marzo 1946 con Carlo Rolando.

Quando i gerarchi del Fascio, nel 1929, decisero di potenziare i “gruppi sportivi rionali”  sperando trovare adesione di massimo livello tra i giovani , a Bolzaneto intestarono la sede ad Egidio Mazzucco .

Nella stessa zona, in tempi posteriori ma sempre ricchi di acrimonia e violenza, i GAP cittadini -il 1 lug.1944- colpirono a morte un brigadiere (di nome Baffico) ed un milite ( Bruzzone), della GNR fascista.

Fu negli anni di questa titolazione, che nei bombardamenti perdemmo lza chiesa di san Gaetano, l’Oratorio di san Martino e numerose case di abitazione.

 

                                                                                                                portafoto dell’ottica Zino

       

 

BIBLIOGRAFIA

-Anonimo-Dattiloscritto storia chiesa di s.Gaetano-pag..377

-Archivio Storico Comunale - Toponomastica schede 2721 e 2722

-AA.VV.-Contributo di SPdA alla Resistenza-PCGG 1997-pag.52

-AA.VV.-1886-1996 Oltre un secolo di Liguria-SecoloXIX 1996-pag.235

-AA.VV.-stradario del Comune di Genova 1953-pag..109

-Cereseto E-La Casa Littoria del Fascio 2genito-Reale.1933-

-Gazzettino Sampierdarenese   7/92.9

-Genova-rivista municipale- Gennaio 1937-pag.27

-Lamponi M.-Genova in bicicletta-Valenti 1977-pag.138

-Lamponi M-Il fascismo in Valpolcevera-Edizioni M.1999- pg.9.18+19foto.33

-Novella P.-Storia di Genova-Manoscritto 1930-pag..17  (lo chiama Mazucco)

-Pagano/1933-pag..247- /40-pag.335


MELEN                                                  via Enrico Melen

 

Attualmente è una strada di Cornigliano .

Ma, prima, con delibera della Giunta del 14 nov.1946 il nome ‘via E.Melen’ era stato assegnato nella nostra delegazione a sostituire il tratto finale -a monte- di ‘via Giovanni Ansaldo’ (in contemporanea, anche questo nome venne trasferito a Cornigliano).

Ciò avvenne perché lo stabilimento Ansaldo aveva inglobato  e rinchiuso nei suoi muri perimetrali i tre quarti a mare della strada (che iniziava da via Pacinotti),  facendo praticamente scomparire la antica via,  e lasciando fuori solo l’ultimo tratto collegato con via R.Pieragostini.

Questo tratto di strada venne utilizzato solo quale accesso alla portineria dello stabilimento (quindi strada ‘chiusa’, di terza categoria).

Con decreto del Consiglio Comunale del 24 lug.1963, la denominazione venne definitivamente soppressa, lasciando quel  tratto di strada anonimo (scendeva da poco prima del ponte - da via Pieragostini - verso  una portineria dell’Ansaldo). E così rimase fino al totale sovvertimento della zona effettuato nel 2001.

DEDICATA al sottufficiale genovese del nucleo Campi Minati, che morì il 29 ago.45 mentre stava disinnescando una delle tante mine messe dai tedeschi nella  minacciosa prevenzione di distruggere la città ed il porto. Prima di concedere la resa, i tedeschi avevano cercato di rendere inutilizzabile il porto agli avversari facendo brillare una mina sulla diga antistante l’idroscalo, aprendo così una falla della larghezza di 86m.; e praticando ogni 20m. un fornello, atto a riceverne altre (286 mine in tutto, che per fortuna non furono fatte brillare); nonché seminando il porto con 139 mine magnetiche ed acustiche di fondo (73 dentro il bacino, nascoste tra i relitti di 338 navi affondate, le altre alle entrate). La rimozione degli ordigni immersi e nascosti nel fango, fu iniziata dalla “Royal Navy”, a cui causò la perdita di 25 soldati inglesi- ai primi undici di essi, fu dedicata una lapide a ricordo, affissa alla testata del Ponte Etiopia- e 4 italiani; proseguita poi dalla Marina Italiana che in tre mesi completò il disinnesco degli ordigni micidiali; ma solo nel 1949, almeno dentro il porto, si ebbe la pressoché certezza della bonifica.

BIBLIOGRAFIA.                                  

-Archivio Storico Comunale - Toponomastica – scheda 2730

-Autore non conosciuto-Guida del porto di Genova-Pagano 1954-pag.55

-AA.VV.-Contributo di SPdA alla Resistenza-PCGG 1997-pag.119

-AA.VV.-Stradario del Comune di Genova 1953-pag.111

-Pagano/1961-pag..443  + .quadro78  

-Pastorino&Vigliero-Dizion.strade di Genova-Tolozzi 1985-pag.1162


MENAGIATI                                                Via  Menagiati

 

Non è un nome ufficiale comunale; viene ritrovato nell’elenco delle vie ancora anonime o con un nome popolare convenzionale, al fine che la Giunta Comunale decidesse per un  nome definitivo   ed ufficiale.

É lo stesso Armirotti che spiega aver dato questo nome nel 1875 alla prima “società cooperativa per costruzione di case pei meno agiati” . Riferisce che «il titolo della Società non piaceva molto e si aspettava una occasione buona per cambiarlo».

Evidentemente il nome rimase se nel dic.1900, il regio Commissario chiese se fissare il nome di “via Meno Agiati” per una via -fino allora anonima-, dipartente da via sant’Antonio ( via N.Daste) .

Anche il Novella la chiama “Menogiati”, chiarisce che  è il nome dato prima della titolazione a Giuseppe Masnata.

Trattasi quindi  del vicoletto chiuso, oggi  ridotto a meno della metà per il taglio di via Cantore e per la sottrazione del pezzettino più a mare, che è considerato parte della stessa  via A.Cantore, col civico 31A; finisce con l’entrata ai box costruiti sotto villa Ronco.

In una piantina che accompagna dei progetti della stessa epoca, ritroviamo “case Menoagiati”, prima ed al posto del nome di Valentino Armirotti dove sappiamo che la cooperativa eresse il secondo gruppo di case popolari.

La prospettiva più logica appare che il termine si riferisca genericamente a strade delimitate da case popolari, e quindi costruite per i meno abbienti senza terrazzi né sovrastrutture o decorazioni; e che l’impiegato comunale addetto a ricopiare a mano i vari nomi, abbia interpretato la calligrafia del Commissario come fosse un nome proprio.

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-AA.VV.-Tra solidarietà e impresa-PrimaCoopGrafGen.1993-pag.108

-Novella P.-Strada di Genova-manoscritto bibl.Berio.1930-pag.17

 


MENTANA                                                 vico Mentana

 

 

Corrisponde all’attuale “vico della Catena” .

Nell’anno 1901 , una impresa privata ( Barabino-Calvi-Rebora), appose per ordinanza comunale, le targhe in marmo di molte strade cittadine: tra esse “vico Mentana” fu dato al tratto, che già chiamavasi “vico della Catena” e che era posto da “via Vittorio Emanuele a piazza XX Settembre”.

In quegli anni esistevano 2 civici: all’ 1 era casa Ratto; il 2 proprietà dell’Ospedale di Pammatone.

Nel 1904 l’incendio dell’azienda Frugone e Preve, brilleria di riso (vicino c’era il palazzo del riso), mette in serio pericolo anche le abitazioni vicine.Sempre gravi le ripercussioni anche sul lavoro di chi vi era adibito.

Tale era ancora nel 1910 con 2 civici neri pari ed uno dispari; nel 1927 (classificata di 4a categoria); e nel 1933 (quando uno dei due estremi nel frattempo aveva cambiato nome in piazza Vittorio Veneto; più tardi anche l’altra piazza divenne “del Monastero”).

Il Pagano 1912 segnala nel vico al civ. 8r: Orsi Angelo¨, elettricista (ivi attivo ancora nel 1925).

Essendo questa titolazione presente anche a Sestri, Pegli ed in Centro, con delibera del Podestà del 19 agosto 1935 vennero soppresse tutte le  titolazioni alla località romana escluso quelle del Centro; ed a SPd’Arena restituito il vecchio nome.

 

DEDICATA al comune in provincia di Roma dove avvenne uno scontro tra le truppe volontarie di Garibaldi -in marcia verso Roma-, e le truppe pontificie comandate dal generale Kanzler, appoggiate da una brigata francese. 

Mancava Roma per avere l’Italia unita, dopo la terza guerra di indipendenza. Ma Pio IX si mostrò intransigente, pubblicando un sillabo nel 1864 indicante gli ottanta ‘errori del secolo’, tra i quali il comunismo, il liberalismno moderno e l’avere  dubbi sul diritto alla sua sovranità temporale. Anche la Francia non gradiva, ed inviò delle truppe; e neppure il ministro Rattazzi poteva, se non tergiversare.

Restava solo l’iniziativa popolare, un colpo di forza dovuto a insurrezione spontanea. Garibaldi raccolse la sfida e si mosse. L’immediata protesta francese e dissociazione del governo italiano, fecero arrestare Garibaldi, che fu portato a Caprera. Malgrado essere sottoposto ad apparente stretta sorveglianza, il generale fuggì (19 oo.) e si unì alle truppe di volontari mentre i fratelli Cairoli tentarono autonomamente di entrare in città, ma furono sconfitti a villa Glori.

Truppe pontificie e francesi (meglio organizzati, e dotati di una nuova carabina a retrocarica  detta “chassepots” che determinò la differenza), andaroro contro le poche migliaia di garibaldini, ed a Mentana li sconfissero -3 novemre 1867- costringendoli ripassare il confine pontificio (vedi anche Nino Bixio).

Garibaldi fu riarrestato e ricondotto –dopo il forte di Varignano- a Caprera con l’ordine di non organizzare ulteriori attacchi; le sue truppe vennero sciolte. L’insuccesso chiuse per il momento ogni speranza di un sogno improbabile da ottenere con quelle modalità. Infatti, il governo piemontese ebbe vantaggio a chiudere l’episodio quale evento di scarsa importanza militare.

Ma, rimasero i forti accenti politici, soprattutto nelle relazioni  con la Francia e con il Papa. La polemica internazionale fu per alcuni anni fonte di ostacolo alla stipulazione di alleanza con la Francia, finché tre anni dopo  Napoleone III si trovò isolato sul fronte prussiano e dovette cedere a riaprire le trattative .

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastia - scheda 2742

-AA.VV.-La storia-L’unità d’Italia-UTET.2004-vol.11-pag.319

-DeLandolina GC.– Sampierdarena -Rinascenza .1922-pag.48

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzogno

-Favretto G.-Sampierdarena 1864-1914 mutualismo e...-Ames.2005-p.169

-Novella P.-Strade di Ge.-Manoscritto bibl.Berio.1900-pag.18  


MERCATO                                                via  Mercato

 

 

Il quartiere: il nome storicamente nacque per primo per definire la zona ove avveniva il mercato paesano e dove già dal medioevo si riuniva all’aperto  il consiglio direttivo del borgo di San Pier d’Arena. Da esso, il motivo -nel tempo- di chiamare in modo eguale anche il tratto di strada.

 Nel 1800  a partire dalla Lanterna verso ponente, si succedevano i quartieri della Coscia,  di crosa Larga (via Palazzo della Fortezza), la zona (o regione) Borraghero ( via Gioberti), il quartiere del Comune seguito da quello Mercato;  da qui si  proseguiva per la zona di sanMartino (via Rolando), o la zona del Canto, seguita dal Ponte con Fiumara.

      Una lettera del 4 nov.1576 indirizzata al Magistrato di Sanità, segnala che “in questo ponto, a ore 22 circa è mancata Catterina moglie de Tomaxio da Loretto al mercato di San Piè de Arena essendoli venuto accidente de core, et ha gittato gran copia di sangue della bocha, di maniera che ha domandato agiuto, et ivi è restata dal detto sangue soprapresa, in maniera che ha fatto fine di sua vita”. Il medico dichiarante, era obbligato a segnalare tutte le forme di tipo epidemico e di contagio, onde permettere al Magistrato di emettere i provvedimenti (le famose “grida”)  per arginare l’arrivo delle temutissime peste, colera, ma anche della lebbra, e -come nel caso su descritto- presumibile della tubercolosi.

    Un attestato datato 21 gennaio 1662 relaziona di una stipula di locazione firmata a Rivarolo inferiore: nel portico della sala di Gio.Francesco Celle in san Biagio: PietroPaolo Gazzale (in qualità di fideicommissario dei figli minori del defunto Carlo Gazzale) loca a GioBatta Risso (qm Tommaso) una casa con bottega in San Pier d’Arena nelle vicinanze del mercato, per un  anno dal giorno della consegna delle chiavi e per l’annua pensione di lire 125.

  Il quartiere, dalla strada a mare a Belvedere, era racchiuso tra la crosa della Cella-corso dei Colli a levante, e crosa dei Buoi-vico dei Disperati a ponente, e comprendeva le case dei Samengo (presso il vicolo omonimo), la villa Serra ora istituto don Daste, la villa Carpaneto di piazza Montano; la villa Pallavicini  e la villa Centurione detta del Monastero  sulla strada a mare.  Nel  1847, la soc. Strade Ferrate provvide ad occupare i terreni per il passaggio ‘in economia’ del tronco ferroviario: nella ‘regione’ del Mercato vennero espropriati terreni adibiti ad orto: 1248 mq al principe GioBatta Centurione del fu Giulio, la cui proprietà, costeggiando la strada della Cella arrivava da essa sino alla proprietà Traverso; e 2466 mq alla proprietà di GioBatta Traverso e fratelli del fu Angelo, che dall’orto Centurione arrivava sino alla crosa  dei Buoi.

   La via: un poco controversa è l’esatta collocazione del tratto stradale corrispondente a questa denominazione, avendo subito nel tempo alcune modifiche di lunghezza. Ma dalle carte e dalla casa messa come confine, si evince che la “via Mercato” verso ovest  finiva non all’altezza di via GB Monti ma cinquanta metri oltre, fino all’angolo con via C.Dattilo, dopo il quale incrocio iniziava via A.Saffi.

   Il primo documento risale all’ott. 1758, quando un proclama comunale ingiunse ai 47 proprietari - di case adiacenti alla strada - di concorrere alla spesa di lastricamento della stessa  ( in concomitanza, la “comunità del borgo” provvedeva per la strada a mare : è ovvio che sino ad allora le strade principali erano in terra battuta, con tutte le immaginabili conseguenze della  qualità del  piano percorribile: della polvere, e del fango  quando pioveva ) .  

Sul Gazzettino, Tuvo trascrive che il 5 giugno 1819  venne indetto l’appalto “pel riattamento della strada interna di San Pier d’Arena, detta strada del Mercato…, …che inizia alla testa della Nuova Strada Reale alla Coscia-Marina, e va a terminare a San Martino colla congiunzione alla gran  strada, una volta chiamata ‘strada Cambiaggio’. (la frase è scorretta perché, se  va bene per la ‘strada Superiore’ (che andava da largo Lanterna a san Martino),  non vale per ‘Mercato’ che ne era solo una parte. Però lo scritto inizia con le virgolette di una trascrizione che non saranno più chiuse; cosicché non si capisce se  è errata la descrizione del trascrittore o dell’appaltatore).

   Nella stessa mappatura delle Ferrovie -già su descritta, del 1847-, sulla via prospettavano dalla parte a mare e da via della Cella-, nell’angolo la proprietà Samengo, seguita a ponente da quella del principe Centurione (sul suo terreno fu eretta la ‘casa della Provvidenza’ di via Carzino);ed a sua volta da quella di un sig. Traverso che aveva a settentrione della strada la proprietà di Ademaro Mari (ovvero la villa che oggi è  dell’istituto don Daste). 

Remedi segnala che nella via erano stati collocati negli anni 1860  sia la Soc. di MS Unione Fraterna  e sia il Gabinetto di Lettura; ed ambedue nel ‘palazzo Gandolfo’ il quale forse è dei Gandolfo dei quali poi il sindaco Peone, e poi nel 1900, della scuole Tecniche, quindi il civ. 11.

    In un registro comunale ove vennero segnati i decessi da Colera nel 1867, si precisa che in via Mercato era deceduta in casa una sola persona (dei 68 morti, su 107 denunciati).

Una planimetria (vedi allegata) del 22 giu 1899 stilata dal prof Ratto Giuseppe mostra, da destra, primo il terreno di “M.se Admaro ora M.se Serra”, poi  l’Oratorio della Morte, seguito dal piazzale (oggi via V.Alfieri) e dalle scuole municipali; attaccate a questo palazzo seguono 4 case (con terreni a monte di proprietà Palau); di esse il primo è un caseggiato (con i civv. 17 e 19, sotto il quale inizia un viale -che corrisponde all’inizio di via GBMonti- e che probabilmente era occupato dalle persone segnate a lato: Parodi Luigi; Giuseppe Gambaro, Cosso Angelo, Cosso Luigi, Ferrando GioBatta Notaro). Procedendo verso ovest, attaccata alla ultima casa suddetta sono descritti altri tre caseggiati  rispettivamente di “eredi Rapallo”, “Filippi Santo”; “Ferrando Mª” la quale fa angolo con la “crosa vicinale de’ Disperati”che separa dalla proprietà Rebora Cristofaro.  

   Pochi anni prima dell’anno 1900, i civici erano di proprietà: civ. 1, casa del marchese Ademaro (ovvero la villa Doria-Mari-Serra, oggi don Daste); civ. 1a e 2, casa eredi Samengo (che era all’incrocio con via della Cella);(3 e 4 sono non scritte); 5 Parodi-Gambaro e C ; 6  Morasso Salvatore ;  7 Oratorio dei Morti (custode) ; 8 Barabino ; 9 Municipio (una casa del valore stimato 1891= L.12mila; 1908= L.10mila); 10, 11 Municipio con scuole Tecniche ( casa stimata: nel 1891 del valore di L.100mila, nel 1908 di L.250mila); 12 eredi Dellepiane ; 13 ospedale civile già Tubino Scaniglia; dal 14 al 14 f  e 16, 16b fratelli Dellepiane; 16a Municipio; da 16c sino a 16 h, e 17, 19: Palau (probabilmente il costruttore delle prime case di via GBMonti in basso; 18 Molfini Chiara ; 20, 21 eredi Rappalino ; 22a Filippini Santa ; 24 eredi Ferrando.

 

l’ingresso della villa Doria-Mari – con la Banda del Risorgimento Musicale

 

   Da questo elenco, si deduce – sia che, contrariamente all’ultima targa apposta dal Comune per via Daste, angolo via Carzino - che in quegli anni la strada era limitata al tratto che, dall’altezza dell’incrocio con via della Cella arrivava sino a via N.Bixio (o meglio alla via san Cristoforo messa dietro la villa,ovvero fino all’ inizio di via C.Rolando; quando, non esistendo via A.Cantore, l’antica strada ‘centrale,o superiore’ non era troncata all’altezza attuale di via Carzino); ed era la continuazione verso ponente di via sant’Antonio.

E sia che al civico 8 il nome Barabino si riferiva alla società di ginnastica N.Barabino, con il settore tamburello (il Dizionario dei Varazzini cita un certo Bagnasco Attilio, che nacque a San Pier d’Arena il 12.4.1882,  da GB e Maria Carattini, ultimo di sette fratelli; diplomato costruttore navale di prima classe, fu “attivo ginnasta della società NBarabino,  e che vinse –nel 1907, a Venezia – il campionato italiano di tamburello; a 17 anni si trasferì a Varazze fondando poi un cantiere navale e dove morì il 21.1.43) ed il circolo ciclistico seguente.

costruzione – forse portineria -  della villa Doria,  adibita a palestra della soc. di Ginn. N.Barabino

 

Nel 1904 il Circolo ciclistico N. Barabino, preso possesso di quella che doveva essere la casa dei guardiani della soprastante villa, curò di erigere  una pista ciclabile in legno, con doppia curva rialzata, battezzata velodromo ed inaugurata l’8 maggio per ospitare le gare di campionato (in precedenza si erano ottenuti lusinghieri successi da due similari, costruite dapprima poco distante da dove è ora piazza Palmetta (nel 1890) e poi dove oggi i giardini Pavanello: ma quest’ultima era ad una sola curva rialzata. L’uso della bicicletta esplose verso il 1890 soppiantando l’uso del biciclo dalla ruota anteriore enorme fino a 2 metri di diametro. E dapprima spinto a piedi). La pista lunga 250 m. e girava lievemente inclinata, con i requisiti necessari per gare su pista anche dietro motori. Corrispondeva all’area distale del maestoso giardino di villa Serra-DonDaste ora coperta dai palazzi civv.47-46-42-41 per formare un anello ovale (come poi erano già i giardini della villa; la pista era all’interno dei due viali che dalla strada facevanomaccesso alla villa), girando da via Alfieri alla via della Cella ed al corso dei Colli (Martinetti); di fronte all’attuale v.U.Rela, via G.Mameli (oggi A.Carzino) e v.della Cella. Era per gare ciclistiche e motociclistiche, con un richiamo di atleti da tutta Italia e dall’estero, qualcuno già professionista, con raduni regionali e nazionali (Lamponi ricorda una ‘troupe acrobatique fréres Germain’ che nelle sue esibizioni -compreso un ‘giro della morte’- mandò in visibilio gli spettatori locali). Nel 1906, gli iscritti alla società ciclistica raggiungevano le cinquecento unità, tutti presenti quando nel 1905 si inaugurò il monumento a Garibaldi in piazza XX Settembre (p.za del Monastero) pagato in parte con gli introiti delle manifestazioni sportive; e tra essi maturò anche qualche campioncino locale (come Sobrero, Merlo, Sacchi, Repetto, Tosca ed i tre Roncagliolo, Cesare fra tutti); mentre assai frequente era la partecipazione -anche solo per allenamento- dei campioni regionali Cuniolo (da Tortona) e Bixio (che nel 1904 a Milano vinse il titolo italiano sprinters professionisti), essendo l’unica pista in Genova (a parte quella  in terra battuta in piazza di Francia (p.za della Vittoria)).

Vengono narrati raduni anche nazionali, con sfide e scommesse (una cena, solitamente).

 

 

la pista del 1905

Rimase installato fino al 1907 quando le esigenze urbane ne decretarono la demolizione, nel periodo in cui iniziavano a vedere la luce le grandi corse in linea su strada, e con esse la fortuna dello sport divenuto secondo di interesse nazionale.

    a sin. il civ.46 di v.Cantore

Dopo la pista. La casetta  divenne sede del Cinema Centrale, poi divenuto magazzino di legnami ed infine officina carpenteria di un certo Podestà detto ‘o Segnô’.

      Nell’anno 1900, questo tratto di strada, chiamato “via (del) Mercato”, - ripetiamo: che dall’incrocio con via della Cella arrivava fino a quello con via N.Bixio (questa  proveniva da piazza V.Veneto tramite sottopasso ferroviario )- venne sostituito col nome di  via N.Daste in onore al sacerdote, deceduto l’anno prima ( questa strada poi, nel 1935 circa,  verrà “mozzata” a ponente con l’apertura di via A.Cantore, ma –col nuovo nome di via N.Daste- verrà anche allungata a levante con l’assorbimento e sostituzione di “via sant’Antonio” e di “via generale A.Cantore”) .

   Nel Pagano 1902 sono citati: al civ.1A negozio di stoviglie di Cipollina Francesco (non c’è più nel 1919);ed il tappezziere Canepa Gaetano;------12 negozio dei f.lli Morasso, ancora presente nel 1912, di carbone di legna (distinto dal carbone minerale);---14 cartolaio Lavagetto Maria (fino al 1912);---21-1 agenzia di pubblicità di Lanzini Giovanni(nel 1912 trasferita in via C.Colombo);---24 impresa trasporti di Carpaneto Francesco, presente fino al 1925;---   

   Nel Pagano 1908-11- 12-25 compaiono quelli segnati¨.

 Di questa tratto stradale, la parte più a ponente è praticamente scomparsa con l’apertura di via A.Cantore: occorre quindi ricostruirla con l’ immaginazione: proseguire via N.Daste a partire dall’incrocio con via Carzino, passare davanti al portone 46  di via A.Cantore (ivi esistente già dal 1901, prima quindi della grossa arteria (1935) e apparentemente sottolivellato -ma in realtà è il vero piano dell’antica strada, considerato che è via A.Cantore ad essere sopralivellata-), e da lì mirando l’inizio di via C.Rolando,“vedere” una stradina larga come ora via NDaste, con a destra dapprima il cancello di ingresso della villa Boccardo (?), poi quello della villa Doria (ove era ospitata la soc. N.Barabino: nel 1898 inaugurò con cerimonia solenne al teatro Modena, il vessillo sociale offerto dalla famiglia del Maestro), indi la chiesa oratorio ‘Morte ed Orazione’ del prete Giordano, e poi le casupole, non esistendo neanche via GB.Monti;  ed a sinistra -a mare-, delle casupole -oggi travolte dalla via Cantore- con stalle e negozietti, seguite dall’ incrocio con via N.Bixio (ex ‘crosa dei buoi’), fino al retro della villa Carpaneto, al bivio per via san Cristoforo e via san Martino.

 

Questa era quindi la parte centrale  del lungo asse  che dalla Coscia portava a ponente: la parte più antica e fondamentale, della strada più antica; e corrispondeva ai limiti del quartiere omonimo.

   Così per anni i due nomi viaggiarono assieme e confusi reciprocamente:

--il Pagano 1908 cita ancora la via, ponendo al civ.1A un tappezziere Canepa Gaetano – attivo ancora nel 1912;- --(ancora quelli segnati ° del 1912).  

 --Un documento all’Archivio Storico Comunale scrive che nel 1910, aveva già civici fino al 34 e 23.

--All’atto della sua erezione, l’attuale civico 40 di via A.Cantore era registrato con, sul retro, via del Mercato.

--La scheda della Toponomastica riporta che la denominazione ‘via del Mercato’  fu deliberata dal podestà il 19 ago.1935 per tutto il percorso ‘da via L.Dottesio a via A.Cantore (Attuale)‘ sostituendo anche la denominazione di ‘via Nicolò Daste’; ma ritengo che questa scheda sia storicamente errata.

 

Oratorio Morte e Orazione – 1933                        foto  1935

 

--Nel Pagano 1940 la strada è sempre elencata ripetendo da via L.Dottesio a via A.Cantore (e, di conferma, via N.Daste non c’è). Nei nn. Neri cita all’1 la scuola G.Mazzini; al 3n la r. Scuola secondaria d’avviamento professionale commerciale “Principe di Napoli” + scuola serale comm. O.Scassi; 4n Rebora A & figli pastif.;  5n scuola el. Maria Mazzini; 7n,  110ª leg. Duca del Mare; 14  Diana comm.M. (abit)+ s.a.Diana f.lli cons.alim.; vari privati. Nei nn. Rossi dispari (a monte) = 1r vini, 5 macell., 7 salum.,9 ombreller., 11r cartol., 13 mercer., 17 commest., 19 osteria, 23 commestib., 27 parrucch., 29 calzol., 31 fruttiv., 33 mercer., 35 tintoria, 39 salumi, 43 carbonaio, 45 fruttiv., 47 magazz.vino, 49 pescher., 57 fumista, 59 osteria,    61r mode, 77r bottigl., 79 tabacch., 83 drogher., 85 friggitor., 95 panif., 97 calzaturif., 99r Cianese Nicolò, bazar Trieste; 103 pasticc., 105 parrucch., 1076 salum.  Rossi pari (a mare) 10r pizzic, 12r caffè, 16 commest., 18r bar., 20 osteria, 22 carbone, 34 cartol., 40 latteria, 42 forno pasticc., 44 giornali, 46 macell., 52 polliv., 54 osteria, 62 Frambati G. mobili usati, 66 rigatt., 74 farmacia Italiani Dom., 78 pasticc., 82 osteria, 84 tappezz., 86 ‘la Tessile’, 92 commestib., 94 salum., 102 fruttiv., 104 mercer., 106 terraglie e gioc., 108 vini, 110 macell., 112 colori, 114 trattoria di Mancini Zaira, 116 commest.

--Nella stessa scheda Toponomastica si segnala che con delibera del Consiglio Comunale del 3 novembre 1949 la ‘via del Mercato’ fu annullata e sostituita con ‘via prete Nicolò Daste’.

--38.111 segnala il passaggio del nome da via del Mercato a via N.Daste come se fosse avvenuto nel 1940,  in contrasto con quanto appare in ASCom)

--ancora nel 1950 il Pagano segnala: al civ. 1  scuola parificata di istruzione obbligatoria ‘G.M.Mazzini’ (sic); al civ. 3 la presenza della ‘Scuola Tecnica governativa Commerciale <G.Casaregis>; dell’omonima scuola governativa professionale di avviamento commerciale; della ‘scuola comunale serale di pratica commerciale Onofrio Scassi (palazzo Scassi)’;  al civ. 9 l’<Istituto Magistrale ‘Madri Pie Franzoniane’> aperto pure in via A.Cantore 28 e con tel. 41-844; al civ. 28 l’Istituto ‘Vilfredo Pareto’ (corsi per ragionieri, geometri, nautico, avviamento e scuola tecnica commerciale, scuola media, lezioni individuali e a gruppi. Tel. 43.603); al 62r-64r il mobilificio Frambati, di mobili usati.  Cinque le osterie : 20r di Molinari A.”l’osteria Moderna”; 19.21r di Oneto Angela; 59r di Borzone V.; 82r di Leone G.;108r Sacchi C. & figli;   una trattoria : 114r di Villa Enrico; due bar caffé : al 73.73 bar Dogali; 78r di Biancardi V.. 

===Nel 1772 la Confraternita della Morte ed Orazione (già di ‘Nostra Signora della Cintura’) fabbricò sulla strada principale e su terreno –pare- dell’abate Nicolò Spinola,  il proprio Oratorio di forma rotonda e con colonne corinzie all’ingresso , su disegno di Giuseppe Scaniglia (ampliato nel 1846 da Angelo Scaniglia con una aggiunta sul retro da ospitare il coro) ; offrì dimora e missione a don Giordano, il prete buono di San Pier d’Arena .Essendo proprietà di una confraternita, non apparteneva quindi alla Curia ed il sacerdote che officiava ne diveniva custode e proprietario; ma alla morte di don Giordano (1941), il bene passò alla Curia , alla quale ed ai patti -in fatto di espropri- disposti dal Concordato con la santa Sede  si dovette far fronte al momento della demolizione( il Comune acquistò l’immobile per 150mila lire).

===villa Boccardo Negli anni  seguenti il 1870 si aprivano nella via due case o meglio due ville omonime, di proprietà diverse: ambedue importanti, distanti poche centinaia di metri l’una dall’altra:  può essere che Domenico e Nicolò fossero padre e figlio o fratelli o parenti; non mi è dato saperlo perché al di là di questa casa, il loro nome non è mai comparso in nessun altra citazione; qualcuno ha interpretato la casa Boccardo in forma unica, ed ha segnato  l’inizio dell’equivoco tra le due costruzioni.

A)        La ex villa Lomellini-poi Boccardo Domenico

 Secondo la suddivisione stradale di allora, si apriva a levante dell’incrocio con via della Cella, e quindi  in via sant’Antonio (nell’elenco delle case di questa via  vengono citati dopo il civ. 26 di Bagnara Ermillo già Copello; i civv. 27-28 eredi Ronco; poi dal 28-29-31 gli eredi Monticelli ed al 30-32 eredi Bonnani forse questi gli intermedi proprietari tra i Lomellini ed il Boccardo. Domenico Boccardo fu tra i primi finanziatori-acquirenti palchettisti del Modena.

Famiglia= I Lomellini ebbero origini lombarde;  Discenderebbero da un vassallo di Lomello (che fu uno dei consoli dei Placiti nel 1197, e avrebbero la stessa origine dei conti Palatini di Lomello e dei Langosco). Il loro stemma si legge “spaccato di porpora e d’oro” (ricordando che in araldica, il colore porpora è rarissimo avendolo solo i Lomellini ed i Mangiavacche). Furono Guelfi. Dalla fine del XIV secolo- furono presenti in Genova come banchieri ed imprenditori marittimi (sviluppando un vasto giro d’affari economici internazionali). Già nel secolo dopo, numerose furono le navi patronizzate dalla famiglia, quindi proprietà e comando: è del 1447 la segnalazione al largo della nostra spiaggia davanti alla villa di Battista DeMarini della “navis Neapoloni Lomellini”, quando negli stessi anni anche Gio., e Pietro Lomellini sono nominati come comandanti, Pasquale ed Angelo che mettono i loro navigli a disposizione di Carlo VIII per trasporto truppe; e Giovanni che nel 1499 trasporta inutilmente rinforzi per Lepanto. All’avanguardie nella costruzioni di navi, ne ebbero sempre più grosse (navis, chiamate genericamente ‘Lomellina’), da 100 a fino 300 marinai, munite di cannoni (che rappresentavano la spesa più alta della stessa nave e con proiettili tondi ricavati dallo scalpellamento delle pietre di zavorra -il pietrisco invece era usato a distanza ravvicinata- o da palle di piombo fuse al momento e forgiate in stampi di pietra. Antagonisti dei Doria nel tardo medioevo, han lasciato un proverbio che dice “lascia che se dagghe a Doia cö-a Lomellinn-a).

 Nella nostro borgo  possedettero altre proprietà.

 Sulla unica strada allora esistente, quella centrale interna oggi via N.Daste, un cancello  chiudeva l’ingresso del lungo viale che portava alla villa posizionata nell’interno, subito a monte di dove ora scorre via A.Cantore e quindi sarebbe stata posizionata ove ora in questa strada è il civ.39, circa cento metri più o meno a levante di corso Martinetti.; essa viene descritta anche  dall’Alizeri (nel suo itinerario  sulla “Guida illustrativa…per la città di Genova” pubblicata 1875.  A pag. 652 descrive prima la villa Masnata (da poco divenuta ospedale), poi la villa Doria-Monticelli (angolo via della Cella), poi il ’palazzo Boccardo’ ed infine l’Oratorio) quando precisa, idea sposata anche su ”Le ville del genovesato” che detta casa del signor Domenico Boccardo fu quella già Lomellini.  Vista dal viale (il quadretto è esposto nelle sale della soc. Universale), la facciata della villa fu disegnata dietro gli alberi, dal pittore:::::; dimostra che era non una casa ma una vera e propria villa, raggiungibile percorrendo una mulattiera mattonata che si apriva in via Mercato (dapprima e –quando fu creato lo spiazzo- in piazza c.Bove).

La villa , oggi scomparsa, è descritta dall’Alizeri come “albergo anch’essa d’antichi patrizj , e a quel che intendo de’ Lomellini, e ancora il palesa (benché travisata) ai gentili ornamenti delle scale e degli usci, pregiata vena di Promontorio. Or quivi ha la Sala un oblungo di Luca Cambiaso col “Ratto d’Elena” ; non dico de’ suoi più studiati per quanto è composizione, ma dirò bene dei più succosi quant’è colorito , e de’ più fieri al trattar del pennello . E d’ugual tempra è uno spazio men grande in un vòlto attiguo, ove quell’animoso affrescante imaginò il Carro di Febo tirato da focosi corsieri). Dei due, il primo affresco fu restaurato per incarico del Comune di SPd’Arena dal nostro pittore GB.Derchi nel 1911; fu poi ‘strappato’ e trasferito per incarico del Comune a villa Scassi (il maestro Chianese riferisce che lui stesso fu “partecipe allo ‘strappo’ di affresco nella demolenda scuola civica”). Si tramanda fosse particolarmente ricca di marmi e di pietra di Promontorio, ad ornamento del gran scalone che delle porte.

   Si descrive l’avventuroso viaggio della bellissima Elisabetta Farnese, avvenuto nell’autunno dell’anno 1714, da Parma a Madrid per andare a sposare religiosamente (già sposata prima di partire, per procura)  Filippo V re di Spagna: portata via terra sino a LaSpezia, fece per mare il tragitto sino alla spiaggia di San Pier d’Arena; ma sofferente di mal di mare si fece portare subito nel palazzo Lomellini del borgo, destinato a riceverla ma dove si mise subito a letto disertando feste e spettacoli preparati in suo onore. Volle poi proseguire il viaggio via terra, disdegnando il mare, con grande disagio delle autorità genovesi responsabili della sua incolumità in tutto il territorio sino ai confini della Repubblica. (portare qui la storia della Farnese scritta in via GB Mont ed assemblarla. La bibliografia –Levati- è già qui.).

   Il palazzo, allora di proprietà di Carlo Lomellini,  fu prescelto per ospitarla, quando il 3 giugno 1720 arrivò a Genova Carlotta d’Orleans figlia di Filippo (reggente del regno di Francia essendo Luigi XV ancora fanciullo decenne) prossima duchessa di Modena. Era arrivata preceduta da una dama di corte d’onore (donna Anna Teresa Rangone, con un seguito di 200 persone tra dame, cavalieri, paggi e bassa famiglia) e seguita da un corteo di altre quattrocento persone ed ottocento cavalli, tutti ospitati negli altri palazzi vicini. Un gran ballo e festa non furono attuati solo per alterigia francese ed altero non servilismo genovese: il cerimoniere francese non volle cedere agli ospiti genovesi di potersi sedere di fronte alla principessa, la quale avrebbe ricevuto tutti in piedi. Comunque le furono regalati- in otto cassette- dei dolci, cioccolata e ‘acqua d’odore’; ed altrettanti regali si scambiarono tra alti personaggi. Il giorno 11 tutta la comitiva si trasferì a Voltaggio per il pranzo ed a Novi per il primo pernottamento, prima di arrivare poi a Modena. Assieme al marito tornarono a Genova nel 1729; nel ’34 (quando in incognito ma con al seguito 137 persone,  partorì una bambina che le morì subito dopo il parto) e nel ’39 (già da due anni Duca di Modena). Lui tornò il 6 giugno 1745 come FrancescoIII duca di Modena, proveniente da levante alla testa delle truppe spagnole; da Campomorone venne a SPd’A  per essere alloggiato in casa Grimaldi.

   Altra villa dei Lomellini nel borgo, fu quella –anch’essa demolita- localizzata ove ora è il civ. 20 di via G.B.Monti.

   B) villa Boccardo Nicolò, Come posizione corrisponderebbe alla villa che –nella carta del Vinzoni- era dell’abbate Spinola q.Nicolò (non è chiaro chi fu questo abbate né il padre Nicolò,già defunto nell’anno anno della carta. Nel Battiulana non appaiono dei Nicolò in quegli anni, con figli sacerdoti. Non fu il Nicolò nato nel 1677, doge nel 1740 e che morì nel 1743 perché questo ebbe 2 figli ma nessuno divenuto abbate). Corrisponde altrettanto al civ. 11 di via Mercato, secondo la numerazione di allora; e  nel posto del palazzo ora  civ. 51 di via A.Cantore. Nel 1891 una relazione di bilancio comunale, segnala nelle entrate ’stabili già Boccardo’; nelle uscite invece una annotazione -nella categoria Istruzione  Pubblica- ricorda l’impegno notarile datato 1889 di ‘pagare alla Maria Boccardo fu Nicolò, vita sua durante, gl’interessi (sic) del 5 per % all’anno sulla somma di L.6702,28, che dopo la morte della stessa resteranno a favore del Comune’, per la casa divenuta sede delle scuole Tecniche ed anche delle ‘locali carceri’, come specificato nel successivo elenco delle proprietà immobiliari comunali (il giornale Caffaro del 26 gennaio 1898, segnala uno sventato ‘tentativo di fuga dal carcere del Mercato’) .  

Alcuni hanno scritto che tale palazzo si chiamò “Boccardo già Centurione” : può essere che così fosse, ma nessun documento a mie mani suffraga questa ipotesi di primitiva appartenenza.    La confusione cresce quando con certezza altri stabilisce che furono aperte le sedi delle associazioni ‘nel palazzo Boccardo dell’antica villa Centurione’ sovrapponendo le due costruzioni, vicine si ma non reciprocamente corrispondenti: mi rifaccio, a giustificazione, all’antica usanza di citare una località sulla base della maggiore evidenza popolare: quindi per dire che il palazzo Boccardo era nella località della villa Centurione, si abbreviava dicendo solo la fonte più nota.

   La casa, una volta acquisita dal Comune, divenne di pubblica utilità, e vi trovarono ospitalità in tempi diversi ma ravvicinati:

-due Associazioni di mutuo soccorso, negli anni tra il 1862 e 1870 : una “A.Generale di M.S. ed istruzione degli operai di San Pier d’Arena”, matrice dell’attuale A.Operaia Universale di M.S., di via Carzino (vedi), che dal 1870 qui abitò, fino al trasloco in via C.Colombo; l’altra, la “Società di M.S. dei volontari italiani di San Pier d’Arena” costituita  dai combattenti partiti volontari nelle guerre del Risorgimento, con Garibaldi e Mazzini, ambedue presidenti onorari: carica accettata da entrambi con lettera scritta a L.Stallo presidente effettivo anche se detenuto ad Alessandria.

-il prete don Daste con le sue orfanelle, prima della migliore sistemazione nella ‘casa della Provvidenza’ di via Mameli (via Carzino)

-le scuole Tecniche; che diedero al palazzo il nome distintivo fino alla definitiva demolizione. Anche la piazzetta a levante, ebbe popolarmente questo nome fino a che non fu scelto dal Comune  il nome ufficiale di ‘piazza capitan G.Bove’. In una planimetria del 1899 vengono chiamate ‘scuole municipali’.  Vedi a ‘piazza Scuole Tecniche’.

-come già scritto vi trovarono spazio le carceri cittadine, prima del loro trasloco nella attuale via C.Rolando .

   Questo palazzo fu demolito a cavalo tra il 1800-1900  per la definitiva sistemazione ed allargamento della neonata via G.B.Monti (e non come scritto da alcuni per la confusione di cui sopra, per via A.Cantore, nata dopo; o per corso Martinetti , troppo lontana e non valida neanche per la villa Lomellini).

BIBLIOGRAFIA

-AA.VV.-Le ville del genovesato- Valenti.1984-pag.70

-Alizeri F.Guida illustrativa per la città di Ge.-Sambolino.1875-pag.652

-Archivio Storico Comunale 

-Archivio Storico Comunale  Toponomastica - scheda 2748

-Archivio Ferrovie

-AA.VV.-Le ville del genovesato-Valenti.1984-pag.70

-Biblioteca comunale Gallino  di San Pier d’Arena

-Caffaro, giornale- Biblioteca Berio.26.1.1898

-Di Negro GF B-l’araldica a Genova-Liguria.1983-pag.84

-Gazzettino Sampierdarenese   8/73.8  +  9/77.2foto  +  8/90.4  +  3/94.15  +

-Genova ,  Rivista municipale   :  11/37.25  +  2/38.50

-Giannino-Guèrout-Le grandi navi del Rinascimento-Tormena.00-pag.50

-Il Secolo XIX  del 2/7/98.24

-Lamponi M.- Sampierdarena- Libro Più.2002- pag. 189

-Levati PL.-regnanti a Genova nel sec.XVIII-Gioventù.1910-pag 19.30

-Morabito.Costa-Universo della solidarietà-Priamar.’95-pag. 369.383.390  

-Pagano 1908 – pag. 879  /40-pag.337;/1950 – pag. 214.215.

-Parodi S.M.-1891-1991 Cento anni…-1992-pag. 8

-Stradario del Comune di Genova, edizione 1853-pag.111

-Tuvo.Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag.36