MONTANO piazza Nicolò Montano
TARGA:
piazza
– Nicolò Montano – amministratore mecenate – 1825-1882
angolo con via P. Reti
muragline strada verso la stazione ferroviaria
portici d’angolocon via A.Cantore
portici terrazzo davanti a
Salvemini
QUARTIERE MEDIEVALE: Mercato
da MVinzoni, 1757. In rosso villa
Centurione; celeste, crosa dei Buoi.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2809 CATEGORIA: 1
da Pagano 1961
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 39940
UNITÀ URBANISTICA: 26 -
SAMPIERDARENA
da Google Earth
2007. In celeste, via PReti; giallo, via ACantore; viola, via GBuranello;
rosso, la stazione ferroviaria.
CAP: 16151
PARROCCHIA: (2 e 4)= s.G.Bosco---
(rimanente)=s.Maria della Cella
STRUTTURA: al centro di un trivio, come
in una Y il traffico proviene da via A.Cantore, piazza Vittorio Veneto e via P.Reti.
La
facciata a levante ha dapprima la piazza Settembrini, il palazzo detto delle
poste ed un altro edificio porticato; il tutto ospita due banche, un bar e da molti anni una lunga bancarella
di libri (nuovi ed usati).
Il
lato a ponente è interamente occupato dal muraglione della ferrovia e stazione.
A nord, la villa è affiancata ad alcune costruzioni delle quali, quella a
levante (a piano terra occupata da Salvemini) ed a
ponente da due palazzi, uno porticato come la villa ed uno senza (quest’ultimo con la caratteristica palma davanti). Nel
centro un residuato degli antichi giardini. Tutto descritto dopo.
anni 1910-20 anni 1920-30 anni 60-70
anni apr./e1936 foto Pasteris
anni 50-60 anni 70-80
anni 1910-20 anni 20-30 anni
70-80
STORIA della piazza:
Agli inizi dell’anno 1500, l’erezione della villa
comportò l’acquisto del terreno da parte di Cristoforo Centurione,
costituito da una lunga striscia di terra che dalla casa arrivava sino al mare:
dalla loggia, i signori allargavano la vista sino alla spiaggia, e dalla torretta
potevano tenere in controllo sia il largo del mare che le uniche strade
importanti: la via sant’Antonio proveniente dalla Lanterna (essa poi, scorrendo dietro la
villa si collegava e prolungava con via san Cristoforo (v.A.Scaniglia ma protratta fino al ponte) e via san Martino (v.C.Rolando);
il cancello della villa si apriva nella
cosiddetta ‘crosa dei Buoi’ che dal
fianco a levante arrivava alla marina e che in quell’epoca
era poco meno di una carrettabile usata dai contadini della Fiumara per portare
le merci al mercato del borgo o a Genova).
Dal 1850,
con la ferrovia dapprima che tranciò brutalmente a metà la proprietà ed
avvolse la villa col manufatto a ponte, il muraglione della stazione e la via Vittorio Emanuele; con l’allargamento del tratto terminale della
‘crosa dei Buoi’ (neobattezzata via Nino Bixio (vedi ad essa), che dal Canto arrivava sino al lato a levante della
villa), e con le costruzioni abitative
erette intorno, la proprietà si ritrovò progressivamente imprigionata, preannunciando i limiti della
futura piazza. Essa acquisì le caratteristiche di una piazza negli anni a
cavallo tra 1800 e 1900, via via tagliando ed assottigliando i giardini antistanti e
proprietà della villa Centurione-Carpaneto. Si descrive che l’intero parco
aveva oltre 500 piante d’alto fusto, in gran parte di origine esotica.
Progressivamente così il giardino privato, distratto
anche del prato a giardino con fontana acquisito dal Comune cittadino ed
adibito ad uso pubblico (piazza Settembrini) è divenuto sempre più stretto: a fine ottocento seppur
ancora ricco di alberi, appare nelle fotografie delimitato da due vie principali (la via Vittorio Emanuele (poi Milite Ignoto) proveniente
dalla piazza Vittorio Veneto ed estesa lungo il muraglione della ferrovia con
la linea del tram, e la via N.Bixio (ex crosa dei Buoi) a levante
nel cui retro a levante era la zona detta ‘le stalle’
per l’ampio spazio dedicato a questa necessità di trasporto) e racchiuso a triangolo da un muretto con cancellata , comprendente una casupola ed un torrione.
Del 1907 un primo progetto (numerose tavole
e relazione esecutiva di metropolitana, allora chiamato “ ferrovia
economica a trazione elettrica
Sotterranea di Genova” - progettata da C.Pfaltz,
ingegniere svizzero direttore dell’AEG di Genova
quando divenne proprietaria delle funicolari ed altre attività connesse all’uso
della corrente elettrica. Mentre SPdA
si propose favorevole alla realizzazione del progetto, non lo fu Genova,
preoccupata per i venti di guerra (il percorso era previsto per 9.140m da
percorrere a 30Km/h in galleria e 10 fuori esse; un treno ogni 5’, con vetture
capaci di 40 persone cadauna; gazebi a padiglione
alle fermate, in stile post liberty, facilmente riconoscibili per uniformità.
Nel 1912 il progetto fu allungato sino a Nervi.
Nel 1911 un altro progetto non realizzato dell’ing
Stefano Cattaneo Adorno, con Emilio
Rava, vedeva l’origine della metropolitana (interamente
‘sotto il suolo stradale, a due binari, dalla nuova piazza cui doveva far capo
la grande arteria prevista (via A.Cantore), per villa Scassi, sino a san Benigno ove sovrapassando il quadrivio delle ferrovie, attraversava
anch’essa in galleria il diaframma roccioso del colle’).
Forse ne fu fatto un secondo, nel 1924 (vedi via Milite Ignoto) nel quale
–forse constatando la difficoltà di procedere sotto terra, era prevista la
linea in superficie-.
Nel gennaio 1924 sul settimanale “L’illustrazione del Popolo” (anno IV, n.3,
pag. 7 - supplemento al quotidiano torinese “La Gazzetta del Popolo”) comparve un servizio annunciante che
entro sei anni sarebbe stata realizzata (in quanto approvata e finanziata) una metropolitana con spesa di 120milioni, su progetto
degli stessi Stefano Cattaneo
Adorno ed Emilio Rava.
Sotterranea, sotto il livello del mare, lunga 16 km., con varie stazioni Il
primo tronco: SPdArena-DeFerrari pronto entro il
1927, al’epoca della notizia era già stato
iniziato. A posteriori qualcuno ha
sollevato il sospetto che non fu realizzata per i reperti sottostanti; e che
comunque, vigendo il fascismo, le notizie negative venivano censurate.
Nel 1933,
ancora la piazza non esisteva come entità a sé, ma lo spazio era ormai ben
delimitato. Negli anni immediatamente a seguire, abbattuti i muri dell’ala
laterale e la torretta, aperta via A.Cantore davanti alla villa a cui fu
aggiunto il porticato, il giardino
rimase sempre più avulso dalla villa stessa; e continuando a rosicchiargli spazi ad uso stradale siamo
arrivati a farlo diventare infine una banale aiola. Rimangono pochi ceppi di
magnolie e la palma (che troneggia ancora sparuta davanti al civ. 2a, e che dalle foto già appare inserita ai primi
del 1900: ed è quindi pressoché centenaria).
Negli anni 1950, da una foto si legge che nella parte a levante della piazza,
dopo il palazzo semicircolare con i
portici, esisteva una casetta con, nell’angolo, la targa (Canepa scrive che
c’era scritto ‘piazza Stazione – poi piazza Montano’), a tre piani che sarà demolita negli anni ’60;
a piano terra c’era G.Piffaretti – corriere espresso;
seguito dal ristorante Gentile poi Torre del Mangia. Nella stessa foto, dove
ora è lo stesso ristorante, c’era la Provvida e la banca Credito Italiano. E
nel centro della piazza ove ora è la pensilina coperta dei bus, c’era un distributore
di benzina, condue colonnine, dei f.lli Caso.
Nel 1969
si registrava nella piazza il passaggio giornaliero di alcune diecine di
migliaia di veicoli (precisamente 44.600 transiti).
Dalle foto, non antichissime, si vede un
vigile urbano, alla fine di via A.Cantore e l’inizio della piazza, troneggiare
sulla pedana a dirigere il traffico, e –a Natale - circondato da doni: era
tradizione nel giorno della Befana, offrire ai vigili urbani un riconoscimento,
a testimonianza di affetto e stima, immutati
nel tempo, ...malgrado –già allora - tutto!
anno 1950; centenario costruzione
Quasi annuale un allagamento della parte a ponente
della piazza, fin tutto il sottopasso ferroviario stradale, evidentemente a
conca, arrivo e bacino di acqua piovana
da via Stennio (e oltre) e da via GB Monti - corso
Martinetti.
CIVICI
2007= NERI dal 2
al 4 (compreso 2A). Non esistono civici dispari
ROSSI da 3r a 25r
(mancano da 9r→13r compresi)
dal 2r
al 36r
Fanno parte della piazza: 1) vari numeri civici + 2) salita alla stazione + 3) tunnel pedonale
ferrovia + 4) aiuola con alberi, due monumenti, capolinea e
fermata AMT + sottopasso Montano (vedi a
sé stante).
Il Pagano/1940
descrive: essere delimitata da via Martiri Fascisti, via A.Cantore e piazza Sabaudia. Che ha civv. neri 2,4 e 3,5; rossi = 1r
bar; 3r la Rapidissima rip.calz; 5r commestib.; 6r parrucchiere; 8r trattoria bar Gaia; 26r Credito Ital. Ag, 1; 34r oreficeria R.Salvemini
Nel 2010:
1) CIVICI DISPARI = collocati sulla facciata
a levante della piazza (una volta facciata laterale di via N.Bixio). Va, dai giardini a via
A.Cantore
=== civ.dal 1r al 7r (appartengono
alla BNL, con ingresso al 7r. Nel 1950 ospitava nell’angolo con piazza L.Settembrini, il bar di Odino C.
Ha
ospitato uno dei primi uffici pubblici delle poste,
locali poi occupati dalla trattoria Bolognese, seguita da quella del Masini (che poi si trasferirà sotto i portici aprendo la
‘Torre del Mangia’), ed ora di una banca
Il
palazzo ha ingresso in piazza Settembrini (vedi) e fu demolito nel 1957.
===civ 3r nel 1950 viene segnalato il bar Squillari Albino
===civ.
5r nel 1950 il bar di Fogliati Camillo
-------CORRIDOIO
ANONIMO tra due palazzi, con civ. di via URela (vedi)
===civ.15r sotto i portici, nel 2009 è un bar con veranda nel
corridoio
===civ. 3
===civv dal 17 al 25r Banca Passadore (che ha ingresso al 25r
+ ulteriori due civici in via Cantore).
1950 circa
CIVICI PARI la numerazione
non è centrifuga come dovrebbe essere, ma centripeta, iniziando da v.P.Reti.
===civ.2; il palazzo non è antico, ma ha pretese di estetica.
Ritengo risalga ai primi anni del 1900: il portone ha 2 colonne esterne;
la facciata è decorata: a) tra pianoterra e primo piano, cornice con
grossi riquadri riportanti in altorilievo corpi maschili alati con riferimenti
alle arti (musica, scrittura, ecc); a 2° e 3° piano con due lesene verticali e
finestre incorniciate; tra 4° e 5° piano con altrettante due lesene culminanti
con capitello floreato; sopra il 5° piano altra
cornice floreale; le scale con scalini non molto alti, ringhiera di
ferro battuto, e non c’è ascensore;
3
appartamenti/piano, con i vani di vaste dimensioni; soffitti alti oltre
3 metri e decorati con affreschi semplici; non c’è bagno (al civico 8, su oltre
10 vani c’è un solo gabinetto, piccolissima stanza con la sola tazza del WC e
senza bidet).
Ai
tempi dell’apertura del sottopasso ferroviario, si parlava demolire il palazzo
per mettere in dirittura via Cantore con il sottopasso stesso e via EDegola.
Tra
questo palazzo e la villa, esiste la facciata di un altro palazzo che non ha l’ingresso sulla piazza ma è il
civ.4 della via retrostante A.Scaniglia
===civ. da 2r a 12r dietro alla palma, poi negli anni 1950 ed
oltre, è stata sede della ‘tipografia Cartotecnica’.
Oggi, 2009, c’è la ‘Sicurmetal’ (porte,
finestre,persiane in metallo).
===civ.
8-12r la trattoria che sino al 1950 era trattoria,
di Gaia N. Nel 1950
la trattoria appare gestita da Gandio L.
con ombrelloni gialli, la trattoria.
===civ. 22r sotto i
portici (iniziano dal
14r) rivendita di macchine da cucire
===civ.24r il ristorante ‘Torre
del Mangia’, gestito fino al 2003 dal sig. Masini, già titolare della trattoria posta nella stessa piazza ma nel
cosiddetto palazzo delle poste, all’angolo con piazza Settembrini (forse al
civ. 8-12r) . Quello che fa sorridere è che il ristorante, divenuto famoso per
la cucina prevalentemente toscana, inganna gli sprovveduti i quali gli
collegano la torre che sovrasta il palazzo e chiamano quest’ultima
come la torre di Siena.
===civ. 4 villa Centurione (vedi sotto)
=== dal 26r al 36r L’orefice Salvemini con
ingresso al 34r che si apre non sotto i portici ma di fronte alle scale del
sottopasso.
2) ===STAZIONE FERROVIARIA: A seguito
del Congresso di Vienna del nov.1814, la Repubblica
Ligure fu forzatamente ed unilateralmente unita al regno di Sardegna ; le due
mentalità ed economie –monarchia assoluta e agricoltura a Torino, propensione
repubblicana e commerciale a Genova, entrarono subito in contrasto con attriti
violenti, repressione sanguinosa (1849) e di pesante retaggio. Cavour seppe
cogliere il momento: lavorò con l’alta società ligure, al fine di allacciare
migliori rapporti economici tra le due città; Genova era in piena ‘febbre industriale’ con grossi capitali a disposizione e quindi
grandi opportunità di investimento; ed i
tempi erano maturi perché fosse la ferrovia a riequilibrare le due diverse
nature e necessità.
Costruita
e completata alla fine del 1853 (vedi a via G.Buranello)
la linea ferroviaria Torino-Genova (le prime
linee inglesi sono degli anni 30; la prima italiana Napoli-Portici,
del 1839; il primo tratto della Torino-Genova, fino a
Moncalieri, del 1848 : con l’uso di una locomotiva belga battezzata ‘Carlo Alberto’),
all’inaugurazione non fu prevista alcuna stazione intermedia; però per comodità
ed uso, fu d’uopo spezzare il tragitto secondo le località di maggior traffico
e, San Pier d’Arena fu senz’altro una delle prime, sicuramente quando nel 1865 si provvide al tracciato
verso il ponente (dei due progetti presentati, uno prevedeva addirittura by-passare la nostra stazione passando più a mare ed
innestandosi nella linea statale con un cancello posto al limite -non si
specifica dove- ed apribile solo al passaggio; per fortuna fu scelto l’altro
progetto dell’ing.Parodi che, anche se più costoso fu
più garante la sicurezza pubblica e non creò un altro mostro lungo il borgo).
La locomotiva a vapore, nata in Inghilterra,
fu soggetta ad importazione –sia per pregiudizi di produzione esterofili ed a
scapito del prodotto italiano; sia per fattori doganali : costava meno
introdurre una macchina già fatta che la materia prima grezza; sia per scarso
appoggio e per alti interessi applicati dalle banche agli imprenditori - finché le officine Ansaldo (vedi a via Ansaldo) non furono in grado di produrne di proprie (classica
nei testi, una delle prime vaporiere italiane, sperimentata nel tratto Genova-Pontedecimo nel dic.1854,
capace di una velocità di 65 Km/h, battezzata nel 1855 ‘SAMPIERDARENA’; negli
anni 1850-60 in Italia esistevano solo 404 locomotive di cui solo una ventina
dell’Ansaldo.
Sul Gazzettino è scritto che la stazione ‘poggia ancora su una fitta serie di cunicoli e celle di un convento del quale si può ancora vedere la parte esterna ossia l’ingresso alla Stazione’; l’idea di un convento sopra il viadotto al pari dell’attuale ingresso è illogico; che il convento fosse sotto e sulle cui fondamenta sarebbe poggiata l’attuale stazione, è ripetuta voce mai dimostrata ed assai improbabile: che nessun testo e nessuna carta riportino l’esistenza di una chiesa o similare anche di minuscola comunità a ponente della villa Centurione, mi appare impossibile; mentre è più facile pensare che -come sul viadotto che segna via Buranello hanno aperto numerose celle per negozi-, anche sotto il riempimento della stazione abbiano creato vuoti ai fini più disparati: da depositi di carbone a quant’altro, compreso i vani adibiti a stalle posti di fronte alla attuale via Stennio.
Il Kromprinz Umberto I e Crispi
ossequiano l’imperatore tedesco Federico III
L’ 11 mar.1888,
(Pippione
e Scolari (presente
all’incontro quale giornalista de ‘il Mattino’) scrivono il 10 marzo, ore 12,15) vi transitò - proveniente da quattro mesi di
villeggiatura in Sanremo (villa
Zirio – un giorno, tutto solo, usò una nostra
torpediniera – messa a sua disposizione
dal Governo italiano – per andare a Montecarlo a giocare al casinò) per cura climatica - in una giornata di pioggia, il
principe ‘Fritz’ (nomignolo affettuoso per il
cinquantenne Federico Guglielmo, che stava
tornando in Germania per divenire l’imperatore Federico III, dopo la morte di
Guglielmo I Hohenzollern a cui erano stati intitolati
a Genova il pontile e la prima piccola Stazione marittima, ora “dei Mille”) con la moglie, tre figlie ed il secondogenito
principe Enrico (ammiraglio
della flotta germanica, morto nel 1930). In stazione si era portato all’incontro il nostro
re Umberto I proveniente da Roma col suo seguito (tra cui Crispi, presidente del Consiglio e i consoli tedeschi): si creò per 15 minuti una scena di alta commozione,
sapendo che il futuro imperatore, buono, valoroso, ed amico del re, era malato
di tumore in gola e comunicava solo a gesti o con foglietti scritti in francese
per essere compreso dai nostri: infatti non sopravvisse che tre soli mesi
all’incoronazione avvenuta il 22 marzo successivo, morendo a Postdam il 15 giugno. La folla era assiepata sotto la
tettoia, fuori della stanza dell’incontro che si concluse in silenzio quando
Federico si alzò da una poltrona per tornare al treno e prima abbracciò il
nostro re che subito si mosse verso
l’uscita ripetendo con le braccia segni di saluto.
Gli succederà Guglielmo II di Prussia,
primogenito di Federico, che aveva idee differenti dal padre, sia sulla Polonia
che sull’Italia (diverrà nostro nemico nel conflitto del 1915), che a Sanremo
andava saltuariamente per brevi visite perché già manovrava per la supplenza
prima ancora della dipartita del padre
-Ricordi scritti fanno cenno ad un certo Puin, erculeo facchino della stazione, che si vantava essere capace di sollevare due quintali di merce, ma solo al mattino; dal pomeriggio forse, la massiccia muscolatura cedeva al potere del nettare.
-Per
il Pagano 1902-12 Balbi Francesco gestiva la trattoria ‘alla Staz.Ferr.’ Forse è lo stesso che poi comperò l’omonimo
palazzo di piazza Vittorio Veneto.
cartolina 1905 1915
-Nei
locali adiacenti, fu operante una sede del Dazio, per il controllo delle merci
in arrivo. Lamponi segnala che durante la guerra del 1915, vi erano
locali adibiti a ambulatorio-assistenza dei militari
feriti e transitanti verso luoghi di cura, curato dal dr. GB Botteri presidente del Comitato distrettuale della CRI
locale.
cartolina 1902 transizione
tra elettrificata e a vapore
Nel Pagano/19-25 la trattoria appare
gestita da Paleari Pietro (forse lo
stesso del bar Roma di Pza V.Veneto). Mentre il bar
della stazione era gestito da Paleari Pietro: così
nel Pagano/1919-20(tel.44-86)-1925(tel.41309)-1933.
Una relazione del 1926, sottolinea in
stazione un traffico di circa 300 treni al giorno (una delle principali
d’Italia), purtroppo anche con molte disgrazie causate dalla mancanza di
sottopassaggi e dalla solita
superficialità; divenne quindi necessario un nuovo progetto, che meglio
utilizzasse la grande superficie occupata dal terrapieno: fu previsto così un
nuovo fabbricato -nel progetto diverso da quello attuale, lungo 120m- , una
rampa al piazzale antistante concepiti un modo “che apportino piccola modifica
al giardino Carpaneto”, lasciando la via Milite Ignoto a distanza di 20m. Sotto
i binari si previde uno svuotamento del terrapieno, inserendo pilastri e volte
in modo di ricavare un vasto locale (80x40 m)
ed una galleria - che collegasse via Milite Ignoto (via P.Reti) con via
Cavour (via Dondero) con transito di pedoni e di
veicoli, fiancheggiata di negozi, servizi (sala scrittura, telefoni, deposito
bagagli, pulizia scarpe, albergo diurno, uscita viaggiatori, stazione
taxi). Questo progetto, abbastanza
grandioso e pretenzioso nello stile delle decorazioni , prevedeva pure un
allargamento del sottopasso da piazza Vittorio Veneto ed altri rifacimenti il cui “problema
economico era praticamente risolto” . Il passaggio nella grande Genova,
probabilmente infranse la conclusione del progetto ; alcune parti
furono eseguite, per essere abbandonate, e poi riprese negli anni 80-90***, nel modo
attuale; lo sbocco della galleria che doveva collegare le due strade, a lungo
fu occupata da una scuola guida per auto.
In quegli anni, parte dei locali erano occupati dagli uffici del Dazio,
per il controllo delle merci in arrivo con i viaggiatori .
-dalla
loro costruzione, fu necessario punto di riferimento alle linee tranviarie,
quale punto di capolinea o transito di passeggeri.
Non è specificato da quando né dove è, ma il
‘Fabbricato Viaggiatori FF.SS.’ e posto sotto
tutela e vincolo della Soprintendenza.
Durante l’ultimo conflitto mondiale fu
ovviamente più volte mirata dai bombardamenti, ma mai ‘centrata’; solo nel
bombardamento navale inglese del 9 febbraio 1941, una bomba da 381
esplose su una vettura pronta a partire per Limone, uccidendo tre sciatori e
ferendone molti altri mentre altre - di minore calibro - fecero solo danni
materiali.
9.2.1941
28.4.44
Negli anni ’50 il corriere Giacomo Piffaretti
poneva come indirizzo il “piazzale Stazione”, con telef.
41.354 (altre due sedi a Milano) – reclamizza «servizio giornaliero di corriere per Alessandria-Asti-Tortona-Voghera-Pavia / corrispondente con
tutti i corrieri d’Italia – spedizione a grande e piccola velocità a bagaglio e
seciali servizi con camions
– tariffe di concorrenza e servizi raccomandati»
Nell’organo giornalistico del comune, nel 1952
si legge che l’opera è ormai antica, non più idonea alle esigenze moderne,
indecorosa, ingombrante; che il nudo muraglione toglie ogni attrattiva alla
zona e la rampa di accesso, piantata nel centro cittadino, è una bruttura;
insomma che il tutto è ‘da distruggere senza una lacrima di rimpianto’
. Ma le ferrovie non credo abbiano nessun progetto di spostare le sue linee che
tagliano la città; e ‘more solito’ le cose sono
restate e resteranno tali quali.
Nel 1961,
il Pagano segnala esistere tre locali pubblici (tabaccheria ATraverso
della stazione; la stazione ferroviaria; il ristorante della stazione gestito
da GaudioL.);
5 civici neri (con
citati solo cinque professionisti); 20
numeri rossi (stazione
di rifonimento AGIP di ACasu;
autoscuola LTrompetto; chiosco latteria di SCortellesi;
bar della stazione; al 2r tipografia cartotecnica Montaldo;
3r= trattoria Gentili; 5r= bar CFogliati; 6r
parrucchiere GLavanna; 7r=calzolaio AAltobelli; 8r-12r trattoria bar NGaia;
9r-11r commerciali Battilana; 13r due
corrieri Leone&Piffaretti; 17r-19r banca naz. Del
Lavoro; 18r lavanderia ‘Appennina’;20r banco lotto;
21r-23r tessuti PittalugaE; 22r GhigliaG
giornali; 24r la Provvida; 26r-28r ag.1 Credito
Italiano; 30-34r SalveminiR orefice.
1975
Nel 1979 ci fu un nuovo restauro, con
la chiusura del pronao a mezzo di grosse vetrate ed unificando la sala
d’attesa.
Nel
1998 fu restaurato l’orologio, uno dei pochi in città; fu un
elemento indispensabile, quando solo i ‘signuri’
avevano ‘la cipolla’ nel taschino.
In stazione è installato un moderno impianto
elettronico capace di controllare scambi e passaggi in modo preciso e in tempo
reale. I lati negativi ed insufficienti sul piano funzionale, sono legati alla
vetustà dell’edificio, non certo in linea con l’evoluzione dei tempi.
Non specificato da che anno, il “Fabbricato
Viaggiatori FF.SS.” è tutelato e vincolato dalla
soprintendenza per i Beni architettonici della Liguria.
Nel
gennaio 2004 si parla di spendere
2,5milioni di euro per ristrutturarla, essendo il terzo scalo in Liguria (dopo
Principe e Brignole) con 7 milioni di viaggiatori/anno che potrebbero aumentare
in allargamento della metropolitana. Una plurisocietà,
fusa in unica società operativa chiamata “centostazioni”,
in Liguria prevede il lavoro per altre sette stazioni (architetture storiche,
barriere, illuminazioni, servizi, ecc.).
Nel
gennaio 2013 si intravedono dietro
le impalcature dei lavori iniziati l’anno scorso, le nuove travature –da lontano
direi in legno- del tetto momentaneamente senza copertura – anche se piove. La
facciata è interamente coperta da un telo, e non sono visibili i lavori in
atto.
3)
SOTTOPASSO FERROVIARIO PEDONALE Nel nov.1990
fu inaugurato il sottopasso ferroviario che collega via Dondero con piazza Montano, utilizzando dei vani
ex-deposito di carbone sottostanti la stazione; l’opera, già prevista nel 1926,
finalmente finanziata (con 700 milioni, dalla legge per i campionati
mondiali di calcio), fu costruita dalla
soc. Icogen.
Comprende nel lungo e angolato (a Z)
corridoio lungo cento metri abbondanti, che da avvio alle rampe di accesso ai
vari binari senza attraversarli; comprende alcuni esercizi commerciali (inizialmente
furono bar, pizzeria, profumeria, cartoleria, articoli fotografici,
abbigliamento), ed anche facilita -dalla
piazza- l’accesso al mercato comunale.
NOTA=
il sottopasso Montano, di via Cantore, ha una targa a sé ed è quindi inserito
subito dopo la descrizione della piazza.
4)
AIUOLA con alberi di fiori (magnolie)
===BUSTO: dedicato a Pietro Chiesa (vedi). La scritta dice “alfiere di libertà –
e – democrazia -***
Negli anni 1975 un grosso foglio
di carta fu incollato al marmo: diceva «questo busto fu dedicato a l’onorevole
Pietro Chiesa cittadino Sampierdarenese il cuale mori
in miseria per lo sua grande onesta almene metiamolo in un punto dove tutti lo possono amirare perche sia di sprone alle
nuove Generazioni da andare a governare senza che i ministri facciano soltanto
i propri interessi allinfuori del popolo che ce li
manda un Proletario» (gli errori
grammaticali sono riportati tutti conformi).
===LAPIDE: dedicata agli
operai deportati, durante l’ultima guerra
mondiale, vittime di rastrellamenti improvvisi da parte dei tedeschi (presenti
pochi elementi della polizia e brigate nere) effettuati venerdi
16 giugno 1944 presso gli stabilimenti SIAC (raggiungibile col tunnel di
via Chiusone), San Giorgio, cantiere
Ansaldo, Piaggio, OARN, Fonderie e Acciaierie Liguri, ed altri, devastati dai
bombardamenti, e quindi momentanea inoperosità di molti di essi (il
numero di duemila fu stabilito d’autorità tedesca, sommando gli operai che
ricevevano un sussidio di disoccupazione: 1600 quello totale, più 400 quello
parziale). Vedi a “via Giorgio Mignone” che fu uno dei non tornati.
Dall’autorità tedesca, in accordo
con il questore, già per il 10 maggio
’44 (poi saltato e rinviato al 16 giugno) era previsto una convocazione degli
operai nel piazzale, per ‘un appello’: sommariamente
sarebbero stati visitati da 12 medici (che ovviamente poi non furono
utilizzati), e 2000 sarebbero stati
fatti salire su una quindicina di vagoni già pronti e fatti partire ‘come si
trovano sul posto di lavoro’; i familiari sarebbero
stati avvertiti in seguito ed avrebbero potuto far pervenire entro due giorni
abiti e suppellettili in appositi pacchi. La
Germania in concomitanza aveva
scarsità di mano d’opera: il vasto
fronte belligerante aveva assorbito tutti gli uomini in età produttiva; quindi
affidò a Sauckel lo studio di un piano di risaturazione della mano d’opera, nel quale fu prevista la
deportazione: si trovò nell’operaio
italiano tendenzialmente ribelle e favorevole alla ‘resistenza passiva’ nonché reso inattivo, una soluzione del problema:
prevedendo l’arrivo di oltre un milione e mezzo di persone (in realtà non
superarono le centomila) dapprima propose una emigrazione volontaria con
trattamento alla pari (andata praticamente deserta) e prelevando gli individui
giudicati antisociali (politici) o pericolosi detenuti in questura.
Dopo vari scioperi parziali iniziati a maggio (in genere per richieste
di miglioramenti economici o creazione di spacci aziendali, rimaste tutte
inattese) e proseguiti nei primi 15 giorni di giugno -interessanti l’Ansaldo
elettrotecnico e meccanico e, nella provincia, l’Oarn,
la San Giorgio, i Cantieri Navali, la Siac, l’Ansaldo carpenteria e quello Fossati, così
che quando un focolaio sembrava spengersi se ne riaccendeva un altro, creando
gravi disagi ai fascisti a cui era affidato il servizio d’ordine; ed in un
clima reso confuso dai bombardamenti sempre più disastrosi, dallo sbarco
avvenuto in Normandia, le truppe alleate entrate a Roma, e le prime azioni
terroristiche dei Gap - il giorno 16, iniziarono il rastrellamento improvviso e
violento, concentrando gli operai (dalle prime valutazioni di 5000 in G.Gimelli; il
Gazzettino dice 1284; A.Gibelli – citando fonti
dell’amministrazione tedesca - dice tra 1500 e 2000 anche se le testimonianze
fanno pensare ad una cifra superiore; Fucile, uno dei pochi ritornati, scrive
1550 a pag 20 e 1500 a pag.70;
il numero è impreciso sia perché alla notizia dei rastrellamenti molti
fuggirono creando vuoti non valutabili, sia perché mai fu fornito un elenco – Calegari dice che solo alla fine della guerra fu possibile
un bilancio più rigoroso, ma non indica il risultato, dicendo ‘circa
1500’); su circa 40 carri ferroviari per bestiame -tristemente noti anche
per gli ebrei- e in due convogli li allontanarono verso Trento, così come erano, alcuni in canottiera, senza lasciare il tempo di avvertire le
famiglie o raccogliere vestiti ed altro,
favoriti dalla ancora iniziale ed inefficiente preparazione delle forze
partigiane. In troppi non tornarono più. Per evitare reazioni, in città fu
imposto il coprifuoco ed un clima di terrore.
La
lapide reca scritto : “percosse dal furore nazista - avido di schiavi - per
l’orrenda sua guerra - nel giungo 1944 - le fabbriche di Genova - conobbero il
calvario - dei mille e mille razziati - per i lager di Germania - Ma
all’invocante grido - levatesi dai vagoni piombati - la volontà di resistere -
s’irrigidì come l’impietrito volto - delle madri orbate dei figli - e delle
fabbriche divenute trincee - difese per far salvo - il pane di domani - rispose
anticipatore - il canto della liberazione -- Genova nel Ventennale della
Resistenza “.
===PENSILINA sono due=
una quella ferroviaria, modificata nel tempo (vedere fotografie); attualmente
con parziale copertura.
Una nella piazza, ad uso salita-discesa AMT per le
linee dirette verso Rivarolo.
A fianco di quest0’ultima, è stata lasciato uno spiazzo, ad uso
capolinea di alcune linee locali.
===civ 4: VILLA CENTURIONE-TUBINO-CARPANETO.
1) storia della villa
Non
si conoscono i dati precisi sull’epoca della costruzione e dell’architetto;
probabilmente fu costruita su antico sedime e
dopo la metà del 1500
per Cristoforo di G.B., del casato di Spagna degli Centurione Oltremarini (deLandolina scrive “oriundo di Spagna” ma non
è credibile). Era
fratello del banchiere Adamo di GB (che aveva il titolo spagnolo di
marchese); già fondatore e possessore del
palazzo in piazza Fossatello: ma nessuno nominato da
Battilana in Famiglie Nobili, poiché descrive solo gli Scotti.
Roncagliolo –storico del Gazzettino- interpone
un Luigi Centurione, che però era dei Centurione Scotto e fu l’ordinante allo
Strozzi degli affreschi della sua villa, ma quella posta in Strada Nuova).
Cristoforo
ebbe figli: primogenito Battista (col titolo –come lo zio Adamo
- marchionale in Spagna e quello del Monasterio); poi
seguirono in sei: Filippo, GianGiacomo (deceduto 1644), Adamo (senatore 1629-31; deceduto 1635), Ottavio (fu gentiluomo rappresentante della Repubblica
in Spagna; deceduto 1652) e l’ultimo -
nato e cresciuto in Spagna. Tutti i primi, attivi sulla scena politica
genovese, ed escluso il primo – morto precocemente il 7 dic.1615 - imbussolati nell’urna del Seminario (requisito primario per accedere ai
Collegi direttivi del governo locale).
Famiglia
Centurione, originati verso la metà
del XIV secolo, erano composti da varie famiglie tutte ghibelline, tutte
ricchissime e potenti non solo in Genova ma in tutto il Mediterraneo: i Cantelli, i Becchignone, i Bestagno, ai
quali si aggiunsero i Traverso e gli
Scotto (divenuti principi del Sacro Romano
Impero nel 1654) e gli Oltramarini (originari da Paraggi di Rapallo proprietari di immense ricchezze
acquisite col commercio). Nel 1528
formarono il 28° Albergo. Nel 1630, per l’erezione dell’ultima cerchia di mura
attorno la città, i Centurione dovettero partecipare pagando cifre milionarie
di allora, per la relativa tassa straordinaria. L’arma ha una banda d’oro scaccata di tre file d’argento e rosso; gli Oltremarino
hanno in più una rosa in capo.
Un GB
doge nel 1658-60 fu stimatissimo personaggio di mare e di politica,
ambasciatore, inquisitore, commissario di sanità durante la peste del 1656, si
costruì il palazzo -oggi al civ.5 di via san Lorenzo.
Caratteristica la figura di un Adamo di Luciano
già ricchissimo cavaliere arricchitosi con l’usura (prestiti al 60% di
interesse) ed alcun bordelli; sposò nel 1541 la sua unica figlia a Giannettino Doria.
Erano
invece dei Centurione
Scotto, Barnaba (nel 1599 marchese di Morsasco
per investitura da parte del duca di Mantova e poi senatore; e suo figlio Luigi che comprerà in Strada Nuova, dai Lomellini,
un palazzo che vorrà far decorare dallo Strozzi e contro il quale nel 1625 fece
causa in tribunale per insolvenza (diverrà senatore pure lui).
Erano
anni nei quali gli uomini d’affari genovesi – da mercanti e marnai si erano
trasformati in banchieri-finanziatori - si erano enormemente arricchiti nei
traffici con la Spagna, con conseguenti investimenti edilizi di notevole
portata e prestigio, e con abbellimento delle dimore – con committenze artistiche
- parallelo al raffinato modo di vivere.
Originariamente fu costruita nell’angolo
nord-est del terreno; ad L per l’esistenza di un’ala a levante, orientata verso
il mare, con volume e perimetri (specie quelli a nord) stranamente irregolari e apparentemente senza una logica precisa se
non dipendenti dall’utilizzo di qualche
costruzione preesistente (si conferma infatti che fu costruita “nell’area di più
antiche architetture”.
La sua torre angolare
ancora conservata era posta proprio al centro della piazza del mercato,
disposta a formare una strettoia <strategica> con l’opposto palazzo
appartenente già alla metà del XVII° secolo a Gio
Luca de Franchi”; e lo
spessore di certi muri e la struttura di alcune volte -poste a levante della
loggia - evidenziano un’origine precedente.
da via C.Rolando il portone, in piazza Montano
La constatazione che questa
struttura nel suo retro sia irregolare solo per un adattamento all’asse
viario tangente (che, proveniente da
levante, sul retro della villa si apre a Y, per proseguire verso il Campasso o
verso il torrente), non è giustificata –
considerato: sia l’ampio spazio costruttivo a disposizione, che avrebbe
consentito spostarsi a piacimento sino alla riva del mare; e sia che i nobili
di quei tempi, non avevano controparte a cui rendere conto delle proprie
scelte, e non avrebbero sacrificato la qualità di una villa, per -per loro- inezie simili). Lo stesso
Alizeri a pag.362
conferma che l’edificio “fu ricostruito”.
La proprietà era compresa tra le antiche via dei Buoi a levante
prima che essa terminasse in piazza del Mercato, via san Cristoforo a nord, il mare ed altri
proprietari a sud, altre proprietà a ponente (nel 1757 erano del magn.co
Geronimo e del r.do Giacomo de Negri). Allora, era praticamente l’ultima villa del borgo,
prima di Cornigliano (non esistono documenti, per attestare l’età della
villa che esisteva nell’attuale via Pieragostini, ma sicuramente posteriore
poiché citata da nessuno).
Morto
Cristoforo, ereditò questa villa il primogenito Battista; ma egli morì il 7
dicembre 1615 senza eredi – si ipotizza che
fu lui ad ordinare gli affresci allo Strozzi; per cui
la successione toccò al secondogenito Filippo
(erano tra i più ricchi cittadini della
Repubblica, nipoti del
banchiere
Adamo, figura di massimo rilievo politico
ed economico del 500 genovese e ‘spalla’ politica di Andrea Doria) e dell’arciv. Alessandro. Era influentissimo
ambasciatore della Repubblica alla corte di Madrid durante i regni di FilippoIII e IV. Divenne senatore, ovvero Supremo Sindacatore negli anni 1617-22 e di
nuovo dopo il 1624, nonché procuratore 1630-1; due volte in corsa (su sei candidati, ebbe però il
minor numero di voti) per divenire doge nel 1617 e 21) pare in comproprietà con altri fratelli. Filippo, desiderando fare della villa sua unica ed
esclusiva abitazione (come
descrive puntigliosamente nel suo testamento datato 24 aprile 1643), stipulò con gli altri un accordo di godimento
–versando loro del denaro. Fu tra i testimoni a favore del pittore – durante le sue peripezie legali–: compare
infatti Filippo Centurione q. Cristoforo,
il 26 marzo 1626 quando dichiarò sotto giuramento essersi servito dello Strozzi
“in far qualche pitture” avendolo conosciuto 3-4 anni addietro; la critica non collega però queste date con gli
affreschi sampierdarenesi potendosi riferire a quelli genovesi.
Fu Filippo ad
ordinare (l’artista
aveva appena finito di affrescare nel coro della chiesa di san Domenico) gli affreschi al frate Bernardo Strozzi
(che poi difese dalle
accuse promosse dall’ ordine dei Cappuccini, giurando per lui, e garantendo col
suo rango -ed un po' con la prepotenza tipica dei potenti- l’innocenza del
pittore). Mario Marcenaro scrive che fu
Luigi Centurione, proprietario della casa di via Nuova (palazzo ex Lomellini (? via Nuova a Genova? visto che qui
il palazzo fu costruito per i Cent.) poi Centurione, poi Pallavicini, Raggi, Podestà, Bruzzo) che ebbe litigio e vertenza legale (1625) con lo Strozzi, e questo è
vero ed accertato. Però anche lui scrive che Luigi era proprietario anche a SPd’A (“lavorò
per Luigi Centurione nella villa di Sampierdarena”), il che
confermerebbe vera la tesi di Roncagliolo.
Filippo, nel
suo testamento del 1643 (ove
raccomanda la sua anima a s.Teresa ed al
beato Salvatore,
suoi oprotettori, dopo aver ricordato i miglioramenti
ed ampliamenti effettuati
dal fratello Battista), lascia il palazzo al primogenito Agapito.
Bernardo
Strozzi, detto il Cappuccino: nato a Genova nel 1582 (1581?)
da Pietro
e da Ventura (forse nel sestiere del Molo, ma il registro di quegli anni
nella chiesa di s.Marco non c’è); aveva
una sorella Ginetta che, in seconde nozze sposò Onofrio
Zino – pure lui vedovo- di Framura ed al quale il
pittore pagò per quattro e più anni gli alimenti per la sorella e i figli –uno,
GioAntonio, avuto col primo marito Pietro Fontana e GioBattista (altrove Giuseppe) col secondo; paese nel quale
comprò una casa e lavorò anche il pittore, dimorandovi.
Definito
‘spirito bizzarro’, abitava con i genitori negli orti
di s.Andrea.
Solo alla
morte del padre –che lo voleva letterato- inizò la
prima formazione pittorica, frequentando la bottega di Cesare Corte e quella
del senese Pietro Sorri (presenza accertata per gli
anni 1596-8); ma intorno ai 17 anni,
nel 1599, preso da esaltazione
religiosa, si fece frate nel convento dei cappuccini di s. Barnaba (ma qui,
ricerche negli ambienti religiosi genovesi, non danno alcuna traccia di lui).
Ebbe poi
il Soprani come primo biografo, che lo definì di ‘pellegrino ingegno’o anche “il Cappuccino” perché le sue opere erano
firmate ‘prè Bernardo Strozzi’; inizialmente prodotte di piccole
dimensioni ma con con fertilità, soprattutto a tema
religioso, (tipo il lo sposalizio di santa Caterina ed un Cristo Portacroce, oggi al museo diocesano di
Chiavari e l’Apparizione della Madonna Odigitria nella chiesa di san Maurizio di Monti a Rapallo; la Madonna del Rosario nella chiesa di s.Stefano a
Borzoli; e due tele ora di privati con s.Francesco
in preghiera) permisero
di mettere in rilievo le sue doti innate di pittore, e divennero rapidamente
così interessanti, da essere richiesto a
lavorare anche fuori del convento. Era nevessario la
dispensa per uscire, firmata dal Priore generale dell’Ordine che risiedeva a Voltri.
Fuori del
convento però, prevalse “l’uomo d’affari” = acquista, affitta e subaffitta (al pittore Goffredo Waals, una casa da lui avuta in affitto da Lodisio (=Luigi)
Centurione) e vende case e terreni; presta e si fa prestare soldi;
raccoglie commissioni che non sempre riesce ad onorare. Questo fervore
artistico, caro gli costò. Perché fu accusato di non tornare in convento come e
quando era stato pattuito (ad un primo rinvio –1601- era arrivato
avendo dimostrato di star facendo un
ritratto ad un suo vecchio confratello –forse il priore stesso- nel convento di
Voltri).
Ottenuta
di nuovo negli anni 1608-9 la dispensa
ad uscire, inizialmente motivata ‘per sovvenire alle necessità della madre
Ventura e della sorella’, il frate pittore poté
culturalmente aprirsi a maggiori esperienze
(entrando in contatto con le varie correnti artistiche che
in quei tempi influenzavano l’arte pittorica in maniera sempre più evoluta,
specie di scuola toscana, lombarda e dal Caravaggio.
Quando fuori convento, viveva e produceva ampiamente stando in zona Campi in
una casetta di famiglia). Poté anche impegnarsi con diversi committenti (che però
lui avrebbe dovuto abbandonare quando nel 1630 la madre morì e avrebbe dovuto rientare
in convento. Allora, le regole di esclaustrazione
erano governate da leggi papali severissime ed intransigenti per chi aveva
preso i voti: si concedevano solo per motivi gravi e per pochi mesi). Così,
ancora più rigide erano le regole della sua Comunità, nella quale alti erano i
poteri che aveva per farle rispettare,
compreso la carcerazione).
Ne usufruì però anche per investire le somme acquisite -contro
le regole francescane- (che gli permisero impiegarle in una intensa attività
di compra e vendita di immobili: comprando terreni a Framura,
per darli in affitto ma con possibilità di riscatto alla stessa cifra
dell’acquisto, oppure li dava in prestito a basso tasso di interesse (4%);
oppure affittando case come al collega tedesco-fiammingo Waals;
oppure poi –1632- donando una
casa “sita nella crosa del Colle” alla
sorella, e da lei ceduta ad un rev. Cristoforo DellaNoce
fu Pantaleone al quale ella doveva 450 lire per il fitto di una casa –dove
forse lui aveva uno studio- posta in “via Nova, vulgo
delle Fontane”).
Fu produzione del 2° decennio del 600
un s.Cecilia
ora a Kansas City; una s.Caterina d’Alessandria ora a Hartford;
e del 1615 che ebbe la commissione
dai Centurione per la villa sampierdarenese e per altra genovese dove gli
impegni gli impedirono di rispettare i tempi cosicché compare una protesta di
un Luigi Centurione comprendente anche la somma pattuita (lire mille) ormai
superata di oltre 570 altre lire. Impegnato era anche con GioStefano
Doria a cui affrescò la volta con il trionfo
di David; e con il collezionista GioCarlo Doria
al quale nel 1622 affrescò una cappella nella chiesa di s.Domenico.
Fu
accusato di lavorare per lucro; di dipingere temi non consoni alla sua dignità
sacerdotale. Inutilmente tentò varie strade, sia con domande di ritardare il
rientro all’osservanza claustrale; sia
facendo domanda di cambiare ordine religioso cercando di ‘trasferirsi’
tra i Canonici Regolari Lateranensi (ma la
regola papale stigmatiuzzava che un passaggio era possiile solo scegliendo una congregazione con regole più
severe della precedente); sia, 1632,
prospettando l’ipotesi di dover assistere il nipote (Ginetta aveva avuto due figli: il
primo, GioAntonio, dal primo marito Fontana, un pò scavezzacollo
perché fuggito di casa e scomparso senza più dare notizie di sé; un secondo,
Giuseppe, nato da seconde nozze con Onofrio Zino, divenuto non vedente e –per
tale handicap- affidato per via testamentaria dalla sorella al frate con
l’obbligo dell’assistenza (e quindi con la necessità che fosse licenziato dalla
obbedienza ai Cappuccini); questo tentativo fallì perché dal Consiglio Provinciale dell’Ordine –composto da un padre
provinciale e due definitori o consiglieri- non gli fu concesso spretarsi (ed
il ragazo cieco passò all’assistenza del terzo marito
della sorella -ambedue procuratori dei suoi affari-, il
pittore Giuseppe Catto, allievo dello Strozzi assieme
a GiovanniFrancesco Cassana
che invece lo seguirà a Venezia).
Morta la
madre e sposata la sorella, con mille altri pretesti, cercò scusanti per non
rientrare in convento (essere ammalato; domanda di dispensa papale; visite ad
infermi). Le reiterate minacce di punizione, alimentate da invidiose
insinuazioni dell’ambiente artistico, si
concretizzarono con la presa di posizione del Vicario Generale della Diocesi,
Alessandro Sperelli
il quale il 25 agosto 1630 emise
un mandato di cattura e di arresto, da scontarsi nel carcere del
convento (gli atti del processo, all’archivio diocesano non ci sono
più). Così, tra altre suppliche ed altre concessione di pochi mesi di
proroga, visse libero ma quasi segregato per tre anni nel monastero di s.Barnaba, finché abilmente riuscì a fuggire
all’estero, imbarcandosi per Venezia (non ci sono prove scritte; lo
storico L.Alfonso presume che sia scappato prima di
essere preso; comunque è chiaro che Bernardo subì salatissima
multa perché si era cacciato in un gravissimo guaio di competenze fra autorità civili ed ecclesiastiche quando
ciascuna delle due aveva proprie prigioni, competenze ed armati; altri valuta
più probabile un provvedimento ‘dall’alto’,
addirittura del Nunzio Apostolico, visto l’arrivo in laguna munito di valide
commendatizie ed il titolo di monsignore. La non conoscenza precisa dei fatti,
ha dato modo di romanzare la fuga e le motivazioni che la determinarono).
In Venezia,
per quindi ulteriori anni, conosciuto come ‘il prete genovese’
diede sfogo a nuova vena creativa, fondando anche una florida scuola nella
quale lavorò proficuamente (opere quali Allegoria delle arti nella biblioteca Marciana
da interpretare come inno alla libertà; nonché il capolavoro de la Parabola dell’invitato
a nozze –nella chiesa dell’ospedale degli Incurabili; un s.Sebastiano curato dalle pie donne nella
chiesa dei s.Benedetto e Scolastica ; una Vanitas (ora a
Mosca) e numerosi ritratti.
Fino alla
morte il 3 agosto 1644; fu sepolto in santa Fosca: “pictorum splendor – Liguriae decus – hic iacet”, lasciando eredi la sorella Ginetta (e dopo la
di lei morte, al nipote Giuseppe, ai quali lascia “quella poca facoltà che Dio
gli ha concessa”) ed il signor Pievano di S.Fosca (quale depositario
delle sue “robbe”).
Sue opere
sono conservate nei musei italiani e di Amsterdam, Belgrado, Berlino, Chicago,
Londra, Mosca, New York, Parigi, SanPietroburgo,
Vienna, Zurigo.
Nel 1757 appare proprietà di un altro mag.co Filippo
Centurione (vedi carta in Stringa-pag.97).
Nell’800, subì dei restauri sulla fronte a
mare; fu rifatta l’ala ed il torrione, posti al lato est a
delimitazione del parco antistante ridimensionato dalla strada a mare e
poi dalla ferrovia.
Negli anni 1820-50, il parroco della Cella
in un suo ‘stato delle anime’ del borgo, chiama la
villa ‘casa detta la Torre dal Mercato’.
Nel 1859 era passata alla famiglia Tubino; di questa famiglia, GioBatta - avvocato e poeta- divenne anche sindaco della
neonata città; probabile che fu lui l’occupante.
Nel 1875 infine divenne
proprietà di GB.Carpaneto
(all’inizio del 1900, era ubicata in via Milite Ignoto).
La famiglia
Carpaneto probabilmente ha origine
dall’oltregiogo (esiste
un paese dal nome Carpaneto Piacentino di circa 6mila abitanti, con nulla di storico-artistico).
Lo stemma nobiliare – riprodotto nell’affresco del
salone (vedi sotto alla
descrzione degli interni)– fa pensare ad una origine nobiliare, di rampollo
venuto in città per utilizzare al meglio le proprie risorse. Vede un albero (probabilmente un carpino: pianta d’alto fusto, delle betullacee
nei boschi cedui, che resiste bene al freddo ed alle potature ed il cui legno è
ottimo combustibile) affiancato da un
leone rampante (il
leone è rappresentato anche sulla balaustra al caposcala
del piano nobile).
Da allora la villa è stata occupata da questa
famiglia.
Il personaggio GB lo troviamo anche come titolare di una strada sampierdarenese (ved. Le prime titolazioni comunali,
risalgono all’anno di inizio secolo 1900; prima di allora le strade assumevano
il nome di quello che c’era in essa di maggiore rappresentatività; e dopo tale
data a molte furono confermate seguendo l’uso popolare (via s.Antonio, vico Raffetto,
via R.Parodi, ecc)).
Non si rammenta nè si hanno
documentazioni che GB abbia acquisito particolari benemerenze a livello sociale
o cittadino; quindi la titolazione stradale fu ovvia conseguenza della sua
presenza e proprietà di vasti magazzini-doks,
localizzati - sia alla Coscia che nella zona attualmente di via Avio-Molteni. Per iniziare tale impresa appare ovvio che
fosse gà ricco di famiglia – ed lo stemma nobiliare
lo giustificherebbe; ma fu anche un abile imprenditore, dimostrando essere
capace di ampliare la fortuna iniziale con due fiorenti depositi merci.
Ultima ad abitarci – con servitù – sino al decesso
avvenuto nel 1972 fu la penultima erede della
famiglia. Dopo essa la casa rimase vuota perché l’ultima erede, sposata con
l’avvocato torinese Mazzuchetti è andata a vivere nel
capoluogo piemontese (e là risiede ancora nel 2011).
Per
il Pagano/1925, era civ.4 di via
N.Bixio e si scrive
fu abitazione in affitto dell’ing. comm. sen. Eugenio
Broccardi (vedi a via CRolando).
Dal 1934 il palazzo è vincolato e tutelato dalla
Soprintendenza per i beni architettonici della Liguria
Nel 1937, per completare
via A.Cantore, avvenne una transazione amichevole tra Comune e proprietari
privati - eredi Carpaneto -: il primo espropria il giardino e fa demolire la
stretta ala a levante del palazzo, pagando la cifra dei danni; gli altri
provvedono ad erigere il porticato eretto con pietre di Finale, sarà
addossato lungo la facciata sud della villa, per restare in coerenza con i
portici di via A.Cantore; il terrazzo verrà annesso all’appartamento del piano
nobile e sarà piastrellato alla
veneziana; restaurano la facciata con una
veste neo classicheggiante, tipica del primo novecento, ed il
fastigio al sommo; avranno conservato il corpo di fabbrica ad est della
villa, lungo il quale dovrà essere prolungato il porticato.
Durante
l’ultimo conflitto, la zona della stazione fu
ripetutamente bombardata; ma per fortuna nessuna bomba andò a ledere gli
edifici circostanti Attualmente è in
comproprietà dei sigg. Mazzuchetti e Bussolati di Torino.
Nel 1985 fu primo
l’orefice Salvemini
a comperare l’ala a piano terra di sua occupazione.
Nel
1992 il piano nobile fu dato in affitto alla scuola materna statale, fino al 1996
circa (dopo che i proprietari avevano ingiunto lo sfratto), la quale era stata
intitolata al poeta dialettale Nicolò Bacigalupo.
Nel
maggio 1998,
un’ingiunzione municipale, obbligò i proprietari a restaurare il tetto e le
strutture esterne che perdevano calcinacci. Questo fu l’imput
in seguito al quale dopo qualche anno l’edificio fu sottoposto a completa
ristrutturazione esterna, ma in particolare nei vani cosìdetti
della servitù,m ovvero le parti alte, col fine di frazionarne la superficie per
due appartamenti e poterli vendere separatamente, compresa la torre. E così
avvenne.
Nel
2002 si
completò la vendita a privati della parte superiore del palazzo (la cosiddetta zona della servitù e
la torre); mentre le sale del piano
nobile, ancora nel 2006, nello stato di
abbandono, con persiane più o meno pericolanti, invasione di piccioni dai vetri
infranti, ecc. Questi vani rimasti invenduti – sono però vendibili, dopo che
sono diventati proprietà di una società milanese:
le difficoltà di
sfruttamento sono enormi e pressoché irrisolvibili se non intervengono le
autorità ad agevolare un utilizzo o una buona dose di fortuna: non solo per il
prezzo base imposto, che non conosciamo, ma anche l’assenza di posteggio auto; l’obbligo
di messa in regola CEE; vie di entrata e fuga limitate, strette e senza
ascensore; riscaldamento di così ampi vani; assenza di servizi (le cucine erano al piano superiore
e sono state vendute).
Si
dice che il lampadario del salone principale sia stato imprestato al Teatro
Modena e mai più restituito (molto probabilmente distrutto).
___________________________________________________________
2) Struttura della villa = 2a) esterno
Al
piano terra ospita tre principali attività commerciali; di esse la piùà importante è:
===civ. 34r-36r
l’entrata (le vetrine dal 26r al 32r sono sotto il porticato sino al
portone della villa; altre sono in via C.Rolando) dell’oreficeria Salvemini aperta con ampie vetrine sotto i portici e
nell’angolo del sottopasso in piazza (le volta del negozio a vela e
nicchie, sono maestralmente
affrescate con riquadri e decorazione a grottesche originali del periodo della
ristrutturazione rinascimentale, ben conservate e protette dalla
Soprintendenza; il pavimento è in legno d’ulivo; banconi, cassettiere, credenze
e vetrine sono conservate d’epoca. Il negozio è catalogato bottega storica). Il capostipite venne a Genova nell’ anno 1885 da Molfetta (laddove i familiari possedevano una flottiglia di pescherecci)
quando il futuro orafo Raffaele Salvemini era
ancora neonato: questi a dieci anni andò
a scuola da un orologiaio di piazza Ponticello, divenendo rapidamente un valido
artigiano. Viene conservato il suo banco di lavoro con piano, vetrina e
cassetti. Morì nel 1961 ed il negozio che aveva aperto, divenuto
progressivamente gioielleria specie di
argenti -anche lavorati in proprio- e di
ceramica la più pregiata in campo internazionale fu rilevato da Vito,
uno dei tre figli (con Giuseppe ed Angela). La terza generazione, composta
dalle figlie Rossella, Marina e Simona, prosegue la tradizionale esposizione
dell’oggetto basato soprattutto sul buon gusto –compresi i personali piatti di
ceramica di Copenhagen con le immagini dei comuni
liguri della quali la prima proprio la villa
Carpaneto del primo 1900-. Nel 2006
ha ricevuto l’alta onoreficenza avendo superato i
cento anni di professione. Vengono
conservati oggetti originari della propria epoca come un orologio in bronzo con
‘san Giorgio ed il drago’, un altro con mensola
decorata con motivi floreali, due pendole a muro a mercurio, un’altra con
mobile della Selvanera e due pendole in legno art decò.
Sul retro (laddove il perimetro della
villa volge un cambio direzionale, come in adeguamento all’asse viario
-apparendo una prua sporgente avanzata-)
si apre l’ingresso attuale della torre cinquecentesca,
che spicca maestosa sulla costruzione, aggiustata e ridipinta negli anni 2002-3
dopo essere stata venduta a privati (assieme al piano alto ex della
servitù, ai Mantero pasticceri in via A.Cantore). Apparendo appunto cinquecentesca -e la villa invece
del secolo dopo-, si avvalora l’ipotesi della sovrapposizione della struttura
attuale ad una precedente più fortificata; dalla sommità della torre, appaiono
le botole esterne per uso difesa in caso di assedio.
2b)
interno
il
portale, a sud, circondato da
pietre bozzute e bugnate, appare ancora ben conservato; nulla di
maestoso per una villa e –stranamente- piuttosto stretto.
Introduce
in un ingresso anche lui piuttosto ed altrettanto stranamente angusto (a
meno che non sia stato modificato da ristrutturazioni posteriori),
soffitto scala
per
raggiungere presto la scala altrettanto stretta ma così originale
essendo decorata sul soffitto; porta al
piano nobile che raggiunge, delimitata
dalla balaustra marmorea
Al
sommo della scala, un capitello in marmo completa la balaustra che
delimita la sala dalla scala; ha le caratteristiche stilistiche antecedenti
alla villa e quindi presumibilmente appartenente alla precedenti strutture (è stato
oggetto di tentato furto, ma abbandonato distaccato, forse per l’eccessivo peso
non previsto).
il leone qui riprodotto è parte
dello scudo
dei Carpaneto
Al piano nobile La stanza di arrivo
salendo le scale, corrisponde probabilmente alla antica loggia, aperta a
levante e mare; tamponata nei secoli successivi. Il vano ha volte a crociera e arcature su lesene doriche
ed il soffitto riccamente decorato con riquadri e tondi a colori vivaci
presumibilmente relativi al riordino dell’800.
Ai
fornici della loggia corrispondono oggi ampi finestroni
(esternamente con balaustrini in marmo e decorazioni a stucco) o tamponature.
Caratterizzano i saloni interni, le porte comunicanti, alcune decorate
di marmo nero altre con stucchi.
A ponente della loggia, si apre il salone.
Poiché nessuno spiega perché lo Strozzi non lo abbia decorato lui, ci lanciamo
in una spiegazione analogica: lui iniziò da ponente con le tre stanze più
piccole laterali, con l’intenzione di finire col salone: cosa che non avvenne
per le difficoltà intercorse raccontate sopra nella vita dello Strozzi;
cosicché il salone rimasto nudo, infine fu decorato dal De Lorenzi
quando la proprietà non era più dei Centurione, dimostrato dallo stemma del
leone rampante dei Carpaneto. Quindi,
più tardiva l’opera di De Lorenzi (dai più, non si specifica il nome – forse proprio
perché non si sa - se Lorenzo o Achille
– vedi sopra alla villa Centurione di piazza del Monastero) che dipinse la
volta del salone, disegnata a vasto sfondato architettonico, con le immagini di
un altissimo porticato che offre l’impressione di alzare ulteriormente il
soffitto.
Altri
tre salotti furono invece antecedentemente decorati, rispettivamente con
tre affreschi diversi nel soffitto, su ordinazione di Filippo Centurione, da
Bernardo Strozzi
Vedi sopra, la sua
biografia. Grande produttore di tele, i nostri tre soffitti rimangono - dopo la distruzione della chiesa
di san Domenico ed il grave ed illeggibile deperimento -e sottrazione alla
vista da una controsoffittatura- in palazzo Branca
Doria, allora abitazione di Gio:Stefano Doria – in piazza s.Matteo,
Genova- l’unica - quale completa - testimonianza attuale
dell’attività affrescante dell’artista.
Recentemente Poleggi scrive per la
villa Lomellino oggi in via Garibaldi, 7 (poi dei Centurione): «Infine
recenti i brani di affreschi quasi certamente di Bernardo
Strozzi, impegnato nel palazzo di villa a san Pier d’Arena, e affittuario di
una casa del committente Centurione collocata in un isolato vicino».
Nel 2000 Marcenaro
riferisce che due studiosi tedeschi, guidati da documenti del 1623 che
certificano di tre stanze lavorate
“nell’appartamento da bassosopra al
portico”, hanno trovato tracce visibili
agli infrarossi: in una stanza, di una ‘Giustizia’, ovvero di una donna seduta
con spada; in altra stanza di un volto di donna-una
mano con calice-un putto biondo; in una terza di alcune figure nelle lunette. Dovettero non piacere al proprietario che gliele fece
rifare più volte ed infine non vennero completate dal frate, facendo nascere
nel nov.1625 una vertenza legale che –per sua
supplica- riconosceva «...non potendo stare in lite dove il m.co
sig.r Luiggi pretende
tirarlo, stante che non ha forze di poter resistere a un paro suo essendo esso
povero....». Però scrive che il committente, sia per SPd’A
che per Genova, fu un Luigi Centurione
(negli atti è chiamato Lodisio Cent.no), ed il frate lo chiama ‘capuccino’
in italiano –Zingarelli- non corretto).
Nel aprile 2004 Simonetta Ronco
sul Secolo XIX attribuisce alla studiosa
statunitense Mary Newcombe Schleier
l’intuizione degli affreschi dello Strozzi in palazzo Lomellino
ma a quel tempo di prorpietà di Luigi Centurione;
assieme all’arch. Merlano fu compiuto un ‘assaggio’ al primo piano.
‘Prevalgono
le tinte chiare, come bagnate da luce cristallina’ e
non con prevalenza del chiaroscuro
piuttosto accentuato, come dovevano essere gli affreschi di san Donato:
l’amicizia e la frequentazione dell’Ansaldo, ambedue allievi dell’Accademia del
disegno istituita nella propria dimora da GioCarlo Doria, sembrano poter
essersi influenzati reciprocamente nello stile dell’organizzazione dello spazio
e nella tipologia di alcune figure.
Come d’uso
a quei tempi, si leggono interpretazioni simboliche,
dettate dal committente, di esempi di abnegazione dove il “dovere” prevale
sulle passioni emotive- sino anche al sacrificio dell’amore (Enea e Didone) e
della vita (Orazio Coclite e Curzio Rufo)-. Non si è sicuri, e controversa, la datazione dei nostri dipinti: alcuni critici
mirano agli anni tra il 1624-5; altri anticipano
al 1617 e, -Gavazza, Terminiello ed altri al periodo
1613-15, sulla base di svariate considerazioni stilistiche, basate sugli accostamenti dei colori -giudicati assai vivaci, molto
contrastanti, quasi asprigni-, e sui caratteristici chiaroscuri periferici che
esaltano con una luminosità centrale intensa
e diffusa le immagini centrali degli eroi. Questi affreschi, sono contornati da grottesche cinquecentesche e da lunette,
illustranti paesaggi di cittadine liguri vicine al borgo (altri scrive ‘di
ispirazione nordica’, opere di Lorenzini (E.Sonzogno cita un Antonio
bolognese, 1665-1740; ed un Lorenzo di Forlì del secolo XVIII); e da grottesche capaci con le loro
leggiadre sfumature di evidenziare maggiormente il riquadro stesso. La critica è concorde nel dare a questi
affreschi una importanza considerevole nell’evoluzione stilistica sia dello
Strozzi (trapasso dalla fase genovese al “settecento veneto”), sia di tutta la
pittura ligure.
Rappresentano :
panoramica
de “Enea e Didone nell’antro”,
particolare al centro del soffitto
nella prima sala laterale,
più a occidente,
“Orazio Coclite che in lotta contro gli etruschi , difende il ponte Sublicio” (il bozzetto è conservato a Londra dalla collezione Denis Mahon);
nella sala più orientale,
“Curzio Rufo, cavaliere
romano” il quale vedendo le matrone romane gettare
inutilmente i loro monili nella voragine, sperando di così chiuderla, vi si
precipita col cavallo.
Da notare i
costumi ed i monili sfarzosi delle dame
Un
quarto salotto, quadrato, fu decorato da Domenico
Fiasella
(detto “il Sarzana”) è l’ “allegoria della Fama”; che -volando oltre una
balaustra- richiama agli antichi valori rappresentati da quattro nicchie con
altrettanto ritratti di avi di famiglia, purtroppo anonimi e quindi di
impossibile
attribuzione.
Ultimo
salotto comprende un affresco in buona parte rovinato dall’umidità con
raffigurate figure mitologiche
Il
giardino, nel seicento era molto vasto, esteso solo verso sud, ed arrivava
direttamente sino al mare ricco di oltre 500 piante, molte di esse
esotiche; un lungo viale centrale
portava dalla casa al giardino e poi
alle aree coltivate ad orto, vigneto,frutteto e boschetti.
Nella metà del ‘700, si aprì una nuova
strada (via San Pier d’Arena-Pacinotti) per iniziativa del nobile G.B.Cambiaso;
nella metà del 1800 l’apertura della ferrovia determino gli espropri anche per
l’affiancato asse di via Vittorio Emanuele (inizialmente detta “strada reale per Torino”: via Buranello-Reti-Fillak-oltre): tutto questo gradatamente stravolse l’idilliaco giardino, tagliato
dapprima al mare, indi a metà e invaso da una edilizia ossessiva nel periodo a
cavallo 1800-1900, per cui rimase conservato solo il triangolino antistante la
villa. Come già detto, l’apertura di via A. Cantore determinò la separazione
definitiva dalla villa, relegando l’ampio spazio a banali aiuole, con
belle magnolie, oggi un po' vecchie e
sofferenti, intossicate dai gas di scarico dei veicoli e dallo sterco acido dei
piccioni.
DEDICATA al ricco e munifico mecenate, amministratore comunale, figlio di G.B., nato a San
Pier d’Arena nel 1825.
Il
cognome e casata Montano
ha origine storica legata alla provenienza nel 1400: dei montanari
dell’entroterra cittadino. Appaiono già attivi in Genova, come firmatari di un
documento datato 25 dicembre 1173, originari nella zona di Quarto. Furono
stabilmente presenti in Genova dal 1300 in poi (vengono ricordati tra i
componenti un comandante di galera, ed un membro del Collegio degli Anziani). Nel 1528, la famiglia viene ascritta all’Albergo
dei DeMarini. Avevano un’arma d’argento, un leone rosso tenente una lancia nera
bandierata d’argento con croce rossa.
La
sua famiglia nel
1908 gestiva un negozio o/e grossista di olio d’oliva (e forse
saponificio; sono citati in quell’anno un Montano Antonio e Figlio ubicati in via C.Colombo al civ. 14; ed un
Montano Nicolò fu GB nella stessa via al civ.19), e nella quale attività fu avviato, per continuarne
la professione.
Non
so se è di questa famiglia la proprietà che compare in alcune mappe (vedi ‘il don Bosco-pag.57) del 1890, intestata a Montano; con strada
-corrispondente a via Ardoino- chiamata ‘passo Montano-Negrotto;
posizionati all’apice est-nord-est rispetto la proprietà dei salesiani. Che nel 1905 diverrà proprietà Moro,
e 1906 vedova Moro.
Nel 1841 lo leggiamo studente presso gli Scolopi genovesi, compagno di scuola
di Goffredo Mameli e Lazzaro Romairone e con loro
vincitore: nei ‘saggi letterari di comporre’ di Rettorica (gli studenti scrivevano prosa o poesia, latina o
italiana, di argomenti storici, sottoponendosi poi a domande ed obbiezioni); nello stesso anno compose e lesse un sonetto sul
concetto ‘ultima e prima’ durante un trattenimento
accademico; lesse pagine delle Sacre Storie in latino, traducendo e dandone
spiegazione, in un saggio semipubblico; ottenendo ‘honesta
mentione digni ‘ nella gara
di grammatica).
Probabilmente
fu lui che ampliò l’attività del padre, divenendo uno dei piccoli uomini
d’affari-industriali del sapone, nella cui fabbrica lavorarono numerose
persone.
Citato
(come “Niccolò) nello statuto del 1857 del teatro Modena -stilato
nel ridotto del teatro per la suddivisione dei palchi tra i “soci-palchettisti”
- (nella sua qualità di sostituto causistico e
proprietario, nonché come procuratore del negoziante Sebastiano Dallorso).
Nominato
cavaliere, e nel 1865 –al conferimento del titolo di città- fu sindaco di San
Pier d’Arena (sicuramente dal 1865 al 1872; fu poi sostituito da L.Balleydier);
membro del consiglio provinciale nel 1869 eletto nel mandamento di Rivarolo;
presidente e benefattore dell’ospedale civile (è del 12 gen.1875 un suo invito ai concittadini perché si facesse
appello alla loro beneficenza pro ospedale; era ovvio che la sovvenzione annua
destinata dal Municipio -seppur munifica e di alto valore morale- non era
sufficiente, ed occorreva ricorrere a sottoscrizioni, doni o promozioni: venne
organizzata una ricca fiera a Belvedere che porterà un utile di lire 12.760,81;
ed è del mag.1881 la donazione personale di mille
lire per onorare la memoria della moglie), e dell’opera di don Bosco (fu padrino
d’onore-e la moglie madrina- del primo battesimo amministrato nella rinata
chiesa di san Gaetano).
A sue private spese, aprì un asilo e partecipò all’apertura dell’ospedale stesso
nella villa Doria-Masnata, allora aperta in via NDaste,
oggi in via Cantore
Alla sua morte nel 1882, i familiari il 13 ott donarono. all’ospedale
mille lire.
Nel sottoscrivere
il contratto tra Municipio ed OEG nel 1897 (vedi), compare un Eugenio Montano
fu Nicolò, nato a SPdA, tesoriere municipale – il
quale su fiducia del sindaco Malfettani, ritira un
anticipo di seicento lire.
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non citato da Encicl. Sonzogno
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+ 7/79.1.11 +
6/81.6 + 5/82.10
+ 1/83.3 +
1/89.9 + 9/90.14
+ 6/92.4 +
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+ 3/94.9 +
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