COSCIA                                             piano della Coscia 

                                                           piazza della Coscia  

   

 da Vinzoni, 1757

 

 

Non è facile far comprendere come era la vera Coscia, quando adesso sul territorio c’è più nulla di quello che era. Forse, da nostalgico masochista, è meglio che, morto il territorio, muoia anche il nome; in fondo, è solo un nome. Ma nel tentativo estremo di non farne calpestare la memoria dai cementofili (dietro al quale ci sono soldi, e solo soldi), proviamo a scrivere testimonianza di quello che c’è stato, lasciando alle generazioni future un giudizio di lode o di spregio sulla generazione in atto che compie queste scelte in questo modo.

Unica traccia alla quale aggrapparsi, è un residuato di via De Marini.

Di essa e di antico, rimane quel tratto che da dopo il sottopasso dell’elicoidale procede diritto (non quindi quello attuale che scende in via P.Chiesa), passa sotto la Nuova Darsena e poi sopra le gallerie del Passo Nuovo e della Sanità,  e ora finisce in un piazzale privato quando anticamente arrivava alla Lanterna.

 


Nelle due foto sopra, l’angolo della Coscia nei primi anni del 1900

 

 


Ai lati della via De Marini c’erano, centodieci anni fa  i bagni Margherita con il tunnel del tram; e financora cinquanta anni fa delle case popolari, largo Lanterna, l’inizio di via Vittorio Emanuele II (della quale rimane via G.Buranello), eculissi del treno che tagliavano via Balleydier.  Ora si sta costruendo un nuovo grattacielo il quale ha, alla base sotto terra, kil ghiaino che costituiva la spiaggia dei bagnanti. Amen.

 

   

A) -foto degli anni 1930 senza elicoidale              B) -   e degli anni 1960

eguale nelle due foto, il terrazzo a punta nell’angolo del palazzo; davanti al quale era Largo Lanterna. Dal terrazzo verso destra, scorre via De Marini;  e verso sinistra:  nella foto A), via Vitt.Eman. con i binari;  divenuta via Chiusa in quella B), nella quale in basso a sin. si vede via P.Chiesa.

 

La zona (o Regione): Da  ridosso a ponente delle mura, dal mare ai piedi della collina, per largoe profondo tratto, era tutta ‘regione della Coscia’.

Non esisteva un confine preciso con altra zona confinante; era tutto il territorio a levante del borgo che aveva questo nome; ma si riesce ad intuire che fosse delimitabile: dalle mura alla Crosa Larga; a sua volta suddivisibile in tre sottorioni.

Da un documento delle ferrovie, nella stesura del progetto distinguono nella Coscia, ed successione, tre regioni o quartieri, separati da relativi torrenti: prima ad est la regione della Coscia vera e propria, antica →sino al torrente s.Bartolomeo; alla quale segue →regione della Catena (villa Spinola)→sino al fossato della crocetta di NS della Vista (oggi via alla Chiesa delle Grazie)→e infine la regione della crosa Larga (via palazzo della Fortezza).

Il quartiere: - il nome Coscia sembrerebbe antichissimo, tanto che qualcuno lo fa provenire dall’etrusco “osco” ovvero serpente (ma ai tempi degli etruschi, qui c’era nessuno), proviene appunto dalla naturale piega a 90° della costa, che dalla scogliera di Capo di Faro, apriva alla lunga spiaggia fino alla foce del torrente; essendo il punto di approdo più favorevole e quindi di migliore stabilizzazione delle imbarcazioni specialmente col vento di scirocco (sud-est).

I pastori e pescatori, senz’altro furono i  primi abitanti del luogo (è in atto la discussione se San Pier d’Arena ha origini romane avanti Cristo (come vantano Cornigliano, Pegli e Fegino) oppure medievali (disperse nei mille anni da Cristo in poi). La loro ‘còccina’ dialettale era riconoscibile perché con inflessione particolare, si fa dipendere dall’imbastardimento con “foresti” divenuti stanziali rispetto alla città di Genova, già da allora  chiusa nelle sue mura, vicina ma anche lontana ed a se stante.

Poi, direttamente collegati con i pescatori, tipici abitanti della zona furono i Minolli (vedi alla piazza omonima).

Come per tutta la storia del borgo, i primi documenti scritti risalgono all’inizio dell’anno  1100, quando già il borgo era organizzato a Comune, retto da uno o più  Consoli (vedi via Alberto di Bozzolo) e difeso da più compagnie di soldati  (una per quartiere), posti sulla costa con specifici turni di guardia e tratti di spiaggia da controllare “ Homines Sancti Petri Arene, qui soliti sunt facere guardiam, debent”. Il borgo allora era diviso in tre  quartieri  a levante, era appunto la Coscia. Al centro il Mercato o Comune (in alcune carte detto anche Galliano, probabile da un nome di famiglia importante; ma altrettanto descritta come tipica, la zona Galliano – sempre secondaria al nome di un possidente - posta al confine tra noi e Rivarolo)- fino al torrente; ed all’interno, quello di san Martino relativo alla Pieve del borgo.

Più tardi comparvero pure Promontorio ed il Canto.

Quando gli abitanti erano pochi, bastava un solo toponimo per catterizzare un punto del borgo dall’altro. Man mano che crescevano in numero, i punti di riferimento ovviamente dovettero aumentare divenendo così nel tempo sempre più puntualizzanti e capillari. Fino all’anno 1900 con l’obbligo di apporre le targhe.

Queste frazioni erano piccoli agglomerati di case abitate dai comuni cittadini (poche migliaia in tutto il borgo), non certamente  uniti come ora, ma  separati da ampi spazi – anche se coltivati- e che poi dopo il 1500 i più vennero occupati da ville e loro giardini.

Ciascun quartiere, crescendo di abitanti e case, verrà poi nel tempo suddiviso in frazioni, conosciute popolarmente per  uso locale - a quei tempi in cui non esistevano targhe stradali e quindi si indicavano i posti con dei nomi di riferimento - nate nei diversi tempi a seconda di cosa c’era nel luogo di importante e riconoscibile da tutti: così Capo di Faro (alla Lanterna); il Quartieretto (a monte della Coscia); i Carrubei (da carrùba, dolce bacello con cui cibavano cavalli e muli, i cui depositi erano nei  caröggi  al mare vicino alla chiesa delle Grazie); il Labirinto (a  mare di piazza Barabino); la Fiumara (alla foce del Polcevera, o anche sciummæa con vicino il “Lazzaretto”); il Campasso  (dove ancora adesso); la Crociera (all’incrocio tra  via Pacinotti e via Degola);  i Basuli (da via san Bartolomeo del Fossato); le Fornaci (ove è via Rayper);  la Palmetta (tutta la vallata a ponente del Belvedere, sino al Polcevera); il Castello (o  Commune);  Belvedere ( dove ancora adesso);  Pieve (dalla chiesa prima di san Martino, poi della Cella); piazza d’Armi (da via Porro);  Cinixiano ( o Comixiano, nella zona Fiumara); la Crosa Larga (dal palazzo della Fortezza); un Borcagero (non definito dov’era, ma alla marina -per la funzione-).

   Quindi nel 1100, il quartiere Coscia, dal punto a levante detto “capo di Faro” andava a confinare verso ponente con la parte centrale del borgo, il Mercato (a sua volta comprendente il Comune e la chiesa della Cella).

   Il quartiere divenne un poco più affollato nel 1500, con la comparsa di ville signorili    (più belle e sontuose fra tutte , quella dei DeNegri e dei Pallavicini , ambedue distrutte) supponibili dalla presenza di alcune chiesuole che ovviamente venivano erette dove maggiore poteva essere l’affluenza.

   Sino alla erezione dell’ultima cerchia muraria del 1630, una mulattiera collegava raggirando il faro, la zona della Coscia con quella della Chiappella (DiNegro) al di là del colle. In quei tempi, l’angolo della spiaggia – da cui il nome della zona  - aveva un minuscolo (50 m circa) promontorio naturale aggettato verso il largo che favoriva l’attracco delle barche anche di più grosso tonnellaggio; la caletta corrispondente, era chiamata  - non so perché - ‘Calandrino’.

   Nella prima metà del 1700, il Vinzoni registrando i punti di guardia  nel programma del Magistrato della Sanità, per organizzare una sorveglianza sul territorio contro la peste (capillari dispositivi di vigilanza di approdi, e  registrazione di tutto ciò che comunque entrava nella Repubblica), scrive che  alla Coscia c’era una  “casetta di matteria posta a mano sinistra sul Cantone nel sboccar della strada per cui dalla Lanterna si va alla Spiaggia di S.Pier d’ Arena . Guardie n.5 giorno e notte“.  Erano in tutto 80 guardie e 32 scelti). Dalla carta del 1757, si leggono i nomi dei proprietari dei terreni del Piano della Coscia: scendendo dalla Lanterna e dalla parte a mare, i primi -con sole case- erano del mag.co Stefano Lomellini q.Carlo; la piazza della Coscia li separava dal terreno  del mag.co Giuseppe De Franchi (con villa e torre; e con  - a ponente- quelli di nuovo dello stesso Stefano Lomellini). Essa, a nord, era chiusa dall’appezzamento di Giacomo Rovegno, ed a sud –sul mare- da una casa il cui proprietario era l’ecc.mo....Centurione.

Il 29 maggio 1817 il nuovo sindaco –allora chiamato ‘capo anziano’- in sostituzione del ‘maire’ alla francese, decretò comunale il “piano detto della Coscia, (identificandolo) con il piccolo vicolo in testa del medesimo, dalla strada Reale Superiore che è strada provinciale”

In una carta del 1841, ancora esisteva la piazza affacciata sul mare e fulcro dell’intero quartiere. Appare delimitata a ponente  –dove era la proprietà De Franchi, ora del marchese DeNegri GianCarlo (la cui villa era in via DeMarini, e l’ampio appezzamento di terreno retrostante era ad orto e vigneti di prima qualità) ; ed a ponente da proprietà private non precisate (nella parte a mare, appaiono alcune case, di proprietà dei fratelli Favaro) .

La piazza doveva essere assai vasta e lievemente degradante verso il mare poiché ‘ piano della Coscia‘ viene usato per indicare la parte più bassa della piazza stessa.

 

1° STRAVOLGIMENTO come tutta la zona, leggibile in altre carte, pochi anni dopo,  appare totalmente stravolta da linee ferroviarie, depositi e case.

Infatti, poco dopo la metà del 1800  leggiamo che il quartiere rappresentava, il punto di concentramento di tutto il traffico da e per Genova: da zona a ville, orti e giardini che confinavano a ponente con la “regione della Catena” (dalla quale era separata dal torrente proveniente dal fossato di san Bartolomeo) divenendo  millimetricamente sfruttato con insediamenti abitativi e lavorativi sempre più ravvicinati (troncato a metà dalla linea ferroviaria; una cava; depositi: del tram, di Carpaneto, di Capello; la fabbrica dei fratelli Balleydier; tante case operaie).

Dalla parte a levante, verso Genova, il colle di san Benigno era a dorso di mulo degradante e, sul fianco e sopra, poterono costruirvi prima l’abbazia e poi case e caserme; a ponente invece etto colle era ripidamente scosceso, quasi a taglio di coltello, a diretto ridosso incombente sull’abitato. Difficile da ovest aprirvi sentieri e ancor più strade,  essendo dura roccia, e poté essere superato solo con gallerie: dapprima quelle ferroviarie (sempre nell’anno 1850), e poi quella del tramway  (vedi sopra,  foto A;  a fine secolo ne furono aperte in gran numero, poste su un piani diversi distanziati in altezza ciascuno oltre 11 m. rispetto le prime, facendo quindi adeguare la strada).

 


progetto ferroviario 1850 – in giallo, la Coscia; in fucsia via De Marini; in rosso l’industria metalmeccanica; in celeste villa De Franchi con parco; in verde la chiesuola di via De Marini


                                                                          

in verde a destra, la piazza della Coscia; in giallo via De Marini; in rosso villa De Franchi; in verde chiesuola; in celeste villa Pallavicini e suo parco


 

 

Le strade longitudinali che percorrono il quartiere, sono diventate sempre più numerose in rapporto alla maturazione sociale ed edilizia della città, ma corrispondono altrettanto alla distruzione dell’ambiente tradizionale: dal tranquillo ed incantevole borgo (tipo Boccadasse) è avvenuta negli ultimi centocinquant’anni  una continua progressiva evoluzione che se dapprima ha più o meno rispettato l’ambiente, ad un certo punto ha iniziato a travolgerlo fino a completamente distruggerlo e rinnovarlo ‘moderno’ ma assurdamente inquinato.

In tutte le carte più antiche, le strade erano rappresentate da due file di case, parallele al mare che solo nel  regio decreto del 1857 acquistano un nome preciso,  venendo chiamate la prima ‘strada interna provinciale’ o  ‘strada Superiore’ (corrispondente a via De Marini (della lunga strada di primaria importanza,  è rimasto solo un moncone, rivalutato solo dalla presenza del WTC: anticamente, da Largo Lanterna, passava prima sotto l’elicoidale e poi davanti a villa De Franchi, al Toro, alla Cappelletta, al portale barocco che iniziava il viale verso la maestosa villa Pallavicini. Tutto è stato demolito senza tanti scrupoli - e via via lo stesso per tante altre ville – lasciando poche intatte ed altrettanto fatiscenti); la seconda ‘strada della Marina’ o ‘strada reale da Genova a Torino’ corrispondente a via San Pier d’Arena (con la villa Pallavicini-Gardino ed i famosi bagni sulla spiaggia); poi quella intermedia corrispondente a via Vittorio Emanuele (vedi foto A); oggi piazza N.Barabino e via G.Buranello) iniziata alla fine degli anni 1840 ed aperta pochi anni dopo appena finito il viadotto, nel 1853, affiancata alla ferrovia che senza scrupoli tagliò trasversalmente tutti i giardini ed orti delle ville snaturando tutto in nome della pubblica utilità; a fine secolo la civiltà portò il tram-way, e con esso un’altra galleria; seguirono la via di Francia del 1929 (adesso in angolo del WTC);  la via A.Cantore negli anni 30-5 (con l’autostrada); e per ultimo il ‘lungomare’ che di quel nome ha nulla se non un prendingiro (perché non costeggia il mare; anzi… vi si sovrappone).

   È del 1871 il racconto del naufragio del brigantino camoglino ‘Rachelina’: partito dal porto, doveva recarsi verso il mar Nero (probabilmente per grano): perso il controllo alle tre di notte causa violenta bufera, fu gettato sugli scogli della Coscia; due marinai nativi del luogo (Battista Bertorello e Gerolamo Pittaluga), richiamati dalla campana e nonostante il rischio di pressoché sicura morte riuscirono invece a portare un cavo tramite il quale gli 8 marinai si ‘rifilarono’ fino a terra, compreso il capitano Fortunato Olivari ferito ad una gamba ed alla testa. I due prodi furono decorati con medaglia di bronzo al valore civile.

Nel 1899 il progetto di via di Francia, iniziante dall’incrocio di via Galeazzo Alessi con via Vittorio Emanuele, faceva terminare il percorso davanti all’ostacolo di san Benigno, ma dentro la Cava della Coscia, a quella data già abbandonata.

     Riempiendo di costruzioni gli spazi intermedi, popolarmente nacque il bisogno di dividere il quartiere a sua volta con vari nomi rionali secondari.            Ufficialmente - a mie mani riferito solo fino agli anni 1920 - il quartiere era abitato prevalentemente da gente pratica, di poche parole, attiva, soggiogati al lavoro duro di fatica: veri genovesi, portuali, carbonai (carbunê), carrettieri, pescatori, artigiani e commercianti. Le donne non erano da meno (toste, laboriose, e salvo le solite eccezioni, serie casalinghe che accudivano la casa ed i figli gestendo le magre risorse che i mariti portavano dopo strenuo ed incerto lavoro.  Tuvo descrive la loro ribellione all’atto dell’arruolamento obbligatorio dei figli nella marina militare francese (cosa strana essendo il ruolo delle donne ancora estremamente secondario e marginale se non nullo nelle cose civili, politiche e militari) e molte furono imprigionate con rischio di gravi sanzioni penali, per fortuna risolto con numerosi giorni di carcere duro. Successe similare nel 1944 con i tedeschi e gli operai delle fabbriche ‘rapiti’ e spediti in Germania: esse reagirono anche se con un nulla di fatto trovandosi di fronte ad un evento già concluso.  Era suddiviso in quattro frazioni: la Cappelletta (oggi dalla Lanterna a via di Francia; allora sino poco oltre la chiesina sita in via De Marini (vedi) quasi davanti al Toro, dove si aprì l’ oleificio Costa ed ora troneggia l’ingresso del WTC. Il nome è antichissimo ed è prevedibile che come rione già così fosse chiamato molto prima del 1700); via Manin (attuale via D.Cassini con l’antica farmacia; la casa della Serafina a cui era stata dedicata l’antica canzone “o Baciccin vattene a cà te moe ta speta” ed il bar Tubino che poi diventò Montecucco); via P.Chiesa (allora via Galata, con la casa dei Carbonai, il Labirinto al limite di ponente del quartiere, le spaziose stalle ed i magazzini di Carpaneto, le case di via G.Alessi che nel loro intonaco conservavano le palle di cannone sparate a san Pier d’Arena dal generale Massena che voleva punire gli abitanti della Coscia perché avevano fatto scomparire un intero vettovagliamento destinato ai suoi soldati); i Carrubê (nelle vicinanze di piazza NBarabino, dove erano le stalle ed i depositi e rivendite del bacello dato per cibo ai cavalli: è un  frutto secco, energetico, dolciastro da masticare, non disprezzato dall’uomo specie dai bambini).

   La strada a cielo aperto, aggirante al Capo di Faro  per arrivare alla Chiappella - con interposta  una Porta con cancelli e ponte levatoio, verrà chiusa solo con l’apertura di via di Francia (1929). Ancora in quest’anno, in via DeMarini esisteva un grosso portale che dava ingresso alla villa Pallavicini detta ’la festa’, ora distrutta: un cancello apriva il percorso di un lungo viale che – passando sotto il viadotto ferroviario (vico Cibeo) - portava ad una maestosa villa del cinquecento. Con la via di Francia, scomparvero portale e cancello. Il residuo del viale fu chiamato – dice Miscosi - prima  ‘vico Chiuso Cybeo’, poi ‘vico Cibeo’.

  La stessa strada Demarini (così era scritta la prima targa in marmo), perno della località, ospitava la antica insegna dell’albergo ‘Tre Corone’ e l’angusta entrata della Trattoria del Toro; ma pare esistessero anche locande – forse con l’insegna fuori in ferro battuto, come usavasi nel sei-settecento - col nome di ‘Leon d’Oro’ o ‘Cavallo bianco’ o ‘Dei Tre Re’. Più che altro, per ospitare mercanti (di bestiame soprattutto perché, dicono alcuni ricercatori ma non lo documentano, il rifornimento di bovini da macello avveniva  con ultima stalla di sosta nella zona, prima di pasare la porta (vedi crosa dei Buoi). E vicino al grande faro, c’era Largo Lanterna, con le gallerie del tram, e dei treni, a diversa profondità.

 

2° STRAVOLGIMENTO  La ferrovia ed il porto, hanno iniziato l’una, e completato l’altro, l’opera di distruzione totale della vecchia San Pier d’Arena; ambedue decise da chi della Coscia non  importava alcunché, tant’è che han fatto e stanno facendo scomparire anche  il nome, divenuto “san Benigno” (il santo è senz’altro innocente!) con importanti progetti da centinaia di miliardi di lire (ma poi, altrettanti di euro).        

La Coscia è il quartiere più vicino a Genova; ciò malgrado era Genova stessa che più si avvicinava, più era lontana, sempre  al di là del colle o separata da alte mura, o - da città severa, alquanto egoista, superba e matrigna - abituata ad “usare” gli altri (più vicini o più lontani),   sempre favorendo nei secoli quello stacco pratico ed affettivo tra quello che c’era di qua, da quello al di là del colle e delle mura (ancora oggi a San Pier d’Arena – ma anche nel ponente tutto - non diciamo che’andiamo in centro’, ma ‘andiamo a Genova’, come fosse lontana chilometri e il che ha profondo significato ambiguo; la massa  di abitanti è sampdoriana, non solo perché la squadra è nata locale quanto anche un pochino per ripicca  e in contrapposizione al Genoa genovese ed ai suoi sostenitori, troppi con la puzza sotto il naso per antica nobiltà e scudetti; difficile che un genovese gradisca venire ad abitare qui: si sente “degradato”; gli antichi nobili avevano deliberatamente scelto il borgo a proprio vantaggio  abbellendo la zona con ville  e giardini sontuosi (l’Accinelli dice del borgo  :”il più sontuoso borgo di tutta l’Italia.  Una doppia fila di palazzi cinti da delitiose ville e da amenissimi boschi rendono il borgo capace di dar aggiato ricetto non solamente a quella moltitudine di nobili cittadini che vi villeggiano, ma a quasi tutti li sovrani del mondo che vi volessero fare un’assemblea), e poi con altrettanto sussiego - appunto di chi è abituato ad usare - lasciarlo degradare con l’industria, l’inquinamento e relativa bassa manovalanza. Anche geologicamente parlando, il Padreterno ha differenziato nettamente la zona  a levante di san Benigno (a sedimento roccioso), dalla zona a ponente schistosa, meno compatta e più sabbiosa.

Agli inizi del 1900 la zona si riempì di stabilimenti balneari; nell’angolo i bagni Italia (vedi a via Colombo, Marina ed a via SPdA). Ovviamente a questa data c’era ancora lo sperone di roccia aggettante sul mare.

 

In basso al centro, Largo Lanterna  con verso     la villa con parco quasi al centro, è la De Franchi

destra la via De Marini                                         -Costa in via De Marini, che aveva di fronte la    

                                                                               trattoria del Toro. Foto Noack. 

                                                                         

In questi anni, il quartiere della Coscia era popolarmente diviso in frazioni di rione: a Cappelletta, via Manin, o Labirinto, i Carrubé.  La prima era la zona di via De Marini sino a via di Francia con l’osteria do Rosso (dove Carlo Banfo –del Gazzettino- ricorda esserci il pappagallo che chiedeva se chi usciva aveva pagato il conto - ma è lo stesso pappagallo attribuito alla Gina del Campasso- quindi più una favola che una realtà), la villa De Franchi, la mitica trattoria del Toro, l’oleificio Costa, le due prime ‘chiese delle Grazie’ (quella in via De Marini aveva parroco don Schiappacasse, aiutato da præ Baciccia). Via Manin è la zona poco più a ponente ed interna, oggi di via GD Cassini estesa a monte sino oltre via A.Cantore, caratterizzata dal farmacista Bassano  e da Giacomo Montecucco (bar osteria, già Tubino, raduno di musicisti ed amanti). O Labirinto rimane quello stretto e piccolo quartiere che dalla parte più a levante di via P.Chiesa si estende sino a piazza N.Barabino; caratterizzato dalla sede dei Minolli (si descrive da Banfo che le prime case di via Galeazzo Alessi conservavano nell’intonaco le palle di cannone sparate dai francesi di Massena arrabbiati perché gli abitanti avevano rubato tutte le vettovaglie destinate ai soldati). I Carrubé corrisponde a tutta piazza N.Barabino ove si affacciavano e lavoravano i più importanti carrettieri (che davano il frutto del carrubo ai cavalli); Banfo ricorda altresì alcuni personaggi tipo il barista del s.Pè, l’edicolante Armando – famoso narratore di barzellette-, O Cininìni supertifoso sampdoriano. Caratteristici erano i carrettieri- allora unico mezzo di trasporto da e per il porto, da e per i depositi, ma anche per matrimoni, funerali e ‘stramûi’ – con un solo cavallo o in coppia o con uno ‘di punta’  se in tre - e le loro stalle (le più importanti e conosciute erano quelle di GB Carpaneto; i cavalli erano distinti secondo la potenza: i migliori trainavano i carri ferroviari per le piccole manovre - vengono ricordate le bestie di Bacciàra = che si offriva al gioco di parole “ baccere che coppia de cavalli, manco o Bacciàra ghe l’à”; ma anche di Crosa, di Bonzi, di Bagnasco, di Mari de a Capelletta).

Nel 1926 iniziano, cemento  e collina disintegrata, a riempire il posto del  mare  cancellando inesorabilmente la spiaggia e la piazza; a metà 1930 il viadotto elicoidale verso la  camionale compone una nuova barriera a ponente dell’antico piano. Ma ancora, con pochi passi – seppur dentro il porto non ermeticamente chiuso - si accedeva al mare dentro la diga, ma dove si poteva andare ad allenarsi a water polo e gare di nuoto (tra gli atleti vengono ricordati Agostino Frasinetti (olimpionico, vincitore di oltre cento gare e poi giocatore di pallanuoto), Costa, Magnasco, Cocchetto, Marchisotti, Caorsi, Baldini) o veder planare i primi idrovolanti.  Ma poi, il porto si è chiuso, e ci ha chiuso. Mare: adieu!

 Con la guerra la zona tende a spopolarsi e divenire amorfa e povera periferia,  quasi terra di nessuno.

 

3° STRAVOLGIMENTO  negli anni 1990 la zona, da una parte chiusa al mare dal porto, ed a nord dal “complesso di san Benigno” fatto di grattacieli e palazzi “vetrati”, abbastanza vitali di giorno, ma vuotati alla chiusura degli uffici di sera, la zona al di là dell’elicoidale diviene abbandonata al degrado totale compaiono i primi romeni  maggiori presenti di una comunità di disperati, presenti in città illegalmente, di difficile inserimento sociale anche per loro scarsa collaborazione perché più propensi ad alimentarsi con furti, scippi e microviolenze, ed a creare accampamenti ed occupazioni abusive, al punto di obbligare a far abbattere tutte le case, divenute tuguri abominevoli per mancanza degli elementi igienici vitali (luce, acqua, riscaldamento, latrine, ecc) indipendentemente dalla non erezione di nuovi edifici – già previsti in programmi cartacei ma per carenza di fondi e di utilizzo ‘proficuo’ dell’area spianata,  in attesa di finanziamenti privati.

    Nel 2002 fu prevista ed eseguita la demolizione a colpi di ruspa dell’ultima casa di 5 piani, che si apriva in via Balleydier e che faceva parte dell’antico quartiere: con la sua scomparsa sta per finire l’ultimo legame con questa storia, della Coscia. Gradito o no, adesso viene chiamato ‘quartiere san Benigno’ e pochi o  nessuno difende l’antico nome che muore nell’indifferenza di tutti i ‘foresti’ che si sono insediati in città.

Ancora nel 2007 le prostitute si aggirano nella zona senza orari, essendo terra abbandonata. Le macerie delle case abbattute fanno da base ad uno strano giardino dentro cui crescono piante e rovi selvatici.

Nel 2010, nel punto in cui era il piano della Coscia, sta sorgendo un ennesimo grattacielo (in via Balleydier). Di tutto quello che c’era, sotto la Nuova Darsena rimangono solo duecento metri di via De Marini, largo Lanterna (che non è più ‘largo’ perché uniformato a stretta strada), ed un  pezzetto di ‘salita alla Lanterna’.

Qualsiasi cosa ci faranno ancora, hanno  cancellato quello che sentimentalmente era la vecchia San Pier d’Arena, vissuta col cuore e non col portafoglio:  non sarà più la ‘Coscia’. Ma non è più neanche San Pier d’Arena, purtroppo.

 

Il Piano della Coscia. Era più specificatamente la zona d’angolo chiusa dalla antica strada (salita alla Lanterna-piazza (largo) Lanterna-via DeMarini) che fa un angolo quasi retto, racchiudendo un territorio - che in contrasto con le ripide pendici di s.Benigno e di Promontorio - degradava dolcemente verso il mare dando la focalizzazione del piano, seppur  inclinato.

 

La Piazza della Coscia invece era un largo spiazzo ad uso pubblico con ovvio sbocco a mare, posta al centro del piano, di forma irregolarmente rettangolafre allungata da mare a monte, racchiusa da proprietà privata (a parte quella d’angolo a levante, a forma triangolare, dei DeNegri -  tutte le altre - fino alla crosa della Cella- erano disposte a pettine:  rettangolari a lunga base verticale, estese dalla strada al mare). 

La piazza, come era nell’età vinzoniana, è descritto sopra alla data 1757. Nel 1845, in epoca di ingegneri che tracciavano la futura linea ferroviaria, la stessa era delimitata a levante dalla proprietà DeNegri (con casa, orti, pozzo) ed a ponente dalla proprietà divenuta dei fratelli Favaro fu Bartolomeo (estesa dalla strada a mare, laddove erano delle case a 4 piani – vedi Chiuso); questa ultima venne tagliata a metà dal viadotto ferroviario perdendo idea di continuità terriera, e quindi di valore affettivo a vantaggio del valore economico in vista delle nuove industrie (i Balleydier già inseriti a ponente della piazza), del boom immigratorio, edilizio e commerciale. 

Infatti, altra carta del 1899 evidenzia la già avvenuta scomparsa pratica della piazza: in fondo a via Galata (P.Chiesa), la presenza dei “magazzini Sali GB Carpaneto” e da Largo Lanterna il taglio della via Vittorio Emanuele affiancata dalla linea ferroviaria della Sanità e case, completano l’opera di riempimento.

 

dalle mura, la Coscia nel 2003

 

2009 - in basso a destra la ringhiera dell’elicoidale con -sotto- lo sbocco di via Balleydier in via Milano; in alto – giallo - la nuova Darsena con sotto la via De Marini. Nel buco centrale, la ghiaia dell’antica Coscia e la base del nuovo grattacielo

 

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