CIBEO                                                   vico Cibeo

 

TARGA:- S.Pier d’Arena – vico - Cibeo

 

QUARTIERE ANTICO: Coscia

 da MVinzoni, 1757. In rosso via LDottesio; giallo via DeMarini; fucsia villa Pallavicini; rosa chiesuola di S.M. del Quartiereto. Celeste le ville Negrone e Pallavicini con a levante il torrente di s.Bartolomeo. A destra, dove scritto Mco Stefano, oggi passa in diagonale via di Francia.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:  2758 ,    CATEGORIA  3

                                                

Pagano 1961                                                   Toponomastica 1998

  Da Google Earth 2007.  in celeste via L.Dottesio;              

                                                                        giallo via di Francia; fucsia via GB Carpaneto.

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   17080

UNITÀ URBANISTICA: 28 – s. BARTOLOMEO

CAP:   16149

PARROCCHIA:  s. Maria delle Grazie

STRUTTURA:

la strada è carrabile comunale, lunga 90,37 metri;  da via di Francia,  sottopassando la ferrovia, sbuca in via G.B.Carpaneto; viabile, ma con  difficoltà per la ristrettezza: è larga 6 metri, senza marciapiedi, con un lato che per lunghi anni – ed ancora nel 2010 - è stato occupato abusivamente da rottami d’auto in attesa di demolizione

   Nel dic.03 compare nell’elenco delle ‘vie  private di interesse pubblico’ e quindi in programma di essere municipalizzate.

 

inizio sottopasso, da via di Francia               fine a via di Francia, lato est     

 

                                                   uscita verso via di Francia, lato a ponente

 

Il sottopasso ferroviario, è stato rifatto negli anni 2005-6 al compimento della vicina stazione ferroviaria di s.Benigno. É caratterizzato da quattro settori: il primo – da via di Francia - con tetto piatto, moderno. Il secondo, a tetto rotondo antico; fa parte di un primo allargamento, ed aveva una porta a ponente ora murata (neanche ‘Barba’ sa il suo scopo; pensa che dia accesso allo stabilimento ove ora sono le Generali e presume che – come quello di fronte, ma sfalsato di posizione - fosse occupato da generatori elettrici necessari per le ferrovie; ma la spiegazione non è supportata). Il terzo, largo lo spazio per due binari, è probabilmente il più vecchio; ha a metà ed a un metro da terra – sia a levante che ponente - due grosse nicchie larghe e profonde un metro circa, di inspiegabile utilità. Il quarto è come il secondo, un successivo allargamento, ed ha la porta – anch’essa murata – ma solo sul fianco a levante.

 

STORIA: Quando ancora non esisteva la ferrovia e via di Francia, la via De Marini era la strada centrale, principale, proveniente dal Largo Lanterna - in piena zona della Coscia, rione detto anche Quartiereto (dal nome della chiesuola) - e proseguiva con quel nome lungo dove ora è via L.Dottesio.

   Secondo le planimetrie, l’attuale vicolo ricalca il viale d’acceso alla villa Pallavicino ora demolita, che trovavasi subito a levante del torrente di san Bartolomeo (che scorreva ove ora è via GB Carpaneto). 

  Prima del 1850 ovviamente il tragitto (viale-vicolo) non era sormontato dalla ferrovia, che ha contribuito a sminuirne l’importanza aprendogli un arco assai piccolo ed angusto.      

  Nell’anno 1900, dalla civica amministrazione viene proposto la titolazione di ‘vico Cybeo’ (con la Y) specificando che era da darsi al ‘viale detto Pizzardo, fino alla fabbrica di ceramiche, a notte’ (probabile personaggio, con occupazione artigianale, situata nella villa in quegli anni).

   Nel Pagano 1908-1919 è descritta al civ.4 una fabbrica profumi (in particolare acqua di colonia) e saponi di Mülhens Ferd., telef.n. 15-48. Non c’è più nel Pagano 1920.

   Nel 1910, sempre chiamato ‘vico Cybeo’ , si riconosce andare vagamente  ‘da via DeMarini verso la collina’, con civv. fino a 4 e 5.

   Nel 1916 don Brizzolara, parroco di Promontorio,  scrivendo all’arcivescovo dei confini parrocchiali, dice:  ”da Montegalletto si prosegue in linea retta fino alla villa della signora Aurelia Carbone ved. Montarsolo, chiusa dal vico Cibeo” (scomparsi questi punti di repere, diventa difficile ricostruire il confine)

   Nel 1921 vi si apriva la soc.an. Pietro Costa, di oli minerali.

   Nell’elenco strade comunali del 1927, è sempre scritto con la Y, ed è classificato di 5a categoria.

   DeLandolina/1922 la chiama Cybeo e precisa “famiglia  patrizia genovese proprietaria del palazzo che ancor aggi vi sorge ne’ pressi, occupato da un’industria”. A mio avviso fa confusione perché il palazzo, vicino e poi occupato da una industria, era quello dei Pallavicini; i Cibo pare non abbiano avuto ville nel borgo ma solo la chiesetta.   Al contrario però qui a sanPier d’Arena alla fine del 1400 nacque – non si sa dove - Cibo Lorenzo (complessa figura di potente, figlio di alti personaggi (vedi sotto)): evidentemente i Cibo possedevano una villa qui. Ed anche suo nipote Alberichino passò da noi una convalescenza risanatrice;  ma per ambedue, non si sa dove.

   Ancora nel 1933 (da completarsi via A.Cantore), lo stradario indica “da via di Francia ai monti”.

   Il Pagano 1950 segnala  al civ. 1nero la fabbrica di bocce, di Jacquillon Emilia ved. Boccardo.

Ad agosto 2004 lo si trova nell’elenco delle strade private ‘adottate’ dal Comune: acquisizione gratuita dietro fornitura di manutenzione e servizi (illuminazione, spazzatura, rete fognaria, ecc.)

Nel 2005 è stato invece chiuso all’ingresso di via di Francia – raggiungibile solo da via Carpaneto - per i lavori alla nuova stazione ferroviaria.

   La chiesa.   In questa località (la via d’accesso principale - come anche per la villa Pallavicini - era via DeMarini e là dovrebbe essere descritta; le lasciamo impropriamente in vico Cibeo, per favorirne la posizione alla luce della toponomastica odierna), praticamente nel punto in cui oggi si apre la galleria della linea ferroviaria e quindi molto appoggiata alla ripida fiancata del colle di san Benigno,  un Guglielmo Cybo fin dal 1300 aveva fatto erigere una chiesuola dedicata alla B.V., e detta “santa Maria detta del Quartiereto”, dal nome della località suburbana (documentata dal 1387: in quest’anno l’arcivescovo pose una tassa straordinaria dettata dal papa Urbano VI al fine di ricuperare sulle spese effettuate con guerre e contro gli scismi: alla ‘ecclesia de Cibo’ fu decisa la spesa di lire una. Il Belgrano traduce trattarsi di “santa Maria del Quartieretto, in San Pier d’Arena; oggi del Sec.do Quartiere (vulgo Coscia)”, e cita “Peretta del qm. Andrea Cibo lascia lire 100, perché ‘de proventibus …respondeatur…capellano capelle institute seu fondate in sancto Petro Arene Janue per nobilem familiam seu albergum de Cibo, sub vocabolo sancte Marie’ (arch.cit., cartolario orig.P.N., car.247)”).

   Nel 1690 un cav. Pallavicino (proprietario della villa) scrive al card. Alderano Cybo (proprietario della chiesa) che la famiglia Cibo possiede sei cappelle gentilizie ma che per esse «si prendono gli obblighi, e i sacrifici si trascurano»; questo in riferimento alla chiesa di S. Maria (non della Cella ma del Quartieretto): la lettera fa intendere che la famiglia Pallavicino vantasse l’uso – non la proprietà -  della cappella vicina e soggetta a riparazioni e addobbi a carico dello scrivente.

   Nella carta del Vinzoni, appare sempre dedicata a NS del Quartieretto.

   Per secoli la chiesetta rimase gentilizia della famiglia dei Cibo, forse fino alla sua demolizione avvenuta nella seconda metà del 1800; questo contribuì a denominare la zona “dei Cybo” più che non la villa vicino, divenuta dei Pallavicini.

    La chiesuola viene descritta in via DeMarini , ove si apriva .

    Invece, un poco più a ponente  della chiesa,  la famiglia Pallavicino, proprietaria di vasti appezzamenti e  di altri palazzi nel borgo (oggi chiamati Gardino, Moro, del Credito Italiano), fece costruire nella seconda metà del 1500 una grandiosa villa  Pallavicini che negli anni di fine ottocento appare aprirsi in via DeMarini, al civ. di allora 26-27.

 Eretta in posizione dominante alle pendici del colle di san Benigno (in zona suburbana, popolarmente chiamata “la festa” oppure “maiben”: nell’immaginazione popolare non appare insignificante la indicazione di una località, ove ci si divertiva spesso e si faticava poco (anche per il popolo minuto, a quei tempi la lista delle festività –specie religiose- era assi lunga ed obbligata, al punto che nell’anno arrivavano a sommarsi  circa 90 giorni, contro i 275 lavorativi).

   Di questa villa non si conosce né l’ordinatore né il costruttore,  né l’anno di fabbricazione (una lapide posta sul prospetto, citava il 1590; l’abate Brizzolara scrisse nel 1916 che all’inizio di vico Cibeo sulla via DeMarini, c’era una iscrizione che diceva: “villa Pallavicini”; e che un’altra targa posta “di fronte al palazzo degli eredi del fu avv. Tito Pizzardi a brevissima distanza dai ruderi della cappelletta dei nobili Cibo, a circa la metà del vico Cibeo, ed è espressa in questi termini:

             THOMAS PALLAVICINUS DAMIANI F. A FUNDAMENT

                               ANNO SALUT. MDLXXXX 

 

 

In celeste, la villa ed il suo giardino;                    in alto, la villa Pallavicini

in giallo, via De Marini; in violetto la chiesa;     in primo piano l’officina “Massone Masnata? E”;

in verde la seconda chiesa; in rosso la villa        a sinistra del cui tetto c’è l’imbocco di una galleria

DeNegri

   Sarebbe così accertato che dal 1590 al 1608 era proprietà del patrizio Tommaso Pallavicino -q.Damiano (+1573) q.Francesco(1525), nel libro delle genealogie, risalenti ad un Niccolò del 1154-. Bologna, nel ricostruire la intricata genealogia della famiglia Pallavicini (dalla quale si rileva la frequente ricorrenza di nomi eguali in posizione genealogica diversa:  per questo occorre prendere con le molle la verità delle omonimie anche in tempi eguali) cita che due fratelli, Agostino e Tobia q.Francesco in pieno 1500 fecero costruire splendide residenze in città: 2 in Strada Nuova (oggi banco di Napoli e Camera di commercio), in via Luccoli, villa delle Peschiere, ed a SanPierd’Arena e Rivarolo. Però rileviamo nelle genealogie, che Tomaso - il primo proprietario conosciuto -, è  figlio del terzo fratello - non citato - Damiano q.Francesco morto nel 1573. Nell’archivio Durazzo è posseduto un testamento di Tommaso Pallavicini f. di Damiano (quindi il Nostro) datato 13 maggio 1617, “con quale istituisce un perpetuo fedecommesso sul suo palazzo e villa di Sampierdarena”. Quindi l’ordinatore della villa dovrebbe essere il padre, Damiano Pallavicini.

    Durante la  appartenenza a Tommaso, avvenne l’incidente della lite tra proprietari confinanti che determinò la chiusura di una porticina che faceva accedere direttamente - con un vialetto - dalla villa alla chiesuola vicino di proprietà dei Cybo. Il secolare usufruire della chiesa, vicina ma di proprietà di altri - che però non abitando in zona non la frequentavano - trovò evidentemente degli improvvisi contrasti, più probabile  nell’ipotesi di partecipazione a restauri, che nell’uso troppo possessivo specie delle nobildonne. La diatriba con i Cibo, finì con l’apertura di una cappella direttamente nella villa. 

    Ritengo riguardi questo edificio la valutazione eseguita nel 1614 a Tomaso Pallavicino, per una “villa alla Coscia” del valore di 36.453:15 scudi d’oro, pari al 20,7% sia del suo patrimonio che – uguale % - delle attività patrimoniali (risulta che in quella data aveva anche una casa a Roma). Nel 1620 aveva questi stessi beni.

   Pochi anni dopo la morte di Tommaso, a metà del 1600, i tre eredi Gio.Domenico, Alessandro e Nicolò per sanare un debito fatto dal padre, dovettero cedere ‘la villa’, allo zio GiovanniFrancescoI. Non è specificato che sia questa la villa citata,  ma ne è supporto l’appartenenza - un secolo dopo - a Vittoria (che è del ramo di GioFrancesco, e vissuta negli anni a cavallo 1600-1700. Anche la cappella aperta nella villa come detto sopra, dal Remondini venne definita ‘di proprietà della marchesa Vittoria Pallavicini (divenuta monaca, lontana nipote di Tomaso ma del ramo di Gerolamo - fratello di Tomaso e padre di GioFrancescoI), ...alta, spaziosa, ben architettata e decorata di buoni affreschi, capace di tre altari (anche se in realtà ce ne era uno solo)’: in essa si officiò anche pubblicamente fino al 1850  in attesa che si erigesse la chiesa di NS delle Grazie.

Notizia riguardante i tre eredi sono: sempre dall’archivio Durazzo viene citato un Alessandro che lascia – si presume in eredità - degli effetti a FrancescoMaria Balbi il quale li cede  l’1 dic.1671 a Marcello Durazzo. Mentre un Nicolò (ma q. Aug.ni) il giorno dopo l’arrivo del Duca di Mantova a Genova  del 1600, “si fece una Comedia in S.Pier d’Arena in casa di Nicolò Pallavicino q.Aug.ni et v’erano una radunanza di bellissime dame benissimo all’ord.e et vi fu il Duca di Mantova et finita la Comedia si ballò quasi tutta la notte co’ molto gusto di detto Duca, che balò molto allegramente e poi giocò ai dadi co’ molti nobili, et perse dodici mila scudi in circa”.

   Diventa tenebroso il passaggio da Vittoria (senza prole avendo ricevuto destino monacale) al Nicolò segnato (1708) dal Volckammer (la casa è la più grande di tutte le altre ed è chiaramente indicato il patrizio Nicolò; nel contempo compare nell’archivio Durazzo un pegno datato 5 marzo 1692  per un debito di 8mila lire  contratto da un Niccolò Pallavicini (assieme a Maria, Lelio, e Luigi) nei confronti di Marcello Durazzo I : se è lo stesso Nicolò, è evidente si trovasse anche lui in difficoltà economiche); e da lui al mag.co Giulio  segnato come proprietario dal Vinzoni (1757).

    Don Brizzolara nei suoi ‘Reclami’ del 1816, in un passo scrive che l’ avv.Tito Pizzardi era comproprietario del palazzo Pallavicini; in altro passo che ‘la proprietà degli eredi dell’avv. Pizzardi, era separata dalla proprietà della signora Aurelia Carlevaro ved. Montarsolo.

    Divenne delle Ferrovie nel 1843 circa ( ?).


Pagano’40

 

La villa, descritta dal Gauthier (1818-32), aveva l’ingresso  in via De Marini, (praticamente ove ora si apre vico Cibeo, a ponente rispetto un altro viale che portava alla chiesuola, che come già detto però era di proprietà Cybo) composto da  due costruzioni  unite da un portale barocco munito di grosso cancello,  dietro a cui era un piazzale a corte d’onore; dopo un lungo e


maestoso viale, si arrivava alla costruzione,  di forma cubica, con tetto a padiglione tradizionale, e con due ingressi (ma la facciata principale appare rivolta a sud, tripartita verticalmente e caratterizzata da una triplice loggia centrale al piano terra e con finestroni al piano nobile, posti in modo alessiano: tre centrali, e i due laterali distanziati, da dare  snellezza alla cubatura generale).

   Dietro, il parco coltivato a fasce, di circa 15mila mq, risaliva la collina fino ad arrivare alle attuali possenti mura degli Angeli.

   L’industrializzazione del borgo, rosicchiò gradatamente la proprietà: iniziò nel 1849 la ferrovia, che tagliò via il viale davanti alla villa; la via di Francia (1929) eliminò tutto il corpo d’ingresso, ormai avulso dall’insieme; via Cantore infine (1930-5) staccò dalla villa il parco retrostante che venne lottizzato ed occupato  dal raccordo autostradale  e da alcune costruzioni per abitazioni.

    I successivi tentativi di valorizzazione privata attraverso le famiglie Piccardo, poi Costa e gli Stura portarono nel 1934 le Belle Arti a giudicare  l’immobile degno di tutela e vincolo.

   Pare che ultimo proprietario sia stato un  Parodi, che malgrado l’enorme interesse che suscitava riuscì a farla  demolire: nello stesso 1934 riuscì a far giudicare non  opportuna e pericolosa la conservazione, logorata dall’insistente cancellazione di ogni aspetto di magnificenza, e attraverso la degradazione a cui l’aveva portata l’essere stata adibita anche a  ricovero per numerose famiglie di profughi dopo la disfatta di Caporetto (24 ottobre 1918); e ad officina: Qualche maligno può trovare parallelismo con la villa dei salesiani, ed il metodo adottato per renderla degradata. La stessa cappella era andata distrutta: in stato deplorevole,  rotto l’altare ed il pavimento, usata come magazzino e deposito di vecchie botti e legnami. 

   È conservata memoria di improbabili ‘passaggi segreti’ tra questa villa e la omonima – poi Gardino - a mare.

  Nel Pagano 1940 la strada va ‘da via Francia ai monti’; ci sono solo numeri rossi: all’1 Boccardo A,  fabbrica boccie (sic); e Cassola C. fabbrica serrande a maglia.

   Nell’ampio spazio, doveva essere costruito un grattacielo come da progetto dell’ing. Giovanni Pellegrino per la Gadolla spa,  a  sezione ellittica, di circa 23 piani, per appartamenti (insediati nei dieci piani alti, ed imposti onde evitare il totale spopolamento nelle ore serali) ed uffici, circondato da verde d’alto fusto e servizi tipo piscina, palestra, terrazza panoramica. Il progetto prevedeva la demolizione di baracche e case ormai fatiscenti, e l’allargamento del voltino ferroviario.

   Il tutto già approvato, qualcosa non ha funzionato perché per anni tutto si è fermato ed alcune delle baracche sono state restaurate dalla azienda DEPA in modo da lasciar intendere un lungo insediamento dell’attività commerciale, e con grande sollievo di chi dalle case circostanti avrebbe avuto la visuale verso la Lanterna coperta.

 

CIVICI

2007= NERI   =   da 1 a 7

           ROSSI =   da 1r a 11r     e da 2r a 6r (escluso 4r)


===civ. 1 è un cancello chiuso ed arrugginito che darebbe adito, tramite un lungo sentiero fiancheggiante il muraglione, ma in totale stato di abbandono per erbacce e rifiuti che lo occupano, alla antica casa cantoniera delle ferrovie posta in fondo a questo ‘corridoio’. Gli occupanti se ne andarono per essere ospitati nelle più confortevoli case dei ferrovieri in via Porro. È incerto se fu la casa di nascita di A.Cantore (essendo il padre un casellante, ed essendo questa casa l’unica tra SPdA e Genova.


A destra in rosso i tetti della Depa; in grigio l’edificio dello sfasciacarrozze che saturava anche il vicolo che lo separa da essa; a sinistra il timpano del casello ferroviario col tetto marrone. In giallo al centro l’edificio ora occupato da ’La Generale pompe funebri’.

===civ. 3 ha segnato nella graniglia dell’ingresso la data 1930.

Al piano terra aveva deposito un certo Broglio, proprietario dello stabile ed importatore di budella animali messe in salamoia (pare importate addirittura dalla Cina, quando ancora erano tempi di rapporti quasi impossibili con Mao), e rivendute per fare insaccati  (nel Pagano/61 viene citato – tra i 2 grossisti di ‘budella salate’, Broglio Alessio, involucri p. salumi, vico Cibeo 1r ). Per il trasporto dal porto, usava mezzi trainati da cavalli: per questo, sulla facciata c’erano gli anelli necessari per legare i cavalli, ma che oggi per la rintonacatura, sono stati divelti. Il Broglio morì negli anni ottanta (pare con doppia famiglia, e quindi litigi per l’eredità che doveva essere assai cospicua): i suoi familiari diretti lasciarono l’abitazione nel vico per trasferirsi altrove.

 

antiche stalle-sellai-maniscalchi;     forse questa casa, prima di essere ristrutturata. A destra l’entrata

                                                         dello sfasciacarrozze

===civ _ r - A fianco del portone, ha sede uno sfasciatore di automezzi con rivendita di pezzi usati, “impresa fratelli Semovigo” (residenti al civ.5): questo ‘sfruttamento del suolo pubblico’, approfittandosi della disagevolezza ed emarginazione della strada  collocata in un punto cittadino irrilevante dal punto di vista ‘traffico’, rese per tanti anni il breve percorso ancora più squallido; numerose furono negli anni ’80 le lamentele per lo sconcio a cui fu abbandonato, con interessamento anche di Italia Nostra.  Nel 2007 l’attività di rivendita dell’usato è ancora attiva, anche se ridimensionata dalla DEPA, specie nello spazio - occupato tutto attorno e nel retro.


Adesso il retro dello sfasciacarrozze è proprietà della Depa; esisteva questo fabbricato, posto vicino alla casetta delle ferrovie che ci ha fatto pensare potesse essere reliquato della antica chiesetta del Quartiereto: la parte a sinistra della foto è rotonda come un abside. Il proprietario Depa ci proibì di approfondire l’indagine e crediamo abbia distrutto tutto.


===civ. 5 e 7 sono dietro al civ.3, raggiungibili con deviazione a levante proprio mentre la strada gira in senso opposto. Al 7 per tutto lo spazio disponibile e sino al retro della casa cantoniera, era sino all’anno 2002 circa, tutto occupato da rottami di auto demolite.

 

La strada, dal WTC: in basso col tetto marrone,               

il civ.2; i terreni ora della Depa ancora da occuparsi

===civ. 2 dava ingresso ad una fabbrica di tipo metallurgico ora occupata dalle Pompe Funebri ‘le Generali’ che si aprono nella parallela via GB Carpaneto. ‘Barba’ dice che prima delle Generali, c’era una fabbrica di acque gasate, la quale con i macchinari in funzione anche di notte, creava un chiasso insostenibile e fonte di litigi con gli abitanti attorno. 

 

DEDICATA   alla famiglia ligure dei Cybo (scritto pure Cibo, Ceba, Cebà), proveniente da Scio nel 980. Il capostipite conosciuto, fu Guido, vissuto nel mille: era feudatario dell’imperatore Ottone III. Nel 1500 avevano 33 case, concentrate nella zona della parrocchia genovese  di san Marcellino.

La potente famiglia, aveva come stemma sotto la croce di Genova, in campo rosso una banda diagonale contenente tre fila  di quadretti bianchi  e rossi posti a scacchiera, il tutto sormontato da un pavone a ruota aperta.

Fu punto di riferimento ed aggregazione di 43 famiglie nobili genovesi:  le prime quattro molto vicine (Arcanti, DaScena, Baldissone, Brasile); una posta alla base (Massa); delle altre, molte portano lo stesso nome della città di appartenenza (Andora, Torriglia, Rapallo, Levanta, Serravalle, Recco, Massa, Ottona, Onza, Montebruno, Valdetaro, Chiavega, Sopranis, Boera, Clavarezza, Poggio, DallePiane, Marabotta, Marchese, Costa, Sbaroia, Ghersi, Ratto, Pozzo, Corsio, Donati,  Rolero, Rodino, Merlafini, Monfia, Sale, Ponte, Morro, Ghersi, Peirana, Celso, Gella, Pino, Venzano, Ghisi).

 L’arma dei Cibo

 

   Una ampia e numerosa discendenza,  vede nei secoli un Cybo: nella lotta contro i saraceni (Lamberto, 1055); quattro cardinali   (Uldarico (creato cardinale da OnorioII nel 1124, poco si sa di lui); Martino nel 1130 (dei cistercensi; fu promosso cardinale nel concilio di Clermont del 1130; fu usato da papa InnocenzoII come consigliere ed ambasciatore in Danimarca) GuidoClemente nel 1144 (fu promosso cardinale sotto LucioII; fu ferito quasi mortalmente durante una rivolta a Roma; da papa AdrianoIV fu inviato ambasciatore in Germania); Innocenzo (1491-1550; figlio di Francesco conte di Anguillara e di Maddalena de Medici (sorella di papa Leone X), divenne nel 1513 arcivescovo di Genova; fu uno dei maggiori artefici della permanenza della cattedra papale a Roma allorché era per essere trasferita in Francia; resse le redini della Chiesa mentre a Genova prendeva potere Andrea Doria, poi avveniva la congiura di GianLuigi Fieschi e poi dopo ancora del nipote Giulio)); due capi supremi della Repubblica di Genova: nato nel 1231=Lanfranco (che ebbe figlio Guglielmo il quale fu attivo nel commercio e quindi, per incarico della Repubblica, diplomatico a Roma (nel 1267 per supplicare il Papa Clemente IV a revocare interdetto e scomunica, avendo Genova emanato delle leggi giudicate nocive alla libertà della Chiesa), a Milano, Lucca, Montpellier, Tunisi (si conserva ancora il contratto di commercio stipulato col rais), ecc.; poi magistrato ed anziano del Comune dal 1260 al 1302; viveva in via del Campo a Genova con la moglie Giacomina e tre figli Cibino, Lanfranchino e Francesco, ed aveva una villa anche alla Coscia nei cui pressi, essendo lontano dalla parrocchia, fece erigere una cappella ottenendo dal papa Nicolò IV –francescano- vi fosse un sacerdote fisso: è questo documento, datato 30 marzo 1289, che testimonia  l’esistenza di una “ecclesia” dedicata a Maria ed appartenente alla preclarissima ed eccellentissima famiglia Cybo; fervente terziario francescano, per i frati fece erigere –con Andrea Fieschi, nel 1250- una specifica monumentale chiesa a Castelletto;  morì nel 1311 sepolto nella sua chiesa con l’abito dei terziari francescani).

ed invece, morto nel 1611,=Alderano  (figlio di Alberico, aveva sposato Marfisa d’Este e pertanto risiedeva stabilmente a Ferrara seppur divenuto poi viceré di Napoli; era padre anche di Carlo che abitava in via del Campo, sposo di Brigida Spinola, e che alla morte del nonno (1623) ereditò la corona di Massa spostandosi in quella città con la famiglia: aveva - stipendiato al suo servizio - l’ organista Andrea Bianchi); uno divenuto vescovo di Marsiglia  (Giambattista, 1508-1550); una poetessa, molto amata dai contemporanei  (Leonora, del XVI secolo); uno scrittore di annali (Giovanni Recco del XVI secolo, che continuò quelli del Bonfadio).

Un ricco mercante Francesco, detto Franceschetto (sposò nel 1488 Maddalena, figlia di Lorenzo il Magnifico de Medici divenendo nipote del papa LeoneX e cugino della regina di Francia Caterina.  Viaggiò molto, specie a Roma e Pisa ove aveva beni ereditati dalla moglie. Ebbe due figli maschi: il primo prese il nome di Innocenzo (dall’avo (nonno?) paterno papa Innocenzo VIII; divenenne poi potente cardinale, vicino ai papi LeoneX e ClementeVII; si presume abbia avuto una relazione con la  cognata Ricciarda Malaspina dalla quale nacque  Alberico–vedi sotto-).

Il secondo, nato in conseguenza di  un soggiorno di Franceschetto più prolungato in Liguria dovuto alle guerre con Pisa, ebbe il nome di Lorenzo, dal nonno materno, chiamato anche Lorenzino (nacque nella villa di San Pier d’Arena e crebbe a magnificenza e potenza, divenendo ambasciatore in Francia presso FrancescoI, poi -trasferitosi a Roma- scalò la gerarchia sino ad essere comandante generale delle milizie dello Stato Pontificio; si sposò con Ricciarda Malaspina di Massa Carrara, divenendo marchese delle due città, ma ebbe un matrimonio infelicissimo per cui si separarono (lui andando a stabilirsi a Pisa) da cui scaturirono notevoli sciagure.     Ebbe come figli Giulio (famoso cospiratore, 1525-1548, fratello del sottocitato Alberico; ardimentoso ma superbo, indocile e sprezzante; dapprima affrontò lo zio papa riportando alcune vittorie ma infine fu sconfitto dagli spagnoli; in seguito -appena fallita la congiura dei Fieschi del 1547-, tentò un colpo di mano a Genova contro i Doria a favore dei francesi ma, catturato a Pisa per delazione della stessa madre si spostò a Milano ove proseguì nelle sue trame fino ad essere giudicato colpevole e portato a morte sul patibolo:  fu  decapitato nel castello milanese il 18.5.1548 (il Semeria dice nel 1550); mentre i suoi complici furono giustiziati a Genova);  ed  Albericoprobabile figlio di una relazione tra la madre ed il cognato Innocenzo Cibo (cardinale), visse dal 28.2.1534 al 18.1.1623. Anch’egli col titolo di marchese di Massa proseguì la potente signoria potenziando il borgo con un castello sino a farne una città di cui divenne principe nel 1590 per nomina imperiale (da Rodolfo II, imperatore del Sacro Romano Impero: sovrapposta allo stemma di famiglia fu autorizzata un’ aquila bicipite trattenente fra gli artigli una cartella col motto ‘Libertas’). Dimorando gran parte dell’anno a Genova, fu acceso studioso, grande cultore e raffinato intenditore d’arte  da essere definito ‘accarezzevole accoglitore dei virtuosi’; partecipava attivamente alla vita mondana della città presenziando feste, tornei, rappresentazioni di commedie e musiche. Ebbe innumerevoli titoli quali Cavaliere di san Jago, gentiluomo alla corte di FilippoII di Spagna, duca di Ajello, patrizio di Genova, Venezia Roma e Firenze. Studiò la storia della famiglia raccogliendo le gesta dei suoi antenati. Fu lui che nel 1585 restaurò e rinnovò la chiesetta dedicata alla beata Vergine di cui la famiglia era patrona; Alberichino, è citato perché, figlio di Alberico, nel 1609  «stette sì male a Peggi (Pegli), che si tenne per morto; di poi si condusse a Marassi dove migliorò… et hora, di Settembre, si trova a San Pier d’Arena con buon sentimento, che Idio lo conservi»; Veronia ( 1611-1687, tristemente famosa perché uccise l’amante del marito e, dopo averla decapitata, ne inviò la testa in un paniere al consorte: ispirò un romanzo a D.Guerrazzi); Nel 1690 Francesco Maria scrive possedere - nel serenissimo dominio - sei cappelle, lamentando che le rendite di esse si prendono, e gli obblighi e i sacrifici si trascurano;  di esse una in San Pier d’Arena (nelle note si precisa essere nella “chiesa S.Maria”, quindi alla Cella); altre in cattedrale, due in s.Marcellino, una in s.Siro ed una in s.Francesco;  Carlo principe di Massa: nel 1630 appare nell’elenco dei ‘ricchi’ per le fonti fiscali e risulta al terzo posto dei milionari con una cifra di imponibile pari a 2.293.333 lire di allora;  un altro Alderano signore del principato di Massa e Carrara :  oberato da debiti negli anni attorno al 1724  cercò di vendere il dominio ai Genovesi a cui faceva gola per contrastare Livorno ; ma l’anno dopo sposò la figlia Maria Teresa , probabilmente ancora bambina,  con Ercole Rinaldo d’Este, a cui ella così portò in dote il titolo ed il controverso territorio .

   Non ultimo, ma più importante, un papa (Gian Battista, che divenne papa Innocenzo VIII; nato a Genova, da Arano e da Maria De Mari nel 1432, scelse i voti religiosi quando nel 1467 rimase vedovo di una nobile napoletana, seppur con due figli; dapprima vescovo a Savona (1472) e poi a Molfetta; poi cardinale (1473 col titolo di santa Lucina) durante la cui carica seppe reggere le redini della chiesa di Roma quando papa Sisto IV era fuggito in campagna per una ondata di peste (1476), ed anche guidare numerose missioni di pace nei regni vicini (Siena, Napoli, Milano, Firenze). Alla morte del papa, il 29 agosto del 1484  fu eletto al trono di san Pietro, e si dice scegliesse quel nome in memoria e prosecuzione del concittadino Innocenzo IV. Di indole genericamente retta e pacifica, seppe mantenere anche con le armi gli instabili equilibri dei tempi : armò un esercito, ricco di genovesi e veneziani,  comandato da Roberto Sanseverino, contro il re di Napoli Ferdinando, per donare quel regno a re Carlo VIII di Francia; ed un altro esercito contro gli Ussiti in Boemia con i quali la guerra religiosa durava da troppi anni.   Favorì le arti, ed abbellì Roma , difendendola anche contro gli eccessi dell’ Inquisizione spagnola (la famosa Torquemada), con una breve del 1485. Si descrive che appoggiò personalmente Cristoforo Colombo ai sovrani spagnoli, usando il legato pontificio per incoraggiarne la missione. Morì a Roma; sul sarcofago è incisa la data luglio 1497; ma in altre righe ed altri scrivono “25 luglio 1492”,  79 giorni prima della scoperta dell’America). Il solenne e bronzeo monumento funebre (unico monumento funebre dell’antica basilica di san Pietro a Roma, sopravvissuto dal 1621all’interno della nuova) scolpito da Antonio Pollaiolo nel 1492-8, appare sdoppiato: per l’immagine del papa vivente (benedicente con la destra, e con la punta della lancia del centurione romano Longino -che ferì il costato di Cristo nella sinistra -reliquia giunta a Roma per inatteso regalo del sultano dei Turchi Bajazet II, terrore dell’occidente cristiano) sovrastante il grande sarcofago con sopra la seconda effige, del papa morto. La scritta “INNOCENTIVS VIII CIIBO, JANVENSIS.PONT(ifex).OPT(imus).MAX(imus) – VIXIT ANNOS VII ME(nses).X.DI(es).XXV – OBIIT.AN(no).DNI(domini).MCDIIIC.M(ense).IVLII” , specifica il sepolcro, la durata del papato, la data della morte; ed è sovrastata dallo stemma dei Cibo (ovale, con nel quadrante superiore la croce di Genova; nei 2/3 inferiori una banda trasversale da sinistra in alto a destra in basso di quattro strisce quadrettate a scacchiera).

   Per San Pier d’Arena importante fu Matteo perché fu il secondo abbate commendatario di san Bartolomeo del Fossato (nipote del papa Innocenzo VIII e vescovo di Viterbo e Toscanella) e fece apporre lo stemma della sua famiglia sulla facciata della chiesa.

   Nel libro ‘Rubens e Genova’ a pag. 107 si cita un Lazzaro Grimaldi Cebà, doge 7/XI/1597-15/II/99, proprietario della villa H a Genova in via sVincenzo-viaColombo; che essendo senza prole chiese essere sepolto in san Siro e – se non possibile - “nella cappella costruita dallo zio Paolo Cebà nella villa di San Pier d’Arena” (nessuna altra notizia di questo Paolo; e per villa, intendo borgo).

   Nel 1528 divenne una delle famiglie nobili più importanti di Genova, costituendo uno dei 28 “alberghi” nobiliari cittadini; nel 1899 però il ramo genovese appare completamente estinto .

   Perché dalla famiglia Cybo, il nome del vicolo sia divenuto Cibeo non è dato sapere; apparendo chiaro sia un aggettivo, forse va  riferito  a quanto   era nei limiti dei possedimenti, specie con le terre dei Pallavicino, e soprattutto la chiesa:  nel suo testamento, datato 8 mar.1608 Emilio Cibo segnalò una irregolarità d’uso nella chiesuola di proprietà della famiglia, e  pretese la chiusura di una porta che connetteva direttamente la villa dei Pallavicino con la chiesa: forse è da questo fatto, o similare,  che quello che era nel territorio  della villa, era da considerarsi ‘dei Cybo’, cioè cibeo.

 

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-non c’è nelle Famiglie nobili +