MILLELIRE                                             salita  G.B. Millelire

 

 

 

TARGHE:

salita – G.B.Millelire – contrammiraglio – 1803-1891 – già salita Ugo Foscolo

                                                            

in basso all’angolo con via Vicenza

 

 

apice, di fronte al Santuario

 

 

 

QUARTIERE ANTICO: Belvedere

 da MVinzoni, 1757. in giallo via Vicenza; in verde ipotetico tracciato della crosa sino al santuario di Belvedere, ma che ancora non esisteva eccetto dal Santuario alla casa sottostante.

N°  IMMATRICOLAZIONE :   2803

  

da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA – n° :   38620

UNITÀ URBANISTICA: 24 – CAMPASSO

                                           25 – SAN GAETANO

 da Google Earth 2007. In celeste via Vicenza: fucsia, corso Belvedere

CAP:   16151

PARROCCHIA:  (civ.1)= s.G.Bosco  --- (dal 21 al 57, e dal 16 al 22)= Belvedere

STRUTTURA: da via Vicenza a corso Belvedere, sfocia nella  piazzetta antistante la chiesa.  Era un’erta crosa, solo pedonale o –anticamente- mulattiera, escluso l’ultimo tratto che dalla chiesa porta allo stadio Morgavi, che è stato asfaltato e doppio senso veicolare. 

STORIA della crosa:   

===LA ZONA = quando la strada romana, e poi ancora nel medioevo, passava in quota ove ora è il cimitero, ben poche erano le necessità di collegare in forma più diretta il colle con la sottostante spianata verso il torrente; non si esclude però che per dei muli o viandanti frettolosi, il sentiero già  esistesse a quei tempi in uso prevalente di ‘scorciatoia’ per collegarsi con il Campasso, ed a uso locale.   Il colle di Belvedere ha il nome che evidenzia la caratteristica della località: “Bellovidere” era per la posizione dominante sull’amena spiaggia,  ricca di orti e frutteti, con la vista che spazia dal mare ai monti alpini lontani, e più vicino Coronata e la Guardia. É quindi possibile che da epoche lontane fosse in atto una scorciatoia per arrivare lassù, o anche al Santuario nelle festività, senza fare il lungo giro dal centro paese. Però è mai citato; e nella carta settecentesca –ripresa poi dal Porro- c’è un tratto verticale che potrebbe essere interporetato come sentiero.

C’è comunque, nella carta settecentesca su detta (visibile alla “via al Molino Tuo”), in “area Cicala” la villa che ora è il civico 2 della salita; e che tutto lascia prevedere sia stata villa della famiglia.

    

inizio della salita             ingresso della Società e sbarramento della crosa   la crosa come proseguiva anni 70

 

===LA CROSA = Più  frequentata, ed allora già pavimentata a crosa, mattoni e ciottoli, la troviamo da  quando fu costruito il forte di Belvedere.

   Questi fu approntato – inizialmente non nella forma attuale, che risale al regno  Sardo, ma con struttura primitiva di semplice ‘fortificazione’ nella ‘zona della Palmetta’ (ovvero tutto il fianco di ponente della collina). Nell’assedio austriaco del 1800 a Genova governata da Massena, per fronteggiare le truppe stanziate a Rivarolo, veniva senz’altro comoda una stretta e ben difendibile strada che scendesse dal colle al Campasso.

   Quando Genova cadde sotto le grinfie del regno Sardo, la strada assunse il nome di: “salita  forte Belvedere”. Una carta del 1881 ben evidenzia l’erta stradina con questo nome. 

  Risalgono alla seconda metà del 1800 l’arco di casa, proprietà della società di MS, sotto cui passa la crosa nel suo inizio a salire ed il ciotolato a gradoni con mattoni centrali.

   Cinquant’anni dopo (poco dopo il 1910), la Giunta municipale decise l’annullamento di questo nome ed il passaggio del titolo a “salita Ugo Foscolo” ( quando la strada di inizio in basso era ancora via del Campasso, non come ora aperta alla strada principale, ed invece si prolungava comprendendola nell’attuale via Vicenza; difatti per il Novella, nei primi anni del 1900, la salita inizia da via Ugo Bassi (via Campasso) in località san Martino. E tale era ancora nel 1933.

   Nel 1935, il 19 agosto, con decreto  firmato dal podestà, divenne “salita G.B.Millelire”.

   Per i sampierdarenesi della generazione 1900, volgarmente,  è la “möntâ do Römpicollo“. Ricordiamo che prima di quella data, il nome Rompicollo era dato ad una crosa nella valletta di san Bartolomeo (vedi a Rompicollo). Lamponi riporta una curiosa interpretazione tratta dal quotidiano ‘il Caffaro’ del 1 giugno 1924 nel quale l’articolista presuppose la arrancata di qualche archibugiere di Luigi XII o degli Sforza inviato per porre assedio alle mura e che – smaccato dalle difese – scappò a dirotto lungo il sentiero e  ‘si fiaccò il collo’. Ma ai tempi del re francese  - e come detto sopra- la salita Rompicollo (vedi) era a partire dalle attuali via san Bartolomeo del Fossato per arrivare alla Porta degli Angeli.  

   Non precisato in quale casa, ma nella via nacque il famoso maestro d’orchestra Riz Ortolani.

   Al di sopra del sottopasso, iniziò negli anni ’80 la ’zona drogati’, scioccamente usi ad abbandonare a terra siringhe, fiale, cucchiaino e lacci, con complicazioni conseguenti: va e vieni di soggetti poco raccomandabili e se in crisi o per taluni ricerca immediata dei soldi per acquistare la dose (borseggi e minacce), anche pericolosi; con aumento della microcriminalità zonale; ogni tanto overdose da soccorsi immediati in un posto impervio; infine un incendio impossibile da affrontare con gli automezzi e quindi pericoloso per gli immobili vicini. Tanto da generare una campagna di ribellione e rifiuto da parte dei cittadini del quartiere e della società di M.S. (circolo Arci - allora presieduto da Luciano Carboni.

Nel febbraio 1987 il ‘comitato per salita Millelire’ dopo proteste, petizioni, prese di posizione da parte dei Verdi nel Parlamentino della Circoscrizione (presidente Pietro Pastorino), decise un’azione di volontariato: un sabato mattina quindici volontari, forniti di attrezzatura dalla Nettezza Urbana, fecero opera di repulisti da sterpi, siringhe (a migliaia), detriti, ecc.

 

     

foto Gazzettino Sampierdarenese

 

                     

                            

Ma dopo ulteriori promesse di bonifica, la decisione ‘in alto’ (sindaco Romano Merlo (6 ago 1990-sett.92) fu salomonica e devastante: dal 19 settembre 1991, ordinanza di chiusura.

   Il non più passaggio, favorisce la crescita di sterpi, rovi, alberelli che diventano alberi le cui radici sconvolgono il selciato, la caduta di massi dai muretti, l’uso a pattumiera degli inevitabili ‘onesti cittadini che pagano le tasse e che insegnano a vivere ai marocchini’ ed ecco così carcasse di lavatrici, materassi, rumenta. Per la crosa invece: la morte.

Vanto, e gioia di avere una simile antica crosa vengono annullate da rabbia e rancore per i provvedimenti presi a suo tempo, a firma del sindaco Merlo:  non è l’unica strada pubblica di Genova chiusa a tutti, da due cancelli; praticamente annullata come se non esistesse più, dopo aver sopravvissuto a tutte le cose belle e brutte del borgo e della città per mille e più anni, ben peggiori delle attuali. Una vera crosa  alla genovese, antica; una delle rarissime non ancora soggette alla correzione con l’asfalto, abbandonata a sé, alla natura invadente, alla cattiveria, ignoranza  e menefreghismo degli uomini ‘civili’. Dapprima l’hanno chiusa perché dicono qualcuno si era lamentato essere ritrovo -(come lo divenne anche  piazza Cavallotti, che per fortuna ! non hanno chiuso) -di drogati che si bucavano; l’ordinanza del Sindaco – pare su proposta del circolo Arci vicino - è stata un provvedimento - a dirlo educatamente - sciocco: uno stupido  “tappullo”, come se chiudere la strada avesse fatto cessare l’orrore di queste scelte: ha solo spostato i ragazzi in altra sede. Così poi l’incuria ha fatto cadere dei muri laterali, la natura vi ha fatto crescere erbacce ed alberi, alcuni abitanti della zona  -infime e primitive persone- l’hanno usata per pattumiera.

Su un Gazzettino S  viene riferito che nell’ anno ‘79 fu programmata dalla civica amministrazione una cifra di 300 milioni per il ripristino della strada; ma il Consiglio di Circoscrizione  ritenne opportuno dare altre priorità a quella cifra, rimandando ‘sine die’  la gara d’appalto, col risultato che i soldi  furono spesi altrove; e nell’anno dopo, per gli stessi lavori fu prevista necessaria una cifra doppia, con ovvio altro rinvio ‘sine die’; nel 1980 lo stesso Gazzettino scriveva che “questa strada, inserita nella toponomastica, si chiama ‘millelire’ ma dovrebbe chiamarsi ‘mille vergogne’; nel 1986 l’appellativo era ‘diseredata’ o ‘derelitta’. Poi più nulla fino al 2002 quando venne presentato il progetto di ricupero e di rivalutazione dei forti, nel quale è stato previsto il riutilizzo della crosa (come al solito, i soliti dissacranti e ‘venditori di novità pur di farsi notare’, pare uno progetto universitario, abbiano pensato ad una cremagliera al posto dei mattoni e ciottoli, prevedendo così una spesa di poco superiore a quella di un ripristino stradale ed ‘a basso impatto ambientale’, ma così che il rispetto dei valori sarebbe... egualmente servito).

   Su secolo XIX del 2002 fu data –due volte- piccola risonanza a similare ‘effetto cancelli’, adottato per vico s. Raffaele, vico Usodimare, salita della Rondinella, vico Neve, con tutta una massa di persone a favore ed altrettanti contro. = nel 2009 a Genova esistono 18 caruggi sbarrati da cancello. Un apposito comitato (Coo.Comi.Ge), riunito in san Siro,  ha esordito con la frase “non si risolvono i problemi sbarrando una via con un cancello”.  

 

Forse, perché è a Sampierdarena, dove malgrado se ne parli ogni tanto, nulla s’è fatto: ho il sospetto che se fosse stata a sant’Ilario ...ma il 23 marzo 05 si legge sul SecoloXIX che anche là si sentono ‘dimenticati’: creuse in  degrado, strade che non son più tali, stradine o torrenti sono sinonimi. Ma allora... È una vergogna infatti, per tutti coloro che gestiscono le cose pubbliche: dalla delegazione alla più alta carica del governo locale.

 

CIVICI   

UU24=NERI da 1 e 3     e da 2 a 4                      ROSSI     da 1 a 5

UU25=NERI     7  e  9

 

===civ. 2:  Nella carta su citata, la villa appare in “area Cicala”; e lo stesso, più dettagliata ma all’estremo del disegno, nella carta del Vinzoni del 1757, attribuita ai mag.ci Cicala. Per i succesivi proprietari, Rovereto e Bertelli, vedi subito sotto alla Società di MS.

Oggi vi è ospitata la società di M.S. Fratellanza ed Amicizia; come la Spataro, è federata ARCI. Nacque in un modesto locale di via Milano nel lontano 1 ago.1893, come “S.M.S. Fratellanza, Amicizia, Speranza e Concordia” (nell’opuscolo della Società edito nel 93, gli ultimi due aggettivi non sono segnalati; sono aggettivi di origine giacobina, propagandati da Mazzini per le esigenze degli operai nel loro costante vivere in situazioni di intenso e grave disagio,  quando lo spirito animalesco ed aggressivo dell’uomo avrebbe potuto prevalere sulla logica democratica); era rivolta a tutta la gente locale che lavorando sapeva quant’era duro sopravvivere senza questi principi basilari dettati da Mazzini e rivendicati poi dal socialismo:  aiutare i soci malati o in disagiate condizioni economiche - a quei tempi in cui non esistevano le mutue né cassa integrazione - nonché promovendo, diffondendo  ed organizzando attività culturali, ludiche, e ricreative (il quotidiano Caffaro del gennaio 1898 descrive la partecipazione dei coristi della società, al Ristori: cantarono in una operetta, con tema i costumi ed indole dei sampierdarenesi, ambientata nei bagni sulla spiaggia).

 

 

    Solo il 17 ott.1909 la costituzione della Società fu legalizzata presso un notaio, ottenendo così il riconoscimento giuridico (e fors’anche il suo statuto, ma di questo non rimane traccia documentabile). Il 9 mar. seguente acquistarono per 30mila lire (sul Gazz.S è scritto 27.000; comunque 15 mila di mutuo, con autorizzazione del re Vittorio Emanuele III) dalla fam.Bertelli la nuova sede in salita al forte di Belvedere, località Palmetta, frazione san Martino: un pianoterra e 2 piani superiori, cisterna, piazzale e terreni, cintati,  e confinanti con le proprietà del marchese Negrotto. Nel Gazzettino S. si cita esistere nella salita  “l’ex palazzo marchese Rovereto”: non so dove è stata tratta l’informazione e forse fu questa la loro primitiva proprietà, ma la credo errata in quanto nella carta del Vinzoni del 1757 i “mag.ci Rovereti” occuparono un vasto terreno, ma posto a mare rispetto l’abbazia di san Martino (oggi compreso tra via C.Bazzi e via Armirotti) a meno che la casa non sia stata una di quelle molto vicine al Santuario nella parte alta.

Nel 1911-12 l’ing. APetrozzani progettò di sopraelevare e ristrutturare la sede, decorando anche la facciata con due lesene laterali ad incorniciatura ed una estesa fascia floreale sottotetto***

Con l’avvento del fascismo, la società per sopravvivere dovette aderire all’ “Opera nazionale dopolavoro”, con l’obbligo di averne la tessera di iscrizione, la possibilità di munirsi di una propria bandiera, ma modificando lo statuto in cui furono sostituti i termini mazziniani di reciproco soccorso, moralità, miglioramento ed emancipazione sociale, con i proponimenti  socialisti di cameratismo, mutualità (malattia-pensione-morte) e finalità differenti educative, morali non amicizia, ma ‘tanti nemici, tanto onore’ .

Ma la dittatura, divenendo sempre più pressante, il 14 apr.1934 , obbligò a  fondersi con la consorella “A.M.S.Muzio Scevola” (nata nel 1904, anche loro all’insegna della fratellanza ed amicizia, con sede in via della Cella), e ad assumere il nuovo nome di “Soc. MS Pietro Ballerini” (un sindacalista, probabile vittima-martire dell’ideologia fascista), uniformando statuto, attività e metodologie alla nuova realtà politica. Ciò non fuorviò lo scopo ed i principi basilari della società, tanto è vero che dei soci, i più poi,  furono  attivisti partigiani ed antinazifascisti. Nel 1937 si legge che la squadra di canto popolare di val Varenna, fu ospitata nella sede del dopolavoro Ballerini per una esibizione; su “il Giornale di Genova” del giorno 20.4.40 si leggono le disposizioni per celebrare il ‘Natale di Roma‘: la “squadra di canto del dopolavoro P.Ballerini  parteciperà al ‘raduno organizzato dal Dop.G.F.”A.Mussolini” di Genova-Sampierdarena in località Belvedere”. In quell’anno, al civ. 2 era ospitata anche la Assoc. Naz. Alpini – Belvedere.

Nel 1946 fu ripreso l’antico nome e nel 1950 fu scelta la nuova bandiera sociale; nel 1977 fu redatto il nuovo ed ultimo statuto. Nel 1990 (97° anniversario sociale) fu inaugurato il nuovo vessillo.

In una sede decorosa di 14 locali, seppur cambiate alcune attività perché cambiati i tempi, si organizzano serate danzanti (sia all’interno che all’esterno),  giochi a carte o al biliardo,  riunioni culturali, incontri sociali; si può usufruire di un bar e di un ‘cantinone’ per incontri, giovanili o conviviali. All’esterno, su tre (sul Gazz.S è scritto cinque) campi appositi, tornei di bocce o bell’aria nell’ampio giardino. Sulla facciata della palazzina si leggono tre targhe commemorative applicate dopo l’ultima grande guerra.

Soprattutto - per i più o meno duecento iscritti- si conserva e si nutre lo stesso spirito iniziale.

===civ.3 fu assegnato nel 1953 ad una nuova costruzione.

=== il Forte Belvedere. È accessibile dal cancello a sinistra che scende alla base esterna, ora area cinofili e, una volta era il fossato che circondava le mura; e da quello a destra che oggi fa raggiungere il campo sportivo.

Come ‘forte’ vero e proprio, quello attuale, nacque nei primi decenni del 1800 e fu mai utilizzato.

Inizialmente, a 114 m/slm. (Badino, pag.46 scrive 129; Tuvo-Camoagnol pag.182 scrivono 120; altri lo collocano a 215 ove invece è il Tenaglia), sul crinale degradante dal colle omonimo sporgeva verso occidente uno sperone -fatto a contrafforte naturale- che fu usato anche nel 1747 come fortilizio, compreso nella linea trincerata la quale, dal Crocetta scendeva a fondo valle.

   Come ‘postazione militare’ era già efficiente nel XIII-XIV secolo, anche se non strutturato come oggi.  Durante le aspre lotte tra guelfi e ghibellini,  era un punto di riferimento militare  a guardia del ponente e dell’entroterra polceverasco (le suore agostiniane che avevano scelto l’altura di Belvedere per ritirarsi in preghiera, causa gli scontri tra civili e le bande di bravacci minacciosi, dovettero abbandonare la loro chiesuola lasciando che subentrassero i frati della loro stessa congregazione).  Acquisì importanza nel 1507 quando Leonardo Monteacuto tentò inutilmente di arginare l’esercito di Luigi XII (il re fu ospitato al Boschetto di Cornigliano prima di entrare in città). Il re francese, assai irritato, aveva posto tutta la val Polcevera a ferro e fuoco; ed  entrato in Genova, fece giustiziare il doge Paolo da Novi e costruire la Briglia (la logica militare di quei tempi, specie se l’invasore era organizzato attraverso l’uso di leve mercenarie -quindi scarsamente  combattive  ed alla prevalente caccia di bottino- richiedeva un sistema difensivo tendenzialmente elastico, basato sul cercare di  frenare il primo impatto del nemico ed impedirgli di arrivare in forze sotto le mura a porre un assedio; ma questa ovvia tattica fu inutile di fronte alla globale superiorità francese. Dopo la guerra il fortilizio divenne ben presto obsoleto sia per la solita carenza economica a mantenere le strutture, sia per il timore di creare un valido baluardo esterno alle mura che -se catturato- diveniva un grave punto di forza per il nemico, specie dopo con le mura portate dalla Lanterna agli Angeli e quindi più vicine e vulnerabili; sia anche e soprattutto per il continuo evolvere delle tecniche e delle armi impiegate).

Fu anche Luigi XIV a coinvolgere le truppe del fortilizio, quando nel 1684  (dopo aver bombardato Genova dal mare per cinque giorni, sparando migliaia di bombe in città, dove molte case ancora di legno, bruciarono aumentando il caos),  tentò uno sbarco con tremila uomini, sulla spiaggia di San Pier d’Arena-nonché al Bisagno ed Albaro-: ma le armate genovesi, scese dal fortilizio ed aiutate dalla popolazione stessa esasperata, costrinsero gli attaccanti a ritirarsi e reimbarcarsi. Ciononostante Genova dovette capitolare e l’umiliazione più grave fu il viaggio a Parigi del doge (il famoso “mi , chì” al quesito del sovrano di cosa di più lo avesse meravigliato a Versailles).

   In conseguenza di questa bruciante sconfitta, il Magistrato di guerra arruolò alcuni ingegneri con provate esperienze militari, per predisporre le difese (non solo di Genova, ma anche di Gavi, Alessandria, Serravalle ecc. considerata sempre prioritaria la necessità di predisporre delle fortificazioni a corona allo scopo di  creare ostacoli -i più validi possibili- prima che il nemico potesse porre un assedio): in particolare, più validi si dimostrarono il capitano Pierre DeCotte (al lavoro dal lug.1745) e l’ingegnere - in grado più elevato nell’esercito spagnolo  - don Jayme Sicre (o alla francese Jacques de Sicre o Sicher, al lavoro dal nov.1745).

Dall’apr.1747, la zona fu ristrutturata dal DeSicre, aiutato da un gruppo di ingegneri francesi (Morel de Conflans, Vialis, Verrie, Dibusti; Rocher gravemente malato, morirà ai primi di maggio):  San Pier d’Arena fu tutta circondata da multipli trinceramenti lineari, dal Crocetta sino al Polcevera,  e Belvedere divenne un caposaldo avanzato difensivo, volutamente molto elastico ma nel contempo punto fermo difficilmente superabile da eventuale nemico attaccante, munito di 12 pezzi di grossa artiglieria in parte piazzati vicino alla chiesa ed in parte negli orti sottostanti, protetti da parapetti: un presidio controllato da alcuni picchetti di “truppa regolata” costituita soprattutto da paesani, e da arricchire -all’occorrenza- con un migliaio di uomini e con la protezione dal Tenaglia, il tutto sotto la suprema direzione del Commissario generale Gaspare Basadonne che, nel convento attiguo aveva il suo quartiere generale: chi avesse posseduto questo crinale, avrebbe avuto la capacità di decidere e coordinare la difesa o l’attacco della città, dal ponente: attaccanti furono in quell’anno, dal 12 giugno,  gli inglesi dal mare e 60mila imperiali austriaci da terra, guidati dallo stesso Botta Adorno di ritorno dall’umiliante ritirata legata alla ribellione (5 dic.1746) alimentata dal Balilla: appostati a Cornigliano, e sulle colline di Sestri e  Coronata, da là potevano controllare la strada a ponente e bombardare il borgo di San Pier d’Arena favorendo l’appoggio alle fanterie -lanciate tramite il ponte e lungo la Polcevera- contro le difese (25mila uomini per tutta la città). Come previsto l’attacco austriaco si infranse progressivamente lungo i trinceramenti periferici, senza mai intaccare la città. Dalla postazione di Belvedere, trincerata in gabbioni di terra collegati con camminamenti ed utilizzando case e muri esistenti, contrapposta a Coronata,  vi fu solo un fitto scambio di tiri di artiglieria  che causarono però gravissime perdite in entrambi i campi (già assottigliati pure dal vaiolo), facendo perdere però all’attaccante il vantaggio del primo impeto e creando una situazione di stallo -per fortuna lontano dalle mura. Ciò malgrado, la situazione genovese lentamente volgeva al peggio  quando per fortuna all’improvviso, nella notte del 5 luglio, l’esercito austriaco dovette togliere spontaneamente l’assedio per andare a fronteggiare i francesi in arrivo dal Monginevro, spostando là la zona di guerra.

   Così, alla luce delle nuove tecniche di guerra,  dodici anni dopo si preferì  armare in miglior misura il forte Tenaglia (più lontano da Cornigliano, con maggior raggio d’azione essendo più in alto in quota (a 217 m/slm) e con muri più protetti), ritenendolo quindi più idoneo ai nuovi sistemi di difesa contro le nuove potenti armi di offesa.  Il fortilizio di Belvedere rimase disarmato, ma primo punto di riferimento per tutti i trinceramenti e ridotte -tra loro comunicanti- fatti, poi distrutti, poi ristrutturati, che dal Tenaglia arrivavano sino al Polcevera. 

   Fu il maggiore Michele Codeviola, nel 1780, ad auspicare al Magistrato delle Fortificazioni la costruzione di un vero forte sul crinale di Belvedere quale necessario ampliamento della catena difensiva esterna: ma come sempre, appena passata la bufera, le buone intenzioni si infransero contro l’economia, la burocrazia, le mille opinioni diverse che facevano accantonare i progetti.

   Nel 1797, quando Genova decisamente fu coinvolta nell’orbita francese, contro essi si sollevarono dei popolani della Polcevera: i rivoltosi furono guidati verso le mura, ma prima che vi si avvicinassero  furono affrontati e decimati dal generale Duphot, in un breve scontro proprio nelle terre del Belvedere; sottolineando l’importanza della posizione, se non altro come osservatorio avanzato sulle posizioni nemiche.

 

il colle ed il forte, visti da Coronata (ove erano insediati gli austriaci nell’assedio)

in alto a sinistra, il forte visto dalla torre di palazzo Serra-Monticelli

   A dar ragione al Codeviola provvidero anche i fatti successivi: fu da questo caposaldo fortificato che il 22 apr.1800 agli inizi del famoso assedio di Massena, due battaglioni francesi attaccarono il reggimento austriaco comandato dal colonnello Nadasky, che da Cornigliano si era avvicinato  lungo la marina fino quasi al ponte levatoio della Lanterna, superando di slancio le difese franco genovesi di San Pier d’Arena nel tentativo -progettato dall’Hohenzollern- di un colpo di mano a sorpresa. Furono ricacciati verso il Polcevera,  lontano dalle mura, prendendo prigioniero il colonnello. E come cento anni prima, fu da qui -contro le postazioni nemiche attestate sul colle di Coronata- che si scambiavano colpi di artiglieria pesante. Così -sino alla fine dell’assedio- la posizione fortificata fu provvidenziale aiuto nel tenere lontano dalla città le truppe nemiche (ma a significato della esasperazione dei nostri concittadini, terreno di battaglia tra i due contendenti, i francesi denunciarono che alcuni abitanti avevano sparato dalle finestre sui propri soldati, e che un ferito -caduto sulla strada- era stato finito a colpi di calcio di fucile dai contadini). Ma altrettanto divenne chiaro che se la postazione andava in mano al nemico, diventava – con le armi ora in possesso - punto di attacco alle mura, rendendole insufficienti alla difesa (una breccia indifendibile).

 

   

 

  Iniziarono così dei lavori in epoca napoleonica (fu il Corpo imperiale del Genio francese, lord William Bentinck, che fece iniziare la lunetta del forte alta due piani rivolta verso nord, circondata da un corridoio interrato e da un fossato con ponte levatoio; il forte, aveva pianta trapezoidale, un terrazzo al colmo sostenuto da spesse volte capaci di non cedere allo scoppio di bombe e protetto di robusti parapetti a riparo dell’artiglieria; con una torre trapezoidale ).

Ma dal 16 dic.1814 (data ufficiale della comunicazione a Genova della sua annessione al regno di Sardena, divenendo “ducato”), e in particolare dal 1817 al 1827, ad opera del maggiore D’Andreis del Corpo reale del Genio piemontese, avvennero  le definitive ed attuali modifiche, ottenendo allo scopo importanti disponibilità finanziarie, con l’erezione di un vero e proprio forte.

 

                    

Un progetto iniziale, prevedeva usufruire del terreno ove sorge la chiesa, che sarebbe stata demolita; per logica fortunata, fu deciso costruire più sotto dove già erano le basi del fortilizio ed i suoi sotterranei.

 

Fu disegnato a pianta pentagonale asimmetrica per una superficie di 36.079 mq., con una appendice centrale -a forma di punta di freccia- rivolta verso sud-ovest sfruttante una piattaforma avanzata (così capace di controllare i due fianchi); circondato da largo fossato (usabile anche come trincea avanzata; oggi area cinofila);  a tre piani rinforzati, con muri e volte a prova di bombe, una torre trapezoidale – a sostituire una casa preesistente - capace sia di svolgere il ruolo di sentinella ed avvistamento, sia di base delle più potenti armi da fuoco; i vari spiazzi interni separati da ponti levatoi).

Nel lento progredire, il governo sabaudo  continuò le modifiche, finendo anche i  due baluardi (quello grosso, pentagonale, detto lunetta  con punta triangolare verso Certosa ed uno a punta verso il mare e la foce del Polcevera, quindi detto freccia,  per poter controllare da lassù tutta la valle, e  ponendo sulla torre nuove bocche da fuoco, raggiungibili attraverso camminamenti interrati, e con migliorie alla struttura generale mantenendo la pianta pentagonale, il tutto in funzione di adattamento al terreno. Poteva essere presieduto da una ventina di soldati, raddoppiabili in caso di necessità.

   Nella rivolta del 1849 contro i piemontesi, una compagnia di bersaglieri salì fino alla chiesa; un ufficiale di Stato Maggiore con tre soldati si avviò alle mura intimando la resa, e senza neppure sparare un colpo fece arrendere il presidio e rimase in custodia del forte.

   Ma il progresso precipitoso delle armi pesanti, richiese ancora negli anni dopo ulteriori trasformazioni come l’abbattimento della torre perché ostacolava l’angolo di tiro dei pezzi; ed il ricupero –colmando il fossato- di una lunga piattaforma -protetta lato mare da alto margine- per ospitare ed adattarvi sei grossi calibri di lunga portata a difesa prevalente del porto. Dallo studio delle planimetrie, si potranno rilevare le continue trasformazioni ed il riconoscimento di tratti  di muro variamente sfruttati nei secoli.  

Nel 1889 il Forte fu di nuovo pesantemente modificato, demolendo la torre, e realizzando un piazzale e dieci casematte interrate; ed abbattendo le strutture esterne; anche il nome cambiò in "Forte e Batteria Inferiore di Belvedere" e l'unico resto originario rimase la Lunetta. Così mutato fu adibito alla difesa del porto, e armato con due cannoni da 16 pollici GR.Ret / ghisa rigata, a retrocarica), quattro obici da 15 GR (Ret), e due mitragliatrici; e nel nuovo piazzale sei obici da 28 GRC.Ret /ghisa ricata cerchiata a retrocarica). Inoltre, davanti al santuario fu realizzata una piccola fortificazione con 4 obici da 24 GRC (Ret); e sulla freccia poste delle mitragliere. La batteria Superiore fu piazzata davanti al Santuario armandola con quattro obici da 24; questa struttura è ora da base al circolo sociale., nel cui piazzale è la lapide che intimo «Prima dei tiri smontare /  la cancellata antistante / al ciglio di fuoco / A.Gualtieri ».  Tutte armi che nel primo evento mondiale furono trasferite al fronte orientale.

 

    

 

.-      

  l’area cinofila

 

  Ma negli anni, cambiati i rapporti internazionali, il forte perdette valore strategico, come anche le Mura del 1630: l'ipotetico pericolo ora erano possibili attacchi dal mare e con moderne artiglierie  che rendevano obsoleti i sistemi difensivi murari. Lo sforzo organizzativo nazionale  previde così migliorare le difese verso il mare e lungo tutta la costa, ed abbandonò il forte  - che divenne un'opera inutile e privato di ogni elemento bellico.  A maggior ragione allo scoppio del primo evento mondiale del 1915-18, quando tutte le armi furono trasferite e quando la città fu dichiarata ‘aperta’.                                                                                                                        Si scrive che alcuni vani interrati della batteria superiore furono utilizzati durante il ventennio fascista quali ‘camere di punizione’: lo testimonierebbero delle scritte sui muri.                                                                                                                      Durante l’ultimo conflitto mondiale, il forte fu parzialmente riattrezzato munendolo di  batteria antiaerea da 76/45, composta da quattro cannoni da 76/45 e dai servizi necessari.                                                                                                                Dopo l’8 settembre  1943 la struttura fu occupata dai tedeschi che tennero fino alla conclusione del conflitto.                                                                                              Una delle casette di uso logistico, nel dopoguerra ospitò centinaia di immigrati. Negli anni '70, ad opera di Rino Baselica, vi fu realizzato il campo sportivo titolato "M. Morgavi”.

   Delle opere ottocentesche rimangono dei vaghi resti, visibili lungo il pendio; nel forte, certi locali sotterranei (detti delle riservette) parzialmente utilizzati come depositi dagli addetti al campo sportivo; si intuiscono alcuni camminamenti, i segni dei binari per il trasporto dei proietti, alcune feritoie e i due terrapieni; tutt’intorno, un ampio fossato, a tratti pianeggiante per riempimento e soffocato dai rovi.

La zona, già programmata come parco urbano, ha un’area liberalizzata per i cinofili.

      

===civ. 4  lo stadio di calcio dedicato a Mauro Morgavi (dal nome del ventisettenne sampierdarenese morto il 2 ago.1973 per un improvviso infarto mentre stava giocando una partita nel campo sportivo di Vobbia; poi sepolto nel cimitero di Voltaggio. Ricordato e compianto per le sue doti morali, per la signorilità sportiva e per la simpatia che aveva conquistato nel mondo dello sport dilettantistico locale e del lavoro nella ditta Comer di via C.Rota).

      

Rino Baselica (a sin)          il giovane Maruro Morgavi    viste da nord, le mura del forte sulle quali è il campo

sullo spiazzo del campo 

  Negli anni 1970 il consiglio direttivo della “US Sampierdarenese ‘1946’”, comunemente chiamati “i Lupi” dallo scudetto scelto,  prese atto che era praticamente senza un campo ove allenarsi e giocare. (La società, nacque appunto nel 1946 durante una riunione nel bar Castello di via Giovanetti -sulle ceneri della neonata e di maggiori speranze Sampdoria-, con volute caratteristiche locali dilettantistiche, magari in sintonia di collaborazione con la squadra maggiore. Iniziò a giocare nel campo “Bertorello” alla marina, ma che ben presto andò distrutto. Da allora la squadra fu costretta ad emigrare nei vari campi delle delegazioni vicine –specie al Bacigalupo di Cornigliano-. Nel 1947 completando le 47 partite previste senza sconfitte, scalò alla categoria superiore, nel Campionato di Promozione. Questa Dirigenza, sino al 1970 era stata ospitata nei fondi della villa Scassi (e faceva parte di una polisportiva, perché nel tempo non aveva compreso solo calcio giovanile maschile ma anche quello femminile, nonché gestendo un NAGC; un settore giovanile composto da giovanissimi, giovani, allievi A e B ed Under-20; pugilato; pallavolo; karate e sci).

   Individuata l’area idonea per un campo sportivo, l’idea fu fortemente voluta dalla società dando iniziale incarico di progetto all’ing. Giampaolo Campodonico; primi responsabili pratici furono Rino Baselica ed Enrico Fagnola. Oltre rilevare dal pastore Pinto Tomaso la concessione dei 10mila mq di terreno di proprietà del Demanio e quindi dell’Intendenza di Finanza, si dovettero comperare altri 3300 mq  contigui da una proprietà privata. Questi lavori andavano a completamento di una progettata ‘collina dello sport’, in quanto il Comune già allora si proponeva per costruire in corso  L.Martinetti, vicino alle scuole, anche una piscina, campi da tennis e palestra.

    Dopo i primi passi burocratici, nel 1972-3 si diede avvio all’idea con la pratica costruzione del campo: sulla inutilizzata spianata del forte di Belvedere, con il volenteroso contributo del comm. Salvaneschi dapprima, e poi di Rino Baselica presidente subentrante (nato ad Arquata, contitolare col fratello di un grosso mobilificio collocato nel palazzo Serra di via Daste, giornalisticamente chiamato col soprannome Ribas, fu vulcanico promotore di innumerevoli iniziative, tra cui oltre la presidenza della Sampierdarenese calcio fino al  1976, lo stadio,  la Radio Sampierdarena1 e poi Radio Lanterna, e la UOES (unione operatori economici Sampierdarena); risiedeva in via Buranello; morì in ambulanza mentre veniva trasportato al PS d’urgenza,  a 72 anni il 21ott.1994); coadiuvati da uno stuolo di volontari (tra cui Fagnola, ed anche Marco Morgavi, fratello del giocatore scomparso e per un periodo presidente della società) e sovvenzionatori (tra cui Comune, CONI, Federcalcio, Regione, compresa l’iniziativa porta a porta denominata ‘Mille-lire per ogni famiglia’ ) si procedette a sbancare, trivellare, riempire con gabbioni di pietre e muri di contenimento per –infine- spianare il campo.

   Nel 1974, con il presidente Rino Baselica si decise di dedicarlo al giovane Morgavi.

   Spesso al limite sopportabile, con la frequente ed incombente minaccia da parte delle autorità di interrompere i lavori e di far fallire tutto perché ne intravedevano abuso edilizio ed invasione di terreno del Demanio, la spuntarono il Baselica ed i suoi più vicini collaboratori perché nel pomeriggio di sabato 8 mar.1975 il campo fu inaugurato (la squadra della Sampierdarenese 1946 risultò vincente nel derby di delegazione col DonBosco per 3-1, padrini gli ex-nazionali Bernardini e DePrà che diedero il calcio d’inizio).

   La cerimonia protocollare dell’inaugurazione avvenne la mattina dopo, sotto una pioggia continua, con taglio del nastro effettuato dalla madre di Mauro Morgavi,  con benedizione e discorso di don Ferrari, presenti le autorità degli Enti Locali, sportive con atleti giovani e vecchi e delle Associazioni (anche se per inerzia burocratico-politica, in quel momento il campo non era stato ancora dichiarato ufficialmente agibile, né confortato di sicura manutenzione, privo di illuminazione, in pieno caos organizzativo in ‘alto loco’ comunale che tra breve -1981, per la somma di 200 milioni con IVA- ne diverrà proprietario).

                                      

 foto Gazz.Sampierdarenese - ingresso            i primi spogliatoi                                            il confine a levante

    Anche la conservazione di questa operazione richiese lotte, ansie e lacrime  essendo collegata-dipendente da  problemi complessi, ingarbugliati, di difficile appianamento e non risolti ancora nel 1994: per i debiti aperti sia per la cifra d’acquisto che per i lavori di sbancamento (comprese tre bombe trovate inesplose dalla guerra) e di manutenzione ordinaria e straordinaria; per natura avversa (nell’inverso ‘78-79 un intenso temporale con galaverna distrusse la recinzione, l’illuminazione ed altoparlanti: il Comune si rifiutò di partecipare alla riparazione non essendo il campo riconosciuto né approvato nella sua esistenza: la squadra dovette disputare gli incontri in campi avversari);  per denunce da inadempienze (sovvertimento dell’assetto idrogeologico, concessioni demaniali non regolarizzate);  per costruzione abusiva (Il Comune, soggetto ad avvicendamento elettorale degli assessori, si espresse con alcuni di essi che premiarono i costruttori con medaglia d’oro e benemerenze e che offrirono la segnaletica o degli alberi,  altri che denunciarono alla Pretura l’abusività; alcuni che non concedevano l’agibilità, altri che la promettevano in sanatoria ma dietro approvazione della Sovraintendenza la quale con proprio iter disse di si, con alcuni ma..; intanto i dirigenti furono ridenunciati dal Reparto edilizia pubblica  nel 1987, e  quattro anni dopo ci fu una condanna in pretura per costruzione abusiva illecita in zona demaniale storica ed a destinazione a verde pubblico, quindi soggetta a vincolo ambientale e paesaggistico); per ottenere i requisiti dalla USL (specie l’impianto elettrico); per la necessità di favorirsi -prima e dopo l’inaugurazione- la fattiva collaborazione  della regione, degli assessorati comunali (urbanistica, patrimonio e sport), del sindaco (all’inizio Pedullà; poi Cerofolini e via via gli altri), di banche, di privati, della gente, fino alla presidenza del consiglio.

     Nel 1984 vinse il Campionato di Prima categoria (allenatore Bussolino); nel 1995 e nel 1999 quello Promozione (ambedue allenatore Mango Pino).

       Dal marzo1993 sappiamo della presenza –in una area vicino al campo di calcio- di una pista per automodelli, gestita dall’Associazione sportiva sampierdarenese Speedy Cars Automodelli (nel 2004 un contenzioso tra questa società (vincitrice in tribunale) e la dirigenza dell’US Sampierdarenese Calcio 1946 ha rivelato un attrito tra esse, nato per una legislazione federale calcio che impone sia impedito l’accesso di estranei nei pressi degli spogliatoi durante le partite, per cui i secondi avevano posto catena e lucchetto impedendo il passaggio alla SCA)

    Dal 1999 la dirigenza della “U.C.Sampierdarenese ‘46 ”  ha avuto in concessione il campo dal Comune; e vi  ospita i suoi giocatori soprannominati “Lupi”. In quel tempo, promossa la squadra al livello superiore dell’eccellenza, si dovette studiare di ingrandire ulteriormente l’area per renderla idonea alla categoria raggiunta.

    Così il 4 ottobre 2003, merito una collaborazione d’intento tra l’Amministrazione civica (pubblica) e la Società sportiva (privata; presidente Gino Grasso) furono inaugurati sia il ‘campo a sette’ in erba sintetica che i nuovi spogliatoi (l’erba sintetica –omologata e sovrapposta alla terra battuta- permette essere utilizzata ininterrottamente 24hx24x365gg. garantita per 10 anni, giocare più moderno con scivolate e rovesciate e -posta sul terreno a schiena d’asino- far defluire l’acqua piovana; ovviamente ha i suoi inconvenienti iniziali: il costo= 200-400 mila euro; la manutenzione=2mila/anno; l’assestamento per i giocatori a livello di articolazioni (pubalgie, distrazioni), contratture, fatica).

   Nel 2005, appena rifatto il fondo, i Tecnici federali bocciarono lo stadio per incontri di Promozione ed Eccellenza causa misure ridotte (problema di difficile soluzione). È scritto che nel 2006 la soc. Sampierdarenese paga al Comune come canone d’affitto, la somma di 974,08 euro annuale. Nel campionato 2006-7, alla guida del ‘mister’ Siri,  milita in Eccellenza dopo aver vinto i play off.

   Da oltre trent’anni esiste anche la “Sampierdarenese-SerraRiccò” femminile, chiamate “Lupette” anche se sembra abbia poche radici nella nostra delegazione visto che debbono giocare ed allenarsi in ValPocevera. Dopo 5 anni di direzione da parte del sig. Mignone, dal 1978 il Consiglio Direttivo divenne composto da Manlio Valente=presidente; Bruno Olivieri &Lucio D’Oria=vicePres; Franco Urbano=segret; Filippo Poggi=dirett.sportivo; Mimmo Ottonello&Teresa Gallione=allenatore; e vari consiglieri, medici, ecc..   Vinto il campionato di serie C nel 2001, dopo aver sostato in B alcuni anni, sono approdate dalla serie A nel 2005. Forti di una sessantina di socie, hanno anche alcuni elementi in nazionale.

 

  

===civ. 5   forse era il numero di qualche porta. Oggi un cancello da adito ad un vasto spiazzo posto a sud delle mura, sottostante ad esse. Fu ripulito dai volontari di detriti, sterpi e rovi, ed adibito a zona chiusa per addestramento dei cani. L’oasi fu scelta e poi concessa nel 1997, per evitare che i possessori di animali si concentrassero nei giardini posti tra Belvedere e corso Martinetti.

===civ. 7  bassa, antica costruzione. Ha una pietra a terra, con inciso un    “ TD “ di significato non conosciuto. Di proprietà comunale, come forse anche il civ. 9; dal 2003 ambedue protetti e tutelati dalla Soprintendenza per i beni architettonici della Liguria, e catalogato come ‘immobile’ unico.

 

 

civ. 7                                                                                  immagine votiva sopraporta del civ. 7

===civ. 11 un cancello di ingresso alla villa Lomellini, descritta in salita Belvedere

 

nella terza foto in alto, l’antico sbocco della crosa di fronte al Santuario

 

 

DEDICATA  all’ufficiale di marina, nato l’11 nov.1803 nell’isola della Maddalena, da GiòAgostino e da Santa Zicavo. Morì a Genova, sepolto a Staglieno, il 29 dic.1891 (nel boschetto irregolare del Pontatto, tomba n. 319).

Figlio d’arte, perché suo padre Giovanni Agostino (1758-1816) era stato maggiore nelle regie armate sarde, e comandante dell’arcipelago della Maddalena dal 1798 al 1816; e perché lo zio Antonio (1765-1830) divenne direttore del regio arsenale ed ispettore di sanità a Genova; mentre lo zio Domenico (1761-1827) era stato un eroico nocchiero della regia  marina sarda, ammirato dallo stesso Nelson,  primo ad ottenere una medaglia d’oro al V.M., istituita da Vittorio Amedeo III- avendo vittoriosamente difeso, nel 1793,  l’isola della Maddalena contro gli attacchi della squadra navale francese del Direttorio, e ripetendosi poco dopo a Caprera; promosso  ufficiale,  divenne comandante di porto di Genova. Nel 2006 l’attuale erede  (marchesa Guendalina Millelire-Albini di Campo Fregoso) vive a Bergeggi (SV), nobile un pò decaduta avendo perduto castello e proprietà.

Avviato alla carriera militare in marina, entrò fra i primi  nella scuola istituita nel 1815 da Giorgio Andrea De Geneys divenendo guardiamarina (subito dopo la restaurazione, G.A. DeGeneys  -per ordine del governo sabaudo- riorganizzò la marina militare in un’epoca di enormi e fondamentali trasformazioni: dalla vela alla propulsione meccanica, dal fasciame in legno agli scafi corazzati, con armi da fuoco più perfezionate precise e potenti. Divenendo così il creatore della attuale Accademia Navale e della  Marina Militare Italiana )

     I Millelire, diplomatosi  tra i primi nel 1820, col grado di sottotenente di vascello  subito ebbe modo di distinguersi nella battaglia di Tripoli contro il Bey combattendo valorosamente il 25 sett.1825 come comandante responsabile della lancia-grande mandata dalla nave Maria Cristina (comandata da Luigi Serra e facente parte della squadra di Sivori) contro una goletta (la scusa ufficiale della dichiarazione di guerra fu la soddisfazione contro un affronto economico fatto dal Bey al re Carlo Felice e non riparato, anzi rincarato: con il Bey era stato stipulato un accordo antipirateria – che aveva base nel porto di tripoli - pagando salata somma perché compensasse il naviglio in porto dei ‘mancati introiti’; incassata la cifra, iniziò il gioco al rialzo pena l’annullamento dell’accordo. Se a quei tempi, in rapporto ad un esasperato senso dell’onore - tra ufficiali - era usuale per ogni minima inezia un duello, tra i peggiori affronti era la mancanza di parola. Il lato pratico fu distruggere l’arsenale che ospitava impuniti ed armava gli ultimi terribili corsari del mare): gli furono conferite le insegne di Cavaliere (dell’ordine militare dei ss.Maurizio e Lazzaro) a cui seguì la promozione a tenente di vascello.

   Si distinse nel 1826 nella guerra greco-turca, quando la flotta sarda fu unita alla austro-franco-russa, soprattutto per stabilire l’atto di presenza nel consesso internazionale (cosa meglio ribadita poi dal Cavour nella guerra di Crimea); contro dei pirati greci ai quali ricuperò un bastimento commerciale sardo depredato; nel 1830 e 1833 ad Algeri per gli stessi motivi di Tripoli, tanto da meritarsi alti riconoscimenti anche internazionali (nel 1843 per atti di eroismo ad Algeri ove era scoppiato un grave incendio nei magazzini francesi, il governo di Luigi Filippo lo nominò ufficiale della Legion d’Onore).

   Nel 1833 era comandante dello Zeffiro quale capitano di corvetta;  nel 1835 della corvetta Aquila quale capitano di fregata; nel 1843 della fregata Bertoldo quale capitano di vascello. Sempre impegnato sul mare, in missioni di pace, di guerra, di protezione dei consoli e della marineria commerciale.

  Fu inviato a Trieste nel 1845; nel 1848 nella prima guerra di indipendenza fu al comando della fregata ammiraglia san Michele, anche se fu inoperoso per mancanza di duelli navali).

   Concluse la carriera con la carica di contrammiraglio e comandante del Porto di Genova nel 1849 (in quegli anni venne prolungato il molo nuovo di 60m, vennero aperti i primi bacini di carenaggio, iniziarono i primissimi collegamenti ferroviari, compreso l’apertura della galleria del Passo Nuovo (1854-8) sotto il promontorio di san Benigno per iniziativa del municipio di San Pier d’Arena ).

   Dopo aver servito con onore e fedeltà quattro re (da V.Emanuele I a Carlo Felice, Carlo Alberto, V.Emanuele II), fu collocato a riposo e ricette dal quinto re Umberto I una medaglia commemorativa per i servizi resi  alla corona.

 

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