CIURLO                                                 vico Pier Maria Ciurlo

 

TARGA: vico - Pier Maria Ciurlo – scultore – sec.XVIII- già vico dell’Unione

 

 

QUARTEIERE ANTICO: Castello (Comune)

 da MVinzoni, 1757. In rosso, villa centurione del Monastero; celeste, via Ghiglione; giallo via della Cella; verde ipotetico via Ciurlo

 

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2759,   CATEGORIA:  3

 da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   17680

UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA

in giallo via B.Ghiglione; rosso via Centro; celeste via Giovanetti. Da Google Earth 2007

CAP:   16149

PARROCCHIA:  s.Maria della Cella

STORIA:   sino alla delibera del podestà, datata 19 ago.1935, era ancora vico dell’Unione, di 5.a categoria e con tre civici  (1-2-4);  il richiamo era fortemente indirizzato alle numerose Società di Mutuo Soccorso ed associazioni operaie, innegabilmente significative per l’emancipazione sociale e per una cultura di base, sotto il concetto fondamentale della solidarietà; e non tanto riferito all’unione dell’Italia come nazione, come qualcuno ha scritto perchè a quel tempo ancora incompleta.

Nelle variazioni dello stradario/1940, è quindi già vico P.M.Ciurlo, di 3.a categ. libera nei due sensi viari.  In quegli anni il vicolo era al centro di una zona commerciale viva ed affollata, fatta di quel magico rapporto umano tra persone semplici ed attive forse più povere ma più felici , arricchita da qualche ‘ciæto’ sugli avvenimenti politici ma soprattutto sui personaggi più tipici caratterizzati da nomignoli e soprannomi strani; da richiamo serviva anche il negozio di ‘o Caporale’, ovvero Cesare Caporali , pescivendolo di fama cittadina per la freschezza della merce venduta in epoca in cui non esistevano frigoriferi e si procedeva a liste di ghiaccio: per lui non necessarie perché l’invenduto andava giornalmente ai più bisognosi.

Attualmente, chiusi i negozi, e trasferito il ‘centro’, è un anonimo vicolo senza una vita propria caratteristica, se non nostalgica.

 

STRUTTURA :  strada comunale carrabile, posta tra via G.Giovanetti e via della Cella;  lunga 23,5 metri e larga 4,4; senza marciapiedi , e senza alcuna bocchetta di raccolta delle acque piovane.  Limitata ai motoveicoli seppur senza limitazione ai veicoli, perché risulta impossibile imboccarla per la ristrettezza della curva

 

CIVICI :

2007 =  NERI    =   1                  e da 2 a 4

             ROSSI =   da 1r a 5r         e da 2r a 4r (compreso un 2a)

 

Nel Pagano 1940 compare il vicolo con, al civ.1/4 la sartoria Spanò; nei rossi un pescivendolo Caporali Eugenia all’1r di cui rimane il simbolo di due anguille, incise nell’ardesia sullo stipite; olio e saponi al 2r e legna e carbone al 4r.

 

DEDICATA  all’ intagliatore in legno sampierdarenese, nato 29.06.1679

Dal “Liber baptizatorum, ecclesiae archipresbiteralis s.Martini de s.Petro Arenae” : «1679 die 2 julij – Petrus Maria filius Jacobi Ciurli et Angelae Mariae coniugum a me Jo Francisco Dulcino Archipresbitero baptizatus fuit. Patrini fuerunt  Marcus Jo.Bapta Firpus et Faustina uxor Jo. Baptae (Marsilii). Natus 29 junij».

   Della famiglia sampierdarenese, in alcuni testi citata anche Ciolo e Ciarlo, viene ricordato un probabile nipote nato nel 1751 divenuto valente organaro e musicista a s.Margherita Lig.

   L’artigianato del legno sfruttava al meglio le risorse dell’entroterra ricco di boschi (ciliegi, noci, ulivi, carpini, querce) ed i legni importati (mogano, ebano, palissandro, noce d’india).    Così  si distinguevano già prima del 400, i bravi intagliatori capaci di cornici finemente elaborate (da incorniciare quadri e polittici) e di arredi i più vari (nelle sacrestie i cori; nelle ville i soffitti; per i privati gli strumenti musicali; ed in mare i galeoni con la loro ricca decorazione, dalla polena, il rostro, le strutture tutte: da SanPierd’Arena provennero i lavori per le galee dell’Embriaco e dei Doria).  Del ‘400, resta famoso il bancalaro savonese De Fornari che lavorò nel coro di sanLorenzo. 

   Secondo regole assai rigide dei tempi, ‘scultore’ era il professionista che lavorava il marmo e che non aveva nulla da spartire -ed erano proibiti gli “sconfinamenti”- con i lavoratori del legno che per oltre 5 secoli e sino alla fine dell’800 di dividevano in tre categorie: i carpentieri-falegnami, i mobilieri e gli artisti intagliatori che, in terminologia di allora, erano “bancalari”). Nelle singole categorie a sua volta, si stabilirono ulteriori gerarchie di importanza artigianale, in base alla quale l’intagliatore del legno per casse professionali è ancor oggi riconosciuto superiore a quello delle statuine presepiali, relegato quest’ultimo all’ambito popolare, come ripiego marginale ed artisticamente secondario.

   La scultura lignea (a fianco della lavorazione dei tessuti, della oreficeria, degli stucchi, dei trofei esterni tipo cariatidi e la scultura in genere) ebbe un grande impulso dagli inizi alla fine dell’800: dalla committenza delle Casacce che numerose richiedevano per ornamento delle chiese e della loro confraternita dei “cristi”, “casse” e statue, sempre più ricche, elaboratamente raffinate e con pretese estetiche impegnative (in genere gli associati erano gente umile come portuali, tintori, carbonai, facchini, pescatori, minolli che con centellinati risparmi cercavano nel lusso e nella magnificenza una specie di rivalsa sociale); a quella dei benestanti che cercavano spicco nelle decorazione dei mobili, delle carrozze, delle specchiere, dei portavasi; non ultimi i nobili – dalla casa regnante sabauda in giù.

   Il presepio in particolare, è attribuito tradizionalmente ad idea di san Francesco; ebbe una grande diffusione in tutta Italia nelle varie epoche, con riproduzione in marmo, onice, legno e porcellana.  Ma il primato di questa moda che ancor oggi persiste nelle singole case  iniziò a Napoli nei primi decenni del 1700 nel lezioso territorio borbonico spagnoleggiante. Qui l’esposizione divenne gara al sontuoso ed appariscente   (dei presepi se ne interessarono solo le classi  distinte, le cui donne, presumo, negli ozi giornalieri trovarono stimolante  preparare -e far preparare alle loro fanciulle ed alle suore- di che rivestire le statuine con i più lussuosi ritagli avanzati di abiti, introducendo una gara a distinguersi per essere i migliori nel proprio ambiente, ricercando raffinati arricchimenti usando ricami, fibbie, calzature, ori e argenti, sino ad arrivare ad avere orefici, sarti e maestre di cucito appositi ed –ovviamente- falegnami e ceramisti); e tra i tanti, ne emersero alcuni che sono da interpretare come vere e proprie opere d’arte. Probabilmente la moda contagiò personaggi colti e raffinati - come Gio Francesco II Brignole Sale - che la importarono in Genova (anni 1660).

    Nell’ambiente genovese l’esplosione del culto avvenne in età barocca con figurine intagliate nel legno. Passo successivo divenne la produzione della figura incompleta, di manichini articolabili, per meglio rispondere alle esigenze spettacolari ogni volta determinate dalla fantasia del preparatore del presepio stesso. Così spesso avveniva che  da un blocco di legno (in genere di tiglio) si riproduceva il tronco e la testa; quest’ultima veniva raffinata con occhi vitrei, palpebre di stucco policromata ad olio, mentre il tronco – che verrà coperto con i panni che a loro volta saranno o molto semplici panni, a raffinate ed impreziosite sete - avrà dei fori cilindrici per l’inserimento dei 4 arti a loro volta snodati in modo da rendere variabile il bacino, i gomiti, le  ginocchia, le mani ed i  piedi.  Le statuine, alte circa 30 cm. Secondo la richiesta dell’acquirente, prevede i pastori (dormienti, in allarme di fronte ai fatti improvvisi e sorprendenti, in estasi, in umile presenza col cappello in mano), le contadinelle, il pescatore, lo zampognaro, il mendicante portatore di ‘handicap’ fino alla riproduzione della famiglia dei vari committenti come rappresentanza della loro presenza nella riproduzione dell’Evento divino.

   Del 1800 il più famoso bancalaro fu il Maragliano, e divennero famosi praticamente tutti i suoi allievi o seguaci (escluso a Chiavari il Descalzi con le seggiole).   Anche P.M.Ciurlo (il Ratti afferma che sia un soprannome) viene considerato fuori della cerchia del maestro Maragliano, anche se nella produzione e nelle richieste da parte delle varie Coinfraternite, non può non esserne stato influenzato.

 

   Nella sua bottega in San Pier d’Arena, ebbe come allievo Gerolamo Pittaluga (che poi superò il maestro in fama e bravura).

   Nella sua attività artigianale, il Ciurlo incontrò un felice connubio sia con le  committenze di cui sopra, sia con la personalizzazione della moda del presepio sviluppatasi in quei tempi; lentamente si  creò un nuovo spazio artigianale, dell’intagliatore di statuine, ramo in cui negli anni a cavallo del 1700 la sua bottega  fu prolifica fattrice.

   Seguendo un preciso protocollo di restauro, dopo confronti stilistici, valutazioni dei documenti, indagini stratigrafiche (dipartimento Chimica Industriale), supervisione (Soprintendenza ai Beni Artistici, Storici  e Demoetnoantropologici della Liguria), gli è stata attribuita l’opera del Crocifisso, di proprietà della Chiesa della Cella (vedi). Opera che nel 1939 Orlando Grosso aveva attribuito all’allievo Pittaluga; ma anche il suffragio di precedenti scrtti hanno potuto determinare la vera paternità (si tratta sia di CarloGiuseppe Ratti che nel 1769 scrisse «…Egli è l’autore delle due immagini lavorate in legno, che si veggono in San Pier d’Arena: l’una nella chiesa dei PP.Agostiniani, l’altra nell’Oratorio di S.Martino. E quelle sono le sole opere che di lui abbiamo; perchhé, partito di qua, andò a stanziare in Torino; ove servì in molti lavori il Re Vittorio Amedeo; e in quella città morì già avanzato negli anni» (quello dell’Oratorio andò distrutto nel bombardamento); sia di Carlo Tagliavacche che nel 1827 scrisse un documento conservato all’Archivio della Diocesi, le “Memorie della Val Polcevera” nelle quali citò «nella chiesa evvi…immagine del SS.Crocifisso di Ciurlo, scultore di S.Pier d’Arena».

Riguardo invece le statuine del Presepio, caratteristica era divenuto non solo evitare di produrre tutte  le statuine uguali, cambiando opportunamente gesti ed espressione (ed in più divenne pratico dotarle di svincolo articolare, cosicché potevano essere adattate alle più fantasiose possibilità nel presepe);  ma anche modellarle di varia altezza (da 50 a 10 cm., ed anche meno) per conferire un senso di profondità e prospettiva. Anche la scenografia divenne importante: nelle casette e mulini, nelle chiesette e nel paesaggio, gli intagliatori andarono a cercare scene dei nostri paesaggi, da poter stupire ed innamorare dei personaggi vestiti con i costumi caratteristici

   Scarse sono le notizie degli inizi di questa nuova  attività di bancalari e delle loro produzioni, finché ovviamente non raggiunsero nel tempo un certo grado di produzione e fama;   quindi,   purtroppo , anche per il Ciurlo e della sua  fervida creatività, ben poco è rimasto: nessuna dei burattini e maschere per il teatro (costruite sia per gli aristocratici che per il popolino, entusiasti nel seguire le vicende amorose di Colombina o i lazzi di Arlecchino, o la furiosa baraonda di Barudda -maschera genovese derivata forse dal focoso temperamento dello schiavo arabo Barud divenuto famoso nella zona del porto); poche le statuine del presepio -solo in  qualche collezione privata-;  e,  dei Crocefissi, due solo gliene furono sicuramente attribuiti, (e di essi uno andò distrutto nel bombardamento dell’Oratorio di san Martino di vico Cicala, a cui era stato donato da privati nel 1705;  e l’altro tutt’ora presente (così si scrive) nella chiesa della Cella, allora ancora gestita dai pp.Agostiniani).

    Questa mancanza di prove, ha determinato la sua classificazione di “marginale”,  dalla “sfuggente personalità”, nel novero degli intagliatori genovesi.

   A Genova, pervenuta al Comune come dono, nel museo civico di villetta DiNegro, dovrebbe esserci una  ricca collezione di sue statuine da presepio, piccole ma fedeli riproduzioni delle grosse statue lignee.

    Chiamato a Torino, evidentemente  perché famoso e bravo, lo scultore si trasferì alla corte di Vittorio Amedeo della casa dei Savoia, inizialmente per allestire un grosso presepe (aiutato dal Maragliano e dal Pittaluga; il presepio passò -forse per donazione- ai duchi di Savoia e da loro ad una delle tante confraternite ospitate in qualche chiesa piemontese: se ne persero così le tracce, anche per l’uso periodico e ristretto,  finché l’usanza e l’apprezzamento artistico non emersero ad una esposizione internazionale d’arte sacra nel 1908 a Venezia).    

   Il Ciurlo rimase nella capitale piemontese, fervidamente produttivo nelle statuine sino ad età molto avanzata, creando anche là una scuola d’intaglio assai apprezzata; eseguendo  anche numerose opere per chiese e monasteri (nell’anno 1776 Bartoli scrisse per la chiesa di s.Matria Maddalena delle terziarie francescane  «sotto la cupola le quattro statue di profeti scolpite in legno sono del Ciurlo Scultore Genovese»; e lo stesso di figure policrome per la chiesa del SS.Crocifisso delle monache agostiniane) ma tutto non più rintracciabile, o andate disperse come firma produttiva ed attribuite ad altri. Infatti, solo nel 1992 un altorilievo ligneo di 128cm.x72, già presente nl castello di Moncalieri e rappresentante una Natività (o fuga in Egitto), ora ospitato a Torino nella galleria Sabauda, già attribuito ad altri, è stato riconosciuto del Nostro. 

  E là morì,  nella prima metà del secolo XVIII.

  Nei libri che si sono interessati agli intagliatori del legno ed in particolare alle statuine del presepio, il nome del Nostro è pressoche sempre ignorato; nel libro ‘Venite adoremus’ gli viene tolta la paternità di alcuni lavori attribuiti a lui ‘a torto...come voleva la tradizione’.

 

BIBLIOGRAFIA  

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-AA.VV.-Annuario-guida archidiocesi—ed./94-pag.396—ed./02-pag.434

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-AA.VV.-Maestri genovesi in Piemonte-Allemandi.2004-pag26.158 (intaglio)

-AA.VV.-Scultura a Ge. e in Liguria-Carige-vol.II-pag.287

-Galassi MC.-Venite adoremus- Tormena.1993-pag. 56.57

-Gazzettino Sampierdarenese :    3/84.11  +  05/04.7  +

-‘Genova’ Rivista municipale - marzo - 3/1938.24

-Grosso O.- All’ombra della lanterna -1946- pag.151 

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-Seveso M.-La forma della vita-Microart’s per CARIGE.1989-pag. 199

-Sommariva G.-Natale al museo-Quaderni Museo di Masone n°6

-Soprani.Ratti-Vite de’ pittori, scultori,...-Tolozzi.1965-vol.I-pag.289