IMPERIALE                                    vico Imperiale

 

 

 da MVinzoni, 1757. In rosso la strada provinciale (via N.Daste); in celeste villa Imperiale Scassi.

   Attualmente, sia il vicolo che questa titolazione non esistono più a San Pier d ‘Arena, ma solo a san Fruttuoso, ove è eretta un’altra sontuosa villa della famiglia che acquista due priorità: una perché è in Centro, l’altra perché era la villa di residenza mentre la nostra era di villeggiatura.

T.Tuvo riporta che il 29 maggio 1817 il nuovo Capo Anziano (sindaco) Antonio Mongiardino, firmò un elenco di strade classificate comunali; sull’elenco compare «il vicolo impraticabile detto la ‘Crosetta Imperiale’. Comincia dalla strada provinciale, traversa Villa Imperiale, finisce in Promontorio».

 In realtà non traversava ma costeggiava a levante tutta la proprietà, sino a poco dopo l’abbazia.

Nel regio decreto del 1857, viene chiamato pomposamente “stradone detto la salita Imperiale”

A fine secolo 1800 corrispondeva sempre ad un lungo tragitto, fin quasi la sommità di Promontorio: iniziando da via sant’Antonio (via N.Daste),  affiancava a levante la proprietà della villa omonima (villa Imperiale-Scassi). Confrontata ad oggi, è stata frammentata e – per un tratto - cancellata: si sovrapponeva all’attuale via Damiano Chiesa; dopo l’interruzione di via ACantore proseguiva sovrapponendosi al primo tratto a ponente di via G.Pittaluga. Proseguendo diritta verso l’alto, passava dove è il primo tornante di via Balbi Piovera e sempre fiancheggiando il parco, coincide con  via GB Botteri sino –vedi carta del Vinzoni- in alto fiancheggia a ponente la torre della proprietà posta a levante, del principe di Francavici. Poi, corso OScassi compreso. A questo punto, nasce una sconnessione: da nessuna parte è scritto quando, né come, ma l’ospedale si è allargato a levante di un centinaio di metri e più  -oltre la proprietà Scassi- invadendo il terreno ex- del principe confinante ed inglobando e facendo scomparire il tratto del nostro vicolo che saliva diritto.

Il vico –rappresentato dal muro di cinta della proprietà Imperiale Scassi, è ancora leggibile, partendo da mare a monte, sino a metà via GBBotteri -proprio di fronte ai cancelli di entrata nella proprietà del grattacielo-. Da questo punto, nella carta vinzoniana si vede certo che il vicolo proseguiva verso monte tutto diritto; oggi invece il margine orientale dell’ospedale deborda sino a via Fanti che è cento metri circa più ad est dell’antico tracciato. Quest’ultimo quindi è stato cancellato dall’ente ospedaliero e va letto idealmente da riallacciarlo a via GBDerchi forse nel punto in cui quest’ultima devia per scendere in via Carrea sotto forma di scala. Quindi il muro dell’ospedale che limita via Fanti, non è di vico Imperiale ma del terreno a fianco.

Esso si ricongiungerà poco più in alto quando via GB Derchi vien fatta deviare nella discesa verso via Carrea. Dalla congiunzione suddetta, si sovrapponeva a via Derchi sino al bivio con “via alla Chiesa e Fossato san Bartolomeo” . 

   Quando nel 1901 l’impresa Barabino-Calvi-Rebora pose le prime targhe in marmo, quello era ancora il lungo percorso del vicolo; ed è di quegli anni la descrizione dei proprietari delle case lungo l’asse: casa Piccardo all’1 e 3 (a levante quindi); e proprietà municipale al 2, 2a, 2c e 4 (di villa Scassi,  a ponente).

   Ancora nel 1910, il vico andava «da via sant’Antonio all’incontro di via alla Chiesa di Promontorio e Fossato San Bartolomeo». Ma negli anni subito dopo, nel 1915 quando ultimata l’erezione dei primi padiglioni dell’ospedale e relativa apertura di Corso Roma, il nostro vico fu tagliato facendolo arrivare «alla via Ed. DeAmicis” (v.B.Piovera ed oltre) con civici che arrivavano al 10 ed 11».

Da notare un particolare: oggi,

   Da allora tutte le nuove edificazioni successive contribuirono a spezzettarla ulteriormente accorciandola sempre più (a levante le costruzioni nei terreni Piccardo e relativa apertura di tutte le neoformate traversali di via B.Piovera; infine l’apertura di via A.Cantore).

   Nell’elenco delle strade comunali genovesi pubblicato nel 1927 subito dopo l’annessione nella Grande Genova, compare come ‘via’ di 4a  categoria; ma essendocene una eguale in Centro, la nostra fu destinata ad essere cambiata.

   Nel 1933 c’era ancora e sempre di 4.a categoria; ma diventata ufficialmente una ‘via’,  ed in attesa di sostituzione da parte di un decreto podestarile; in quell’anno andava da via DeMarini a via G.Carducci (via A.Cantore) e via E.Mazzucco (via Pittaluga),  ed aveva un solo civ.nero.

  Presumibilmente nel 1935 (di questa strada non ho trovato la scheda alla Toponomastica) questa titolazione ci fu cancellata in contemporanea al cambiamento di tanti nomi tradizionali,  scelti dalla giunta locale.

 

DEDICATA: ad una grande, potente, ricca ed illustre famiglia genovese, con molti dei discendenti che ressero nei secoli  le sorti della Repubblica (ben 4 dogi) e della Chiesa cattolica ( tre principi della Chiesa).

Come tutte le storie e persone di quei tempi, incertezze, non verificabilità, illazioni si sommano a pochi dati certi legati agli alberghi e studi incrociati con altre fonti. Rimangono sempre fonte di alti dubbi le omonimie tra soggetti diversi e non classificabili.

 

   La famiglia.

XII – XIII secolo – Appare ovvia l’ origine d’estremo oriente, ed arrivata a Genova negli anni 1100 dC., sia – come per i Durazzo – in qualità di schiavi poi affrancati (sembrerebbe quindi che, degli abbastanza numerosi soggetti tartari immigrati da prima dell’ XI secolo – volenti o nolenti – (e non è spiegabile perché, della vasta Russia, proprio dalla lontana regione con capitale Kazan sul Volga provenissero questi schiavi; da presumere che il Mar Nero non fosse solo sede di traffici di spezie e sete...) una parte seppe conquistarsi la libertà e costruirsi un potere, altra parte - ancora a fine secolo -  esistesse in schiavitù) o sia come già possidenti per curare i propri commerci esercitati con i genovesi nelle loro colonie sulle rive del Mar Nero, specie di Caffa e Tana. Un documento di privilegio dell'Imperatore Carlo VI d'Asburgo (1685-1740).  lo farebbe provenire da Ventimiglia, e già nobile conte.

   Qui giunto,  il soggetto fu distinto e nominato col nome delle terre di provenienza: “Giovanni il Tartaro”. 

   Lentamente la famiglia crebbe in fama e potenza, già nel corso di questi due primi secoli. Lo testimoniano, seppur in quei secoli Genova dilaniata da discordie profonde, constatare che i discendenti di Giovanni erano:

– presenti alla corte dell’Imperatore Arrigo (Enrico) VII di Lussemburgo (1275c.a-Buonconvento 234.8.1313, eletto re di Germania nel 1308, decise intervenire in Italia nel 1311 anche perché invocato da più voci (tra cui l’Alighieri  che inviò una ‘epistola’), contro i guelfi; arrivato a Roma, in s.Giovanni in Laterano fu incoronato imperatore; ma nel ritorno a nord, prima di tentare di vincere Firenze e Roberto d’Angiò, morì per malaria, lasciando profondamente delusi i ghibellini).

-chiamati a far parte degli “otto notabili” destinati alle più alte cariche civili (nel 1188 Opisello Tartaro, è consigliere di pace a Pisa; Opicino –suo fratello- nel 1225 è ambasciatore ad Asti da Tomaso I di Savoia.

 

XIV secolo --- nel 1302 Lanfranco fu ammiraglio alla Crociata in Terrasanta, promossa dalle dame genovesi che armarono delle galee per Filippo IV il Bello re di Francia(1268-1314).

Una lapide del 1308 riporta i nomi di Tartaro (Pasquale, con uno scudo gotico che riporta solo delle bande doppiomerlate). Su questa lapide fu aggiunto una successiva iscrizione “DOM quod ex familia Tartarorum antea conditum fuit nunc Nicolaus Imperialis q.Augustini successione instaurandum anno 1588”;   

---e due scritture notarili: il 14 marzo 1389, Anthonius de Casteliono de SPArene civis Janue, fa erede e libera lui ed i suoi eredi “Jacobo sclavo suo de proienie tartarorum...eius servicia debitam sollecitudinem obedienxiam et promptam fidelitatem...secundun ussum et consuetudinem civitatis romane. Parimenti, 9 luglio 1389 è la data di vendita di una schiava, per 75 lire di genovini:  Antonio di S.Pier d’Arena (presumo lo stesso di sopra), genovese, vende  al notaio che stipula a nome di Giuliano Grolerio notaio “quondam sclavam nomine Lucia, de projenie Tartarorum, aetatis annorum XXX vel circha”.

Infatti, ai primi del XIV secolo, negli anni 1308-11 circa, distinguendosi la famiglia nella lotta contro i saraceni, dall’imperatore greco Andronico Paleologo II ottennero –assieme alla famiglia Mangiavacca (con la quale si unirono ed alle quali poi si associarono i Pignatari e Delle Vigne)- poter rinunciare al nome antico di questo casato divenuto illustre, per ottenere di assumere il nome di “Imperiale (o intendendo il parentado o lunghi periodi di loro governo in feudi, “Imperiali”). Discorde il giudizio su questa scelta: alcuni scrivono in omaggio, altri per devozione, altri per piaggeria nei confronti dell’imperatore; altri per nomina ma dell’imperatore Arrigo (o Enrico) VII di Lussemburgo).

Quindi sicuramente per servizi resi, e disponibilità –sempre presumibilmente economica- ebbero come simbolo nello stemma di famiglia la concessione di mettere un’aquila (“d’argento al palo d’oro caricato d’un’aquila nera coronata d’oro”.  Spiegata nera, coronata con tre torri, rostrata, con la testa rivolta a sinistra – a significato che ha diritto di posizionarsi alla destra dell’Imperatore -, le ali in atteggiamento di ‘volo abbassato’; il tutto in campo d’oro fiancheggiato d’argento).        Motto: Sub umbra alarum tuarum

In alcune manifestazioni dei secoli posteriori, questa aquila fu attribuita anche ad altri fedeli dell’ impero, quali il re di Polonia ed Andrea Doria.

 

Ma qualcuno conservò l’antico nome, come segnala nel 1371 una lapide, che ricorda Leonardo Tartaro, console a Soldaia (Soudak).    Lo pseudonimo di ‘Lanfranco‘Tartaro’ fu usato da un Cesare Imperiale di sant’Angelo che vide pubblicate prose, poesie e novelle nel periodo 1883-99,  fu direttore della rivista bisettimanale ‘Libertà commerciale’ e fu candidato nelle elezioni del 1897.

 

     

nobilitas sola est atque unica virtus                                     famiglie aggregate

 

  Caratteristica loro fu, che rispetto alle altre famiglie nobili genovesi erano relativamente in pochi di numero, ma tutti ricchissimi.

Di Simone Imperiale, 1350, in san Domenico,  la più antica pietra tombale rinvenuta con stemma dell’aquila (essa però non è nel palo – come sarà nei secoli dopo - ma su una banda d’oro eguale a quella, 1382, di Oberto nella chiesa di s.B. degli Armeni)

Nel 1378 tennero la signoria della Corsica.

 

XV secolo Ancora nel 1400 annoveravano amministratori della Repubblica, comandanti di galee, ambasciatori ed un Giacomo arcivescovo (1439).

 

XVI secolo Nel  Cinquecento erano divenuti senatori; si contano 4 dogi –primo GianGiacomo di Vincenzo-; signori del reame di Corsica e tra i maggiori proprietari di galee.

Con la riforma D’Oria, che limitava l’autorità del governo della Repubblica a ventotto famiglie, nel 1528, divennero il 23° ‘Albergo’ dei nobili  cittadini genovesi ascrivendo le famiglie Ardizzione (Ardisona); Baliano (Baliana); Cabella (Gabella); Face (Fassie); Garbarono (Garbarina); Gioardi (Giovardi); Marinotti (Marinetti);  Mercante; Nicola, Porta, Rovereto (Rovereta); Sanguineti (Sanguineto); Terrile; Varsi e Vinelli; ed anche Bulla;  Dalle Vigne; Lengueglia; Mangiavacca; Paffi; Pignatari; Tartaro.

Nel corso del 1500  (nel 1573 acquisirono il titolo di Marchese d'Oria e Grande di Spagna di I° Classe, posteriormente rinnovato con R. Dispaccio 21 giugno 1784), e successivamente fino al 1700 divenne proprietaria di vasti feudi nel Salento settentrionale.

 

XVII secolo Nel 1608 acquisirono il titolo di Marchese di Latiano (comune di Brindisi) e vestìrono l’abito di Malta;  ed in questi anni, fu insignita di alte onorificenze spagnole (le quali davano il diritto di avere il nome preceduto da ‘don’ e per le femmine, da ‘donna’) tipo il Toson d’oro, il Real Ordine di san Gennaro e la Prima classe del Grandato di Spagna.

Nel 1617  il primo di essi ad essere doge di Genova (GianGiacomo) seguito nel 1683 dal secondo (Francesco Maria Lercari) e poi ancora nel 1711 e 1719. Nel 1639 del titolo di Principe di Francavilla.  

XVIII secolo  Nel 1718 acquistarono il titolo di Principe di Sant’Angelo dei Lombardi. Negli anni 1750 la famiglia godette di nobiltà anche a Napoli, ascritta al libro d’oro del Seggio di Capuana (una delle zone della città abitata dai ricchi, a Milano e Vicenza); dei più alti uffici alla corte borbonica (Maggiordomo Maggiore, Capitano delle reali Guardie del corpo, Cavallerizzo Maggiore, ecc.). Contemporaneamente  occupò alcuni dei maggiori uffici nella Real Corte Borbonica: di Maggiordomo Maggiore dal 1753 al 1759, di Capitano Delle Reali Guardie del Corpo dal 1775 al 1782 e di Cavallerizzo Maggiore dal 1855 al 1860.

 

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Intanto, la famiglia crescendo, si divise in alcuni rami:

 

1) degli Imperiale-Lercari Il nome aggiunto dei Lercari, è legato ad un obbligo testamentario di Francesco Lercari q.Nicolò del 27.02.1583 che donava tutte le proprietà a GioCarlo Imperiale se lui o gli eredi avessero perdurato il suo cognome): ciò avvenne poi col matrimonio del nipote Francesco Maria Imperiale con la marchesa Brignole Sale (ambedue 22enni, lei figlia del famoso Anton Giulio Lercari residente in via Nuova (Garibaldi) che fu ereditato da FrancescoM. assieme anche al diritto di eleggere il maestro delle cerimonie in cattedrale).

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2) dei principi di Francavilla-Fontana  

   Oltre la nostra, brindisina, numerose sono in Italia le località col nome di Francavilla, contradistinte da una specificazione: così ‘al Mare’ (Chieti); Angitoia (Catanzaro); Bisio (Alessandria); d’Ete (AscoliP); di Sicilia (Messina); in Sinni (Potenza); Marittima (Cosenza).

   Questo ramo, iniziato nel 1639 - da Genova si sparse per la penisola acquisendo potenza e ricchezza: li ritroviamo a Roma, Vicenza, Napoli (dove il 4 gennaio 1743 la famiglia fu ascritta al libro d’oro del Seggio di Capuana e aggregata al patriziato napoletano), Venezia, Firenze, Bruxelles, e Mercato san Severino.

   Ebbero titoli multipli legati a territori acquistati: dapprima solo patrizi, signori e marchesi, poi principi e grandi di Spagna di prima classe,

   Da internet, riportiamo in riassunto le località con relativo titolo acquisito di signori, nelle varie date: 1575=Marchesi di Oyra e signori di Francavilla e Casalnuovo di Foggia (poi anche di Manduria di Taranto);--- 1639=principe di Francavilla;--- 1661=signori di Massafra;--- 1666=signori di Avetrana (Taranto), di Uggiano (Lecce), Sava (Taranto), Montefusco (Avellino);--- 1705=Grande di Spagna di I classe ;--- 1715=signori di Maruggio (Taranto);--- 1736=signori di Carovigno (Brindisi) e Serranova (Brindisi). Nel 1725 (per successione della casa Di Simiana) =principe di Montafìa (Asti), marchesi di Pianezza (Torino), di Livorno, di Roatta (Cuneo), di Castelnuovo (49 sono i paesi con questo nome) , di Moretta (Cuneo) e dei signori di Capriglia in Piemonte (forse, Capriglio d’Asti), marchesi di Dego (Savona), di Cagna (Vercelli?), di Giusvalla (Savona) e di Piana (Torino?), 1789= signori di Mesagne(Brindisi).

 

   La linea primogenita si estinse nel 1782. Gli successe quella collaterale di Latiano ma parte delle signorie (quella di Carovigno per esempio) fu venduta senza obblighi di feudalità ad altri principi.     

   Da Giovanna Imperiale principessa di Francavilla maritata Caracciolo dei principi di Castagneto, tali titoli a norma dell’ordinamento nobiliare tornano alla agnazione maschile prossimiore e la Consulta Araldica confermava la successione de jure a favore del primogenito della famiglia.

 

Davide (1540-1612) già  combattente a Lepanto con la nomina di capitano di galea, (si narra che nel corso della battaglia sacrificò eroicamente la propria nave, schiantandosi contro una nave turca che minacciava di speronare la galea Capitana al cui comando era Marcantonio Colonna, ammiraglio della flotta pontificia e comandante in seconda dell'intera flotta cristiana).    

Divenuto primo marchese di Oria (comune di Brindisi), nel 1575 circa, comprò il feudo di Francavilla Fontana (sempre in comune di Brindisi) divenendone ‘signore’ (quindi capostipite degli "Imperiali di Francavilla"). Per ottenere il feudo, pagò 140 000 ducati, cui più tardi se ne aggiunsero altri 132 mila forse per allargarsi comprendendo e Casalnuovo (nel foggese) e Manduria (nel tarantino). Alcuni storici ritengono che, per vari disaccordi nati dopo la lettura del contratto di vendita, il genovese non fu più molto propenso a comprare il marchesato e forse non firmò nemmeno il contratto. Ma in sostanza lo ebbe (e quindi pagò). Davide Imperiali morì a Genova, probabilmente avvelenato.

Michele figlio di Davide, ereditò il marchesato e gli stessi titoli; sposò Maddalena Spinola e dimorò a Genova fino al 1593. Egli fu poi il primo degli Imperiali che dimorò a Francavilla, arredando sontuosamente il palazzo-castello).

Davide II (1592-1632), patrizio genovese probabile nipote del primo, fu terzo marchese di Oria e sempre solo signore di Francavilla e Casalnuovo,

Michele II (1623-1664) patrizio genovese che divenne primo principe di Francavilla, quarto marchese di Oria e signore di Casalnuovo, signore di Massafra.  Fatto è che nel 1639 divennero proprietari di altri vasti feudi nel Salento settentrionale.

A Francavilla, nel palazzo sede del comune, si possono ammirare collezioni di opere d'arte testimonianza del mecenatismo di questo antico proprietario e dei suoi eredi. Infatti, sino alla metà del XVIII Francavilla fu governata dagli Imperiali, ritenuti i migliori feudatari che avesse avuto. Grazie al loro mecenatismo, non solo furono apportati miglioramenti nella cinta muraria con nuove porte, in nuovi rioni abitativi, nell’erigere un fastoso palazzo del governo, nel partecipare a proprie spese ai restauri del tetto della chiesa; ma anche arrivarono nobili e artisti che, andando al passo con i tempi, conferirono alla città un aspetto barocco e si aprirono numerose accademie di letterati ed artisti.

Giuseppe Renato (1651-1737) nominato cardinale da papa Alessandro VIII, fu uno dei favoriti per l’ascensione al successivo soglio pontificio avendo raggiunto 18 voti, ma non fu eletto sia a causa della sua età avanzata e sia per avversione del re di Spagna che pose il veto. Guglielmo (19.8.1858-20.1.1944), diplomatico; ambasciatore (a Costantinopoli (1904), poi a Londra (1910); partecipò al Patto di Londra del 26.4.1915); senatore dal 16.10.1913. Alla fine della prima guerra mondiale fu membro della delegazione italiana a Ginevra per la firma del Trattato di Versailles del 28.6.1919 e rappresentante italiano al Consiglio della Società delle Nazioni dal 1921, da cui si dimise subito dopo la Marcia su Roma (28.10.1922). Fu decorato del Collare dell'Annunziata, massima onorificenza di Casa Savoia, nel 1932.

Giovanni d'Afflitto di Francavilla (1890-1983), generale di cavalleria dell'Esercito nella campagna di Libia e nella prima e seconda guerra mondiale; membro della Consulta Nazionale del Senato del Regno; decorato cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia e dell'Ordine Militare d'Italia, ricevette una medaglia d'argento al valor militare e quattro medaglie di bronzo al valor militare nonché e la Croce di Ferro tedesca al valore di guerra. Fu comandante dell'ultima azione di cavalleria italiana del reggimento «Lancieri di Aosta» di stanza a Napoli.

 

--Battilana elenca parecchie generazioni di ‘Spinola di Luccoli, signori di Francavilla’ ma potrebbe trattarsi di un altro feudo, magari quello siculo; di essi, il primo appare essere stato Benedetto q.Lucchesio, ma vissuto a metà 1300; invece vissuti a metà 1500 –probabile nascita della villa- ci sono Stefano (q.Leonardo q.GioMartino, sposo di Bianca Lomellini q.Melchior; con figlio Leonardo –sposo di Maddalena Gentile q. GB- vissuto a fine secolo e cavallo del 1600---e Alessandro q Girolamo sposo a Livia Spinola q.AlessandroMaria con figlio GioGirolamo nelle prime decadi del 1600).

 

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3) Un ramo,  di Latiano (centro a 22 km da Brindisi, vicino a Oria, Francavilla, Mesagne)  si formò nel 1608 con titolo di marchese.

Per diritto di successione ottenne titoli e privilegi quando il ramo diretto dei Francavilla si estinse nel 1782.

In questo centro andarono a vivere e rimasero fino al 1909 (un Guglielmo è stato l'ultimo discendente). Il loro palazzo è sede oggi della Biblioteca comunale e del "Museo del Sottosuolo"; vi vengono conservate alcune tele di Gerolamo Cenatempo provenienti dalla collezione dei marchesi. La cappella di famiglia è opera di un grande architetto ed esponente del barocco leccese, Mauro Manieri.

 

4) dei Principi di sant’Angelo dei Lombardi dal 4 aprile 1631.

In questa data, il dottor Giuseppe Battimello, acquistò - per 108.750 ducati - lo ‘Stato di s.Angelo’  posto nel Principato Ultra del Regno di Napoli, a 45 km da  (le città di sAngelo e Nusco, e le terre di Lioni, Andretta e Carbonara (quest’ultima oggi Aquilonia))

 

Avellino, a 870 m/slm,  a nome del sampierdarenese Gian Vincenzo Imperiale  (fu scritto nel contratto: ‘ad istanza e contemplazione’ dell’Imperiale, ...in quanto ‘il permutar mobili in stabili non gli pareva contrario alla regola economica’. Divenuto così proprietario di un grosso possedimento, sul quale però gravavano liti, debiti ipotecari, affidò l’amministrazione al dr. Landolfo De Aquino –a cui subentrò poi il figlio Luigi-). Oltre sant’Angelo, erano compresi Nusco, le terre di Lioni, Andretta e Carbonara (oggi Aquilonia).

 

Più tardi, il principe Placido Imperiale di Sant'Angelo fu fondatore di Poggio Imperiale in Capitanata.

 

 

 stemma di famiglia centrale,  inserito in quello imperiale a due teste

 

 Di essa, il primo titolato fu:

 

===Il magnifico Vincenzo nato nel 1518 ca.,  (da Michele e da Pelotta Spinola q.Antonio. Ebbe almeno un fratello, Andrea, altrettanto ricco, proprietario di rendite anche a Napoli, morto nel 1569). Sposò Francischetta Spinola di san Luca q. Pasquale (nata ? - sepolta il 4.8.1604 in san Benigno) dalla quale ebbe 5 figli: GianGiacomo (vedi sotto); Fabrizio (n.? – morto giovane, prima del 1587; GianBattista (n. ? -  m.1597; benché sospettato in traffici illeciti ottenne cariche politiche di alto prestigio; si ritirerà in convento napoletano ove morirà giovane, quando sua moglie aveva meno di trent’anni e due femmine Francischetta e Maddalena); Ottavio (alias Andalot; n.? - m. 1.02.1620 nel 1585 sposò Maddalena Imperiale q. David marchese d’Oyra), Maria (andrà sposa ad uno dei tanti  Nicolò Lomellino).

 Tra il 1553-63 comperò in città un gruppo di case che fece abbattere ed ivi erigere il palazzo in Campetto, civ. 8°; il lavoro fu affidato a GB Castello il Bergamasco (che lavorò anche nella decorazione, a fianco di Luca Cambiaso). Tra il 1560-4 ordinò la villa in San Pier d’Arena (definita “orti Esperidi della nobiltà cittadina”: architetto furono  i fratelli Ponzello (Domenico, con l’aiuto di Giovanni): il risultato, per importanza e magnificenza,  fu riconosciuta emblematicamente “la Bellezza”. Morì nel dicembre 1567, sepolto in san Benigno,  lasciando in testamento una equa distribuzione dei beni ai tre maschi (“equaliter ac equis portionibus”; notaio Monaco GioAndrea) rendite e beni sparsi ovunque: Roma, Napoli, Sicilia, Bologna, Milano, Spagna e Fiandra. Nel 1587 la spartizione pacifica appare effettuata; i tre pur lavorando separatamente, non esitano a collaborare, aumentando sequenzialmente i loro proventi.

 

=== Suo figlio primogenito Gian Giacomo (o Giovanni Giacomo, o Gio Giacomo),

nato nel 1554 (Martinoni scrive 1550). A soli 23 anni fu riconosciuto degno di partecipare tra i 400  componenti il Maggior Consiglio ed in tale veste aborrì l’uso, spagnoleggiante, d’essere circondato dai cosiddetti ‘bravi’ (o masnadieri, cagnotti, mastica, spezzaferri;  di manzoniana memoria e di frequente uso tra i potenti dell’epoca, nonché pure dall’arcivescovo).

   A 28 anni divenne uno dei trenta capitani responsabili della difesa della città. A trent’anni, a sue spese, fece aprire una strada in città (attuale via Scurreria) davanti ed in asse al palazzo in Campetto (gli edifici furono tutti affrescati nella facciata per rendere più festosa la via).

 A 35 anni fu ambasciatore a Firenze ed a 38 anni fu eletto senatore, incarico ripetuto poi per altre quattro volte. Innumerevoli cariche pubbliche di alta responsabilità lo portarono gradatamente divenire il 47° doge a 63 anni (29 aprile 1617 con elezione contestata e durata sei giorni; fino al 29 apr. 1619; la cerimonia –benedetta dall’arcivescovo Domenico De Marini- fu ritardata a sabato 7 ottobre).

Nell’elenco viene chiamato Gio.Giacomo Imperiale olim Tartaro, perché il cognome Imperiale non è di famiglia ma,  prima di Compagnia poi dal sec.XIV, di Albergo. 


Il 28.2.1579 divenne marito di Bianca Spinola q. Giovanni (n.?- m.30.8.1624; il matrimonio fu celebrato in casa di lei, testimone il principe Gio.Andrea Doria; portò in dote 20mila scudi d’oro; sorella di Giannettino Spinola (personaggio di gran lustro) e del cardinale Orazio Spinola (1564-; gesuita; 1605 vice delegato a Ferrara; 1606 cardinale, divenne arcivescovo di Genova;  24.6.1616 muore a Ge. di podagra) e prima moglie di un doge ad essere nominata espressamente nelle orazioni di acclamazione


Bianca Spinola con nipote

Rubens - Staatsgalerie-Stoccarda

 

all’elezione del marito (altra lode fu  scritta da Ingegneri Angelo in una ‘pastorale’ dedicata al figlio, citando lui indirettamente  ‘per aver abbellito di ricchi palazzi e ville sontuose Genova e Sampierdarena’), dalla quale ebbe 8 figli: GianVincenzo (vedi sotto); Marzia (battezzata Vigne 17.1.1584-mai più citata, forse morta giovane, m.?); Paula (n.28.5.1587-suora PaulaFrancesca-m.?); BiancaMaria (battezzata Vigne 1.6.1590 - m.?); AnnaMaria (n.1591 - sepolta 13.3.1614); Joanna (n.1592-suora, AngelaBattista - m.?); MariaArtemisia (battezzata Vigne 29.11.1593-suora AngelaCherubina - m.?); Veronica (battezzata Vigne 31.5.1595-suora PaulaFelix - m.?).

   Abbellì infatti in particolare i giardini della villa sampierdarenese, chiamando -1602 c.a- Marcello Sparzo e Bernardo Castello per le decorazioni interne, al punto che nell’orazione per l’incoronazione dogale - a cui in molti aspirarono ad essere prescelti a recitare - il m.co dottore in legge Pasquale Sauli ne tenne una assai lunga durante la quale  fece cenno alla casa di San Pier d’Arena “il bel animo di lui – invece di quei giochi e passatempi si frequenti e di niun rilievo per ricreare l’animo da tante cure oppresso -, fra gli altri molti, un palazzo nella villa a sì alta perfezione ridusse, con ampie sale, con dorate loggie (sic), con ben dipinte stanze risplendenti di artificiose incrostature, di puliti marmi, di fini mischi, di statue di meraviglioso artificio, di pavimenti pomposi, e in tutto di maestevole disegno che ben rappresenta l’armoniosa e perfetta compositura dell’animo suo...”  e così avanti  per un’altra buona pagina.

 Nel 1613 fu di nuovo in corsa per essere rieletto doge, ma non avvenne. Nel 1616 fu per la quinta volta nominato senatore della Repubblica (già lo era stato nel 1592,1598,1602,1608). A 67 anni divenne DOGE o duce della Repubblica. Non completamente sano, dovette rinunciare alla processione del CorpusDomini. Da doge, tra l’altro proibì giocare sopra l’estrazione dell’urna senatoriale (detta Seminario) dalla quale ogni sei mesi si estraevano i nomi dei nuovi senatori. Morì 68enne  il 7 febbraio 1622 e fu sepolto presso i Teatini di san Siro (Boccardo scrive nel 1621; per Martinoni nato 1550-morto 4.2.1622; per Scriba morì addirittura nel 1645).

 

===Il suo primogenito,  unico  figlio maschio e quindi unico erede, fu

Gio: Vincenzo (o Gian.Vincenzo o Gioan V-. o anche  GiacomoVincenzo)

 

 

  

Van Dick –1626 . G.Vincenzo senatore

 

L’UOMO: nato a San Pier d’Arena nel finire della primavera del 1582 (EM ed altri dicono 1577- ES dice 1571, Boccardo 1582, Martinoni precisa che fu battezzato 19.6.1582 alla Cella, sul cui certificato, il sacerdote distratto lo chiamo col nome del padre, poi accortosi dell’errore, cancellò il nome Giacomo e sovrappose il nome Vincenzo del nonno). E  qui in villa fu educato fin da piccolo con insegnanti privati e con viaggi, divenendo esperto in lettere, latine ed italiane. Morì a Genova il 21 giugno 1648.

 Già ventiquattrenne, nel 1606 gli era stata dedicata una opera letteraria “Pastorale, detta  danza di Venere”, ed alcuni versi per le nozze con la Grimaldi,  scritte da  Ingegneri Angelo; ed altra ricevette da G. Chiabrera sottolineando una caratteristica già in evidenza della famiglia nella sensibilità non solo al patrimonio e relativi investimenti, ma anche alla letteratura ed all’arte in genere specie quella pittorica.

   Dopo un accordo stilato all’inizio di novembre (o a metà di ottobre) 1604 (lui ventiduenne) tra genitori quando i due erano ancora adolescenti, andò sposo in prime nozze il 27 maggio 1606 (data della dote, firmata dal notaio Ambrogio Rapallo) con la diciottenne unicogenita “molto richa ereditiera” M.Caterina Grimaldi q. Nicolò detto Cavalerone q. GB  e da Maria Lomellini q.Stefano q Agostino (nata 9.1.1586 - m. di complicazione di parto il 15 –o 17-.1.1618; è la ‘dama col nano’ del Rubens. Con essa, ebbe ben sei figli rimasti orfani di madre in tenera età: FrancescoMaria (v.sotto); M.Geronima (battezzata 17.4.1608 – maritata con una dote di 45mila scudi d’argento il 29.1.1626, ad Agapito Centurione Oltramarino di Filippo, amato come figlio dal Nostro;  m.<1668); GioNicolò (battezzato 30.6.1609; gli fu madrina Maddalena, moglie di Ottavio I. - m. quattordicenne forse in un incidente poco lontano da casa,“in platea Bancorum”-  sepolto in s.Siro 2.1.1623); BiancaMaria II (battezzata alle Vigne 30.4.1611: diverrà suor GioannaFrancesca alle Grazie; m.?); AnnaMaria II (n.1616, divenuta suor MariaBenedetta;- m.5.1.1679); GianBattista II (n.8.1.1618; ultimogenito delle prime nozze, amatissimo, compagno nel viaggio a Bologna; sposo il 9 gennaio 1639 di  MariaLuiggia Negrone q. GB.; ebbe 4 figli:Carlo, Michele, Anna, MaraPlacida; - abitante in piazza s.Luca -  m.?); NB AGBarrili scrive che la figlia andata in sposa ad Agapito Centurione è BiancaMaria, che ospitò il padre nella loro villa a San Remo).

In periodo di vedovanza, fonte di pettegolezzi fu la nascita illegittima di OttavioMaria da madre “nobildonna sciolta da matrimonio”di cui mai viene fatto il nome (n.1620; legittimato dalla Sante Cesarea Maestà di Federico II nel 1632; nel testamento gli vengono lasciate lire mille annue di pensione, che diverranno 6mila dopo i trent’anni compiuti;  nel 1627, assieme ai due fratellastri più grandi, verrà ascritto alla nobiltà-andò sposo a MariaMaddalena Nattona q.Visconte, senza progenie;   m.?; ).

 In seconde nozze, dopo tre anni di vedovato e previa autorizzazione di un competente organo religioso vista la lontana parentela, il 4.8.1621 si sposò con Brigida Spinola q.Gaspare e di Maria Doria q.Nicolò (battezzata in san Luca 9.5.1583 - m.26.2.1660; vedova dopo 8 anni di nozze di GiacomoMassimiliano Doria q.Agostino (morto il 22.5.1613; era stato fratello maggiore di Marcantonio e di Gio.Carlo=vedi villa Doria sal.Belvedere)) abitante in San Pier d’Arena, madre di tre ragazze (Ginevra,che sposerà un fratellastro e che rimarrà ritratta nel famoso quadro di famiglia; Elianetta che sposerà Ambrogio DiNegro; AnnaMaria Elena che diverrà suora). Il giorno stesso, lei lo nominò procuratore ed amministratore dei 31mila scudi d’oro di dote e dei beni terrieri che possedeva: è chiaro che questo secondo matrimonio non mancò di un certo sottofondo di  interesse economico, legato alla difesa dei due patrimoni e che si evidenziò in una sostanziale freddezza affettiva nei confronti del marito quando subì delle avversità e nella spartizione dell’eredità. 

Morì il 21 giugno 1648 (erroneamente E.Sonzogno: 1645), a 66 anni come risulta nell’archivio della chiesa delle Vigne. Fu sepolto in san Siro il 23.  

IL NOBILE:

Nel 1593 appare in Genova uno dei più ricchi nobili: con un patrimonio netto accertato fiscalmente di lire genovesi 597.221.13,4 (di poco inferiore di Agostino Doria, ma un terzo di Ambrogio Spinola); e nel 1630 (sesto in ordine di cifra imponibile) avendo una fonte fiscale di 1.786.666 lire.

Nel 1611 con l’incarico di colonnello, è a SPd’A «ne i lunghi giorni della state, a gli ‘otii’  della villa inteso, ...»,  in compagnia della famiglia.

È datato 1626 l’olio su tela (225x150=9 palmi x 6; oggi assai deteriorata) di Anton Van Dyck  (1599-1641) che ritrae GioVincenzo vestito da senatore

 Quando  nel 1629 (El siglo,  scrive 1630) venne a Genova MariaAnna (1606-1646, o Marianna d’Austria) sorella del re spagnolo Filippo IV e moglie di Ferdinando d’Asburgo, fu tra i sei incaricati di offrire le “cerimonie” nel modo più pomposo possibile”: la peste in Lombardia (quella manzoniana)  frenò ed accorciò drasticamente i tempi di cerimonia ed indusse l’I. a fare testamento (in cui lascia erede il primogenito ma si preoccupa anche di OttavioMaria, figlio illegittimo ed allora di 9 anni, affinché possa avere una rendita con cui vivere dignitosamente).

   Nel 1632, cinquantenne, si recò nel vicereame Napoletano per essere insignito delle insegne di Principe  (avendo acquistato quel feudo comprendente le città: Sant’Angelo dei Lombardi e Nusco, e di quattro non piccole borgate: Ardretta, Carbonara, Morra Irpino, Lioni; per un totale di 16mila abitanti; al prezzo di svariati milioni di lire. Il feudo era stato eretto a principato da Carlo VI*** e quindi lui fu il principe capostipite. Per l’I non fu solo il titolo di principe che conseguiva a questa spesa, ma soprattutto l’investimento in quelle terre soggette a meno tasse e prezzi relativamente meno esosi: occorreva per lui iniziare a disinvestire ingenti somme dai beni mobili –soggetti a interessi non ricuperati, rendite trattenute, lentezze burocratiche-, per investirle in beni immobili come appunto il principato. Ma l’aver affidato l’incarico dell’acquisto ad un procuratore, non fu un’idea geniale perché -appena saputo dell’acquisto da parte di un facoltoso-, nacquero d’incanto una marea di fasulli creditori, sciacalli tutti ricorrenti in tribunale per ottenere rimborsi e crediti gonfiati o inesistenti in un clima di inosservanza delle leggi, disprezzo della ragione, servilismo esasperato ed arrivista, aggravati da falsa accusa di essere non filospagnolo e quindi passibile di ritorsioni da parte del viceré di Napoli al punto che il Senato nel 1635 gli impose per due anni di andare in esilio. Tanto gli ci vorrà a sistemare al meglio le cose, ed altrettanto lontano da casa, significò mano libera al figlio, non sempre coerente con i suoi voleri e decisamente arrivista, spalleggiato dalla moglie e da Brigida rispettivamente figliastra e moglie creandosi un solco invalicabile tra i loro interessi ed il suo volere. Comunque l’ accordo del titolo si concluderà solo nel 1636 e ratificato del Reale Assenso, l’anno dopo).Così nel 1637 poté rientrare a Genova

Alquanto amareggiato, il 17 marzo 1640, nella villa sampierdarenese, stilò su un biglietto autografo il secondo testamento mirante alla salvaguardia della sua anima e della pace familiare, ad evitare liti fra gli eredi, salvaguardare l’unicità delle sue raccolte d’arte e –celatamente- a salvaguardare il secondogenito maschio dalle ambizioni del primogenito. Questo testamento fu poi impugnato da FrancescoMaria perché contrario alle leggi feudali di Napoli che prevedevano la successione in via primogenita; la lite, dopo transazione, finì a favore del primogenito.

   É del 1642 (come è scritto in alto a sinistra) la grande tela del 26enne GioBernardo Carbone (Ge.Albaro 1616-1683; precedentemente era attribuita a Domenico Fiasella) già conservato nella villa di san Fruttuoso e detta “dell’albero d’oro” perché ritrae la famiglia al completo con lo sfondo della villa sampierdarenese. Dignitosamente e poco appariscenti sono il volto barbuto, triste e severo del sessantenne GioVincenzo, un bastone su cui si appoggia soffrendo di ‘chiragra’, un pallore terreo in netto contrasto con le gote arrossate della nipotina su cui appoggia la mano. Accanto alla sua destra ha il primogenito FrancescoMaria ed alla sua sinistra in ordine  la moglie Brigida Spinola con in braccio un cagnolino (qualcuno erroneamente scrive essere la prima moglie Cattarina Grimaldi che in quegli anni era già morta), la nuora Genebra e per ultimi due quindicenni GianGiacomo e GianVincenzo juniori. Altri bimbi sono i figli di FrancescoMaria o putti. Si mostra sullo sfondo come erano in origine i giardini della villa sampierdarenese nel loro lungo sviluppo verso l’alto, con viali, statue, terrazze, laghetto ed all’apice il Belvedere col casino di caccia. Baldacci scrive giustamente che il dipinto è del 1642 e che la mg è Brigida, ma erroneamente lo fa dipinto da Dom.Fiasella come per lungo tempo fu ritenuto. Descrive altresì tutti rigorosamente vestiti alla moda spagnola -che sarà poi abbandonata dopo la peste del 1658 assumendo un “gala francese”-: gonna sostenuta da guardinfante -tipico spagnolo- busto con piccolo scollo rotondo, capelli sopra le orecchie, abiti rigorosamente nero e severo mentre la nuora Ginevra (o Genebra) moglie del primogenito FrancescoMaria, ha un vestito azzurro ricamato in oro; le bimbe con vesti di colori vivaci. Nel 1988 la tela fu sottoposta a restauro con una nuova foderatura. Fu esposta in mostra in villa Scassi, nel salone dove –si pensa-  fu concepita e realizzata l’opera .

Nel 1645 stilò un terzo testamento ed aiutato dal Sarzana fece un ampio inventario dei suoi quadri e libri, completato nel 1647. Gli anni della sua vita furono caratterizzati da contrasti ideologici col figlio Francesco Maria, primogenito per diritto, ma non prediletto perché –in parte sobillato dalla moglie e dalla suocera- era troppo interessato, tendenzialmente superbo, vanitoso e intraprendente senza tenere debita collaborazione e rispetto del padre; per evitare che questi disperdesse le sue collezioni, il Principe aveva fatto fare un inventario da allegare al testamento e porlo con un vincolo fidecommissario di inalienabilità; ciò malgrado alla sua morte,  fra gli eredi sorse una diatriba grave e profonda, ricca di  contese, sgarbi, contumelie e lacerazioni affettivi, alle quali il figlio pose fine vendendo tutto e convertendo in denaro liquido beni immobili ed artistici (con intermediario Domenico Fiasella, furono proposti in blocco a Carlo II Gonzaga (1659, specie i Rubens), ma a cui non riuscì venderglieli per alto prezzo dell’insieme e poi per decesso del sovrano; ottenuta dal Senato una deroga al fidecommesso, vendette all’asta 59 dipinti a FrancescoMaria Balbi, che ne rigirò nel 1667 gran parte a Cristina ex regina di Svezia e da essa alla collezione dei duchi di Orleans ed infine alienati. Le ville di Savona e SPd’A furono gradatamente spogliate del contenuto i cui beni andarono in mano a privati (una parte andò distrutto durante il bombardamento francese del 1684.

POLITICO  fu ovvio supportatore del padre quando questi divenne doge. Per sé, ma anche per conto della Repubblica, intraprese viaggi (ne sono descritti 11), conoscendo e facendosi conoscere dai potenti di tutte le terre e dal fior fiore degli artisti, stilando appunti e relazioni che poi furono riordinati e pubblicati da Anton Giulio Barrili (SLSPatria 1898).  Per tre mesi nel 1609=  a Milano, Mantova, Ferrara (a trovare lo zio Orazio), Assisi, Roma (da papa PaoloV) e Napoli. Nel 1612 a Ferrara, Venezia.

Nel 1616 fu ambasciatore a Mantova; ma già da giovane era stato in Spagna da FilippoIV, dal Papa e dal vicere di Napoli.

 Nel 1618 come ammiraglio o Magistrato delle galee della Repubblica impegnandosi in missioni:  partì un mese  per trasportare a Roma il duca di Albunquerque. Nel 1622 nuovo viaggio via terra col figlio primogenito quindicenne a Ferrara, Venezia,Padova (ove lasciò il figlio a studiare), Bologna, Firenze,Pisa. A fine marzo1623 andò  in missione segreta a Milano presso la sede spagnola per concordare alleanza contro il duca di Savoia –alleato con Francia e Venezia-  che premeva a nord per invadere la Liguria. Nel 1627 imbarcatosi a SPd’Arena andò a Napoli per incarico del re spagnolo; di ritorno andò ad ossequiare il papa UrbanoVIII. In Campania  tornerà di nuovo nel 1631 per l’acquisto in Irpinia del feudo di Sant’Angelo dei Lombardi.

Nella primavera 1635 a Genova e da Napoli  fu accusato malignamente e veementemente di essere ostile (“discolo”) alla Spagna e di slealtà verso il governo della Repubblica, nonché di essere stato autore di un fattaccio di sangue (omicidio per commissione di Carlo Muzio,  musico napoletano, non morto in realtà –si dice- solo ‘sequestrato’ per punizione di molestie arrecate a giovani persone della famiglia).  

Lui scrive che i parenti –essendo lui da tre mesi malato in San Pier d’Arena, curato da Riccardo benedetto Riccardi- non gli diedero notizia del provvedimento a suo carico, e che nulla seppe sino alla pubblicazione della  condanna

 Avvilito dalle accuse, “più morto che vivo” aspettò la sua sorte nella villa di SPd’Arena dove seppur nella pace, fu più facile bersaglio della fazione avversa che votò (68 contro 27) condannarlo all’esilio per due anni: fu stabilito fosse relegato nel ducato di Urbino. Partito da SPd’Arena con il secondogenito –nominato nel frattempo successore del titolo di principe di Sant’Angelo-, depresso per le calunnie, illazioni e false relazioni che lo avevano portato ad essere esule –di cui si lagnò nell’opera “Ritratto del Casalino” pubblicata a Bologna (città ove fu accolto dalla famiglia Paleotti -suoi lontani parenti- nel loro casale del quale si innamorò eche gli offrì l’estro delle quartine rimate colà  pubblicate)-, fu poi a Parma, Modena, Bologna, Venezia.  Rientrato in anticipo dall’esilio (tardo 1636), depresso e deperito, anche se a quei tempi, simile pena non era determinante ai fini di una prosecuzione di carriera pubblica (è storia contemporanea che evidenzia nel solo maggio 1616  ben 22 nobili furono condannati al bando di due anni perché ‘discoli’); infatti, per due volte (1641 e 42) fu  in corsa per la nomina a doge ma senza una sua volontà politica determinata e poco attratto da ambire alla carica; in entrambi i casi risultando secondo come numero di voti.

MILITARE  Fu eletto (1611) alla carica biennale di colonnello della Repubblica a difesa della valPolcevera (dovrà attentamente vegliare sulla regione, difendendola dai corsari, ladri di strada, banditi et assassini), arrivando nel 1618-20 (stesso anno di vedovanza, con il padre allo scadere del mandato di doge) alla nomina di Magistrato (o Ammiraglio, o Prefetto Generale) delle Galee della Repubblica, ovvero comandare una flotta inviata a Messina a cercare i pirati turchi, con l’incarico di sbarazzare le coste  (tornò con un nulla di fatto dal punto di vista militare per (come gli era stato imposto alla partenza) mere questioni di precedenza nello schieramento, ma missione giudicata egualmente positiva dal Senato); altrettanto vana -per non aver contattato il nemico- fu subito dopo un’altra spedizione  contro i corsari nel mare di Corsica e Sardegna.

Nell’anno 1621 fu Commissario di Albenga  (e poi di Pietra) nel tentativo prevenire i tentativi di invasione dell’esercito piemontese: compiti organizzativi affrontati con energia e determinatezza). Così di nuovo nel 1624 fu eletto Capitano della Polcevera; insediatosi a Rivarolo, ricevette dei rimbrotti dal Senato per aver perso tempo nell’arrestare un frate impostore e sovversivo, senza aver tenuto conto che fu impedito per le lungaggini della Chiesa nell’ autorizzarlo ad agire. Nel 1625 la Repubblica  venne attaccata da Carlo Emanuele che occupò il Monferrato, Novi e Gavi ed in battaglia nel 1625 aveva vinto a Voltaggio: l’I. venne inviato a Milano per frenare le velleità del nemico con la nomina a senatore per 2 anni; quando la situazione sembrò precipitare in peggio, Francia e Spagna si accordarono a Monçon e bloccarono tutti i contendenti; la paura fece decidere il senato ad erigere –dal 1626 e segg- l’ultima cerchia muraria della cui messa in opera l’I. diverrà un elemento cardine organizzativo (sue parole sono: “quei monti ch’erano la nostra offesa, oggi sono la nostra custodia. Se il sito porge la forma alla fortezza, la forma reca la fortezza al sito”). Nel 1630 verrà inviato a ispezionare le fortezze di Vado  e Savona

LETTERATO:  due fratelli, Fabrizio ed Ottavio risultano allievi dell’università di Pisa negli anni 15768-70; è presumibile che il Nostro invece sia stato educato in casa da un precettore  potendo così altrettanto seguire gli affari di famiglia, in Campetto o a SPd’Arena. In età giovanile compose tre libretti di poesie. 

Fece parte e forse ne fu il creatore (1610) e patrocinatore dell’Accademia dei “Mutoli” (sorta a Genova in quegli stessi anni e dove era conosciuto col nome di ‘Desioso’ composta dal fior fiore degli ingegni locali; aveva il motto ‘musa cordi’.

 A Genova, fu membro anche degli ‘Addormentati’ assieme ad Ansaldo Cebà ed a Gabriello Chiabrera. Sappiamo che nel tempo partecipò ad  altre accademie che portavano nomi strani: Gl’Intrepidi di Ferrara, con motto ‘reboat non nutat’ ove lui si chiamava Ripercosso; Gl’Humoristi a Roma (motto: ‘agit dum agitur’; e lui:  l’Agitato), Gl’Otiosi a Napoli (motto:’firmius ut ocyus’; lui: il Fermo), Gelati di Bologna (Attempato).                                   Amico del Tasso, del Cebà e del Chiabrera, ha avuto contrastanti giudizi: da un lato è divenuto misconosciuto perché fu considerato uno scrittore privo di capacità poetica e come tale bollato in modo da non essere mai citato nei libri di letteratura, perfino dai cultori del barocco italiano al quale era convinto e fedele cultore; dall’altro è valutato uno dei maggiori  poeti liguri della sua epoca:  suoi sono  il poema in versi endecasillabi “Lo stato rustico (in versi sciolti, ebbe una prima edizione nel 1607; ed una seconda a Genova nel 1611 conservata alla Berio, una terza a Venezia del 1613 arricchita di oltre cento nuovi componimenti di poeti in sua lode; e probabilmente un’ultima – quarta - a Genova nel 1646. Alla Berio: “stāpato in Genoua per Giuseppe Pauoni MDCXI”, in pochi esemplari, frontespizio inciso in rame dallo scultore Philippe Thomassin. In essi, se letti con lo spirito giusto di allora, ovvero giardino-cultura, si esalta la vita semplice della campagna, si capiscono le allusioni alla struttura di esso come liberazione e libertà, armonia tra uomo e natura, reinserimento dell’uomo nel giardino terrestre, e quindi incisivi nella futura costruzione di essi a capo delle ville, come già avveniva a Firenze, Roma ed in Europa. Diede alle stampe “gli indovini pastori” nel 1613 dedicati al marchese di Carrara alla nascita del secondogenitoIl poema, diviso in sedici parti, relaziona un fantasioso viaggio attraverso l'Italia compiuto da Clizio (personaggio sotto il quale si nasconde lo stesso autore) ed è interessante dal punto di vista geografico ed etnografico in quanto avendo lui molto viaggiato, vi riporta interessanti notizie ed appunti sulle città visitate, i mezzi di locomozione, gli itinerari, ecc. in Giornali di viaggio.                                                           Sue opere sono anche “Il ritratto del Casalino” componimento dedicato a gl'ill.mi ss.ri Academici Gelati, con i caratteri de l'herede di Vittorio Benacci, Bologna 1637;   le “poesie latine” del 1648;    i “discorsi politici”;   un componimento in lode della ’la santa Teresa’ (in seconda edizione del 1615, sarà intitolato ‘la beata Teresa’), dedicato alla sorella suor PaulaFrancesca e sempre con i caratteri del Pavoni;  un libro di “viaggi” con prefazione e note di Anton Giulio Barrilli, ripubblicato dalla Società Ligure di Storia Patria nel 1898.                                                                                                                       Alla sua morte saranno inventariati circa mille libri.

 

MECENATE non ultima qualità, che gli fu solo parzialmente riconosciuta con dediche e stima. Curò in particolare col Chiabrera. a cui ripetutamente prestò somme di denaro non sempre restituite con sollecitudine. Particolare fu l’amicizia con Bernardo Castello, tanto da fare da padrino al battesimo di Settimia, figlia dell’artista il quale gli chiese di scrivere “Gli Argomenti”, da anteporre ai canti dell’opera del Tasso di cui il Castello aveva già illustrato la prima edizione; col Paggi, vanDyck, Fiasella, Luca Cambiaso,

 

COLLEZIONISTA All’età di trenta anni, abbandonò  ogni velleità letteraria o artistica e, forte delle esperienze acquisite in tanti viaggi (venditori di libri, cammei, quadri), iniziò a dedicarsi al collezionismo. Possedeva una ricca biblioteca, statue antiche, arazzi, ma soprattutto una  ampia quadreria –in parte iniziale ereditata dal nonno-: del Rubens il ‘compianto di Venere su Adone’ (quando il Gonzaga nell’estate del 1607 fu ospitato nella villa vicino dei Grimaldi, sicuramente ebbe contatti con lui e col suo pittore); la ‘donna allo specchio’ del Tiziano; il ‘san Sebastiano’ di G.Reni (ora a Palazzo Rosso).  Boccardo ripropone l’elenco dei quasi 80 quadri che facevano parte della collezione a San Pier d’Arena: numerosi dello Strozzi, e poi del Paggi, del Tiziano, Borzone, Sarzana (Fiasella), Castello, e di ignoti. La sua immagine fu riprodotta in due quadri da Van Dyck ed in uno da GioBernardo Carbone.

 

===Francesco Maria I Imperiale q GianGiacomo q.GianVincenzo nato ad ottobre nella villa di SPd’A, fu battezzato il 9.10.1606 alla Cella con padrino il prozio Leonardo Spinola q.Giovanni. Sarà l’erede primogenito di GianVincenzo e dei beni degli Imperiale (dal bisnonno Vincenzo a lui, più della dote della madre Catterina, più la dote di Genebra sua moglie, più quella di Brigida sua suocera, più metà dell’ingente fortuna accumulata dallo zio Giannettino Spinola; avrà beni mobili ed immobili della dimora genovese, quadri e libreria compresi. Mentre per tutto il resto, erede sarà al fratello GBattista). Viene definito “giovane ambizioso ed arrivista, poco incline agli amori fraterni ed al rispetto dell’autorità paterna”; questo perché alla morte del padre, gli eventi sfuggirono di mano ai vari interessati, tanto che le loro beghe sfociarono in un caso di Governo, giudicato alla pari di una sedizione: tutta la città parlò allora dell’infamante situazione creatasi in segno alla famiglia degli Imperiale di sant’Angelo. A Napoli, ebbe ragione sull’eredità del principato, dal padre destinato con testamento olografo al fratello ma da lui contestato perché per le leggi locali era con successione di primogenitura. Ma –allargata la lite- qui in città alcuni componenti conobbero il carcere per vari mesi, altro condannato a 10 anni di relegazione in Sicilia; FrancescoMaria sarà condannato al bando perpetuo nel regno napoletano (pena che poi venne ridotta in carcere domiciliare, segregato solo per attendere alle sue fortune, per 30 mesi). Tutti i beni di famiglia, così smembrati, subiranno lenta ed inesorabile  ‘devolution’.

 


  Il 19.4.1622 dopo abile concertazione tra genitori, sposò in casa Imperiale la divenuta sorellastra Ginevra (figlia di Brigida –matrigna- e di q.Giacomo Doria, erede per 1/3 dei beni lasciati dal padre, ovvero 40mila scudi d’oro). Il matrimonio non venne consumato perché Francesco Maria è appena quindicenne e la sera stessa parte col padre per un viaggio lungo l’Italia; verrà affidato ad Alessandro Singlitico, professore di diritto a Padova.                                                                                                                                                

 

 

 

 

 

 

 

   Francesco Maria I  - ritratto di Giovanni Maria Dellepiane detto Mulinaretto -Palazzo Bianco- Ge



Dal matrimonio poi consumato, nell’aprile 1627 nacque il continuatore del casato, chiamato Gian Giacomo juniore o II.  Ad esso, seguirono altri 11 figli: due anni dopo, 1629, nacque GianVincenzo juniore (o II – morirà venticinquenne il 14.6.1653 per incidente “casu per scalam descendens”). Seguirono Gio.Nicolò II (battezzato 25.11.1631 – m.?); Gio. Antonio (battezzato 5.12.1633- m ?); Il 2 dicembre 1635 morì Brigida, di due anni d’età (battezzata 28.1.1635 – sepolta .2.12.1637); seguirà Gaspare (nato 1637 – sepolto 23.12.1641)Maria Catterina (n ? – m. 22.10.1674)Maria Elianeta Agata Hiacinta (battezzata il 25 marzo 1639 – m.20.2.1669); Bianca Maria (? - ?); Virginia (n ? – divenuta suor Maria Maddalena- m ?); Placidia  (n? –m?); Anna Maria III (n? – m.1704)

Morì il 1 agosto 1678.

===Gian Giacomo II. fu battezzato il 27 aprile 1628 alle Vigne. Appena 35enne morirà di “longa et incurabili infermitate” il 13.5.1663 dopo matrimonio con Livia Salvago q. Carlo anche lei morta giovane il 29.9.1662. La coppia aveva avuto sette figli, il cui primogenito fu Francesco Maria II, n.1653 – m.?, -stesso nome del nonno- che ereditò il feudo di sant’Angelo.

===Francesco Maria II, figlio di GianGiacomoII , era nato nel 1653 (*=secondo ElSiglo=1654); ereditò il feudo di s.Angelo.  Appena adulto,  riconosciuto come persona di vasta cultura ed impegno pubblico,  fronteggiò i problemi delle terre napoletane  (tra i quali primeggiava il brigantaggio) dapprima da solo, poi inviando a sant’Angelo il fratello Enrico.  Più volte preside della Giunta di Giurisdizione, del Magistrato dell’Inquisizione di Stato, della Guerra, di Corsica. Durante il dogato introdusse «l’aggio sulla moneta di Banco» ed ospitò a san Pier d’Arena l’imperatrice Maria Cristina di Svezia.  Sposato con Livia Centurione ebbe primogenito Gian Giacomo e secondogenito Giulio (nato il 5 giu.1680). Oberato dagli impegni genovesi (senatore perpetuo, doge  dal 17 (*=22) sett 1711 al 22 sett 1713, ecc.) col consenso del suo primogenito,  l’8 aprile 1717 decise di lasciare il feudo irpino a Giulio il quale per adempiere meglio la missione e curare personalmente la gestione della proprietà, si trasferì a vivere a Napoli ove –per le indubbie capacità ebbe riconoscimenti anche dai Borboni (dal 1734 conquistatori del regno di Napoli) e da Carlo VI d’Austria).   Morto repentinamente  il 7 dic.1738 (*=1736), sepolto in san Siro, gli successe il figlio Placido che era nato a Napoli il 13 Aprile 1727 dalle nozze con Cornelia Pallavicini; che poi –nelle terre feudali- fonderà la città di Poggio Imperiale.

 ===Viene segnalato un altro Francesco Maria Imperiale-Lercari, che nacque anche lui  a San Pier d’Arena il 4 giugno 1629; dove, non è descritto; e figlio

primogenito  di Franco q.GioCarlo e di Giovanna M.Salvago; con padrini di battesimo mons. DeMarini Domenico e Lomellini Caterina. Primogenito ebbe tre fratelli maschi di cui uno GioCarlo. Cresciuto ed istruito in villa, anche lui ebbe poi vita ricca di gloriose esperienze: a 20 anni venne ascritto (13 dic. 1649) al Libro d’oro, raccogliendo lodi e favori. A 22 anni sposò (1652) la marchesina Emilia Brignole Sale (figlia di Anton Giulio; portò in dote 35.000 scudi, pari a lire 239.750) dalla quale ebbe due figli: Francesco che sposò Anna Spinola e Paola che sposò GioBenedetto Spinola.

A 25 anni fece parte degli Inquisitori di Stato, legandosi in amicizia con la Spagna. A 32 anni si distinse nel portare sollievo agli appestati meritando figurare nell’elenco d’onore di p. Antero. Dal dicastero dei Revisori e dall’amministrazione del Banco di sGiorgio, a 41 divenne Magistrato del Vettovagliamento. A 43 anni(10 giu.1672) fu nominato senatore,  e -dopo la rapida vittoria contro il Duca di Savoia- presidente della Giunta dei confini (laddove continuavano gli screzi tra piemontesi e genovesi).  Nel 1676 venne nominato inviato speciale straordinario al Pontefice Innocenzo XI: per due anni dimorò a Roma (qui, moglie e figlia, particolarmente belle, diedero adito a pettegolezzi a non finire; ma più importante fu la rottura delle relazioni diplomatiche con la Francia e la tessitura di protezione di Genova con l’ambasciatore di Spagna e col Papa, specie in occasione del cannoneggiamento di San Pier d’Arena).

 Divenuto l’82° doge il 18 ago.1683 (fino all’85),  fu sotto il suo rettorato, per 10 giorni dal 17 maggio 1684 (36.scrive erroneamente:1679)  che la flotta francese del Re Sole Luigi XIV guidata dall’ammiraglio Duquesne (stimolato dagli esuli (su tutti Sinibaldo Fieschi, privato per confisca dei beni familiari); irritato per l’appoggio preferenziale alla Spagna sua nemica ed alla ricerca di qualsiasi provocazione per poter legalmente punire quell’insolente piccola Repubblica, minuscolo staterello capace di contrastare sul mare il potere della Francia. Furono 14 vascelli, 3 fregate, 20 galee, 10 galeote, 2 brulotti, ed altri 100 bastimenti da trasporto) per dieci giorni bombardò la città di Genova, creando grande sconforto, paura ed incertezza, colpendola con 13-14mila bombe (al quinto giorno il com. Seignelai interrogò il Senato se voleva piegarsi: gli fu risposto non essere disposti a negoziare sotto le bombe; cosicché riprese sino all’esaurimento delle munizioni (non cedimento, accettando un accordo solo all’allontanamento della flotta avversaria; tanto da vincerne l’audacia e subire solo in parte l’ imposizione delle volontà d’oltralpe. Il palazzo Ducale fu particolarmente ‘mirato’ da costringere i senatori trasferirsi all’Albergo dei Poveri; e ori ed argenti pubblici e delle chiese, raccolti in luogo sicuro temendo l’invasione. Le richieste furono: saluto all’arrivo in porto delle navi francesi, il deposito del sale di Savona, ed il disarmo delle galee che a Genova erano molte con vogatori liberi e pagati. Ma il sovrano francese  non si accontentò di una semplice resa; volle vanitosamente che fosse anche mortificante: che il doge andasse a Parigi (malgrado sapesse che per legge interna genovese gli fosse proibito uscire dal territorio della Repubblica: questa sottile vittoria diplomatica, diede molta soddisfazione al re francese)

 il doge a Parigi firma sottomissione

 

 Partito il 29 mar 1685  con 4 senatori (Giannettino Garibaldi, Agostino Lomellini, Paride Salvago, Marcello Durazzo, e numeroso seguito) passando per Torino (dal duca Vittorio Amedeo II di Savoia), via Moncenisio, fino a Parigi (arrivo il 18 aprile, all’hôtel de Beauvais) ed infine –dopo altre 4 h. di carrozza, grandissimo sfarzo, entusiasmo popolare- a Versailles a chiede scuse solenni per averlo obbligato ad usare la forza per indurre Genova a sciogliere i legami con la Spagna, nuocendo agli interessi francesi, forse riconoscendo però che da quelle famiglie erano nati fior di guerrieri che vincevano anche nelle fila dei suoi eserciti (l’incontro avvenne  nella grande ‘galerie’ degli Specchi –lunga 73m.,da poco completata, che si affaccia sui giardini- seguendo un cerimoniale studiato per non offendere i genovesi pur rimarcando il trionfo del re; il doge –come i prìncipi- dovette sottoporsi ad una triplice riverenza: scoprire il capo inchinandosi per due volte, poi -salito uno scalino verso il trono- rifare una ulteriore riverenza e  rimettere il cappello; le ‘scuse’ furono espresse in italiano; l’aneddotica racconta che di fronte allo sfarzo della nuova appena ultimata residenza francese, alla domanda del re quale fosse stata la meraviglia che maggiormente l’avesse colpito, lui rispose col famoso e fiero “mi chì”. La pace comunque venne stipulata, il doge ottenne preziosi regali (un ritratto del re fregiato di preziosi diamanti dal valore di 1500 doppie, drappi ed 2 arazzi Gobelins di Fiandra riproducenti con filamenti d’oro i giardini reali), ma soprattutto così fu salvata pure l’autonomia della Repubblica, tornando a Genova il 19 giugno ove governò fino alla scadenza del biennio dogale nell’ago. 1685.  Mantenne per altri 25 anni vita pubblica ed incarichi (per sei volte fu “magistrato di Corsica”, tornò a far parte delle giunte dei Confini e della Giurisdizione, ed a presiedere gli Inquisitori di Stato )). 

Mancò il 25 mag.1712 per ‘post molestam infestam hydropisim’,  e  fu sepolto in san Lorenzo nel sepolcro della famiglia

    Del casato Imperiale vengono citati altresì:

===tre cardinali Lorenzo di s.Grisogono (1652; due volte governatore di Roma ebbe parte nel 1622 all’episodio di offesa all’ambasciatore francese Créqui, nell’occasione accusato di essere geniale difensore della libertà italiana, ma genericamente ambizioso e poco scrupoloso “comme les politiques de son pays, génois”); GiuseppeRenato di s.Giorgio in Velabro (1690); Cosimo di s.Clemente (1753)

===Un altro Francesco Maria, nato nel 1654 da GioMatteo, divenne il 96° doge per il biennio dal 22 sett.1711;  fu lui ad ospitare nel 1712 l’imperatrice Elisabetta Cristina, moglie dell’imperatore Carlo VI, nella nostra villa. Morì 82enne il 4 ago.1736 e fu sepolto in san Siro.

===Ambrogio, figlio di Federico, fu eletto 100° doge il 4 ottobre 1719. Morì 84enne e fu sepolto in san Benigno.

===Giuseppe Imperiale di sant’Angelo, marchese genovese,  fu il primo italiano ad arrivare sulla vetta del monte Bianco. Esule mazziniano a Chamonix, fu stuzzicato da francese che giudicava gli italiani incapaci di simile impresa. Piccato, assoldate delle guide, un pò spavaldamente ma positivamente nel 1840 stigmatizzò l’impresa.

===Ultimo aristocratico di fama fu Cesare Imperiale di sant’Angelo, nato a Genova nel 1859. Divenuto consigliere comunale ed assessore, fu fautore dell’istituzione del CAP, appassionato navigatore, scrittore di studi storici. Morì a Venezia nel 1940.

 

La Scorza riassume i titoli dei quali fu insignita la famiglia: PRINCIPI del Sacro Romano Impero; di s.Angelo dei Lombardi; di Francavilla; di Faggiano; di Lioni.

DUCHI di Torra.   MARCHESI di Latiano; Oyra; Clarafuentes. CONTI di Andretta; Malle; Nusco. SIGNORI di Massafra; Montefoscoli; Carovigno; Serranova; Avetrana; Corsica; Focea; Lesina; Uggiano

 

 

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