FILLAK                                          via Walter Fillak

 

 

 

TARGA:

San Pier d’Arena – via – Walter Fillak – caduto per la Libertà – 1920-5.2.45

 

angolo con via G.Tavani

                                                             

QUARTIERE ANTICO: san Martino

 da MVinzoni, 1757. in giallo, via s.Martino (CRolando); in celeste via Vicenza-Campasso. In verde progetto di strada Cambiaso (v.WFillak).

 

N° IMMATRICOLAZIONE:  2775,  CATEGORIA 2

                            

da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:  25400

UNITÀ URBANISTICA: 24 - CAMPASSO

 da Google Earth 2007. In giallo v.P.Reti; fucsia, via C.Rolando; rosso, via Campi; celeste continuazione di v.W.Fillak a Certosa.

 

 

CAP:  16151

PARROCCHIA:  san Gaetano e san G.Bosco (dall’1 al 33, e dal 2 al 66) – dopo,  s.Bartolomeo della Certosa.

STRUTTURA:  doppia direzione veicolare, con una o due corsie per senso viario.

 

 1910                                                                        chiostro del dazio detto “delle gravide”

                                                                                 il palazzone dietro è in via del Confine

 

    

a cavallo tra 1800 e 1900                      1981                                   id                                                        

È l’unico viale alberato della nostra città (una volta, ironicamente, definito il ‘boulevard del Campasso’).

 

Forse il tracciato c’era da molti secoli, ma era solo ad uso locale, perché sino alla fine del 1800, quando la strada era ancora in terra battuta, troppo frequente era un totale acquitrino, causa l’incrocio con i numerosi torrentelli provenienti dal Belvedere, con ovvio sconcerto di tutti i viaggiatori. Questo, seppur la strada d’uso non risulta perfettamente sovrapponibile al tracciato odierno, ma appunto - per evitare quanto sopra - era più a ridosso della collina.

Con la pavimentazione in lastroni di pietra, applicata dopo il 1900, le cose migliorarono in quanto nelle stagionali alluvioni (ricordiamo le ultime più catastrofiche dell’ 8 ottobre 1970 e del 4 nov.1994), è ancora oggi soggetta a completo allagamento, trovandosi in posizione di avvallamento.

   E’ servita sia dall’acquedotto DeFerrari Galliera che Nicolay.

   Sotto il pavimento stradale corre anche una rete fognaria importante, che una volta si scaricava nel Polcevera all’altezza di via del Chiusone; dopo numerosi e ripetuti  lavori - compreso la separazione della acque bianche da quelle nere -  la rete ora è portata al depuratore di Cornigliano che però, nel 2010 ancora non funziona a regime intero.

   Superato il ponte trasversale - della autostrada A10 dei Fiori - (i cui piloni hanno dovuto essere eretti rispettando sia la strada che il parco ferroviario, favorendo l’arditezza della costruzione, ma il contemporaneo fronte a fronte con le case dei ferrovieri: le Ferrovie infatti non concessero che i piloni occupassero il parco stesso (non sappiamo se per ‘ripicca’ contro il concorrente e vincente traffico su gomma)) la strada esce dalla competenza territoriale di San Pier d’Arena e prosegue in località Certosa di Rivarolo: infatti, dal ponte verso nord, rimangono di nostra competenza (Unità      

Urbanistica 24) tutta l’area a ponente dalla mezzaria della via; fino all’ incrocio con la mezzaria a mare di via Campi (dove poco oltre di fronte –sino all’immediato dopoguerra del ’45- sulla nostra strada c’era la casetta del dazio, chiamata ‘a barriera’, simbolo di confine di allora della delegazione con Rivarolo); sino alla metà del Polcevera.

 

   Frequenti incidenti, con coinvolgimento di pedoni e motociclisti, ne fanno una strada tendenzialmente pericolosa per il traffico veloce.

 

CIVICI

Competerebbero a San Pier d’Arena i civv. neri dall’1 al 37, dal 2 all’80. Ma per l’Assessorato di c.so Torino, nel 2007:

                neri= da 1 a 33    e da 2    a    66   (mancano 18.20.28.60)

                rossi= da 1r a 189r     e   da  2r 168Ar (compresi 6a-26a-28a-42abc-44abc-58bc-62°-64a-66a-70a-72a-76a-80ab-102abcd-148ab--150ab-152abcde-154abcde-156ab-158abc-160abc-162ab-164ab-166abc)

 

===civ.7r  Farmacia della Croce d’Oro: è una delle più antiche della città, avendo superato i cent’anni di gestione. Prima del 1933 era di proprietà Lanfranchi Filippo, quando la strada era ancora via Umberto I  al civ. 107r. Dopo quell’anno appare del dott. Failla e l’esercizio non aveva ancora il nome attuale; in quegli stessi anni, per carenza di estensione della rete telefonica, la farmacia (questa aveva il n° 41-242, sino agli anni ’60) –come le altre ovviamente- serviva da punto di recapito per i medici, levatrici e veterinari: possedeva una piccola cassettiera ove ogni dottore riceveva su bigliettini la  richiesta di visite, ricette o comunicazioni varie.

   Da dopo l’ultima guerra, è gestita da tre generazioni successive discendenti dell’emiliano dott. Salati Dino (la figlia MariaGrazia, sposata con il prof Romano Cesarino, illustre docente del Gaslini di fama internazionale, hanno avuto 5 figli =due farmacisti (uno in Trentino e Chiara a SPdA), uno medico pediatra, uno ingegnere, una tecnico radiologico).

Per molti anni dopoguerra, ancora negli anni 70, le farmacie fungevano da servizio anche per i medici: la scarsità di apparecchi telefonici faceva concentrare in questi servizi le chiamate a domicilio e le varie necessità altrimenti non facilmente comunicabili. Le farmacie erano così anche luogo di ritrovo dei medici per aggiornamento e scambi culturali, litigi per clienti ‘rubati’, scherzi goliardici (ancora c’era la goliardia) tra professionisti e humor, cene e amicizia. Tutto fu troncato dalle nuove leggi, anche per gli abusi dei soliti senza misura.

===civ    la pizzeria “dei Lupi”, trae il nome dai primi proprietari negli anni ’70,  che si chiamavano Lupi  (nonno Carlo e nonna Calvi Maria, in cucina, mentre i figli Paolo e Giuseppe (quest’ultimo mancato in un incidente stradale), servivano al bar e tavoli;  mentre Rosa era infermiera all’INAM). Questa famiglia di grandi lavoratori (il nonno aveva fatto persino lo ‘spallone’ nel periodo bellico rischiando molto, nella confusione dei ruoli con i partigiani in montagna; non solo per guadagno ed insubordinazione commerciale o per sopravvivere ma per richiestissimo rifornimento dell’entroterra isolato. Si

scalava il Saccarello e scendeva in val Tanaro – e viceversa -  con pesantissimo zaino di materiale in genere cibarie per evitare il dazio) aveva dato al locale un’impronta familiare e  

1999 i primi palazzi a ponente

popolare di efficacia e bontà, quindi molto frequentato. Chi subentrò ebbe buona idea non cambiare nome anche senza specificare la famiglia e dirottando l’opinione pubblica sull’animale selvaggio: “dei lupi”.

Prima di loro c’era un bar “Cazzola”, con gioco del biliardo e... scommesse. Insomma, luogo da ...avventurieri.

 

palazzi a levante                             e loro retro, verso la ferrovia

 

===civ.50r ospitò la trattoria “Armonia”, cucina squisita con specialità greche-orientali-italiane-tel 547346.

===civ. 54r. Nel 1950 c’era il bar caffé di Piacenza C.

===civ.59r: dal 1920 circa, si chiamava Cinema Verdi quando la strada era via UmbertoI; ed ancora era tale nel 1933 quando spesso si proiettavano due film, di cui uno ‘cavalli e pûa’ (significava passare tutto un pomeriggio al cinema: per questo era frequentatissimo da studenti in fuga e nullafacenti che avessero i 70cent necessari per il biglietto).  Dopo l’ultima guerra fu chiuso per ristrutturazione e, modificato nel nome e promosso di categoria, divenne nel ‘45/6 cinema teatro Massimo  (1100 posti in platea, più 600 in galleria); aperto con pretese popolari di locale di periferia, quindi fondamentalmente un cinematografo, anche se  con alcune -seppur rare- rappresentazioni teatrali, sia liriche (sino al 1953; più d’una con Tito Schipa. Vengono ricordate “la Boheme” e d “ilm Barbiere di Siviglia”), sia di avanspettacolo (con Dapporto e G.Bramieri alle prime rappresentazioni, quasi un collaudo ai grossi teatri del Centro; ed anche Valdemaro, Fanfulla, Dario Fo con Franca Rame), sia di musica leggera (negli anni ’60, Claudio Villa, Luciano Taioli, GiorgioA.Consolini) e sia infine di prosa (anche dialettale, specie con la compagnia del concittadino Giorgio Grassi).

Dopo una chiusura totale di due anni (durante i quali una soc.Lanterna pagava un affitto in attesa di poter aprire un supermercato, contrastato dalla UOES (unione operatori economici di Sampierdarena)), a fine 1979, sotto nuova gestione, riaprì come locale pubblico artistico polivalente (teatro, musica, cinema ed animazione: si  espressero i ‘Gatti di vicolo Miracoli’, Roberto Benigni, Loredana Berté). Ma fu un fuoco di paglia.

Un tentativo di ‘luci rosse’ durò poco, anche per boicottaggio della popolazione che non gradiva simili spettacoli.  Fu di nuovo chiuso nel 1982 e promesso a destinazione garage, palestra o supermercato; ma anche queste idee non trovarono d’accordo i residenti che mal rinunciavano ad un locale che producesse cultura, popolare ma cultura.

Dal 1989 divenne il “sergent Pepper” (il nome, è tratto da un lp dei Beatles): gli organizzatori si erano riuniti in una cooperativa di cantanti, musicisti e tecnici, nel desiderio di offrire cabaret, spettacoli teatrali e musicali, conferenze: eliminarono le mille poltroncine della platea  e sistemarono tavolini con sedie; divenne così  punto di riferimento per concerti rock a Genova (anche se con gravi problemi di acustica, di strumentazione dei nuovi impianti elettronici, e non ultimi le nuove regole CEE sulla sicurezza e la carenza di posteggi). Dopo questa iniziativa, rimane in attività con rappresentazioni prevalenti di musica da ballo o discoteca.

===civ. 16r:   la Farmacia Mauro. Già del dottor Sibelli (al civ. 40 di via UmbertoI), negli anni 1950 era del dott. Mauro Giuseppe di cui viene conservato il nome come titolazione malgrado siano cambiati i proprietari: dapprima (negli anni ’60) il dott. Cristiani Ezio (mancato nel 1986 in un incidente stradale) poi fino ad oggi 2003 dalla sua vedova dott.ssa Silvano Ancilla.

  

===all’angolo con via Vicenza, esisteva una osteria, detta ‘del Gay’, che fino ai primi del 1900 veniva popolarmente utilizzata per delimitare la zona di san Martino da quella del Campasso.

===civ. 24r nel 1950 aveva sede la soc.an. Fantino C. & C. di commercio metalli e ferramenta.

===civ. 32 vi abitava Travaglia Remo, imperiese del 1910, divenuto uno dei più famosi clown nazionali (terzo classificato al festival internazionale del 1968 con coppa del ministero dello spettacolo), ma poi definitivamente divenuto sampierdarenese. Aveva lavorato con Liana Orfei e Cesare Togni. Famiglia d’arte circense, essendo stato anche il padre Massimiliano proprietario di un circo con tournées all’estero;  la sorella erede del circo nel 1935 ; la moglie Ida Cherchi sua partner.   Morì a 68 anni nel 1979.  Vedi anche in giardini Pavanello e via Chiusone residenza delle sorelle.

===civ.66r  il mobilificio Caselli L.. Nel 1950 l’entrata ufficiale era al 70r ed  aveva magazzini anche in via L.Stallo al 5r; poi in via Miani ed in via P.Reti. L’attività è continuata dal figlio Domenico.

===civ. 68r: all’altezza dell’attuale farmacia san Martino, c’era una costruzione facente parte delle Fonderie  Liguri (vedere via san Fermo), rimasta danneggiata dalla guerra. L’attuale edificio è andato a sostituirla, con struttura dell’epoca postbellica ma in eguali dimensioni.

La farmacia pare fu aperta -nel vecchio edificio- nel 1907; non si conosce da chi; viene ricordato prima e fino agli anni 1930–quando la strada era ancora via UmbertoI e civ.96- il titolare farmacista Perrone Angelo, perché facente parte come peso massimo (cioè panciuti ed obesi, assieme a Riccu il gasista , Giuanin o cantönê e Bologna la maschera del cinema Verdi di san Martino (quest’ultima corrisponde a v. C.Rolando, ma volevasi intendere la zona omonima)) di una squadra di calcio che faceva giocose sfide -spesso a vigorose panciate- contro “i magri”  sul campo sportivo di via Cantore .Nel 1933 già si chiamava come ora. Negli anni 1950-70 appare appartenere al dott. Manlio Chirotti, a cui seguì la dr.ssa Lorenzini Liliana.

===civ. 98r: La  Società Sportiva “La Ciclistica”, dell’ARCI, nata nel 1918. Era l’epoca del ricupero sportivo post bellico ed in cui questa attività  assai economica andava diffondendosi rapidamente in tutta Europa di pari passo col miglioramento graduale della rete stradale.

   Già nel 1880 il ciclismo era uno sport emergente, ricco di seguaci attivi e tifosi. Nel 1884 il ciclista sampierdarenese Tortarolo era divenuto un vincitore molto conosciuto e richiesto, e quindi classificabile quale primo professionista, per il numero delle partecipazioni a gare e relative vittorie; seppur munito di attrezzatura primitiva e spesso inadeguata alle strade sterrate, ai ricambi e rifornimenti inesistenti. Nel 1885 a San Pier d’Arena venne organizzata la prima giornata del velocipede; l’anno dopo venne effettuato all’Acquasola il primo campionato nazionale; l’anno dopo ancora, nasceva la sezione velocipedistica della società Barabino; a seguire di vent’anni quattro erano le società locali di ciclistica.  Errante, nato alla Crociera, fu un altro vincente che fece entusiasmare le folle nazionali.

      

 A fondare questa società il 15 ott.1906 furono gli stessi operai, portuali e bottegai della zona, con scopo prioritario di indirizzare i giovani allo sport. Quindi ricca solo di gioventù entusiasta ed intraprendente, destinata a scrivere pagine di storia nello sport genovese: infatti ottenne in breve ampi risultati anche in campo nazionale, ma in particolare nello scopo societario di cercare proseliti tra i giovani da indirizzare al ciclismo -su tutti- ma anche calcio, podismo e nuoto).

 

 invito per il 27 dic.1908 al teatro Modena

presidente Ettore Bagnasco; presid.onorario s.e.Fasce comm.prof. Giuseppe

 

  Suoi simboli, sono la casacca bianco rossa ed il logo della ruota della bicicletta, come spinta in avanti da un’ala inserita nel perno della ruota stessa.  Gli anni tra il 1920 e 1930, furono di particolare  splendore sportivo, con dirigenti come l’industriale Nasturzio (e poi anche dall’infaticabile Baselica) e con atleti emergenti tra cui  si ricordano Felice Rossi, Libero Errante (nato nel 1904 a San Pier d’Arena, alla Crociera), Giuseppe Olmo (detto Gepin, di caratura nazionale), letteralmente “seguiti a ruota” da innumerevoli altri, professionisti o  dilettanti ricodrdati dal giornalista Fravega, tra cui Pedevilla, Papini, Almaviva, Borghi, Massa (che ha scritto anche alcuni libri con temi ciclistici), Ricci, Steardo; ed altri brillanti vincitori (una Coppa Italia nel 1926 con Rossi, Bailo, Bogliolo, Rinaldi) delle innumerevoli iniziative e gare -a volte da loro stessi organizzate-, ed a cui partecipavano anche campioni come Coppi e Bartali.

Nel 1932, a seguito dello scioglimento della “soc. Nicolò Barabino” (dominatrice nei primi anni del secolo), tutti i premi vinti negli anni di agonismo, vennero trasferiti alla soc.del Campasso ove fanno bella mostra per numero e valore.

  Durante l’era fascista, la polizia adottò una politica invadente e sostitutiva; il club cercò di opporsi anche se non esisteva nessun’altra possibilità: se si desiderava sopravvivere si dovevano accettare molti compromessi che garantissero un minimo di autonomia.  

Durante la Resistenza, la scelta politica fu di ribellione al regime: la sede divenne una fucina ed anche  rifugio per i combattenti ‘rossi’: il 16 dicembre 1944, le Brigate nere fecero una retata nella “tana”, arrestando lo Spataro ed altri partigiani frequentatori. Alla fine, dalle fila degli iscritti, ben sedici sono stati i fucilati dai nazifascisti (tra essi sono titolari di strade locali: Stefano Dondero, Sergio Piombelli, Renato Quartini, Giuseppe Spataro, Walter Ulanowski – nonché altri partigiani: Dino Coscia, Enrico Anelli, Emilio Casazza,  Giuseppe Ferrea, Rizzardo Giuliani, Sergio Marchini, Ferdinando Dotti, Sergio Piombelli, Calogero Rocco, Carlo Roncati, Domenico Tripaldi). 

   Dopo il  periodo  bellico, il club - dipendente dal CONI -, stentò a riprendersi (Lamponi ricorda ciclista dilettante Renzo Fossati, amministratore unico e poi a lungo –per quindici anni fino al 1985- presidente contestatissimo per promozioni e rovesci clamorosi del Genoa). I giovani vengono distratti da club più “vivaci” (la società  non ha mai accettato per la sua maglia bianco rossa e per la sua ricchezza di “misci” cronici, nessuna sponsorizzazione o condizionamenti), dalla crescente motorizzazione, da altre discipline sportive.

 Ci sono stati nel tempo numerosi tentativi avere permanente una attività ludica: si iniziò con una  squadra societaria di calcio, che onorevolmente partecipò ai campionato di terza categoria, ma che dovette rinunciare dopo pochi anni per ragioni economiche.  Infruttuosi nel 1972-3  anche i tentativi di aprire un centro di minibasket; una palestra (con affitto del locale gestito dalla Provincia) è stata utilizzata per le arti marziali e aerobica essendo fallita l’idea della ginnastica artistica per carenza di istruttori esperti. E così poi anche la ‘Unione sportiva nuoto’ (con scudetto bianco-azzurro e tre delfini guizzanti),  raggruppante la UGES Esperia ed il Centro  di formazione fisico-sportiva.  Non è stato da poco, l’onore societario di aver ospitato e tenuta vitale la sezione Sampierdarenese dell’AVIS (Associazione volontari italiani sangue), che aveva inaugurato i suoi  nuovi locali  il 22 nov.1998. E di aver avuto ospiti anche un sindacato pensionati e un Sampdoria Club, denominato “i Tigrotti”.

Oggi (2010), più che una società di pedalatori, è divenuto un centro sociale e di ritrovo, con organizzazione di attività comunitarie, di divertimento, intrattenimenti e manifestazioni dei soci, specie in occasione delle festività (gite, tornei di carte o biliardo, corso di lingue o computer, cura di un sito internet).  Nel 1984 contava 280 soci; vent’anni dopo 200. Anche qui, il problema sono i giovani. Pessimisticamente si prevede che tra dieci anni dovrà sciogliersi.

L’ARCI ha aperto due ‘sportelli’: uno indirizzato agli immigrati per tutte le pratiche necessarie al loro inserimento; l’altro detto ‘movimento consumatori’ di assistenza primaria in caso di diatribe con i vari enti di servizi (Enel, Gas, ecc.)

  

===civ. 42 e retrostante, sorgono -  legati al piano di ristrutturazione del 1950- nell’area dell’antica fonderia Wilson & Maclaren (vedi a via Vittorio Emanuele).

===civ. 100r è  civico rosso ma esternamente è come un portone. Forse era la casa del guardiano dell’area, essendo l’apertura seguente quella con cancelli predisposta per i mezzi veicolari.

Forse è qui che si apriva l’ingresso pedonale allo stabilimento della corderia Carrena e Torre, descritto in via Chiusone.

===civ. 102r c’è l’ingresso all’area, detta “Feltrinelli”, attualmente di proprietà comunale.  Nell’area della corderia, negli anni 60 si era installato una (delle 20 circa)  filiali della spa Feltrinelli legnami (aveva altre sedi in via Operai ed in via Degola con uffici e segheria; uno degli azionisti era l’Accademia dei Lincei, con quote ottenute per eredità). Nel 1991 la società abbandonò l’area (sia per minore impiego del materiale che per aumento dei prezzi e della concorrenza, e per investimento dei soldi in altri campi).

   

                                                         il retro verso la ferrovia dell’area Feltrinelli

   Fino a poco tempo  fa oggetto di contendere sulla destinazione, tra proposte varie da parte del CdCircoscrizione, comitato della delegazione ed il Comune: da provvisorio deposito della Caritas (aiuti per il Kosovo) a una destinazione polifunzionale: parcheggio per 150 auto, limitato ai residenti (assessore Merella e soc. Genova Parcheggi spa); spazio per attività associative e culturali del quartiere (parlamentinopresidente dr. Minniti); magazzino comunale; aree per attività private da decidersi (si è scritto di una cooperativa,  con installazione di piscine terapeutiche).

===civ.15. Ci piace –ma non è documentato- possa rappresentare il palazzotto descritto essere in zona nel 1800, con porta libera e giardino, di proprietà del marchese Negrotto Cambiaso (uno dei maggiori proprietari della zona), ove pure abitò Thomas Robertson (vedi in via Pacinotti)  In alcune antiche mappe locali, in epoca antecedente alle precedenti descrizioni, appare in zona la proprietà della famiglia Tuo, descritta in vico Governolo. Qualcuno ricorda senza spiegare, che la casa veniva detta “dei  pansettin” (in genovese ‘piccola pancia’ o polpastrello).


Attualmente, ristrutturata negli anni  2000 è sede della “Chiesa del Regno di Dio”, con sede centrale a Torino e presente in molte altre nazioni europee. Nel libro “Il Messaggio all’Umanità” si descrive esistere nell’universo il punto centrale che è il Trono di Dio che emana energia e movimento per cui attorno ad esso circolano i sistemi solari;  tra essi quello terrestre, con suo punto centrale il sole; altrettanto nell’uomo la circolazione del sangue è quella che nutre,


 rigenera e da la vita al corpo ed è quindi l’anima stessa del soggetto, che ha come punto centrale il riferimento a Cristo morto sulla croce ed Eterno. A catena, è il singolo individuo che mantenendo il senso dell’amore disinteressato realizza una circolazione che a sua volta attira la Potenza vitale –ovvero lo spirito di Dio- sull’umanità sofferente; e che solo così potrà guarire. La vita quindi è osservare la legge universale e la Chiesa è rispettare e praticare la legge del Regno della Giustizia, ovvero del regno di Dio.

===162r   il Pagano/1950: a quei tempi era a SPd’Arena, oggi a Rivarolo? - segnala la presenza della soc. r.l. Amelotti & C., sede in Genova, via XXV Aprile e magazzino/stabilimento in via Fillak; specializzata nei metalli (ricupero, lavorazione in tubi-rotaie-lamiere-profilati-cavi-serbatoi-decauville-ecc-, e commercio di essi.

===per anni all’inizio del viale, ha funzionato una palestra ben attrezzata chiamata ‘Sportman’ , ove si praticava culturismo, pesistica, aerobica, sauna , ecc .. Fu chiusa dalla G.di Finanza negli anno 1980-90 in quanto vi venivano usati ormoni e farmaci anabolizzanti proibiti.

===le cosiddette “case dei ferrovieri”, da altri dette ‘dei foresti’, sono descritte in via E.Porro.

STORIA: Già dall’epoca medievale questa comunicazione stradale esisteva, ma assai poco frequentata e solo limitata ai traffici locali. Allora  il viandante che da Genova voleva arrivare all’innesto (dopo via della Pietra ) nella via Aurelia o nella  Postumia  (vedi ambedue ad ‘Aurelia’; fu la grande strada che il console Spurio Postumio Albino fece costruire nel 148 a.C. per scopi militari congiungendo la costa ligure a quella adriatica, con primo tratto sino a Tortona)  passava in alto nelle zone oggi chiamate degli Angeli e Promontorio  e scendeva  in via della Pietra.

Un pò più trafficata la direttiva lo divenne nel 1500 (naturalmente nessuno seguì il tracciato della strada perché di essa esisteva solo la direzione): nel 1502 Luigi XII arrivò a Genova proveniente da Pavia (visto la destinazione probabilmente passò sulla carrettabile alla destra del torrente, dalla parte di Cornigliano) era in pace  perché Genova aveva accettato e subìto i suoi voleri in cambio di conservare gli storici privilegi. La lunga discesa dalla Bocchetta aveva stancato il sire che trovò accasamento a Cornigliano in una villa Doria a Campi. Tutti i governanti della Repubblica andarono di mattina presto incontro al re attendendolo sul greto (in scia géa) del Polcevera. Dovettero inchinarsi al suo arrivo, profferire parole di benvenuto appellandosi alla sua clemenza e benignità. Indi in corteo, il re sotto baldacchino, traversato il borgo di San Pier d’Arena, arrivarono alla porta delle mura al tramonto. Si fermò ospite in Genova per otto serene giornate, diplomaticamente pattuendo una ‘dedizione’.

Di ben altro umore tornò nel 1507 intenzionato ad assediare la città, munito di esercito assai efficiente e munito di armi; combatté vittorioso per conquistare Promontorio ed entrò trionfalmente in città il 28 aprile a danno di Paolo da Novi  (che perdette il dogato), stavolta pattuendo una ‘sudditanza’ (vedi Bayard).

Allontanati i francesi, il 21 maggio 1522 arrivarono i milanesi di Prospero Colonna, appoggiati dagli spagnoli, contro i francesi: occuparono San Pier d’Arena e misero assedio alle mura ed alla porta di san Tomaso, entrando infine in città per saccheggio.

Però, nel giugno 1585 l’infanta Caterina Michaela, secondogenita figlia del re di Spagna Filippo II e di Isabella di Valois, dovendo andare sposa al duca di Savoia Carlo EmanueleI, per recarsi a Torino le fu fatto preferire dalla Spagna sbarcare a Savona (anche se erano gli anni aurei dei rapporti tra Genova e Madrid), proseguire per i passi montani a cavallo o lettiga, poi in carrozza fino al Po ed infine in  barca sino a Torino.

Sino al 1700 compreso, i  traffici terrestri, verso la marina per i trasporti via mare, specie il legname per costruzioni, erano genericamente di secondaria importanza e non prevedevano una specifica strada se non la gèa, ovvero il letto del torrente, sia al di qua che al di là, da Cornigliano.    La Repubblica nell’idea di aprire una strada, ebbe sempre a temer di favorire eserciti invasori dal nord.

Solo nel 1773, il doge GB.Cambiaso -per poter raggiungere la sua villa a Cremeno, che possedeva da alcuni anni- decise con propria spesa di 5 milioni di allora ed impiegando 800 operai, di aprire una “strada della Polcevera” che fu poi allungata fino a Pontedecimo, e poi ancora fino a Novi ) ed iniziante probabilmente dal quartiere di san Martino (o addirittura dalla Pietra, trovando già aperta e funzionale dal 1633 la via che dalla Porta della Lanterna arrivava sino a sanMartino). E’ molto probabile anche se mai scritto, che anche  fu arginato il torrente bonificando di conseguenza il terreno circostante. Il Senato riconoscente, gli decretò una statua, ma a spese dei cugini per non utilizzare denaro pubblico: essa fu scolpita nel 1776 e posta in palazzo Ducale; fu poi distrutta nei disordini giacobini del fine secolo. Questa nuova strada divenne spettacolo per il viandante che arrivava al borgo,  così descritto: “unica che sia nelle vicinanze di Genova, per il sensibile colpo d’occhio che procura e per la bella veduta delle dianzi enunziate colline e palagi di villeggiatura, che dai due parti del fiume vedonsi eretti...”.

      

Nella obbiettività però, questa zona cittadina -compresa tra le antiche abbazie di sanMartino  e  di san Bartolomeo della Certosa, che si estendeva a ponente del crinale Belvedere ed era chiamata della “Palmetta” compresa tutta la zona pianeggiante lungo la riva quest’ultima poi chiamata piazza d’Armi (vedi)- poteva rappresentare qualcosa di ameno in primavera-estate quando il verde e gli orti e le verdi colline attorno mascheravano quello che nell’autunno-inverno doveva rappresentare un terreno battuto da un  vento gelido costante, tendenzialmente acquitrinoso, umido e malsano -non a caso quindi con rare case e nessuna villa importante-, perché soggetto a frequenti straripamenti ed alluvioni dei molti torrentelli  non ben incanalati -lasciati a sé- provenienti dalle pendici del Belvedere, ma tali e sufficienti a gestire qualche mulino prima del loro  sfociare nel Polcevera.

   Nel 1781 l’arch. Brusco fu incaricato di studiare un viale che decongestionasse il traffico nel centro del borgo (la zona Mercato) già allora ormai al limite: questi previde una direttrice che sovrapponendosi all’attuale via Pacinotti proseguisse diritta verso l’interno, sino a Certosa (vedi Stringa-la Valpolcevera-pag.92), realizzando il tragitto della attuale via Fillak: questo progetto non fu realizzato subito e poi venne sconvolto dall’ampliamento del parco ferroviario che spezzò -da via G.Spataro- la continuità della strada. Essendo estrema periferia a quel tempo, la carta è dettagliata sino alla parrocchia di s.Martino (via A.Caveri-via G.Tavani) e poi viene segnato più nulla.

Dopo l’annessione della Liguria al Piemonte (1815) divenne genericamente “strada reale di Torino “ e poi “strada Provinciale per Torino”.     

Ancora nel 1850, i collegamenti tra Genova e riviere o l’interno, erano effettuati con diligenze (famose le “imperiali”, a 24 posti, trainate da tre o più cavalli);  queste -a parte tutte le difficoltà dovute ai cambi, le avarie, lo stracarico, gli ostacoli stradali- il massimo della difficoltà l’incontravano nel superare i passi appenninici: le diligenze dell’impresa navale Rubattino, che collegava i piroscafi con Milano, impiegavano oltre 18 ore per arrivare nella capitale lombarda. Per questo è ovvio che la ferrovia creò il massimo dell’interesse (la prima linea, fino a Torino, fu inaugurata nel febb.1854 ).

Nel regio decreto del 1857, la strada non viene nominata perché ancora “fuori” del borgo: sarebbe da considerarsi continuazione della  “Strada superiore”  (questa a sua volta era divisa in quattro tratti lungo l’asse: attuali Lanterna, via DeMarini, via Daste, via Rolando; in particolare era continuativa del quarto tratto che a sua volta andava dalla via del Mercato  alla via san Martino, fino alla “casa Morasso”). 

Come per via Buranello, solo in concomitanza con l’erezione della massicciata della ferrovia, avvenne fiancheggiante l’apertura e l’uso della  nuova strada (quindi, da Largo Lanterna (la porta, eretta nel 1633, era stata demolita nel 1877) tutta via G.Buranello-via P.Reti- via W.Fillak, sfrutta una direttrice interna fino a Rivarolo, obbligata dai palazzi eretti vicino alla linea ferroviaria).

Negli anni vicino la fine del 1800, questa nuova via prese ufficialmente il nome di via Vittorio Emanuele, dalla Lanterna a Rivarolo.

Tale rimase fino alla morte del figlio, assassinato a Monza nel 1901: a lui fu dedicato il tratto, dalla neonata piazza  Montano in poi,  chiamandola appunto via UmbertoI (da piazza Montano a Rivarolo).

Nel 1906, le ferrovie occuparono e sopraelevarono il vasto territorio affiancato a levante, per adibirlo a parco dei vagoni  merci; la strada fu così ampiamente fiancheggiata dal muraglione che la separa dal Campasso di cui fa storicamente parte (fu lasciato un sottopasso che sbucava vicino ai macelli, e che fu chiuso dopo l’ultimo conflitto mondiale).

Nel ventennio fascista, si ritenne opportuno cambiarne ancora nome dividendo la strada in due tratti: con delibera del podestà del 19 ago 1935 divenne: “via Milite Ignoto” (dall’attuale p.za Montano fino alla p.za Masnata); e da qui a Rivarolo, “via delle Corporazioni“ (vedi; dedicandola ad una organizzazione del partito. Il tratto che prosegue in territorio di Rivarolo, fu definito omonimo il 1 dic.1935).

Dopo l’ultimo conflitto mondiale, fu ovviamente ancora cambiato: intitolando ai partigiani -con delibera del sindaco del 19 giu.1945- il primo tratto Paolo Reti e quest’ultimo tratto Walter Fillak come attuale, equamente uno della DC e l’altro del PCI.

Nei 5 anni a seguire , si dovettero abbattere i civici 1 , 38, 44, 80  perché distrutti per cause belliche. Furono ricostruiti  nuovi il 1 (1951) ;  44 , 44A, 44B, 44C(1956);  35A (1959). Ricostruiti : 38 (1951) .  In quegli anni era ancora percorsa dal tram, i numeri 50 (Campasso-san Martino) e il 18 (fino a Quezzi).

Nel Pagano/50 vi vengono segnalate le seguenti osterie: al 2r di Riberti Giannina; 60r di Bono P.; 97r di Cavagnino G.;  146-8r (oggi Rivarolo?)di Bertola Maria. Ed i segg. bar:  15.17r Balbo F.; 51r Bertorello; 54r Piacenza C.;  101r Lavoratorini R.; 127r Mantero G.; 157r Lantero M..

Nel 1958 si sistemò la numerazione; furono variati il 42 divenne 40B e si assegnò il 42 e 42A . 

Nel 1960 incorporò via Filippo Santacroce, che venne eliminata: si variò assegnando 16A al civ. di questa via.  Si demolirono il 40A e 40B e si costruirono nuovi il 42B e 42C .

Nel 1963 si demolirono il 16A, 18, 20.

Nel 1985  si costruì nuovo il 35B

Vanta di essere una delle strade più rumorose della grande città  superando di giorno e di notte i 70 decibel , contro i 60 massimali .

Una buona metà della strada, al di là del ponte autostradale e laddove è un viale alberato è oggi nella giurisdizione della delegazione rivarolese.

Nel 1998 si programmava spostare il traffico pesante sulla strada in costruzione lungo il torrente; ora che nel 2004 quella è quasi completata, si aspetta che si innesti alla Fiumara con Lungomare Canepa. Aspettiamo.

Nell’estate 2003 la novità delle “strisce gialle”, corsia preferenziale e specifica per i soli bus cittadini, e solo per la direzione da periferia al centro. Le code si allungano, anche con delle sfilze di multe –specie ai motociclisti-; e tali rimangono vedendo il Comune insensibile a eventuali ritorni indietro dopo le forti proteste (pare che ci sia stato un contratto con l’azienda dei bus per un numero di chilometri di questa corsia -libera e solo per i bus in tutta la città- con forte penalizzazione al Comune stesso in caso di inadempienza).

Nel 2004 compaiono nuove le ‘bande di sud americani’; in particolare gli equadoregni hanno trovato larga ospitalità nella zona (tra SPd’A e Cornigliano superano i 10mila, ed i giovani si organizzano in bande e fanno lavorare sia le botte che i coltelli: quella locale si chiama ‘dei Pifutos’, che ha confine con i ‘Guerrero de Manyhanata’ della Fiumara, i ‘Vatos Locos’ di piazza Massena  ed i ‘Metro’ di via Brin).

 

DEDICATA al giovane nato a Torino il 10 giu.1920 (il Gazzettino dice il 20 giugno). Biondo, con i capelli a ricci, dotato di grande intelligenza. Studente a Genova al liceo Cassini (da cui venne anche espulso per aperta ideologia antifascista: la goccia che fece traboccare il vaso fu una osservazione espressa in mezzo ai suoi compagni additando in una cartina la Russia ‘la civiltà viene da qui, dall’Oriente’. La frase fu captata dai professori, e sommando ad altre dichiarazioni fatte sulla Spagna, concluse con altra frase “il fascismo appartiene al passato, il comunismo è l’avvenire” (Brizi scrive diverso: il fascismo è il presente ma il futuro è ben altro), il misfatto fu punito con l’espulsione), superò privatamente la maturità scientifica e si iscrisse alla facoltà di Chimica Industriale, sempre persistendo nelle sue idee politiche, in un periodo in cui era proibito anche solo pensarle.

   In città fondò, assieme a Buranello, una cellula comunista, stabilendo contatti con gli antifascisti locali e nazionali: ai primi di agosto 1942 partì militare di leva (finì nel 36° Regg.Artiglieria, stanziato a  Fossano); ma per le sue ide, durante una breve licenza venne arrestato da agenti dell’OVRA l’11 ottobre 1942 (assieme a G.Buranello, ambedue universitari) con l’accusa di disfattismo e tradotto a Marassi (poi –causa bombardamento della priglione- ad Apuania (odierna Massa) ed infine - avendo riconosciuto il suo operato e collegatolo ad altri nomi certi - al Regina Cœli di Romain cella di isolamento per essere giudicato dal Tribunale Speciale).

   Con la caduta di Mussolini (25 lug.1943) venne liberato il 31 agosto successivo e poté tornare  a Genova (alcune fonti dicono dapprima a Torino), ove iniziò ad organizzare, in nuclei operativi, i soldati sbandati dall’ 8 settembre e gli ex prigionieri (i più, russi e slavi) fuggiti da un campo di prigionia di Mignanego.

   Entrato nel vivo dell’organizzazione, fu inviato (col nome clandestino “Gennaio”) dal PCI – ancora clandestino - ad assumere il controllo politico-militare – quindi a comandare - un distaccamento nato spontaneamente - composto di 12 uomini, di cui 9 stranieri ex-prigionieri -, con l’incarico di tenere occupata la zona di Pian Castagna in Lanzone di Acqui, messa tra l’alta valle sia dell’Orba che dell’Erro, ma anche di spostarsi spesso, sia per i colpi di mano, sia per evitare catture. 

   Divenne dopo vice commissario politico della terza Brigata Garibaldi Liguria, creatasi  nei primi giorni del genn.1944 dalla fusione di 40 unità tra le quali la sua  e divisa in otto distaccamenti (dei quali lui era presente e comandante nel sesto - composto di 60 uomini - e dislocati nella zona dei laghi della Lavagnina nelle vicinanze della Benedicta, per la precisione, alla cascina Cornagetta sita in Bosio di Alessandria). Di lui viene ricordata una azione a Borlasca contro militi dell’ex-contraerea che operavano per rilevare le incursioni aeree (a detta dell’ ‘altra parte’, questi erano disarmati e malgrado ciò furono seviziati).

Alla vigilia del rastrellamento della Benedicta (6 aprile 1944), era sempre comandante del VI distaccamento; riuscì a sottrarsi alla trappola, seguendo il lato sinistro dell’Orba verso Piancastagna e da lì ad Acqui ove fu ospitato in casa dell’avv. Italo Diana Crispi, e perdendo contatto con la III armata decimata.

   Ricercato attivamente, si spostava continuamente per fuggire eventuali agguati: Acqui, Milano, sconfinamento in Svizzera ove rimase per tre mesi nel tentativo di raggiungere la Jugoslavia. Rientrato in Italia varcando il passo del Gran Combin, da Milano  spesso rientrava a Genova, per guidare delle azioni gappiste (assieme a Buranello, che – catturato - fu fucilato il 2 marzo 1944). Nell’ottobre fu inviato con lo pseudonimo “Martin/Martino” a comandare dapprima la ‘76° brigata Togni’; poi fu nominato commissario politico a Cogne ed a Champorcher della VII (altrove è scritto ottava) divisione Garibaldina ‘Piemonte’, dislocata nella bassa valle d’Aosta-biellese-canavesano, organizzando propaganda, comizi, riunioni.

  Trovandosi a Lace di Donato Biellese, vicino ad Ivrea, fu catturato il 21 genn.1945 (Brizi scrive il 29; e che così sta scritto su una lapide apposta su una roccia presso i ruderi della cascina divenuta area monumentale) con tutti i membri del suo comando, in una imboscata di mongoli (ex soldati sovietici di etnia asiatica) guidati da una spia e sopraggiunti sciando. Usando lanciafiamme e mitra, uccisero due partigiani e ne catturarono dodici (alcuni furono portati a Ivrea); Fillak ed altri furono portati - e quindi processati - a Cuorgné (TO);  ed il 4 febbraio condannati a morte tramite impiccagione, da un tribunale tedesco.

   L’esecuzione venne eseguita in località Alpette (alcune fonti scrivono che gli altri furono fucilati) il  5 febb.1945, giorno dopo il processo (nell’ Elenco Caduti, è scritto il 29 gennaio: impossibile perché le sue lettere di prigionia sono datate 4 febbraio 1945; il Gazzettino dice processato il 25 febb.; una prima targa stradale portava scritto addirittura morto in ‘ottobre 1944’).

   Ebbe  -seppur mantenendo l’espressione fiera e convinta di “viva l’Italia libera”- un supplemento di strazio, legato alla doppia  ripetizione dell’atto finale, il giorno dopo,  causato dalla rottura della corda (anticamente, motivo di sospensione della pena di morte). In una sua lettera riportata su un quotidiano, scrive “sono caduto prigioniero dei tedeschi. Quasi sicuramente sarò fucilato.” 

   Fu decorato con medaglia d’argento (altri scrive d’oro) al V.M., alla memoria.

   Scrivendo di se stesso, riconosceva aver amato soprattutto i suoi ideali, pienamente cosciente che per essi avrebbe dovuto anche dare la vita.

   Giudicato ‘dall’altra parte’, era un terrorista sabotatore, ideatore ed organizzatore di quella guerriglia che portò la guerra al massimo della ferocia.  

 

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