PIEVE di san MARTINO:
acquarello di “Salucci (?), cittadino ufficiale toscano della Repubblica Ligure” disegnato ‘dal vero’. 51x81. Museo Navale. In primo piano, il torrente Polcevera. Forse non è l’abbazia, perché essa a quella data era in fase di distruzione, con campanile diroccato; potrebbe essere s.Gaetano ma non aveva la facciata così. E il campanile dietro?: non è dal vero.
POSIZIONE: Nell’immaginario di molti, è difficile la attuale localizzazione della chiesa; e la zona stravolta dall’edilizia e dalle ristrutturazioni non favorisce chiarezza. Nello studio di alcuni storici, la localizzazione dell’antica chiesa sembrerebbe corrispondere a posizioni più interne ed alte del vicolo, avendo scritto che sui ruderi e con le pietre rimaste fu costruita la villa Moro: quindi all’altezza dell’attuale civ.11 di via A.Caveri. Anche il Remondini, esprimendosi con vaghezza, non fa giustizia; infatti ancora nel 1897 scrive “ quest’antica chiesa...che una voce vaga vorrebbe fosse stata un antico delubro gentilesco, stava...là al luogo detto Palmetta ove allora, come il presente, era ed è l’Oratorio omonimo, che le stava assai accosto” . E giù parole e parole su dov’era la Palmetta!
La carta del Vinzoni, è la prim: si rivela molto corretta e corrispondente per tutte le altre posizioni edilizie e confini, e tracciata in epoca in cui la chiesa era ancora eretta. Chiaramente la pone tra la strada principale ed il suo Oratorio. E se quest’ultimo era localizzato ove ora è il civico 1A di via A.Caveri, la localizzazione precisa è sovrapposta alla piazzetta antistante, a partire ravvicinato dal retro del civico 1 di suddetta strada.
A sostegno, leggere quanto scritto sotto ne: ‘lo spazio’.
La logica della scelta di un sito così interno rispetto al borgo, viene spiegato con le continue incursioni dei barbari saraceni sulla costa, quindi nascosta e coperta dalla vista dal mare; e in posizione ‘strategica’ per i residenti ed i viandanti, che passavano dalla soprastante via Pietra, e potevano comodamente scendere tramite ripidi ma brevi sentieri.
LEGGENDA: racconta che san Martino (poi vescovo di Tours), nel IV secolo, fuggendo da Milano perché perseguitato, sostò in questo posto nel dirigersi verso l’isola della Gallinara (Albenga). Ne approfittò per trasformare un tempietto pagano in chiesa; e soprattutto lasciò due suoi discepoli francesi Olcese e Claro (anche loro poi vescovi e poi ancora santi), che iniziarono nella zona un’opera di evangelizzazione. E dopo la morte del santo nel 396, anche devozione verso il loro maestro. L’origine storica precisa del tempio come viene descritto, non è misurabile, ma senz’altro era di molto anteriore all’anno mille (vedi via s.Martino).
SCRITTI e STORIA: Lo studio sulle origini delle prime parrocchie sparse in tutto il territorio nazionale e denominate pievi, affonda nell’impossibilità di raccogliere dati certi e documenti e ci si affida alle tradizioni o alle informazioni indirette.
Rotari (17° re longobardo, con sede a Pavia) nel 641 distrusse le pievi poste sul mare di Voltri, Recco, Camogli ed oltre, sino a Luni. Quella di san Martino non è citata, o perché interna e quindi non avvistata dal mare, o appunto perché ancora non esisteva.
Dalla metà dell’800 iniziarono le invasioni ed i saccheggi dei saraceni, (posizionati a Frassinetto); sia lungo la costa, sia nell’interno sino al Piemonte. Indifese e quindi per prime, e prima che avvenissero le scorrerie anche nell’interno, ad essere saccheggiate e devastate furono quelle pievi in riviera costruite sul mare (prima fu quella di Sanremo, detta Matuziana nel 866); è presumibile quindi che la nostra pieve fu eretta dopo questi eventi, e per essi fu scelto un luogo più protetto all’interno, non visibile dal mare, seppur più scomodo.
Ma i primi scritti che diano sicurezza alle fonti di ricerca, risalgono:
-all’anno 1006, quando già pagava le decime all’abate di san Siro. Genova era già sede centrale di diocesi e contava 28 pievi periferiche (queste, a loro volta, erano centrali per le parrocchie, chiese e cappelle minori); e poiché la Pieve di Prà viene documentata essere collocata ‘nel luogo di mezzo’, ne viene confermato che la nostra già esisteva; e che in quegli anni la Pieve di san Martino di San Pier d’Arena era già eretta, e spaziava dal fossato di san Michele (“caput arena ubi dicitur sancto Michele” ovvero a Fassolo, presso la casa del principe Doria) al limite di ponente di Cornigliano. Inoltre, già comprendeva l’abbazia del Fossato (1066) e la chiesa di Cornigliano.
I primi sacerdoti ad interessarsi e curare la chiesa pare furono i Benedettini.
-all’anno 1128 (lo stesso della guardia alla spiaggia sul Liber Jurium), sul “Fogliazzo dei Notari”. In quell’epoca la chiesa era già elevata in Arcipretura (archipresbiter, da sempre usato nella diocesi genovese, divenne sinonimo di reggente la pieve; ‘custos et rector’) ed insignita della dignità di parrocchia; è citato anche il nome di chi la gestiva allora l’arciprete Oberto Balbo; aveva giurisdizione parrocchiale dal Faro al confine ovest di Cornigliano, e verso l’interno sino a Rivarolo (delimitata dalla antica via romana che scendendo dalla Pietra, per portarsi in riviera doveva oltrepassare Certosa e scavalcare con un ponte il torrente solo a livello di Borzoli oppure proseguiva per l’interno, verso la Lombardia).
Nel 1131 circa, antistante la solenne abbazia, la cittadinanza del borgo riunitasi a consesso, decretò l’assegnazione del titolo di console a tre suoi concittadini decretando la nascita del Comune di San Pier d’Arena.
Nel 1143 la chiesa riceveva una parte delle decime del piviere (cioè la popolazione che viveva attorno alla pieve; altra parte spettava al Magiscola della cattedrale). Il vescovo Siro stabilisce alcuni capitoli per le singole chiese, e in particolare “de ecclesia sancti Martini de via. caput X – de ecclesia sancti martini de via, in festivitate ipsius ecclesie denarios. XII. et candelas. XII.”.
Di quest’anno e dal Registro della Curia alcuni capitoli del novembre 1143 relativo alle varie chiese “de Sacto Petro de Arena” si legge : “decime plebei sancti petri de arena, dividuntur in quatuor partes. Plebs habet unum quarterium. Tota alia tenent Canonici sancti laurentii pro maziscola et pro oberto clerico. et Oliverus de platea longa. et filii gandulfi rufi, et rainaldus de pinasca. et Oglerius ventus. et Bonus matus alvernacius. et decimam quam filii idonis de carmadino tenent in corneliano. et Guilielmus Guercius. et hoc quod guiscardus tenebat in sancto petro de arena quod curia tenet“.
Nel 1144 sul ‘registro arcivescovile’ si riporta un lodo dei consoli per il versamento di decime all’arcivescovo di Genova : “de Sancto Petro de Arena - decime plebei sancti petri de arena. div (nell’originale viene sempre usata la u e non la v)iduntur in quatuor partes. Plebs habet unum quarterium. Tota alia tenent Canonici sancti laurentii pro maziscola et pro oberto clerico. et Oliverius de platea longa. et filii gandulfi rufi. et rainaldus de pinasca. et Oglerius ventus. et Bonus matus alvernacius. et decimam quam filii idonis de carmandino tenent in corneliano. et Guilielmus Guercius. et hoc quod guiscardus tenebat in sancto petro de arena quod curia tenet“ (le decime della pieve di SPd’A. da dividersi in quattro parti.La pieve ne ha un quarto. Tutte le altre le tiene il Canonico di s.Lorenzo..).
Un secondo documento sempre tratto dal fogliazzo notarile è del 1146 , e scrive :”in presentia Gregorii qui fuit abbas sancti andree…et Guilielmi monachi monasterii…accepit Alexander ab Aidelina (Ansaldi, nipote di frate Gregorio)…denarios sex, nominative pro pensione unius anni de manso uno, quod est in Sancto Petro de Arena ante ecclesiam Sancti Martini“ (ricevuta di denaro dato ad Alessandro – probabile arciprete di s.Martino - per l’ affitto di una casa posta davanti alla chiesa***)
Ed è del 1148 si annota che l’arciprete di san Martino deve delle obbligazioni all’arcivescovo, che aveva diritto nel borgo a terre e possedimenti, e quindi a gabelle .
Nel 1150 papa EugenioIII inviò una bolla all’arcivescovo Siro II, con la quale prese sotto la protezione della sede apostolica la Chiesa genovese; le conferma il godimento di tutti i redditi, decime e proprietà. Fra queste ultime cita: “curtem Sancti Petri de Arena cum suis pertinentiis”.
Nel 1158 la chiesa era governata dall’ arciprete Ottone. Questi, più volte citato si firma “ego Oto archipresbiter ecclesie sancti Martini, de S.Petro de Arena”. Così si legge su documento datato 25 agosto di quell’anno quando assieme ad un canonico, e con di fronte sia di due dei tre consoli che di tre ‘vicini’ (quali rappresentanti dei parrocchiani -a determinare consenso-) vendette un terreno, riutilizzando la somma per comprare altri beni a Paravanico e con tre lire di Genova un nuovo messale (non era da tutti possedere e saper leggere un libro, ovviamente scritto a mano su pergamena: un principe agiato poteva al massimo possederne venti o trenta; e collezionisti consumavano la vita per possederne alcuni; grossomodo 3 lire corrispondevano ad un’oncia e mezza d’oro sul mercato di allora. Questo testo appare essere stato uno dei primissimi libri di preghiere circolanti in Genova, anzi il primo di cui se ne conosce il prezzo pagato, probabilmente guarnito di figure o miniature, forsanche di filamenti argentati o pietre).
Il 26 genn.1190 tale Giulia de Belloculo ‘nanti notaio Lanfranco’, nella chiesa di s.Torpete, fa testamento lasciando soldi dieci alla chiesa di san Martino; altrettanti all’opera di s.Giovanni di Sestri e L.3 a s.Maria del Priano.
Una lettera di Papa Gregorio IX scritta il 3 luglio 1235 fa riferimento che dal 27 lug. 1200 è di spettanza del Capitolo della pieve anche l’ospedale con una chiesa posizionato dal ponte lungo la strada del litorale (sul margine del torrente dalla parte di Cornigliano).
La Pieve aveva assoggettato il territorio e la chiesa di Cornigliano (dedicata a san Giacomo; escluso il suo Rettore che era nominato dal Capitolo di s.Maria delle Vigne), ancor prima del 1100 quando questa chiesa era probabilmente già una realtà visto che pagava le decime del grano all’arcivescovo..
Il Capitolo dei Canonici della pieve, a lungo mantenne il diritto di eleggere il proprio arciprete; e da un atto notarile del 18 marzo 1461 si sa che allora detto diritto era ancora mantenuto.
1210, 28 novembre. Nella pieve di s.Martino, Oberto Balbo Cavassa e Gio: di Gronda, rettori di S.Pier d’Arena, radunati qui assieme ad alcuni altri uomini di Sampierdarena, alla presenza del podestà della Polcevera (Nicola de Volta) e del suo giudice (Riccobono) eleggono di loro spontanea volontà Oberto de Campi in sindaco e procuratore del comune della pieve di S.Pier d’Arena per difendere il comune contro un placito posto da Nicola Usodimare
Nel 1220 è ricordato nella pieve un capitolo di sacerdoti, composto dall’arciprete e da tre canonici: in quell’anno Guglielmo “minister plebis Sancti Martini de Sancto Petro arene...emette un decreto in cui sollecita in maniera decisa un prete Alberto, che tenta di innalzare un oratorio nel territorio della pieve, e gli impedisce di procedere nei lavori, perché “ in preiudicium nostre plebis”.
Nel 1226 viene segnalato in una bolla del pontefice Onorio III, un canonico Simone Malocello (che da suddiacono nella cattedrale genovese, divenne in quell’anno arciprete a san Martino, e poi nel 1231 fu nominato vescovo di Albenga).
Nel 1240 era arciprete Rolando, con Ogerio e Guglielmo canonici; in una lettera del pontefice Gregorio IX del 3 luglio 1235, e citata in atto del notaio Salmone, si fa cenno di spettanza al capitolo della Pieve di una chiesa munita di assistenza ospedaliera posta presso il ponte dai corniglianesi; e ancora che sotto soggezione all’abbazia di san Martino doveva essere la cappella di san’Agostino.
Nel 1253 favorito dai francescani di Sestri –già promotori del presepe- venne messo in scena il ‘ludus peregrinorum’ ovvero una rappresentazione a carattere teatrale con tema il dramma sacro: nella nostra abbazia venne scelto –dal Vangelo, l’indomani di Pasqua- l’apparizione di Gesù ai due pellegrini di Emmaus. Ne fecero parte cittadini di Sestri e che si concluse con una rissa tra gli uomini delle due borgate.
Il testo descrive «ego Berruminus filius petri de Raynero de sancto petro Arene confiteor tibi Lanfranco de sancto petro Arene me tibi dare debere solidos vigenti tre set dimidium Ianue. Quas pro me solisti comuni Ianue. Occasioni…rixe quam homines plebatus sancti petri de Arena fecerunt cum hominibus sexte in ludo peregrinorum renuncians exceptioni non numerate pecunie…. Actum Ianue Ante domum canonicorum sancti laurentii…14 ott.1253
La stessa scena si ripeteva ancora due secoli e mezzo dopo, nel 1490, in casa Adorno col titolo ‘dei doi peregrini’.
Fa parte dei più antichi spettacoli religiosi (già effettuate 1243 a Padova; poi, anche 1257 a Siena; 1298 a Cividale; 1280 a Chiavari,
Di un altro arciprete Salvo, sappiamo 1) che il 7 marzo 1257 (Regesti di valPolc.II.250) fu parte in causa -in un pronunciamento espresso da Ugone Fieschi: il quale dovette concludere una lite finita a schiaffi tra preti (Rubaldo –canonico di s.Maria delle Vigne- aveva colpito Salvo –arciprete della pieve di s.Martino; finisce con non luogo a procedere per mancanza di prove; quindi evitata a Rubaldo l’applicazione della pena addirittura di scomunica)); 2) (Regesti dVP.II.pag.251) il 15 febbraio 1258 fu chiamato (tramite l’arcivescovo di Genova), affinché appianasse (‘determinare amicabili compositione’) a nome della Santa Sede vari diverbi:-- tra i cittadini di Spotorno ed il comune di Savona (Spulturni, et aliorum locorum episcopi Saonensis;circa le gabelle del vino e grano proveniente a Savona via nave; e la partecipazione militare di essi in caso di guerra sia per necessità di Savona che di Genova);-- tra il comune di Savona (sindaco era Pellegrino Catulo) ed il suo vescovo (che era Corrado, rappresentato da maestro Gandolfo; diatriba già in atto dall’ottobre precedente, riguardante le decime di grano e del sale, o moneta da pagare dalle navi che entravano in porto: il vescovo di Savona -per conclusione non descritta- aveva scomunicato tutti i cittadini, senza sentir la loro scusa; questi si erano rivolti al papa Alessandro IV (in quei giorni a Viterbo per commemorare il terzo anno della sua elezione) e questi delegò alcuni sacerdoti perché discernessero la verità nello scontro. Questi, a loro volta, suddelegarono l’abate nostro, perché chiarisse le giuste ragioni. Ferretto pone questo evento in data 11 ottobre 1257);--tra il comune di Savona e Noli (per dei terreni di contesa pertinenza); --tra il comune di Savona e Spotorno (arrabbiati al punto “che dovevano far guerra con tutti coloro con cui Savona doveva far guerra o pace”). Diede risposta-sentenza l’8 marzo successivo.
Nelle carte del monastero di s.Andrea, una pergamena datata 13 novembre 1261 e firmata a Viterbo da papa UrbanoIV nel primo anno di pontificato, affida all’arciprete della pieve di comporre una causa relativa a terreni, decime e debiti, tra il monastero di sant’Andrea ed alcuni privati savonesi.
1264 3 marzo. “Ego presbiter Petrus, canonicus plebis sancti Martini de Harena, promitto...”(Nel Regesti di val Polc.pag.67)
Nel 1311 troviamo citato il nome dell’arciprete: Cremona, archipresbiter Plebis S.Martini de Capite Arene’), quando la ‘pieve di S.Martino de Capite Arene’ aveva dipendente la chiesa di Cornigliano; confermato da alta pergamena testamentaria ove Loreto, barbiere genovese, lega dei beni al monastero di sant’Andrea a Genova e lo fa davanti allo stesso sacerdote in qualche stanza del sampierdarenese (‘…actum in Sancto Petro de Arena …presentibus testibus presbitero Cremona archipresbitero dicte plebis…’); e nel 1387 la ‘Plebs S.Martini de Arena è tassata per sei soldi ogni cento di reddito, da pagarsi alla Camera Apostolica’.
1372, 22 agosto. Fa testamento, in casa sua di SPdArena, Franceschina q.Leone Ihacaria. Vuole essere sepolta nella chiesa di s.Martino, alla quale lega un fiorino d’oro ogni anno per dieci anni; ... più dieci fiorini d’oro da darsi ai poveri ospedali di Genova e distretto, a giudizio e consiglio di prete Nicola arciprete della chiesa di S.Martino...più alla predetta chiesa due soldi in perpetuo per un annuale da cantarsi dall’arciprete di essa chiesa..più...
Al tempo della reggenza dell’ arciprete Oberto Sacco da Pavia (1384-1397), l’arcivescovo decretò (1387) una cifra da far pagare alla ‘plebs sancti Martini de Arena’, stabilita in 6 libre, per soddisfare le esigenze del papa Urbano VI oberato da spese in guerre contro gli scismi. Nel tempo, il cittadino Filippo Scotto donò alla chiesa la reliquia del braccio di san Martino ricuperata a Pola, tra le altre spoglie del Santo prese dai genovesi ai veneziani ( la flotta era guidata da Gaspare Spinola), pare tra gli oggetti trasferiti alla Cella.
Un altro atto notarile cita nell’anno 1396, 17 marzo, “...presbitero Obertino de Zacijs de Papia archipresbìtero plebis Sancti Martini de Sancto Petro arene Januensis diocesis,,,”
Operante nel XIII secolo, viene segnalata l’esistenza di ‘mastro Buonaventura, fonditore di campane’, inserito dal Novella tra i ‘figli di Sampierdarena’; si presume che i rintocchi provenienti dalla abbazia siano avvenuti per opera di questo artigiano.
E sempre nel XIII secolo, l’edificio fu soggetto ad un sostanziale restauro: ingrandito a tre navate divise da colonne (era di 22,5x15 metri, oltre un piccolo presbiterio di 7,5 m), con nove altari (tre i testa e tre per lato).
Negli anni a cavallo tra il 1400 e 1500, erano d’uso nell’abbazia le cosiddette ‘rappresentazioni mute’ a commemorazione dei giorni di giovedì e venerdì santi, della Pasqua: ovvero composizioni plastiche di fantocci-manichini, o persone viventi ma immobili, detti ‘ludus’ (vedi alle Casacce).
1406, 14 maggio -Dal Regesti di vP (II.280)- l’arcivescovo di Ge Pileo DeMarini costituisce suo procuratore don Giovannino di Castelnuovo –arciprete della chiesa di s.Martino di SPdA- a comparire davanti al mag.co e ill. sig. Conte di Pavia, a procurare che l’amministratrore della mensa arcivescovile dia conto della sua gestione. Il 7 sett. L’arcivescovo “sapendo che la chiesa manca di titolare per la morte di don Giovannino, nomina a detta chiesa don Antonio d’Alessandria cappellano di detto Arcivescovo”.
1409 il 29 aprile, (Regesti di vP II.280) lo stesso arciprete don Antonio viene convocato perché assieme ad altri revochino il mandato a due, preposti a presenziare assieme all’arciv. al Concilio Generale di Pisa convocato per l’unione della Chiesa cristiana. Dello stesso anno, 22 nov. L’arcivescovo ammonisce fra Pietro dell’Olmo (preteso arciprete della pieve di Ceranesi) perché dia conto delle rendite della chiesa di sMartino di SPdA da lui usurpata per qualche tempo indebitamente ed ingiustamente senza alcuna licenza, pur tenendo insieme la sopradetta cura di Ceranesi (Regesti II.281)
1410 un atto notarile del Regesti di ValPolcevera (pag.218) del 17 agosto, fa scrivere al “prete Franceschino, cappellano in S.Lorenzo, per commissione e mandato dall’Arcivescovo di Genova, mette in possesso prete Iacobo di Rotondo in uno dei canonicati della pieve di S.Martino in Sampierdarena, presente, volente ed accettante col consenso dell’arciprete Giovanni di Montemerlo di Tortona, arciprete di detta chiesa”.
1411, 22 giugno testamento di Giannono Cibo q.Giuliano cittadino di Genova. Lega alla casa dei disciplinanti di S:Martino di Sampierdarena lire dieci per comprare un crocifisso, a condiziomne che i fratelli di detta casa lo ascrivano, dopo mporte, nel numero dei confratelli defunti.
3 ottobre. È arciprete della chiesa fra Giovanni. Riceverà da testamento 2 fiorini d’oro, per seppellire nella chiesa Iacobina Castagneto q.Guglielmo che è inferma in una casa vicina al ponte di Cornigliano.
Un atto notarile del 23 settembre 1416 scrive :”in San Pier d’Arena, sotto il portico della chiesa di S.Martino – Pietro de Pietra, abitante a Gaiano ed Ambrogio de Castagneto qm. Lorenzo, massari della chiesa di S.Martino in San Pier d’Arena, dichiarano a prete Giovanni di Montemerlo, arciprete di detta Chiesa, d’aveea avuto intero pagamento di tutto ciò che egli, o altri al tempo della di lui elezione in arciprete di essa chiesa, promisero di dar loro per causa di riparazone di detta chiesa”. (appaiono ovvie le vicine contrade ‘de Pietra’ e ‘Gaiano’)
1455-12 marzo- nel Regesti di val Polcevera si legge a pag. 302 che l’arciprete di Sampierdarena, Francesco Bianchi (esegue un ordine di immettere un sacerdote nell’Ospedale dei poveri di s.Biagio in Rivarolo)
E’ del 18 marzo 1461 l’elezione da parte di due canonici, del nuovo arciprete della Pieve: questo diritto dei Canonici di San Pier d’Arena di eleggersi l’arciprete risaliva a molti anni prima .
1464 17maggio, prete Antonio Fabiano di s.Remo, che è “arciprete di s.Martino ed è anche rettore o governatore dell’Ospedale di S.Pietro Martire del ponte di Cornigliano, fa la sua rinuncia nelle mani del Vicario generale dell’Arcivescovo che elegge in sua vece al medesimo posto prete Francesco di Stuliasco di Voghera, cappellano della chiesa delle Vigne in Genova (Cipollina-Regesti di ValPolcevera-pag.306)
L’arciprete Giovanni de Fabiano, il 20 gennaio 1495 presenziò a solenne funzione nell’abbazia sestrese di s.Andrea per il ricupero di alcune reliquie precedentemente rubate.
1510 Giorgio Vigne dipinto coevo alla Briglia
Nei secoli posteriori, fu gradatamente abbellita con marmi e pitture; un battistero di marmo; un magnifico pulpito e -nella cantoria- dal 1640 un bell’organo costruito da Stefano Scoto.
Negli secoli a seguire, la chiesa tornò nuovamente in pietose condizioni , mentre il territorio subiva profonde modifiche socio-politiche: in particolare NS della Cella, san Bartolomeo della Costa, san Giacomo di Cornigliano, san Michele di Coronata poco a poco avevano acquisito autonomia; nacque anche il problema per la comunità, se spendere i soldi per un restauro lasciandola in quella zona troppo decentrata o addirittura trasferirla in zona più a mare ove era cresciuta la popolazione attiva. E’ datata 2 aprile 1563 una lettera scritta dal Doge della Repubblica Battista Cicala Zoaglio a Carlo Borromeo (arcivescovo di Milano, poi divenuto santo; allora cardinale e segretario di stato nominato dallo zio Pio IV ); di essa si segnalano solo alcuni passi chiarificatori: “le anime essendo rette e governate da un povero prette (sic)...che ivi stava il più delle volte a fitto, ne hanno pigliata assai scarsa ricreazione nei sacramenti e culto divino, standovi persona alla cura di bassa qualità e da non sapersi regolare e amministrare ....per essere il luogo molto debole di entrata ...i parrocchiani impetrarono d’introdurvi due frati dell’ordine di sant’Agostino ...il che consentiva trassero tutte quelle anime molti conforti anche dopo la morte, nel 1562 dell’arciprete rev Paolo Gandolfo,... al punto di pregarla di intercedere per noi con sua Santità...di unire la chiesa suddetta al monastero di sant’Agostino di questa città...”. La supplica non sortì effetto, anche perché in corrispondenza il monastero fu temporaneamente chiuso per sospetta eresia.
Nel 1582, il delegato pontificio mons. Bossio, venuto in Liguria per controllare l’applicazione degli statuti del Concilio di Trento, visitò la chiesa e decretò che la reliquia di san Martino fosse inclusa in un contenitore più adeguato e che fosse posta nell’altare maggiore dietro un cancello, affinché fosse più facile vederla ma non toccarla. Altre precise istruzioni furono rilasciate anche in riguardo all’Oratorio (leggi sotto).
Il card. Durazzo, fece più d’una visita pastorale alla abbazia: nei decreti relativi alla visita del 1650 e 1652, vengono descritti (vedi all’anno 1700) gli altari segnati con una *; nella visita del 1654, ne vengono aggiunti due, segnati con ** .
Nel 1683, per un sinodo celebrato in san Lorenzo dal 6 all’8 maggio, vennero stabilite le precedenze tra i vari arcipreti, in rapporto all’importanza e vetustà delle pievi: per primo ebbe merito l’arciprete di Lavagna, seguito da quello di Rapallo, Gavi, Palmaro, Voltaggio; quello di San Pier d’Arena ebbe il sesto posto seguito da quello di Portovenere, di Recco, Nervi, ed altri. Il borgo contava allora poco più di 3000 anime o 750 fuochi.
Nei primi anni del 1700 gli altari risultano così distribuiti:
=1 dx=del SS.Salvatore ( fin dai primi anni del 1700 - e chissà quanto prima- presso i cancelli antistanti la porta Lanterna fu dipinto sull’ardesia il volto di Cristo coronato di spine; successivamente l’effige venne protetta costruendovi attorno una piccola cappella; dovendosi fare dei lavori di fortificazione, nel 1719, si demolì la cappelletta: il popolo del Primo Quartiere della Coscia e l’arciprete di san Martino Giovanni Giacomo Tavaroni (parroco dal 1687 a 1743; vedi chiesa d.Cella, accusa di ‘furto sacro’), assenziente l’arcivescovo di Genova s.e.card. Lorenzo Fieschi, fecero supplica al governo che il 13 giugno accettò, ché la pietra fosse segata e donata al borgo. Con festa e tripudio nello stesso 1719 (che si tramanda tutt’oggi come annuale festa principale e sagra cittadina, la domenica successiva al 2 maggio (nel 1822 vide presenziare il re Carlo Felice con la consorte, tornati apposta da palazzo reale di via Balbi per assistere alla cerimonia religiosa, dopo una visita ufficiale fatta alcuni giorni prima ed in cui erano stati accolti alla porta Lanterna da manifestazioni di festa ed alta simpatia popolare, da fuochi d’artifizio, e quindi da sagra), il sasso fu portato nella parrocchia di san Martino e, posto sopra al primo altare destro. Fu chiamata effige taumaturgica del SS.Salvatore. Nel 1722 il parroco di san Teodoro rivendicò la proprietà dell’effige, ma perdette la causa. Fu traslocata alla Cella, quando la abbazia venne chiusa al culto, ed anche qui è custodita su un altare. Alcune richieste di protezione da parte del popolo in drammatiche situazioni locali -come in occasione dell’assedio del 1800, con il borgo epicentro degli scontri-; un maremoto del 1821; un terremoto del 1828 ed il 23/2/1887; il colera; il vaiolo nel 1870 e 1887-, e sistematicamente realizzatasi, ammantarono l’immagine di una suggestiva capacità miracolosa.
=2 dx=del Bambino Gesù** ( o della Circoncisione, o del nome di Gesù; questo altare risale ai padri domenicani che forse nel 1587 gestivano l’abbazia , e che avevano questa devozione, titolare del loro Ordine);
=3 dx=di san Michele e san Sebastiano (con un quadro con la loro effige );
=4 dx=di san Pietro **( aveva una ancona del santo, in mezzo a san Ugone cav. gerosolimitano e Carlo Borromeo). L’altare era di particolare venerazione da parte dei marinai. Fu traslocato alla Cella;
=altare maggiore= marmoreo, con il quadro di san Martino, dipinto da Domenico Piola, andato perduto. Dello stesso autore, sarebbero stati quindi l’icona e l’ affresco sulla facciata esterna sopra la porta principale);
=4 sn=della Immacolata Concezione * (di patronato di Tomaso Spinola) ;
=3 sn=di san Bernardo ed il Crocifisso* (di patronato della famiglia Boconelli , opera del nostro Gian Domenico Castiglione soprannominato Grechetto; trasferito alla Cella);
=2 sn=sacro al Crocifisso*. Era di patronato di Marcello Celle. Traslocato alla Cella.
=1 sn=del Rosario* (della Società di dottrina cristiana o di san Sebastiano; il rito e l’usanza volevano che senza un patrone responsabile l’altare potesse essere interdetto alle funzioni sacre perché non completamente fornito del necessario: questo accadde quando si estinse la famiglia dei patroni di nome Topoli , in attesa di un altro interessato; era il più ricco in marmi, con una statua in legno posata solennemente su un altare con 4 colonne).
Dai registri comunali si legge il nome del Vicario, magn.co Benedetto Molfino, presente ad una riunione del 23 maggio 1763 nella quale si eleggevano i responsabili (Ufficiali) della Comunità: censori, deputati di sanità, cassiere, cancelliere, ?traglietta? (sic), i responsabili di quartiere (Mercato, Corpo di Piena, Capo di Faro).
Nella riunione successiva del 5 giugno effettuata nel ‘Castello’ fu eletto anche il Predicatore che avrebbe fatto il Quadragesimale (sic) nella chiesa parrocchia di s.Martino.
Nel 1795, il ser.mo Senato, con decreto 14 sett., concedeva ai cittadini del borgo e su loro richiesta la chiesa di san Gaetano quale parrocchia (con l’obbligo di offrire ai padri Teatini gestori di quest’ultima chiesa, un’altra proprietà parrocchiale in cambio, e cioè san Pietro in Vincoli il salita Belvedere, da poco liberata dai padri Gesuiti (essendo stata soppressa la Compagnia del Gesù). I Teatini rifiutarono il cambio, ma essendo comunque licenziati, si ritirarono in san Siro a Genova lasciando il tutto stagnante. Finché il 22 mag.1797 scoppiò in Genova la rivolta, e l’anno successivo il Senato promulgò delle leggi favorevoli alla restrizione del culto, requisizione dei beni (alla parrocchia di san Martino furono requisiti dal segretario generale del direttorio della municipalità e versati all’Amministrazione della Polcevera beni preziosi per un valore di lire 5080: valutando 48,5 libbre di preziosi a 6,6 lire l’oncia, ed altri per 24,4 libbre a 4,10 l’oncia. Ed una somma ben più considerevole fu ritirata all’Oratorio, per una cifra di 10.018 lire) e concentrazione degli istituti religiosi tramite soppressione di numerose chiese (tra cui in progetto anche la Cella stessa): i cittadini del borgo -dopo inchieste, riunioni, domande, si appellarono al Governo Democratico ligure che nel 13 mar.1799 deliberò il sequestro di san Gaetano (di proprietà privata) che fu donata al Demanio; chiusura delle porte della fatiscente san Martino sperando inutilmente di utilizzarla in qualche modo; la Cella (in quel momento abbandonata -perchè espulsi nel 1798 i padri Agostiniani calzati) quale parrocchia del borgo: nei locali del convento si trasferirono trasformandola in casa canonica, il 5 apr.1799 (venerdì dopo la Domenica in Albis), l’arciprete di san Martino (don.Giacomo Luigi Da Pozzo, che sopravvisse tre anni), i suoi sacerdoti, tutti gli arredi, il titolo parrocchiale di san Martino, anteposto a quello di santa Maria della Cella.
Alla Palmetta, cessata la funzione parrocchiale, cessò anche il culto e rimase solo lo stabile in sempre più grave stato di abbandono. Sia per l’assedio del 1800, quando si trovò al centro di scontri tra truppe , venne colpito da bombe e mezzo scoperchiato; sia per sottrazione di marmi pregiati ed antichi e delle pietre già squadrate, ad utilizzo privato; sia per usi profani (ricovero di stallaggi, carri ed animali - Remondini nel 1897 scriveva che “sotto i piedi dei muli e degli asini stanno intatte le sepolture...”), rimasero in piedi solo parte del campanile anche lui diroccato, ed alcuni muri maestri.
Cosicché nel 1899, dall’arciprete Tiscornia nelle rimembranze delle Feste Centenarie del SS Salvatore, viene descritta definitivamente distrutta esclusi i quattro muri maestri.
LO SPAZIO.
Le carte del Vinzoni del 1756, e del Brusco del 1790, chiariscono la posizione ed i rapporti con la strada principale: in un terreno a trapezio con base sulla strada, la parte sinistra occupata da una piazza e dalla chiesa; la parte destra - in basso dall’orto, da una stradina laterale e dal terreno della canonica; ed in alto a chiudere, l’Oratorio con campanile e casa-canonica.
dalla carta del col. ing. C.Brusco - 1790
Remondini scrive “si vide sorgere, per opera di speculatori, un grande caseggiato al muro di facciata dell’antica chiesa”, ed altrove ripete non villa né casa ma “dal 1890 caseggiato“: fu il civ. 37 di via A.Saffi (via C.Rolando) che poi diventò ed è il civ.1 di via A.Caveri).
L’arciprete Luigi Tiscornia, ex parroco dell’abbazia, scrisse che ‘l’area dell’antico tempio rimane tutt’ora circoscritta dai quattro muri maestri, occupata da bottai, da baracche e da stallaggio(… e che) sotto le macerie stanno intatte le sepolture”. Quando dopo il periodo ultimo bellico hanno rifatto il palazzo ora civ.1 di via A.Caveri (semidistrutto forse dalla stessa bomba che aveva distrutto l’Oratorio retrostante), dovendo spostare di vari metri verso levante i basamenti (concedendo in cambio l’allargamento del vicolo), memoria d’uomo ricorda aver visto emergere ossa in abbondanza (sottolineiamo che ai tempi dell’abbazia, le sepolture erano tutte in chiesa perché ancora non esistevano i cimiteri) ed alcuni muri - con grossi finestroni rotondi- che furono rapidamente distrutti o coperti, presumibilmente per evitare interruzioni degli enti predisposti, e vi fu fabbricato sopra l’ala del palazzo.
Lo spazio sedime della abbazia ed i terreni a monte verso il forte di Belvedere (ai limiti delle case popolari, e potendo utilizzare il materiale pietroso e marmoreo rimasto) furono comperati da privati per utilizzare il terreno a villeggiatura: in particolare per erigere posizionandola più in alto, ove ora il civ. 9-11, la villa Negrotto (poi dei Pittaluga; e nel 1899 dei Moro; poi divenne scuola gestita da suore; poi fabbrica di colori (Rocca ?); ed infine demolita pure essa). Viene infatti ricordato che dopo il civ. 4 di via A.Caveri, di fronte c’era il muro dell’Oratorio ed in quel punto la stradina in salita era sbarrata dal cancello della villa: dopo esso, un lungo viale privato portava all’edificio; esistette sino al 1934 quando la soc. Coop.edile ‘La Moderna’ su progetto dell’ing. Bonistalli acquisì i diritti di distruggerla.
fotografia del 1949, scattata dall’alto, affacciati da una finestra nel retro del civico 35 di via C.Rolando: durante i lavori di ripristino dell’area bombardata, si scorgono i muri dell’antica abbazia, rapidamente coperti.
L’ESTERNO : dal Ratti si descrive sopra la porta principale un affresco di Domenico Piola rappresentante il santo nell’atto di fare la sua elemosina.
L’INTERNO : già descritto precedentemente. Era a tre navate, con nove altari.
IL CAMPANILE aveva tre campane, ed era posto a levante rispetto la chiesa.
I SACERDOTI : Il lungo elenco degli arcipreti che gestirono la Pieve negli anni, inizia con Oberto Balbo nel 1128 e prosegue : Ottone, 1158 ; Martino tra il 1186 e 1195 ; Oberto de Campi, 1210 ; Guglielmo, 1220 ; Simone Malocello, 1226 poi vescovo d’Albenga nel 1230 ; Rolando, tra 1235-40 ; Gugliemo da Castello, 1250 ; Salvo, tra 1251-59 ; Rubaldo, 1264-70 ; Oberto, 1282-96 ; Cremona, 1302-24 ; Gerardo di Regio, 1341-48 ; Antonio Piloso da s. Vittoria 1352-58 ; Nicolò di Ottobono 1367-84 ; Oberto Sacco da Pavia, pure prevosto di san Donato, 1384-97 ; Bartolomeo di san Pietro 1397-1400 ; Giovanni Scarabelli da Castronuovo, 1400-06 ; Antonio Mezzano da Alessandria, 1406-7 ; Pietro Valdettaro, 1407-09 passò a san Pietro di Banchi ; Giovanni di Montemerlo 1410-34 ; Antonio Poggi 1434-35 ; Francesco Bianchi da Novi 1435-61; Giovanni Girardengo di Novi, 1461; Antonio Fabiani da san Remo, 1461-64 ; Francesco da Voghera 1464 ; Giacomo Lazzari da Castronovo 1464; Antonio Fabiani, 2° volta, 1465-68 ; Pier Giovanni Fabiani da san Remo, 1488-97 ; Pietro Costa, 1497-98 ; Gerolamo Garibaldi da Chiavari, 1498-99 ; Stefano Oliva da Sestri Levante 1500; Pier Giovanni Fabiani, 2° volta, 1499-1530; Paolo Gandolfo di Albenga, 1530-31 ; Pier Giovanni Fabiani, 3° volta, 1531-38 ; Paolo Gandolfo, 2° volta, 1538-62; Giovanni Pignone da Voltri, 1562-73 ; Giorgio Massa di Turrito d’Albenga 1573-1605; GB Scibone, 165-22; Gio Vittorio Angeletti da Vezzano 1622-53 ; Gio Maria Salineri di Sampierdarena, 1653-57; Gio Francesco Puppo, 1657-61 ; Gio Francesco Dolcino, 1662-87 ; Giacomo Tavaroni, 1687-1743 ; GB Borelli 1743-73; Carlo Marchelli, 1773-87; Giacomo Luigi da Pozzo, 1787-1801 trasferimento della parrocchia a santa Maria della Cella la quale ne assume il nome come cointestatario; Giuseppe Luxoro ,180 - ;Giuseppe Bava 1826-35 ; GB Antola da Recco, 1836-42 ; Angelo Boccardo, 1843-45 ; Stefano Parodi già arciprete di Sori, eletto nel 1846-62 eletto canonico della metropolitana ; Michele DeCavi da Voltaggio, 1863-74 ; Stefano Daneri, chiavarese, 1874-83 ; Gio Luca Pizzorno da Rossiglione, 1884-91 eletto canonico della Metropolitana ; Francesco Olcese da Cornigliano, 1889-1915 promosso abate di NS del Rimedio; Giovanni Bozzano, 1915-24; Raffetto Emanuele da Sampierdarena, 1925.