DOTTESIO                                             via Luigi Dottesio

 

 

 

TARGHE:

via - Luigi Dottesio – patriota - martire – 1815-1851 – già via De Marini

via – Luigi Dottesio – patriota - martire – 1815-1851

 

sottopasso all’ angolo con via di Francia

 

 

angolo via GDCassini

 

 

 

 

 

 

angolo via Palazzo della Fortezza

QUARTIERE ANTICO: Coscia

da Vinzoni, 1757.

In fucsia via Demarini; celeste via sBdFossato; blu via Spinola; rosso crosa Larga (Palazzo della Fortezza); giallo via NDaste.

N° IMMATRICOLAZIONE:   2772

da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   23140

 

UNITÀ URBANISTICA: 28 – s.BARTOLOMEO

 da Google Earth 2007. In giallo via palazzo della Fortezza.

CAP:   16149

 

PARROCCHIA:  s.Maria delle Grazie

 

STRUTTURA:  strada comunale, carrabile con  senso unico veicolare , da via di Francia  a via N.Daste. La carreggiata a mare, è adibita a posteggio libero di mezzi motorizzati.

Lunga 285 m ; larga 5,50 m . Con due marciapiedi.

È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera.

 

STORIA: Nel regio  decreto emesso nel 1857, con cui si sancivano i nomi delle strade cittadine,  questo primo tratto della “strada Superiore” che da Largo Lanterna arrivava alla Crosa Larga,  era tutto chiamato “via De Marini”.

L’apertura di via di Francia, tagliò in due la vecchia via, con conservazione della titolazione in ambedue i tratti.

Fu ufficializzato - con delibera del podestà il 19 ago.1935 - la conservazione del nome della famiglia genovese al tratto a levante;  mentre il secondo tratto che comincia dal sottopassaggio della ferrovia,  assunse il nome attuale di L.Dottesio (nel 1937, l’esperto storico che tratteggiava sulla rivista ”Genova” le strade cittadine, alla descrizione di via Balbi Piovera scrisse che iniziava da via Bottisio).

Nel 1940, sul Pagano, non sono scritte le strade delimianti. Riporta i numeri neri= da 1 a 41 e da 2 a 42, con in particolare al 2 Moro Tommaso e Figli, olii; al 10 f.lli Lombardo fu Raff., sego; all’11 Repetto trasporti e ‘Santina’ prmanente; al 18 i Sanguineti L&C cons(erve); senza civico NS delle Grazie (parr.). Dei numeri rossi= al 28r e 53r soc.an.coop. Carlo Rota; 30B Molino N demolizioni auto; patate, 3 macellaio, 2 commestibili, metalli, 2 parrucchiere, 3 fruttivendolo, 3 drogheria, friggitoria, drogheria, tripperia, salumificio, panificio, pollivendolo, bar,  stiratoria, 2 merceria, carbonaio, 2 cantina vini, olii saponi, pescivendolo, marmista.

  Subito dopo la ferrovia, la prima ad incontrarsi sulla destra è via GB. Carpaneto: era l’inizio dello Stradone san Bartolomeo, che portava in origine alla abbazia omonima nell’interno del vallone, costeggiando l’omonimo rivo che nel 1930-5 –per fare il piazzale dell’Autostrada- fu spostato un pò più a ponente.

 

CIVICI

2007= NERI   =  da 7 a 13 (manca da 1 a 5)   e da 2 a 18 (mancano 4, 6)

           ROSSI =  da 11r a 65r   e da 2r a 66r (manca 14; aggiungi 2A(B)→F, 30AB, 62A→D)

A MONTE  da via di Francia a via N.Daste
=== civ 1. A destra , la prima costruzione è la  villa Negrone, poi Moro.

Essa, ormai aprendosi nel retro, è descritta in via Pedemonte

===civ. 3:    demolito nel 1972. Era  la  villa Pallavicino, poi Moro: nella carta del Vinzoni, è indicata proprietà del magnifico Nicolò Pallavicini; ed alla sua famiglia rimase finché nella prima metà del 1800 divenne  parte dell’oleificio Moro che la adibì a scopo industriale (cosa che a mio avviso meriterebbe l’erezione di una novella “colonna infame” sul posto). Le caratteristiche architettoniche permettono di far risalire la costruzione alla seconda metà del 500. La facciata aveva una loggia, poi murata, e dei poggioli le cui mensole di sostegno erano ornate di mascheroni finemente scolpiti; la parte inferiore aveva un portale sormontato da un fregio e stemma della famiglia, circondato da finestroni con grosse inferiate.

Il giardino si estendeva verso il monte, sino a poco oltre dove ora passa via A.Cantore; fu occupato dall’oleificio; alla sua chiusura, quasi tutto lo spazio venne adibito alla costruzione del grattacielo, detto Torre Cantore.

La concessione ad uso industriale, in pochi anni riuscì a completare tutto il male che non aveva compiuto la natura in quattro secoli: la casa raggiunse un degrado tale da renderne impossibile il ricupero -o comunque non vantaggioso secondo gli esperti-; così fu demolita per far posto ad un caseggiato; gli architetti tentarono di conservare la propria dignità lasciando (1971) eretta la parte inferiore della facciata, che interessando a nessuno, sta andando  in assoluto degrado pure lei .

===civ. 9:  l’edificio, costruito in stile primi anni del 1900, ospita la scuola materna comunale Maria Mazzini.  Nell’elenco degli immobili di proprietà comunale del 1890 e 1896 compare la voce ‘locale per la sala di musica’; nel 1908 diventa ‘locale per la sala di musica affittato all’Asilo infantile’. Non si conosce, ma si presume sia riferito a questi locali; se fosse, dimostra che l’edificio c’era già nel 1890.

Subito dopo era una cappella, sacra a sant’ Antonino, già presente negli anni attorno al 1200. Questi, soldato nella legione tebea (vedi a Maurizio, in via GBMonti), divenne martire;  però il suo nome, confuso con quello più popolare di sant’Antonio, perdette di importanza a vantaggio del secondo e postumo)

La cappella (NB controllare se fu una cappella a se stante, o invece si fa riferimento al monastero omonimo che era 4-500 metri più a ponente), nel 1300 era sotto il patronato della famiglia Grisolfi, a cui rimase sino all’estinzione, nel XVI secolo; ne prese cura allora mons. G.B.Cicala, già vescovo di Albenga e poi cardinale a Genova: così poi, nel 1586, papa Sisto V concesse il patronato ad Alessandro Cicala, promuovendola contemporaneamente a Commenda.

Minacciando di rovinare per vetustà,  nel 1582 (?) la famiglia Lercari provvide a farla ristrutturare dando l’incarico ai maestri Giorgio e Stefano Storace; nel 1621 ospitò il corpo di sant’Innocenzo martire portatovi da Paolo Serra, persona  non oltre conosciuta; subentrarono alla cura della chiesa i padri Agostiniani del convento di Belvedere, che vi rimasero sino al 1797, epoca in cui gli sconvolgimenti politici franco-rivoluzionari,  obbligarono la cessazione del culto. Così abbandonata, nel 1826 venne trasformata in abitazioni, e poi distrutta.

=== civ.  : in via DeMarini, (vedi vico Cibeo) in epoca fine 1800, vengono descritti i vari proprietari in questa zona: vi compare “proprietà delle FF.SS” e dovrebbe essere qui dove ebbe natali il gen. A.Cantore .

===la chiesa di santa Maria delle Grazie.  Il tempio vede nella sua storia, tre edifici diversi come posizione geografica, anche se poco distanti ciascuno. L’edificio è protetto da vincolo delle Belle Arti.

A Voltri esiste un omonimo convento e santuario, retto dai frati Minori Cappuccini

Il primo ed il secondo , vengono descritti nella  via DeMarini.

 

   Il terzo fu costruito nel terreno ove già  prima esisteva una cappella dedicata a santa Maria della Vista: piccola ma abbastanza alta, ricca solo di un altare in marmo , e di uso pubblico, era  posta in capo alla crosa della Catena (poi via Manin, ora via G.Cassini), e vicino al piazzale d’ingresso della villa Spinola. Inizialmente -ma non si sa da quanto-, la cappella era dedicata a san Girolamo (vedi in via DeMarini la cappella gentilizia nel palazzo Neuroni). Nel 1749 il vescovo mons. Saporiti Giuseppe, ne interdì l’uso, non si sa perché . Solo cento anni dopo ,nel 1850,  fu riaperta al culto, acquisendo però il nuovo nome di “santa Maria della Vista” in virtù di una immagine omonima della Madonna collocata nel tempio (dopo averla prelevata da una casa  posta nelle vicinanze, in demolizione causa la costruzione della ferrovia). Allo scopo, un prof. Rebuffo scrisse l’epigrafe : “ D.O.M. - IMMAGINEM - AB ANTIQUITATE - CULTAM - VIRGINIS MATRIS A VISU - EX VIARUM CONVICIO - IN HANC AEDICULAM - PATRONAE OPTIME MAXIME - DECENTIUS COLENDAE CAUSSA - CLIENTES - PECUNIA COLLATITIA - INTULERUNT ANN. MDCCCLIX “

   Nel 1886 fu ristrutturata con pitture ed affresco sulla volta, ma con una sostanziale riduzione in altezza per costruirvi sopra l’ abitazione ed alcuni stanzini per il rev. cappellano, senza riguardo all’estetica e “con gusto quasi vandalico”, degenerando l’aspetto del tempio a simil bottega o magazzino. I fedeli vi accedevano comunque offrendo lampade e candele; e la frequentavano in forma solenne in occasione della processione del Corpus Domini.  La cappelletta dava punto di riferimento alla strada, chiamata omonima in un documento del maggio 1817 elencante le strade locali.

Fu infine abbattuta, per permettere l’erezione del grosso ed attuale edificio)

 

    L’area interessata dalla sudescritta chiesuola, era divenuta nel frattempo di proprietà della RES (vedi); il cui presidente, ing. Cuneo, era in buoni rapporti con il parroco GioBono Schiappacasse (parroco dal 1920, insediato nella chiesuola di via DeMarini); l’intesa tra i due favorì superare tutte le difficoltà –da quelle burocratiche a quelle economiche (£.220mila per il terreno)- che si interponevano all’iniziativa.

   Una prima rata di 50mila lire, era quasi preparata dalla Fabbriceria, attraverso donazioni, prestiti (di cui uno più ricco e gratuito ottenuto da una benefica famiglia genovese che completò il campanile) ed iniziative varie, da dare nel 1922 per il compromesso (ed a rate, altre 35+ interessi x tre anni, solo per il terreno. In totale la Fabbriceria dal 1921 al 1928 spese 225mila (–terreno, notaio, registro, interessi-) + 369mila a Stura (mancanti ancora di 86mila da dare) + 22mila di varie (tra cui uno sfratto al “caffè Tubino” evidentemente collocato nell’area, non si sa dove). In attivo 311mila in donazioni, 335mila la vendita della chiesuola). Il contratto fu stipulato il 5 maggio 1925 (essendo intervenuti nella RES problemi di liquidazione e programma di chiusura dell’attività); in attivo c’era solo la vendita della precedente chiesuola (prima era arrivato una ingiunzione  di esproprio da parte del CAP mirato ad ingrandire i suoi spazi: si fece opposizione;  si erano offerti prima i Doks Liguri, poi l’oleificio Costa) e -più tardi- anche con contributi (6.XI.1928) a titolo ‘rimborso spese per la costruzione’ da parte del Comune di Genova.  L’impresa edile che si accollò i lavori anche in precarietà di regolarità dei pagamenti, fu la ditta Stura.

    In una area di 1350 mq (di cui 860 occupati dal tempio e 420 dai necessari distacchi), furono prima scavati 2500m3 di terra  e poi eretto il tempio mariano, ideato dall’arch. Piero Barbieri (lo stesso che progettò il santuario di N.S.della Guardia e che dovette eseguire più di due successivi progetti e disegni: il primo prevedeva un edificio –con possibilità di essere aperto in via Carducci se si fosse comperato tutto il terreno- con due campanili ai lati della facciata; di 43x20m. più un fondo di 3x20 ed un Sancta Santorum di altri 12x20. Una navata centrale larga 10m ed alta 20m, più due laterali  di 4m cadauna separate da 8 piloni snelli in stile gotico-pisano alternati da  sei in marmo colorato; la volta ad archi acuti era percorsa da una galleria con lo scopo di aggraziare lo sguardo e dirigerlo verso l’altare) in stile misto gotico e romanico.  Le abitazioni erano sul retro. Nel 1929 un altro progetto vedeva la facciata decisamente a sud, con nella parte apicale una serie di 12 colonnine delimitanti finestre ogive, con andamento a V rovesciata  parallela all’architrave§§§ della sommità; sotto esse, un rosone di 4m di diametro, ai cui lati due bifore per dar luce alle navate laterali e snellezza alla facciata; in basso tre portali, col centreale più ampio ed alto, di tipo gotico. La lunghezza diventuta 40m, altezza 20. 

   Ebbe la posa della prima pietra il 27 giu.1926 (questa, donata dal sig. GB Frantone presidente degli degli Uomini Cattolici, era di 1m3 e fu portata in loco da un carro trainato da 4 cavalli adorni, servizio offerto dalla ditta Canepa. Alle ore 17 su auto offerta da Gustavo Dufour, giunse l’arcivescovo con  l’ing. Tosi preside dell’istituto a fianco, don Raffetto arciprete, ed altre autorità come Broccardi podestà di Genova, Diana podestà locale,fino alla banda (della Croce d’Oro; c’era anche il Risorgimento), Luigi Pasteris commissario degli Esploratori. Fu benedetta dall’arciv.di Genova, mons Carlo Dal Maggio Minoretti. Porta la scritta dettata dal prof . P.Olivari:    “ V.Kal. Julias An. MCMXXVI - Pii XI . Pontificatus anno V. -  Victorio Emanuele III. f.f. regnante - Carolus Dalmatius Minoretti - Genuensium Archiepiscopus -  Sacrum auspicalem lapidem - Solenni ritu statuit - huius curialis aedis - quam - Deo Optimo Maximo - in onorem Virginis Deiparae - ab inchoato aedificare instituit - Ioannes Bonus Schiappacasse - Curio - ut ampliori atque augustori loco - Alma Gratiarum Mater - populum suum pecullarem tueatur ac foveat “ Tradotta : “Il 27 giugno 1926 -- V di pontificato di Pio XI -- felicemente regnando V.Emanuele – III  -- Carlo Dalmazio Minoretti --- arcivescovo di Genova -- pose con solenne rito -- la prima pietra -- di questa chiesa parrocchiale – che -- a Dio ottimo massimo -- in onore della Vergine madre -- Giovanni Bono Schiappacasse   --parroco -- imprese ad innalzare dalle fondamenta -- affinché da più ampia ed augusta sede -- la benigna Madre delle Grazie -- il popolo suo diletto difenda e protegga”). Nell’interno furono racchiuse una pergamena, alcune monete di fresco conio 1926, una moneta d’argento da £.2, una medaglia del Papa.

   Il nuovo progetto di rimaneggiamento, fu necessatrio già dall’epoca della prima pietra, sia per i costi, sia per le dimensioni che per contrasti con gli abitanti confinanti (il progetto eccedeva di 2 m. il terreno acquistato, ed i vicini non li concessero; restringendo la lunghezza, ne conseguì anche la larghezza e quindi sacrificio dei due campanili); e sia il Ministero della P.Istruzione che contestò ed impose cambiare lo stile goticopisano perchè stonante a fianco del rinascimentale eretto davanti alla villa cinquecentesca.

   Fu eretta in cemento armato; i lavori videro soste e sospensioni (per otto mesi nel 1927, tre nel 1928, per mancanza di fondi anche se si era venduto la cappella di via DeMarini ai Costa, ma il cui ricavato non potè essere utilizzato subito) e venne data  incompleta nelle rifiniture del tetto, della facciata, dei pavimenti, degli alloggil

   Lo stesso arcivescovo, il 24 mar.1929,  domenica delle Palme, celebrò la solenne inaugurazione e benedizione dell’effige della Madonna solennemente trasferita in processione dalla vecchia chiesuola lungo via Chiusa; le fornì uno stemma col motto “Ave gratiarum Mater”, dando continuità alla funzione parrocchiale ed inizio alla nuova residenza. Il campanile non era ancora ultimato, avendo raggiunto 30 dei suoi 55m preventivati

   La nuova chiesa, eretta in pieno ambiente di periferia di operai-piccoli commercianti-donne di casa, diede da subito sicuramente un forte incremento alla partecipazione alla vita parrocchiale, specie dopo il 1931 con la riapertura dei circoli e la soluzione del contrasto con il regime: grazie anche alla decennale  coadiuvazione con le ‘suore petrine’ per il catechismo, ed alle iniziative della varie associazioni ospitate (per prima l’Azione Cattolica frazionata in vari circoli secondo l’età e sesso; le Figlie di Maria fondata nel 1864; due ‘congregazioni’ (dal 1927) chiamate ‘della dottrina cristiana’ e ‘della Madonna delle Grazie’).        Iniziative ricordate furono un corso di avviamento alla lettura del vangelo(1933); istituzione di un asilo infantile a condizioni modestissime, spesso gratuite; un bollettino mensile (dal 1922) con rubriche ad indirizzo personalizzato (tipo con i ‘cari ammalati’) o culturali (letture di Dante e storia locale);

   In data 3 mar.1932, il Comune deliberò concorrere alle spese per le rifiniture della chiesa.

   Il 27 maggio 1934 fu scelto perché ricorrenza di cinquant’anni della nomina a parrocchia; si approfittò per benedire le campane mentre in porto entravano in funzione l’Idroscalo e, a monte, la Camionale; stava per aprire via ACantore ed un notevole fermento nella zona portuale: nacque così l’idea di sovrapporre una statua della Madonna sul tetto, a protezione di tutta la zona. Fu dato incarico  al direttore dell’Acc.Ligustica di BA prof. comm. Morera Antonio, di preparare il calco in gesso, per –appena possibile- trasportarlo in fonderia.

La statua fece trionfale ingresso in chiesa il 29 sett.1940; in contemporanea, prese campo -con simpatia a livello nazionale- l’idea di associare gli aviatori, marinai e motoristi-autisti in genere sotto la protezione della Madonna, patrona del mondo meccanizzato e motorizzato (12mila iscritti alla s.Lega dell’Angelus Domini L’impegno era di recitare tutti assieme la preghiera dell’Angelus alle tre ore del giorno (matt-mezzog.-sera)). L’entrata in guerra pose freno a tutte le cerimonie di dedica ufficiale ed alla ricerca del materiale per fondere la statua. Fu invocata anche quale protettriuce nei giorni di bombardamento..

  Coesisteva un ingente debito con gli Stura (interessi, avvocati, tribunale, lavori sospesi e non finiti).

  L’11 maggio 1941 subentrò a parroco don Alfredo Sozzi. Don Schiappacasse fu inviato quale Canonico penitenziere della Metropolitana.

   I bombardamenti degli anni 1943-44 furono causa di notevoli danni, deturpando degli affreschi dipinti da GioRaffaele Badaracco e da Lorenzo Brusco posti nel catino, e distrussero in maniera irreparabile un crocifisso ligneo.

Nel 1953 con la riparazione dei danni di guerra, si riuscì ad iniziare le rifiniture: per primo  completare l’altare col polittico marmoreo in cui è inserito in trionfo il quadro della Madonna delle Grazie; poi (1955) donarle il pavimento in marmo; gli altari apicali laterali di s.Giuseppe e del Sacro Cuore, ambedue con statua marmorea; gli altari di metà navata dedicati a s.Rita (a sin.) e Madonna della Guardia (a destra); la via Crucis (1962).

   L’8 dic. 1963 subentrò don Eraldo Susto che proseguì l’opera di ristrtturazione (Campanile: alto 56m. fu finito l’8 dic.1967, con applicazione sulle pareti esterne di mattonelle rosso cotto e oro dorato; la cella campanaria si apre all’resterno con quattro trifore gotiche bianche; la guglia ricoperta di ceramica policroma capace di riflettere “lampi di luce colorata”. Interni: con marmi alle pareti ed alle  colonne; eliminazione del pulpito trasferito a Rivarolo; spostamente del polittico marmoreo portato in zona del coro; nuovi altari e strutture varie).

   Il 19 apr.1980 la chiesa tanto rinnovata, fu riconsacrata dall’arcivescovo mons. Siri.

Negli anni 1955-65 tra le attività giovanili, la parrocchia ospitava gli scouts dell’ASCI del gruppo Ge53. Poi il parroco, evidentemente sconvolto psicologicamente e soggetto poi ad una triste ed avvilente fine (1984), non tutelò sufficientemente questa attività, perdendone i benefici.

Fu sostituito, fino al 2001, da don Franco Viganego; e questi, dal 2006?,  da  don Filippo Monteverde. Nel 2007 il parroco ha avuto l’onore della cronaca per una antipatica situazione: l’apertura di una balera sotto le finestre della sua camera da notte, con relativo chiasso notturno, hanno determinato uno stato di stress tale da impedirgli di dire messa l’indomani mattina

   L’edificio è tutelato dalle Belle Arti

   ESTERNO La facciata doveva essere tutta in marmo dal progetto definita ‘armoniosa ed elegante’;  rimase invece allo stato grezzo che le dona d’antico; possiede nel centro un grosso rosone tipico dello stile imposto (romanico-gotico pisano), e sovrastante il portale a sesto acuto dovevano esserci un timpano adorno di bassorilievo figurativo, nonché tre statue sacre sul frontone. Il card. Minoretti voleva fosse apposta la scritta «Totius populi labor et amor» ma, malgrado l’effetivo impegno del popolo, a facciata mai ultimata, la scritta non vi appare ancora.

La  robusta porta, capace di isolare l’interno dai rumori stradali, è in legno massiccio di teck, lavorata dalla scuola dei salesiani sampierdarenesi.

I muri laterali, hanno le porte a sesto acuto pure loro,  dovevano avere delle loggette cieche nella parte centrale e delle bifore con vetri policromi; e tra porte e finestre delle formelle a riquadratura mistilinea. Il tetto a coronamento è spiovente e –nelle parti laterali- decorato con archetti pensili

   INTERNO misura 43x20. La navata centrale è lunga 40m  e larga 17 ; ha un abside di 12m ; il tutto è alto circa 19m . La totale superficie è suddivisa in tre campi rettangolari: i laterali, sono lunghi circa 10m e larghi circa 4;  sono delimitate  da quattro grossi piloni rastremati e da colonnine incassate negli spigoli. La volta ad archi acuti, prevedeva la possibilità di essere arricchita nel futuro con mosaici o ornamenti dorati.

Fu arricchito con tre altari principali: quello maggiore favorito con  una pala di autore ignoto raffigurante la “Madonna delle Grazie” che porta la scritta “Diva Virgo del quartiere***” ; gli altri dedicati a san Giuseppe ed al Sacro Cuore.

Il campanile (progettato dall’arch. Ettore Mazzino), fu eretto negli anni seguenti,  è alto 54m., a quattro piani culminante con una cuspide piramidale e le sue facciate decorate da finestre bifore e trifore; il tutto sormontato da una prima grossa croce lavorata,  alta 4m.. All’inizio era stata progettata l’elevazione suprema di una statua della Madonna che da lassù avrebbe tutelato l’idroscalo e gli aviatori in genere; impedimenti vari -specie bellici- fecero optare per una croce che -a sua volta- fu sostituita dall’attuale.

 

area dell’idroscalo

Ha un concerto di nove campane (nel 1934 erano sei, acquistate quando ancora non era stato eretto il campanile: fuse con 8 q. di stagno in buona parte procurato dalla ditta Nasturzo, e con 34 q. di rame  in buona parte donato dal parrocchiano benefattore GB Bertorello, demolitore di una sua nave “Stella Maris”; furono lavorate dalla ditta fratelli Picasso Matteo e Francesco, di Avegno vicino a Recco, e collaudate dal maestro sac. Stefano Ferro, organista al’Immacolata.

Il provvidenziale supporto economico (35mila £.) di un benefattore, permise completare campanile e posizionare le campane. Nel 1942 lo Stato impose consegnare  2220 chili di bronzo.

   La prima è in tono di “re grave”; pesa 1175 kg e porta inciso le parole “in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti - cor Jesus sacratissimum, adveniat regnum tuum”, e vari nomi di benefattori. Padrini furono le famiglie Pizzorno (presid. della Fabbriceria) e la moglie Amalia Lombardo.

La seconda è in tono “mi”; pesa 780 kg ; vi è inciso:” ave Gratiarum mater Maria - sancte Francise e Paola - ora pro nobis“;  fu dedicata agli aviatori ed alla loro arma. Suonerà l’Ave Maria. Padrino il col. Carnevali, comandante la prima zona territoriale dell’aeronautica.

La terza, in tono “si bemolle”, pesa 570 kg , ed è dedicata a san Giuseppe:  “Te Joseph celebrent agminam coelitum. Te cuncti resonent ...”. Padrini la fam. Gardino Guglielmo.

La quarta, in “sol”, pesa 460 kg ed è dedicata alle anime del purgatorio: ”requiem aetarnam dona eis Domine, et lux perpetua luceat eis ...”. Padrini la fa, Sanguineti Guido.

La quinta è in “la”, pesa 340 kg., dedicata a sant’Antonio, san Giovanni Battista de’ Rossi, beato Francesco da Camporosso (conosciuto come Padre Santo); porta una scritta invocante tutti questi santi. È uno dei santi –non comune ad altre chiese- venerato nella parrocchia è rimasto dalle precedenti sedi. Padtrini la fa, Bertorello GB.

La sesta è in “si” e pesa 240 kg., dedicata a santa Caterina da Genova, santa Rita e santa Teresa del Bambino Gesù, con preghiera a queste sante. Padrini la fam. Masnata Romolo.

   Nel 1941, in pieno periodo bellico, il rev. Schiappacasse divenuto monsignore, lasciò le redini al prevosto Sozzi Alfredo, il quale con l’aiuto dei cooperatori don Ferrea E., don Bernasconi PL., don Piccardo E., proseguì il completamento degli arredi, di cui il migliore fu (1953) un grandioso polittico in marmo, in cui venne inserito il quadro della Madonna delle Grazie, e posto all’altare maggiore. Dietro esso fu posto l’organo e lo spazio per il coro; si arredarono gli altari laterali dedicati a san Giuseppe, a santa Rita (a sin.), al Sacro Cuore ed alla Madonna della Guardia ( a destra).

   Dal 1961 al 1984 reggerà la guida di parroco, don Eraldo Susto; il quale provvederà a grandi lavori di restauro in particolare la facciata, il campanile (abbandonata l’idea originaria della statua della Madonna, fu inaugurato l’8 dic.1967, rivestito di pietra e mattonelle di cotto, che donano un colore oro-rosso-rosato, i singoli piani separati da spessori in ardesia, la cella campanaria al sommo con trifore bianche in parallelo con la componente in stile gotico,  con la guglia rivestita di ceramica policroma, ed all’apice la croce in ferro battuto alta circa 5 m., che dapprima era all’apice della facciata principale) e l’interno, rivestito di marmi (come anche il leggio; alcuni altari laterali; la fonte battesimale  -rappresentante il fiume Giordano con i suoi 4 affluenti e sul cui bordo è incisa la frase: ” dalla Croce zampilla l’acqua della salvezza: chi si immerge in questa onda non incontra la morte. Chi è sepolto con Cristo, con lui rinasce alla vita”-;  spostati il polittico marmoreo in fondo,  al posto del coro, e vari altari; nonché eliminato il pulpito che venne trasferito in una chiesa di Rivarolo).

   A sin., nell’altare marmoreo dedicato alla Madonna con le Anime penitenti, è stato inserito un piccolo mosaico rappresentante un angelo, proveniente dal Tabernacolo del precedente altare maggiore; e la statua del sacro Cuore viene inclusa nell’altare del SS.Sacramento.

   Vicino all’ingresso, venne posto in un altare un grande crocifisso in legno, di pregevole fattura, la statua di san Giuseppe (che era in altro altare) e di sant’Antonio.

   L’attuale parroco è don Viganego Franco, che cura personalmente varie associazioni di fedeli, di giovani e della confraternita di san Vincenzo.

===civ.45-47r:  una testa di montone appare come simbolo dell’attività commerciale sottostante (ora un macellaio con insegna che richiama in dialetto: o maxella); in stile neoclassico, rispecchia l’uso frequente di queste “insegne”, specie come arredo esterno, simile anche se più semplice di quello della farmacia di via Cassini. 

===civ. 25r tabacchino Ferrando, dal Pagano /67

===civ.33r  nel 1950 il Pagano segnala l’osteria di Ponassi Maria

===civ.***  l’ultimo della via. ha sulla facciata graziose decorazioni di stile tardo liberty, sia nel coronamento delle finestre che nella ringhiera di ferro battuto ad archi intrecciati, dei terrazzi 

 

A MARE

===civ. 2 Di fronte alla villa Pallavicino-Moro precedente, si aprivano le “Officine Meccaniche Navali”, aperte nel 1898 da Salvatore Bacigalupo: come tutti a quell’epoca, iniziò a lavorare giovanissimo come disegnatore, acquisendo in breve la nomina di tecnico navale; intelligente e tenace, volle dedicarsi totalmente nel 1898 a questo settore di attività, organizzandosi -assieme ai soci Paselli e Bertorello- in maniera da ottenere imbarcazioni di prima qualità ed all’avanguardia: fu uno dei primi ad adottare il ferro-acciaio (i rimorchiatori detti le “barcasse”) e ad adottare la propulsione ad elica ai piroscafi della Compagnia di Navigazione Grandi Laghi, in servizio sui laghi del nord Italia.

Il cantiere genovese era in ‘via san Bartolomeo’: quindi nei pressi; usando il vallone quando in secca, i rimorchiatori completati, venivano di notte scivolati su traversine di legno fino alla marina,  e varati. 

Diede lavoro a molti operai, divenendo meritevole di considerazione  internazionale. Abitava in ‘via Vittorio Emanuele (via G.Buranello), civ.10’. Cessò l’attività nel 1918,  e morì nel 1932 a Crocefieschi.

Negli anni 80 la sede (non citata nell’elenco SIP/1972) fu occupata dal Credito Lombardo; poi da un mobilificio; dal 2007 circa dalla “residenza protetta per anziani, san Benigno” (ingreso auto al civ.2; pedonale al 2D).   

Ospizio                                                                  suo posteggio lato ferrovia

 

===civ. 4r: nel 1950 vi operava la FILEPS (fabbrica ital. lampade elettriche portatili speciali) di Antonio Bagnasco.

===14r nel Pagano 1950 si descrive l’azienda Tubino Arturo & Adriano di metalli, rottami non ferrosi, stagno, piombo, zinco laminato in pani e lastre, ecc.

===civ 20r:  presso la trattoria, è la sede dell’ “US Dottesio calcio” , fondata nel 1996 , iscritta alla FIGC, con colori sociali bianco-blu-azzurro-celeste , milita nella terza ===Civ 28r vi era negli anni della titolazione stradale, uno dei due spacci della cooperativa titolata ‘C.Rota’ (l’altro al 53r.55r).

===civ.30Br negli anni 1950-70 e successivi, punto di riferimento era l’officina di Molino Nicola, di vendita di trattori, pezzi di ricambio per autocarri e vetture, nonché di demolizione auto.

categoria girone A e gioca nel campo Italo Ferrando a Cornigliano.

Via D.CASSINI

===civ.    r :   l’ex sala Montecucco, descritta in via Cassini.

===civ.16 apparentemente senza significato storico; il palazzo termina con il civ. 62r

===civ. 18, proseguendo verso ponente, a sinistra della strada compare la villa Grimaldi - Sanguineti quale viene segnalata sulla carta del Vinzoni, ma senza precise informazioni sugli anni precedenti: solo dai caratteri architettonici, si può presumere una origine cinquecentesca, munita di ampio giardino che arrivava di fronte alla Fortezza alla crosa Larga, ed a sud si estendeva  quasi al mare.

   Sappiamo che Lazzaro Grimaldi, durante il suo incarico di Doge, ebbe autorizzazione a trascorrere 12 giorni in pace nella sua villa di san Pier d’Arena. Non viene specificato quale era; e in quell’epoca, oggi conosciute ve ne erano  sette di ville Grimaldi. Escludendo la Fortezza che all’epoca era in mano a Grimaldi GB, poteva essere una qualsiasi delle sei rimanenti (questa, vDaste 4 poi Rebora; vDaste 24 Gerace; Carabinieri; e quelle oggi distrutte Salesiani e Cristofori). Perciò la descrizione viene inserita in questa villa solo perché è la più vicina a Genova ed allora grande abbastanza da soddisfare un nobile molto ricco.

Lazzaro Grimaldi-Cebà: nacque nel 1520 circa, da Domenico (fu un Riformatore delle casate nobili nel 1527, ufficiale di moneta, finanziatore di una grande nave; senatore) e da Clara dei Calvi. Suo nonno, omonimo, era stato ambasciatore dal re di Francia Carlo VIII e da Papa Giulio (rispettivamente negli anni 1496 e 1506). Quando sposò Marzia Centurione di Marco, ricevette il 3 dic.1573 il titolo di feudatario di Masone (con castello, abitanti e boschi; giurando fedeltà alla Repubblica. Nel borgo costruì  la chiesa, si rappacificò con Campoligure allora feudo non genovese ma imperiale, fissando i confini). Iniziò come diplomatico, divenne procuratore della Repubblica e poi governatore (1571) e deputato alle gabelle (1576). Nella diatriba del Garibetto, si schierò con la vecchia nobiltà e cercò di difendere questa legge che le dava potere contro i nobili di recente nomina di estrazione popolare. Durante la peste del 1579-80 non fuggì ma costituì il magistrato della Misericordia ed occupò l’ufficio di Sanità ricevendo consensi ed ammirazione. Per questo divenne anche Padre del Comune, ambasciatore dal neoeletto papa SistoV, Protettore delle Compere di san Giorgio, ed altre cariche di alta responsabilità.. Nel 1596, imperversando grave carestia, di sua moneta comperò il grano, un intero carico di una nave, per soddisfare sia Masone che Genova. L’anno dopo assurse a Sindacatore Supremo;  ed il 7 dicembre 1597 a Doge (36° della serie dei biennali) superando il candidato dei Doria che non accettò la sconfitta giurando rabbiosa vendetta, proponendo innumerevoli insolenze cerimoniali da urtare l’eletto senza offenderlo direttamente, ma frustrando la sua pazienza. Così dovette chiedere una sosta al Senato: contrariamente alla legge che obbligava alla residenza nel palazzo Ducale per i due anni in carica senza poter mai dormirne fuori, gli furono concessi 12 giorni da trascorrere a san Pier d’Arena. Rientrato, dovette affrontare il pesante incarico di ospitare, per una decina di giorni ed a spese della Repubblica, 1200  nobili in trasferimento da Venezia ed Austria verso la Spagna (vedi alla villa Lercari di via N.Daste ove fu ospitata Margherita la futura regina di Spagna e dove il Nostro andò a parlarle (tramite un interprete), partendosi a cavallo da Genova col seguito di guardie svizzere e di 350 nobili genovesi). Al pranzo, effettuato a Fassolo, il Doria stesso ritornò ad aggredirlo con clamoroso e mordente frasario mirato ad offenderlo, accusandolo di aver disonorato la sua carica e quindi la Repubblica avendo concesso che la regina fosse accompagnata  dal contestabile di Castiglia, governatore di Milano e non da sé, più alto in carica. L’amarezza di questo attacco verbale, lo mortificò al punto di sentirsi male: dopo una settimana, il 16 febbraio 1599, quasi sessantenne -e dieci mesi prima di finire il suo dogato, morì presumibilmente di infarto-, proprio nei giorni in cui le maestà ospiti levavano l’ancora. Due giorni dopo, le esequie furono condotte con grande pompa portando dapprima il feretro in processione per la città, ed infine dopo altri giorni di cerimonie ad essere sepolto in san Pier d’Arena presso gli Agostiniani  della chiesa di NS della Cella: nella cappella privata di san Paolo, fu posto assieme al padre ed al nonno (il cui sepolcro porta la scritta “+Jesus Maria 1506. Die 11 Genoariis Sepulchrum Nobilis Lazari de Grimaldis q. D.Dominici et haeredum suorum”). Il testamento fu assai munifico in beneficenza a tante categorie di bisognosi (Agostiniani, Teatini, ospedale di Pammatone, Incurabili, monasteri e poveri, nonché quattro  amici in profonda disperazione sanando i loro debiti). Avendo avuto solo una figlia, Cassandra (che aveva sposato un Fabrizio Pallavicini ma che morì precocemente), lasciò il feudo di Masone al nipote Paolo Agostino Spinola, figlio della sorella Peretta e di Giovanni.

   E’ questa villa probabilmente (oppure la Fortezza?), che viene citata perché munita di cappella privata (sinonimo di distinzione sociale), nel 1813 proprietà degli eredi del principe di Monaco (un Grimaldi quindi) e posta ‘in cima alla crosa Larga già crosa delle Catene’ (quindi più a levante della crosa Larga e quasi di fronte a mare alla villa Spinola).    

   Dapprima la ferrovia, poi l’attuale via G.Buranello tagliarono una grossa porzione della proprietà compresa la torre che fu ovviamente distrutta per la successiva lottizzazione del rimanente.

Nei primi anni del 1900, fu acquistata dai Sanguineti, per essere utilizzata a fabbrica di conserve. Fu poi tramutata in due distinti edifici adibiti ad abitazione, cosicché oggi è divenuta nascosta, in maniera pressoché totale, la sua origine di villa.

Nel Pagano/67 persiste l’esistenza dell’azienda Sanguineti L&C di conserve alimentari e lavorazione latta.  Fu il nonno delle attuali ancora in vita (91 enne) che aprì la manifattura della latta; acquisendo il palazzo, viene narrato che trovarono dentro il quadro della madonna che ora è appeso nell’angolo di vico Grandis (scelse così per protezione della sua azienda ed anche perché tutta la zona era devota a questa Madonna, e nell’occasione faceva una sagra con luminarie e banchetti di dolci e prodotti agricoli)

civ. 62Ar  Il palazzo finisce con questo civico.

Vico Grandis

Il palazzo dopo, verso ovest, non ha portoni neri ed ha ancora due civici rossi 64 e 66r. La strada finisce all’incrocio con la seguente:

Via Palazzo della Fortezza

 

DEDICATA  al tipografo nato nel 1814 a Como. Da adulto si trasferì a Capolago ove era divenuto direttore della Tipografia Elvetica di Capolago, il più importante centro editoriale dei testi degli scrittori romantici e
dei patrioti della prima metà del Risorgimento.

   Prese parte alla campagna militare del 1848 schierandosi con i piemontesi e mettendosi però in evidenza negli schedari della polizia.

   Favorito dalla vicinanza con la Svizzera e con lo spirito cospiratore contro l’Austria, introdusse in Lombardia e –di qui nel Veneto ed in Italia- scritti, volumi, articoli, messaggi patriottici dei fuoriusciti Guerrazzi, Berchet, Rossetti, ecc.

   Arrestato dalla polizia austriaca a Maslianico, dopo un lungo processo fu giudicato colpevole di alto tradimento e, condannato a morte, fu impiccato a Venezia l’ 8 ott.1851.

 

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