DEGOLA via Eustachio Degola
TARGHE:
San Pier d’Arena – via - Eustachio Degola – teologo scrittore politico - 1761-1826
presso il sottopasso ferroviario
sulla facciata del Palazzo dei Tabacchi
QUARTIERE ANTICO: Mercato Ponte
Da Vinzoni, 1757. In blu via NDaste; rosso, via CRolando.In celeste ipotetica lunghezza di via RPieragostini; ed in giallo di via AScaniglia
N° IMMATRICOLAZIONE: 2767
da Pagano/1961
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 21680
UNITÀ URBANISTICA: 25 – SAN GAETANO
26 - SAMPIERDARENA
da Google Earth, 2007
CAP: 16151
PARROCCHIA: s.G.Bosco
STORIA: Nella carta vinzoniana del 1757 la strada appare tracciata, ma ovviamente senza nome, circondata da proprietà private: a nord di proprietà Domenico Spinola (i quali estesi est-ovest lievemente arcuati, arrivavano sino all’attuale via C.Rolando ove era la villa –attuale civ.8); ed a sud degli eredi Nicolò Pittaluga e del rev.do Stefano Ferrari.
Anche nella carta –presumo del Porro- di poco antecedente il 1781, la nostra strada corrisponde al tratto che era delimitato verso nord dai terreni delle stesse persone sopra.
Nel 1846 è chiamata “Strada Provinciale di Ponente”;
Nel 1857, un regio decreto deliberando i nomi delle strade della città, la definisce via san Cristoforo: con questo nome, era però iniziante da via san Martino (via C.Rolando) e comprendeva tutta l’attuale via AScaniglia, via E.Degola e -proseguendo verso ponente- anche l’attuale via Pieragostini, sino al ponte.
Nel dic.1869 l’ingegnere capo dell’ufficio tecnico della Provincia, scrisse al Sindaco segnalando che nei giorni piovosi, ”trovasi talmente ingombra di fanghiglia da rendersi alquanto disagevole il transito che senza interruzione vi si esercita per la riviera occidentale …le speciali condizioni di giacitura ed altimetria di quel tratto di strada, esigono cure speciali… ”; nel gen.1870, ancora in attesa di una risposta, si andò a precisare che la strada non è di competenza del governo né della provincia (ma del Comune di SPd’Arena, perché veniva considerata “strada provinciale di ponente” solo da oltre la sponda destra del torrente).
foto risalente alla prima decade del 1900. Riproduce l’”orto floro botanico”
di Carlo Camerano, con negozio anche in via A.Saffi (via C.Rolando)
Dopo la guerra del 1915-18, divenne via Cesare Battisti, di 4.a categoria, sempre uguali i due limiti: da via A.Saffi (via C.Rolando) al ponte; e tale era ancora nel 1933.
Con delibera del podestà del 19 agosto 1935, via Cesare Battisti fu ‘spezzettata’ e quindi non più con un nome globale ma via A. Scaniglia il primo tratto, via E. Degola per il tratto che ora trattiamo; dalla Crociera al ponte, divenne via Monte Corno (poi dopo ancora, via Pieragostini, dal 1953).
Di questa frammentazione per lungo tempo rimane unita la progressione numerica dei civici: e lo stesso vale dopo le varie demolizioni, infatti gli unici civici di via E.Degola, posti a mare della strada in una rientranza, sono ancora il 10 e 12 dirimpettai. Curiosa nella rientranza per accedere a questi civici, l’esistenza all’inizio di essa di grosse pietre di pavimentazione stradale, orientate in curva per far entrare i carri nel capannone posto a ponente - ora occupato da un artigiano che si interessa di sospensioni di auto e camion - e che evidentemente aveva l’ingresso –ora murato - in questa rientranza e non sulla via principale che, a quei tempi, essendo la strada più stretta, era di conseguenza più lontana.
Subito prima della seconda grande guerra, dal Pagano 1940 si rileva “da via M.Fascisti a via Pacinotti”; con civici neri= al civ. 2 i Carabinieri reali; al 3, Deposito generi di Monopolio e la r. Guardia di Finanza; al 14 Perinotto sorelle, fiori artificiali; al 16 s.a. f.lli Feltrinelli legna; 20, dopolavoro ferroviario. E civici rossi= 4r Dopolavoro Ferrov. bar ristorante; con commercianti uno per tipo: mercerie, foraggi, formaggi, metalli, elettricista, calzolaio, bottiglier., friggitoria, parrucchiere e osteria.
Nel piano regolatore generale approvato nel marzo 1956, fu previsto e poi attuato l’allargamento a 20 m del sottopassaggio ferroviario di via Degola, in due fornici paralleli ed ambedue a senso unico ovviamente verso il ponente. Il traffico, proveniente da via Cantore, all’incrocio prima del sottopasso (appartiene a via P.Reti) è fonte di accentuato intralcio alla snellezza della circolazione stradale.
Sino al 1960 circa, era decisamente più stretta rispetto oggi, fiancheggiata sul lato mare da case operaie (rettangolari, che offrivano sulla strada il lato più stretto) e da baracche di officine e forse orti di proprietà private. Di esse, alcune case andarono parzialmente distrutte dai bombardamenti che miravano alla ferrovia, favorendo il posteriore allargamento dell’asse viario.
Nel 1963-4 avvenne il raddoppio della carreggiata sotto il tunnel iniziale, corrispondendo il Comune anche una certa somma alle Ferrovie. Seguì da parte del Comune l’acquisto di un magazzino con cortile e di alcuni immobili (tutti della sig.ra Clorinda Mascardi) col fine dell’allargamento della via E.Degola alla dimensione odierna.
Nel 1969 viene segnalato un transito di 2250 veicoli (nelle ore tra le 7 e le 21)
Nel gennaio 1989 si parlò dell’insediamento del progetto di un centro commerciale (non supermercato) di 9mila mq con ristrutturazione del dopolavoro, dei servizi, della ferrovia e suoi passaggi pedonali (solo questi ultimi realizzati). Invece è subentrato un supermercato Basko privato.
Nel gen.1991 si dava ‘quasi certo’ la costruzione di un grosso parcheggio anche interrato da 950 posti auto nella strada così vicina alla stazione; con l’o.k. anche da Roma. Ma dopo oltre dieci anni tutto tace.
STRUTTURA: senso unico verso ponente, da via P.Reti a via Pieragostini-largo Jursè, iniziante col sottopasso ferroviario.
È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera
Inizia con il sottopassaggio rispetto la ferrovia che sino al 1960 aveva un solo fornice ad angolazione che, si disse, fosse stata progettata nel pensiero di creare una strada diritta con via A.Cantore (1935) demolendo le costruzioni che prospettano nella linea; appare più probabile sia legata alle più antiche strutture che fanno da fondamenta alla stazione ferroviaria (qualcuno ha accennato alla possibilità che la massicciata ferroviaria abbia coperto una antica abbazia, considerati i vuoti esistenti alla base di essa; il che è assai improbabile, anzi decisamente improponibile).
L’inizio del sottopasso è zona che quando alluviona, essendo a conchetta, è la prima a riempirsi d’acqua bloccando tutto il traffico stradale. Anche a settembre/05, intense piogge hanno creato allagamenti della sede stradale. Non infrequente (una nel 2003; tre nel 2004) l’incastro di tir sotto la volta (che non supera i m.3,80), con non poche difficoltà a disincastrare il mezzo
CIVICI
2007= UU25=NERI = da 1 a 5
ROSSI = da 1r a 3r (compresi 3DE)
UU26= NERI = da 2 a 20 (mancano 6, 8, 14→18)
ROSSI = da 2r a 58r (mancano 6, 8, 12→24, 48→52)
Nel Pagano 1950 sono segnalate una osteria al 72r (di Giacobbe G.), il bar del Circolo Ricr.Ferrov al 20r; nessuna trattoria
In particolare, prima ancora del 1960 da dopo il voltino i civv. pari andavano dal 2 al 22:
===civv. 1, 3, 5 sono nel lungo e massiccio edificio dei tabacchi: in custodia della Guardia di Finanza come deposito dei generi del Monopolio. In particolare, i civv.3D e 3E furono assegnati nel 1998.
Al civ.5 il magazzino tabacchi greggi. Nel complesso la strada a destra andando verso ponente è tutta fiancheggiata dall’ unico e lungo manufatto detto “Palazzo dei Tabacchi” oppure ‘deposito tabacchi del Monopolio di stato’, ristrutturato negli anni 1990. Di struttura massiccia, con pietre a muraglione e base allargata -come un fortilizio-, vi vengono depositati tutti i valori del monopolio, soprattutto i tabacchi che arrivano direttamente per ferrovia con binari sino all’interno; sorvegliato da agenti della Guardia di Finanza e televisioni a circuito interno.
Appare antichissimo, ma fu invece finito di essere costruito nel 1854 (infatti in una carta del 1846 non c’è ancora. Favretto scrive che “nel 1860 (nb=contrasta la data con quella sopra) Luigi Balleydier sottolineò in Consiglio Comunale quale grande occasione per lo sviluppo della città potrebbe divenire la fabbrica, sia per l’opportunità di lavoro per almeno mille addetti, sia per la presenza dei funzionari statali che l’avrebbero diretta. Davanti a tali prospettive, l’amministrazione decise di provvedere ad un proprio progetto edilizio, individuando l’area sottostante la stazione ferroviaria, che in seguito sarà sostituita dall’area situata più a nord”.
In occasione, il regio erario provvide anche ad allargare la strada definita ‘un vico tortuoso tra alti muri di cinta agli orti laterali, facendola arrivare a 8,5 metri; a fornirla sul lato a tramontana di apposito ‘capievole acquidotto coperto da vôlto in mattoni …e in rilievo un marciapiede della larghezza di metri 1,1 formato in ciotoli contenuti esternamente da una continua fascia in petra da taglio della Spezia ..come da offrire due difesi sentieri selciati ai pedoni …per il lato di riscontro è praticata una cunetta selciata…e apposti n° 16 robusti paracarri di forma cilindrica obliqua in pietra della Spezia tanto da impedire ai carri il passo sul vôlto dell’acquedotto…’ . Altrove viene citato che nel 1864 i velieri liguri avevano scaricato sulla spiaggia cittadina-ancora allora totalmente indipendente dal movimento dentro il porto di Genova- oltre 7500 tonnellate di tabacco greggio, da essere lavorato nella regia fabbrica).
Nel 1933 (quando la strada era ancora via C.Battisti), al civ. 9 di allora c’era una brigata stanziale della tenenza sampierdarenese della GdFinanza; all’ 11 il deposito generi del Monopolio (tabacchi); ed al 13 il deposito tabacchi greggi e tè.
Nel Pagano 1950 al civ. 5 è la sede del ‘Magazzino Tabacchi Greggi’
Nel 1998 la struttura divenne degradata e precaria: caduta di calcinacci, deposito ‘vuoto’ o pressoché inutilizzato(lasciando abbandonati 800 mq di superficie coperta e circa 9mila in totale).
Da anni coloro che ivi lavoravano erano stati trasferiti a quello di Sestri; era rimasto in funzione un po’ di spazio per la distribuzione in loco, poi anche quella cessò. Praticamente è da anni lasciato al suo destino, come un barattolo vuoto da buttare’. Infatti erano già trent’anni che le lavoratrici erano state trasferite (le famose sigaraie, la cui professionalità si trasmetteva di generazione in generazione ma ora ormai sostituite da macchinari; a quei tempi erano capaci di lavorare a mano le foglie, producendo fino a 800 sigari al giorno), e da dieci inutilizzato (ovvio il confronto con il palazzo del sale, pure lui demaniale). Questo venne ristrutturato e rimesso a nuovo, con una spesa preventivata di 10 miliardi, dalla impresa toscana Pontello; furono iniziati i lavori di ripristino dopo il 1990. Entrato nelle mire della Regione negli anni 2000, per farne la sede della ASL3 Genovese o addirittura dell’ospedale ‘di vallata’ valido per tutte le delegazioni della val Polcevera, compreso quelle di ponente (Sestri e Voltri); i tempi politici sono enormi (e le spese previste si alzano esponenzialmente). Nel lug.2011, con un investimento previsto di 17,2 milioni di euro (più 2 di notaio) si riprospetta farlo diventare il ‘quartiere generale’ della Asl: si apprende che l’attuale proprietaria dell’immobile è la “Quadrifoglio Genova” società del gruppo Fintecna (assieme al cotonificio De Ferrari). Si prevedono posteggi per cento auto a piano terra, più ambulatori di medicina legale, uffici vari per 320 dipendenti, un asilo nido aziendale per trenta bimbi; oltre l’utilizzo dell’area esterna ora occupata da binari.
===civ.2: Vedi la foto sopra, degli anni 1910, relativa ad un “orto floro botanico” di Carlo Camerano, non descritto sui Pagano.
Nel 1940 c’erano i Carabinieri reali; nel 1957 fu assegnato a costruzione più interna, di proprietà delle FFSS. Provvisoriamente sulla porta di un residuato del vecchio edificio fu applicato 2A nel 1957, ma il tutto fu soppresso nel 1961.
===civ.4: assieme al 4A fu demolito nel 1962.
Il numero civico fu riassegnato nel 1963 a porta che era senza numero (anche se il Pagano/50 scrive che era il 20r: poco probabile essendo all’inizio della via e non alla fine), e che corrisponde al Circolo ricreativo ferroviario o altrimenti detto ‘dopolavoro ferroviario’ (nato nel 1938, in cemento armato, ovviamente di proprietà delle FF.SS. collegato tramite un sottopasso ferroviario, con via S.Dondero. Aveva annesso un bar-ristorante).
Negli anni postbellici fu trasformato in sala cinematografica, chiamato brevemente ‘Ferroviario’, di oltre 300 posti a sedere e proiezione di film “normali”.
Rimodernato, negli anni ‘87 divenne ‘ABC’ per cine-forum gestito dall’impresa Razzetta Palmieri. Classificato di IV categoria, aveva un palcoscenico (senza pedana ma con boccascena, buca per suggeritore, quinte, attrezzatura per impianto di scene e locali annessi per attori). Aveva 309 posti dei quali 269 in platea e gli altri in galleria. Piastrellato per terra; munito di un impianto acustico monofonico, illuminazione al neon, aspiratori d’aria essendo ancora consentito fumare in sala, e poltroncine in legno con imbottitura.
(anche la palestra di via Porro, fa parte del circolo delle FF.SS.)
Dagli anni ’90 iniziarono le proiezioni di film “a luci rosse”; con l’espansione della TV nelle singole abitazioni, questi film furono gli unici ad attirare quel poco pubblico nei locali cinematografici.
Finché dal 1998 ridivenne ‘DLF’ (DopoLavoroFerroviario), sempe rimanendo di proprietà delle FF.SS., anche se, con la spesa -circa 1 miliardo di vecchie lire- sostenuta da privati capitanati dalla società genovese Admiral, e su disegni di Beppe Riboli, è stato trasformato in sala polifunzionale di intrattenimento, in particolare sala da ballo o discoteca, con un bar anche nell’ex galleria; pur conservando lo schermo, palcoscenico e proiettore. Negli anni vicino al 2000 gli impresari del DLF diedero avvio a concerti rock (63, in 18 mesi) cercando di portare la città nel circuito di questo tipo di musica con complessi che attirano soprattutto i giovani, anche dalle regioni limitrofe: furono bloccati dal Comune per inquinamento acustico (avvenivano di notte, dalle ore 22 alle 06).
Non conosciamo i passaggi ma è dagli anni 2000 è occupato dal Crazy Bull, locale per concerti dal vivo
==civ.6: era un lungo unico edificio rettangolare. Fu demolito nel 1961-2
==civ. 7 : nel 1959 fu trasferito al neonato largo E.Jursè
===civ.8-10 : un unico palazzo, rettangolare come il 6, diviso in due scale. La metà palazzo verso la strada, corrispondente al civ.8 fu distrutta da una bomba: rimase per 15 anni il fianco sventrato finché fu restaurato salvando il civ. 10 che esiste tutt’ora.
==civ. 12r vi era un negozio di commestibili della coop.ferrovieri
Ancora nel 2005, da questo civico a ponente, si riscontrava solo civv. rossi: in due grossi capannoni affiancati col tetto spiovente ad un unico piano: ex civ.50r=officina balestre; ex-52r=officina per auto e camion; poi ex-54r-56r=Coop.Basko; e dal 58r al 62r vuoti
==civ. 12 negli anni ’50 vi risiedeva la ditta Vincenzo Parodi, fondata nel 1890, di N. & A. Parodi (con logo uno scudo, con in alto la scritta “NAP.”)
==civ. 14 era a forma di palazzina. Fu demolita totalmente nel ’61-2
Si descrive in punto non precisato della strada esserci stato un edificio abitativo, e presumo sia stato questo, di proprietà Remorino, eretto nel 1907 dall’arch. A.Petrozzani, con sulla facciata un grazioso arredamento liberty. Vi lavoravano le sorelle Perinotto nella produzione di fiori artificiali; il cui nome compare ancora nel 1950.
===civv. 16: ancora nel 1950 vi aveva una sede la filiale della spa f.lli Feltrinelli, industria e commercio dei legnami, che fu soppressa nel 1996. Allora il civico fu trasformato in civ.rosso
==civ 18, penultimo edificio della strada, messo prima di vico A di Bozzolo, fu demolito negli stessi anni degli altri.
== Viene descritto, di fronte ai tabacchi, esserci stati i magazzini della ‘soc. Solej Hebert & C’. Dal febbraio 1888 questa ‘vecchia ditta genovese’ produceva specchi non solo su scala regionale ma con sedi succursali sparse nella nazione (Mi, To, Fi, Ba, Pa, Na, Lecce) ed una a B.Ayres. Nel 1890 con un intervento multiplo finanziario (raggiunse 200mila lire di capitale) divenne ‘Società vetraria di Sarzana’ con l’intento di trasferire lo stabilimento in quella sede. Nel 1912 fallì, nel marasma imprenditoriale del quinquennio anteguerra che coinvolse soprattutto le piccole industrie locali a vantaggio dei grandi trust e dei ‘fornitori’ dello stato. Nel 1940 subentrò Massone Giuseppe, rivenditiore di foraggi
===civv. 20r, 22r erano nell’ultimo palazzo della via, dopo l’incrocio con vico A.di Bozzolo e collocato dove ora sono dei giardinetti.
Ai primi del 2007 è stata fatta domanda al Consiglio di Circoscrizione di occupazione del civ.20 quale sala di culto.
visti dalla ferrovia, il retro a mare,
delle due ultime costruzioni di v.Degola
Un grosso riquadro di lato all’ingresso segnala «Chiesa cristiana evangelica “delle Assemblee di Dio” in Italia»; un altro appeso, porta uno stemma con punta in alto e, nella parte superiore la scritta ADI, nel centro un libro aperto con la scritta 2tutto l’evangelo”.
Questa aggregazione religiosa si chiama ‘Pentecostale’ perché, pur appartenendo alla riforma protestante anglosassone, ha come varietà una maggiore osservanza -ispirata dal Vangelo laddove è citato –ed a cui vuole rifarsi- il battesimo degli Apostoli per immersione praticato nei giorni di pentecoste. Proviene dal sud Italia dal 1946, ed iniziò a meglio organizzarsi nel ’49 aprendo una sede in san Benigno gestiti da Francesco Testa (1899-1988). Nel 1951 succedette Eugenio Palma, originario degli USA, al quale seguì nel 1955 il romano Paolo Arcangeli che trasferì la sede nel palazzo del Sailor’s Rest di proprietà della chiesa scozzese. Nel 1975 ca la chiesa si trasferì in via Cassini 5r, occupando una ex-officina; e là restorono per trent’anni finché dal 2005 sono inseriti in via Degola.
Numerosi erano i negozi e le officine aperti sul lato mare, oggi -i primi- tutti scomparsi. Si ricordano una solita osteria, parrucchiere, friggitoria, latteria, cartoleria, fruttivendolo, falegname, calzolaio e parrucchiere; al 60r c’era un ‘Consorzio Industrie Fiammiferi’ (gestito dalla regia GdFinanza; l’ufficio vendite era in esercizio ancora nel 1950); al 30 l’OEMA riparazioni ascensori.
DEDICATA al sacerdote sampierdarenese nato il 29 (il Massobrio dice il 20) sett.1761 da Giovanni Pietro qualificato ‘borghese mercantile’. Con i nomi di Eustachio, Antonio, Emanuele, Giuseppe, Maria (Massobrio dice nobile, di origine spagnola; che comunque si estinse nei primi del 1900, essendo gli eredi senza prole). Ebbe due fratelli che si dedicarono al commercio.
Compì gli studi con facilità, essendo di spiccata intelligenza e critica
1784 Divenne diacono a 23 anni; ed ottenne dalla s.Sede la licenza a leggere libri proibiti, o comunque contrari ai dogmi della fede.
1785; a 24 anni, divenne sacerdote. (si laurerà anche in teologia a Pisa a 35 anni).
1787 -26enne- Accettò l’ideologia giansenista seguendo le lezioni dello scolopo GB Molinelli, maestro di tale dottrina religiosa anticurialista ed antigesuitica (dottrina nata da studi di Giansenio Cornelio (Jansen Cornelis, 1585-1638, teologo olandese, vescovo di Ypres nel 1635 nella abbazia di Port Royal; per primo teorizzò una dottrina radicale, antigesuitica e di estremo rigore dell’insegnamento di s.Agostino sulla Grazia e sulla vita morale.
Fugacemente iniziata nel seicento con la pubblicazione postuma dei suoi scritti (Augustinus,1640), questa teoria fece molto scalpore del XVII secolo, ma prontamente condannata dalla Chiesa. Secondo Giansenio, la Grazia doveva portare la Chiesa alla purezza evangelica, slegandola sia dai beni terreni –ricchezze, possedimenti terrieri, armigeri- e sia dalla ferrea gerarchia in atto. Tutta la tradizione plurisecolare che aveva creato attorno ai vangeli una venerabile e complessa struttura (infallibilità del papa e suo primato sui vescovi), doveva tornare azzerata alla povertà e semplicità iniziale.
Con la rivoluzione francese, la teoria giansenista riaffiorò pubblicamente, e dai suoi principi fu che poi il Governo Democratico francese passasse al sequestro e spoliazione di tutte le chiese di tutti i loro beni, non fu che l’applicazione distorta ed interessata del pensiero; gli ori e gli argenti divennero patrimonio della nazione (furono restituiti da Napoleone nel 1804 all’ arcivescovo mons Giuseppe Spina, lo stesso che l’anno dopo a Milano offrì l’annessione della Liguria all’Impero; il catino del santo Graal conservato in san Lorenzo fu reso dai soldati russi subentrati ai francesi, molto dopo e rotto). L’idea influenzò e catturò grandi pensatori come Pascal e lo stesso Manzoni: quest’ultimo scelse il Nostro come confessore, però poi decise riconvertirsi totalmente e ferventemente al cattolicesimo tradizionale.
A Pistoia il vescovo Scipione DeRicci (iniziò a porre in atto nel 1786 tali riforme con l’aiuto del suo Stato, che in un sinodo cercò di dar vita ad una chiesa giansenista nazionale); e parimenti a Noli il vescovo Benedetto Solari (divenne il migliore amico del Degola e lo instrado alla cultura della chiesa francese); ed a Pisa Marcello del Mare (lo introdusse all’Università ed alla laurea); non ultimo all’estero la chiesa di Utrecht e l’abbé Henry Grégoire (con lui nel 1801 partecipò al 2° concilio della Chiesa di Francia, divenendo personaggio di spicco colmato di onori; e con lui viaggiò percorrendo la Germania, Belgio, Olanda) tutti si trovarono in perfetto accordo su questa corrente teologico-spirituale, favoriti dalla rivoluzione francese e dalla ventata di ‘liberi tutti’ che -abbattuta la antica repubblica aristocratica-, aprì lentamente la strada alla nuova repubblica borghese.
Quindi, la tesi giansenista francese, alla quale aderirono fior fiore dei filosofi di allora, perdurava sottotono -come la brace del fuoco- e richiese alla fine la drastica posizione della Chiesa che portò il Degola alla sconfitta; infatti fu troncata dalla bolla papale di Clemente XI (‘Unigenitus’; – è il nome di un’altra bolla papale, già emanata da Clemente VI nel 1343, però per indire un giubileo di sette anni dopo,) datata 8 settembre 1713 e di poco seguente la distruzione -1709- della abbazia francese ad opera di Luigi XIV.
Il Nostro acquisì -per le sue capacità- il riconoscimento di capo guida religioso in Liguria.
Il suo apostolato riuscì a influenzare l’arte sacra con tendenze che se prma erano sopite, ora diventano palesi nell’interpretazione della Via Crucis e del culto del Sacro Cuore.
Il 1792, dopo aver tanto ed a lungo lavorato dietro le quinte fu l’anno in cui si giunse ad un primo scontro aperto con il clero tradizionale legato all’arcivescovo Giovanni Lercari, ai gesuiti, a Roma in genere. Avversario diretto, oltre l’arcivescovo era GB Lambruschini, acceso antigiansenista, filogesuita, professore di teologia nel seminario: sotto pressione del Degola, fu allontanato e sostituito con Stefano deGregori; ma l’arciv. Lercari, capita la manovra, allontanò anche questi e riportò la bilancia a suo favore nominando Bartolomeo Rivara
Nel 1793, in un tentativo di riportare il Degola sulla strada tradizionale, gli fu offerta la guida della parrocchia di Voltri, ma lui rifiutò l’incarico. Pur rimanendo genericamente inglobato nel sistema, si trovò pericolosamente ai margini dell’eresia; infatti in numerosi scritti, dimostrandosi interessato alla cultura e riformismo francese, propose modifiche nell’organizzazione della Chiesa: ostilità al potere temporale, una maggiore indipendenza da Roma specie sulle dispense matrimoniali e sui conferimenti di benefici od ordini sacri, quali elezione popolare dei parroci e dei vescovi locali; il pensiero di reintrodurre nelle cerimonie l’antica liturgia dell’ordine dei penitenti; nonché una costituzione ‘più civile’ per il clero, dimostrandosi ostile al potere temporale del papa tacciato di antidemocratico: idee -pressoché tutte- che furono poste subito all’indice dall’autorità ecclesiastica.
Il 28 ago.1794 papa Pio VI pubblicò –contro il sinodo di Pistoia e contro le sue teorie- la bolla ‘Auctorem Fidei’. Essa riunì nello sdegno tutti i fedeli giansenisti sparsi nello ‘stivale’ ed inizialmente slegati l’uno con l’altro, contro quello che veniva definito un atto dispotico ed odiosissimo del papa ed a difesa della loro ‘verità crocifissa’; il Solari rifiutò la pubblicazione della bolla nel suo territorio. Comportò per il Nostro intensi contatti con ‘l’estero’ (come la chiesa giansenista di Utrecht ed olandese in genere, divenendone estremo difensore e propagandista al punto da essere scelto quale amministratore dei beni), che gli permisero poi di conseguire anche il dottorato in teologia all’università di Pisa (1796).
Determinante, in tutto queasto avvicendarsi, fu l’insediamento di un governo filo francese aveva portato distruzione delle antiche istituzioni (da oligarchici a democratici); possibilità di scrivere e pubblicare con discreta libertà anche su temi religiosi; nelle case delle persone più colte –assieme alla Repubblica Ligure- un nuovo fermento ed una novella fede politica più o meno totalmente svincolata dalla soggezione religiosa: rimanendo fondamentalmente repubblicani (e questo ancora dopo il 1815 alla restaurazione ed asservimento al regno sabaudo) proliferarono le varie deviazioni o sette: dei giansenisti, dei massoni, dei carbonari, della Giovine Italia; numerosi erano quelli che dall’ “albero della libertà” speravano potesse sorgere innanzi tutto un’Italia libera, e poi possibilmente unita. Il giansenismo del Degola si inserisce in questa ventata di rimodernamento, mostrando la possibile assimilazione e convivenza delle nuove istituzioni democratiche nel contesto della religione cristiana ponendosi al centro delle idee giacobino-illuministe da un lato e gesuitiche dall’altro, coniugando il vangelo con i principi repubblicani ed alleandolo con i concetti della ‘libertà’ e dell’’eguaglianza’.
Iniziando a scrivere con lo scopo di istruire sui diritti e sui doveri in un rapporto basato su eguaglianza e democrazia (a quei tempi concetti assolutamente inconcepibili), scrisse praticamente da solo -dal 17 giu 1797- degli “Annali politico-ecclesiastici”, limitandoli dal 5 genn.1798 al 7 dic. 1799 ad “Annali ecclesiastici”; genericamente rivolti alla popolazione -che però a quei tempi era generalmente analfabeta-, e partecipò alla ricca produzione giornalistica del tempo (in Genova, c’erano fin trenta testate; molte di esse gettarono le basi della attuale “libertà di stampa”).
Il 21 maggio Felice Morando ed il nobile Filippo Doria, accesi da idee giacobine e con coccarda tricolore, aprirono le ostilità ed il carcere imponendo cinque componenti nella Commissione straordinaria deputata a tutelare l’ordine; pronta una controrivoluzione che al posto della coccarda si pose un santino, si impadronì dell’Arsenale e in nome della pace commise stragi e violenze uccidendo anche il Doria; il 27 maggio Napoleone inviò un ultimatum al Senato, il quale cedette su tutti i punti: il 6 giugno successivo, la vecchia repubblica aristocratica ebbe così fine, aprendo l’era della ‘repubblica democratica’ (erezione degli alberi della libertà, abbattimento delle statue di Andrea e GioAndrea Doria; successivo tardivo aspro rimprovero di Napoleone), alle fiamme il ‘libro d’oro’ della nobiltà e la portantina dogale, liberazione degli schiavi barbareschi, festa sacra con grande processione. Il 4 settembre 1797, contro questi rivoluzionari le cui riforme apparvero sostanzialmente contrarie alle idee religiose, scoppiò in valpolcevera una più corposa controrivolta del clero delle parrocchie di campagna e dei contadini, che al grido di “viva Maria” si schierarono contro i filo-francesi (il grido, era stato già usato contro gli austriaci, cacciati dal Balilla); dapprima i popolani furono affrontati pacificamente dall’arcivescovo, ma insistendo, il 6 sett ebbero di fronte i soldati del gen.Duphot chiamato dal governo locale (che partendo dal colle di san Benigno fece una carneficina: vinse, sbaragliò e braccò gli insorti controrivoluzionari causando cento vittime tra morti e feriti).
Il Degola, favorito da questi eventi, insistette adoperandosi attivamente anche in politica esprimendo -negli annali su descritti- pareri, critiche e progetti sulla neonata Repubblica Ligure (1797-8), sperando essere favorito dai novelli giacobini con l’etichetta di democratico, nell’idea di una riforma ecclesiastica -a scapito soprattutto dei gesuiti-, nella fioritura di una chiesa giansenista nazionale, e nella presenza -nell’elenco dei commissari destinati a redigere la nuova Costituzione- di persone favorevoli alle sue idee.
Nel contempo, tramite le prediche, acculturava alla sua idea ed ai suoi principi democratici il popolo.
Ottenne infatti all’inizio del 1798 che il Consiglio dei Sessanta concedesse al Direttorio la autorizzazione ad allontanare dall’esercizio delle loro funzioni, o dalla residenza finanche con detenzione, tutti gli ecclesiastici che si rendessero sospetti, anche di sola indolenza; ed alla fine dello stesso anno che l’arcivescovo Lercari fosse trasferito a Novi, trovando così la strada spianata e lui pronto e libero di mettere in pratica la sua dottrina col favore del governo. Genova sarebbe divenuta la prima diocesi scismatica giansenista d’ Italia. Ma l’avvenimento non maturò, proprio nella fase culminante, nel momento in cui si doveva eleggere un giansenista al soglio arcivescovile cittadino; il clero genovese, malgrado la numerosa presenza giansenista, non si era fatto assorbire globalmente. Il candidato ad occupare l’incarico di futuro arcivescovo, il vicario Moscino, entrò in crisi e rinunciò proprio all’atto dell’insediamento.
Questo fallimento gettò in dissesto il programma del Degola (la prima bolla pontificia con la quale il papa Clemente XI promulgò l'avversità al giansenismo francese, è molto anteriore ai tempi del Degola essendo datata 8 settembre 1713 ed ha il nome 'Unigenitus' (eguale nome, di altra bolla che fu già emanata nel 1343 da Clemente VI per indire un giubileo per sette anni dopo). Essa diede adito a due contrapposti concetti religiosi, che perdurarono sopiti -come la brace del fuoco- per tutto un secolo; richiedendo alla fine la drastica posizione della Chiesa che portò il Degola alla sconfitta)
Il definitivo scrollone lo diede Napoleone che, insediatosi al potere ed esautorando il Direttorio, non trovò politicamente utile inimicarsi il Vaticano, anzi trovò necessario disfarsi degli ingombranti alleati: fece sospendere un Concilio dei giansenisti in cui avrebbero potuto ricuperare le forze internazionali e dettò una convenzione per cui nulla doveva essere fatto ”che fosse contrario alla cattolica religione”.
Così, dopo la caduta di Genova del 4 giu.1800, l’arcivescovo Giovanni Lercari riuscì a riottenere il sopravvento ed a cacciare il Degola deluso anche dai francesi che non avevano accolto le sue idee: malgrado il rientro delle truppe francesi in Genova, il giansenismo fu frustrato dall’accordo diplomatico tra Napoeone ed il Pontefice.
Nel 1801 andò (assieme a GiovanniA Bergancini, unici italiani a Parigi per un secondo congresso internazionale del clero costituzionale non francese), dove però venne di nuovo sopraffatto sia da un concomitante concordato tra Roma e Parigi (che decapità la mahggior parte delle autorità chiamate a dirigere il consesso), e sia dal rientro nel gregge papale dell’amico Scipione de’ Ricci che interruppe il ricco epistolario con il Nostro. Rimase nella capitale francese per 5 lunghi anni, alternando viaggi (in Inghilterra, Belgio, Olanda e Germania ove ebbe contatti con Goethe) per cercare di arginare la scissione e dispersione dei seguaci: collaborando a giornali, scrivendo intensamente, coltivando amicizie e stimolando alla conversione.
Un fugace ritorno a Genova avvenne in ottobre 1805, ma il card. G.Spina gli interdì la facoltà di celebrare e confessare (tale interdizione fu poi revocata); mentre il Governo si mostrò seccato dalla sua posizione contraria alla annessione della Liguria alla Francia.
Pertanto -1809- rientrò a Parigi con la scusa della partecipazione al centenario della distruzione della abbazia di Port Royal des Champs. Qui rimase otto mesi riprendendo contatti allentati e continuando l’opera missionaria ‘conquistando’ nuovi proseliti (tra essi, più famosi risultano la dama Adele de Sellon, futura madre del Cavour; la famiglia Mazzini, soprattutto la madre Maria, dibattuta tra la convinzione giansenista, la fede cattolica tradizionale, le nuove idee del figlio perseguitato ed esule e la figlia andata suora dalle Franzoniane. Ed anche Enrichetta Blondel (già calvinista: nel magg.1810 ella abiurò nella chiesa di St Séverin ricevendo dal Degola un memoriale di vita spirituale mirato a guidarne la vita), sua madre Giulia Beccaria (recuperandola da una avviata vita dissipata; fu poi seguita dal parroco canonico Luigi Tosi), ed infine il Manzoni stesso (sposo nel 1808 della Blondel. Conobbe il prete nel 1810 scegliendolo quale direttore spirituale attraverso visite ed anche fitta corrispondenza nella quale il Degola approvò la pubblicazione di «Osservazioni sulla morale cattolica». Ambedue i coniugi poi si riconvertirono al cattolicesimo, come descritto nel libro di Francesco Ruffini intitolato “La vita religiosa di A.Manzoni”).
Tornato a Genova, andò a risiedere nella sua casa a Sestri Ponente; seguì attivamente Ottavio Assarotti scolopo dedito a favorire del famoso Istituto dei Sordomuti (primo in Italia a protezione ed occupazione dei minorati. In questo Istituto collaborò, interessandosi ai nuovi metodi dell’educazione dei giovani e pbblicando un testo nel 1820), e nello scrivere il suo libro più importante: il “Catechismo dei Gesuiti” col quale si illudeva di stimolare il mondo cattolico e che invece passò pressoché inosservato. Il colpo finale avvenne nel 1814 quando l’ordine dei gesuiti, i suoi più acerrimi nemici, venne ripristinato.
Morì a Genova il 17 gennaio 1826, a 65 anni, nella piena e continua convinzione delle sue idee, senza riconciliazione con la Chiesa romana.
Numerose furono le sue traduzioni (pubblicate con lo pseudonimo Ireneo Filarete).
Di lui possiamo dire che anche se sconfitto nella sua missione fondamentale antipapale ed antigesuitica, fu promotore di un pensiero vincitore se si considera l’importanza non indifferente e decisiva del seme cattolico laico-liberale, per la nascita della Nazione riversato negli scritti del Manzoni, nell’educazione del Cavour e del Mazzini, nell’ideologia di tutti i personaggi che furono primi attori degli eventi dell’epoca.
Che il comune locale non abbia mai avuto affinità affettive con la Chiesa è riscontrabile nel costante comportamento strettamente e prettamente laico della sua amministrazione, cointeressandosi del sociale religioso solo in convivenza, ma rispettosamente a distanza. La scelta del cambio di titolazione alle strade deicate a dei santi, e della titolazione di altre ad un prete cattolico come don Daste e don Bosco potrebbe far pensare il contrario; invece aggrava il distacco e freddezza, anzi sembra una sfida, se si considera la qualità della fede professata dal Degola in netto contrasto con la chiesa di Roma.
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