FOSCOLO                                      salita Ugo Foscolo

 

 

Corrisponde all’attuale salita GB.Millelire, divenuta tale per delibera del Podestà del 19 ago.1935.

Prima ancora, la crosa si chiamava  “ salita del Forte Belvedere“.

Nel 1910 fu pubblicato un elenco delle vie cittadine: aggiunto posteriori a penna, c’è la “Ugo Foscolo – salita - vulgo Rompicollo”, che ”dalla via Ugo Bassi al forte Belvedere”

Per il Novella, manoscritto risalente alle prime decadi del 1900, e sappiamo che fino ancora nel 1933, la salita iniziava da ‘via Ugo Bassi’, cioè da ‘via Campasso’ (e non da via Vicenza, come ora;  a testimonianza che  la via Campasso ancora in quegli anni -come originariamente- iniziava dove ora  via Vicenza e la sovrapponeva).

Nell’elenco del 1927 pubblicato dal Comune genovese dopo l’assorbimento nella Grande Genova, compaiono ben altre 4 delegazioni con una via intestata al poeta: in Centro, Pegli, Rivarolo e Sestri.

Ripidissima (da essere chiamata popolarmente ‘Rompicollo’, quando la primitiva omonima del Fossato fu annullata), dalla località san Martino arriva al santuario di Belvedere.

Al civ. 2 , la sede della società Fratellanza ed Amicizia.

DEDICATA  al poeta che nacque a Zante (isole Ioniche) il 8 febbraio 1778.

Per  un breve ma intenso momento, rimase legato alla città di Genova.

Compiuti i primi studi a Spalato, dopo la morte del padre venne in Italia, a Venezia (1792). Benché giovanissimo, si dimostrò tendenzialmente ribelle,  ostinato e favorevole a Napoleone. Al punto che a 19 anni dovette scappare a Bologna essendosi dimostrato ostile al governo cittadino e con idee libertarie pericolose. Tornato a Venezia alla caduta della Serenissima, divenne ufficiale della Repubblica Cisalpina, segretario provvisorio del nuovo governo, il quale però cadde con il trattato di Campoformio (ott/97) che cedeva la città all’Austria. Fortemente deluso e depresso, si riparò a Milano ove conobbe altri poeti, collaborò a giornali (Monitore italiano), scrisse le prime opere; tutto in un misto di profonda crisi esistenziale e filosofica.

Sempre più deluso, nel 1799 dovette fuggire dalla Lombardia assieme ad altri profughi, in conseguenza della vittoria degli austro-russi i quali approfittando dell’assenza del Bonaparte in Egitto, sconfissero i francesi sull’Adige e poi anche a Cassano; il Direttorio perdette la Lombardia; ed il successivo tentativo di arginare gli austrorussi sulla via Emilia fece andare le truppe francesi incontro a ripetute sconfitte. Contemporaneamente in Liguria, i fronti di guerra  proposti dai Repubblicani contro il Piemonte portarono a tre campagne distinte, tutte iniziate con altissime probabilità di facile vittoria; ma due di esse, a giugno, concluse negativamente (un fronte per ricuperare Serravalle, e con essa Gavi e Carrosio; la situazione di stallo verificatasi dopo la sconfitta di Novi, fu decisa dal Direttorio di Parigi che ordinò alle sue truppe di rientrare nelle linee iniziali. Un altro fronte contro Loano che si arrese solo quando si trovò privo di munizioni; ma la successiva apertura del terzo fronte verso Oneglia fu un vero disastro con sfascio e fuga delle truppe liguri composte da mercenari di oltre venti diverse nazionalità.

   Scrittore, poeta, idealista, avventuroso, amante della 'bellezza' come si era nell'800 (sintetizzati poi in un suo verso: “amor, dadi, destrier, viaggi e Marte”), reduce da essere stato imprigionato perché scambiato per una spia e solo miracolosamente liberato seppur ferito. Gli innamoramenti, nella vacuità dei ricchi di allora, erano una continua sfida al bisogno di dare un senso nobile alla vita. Non cicisbei, al servizio e servitù, ma guerriero fremente che conquista un cuore con le sue risorse fisiche ed intellettuali.

   Allora 21enne, aveva composto “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” ed una “Ode a Bonaparte liberatore” (la quale a Genova avrà la sesta edizione per opera della Stamperia Frugoni, la stessa che pubblicherà l'omaggio poetico alla marchesa Luigia).

  Arrivò a Genova considerata terra di rifugio per chi coltivava idee repubblicane al seguito del generale MacDonald, quale militare della Guardia Nazionale: dal basso Piemonte, con le truppe dell’Armata d’Italia in ritirata dopo ripetute sconfitte militari in Emilia, il 10 luglio 1799; le forze francesi erano demoralizzate causa le ripetute sconfitte (ogni battaglia, condotta da mille-millecinquecento uomini, vedeva in media una decina di morti, venti feriti, venticinque caduti prigionieri e duecentocinquanta dispersi –ovvero disertori-); ed a peggiorare le cose, la città viveva nella minacciosa possibilità di una manovra a tenaglia che poteva arrivare dalla Toscana, dalla Scoffera e dalla Bocchetta; senza considerare ogni via del mare era drasticamente barrata dagli inglesi.

   Nell'anno 1800 Genova - giacobina e repubblicana- si trovò assediata dalle truppe reazionarie austroungariche. Fame,  carestia, pestilenze, guerra, e una dose non piccola di mortificaziobne proveniente anche dall’alleato francese non poso sussiegoso nei confronti degli italiani.

   Eppure, tra una battaglia e l'altra non mancavano le occasioni per incontri galanti, balli, salotti, feste: le donne, escluse dalla guerra, organizzavano questi incontri – sia per i propri uomini vessati, e sia per loro stesso sopravvivere-.

   Qui iniziò a frequentare i salotti progressisti, di élite intellettuale e democratica, assieme a Vincenzo Monti, ed ex-nobili come i Pallavicini-Doria, i Costa-Galera (pittrice loanese, colta animatrice di salotti illuministi), i Pinker-Monti: in questi incontri, si ballava, giocava, si disputava sul vecchio regime oligarchico e sulle recenti riforme democratiche, si ascoltavano commedie -francesi, e già si portavano sulle scene le tragedie alfieriane.         In questo clima, maturò il “Discorso su l’Italia” (pubblicato nell’ott.1899-indirizzato al gen. Championnet, predecessore di Massena, sottolineando la possibilità di unire le varie parti d’Italia in una grande repubblica, additando la Liguria come primo Dipartimento, perno dell’operazione) e (dopo il colpo di stato dell’8 brunaio) fece ristampare l’”ode a Bonaparte liberatore” esortandolo a soccorrere l’Italia liberandola dal trattato di Campoformio.

   Frequenti erano i viaggi di perlustrazione a scopo militare, specie nella riviera di ponente, a volte sino a Nizza (dic.1799-febb.1800), anche in Francia (1804-6) per programmare l’invasione dell’Inghiliterra vagheggiata da Napoleone.

   Naturalmente mentre si stimolavano le idee di libertà, di indipendenza, di nazione italiana, si coltivarono amori e passioni tipiche di quei tempi. Sono dell’epoca sonetti amorosi per la fiorentina Isabella Roncioni; la assidua corte a Teresa Pickler Monti e ad altra dama genovese (identificata per Annetta Viani Cesena) la quale per ben undici volte rifiutò le focose attenzioni.  

A Genova, gli eventi si successero rapidamente: Massena il 24 sett.1799 vinse in Svizzera risollevando le sorti francesi nel ponente; ma nel levante negli stessi giorni i nemici assediavano le truppe liguri dal Bracco per cui  arrivò l’ordine di non opporre resistenza (avendo perduto oltre metà degli effettivi: da 3mila iniziali erano rimasti 1321 con morale a terra e diserzioni in massa), e rientrare a Genova. Il 9 ottobre, Napoleone tornò in patria dall’Egitto. 

Intanto a Genova il “cittadino” Imperiale (ex principe), nella sua villa a Campi invitò l’élite repubblicana  e filo-francese (ospiti di riguardo ed amabili cittadine ex-nobili)  ad una sontuosa tavolata  nel salone al piano nobile; nel sottostante giardino, un banchetto per 800 poveri e concorso di popolo, onde dare l’impronta democratica di fratellanza ed eguaglianza; tutto completato da musica, danze, sparo di artiglierie, coccarde e bandiere delle 4 repubbliche (francese, cisalpina, romana e ligure). A queste feste, il poeta sentì parlare della giovane Luisa (Luigia) Ferrari in Pallavicini, - andata sposa diciassettenne a Domenico Pallavicini, patrizio genovese che l'aveva impalmata nella cappella del palazzo Ferrari di Varese Ligure e l'aveva portata a Genova; di lei abbiamo un unico ritratto nel quale non appare una vistosa bellezza; però ben presto era diventata regina di questi salotti. All'epoca dell'assedio, aveva 28 anni e, da provetta cavallerizza volle montare un cavallo arabo riottoso, di proprietà di un generale francese che mirava a disfarsene nel procinto di tornare in patria. In compagnia di altri amici, partì dalla Valpolcevera; arrivati nella zona chiamata il deserto’ di Sestri percorsero la riva del mare quando il cavallo, imbizzarrito prese la corsa ed in piena velocità sbalzò la donna da sella. Ella cadde sui sassi, colpendo il viso: si ruppero le labbra (ricucite!; forse saltarono i denti), si scalpò la fronte (fu applicata una calotta metallica), si sfregò il volto che rimarrà sfigurato tanto da doverlo tenere costantemente nascosto da un velo. Ad essa -con toni passionali come era nel suo carattere-  dedicò una poesia, divenuta famosa. Questa sventura, ispira l'animo sentimentale e passionale, come era coltivato nell’educazione e nel carattere degli uomini di allora: la sfortunata diventa una eroina ma solo quale icona, ispiratrice di quel senso di protezione che avevano gli uomini allora verso le donne; se il viso è sfregiato, il corpo intatto e lo spirito indomito,  scatenano nei maschi i sentimenti più fascinosi ed idealistici. L‘evento ispira il poeta l’idealità della bellezza femminile. E lui la rende eterna a dispetto della natura che invece l'ha deturpata. Non viene descritto se ci fu relazione diretta tra il focoso poeta e la nobildonna: sipresume nessun amore tra il seduttore e la irrequieta marchesa e quindi, l'“Ode a Luigia Pallavicini caduta da cavallo” non è altro che - tipico dell'epoca - l'idealizzazione dell' Amore, del sentimento che il poeta vuole porre al di sopra delle sventure terrene: l'amore, assieme alla bellezza ed alla libertà sono ideali che non cedono a qualsiasi destino avverso. Le conosciute vicende di guerra  allontaneranno fisicamente i due protagonisti; rimarrà la memoria che dura ancora fino ad oggi. 

Espressero sentimenti in versi di alta ispirazione anche il generale Giuseppe Fantuzzi (che morirà poco dopo nei pressi di Coronata; Giuseppe Giulio Ceroni (militare veronese, che con lo pseudonimo Timone Cimbro, già prima aveva lodato la nobildonna in un opuscolo titolato “il Pappagalletto”  inneggiante le venti più belle donne genovesi, paragonate di volta in volta a leggiadri volatili); Antonio Gasparinetti; ed il Foscolo (con una poesia ricca di richiami arcaici, parole difficili da interpretare se non si conosce la mitologia:  “I balsami beati / per te Grazie apprestino, / per te i lini odorati / che a Citerea porgeano / quando profano spino / le punse il piè divino, / quel dì che insana empiea / il sacro Ida di gemiti, / e col crine tergea, / e bagnava di lacrime / il sanguinoso petto / al ciprio giovinetto. / Or te piangon gli Amori, / te fra le Dive liguri / Regina e Diva! e fiori / votivi all'ara portano / d'onde il grand'arco suona / del figlio di Latona. / E te chiama la danza / ove l'aure portavano / insolita fragranza, / allor che, a' nodi indocile, / la chioma al roseo braccio / ti fu gentile impaccio. / Tal nel lavacro immersa, / che fiori, dall'inachio / clivo cadendo, versa, / Palla i dall'elmo liberi / crin su la man che gronda / contien fuori dell'onda  / Armoniosi accenti / dal tuo labbro volavano, /  e dagli occhi ridenti / taluceano di Venere / i disdegni e le paci, / la speme, il pianto e i baci. / De! Perché hai le gentili / forme e l'ingegno docile / volto a studj  virili?”).    

Luigia, guarita ma sfregiata, rimarrà presto una ricca vedova, ma conoscerà egualmente chi la sposerà, un Prier e vivrà sino all'età di 69 anni morendo nel 1841.

 

   Ma mentre il Foscolo è a Genova (ormai unica ‘piazza’ francese), l’austro-russo – comandato dal gen. Melas - incalzò,  forte del numero, dell’entusiasmo delle vittorie e della ‘pochezza’ militare dei liguri: valicò l’Appennino e trovata via libera da levante  ben presto, si accampò attorno a Genova (Rivarolo e Cornigliano) per stringerla d’assedio (San Pier d’Arena, comandata dal col.Godinot e posta subito fuori le mura, rimase praticamente terra di nessuno e di battaglia).

Massena, il 30 apr.(10 fiorile) 1800, mandò anche  il Foscolo (col grado di capitano –aggiunto allo Stato Maggiore della 2° divisione agli ordini del gen. Gazan; in particolare comandava un plotone di fanteria alle dipendenze dirette dell’Aiutante Generale Fantuzzi)  all’assalto del forte dei due Fratelli, per riconquistarlo: l’attacco ebbe esito positivo, ed i francesi in mischie terribili all’arma bianca scacciarono sia gli austro-russi che gli anti-francesi comandati dall’ Assereto.   Il poeta uscì incolume dalla battaglia in cui  si comportò da intrepido eroe (modestamente, lui pensava meritarsi una medaglia al valore).

Così il Foscolo si trovò a sostenere -assieme ai genovesi-, tutte le terribili privazioni che comportò il ferreo blocco  posto attorno la città, e dal mare.

Il 2 maggio (12 fiorile, nel linguaggio rivoluzionario), Massena tentò di alleggerire la morsa,  cercando ancora di distruggere i cannoni nemici posti a Coronata: nella notte alle ore 3 e trenta fece attraversare  il nostro borgo dalle truppe e superato il torrente le indirizzò a prendere d’ assalto la collina sia dalla foce del torrente Polcevera, che da Begato. L’attacco fallì  sia per l’intervento del fuoco navale inglese che falciò le colonne in marcia lungo San Pier d’Arena (abbattendo muri, ville e quant’altro copriva il bersaglio), sia per la pronta reazione degli austriaci. Massena perdette 413 uomini -tra cui 163 prigionieri; morì anche il generale Fantuzzi (maestro di consigli, di conforto e protettore del Foscolo, che chiamava il ‘poeta militare’ e che aveva voluto vicino a sé, offrendogli gli stenti e l’incertezza della vita da soldato, anziché farlo rimanere tra le scartoffie quale impiegato o comunque protetto negli uffici dello Stato Maggiore. Era un bellunese che aveva partecipato come volontario alle guerre polacche del 1794 e fiero combattente, distintosi ad Arcole-);  il Foscolo stesso rimase ferito leggermente in uno scontro all’arma bianca a Rivarolo, colpito sopra il ginocchio da colpo di spada  (venne dapprima sistemato in una stanza di un  collegio, e poi evacuato lontano dalla città, ormai prossima alla resa, che avvenne il 4 giugno 1800 (15 pratile, anno VIII. Uscito da Genova, andò con i resti della divisione (divenuta 4°, agli ordini del gen.Gazan) a Voltri, ed a tappe a Pietra Ligure, a Ventimiglia, a Nizza.

Durante gli ultimi giorni di permanenza a Genova, dettò la “Vita del generale Fantuzzi”. Gli appunti furono stati conservati da Quirina Mocenni Magiotti.

Ma il personaggio è molto più complesso rispetto le avventure genovesi: perennemente povero con costante vita di espedienti, assillato dal problema economico con esperienza di prigione per debiti, passionale e libertino, giocatore e spendaccione,  esilio. Spaziava dal tè o cioccolata con la panna alla dose di oppio – curativa s’intende, dei dolori ‘militari’ delle intemperie, dormire all’agghiaccio,  freddo -. La società allora era in una fase di apertura illuministica: la rivoluzione francese concedeva - con il dovuto perbenismo e solo per chi poteva - libertà e godimento.

  Il giovane era bello, focoso, col cuore che vince sulla ragione. Ovvio l’impeto nell’amore; il più incisivo, vissuto nel biennio dopo Genova, 1801-2, quello per la signora contessa Antonietta Fagnani Arese: per il giovane amante, già autore de “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, testa calda, focoso, col vizio dell’amore (e quindi furente contro ogni avversità: dai viaggi di lei agli impegni sociali, ... alle sue mestruazioni, dette volgarmente ‘il marchese’ – come il marito titolato, che impedivano l’incontro amoroso); per lui era un fuoco nel petto capace di obnubilargli l’intelletto e da raggiungere attraverso mille sotterfugi (letterine portate a mano da compiacenti servitori, poesie, fazzoletti appesi alle inferiate per indicare ‘via libera’); mentre per lei, donna colta, dedita anche alla traduzione di Goethe, lui era un giocattolo squattrinato, un ‘romanzetto ambulante’, da archiviare dopo averlo vissuto.

  Deluso da Naoleone,  più ricco di ideali e serenità, pacificato negli ardenti bollori, gli rimase alto il senso dell’onore: ritornerà poeta e si esprimerà con gli alti toni che ne hanno fatto l’ispiratore di Mazzini ed il nume tutelare del Risorgimento.

  Nel 1812, seguito dal sospetto della polizia, si trasferì a Firenze ove trascorse alcuni anni in maggiore serenità. Andò dapprima in Svizzera (1815); poi a Londra, 1816, accolto calorosamente per gli ultimi interventi letterari antinapoleonici ma dove, seppur lavorando intensamente ebbe guai, dissidi e crolli finanziari ai quali non riusciva porre rimedio

  Morì giovane a Turnham Green (vicino a Londra), in miseria, il 10 settembre 1827.

  Nel 1871 le sue ossa furono trasportate in Italia e sepolte in Santa Croce a Firenze.

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

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