GARIBALDI                                            via  Garibaldi

 

 

 

da Vinzoni, 1757. Presunto tracciato                                                    da G. Brusco - progetto

 

Non più a Sampierdarena; attualmente è nella zona della Maddalena.

Corrisponde all’attuale via A. Pacinotti.

Nella carta del Vinzoni, 1757, ancora non c’è traccia di questa strada.

Conosciamo progetti di pochi anni dopo - fine settecento - di rettificazione stradali, intesi a collegare la marina del Canto con la parrocchia a san Martino, evitando il centro del borgo; affinché il traffico trovasse maggiore snellimento nell’usare una strada periferica anziché passare dal centro. Di questi progetti, due i più conosciuti:  quello della seconda metà del XVIII secolo, che dalla Piazza del Vento di via Fiumara passava proprio davanti alla abbazia di san Martino e proseguiva diritta verso la zona della Pietra; e lo stesso  progetto, ripreso e firmato da Giacomo Brusco, nel 1781 (ma neanche lui realizzato), che dalla via al Ponte arrivava alla Palmetta, con un preventivo di spesa di 13.080 lire (meno di altro progetto mirato ad allargare l’attuale via C. Rolando, in quanto con opere di ‘non gran spesa’).

Presumo che la strada fu aperta negli anni tra il 1805 ed il 1830 ovvero, o negli ultimi anni francesi, in corrispondenza dell’ abbandono delle proprietà terriere da parte della aristocrazia =o, al limite, in epoca dei primi anni del potere dei Savoia - quando prati ed orti non erano più prezioso possedimento privato. 

Negli anni 1850, la strada c’è già, ovviamente in terra battuta e viene chiamata “Strada reale” (come tutte le strade neoformate, in età regno di Sardegna dei Savoia). Rispetto questa strada, la zona a ponente e fino al torrente, diverrà territorio di espansione dell’Ansaldo (che - alla fine – tanto si allargò che pervenne a costeggiare la strada).

Nella zona a levante del Canto, il 21 dicembre di quell’anno si fa domanda di erigere capannoni per una fonderia, ditta Ghersi & C.  (appare all’Archivio di Stato il progetto per erezione - sopra il terreno che era ‘orto Susso’ (più a mare di dove via Garibaldi –oggi Pacinotti- si incrocia con via Avio) - della fonderia per produzione di ghisa usando un cubilò, le fiamme ed un camino). Progetto approvato entro fine anno.

Nel frattempo venne  assestata ed allargata; e così, dapprima chiamata semplicemente “via Nuova“ (così è chiamata nel regio decreto del 1857, riconosciuta come terzo tratto della lunga “strada della Marina”: quello che dal Canto  arrivava alla casa Ferrando (vedi carta Vinzoni, sulla strada che poi si chiamerà s.Cristoforo) vicino al ponte di Cornigliano, in zona che diverrà ‘della Crociera’.

 

via Garibaldi è chiamata “Strada Reale”- In alto a destra

è scritto: zona di SPd’Arena detta ‘al Canto’ ove si vorrà

costruire la fonderia Ghersi (al centro, più chiara)

    Al civ.5 in quegli anni vi abitava Robertson; mentre al civ.12 (circa dove c’erano gli uffici dell’Enel) abitava Wilson: ambedue industriali che avevano aperto una fonderia in città.  Quest’ultima palazzina fu poi abitazione di Morasso Luigi che fu proprietario di magazzini di grosse proporzioni, visto che possedeva un proprio distaccamento della linea ferroviaria e localizzati nell’angolo tra via Fiumara e via Principale Comunale, e che il 21 maggio1865 –quando al comune di San Pier d’Arena venne conferito il titolo di città- era assessore sotto il sindaco Nicolò Montano.

    Nella decade successiva al 1860 Enrico Scerno aprì sulla strada una piccola fabbrica di chinino e biacca trasformata poi - in società con Gismondi Carlo-- in raffineria di salnitro. La Scerno aveva una trentina di operai. L’azienda si era contemporaneamente dedicata anche  alla estrazione di olio da semi, trovando in questo ramo una vigorosa espansione (raddoppiando il capitale in pochi anni, e passando da 40 a 600 operai nel 1888); ebbe un crollo in quell’anno causa la rinuncia forzata all’esportazione del prodotto ed al crollo di due banche cittadine. Dopo una temporanea chiusura riprese con 305 operai migliorando le strutture dotate di motori ad energia elettrica, divenendo la più grossa società ligure nel ramo oleario.  Dopo circa quarant’anni di attività subentrò il figlio Fausto; nel 1898 la società comperò un molino a Pegli che cedette ai Molini Alta Italia in cambio di loro azioni (aprendo così nuovo indirizzo di investimenti e creando un nucleo -composto da quattro grosse società: Molini Alta Italia, Molini Liguri e SemoleriaItaliana- che costituì un vasto impero nella lavorazione dei cereali); nel 1899 divenne soc. per azioni; nel 1907 raddoppiò il capitale a 3,6milioni di lire rinunciando gradatamente alle attività nel campo alimentare (vendendo i due oleifici ed il dock sampierdarenesi cessò ogni fabbricazione e commercio di olii vegetali) e consolidandosi in azienda chimica: formando la ‘Nitrum Scerno Gismondi & C.’ produttrice di salnitro e lavorazione dello zolfo, ma sempre agganciata finanziariamente alla grossa holding alimentare. Nel Pagano/1911 compare alla voce ‘nitri (raffinat.), via Garibaldi, 12). Nel 1913, divenuta soc.an.Nitrum S.G.&C., con 3,6milioni di capitale (compartecipazione finanziaria di banche e privati) e 2 stabilimenti, era ancora la più grossa delle 4 società liguri nel campo chimico, con ampliamento alla produzione dei concimi e fertilizzanti.

   Datata 7 ottobre 1890 la richiesta al Sindaco di potersi ampliare, da parte del direttore della ‘ditta Agostino Oneto &C’ (vedi a piazza Saponiera’), fabbrica di saponi comuni (uso industriale e domestico) e per toeletta, posta al civ. 14. Il disegno dell’opera aggiunta era datato 1875 quando era ancora vivo il titolare, prevedeva ultimare un locale a tramontana del fabbricato principale prospiciente via Garibaldi. Lo stesso Agostino Oneto, (consigliere comunale nel 1882; la sua carta da lettere –ai due lati del nome- riportava un disegno di un veliero da una parte e di un pezzo di sapone dall’altro) presentò al sindaco il progetto degli ing. Salvatore Bruno e Luigi Macciò che prevedeva un nuovo impianto ferroviario con scalo merci, allacciamento al porto e raccordo con la linea di Torino al fine di decongestionare il traffico su rotaie divenuto caotico e convulso a livello di s.Benigno 

   A fine 1800 assunse inizialmente il nome di via Garibaldi (con il solo cognome, senza il nome Giuseppe) sia il tratto che dal Canto proseguiva via C.Colombo ed arrivava fino alla Crociera, con al civ.5 l’emporio Carpaneto e vicino la “crosa dei Lavatoi”, sia anche la via che continuava diritta verso l’interno, dalla Crociera alla “Piccola Velocità”(via Spataro), con la raffineria Zuccheri; mentre dalla Crociera al Ponte si lasciava il nome alla diretta est-ovest: via san Cristoforo (poi divenuta C.Battisti e ancora dopo via Degola -vedi)

Corrisponde uguale nei primi elenchi comunali del primo decennio del 1900; come sopra, era:  prosecuzione verso ponente di via C.Colombo (via San Pier d’Arena), fino all’incrocio alla Crociera; e, chiamata ‘superiore’ la  continuazione a nord fino allo “scalo Piccola Velocità”, “in mezzo a stabilimenti industriali” (oggi, via Spataro).

Aveva civv. sino al 27 e 42. Risultano proprietari in quegli anni (tra parentesi, spiegazioni dello scrivente; e la data del Pagano ove compaiono l’ultima volta): del civ.1 e 3 casa Tuo, Daste e C. ; 2a 2b Morando Raffaele ; 5 Carpaneto GB ; 6 Parodi e C ; 8 Viale e C ; 6a, 7 Castello Salvatore; 9 Castello Gaetano ; 10 Grosso Francesco ; 10, 11, 12, 12a, 12b eredi Morasso (attuale Enel) 13 Merello GB e C ; 14, 14a Oneto e C ; 14a Mejer ; 15 Pastorino (Carlo) ed emporio Carpaneto GB (il palazzotto sul lato a ponente della via, attuale sede della Coop7, eretto come villa seicentesca); 17 Bruzzone Catterina; 17a,17b fratelli Mongiardino; 17c Ravano Pietro; 18 Rapallino e C; 19 Pittaluga Antonio; 20,21,22 Enrica Peirano; 23 Scerno e G.  fabbrica olio.

   Rolla - 1902

 

Il Pagano 1902   segnala queste attività: civ.1Storace, Rolla e C.”, tel 906, negozio di metalli (posto vicino all’emporio Carpaneto, divenne una fabbrica di tubi di piombo e stagno. Nel 1925 risulta cambiato il nome della società, in  “soc.an. Rolla, Traverso & Storace”  tel.41339 e 41340;  attiva come acciaieria, lavor.metalli, fabbr. e negoz pallini da caccia, tubi ferro e piombo; nel 1926 si reclamizzava per ‘prodotti siderurgici e metallurgici’ – con capitale sociale di 3 milioni interamente versato- in una fattura vendono ‘pane di stagno’; nel 1955 l’intestazione è identica, la via è divenuta N.Barabino 115, il capitale sociale è salito a 25milioni, vendono tubi acciaio zincati-fogli di zinco-lastra di piombo)---civ.2 pizzicagnolo Biassa Dante; (attivo fino al 1911);--- 2A Morando Raffaele (anche lui presente fino al 1911) appaltatore di costruzioni;---2B negozio tessuti di Covati Giacomo e Moglie (1911);---  12 Scerno, Giusmondi e C. industria chimica per raffinare i Nitri e lavorare l’olio di cocco e di sesamo;---14 Oneto Agostino e C. fabbrica di sapone, tel. 815 (vedi pag. precedente);

non specificato il civico: il negozio di carrube dei f.lli Verroggio (1911);--- Tudor (1912) società genovese di Elettricità (energia p. luce).

   Sul Pagano/1908  troviamo (anche 1911-12): al civ. 1 negoz.di metalli e tubi di ferro e piombo  di Storace, Rolla e C.(deposito ferro e acciaio anche nel 1925; telef.n.906, poi 41340;--- al 12 Scerno, Gismondi e C., ‘raffinat. nitri’ (→1911);-- al 14, fabbrica saponi ed oleificio Pavese (tel.815)(→1911);-

   Nel 1910, l’elenco ufficiale delle vie cittadine, evidenzia ‘via Garibaldi , da via C.Colombo allo scalo Piccola velocità’, con civv. sino a 27 e 42.

  

inizio a mare

   

 

 

con lume a gas                                                          dopo il capannone a sin., sbucava via Operai

 Nel Pagano 1911, 12, 1925 ci sono in più: civ.14  Oleifici Nazionali (1925);---  al 19r il fornaio Parodi Carlo (1925);--- al 31r le fonderie di Parda Michele (1925, una delle 5  in città; nel 1921 non c’era;--- civ.59-61r l’osteria di Zanetta Pietro;--- 67r  Fustinoni A.G. di Agostino gestisce fino al 1925 un magazzino per depositi (docks);---  non specificato il civico: l’ebanista Danovaro Lorenzo (1925) (nel 1925 diventerà Danovaro Giuseppe fabbrica mobili in legno, via Garibaldi Superiore);--- il tabacchino Porcile Nicolò (1925) con la rivendita n.9

   Nel 1921 una tassa comunale straordinaria raggiunge alcune aziende cittadine ubicate nella strada, come al civ. 2 lo stabilimento della soc. an. Esercizio Molini¨, tel.41337. non specificato il civico: l’OEG (Officine elettriche genovesi, evidentemente subentrate in questa sede all’abitazione dei Marasso ed all’attività della Tudor,  nel primo ventennio dl secolo. L’OEG era nata nell’aprile 1895 da un capitale interamente tedesco che rilevò la primitiva ‘Società genovese di elettricità a sua volta nata nel 1891 come emanazione dell’ ‘Acquedotto DeFerrari-Galliera. Nel giro di pochi anni, ovvero nei primi anni del 1900, San Pier d’Arena fu quasi completamente illuminata. Nel 1925 è officina di produzione, al civ. 13, tel.42034-5, assieme ad altra privata in via Argine. Progressivamente anche loro allargarono gli spazi, sacrificando il saponificio Oneto e buona parte delle scuderie di Carpaneto); e  la soc. Ligure Lombarda (sia jutificio che fabbrica di marmellata e raffineria. Nel 1925 come ‘raffinat.zucchero’ è al civ. 34, tel. 41380-1).

    Nell’elenco   pubblicato nel 1927 quando appena formata la Grande Genova, il nome del generale appare presente in una via del Centro  e di ben 11 delegazioni: Borzoli, Nervi, Pegli, Pontedecimo, Rivarolo, S.P.d’Arena, Sestri, Voltri,  Cornigliano, Prà, Quarto. La nostra era classificata di terza categoria. Ovvia la sostituzione, a vantaggio del Centro.

      

   

Crociera - con antica villa nella via Pieragostini    palazzo, nel cui retro scorre via Alberto di B.

 

 

la Crociera

Nella Guida Costa/1928 ancora esiste la strada così titolata. Vi è descritta al civ. 36 il “Servizio automobilistico Sampierdarena-Coronata”

Nel gennaio 1932 fu appaltata la pavimentazione, preventivando una spesa di 693mila lire, da far completare da 20 operai in due mesi.

      

 

   Nel Pagano 1933 vi vengono segnalati: al 4r la stiratoria di Meudes Lina; 31r la fonderia di Parda Michele; al 57r Soc.Italiana Importazione olii Clarentj; al 59-61r i vinai Scarsi Sebastiano e Zanetta Pietro; all’87r il pasticciere (drogheria, confetteria, bar) di D’Oria Emanuel. Non precisato dove lo stabilimento della soc. Esercizio Molini; e ‘in via Garibaldi superiore’ (oggi via Spataro) fabbrica mobili in legno di Danovaro Francesco (già presente come Danovaro Giuseppo dal 1912).

    Tale rimase  sino al 19 ago.1935 quando per delibera del podestà, divenne via A.Pacinotti, da via N. Barabino a via G. Tavani; di 3.a categoria e con civv. sino a 27 e 36. In quest’anno fu completata dall’impresa Dighero – assieme a via C. Battisti - la pavimentazione con pietre di granito (6500 mq), costata al comune 560mila lire.

   Per innumerevoli anni la strada è stata percorsa da linea ferroviaria (che collegava il porto con le varie grandi aziende) e da linea tranviaria (solo la linea che proveniva da ponente, in quanto quella inversa procedeva lungo via Cavour-Dondero).

 

 

 

 

 

 

 

 

DEDICATA al Ligure, detto Eroe dei due mondi.

 


 

Nato a Nizza (era dei Savoia; quindi prima che fosse ceduta =1860, alla Francia) il 4 luglio 1807 da Domenico  un marinaio di Chiavari (originari di Ne, in val Graveglia) divenuto capitano di cabotaggio e da Rosa Raimondi (o Raimondo) una popolana donna di Loano). Secondogenito, aveva prima Angelo, poi Michele e Felice; ultima Teresa morta in tenera età. Morto 74enne a Caprera il 2 giugno 1882.


Figlio. Considerata la mentalità di allora, tanto normale non doveva essere; se non altro fonte di pesanti ansie e mortificazioni per la madre (lo difese e lo protesse, ma possiamo immaginare le pene che avrà sofferto, le preghiere che avrà recitato in chiesa, gli sguardi e commenti dei conoscenti, per quello scapestrato senza Dio che –ovunque andava- c’era una rivoluzione o una guerra), e di cocenti delusioni per il padre (che se non poté farne un medico o avvocato, forse avrebbe accettato un mite pescatore o -che fortuna per lui!- un commesso).Ma anche i normali lavoratori, se da un lato apprezzavano la sua ‘carriera’ di marinaio, dall’altro lo classificavano un avventuriero (spedizioni militari nella lontana America; appartenente alla Giovine Italia; che in Italia i faceva chiamare Giovanni Borel o Cicombroto – falso nome con il quale si era imbarcato sulla fregata De Geneys con il recondito scopo di sollevare la città repubblicana contro i Savoia).

Invece lo spirito indomito e ribelle, le sue idee preveggenti in un mondo ancora chiuso, bigotto ed ottuso, lo condussero a vivere una vita errabonda ed a continuo contatto con l’estremo pericolo, ai limiti se non decisamente fuori della legalità e lontano dalla religione (non poteva essere diversamente, partendo da idee in netto contrasto con la pressoché totale e mondiale presenza di case regnanti o dittature militari; e quindi ben lontano dall’appoggio dei più, benpensanti e baciapile; ma ciò appare ovvio essendo la Chiesa ancora profondamente legata al potere temporale ed ostile al concetto di libertà individuale). Al di là degli enfatismi, dobbiamo riconoscergli  - sempre per la mentalità di quei tempi - una notevole faccia tosta, caparbietà e temerarietà: furono queste caratteristiche  che gli accomunarono tutti i giovani che desideravano un cambiamento, una grossa scossa al sedentarismo politico ed alle scelte dei sovrani, fatte da conservatori sempre a scapito del popolino e miranti a reprimere le innovazioni della rivoluzione francese.

Fin da piccolo, divenuto marinaio e messosi in giro per il mondo (1821 mozzo (iscritto al registro) sulla Costanza, a Odessa e Taganrog; 1830 primo ufficiale con camoglino Antonio Casabona; 1832 patente di capitano di 2ª classe sul Clorinda e Mar Nero: battesimo del fuoco quando respinse abbordaggio di pirati, ferito alla mano; 1833 Costantinopoli; 1834 Marina militare sabauda ove iniziò a fare il sovversivo: ormeggiato a Genova, disertò e fu  condannato a morte in contumacia). Si rifugiò a Marsiglia col nome Joseph Pane, si iscrisse alla Giovine Italia ma preferì emigrare nel sett.1835 in sud America.

Poliedrico anche in amore: amò Ribera Anita (con la quale ebbe tre figli, Teresita, Ricciotti, Menotti, che aspettano ancor ora non tanto la presenza ma anche solo il conforto di un approccio del pare naturale), e probabilmente non fu la prima sua donna (a quei tempi nella vita comune non esisteva ‘l’amore libero’; e soprattutto le donne erano dogmatizzate ed inibite: i rapporti sessuali si avevano mantenendo addosso – ambedue - il camicione da notte. Esistono corrispondenze di più o meno fanatiche innamorate del guerriero; ma non esiste certezza del riconoscimento e ricambio di tali affettuosità). Appena morì Anita, a Caprera trovò l’unica donna ivi esistente tal Ravello Battistina, che partorì Anita (e che poi andò sposa a Canzio). Si dice che – lui 52enne - in Lombardia sposò la diciottenne marchesina Raimondi (ma dopo la cerimonia - avvertito che ella aspettava un bambino da un altro - fuggì via e fece domanda di annullamento al re (matrimonio non consumato) su carta da bollo da lire una. L’annullamento fu concesso venti anni dopo). E si dice che voleva sposare anche la scrittrice Maria Speranza von Schwarz, (scrittrice che lo frequentava per raccoglierne le memorie da scrivere in tedesco ed inglese).

Ed in casa del genero a Genova, incontrò la balia piemontese del nipotino, che lui si portò a Caprera in sostituzione della Battistina (e che gli regalò due rampolli Manlio e Clelia che – questi si - vide abbastanza crescere vicino a lui).

Il conte Cavour non poteva scendere a patti con un ‘individuo’ simile, ma intuì che lui poteva essere il braccio forte e valido per il suo re; bastava guidarlo da lontano, senza compromettersi. Nacque così quel binomio, di due esseri forti e furbi, ciascuno dalla sua parte pronto a scaricare ed odiare l’altro, ma accomunati da un ideale, l’ambizione; diversi ma paralleli, anzi complementari perché separatamente molto  efficaci ma su terreni diversi; ma che insieme infine riuscirono vittoriosi a portare l’Italia all’unione.

Genova riconoscente nel 1861 gli inviò il diploma di cittadinanza.

Abbastanza sconosciuto è il Garibaldi scrittore-poeta. Un suo monumento, pressoché sempre consacrato alla Patria, sempre lo raffigura armato di sciabola. Ma sappiamo che da buon poliedrico genio, non seppe resistere alla musa che gli faceva riempire quaderni di versi; per arrivare a comporre un lungo ‘Poema’ (autobiografico, in versi endecasillabi, con un argomento per ciascuno dei 29 canti che lo compongono, tipo: Caprera, sant’Antonio, Montevideo, Anita, Roma, Volturno, Sarnico, ecc). E tante poesie, con titoli mesti come ‘Carme alla morte’, ‘ad Adelaide Cairoli’, ‘visita all’ospedale’,’ il trovatello’, ‘a Roma’, ‘a Mario Rapisardi’.

Da ricerche di F.Majocco, riportiamo: «L'opera "I MILLE", fu scritta da Giuseppe Garibaldi dieci-dodici anni dopo la sua famosa impresa, quindi all'incirca dal 1870 al 1872, come del resto si rileva dalle affermazioni stesse dell'Autore nel testo, dalle sincrone situazioni politiche internazionali ivi accennate, e da una lettera che inviò a Riboli il 20 febbraio 1872, nella quale gli dà notizia che il manoscritto è pronto per la stampa. Da Caprera aggiunse il 21 gennaio 1873 la prefazione "Alla Gioventù italiana". Rifiutato da vari editori per l'aspro contenuto, in certi casi fortemente irriverente (nei confronti della Francia, dei preti, dei mazziniani, di tutti e di tutto). L'opera, solo tramite una sofferta sottoscrizione (con grande delusione di Garibaldi) fu pubblicata (la prima ed unica volta,  fino al 1933) l'anno dopo, nel 1874 in pochi esemplari (4322), con i tipi di Camilla e Bertolero di Torino. I volumi riportano in fondo in ordine alfabetico tutti i nomi dei sottoscrittori e le copie acquistate».

 

Come politico, dapprima fu schiettamente mazziniano; poi ne prese le distanze preferendo la pratica (che lo coinvolgeva col governo del re e del Cavour,  e con i nobili neoarricchiti; forse la massoneria ha il suo ruolo) alla teoria repubblicana. La storia mescola assieme tutto, e non si sa sino a che punto il suo partito ‘del fare’ sarebbe stato così produttivo senza l’apporto - quasi totale - dei garibaldini che parteciparono in virtù di un ideale repubblicano-mazziniano . Forte del suo ascendente, accettò quindi scendere a compromessi con Cavour e la casa monarchica sino alla fine divenire deputato al Parlamento (ove rimase senza lasciare però tracce profonde della sua presenza=ovvero presente, ma già segato fuori dal ‘sistema’ politico).

Di carattere poliedrico: generoso e permaloso, disinteressato ma  anticlericale (fece parte della Giovine Italia e Massoneria; se era per lui, dopo Napoli sarebbe arrivato a Roma), grande comunicatore, bizzarro nel vestire (gaucho con poncho, capitano di mare, dittatore, camicia rossa), gran sentimentale (conobbe molte donne, ne amò poche. Pare che dopo Anita, si innamorò una volta sola (dalla quale ebbe un figlio, Manlio)), tendenzialmente pratico (da entrare in violento contrasto con Mazzini con cui condivideva l’ideale ma non la pavidità nel realizzarlo), politicamente malleabile (insieme rivoluzionario e legalitario, repubblicano e monarchico). Voleva essere cremato; i politici lo imbalsamarono.

A Genova, venne molte volte. Tra esse meritano menzione

-quando disertò dalla marina dei Sabauda 1834

-quando rientrò dall’America del sud, 1848, per schierarsi contro gli Austriaci. In questa impresa, già si era fatta fama di intrepido. Eletto deputato a Parlamento nel collegio di Cicagna (la camera però fu presto sciolta e quindi perdette l’immunità; La Marmora tentò fermarlo). Da Genova si imbarcò con 72 volontari, a ottobre 1848, per andare a soccorrere Venezia.

-dopo le vicende romagnole,  arrivò restando a palazzo Ducale trattenuto agli arresti -1849- da La Marmora e destinato a partire per il secondo esilio (lasciando madre e figli, andrà via per 5 anni sempre anelando tornare, prima a Tangeri ospite di Carpineto, e poi -1850- al comando di un mercantile, a NewYork. La madre morì in sua assenza, nel 1852. Ancora peregrinò, navigando su nave peruviana). Matura in questi anni un certo distacco dalle idee Mazziniane che diventerà esplicito al rientro con una dichiarazione di estraneità ai moti insurrezionali. Navigando con il bastimento americano Commonwelth, arrivò a Genova il  7maggio1854, dove il governo dei Savoia lo aspettava con sospettosa condiscendenza e previa ‘parola d’onore’ che non avrebbe ‘turbato l’ordine pubblico né compromesso il Governo’. Sceso da bordo, in portantina perché affetto ‘di reuma’, andò per 15 gg. in casa di G.Paolo Auger (o Ogier) e a luglio un mese ad Acqui a fare i fanghi; poi a Nizza a rivedere i figli.

-Ceduta Nizza nel 1860 (amareggiato assai; anzi, si dice odiando e ricordando ‘ad alta voce’ il Cavour che l’aveva data –assieme alla Savoia - alla Francia in cambio dell’appoggio avuto nella II guerra di Indipendenza, con le stragi di Solferino e san Martino, malgrado il finale armistizio di Villafranca), tornò ospite a villa Spinola. Nella notte tra 5 e 6 maggio, diede avvio alla spedizione in Sicilia.

-Nel marzo 1862, già deputato da un anno, partecipò a Genova al Congresso per la liberazione di Roma e Venezia.

-1880 arrivato in lettiga causa artrite, fu ospite in via Assarotti della figlia Teresita, sposa (sedicenne; il 25.5.1861) di Stefano Canzio in quei giorni ‘ospite’ delle carceri locali di s. Andrea, in quanto ‘sovversivo’.

Genova – dal 1882 - gli ha dedicato la strada più importante con i palazzi più di pregio, e che sino ad allora si chiamava Strada Nuova. Ed il 15 ott. 1893, regalato da un privato, un monumento equestre davanti al teatro Carlo Felice, anch’esso dell’alessandrino A. Rivalta. Altri, busti, cippi, lapidi, in tutto il genovesato, soprattutto l’opera di Baroni a Quarto.

Gestita quindi da un personaggio insolito e non normale, tutta la trafila del nostro Risorgimento fino alla conclusione fu altrettanto una cosa non normale, né accaduta per naturale avvicendamento. Fu invece voluta, e caparbiamente -seppur lentamente- conquistata nel sangue, rabbia, delusioni sino alla vittoria. Questo è quello che si deve insegnare a scuola, nel bene e nel male e che piaccia o no; come nel nostro pandolce e minestrone, un voluto e ricercato amalgama di gusti diversi, forti, vittoriosi.

Essendo un personaggio multiforme, nella libertà di pensiero su Garibaldi, si accettano tutte le critiche; ma non  i ‘picconatori’, tali  solo per, meschinamente, apparire: a loro volta vantandosi di andare controcorrente, ma  fondamentalmente - in fine e soprattutto - incapaci di realizzare alcunché.

 

BIBLIOGRAFIA

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