CARZINO                                           via Alfredo Carzino

 

TARGHE:

via - Alfredo Carzino – “Milio” – caduto per la Libertà – 1899-22-XII-1944

via – Alfredo Carzino – caduto per la Libertà

                                    

angolo piazza Vittorio Veneto

 

nella rientranza, presso il civ. 2

 

angolo ovest via A.Cantore

 

angolo est, vie N.Daste-A.Cantore

 

QUARTIERE ANTICO: Castello

 da MVinzoni, 1757. In giallo la Creusa dei Buoi; rosso via NDaste; celeste, via della Cella e antica salita Belvedere

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2746      CATEGORIA:  1

 da Pagano/1961

 

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n° :   13180

UNITÁ URBANISTICA:   26 - SAMPIERDARENA

 da Google Earth 2007

 

CAP:   16149

PARROCCHIA:   s.Maria della Cella

STRUTTURA:   senso unico viario dal confine via A.Cantore-via N.Daste, al confine via G.Buranello-piazza Vittorio Veneto.

La numerazione prosegue iniziando da via Buranello.

Strada comunale carrabile, lunga 139,90 metri e larga 6,05; con due marciapiedi  larghi 1,62.

La parte a ponente è adibita a posteggio auto

E’ servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera

STORIA:  Essendo stato un sacerdote col titolo di principe Centurione a vendere la casa a don Daste, va de sé che tutta la strada è sorta nel terreno - una volta - di proprietà della nobile famiglia, residente nel palazzo omonimo in piazza del Monastero  (anche il sottopasso ferroviario, nei tracciati schematici delle Ferrovie, adeguandosi viene chiamato dapprima ‘Centurione’, poi G.Mameli’, poi A.Mussolini, infine A.Carzino).

   È storia non comprovata da documenti, che Teresita – figlia di Garibaldi e sposa di Stefano Canzio (figlio di Michele, stuccatore di grande fama) - abbiano abitato nella via. Un dipinto del Vernazza (al Monastero) rappresenta Teresita assieme al marito all’inaugurazione dei giardini di villa Scassi (chiamati ‘passeggiata G.Alessi’), nel 1890.

   Alla fine 1800-inizi del 1900, la strada era dedicata a Goffredo Mameli  (ora a Genova in Castelletto), anche se popolanamente la località era chiamata ‘in scià Providensa’  per l’attiva presenza di don Daste e del suo richiamarsi ad essa per il futuro delle sue opere, nonché dell’Universale che aiutava i soci in difficoltà, con le sue sovvenzioni.

   In quegli anni, nella strada esistevano sette civici di cui : all’1 la Soc.Universale di MS ; al 2 casa Pittaluga Bartolomeo; (il 3 è saltato); al 4 casa Cipollina, Paolucci e C; al 5 e 7  casa Chiesa Lagorara e C ; al 6 Ist. della Provvidenza .

   Nel 1910 la via Goffredo Mameli, che collegata via V.Emanuele con via N.d’Aste (sic), appare con civici sino all’8 ed al 3.

  Tale rimase, sino a quando sotto il regime fascista, dopo delibera del podestà del 19 ago.1935, fu deciso il cambio nome con “via Popolo d’Italia”; nome tratto dal titolo del giornale quotidiano che Mussolini aveva fondato a Milano nel nov.1914  (dopo aver diretto per due anni il giornale socialista l’“Avanti” ) e che cessò la pubblicazione il 25 lug.1943. 

 

anni 1935. Stanno finendo il palazzo in via Cantore            anno 2008

 

  Dopo il conflitto mondiale, su delibera della giunta comunale del 19 lug.1945, la strada fu dedicata al partigiano.

 

CIVICI

2007: NERI    = da 1 a 7                e da 2 a 8 (compresi 2ABC)

          ROSSI =  da 5 a 45 (mancano 1 e 3; compreso 13AC –manca B)

                          da 2 a 30 (compresi 2ABCD)


   Nel Pagano/50 si segnalano: al 43r l’osteria Bigozzi M.;  ed al 2Br il bar dell’Universale.

 

 

 

=La numerazione è progressiva da mare a monte

===civ.  2,   la palazzina della Società Operaia Universale.

   All’esterno dell’edificio, in  un  grosso  riquadro nell’intonaco, campeggia la scritta  “associazione Operaia Universale - 1851“: rappresenta simbolicamente tutta la lotta compiuta dal popolo -dopo i più eclatanti episodi francesi della Bastiglia e delle guerre risorgimentali, ma non per questo meno faticosi e sudati-  per acquisire la dignità e soprattutto la libertà di poter decidere di se stesso.

 

                                  

     

 E non è  poco, se sino ad allora da secoli, aveva comandato e deciso unilateralmente la classe ricca, o aristocratica, o armata (ed in Italia, pressoché sempre, straniera). Ed ancora, in quegli anni seppur emergente la classe borghese, l’operaio era pur sempre tenuto in soggezione sociopolitica di postulante e senza diritti.

 

   Quello che ogni cittadino gode oggi,  chiunque lavori, nacque qui, da questa gente.

   Dal 1815 Genova fece parte, volente o nolente, del regno di Sardegna. Dell’atavica Repubblica conservava però forte e ribelle lo spirito. 


Il popolo era dunque frastornato da due sentimenti concomitanti: da un lato l’amore dell’antico spirito repubblicano (con la propria autonomia democratica, fomentata anche sia dalle idee mazziniane, sia da un ribollire internazionale mirato a sovvertire l’ <ordine>, e sia anche da quei folli ribelli –genericamente malvisti e pseudobriganti- che fomentavano disordini chiedendo inutilmente appoggio alla popolazione); e dall’altro lato il forte freno delle idee conservatrici (della Chiesa, innanzi tutti, per la quale l’idea di dover combattere contro il Papa  era da negarsi a priori e quindi non facile da assimilare; della massa indifferente che viveva alla giornata e non capiva le proiezioni future continuando a subire come sempre; ed infine di quelli che nutrivano  speranza che la monarchia li guidasse all’unificazione e facesse nascere un orgoglio ed un amore di Patria).

  Nel caos iniziale ideologico, il sangue e le sofferenze furono un tutt’uno: il re perdeva le prime guerre ed i patrioti rappresentavano una dolente spina nel fianco, per cui andavano o in esilio o processati e –da lì- in galera, o –i più arditi- fucilati (tra i primi e più carismatico Bartolomeo Savi, garibaldino e direttore del quotidiano mazziniano ‘Italia e Popolo’ : fu condannato a 10 anni di lavori forzati per aver partecipato al moto del 1857)

Ma alimento indispensabile per i futuri programmi del re furono proprio quei suoi apparenti avversari, usati poi per l’accrescimento graduale anche se contrastato della Nazione –sfruttando il loro sangue ed il loro  sviluppo maturo e responsabile dimostrato con iniziative “fai da te” quali l’Associazionismo-. Le guerre di Indipendenza e la mèta di una patria unita, furono così  il collante tra la agognata repubblica e la sopportata monarchia.

   L’Italia era ancora da unificare, e già dal 1848 (fallimento delle prime campagne militari e promulgazione dello statuto), iniziarono a manifestarsi sempre più apertamente in Italia - ma in Genova in particolare - idee comunitarie ed associazionistiche, mirate a migliorare le condizioni economiche e sociali in genere, e soprattutto l’istruzione degli operai, i più dei quali, analfabeti.

Analfabetismo. (Fu solo nel triennio giacobino - che iniziò a maggio del 1797, a Genova insieme agli inneggiamenti alla ‘libertà’, al giansenismo, alla lotta controrivoluzionaria del ‘viva Maria’ - che il 2 dicembre si propose un referendum  al quale parteciparono oltre 120mila cittadini maschi e ultratrentenni: 115.890 votarono a favore di una costituzione che faceva nascere la Repubblica Democratica con Luigi Corvetto al Direttorio. Primi provvedimenti la liberazione degli schiavi e l’inizio ufficiale del tema ‘istruzione popolare’. Ma i tempi non erano erano maturi in tale direzione, e ‘lo spirito laico’ era sempre in pesante difetto rispetto quello ‘religioso cattolico’. Infatti, se consideriamo che –leggi nelle prime righe- nel 1848 e a livello laico ancora solo ‘se ne parlava’; e che nel 1861, all’Unità, i tre quarti della popolazione era sempre analfabeta, con punte del 90% in alcune regioni, e migliori, del 54,2%, in Liguria. I vari censimenti, succedutisi in Italia a ritmi decennali, nel 1871 indicano lieve miglioramento (dal 75 al 62% gli analfabeti) in una massa ancora eccessivamente trascurata, anche perché dispersa nel prevalente lavoro agricolo (favorita invece l’aggregazione in città, specie negli addetti al lavoro industriale e accomunati nelle associazioni operaie). È solo da allora che scatterà la ricerca di personale qualificato all’insegnamento    e si darà prioritario impegno statale a questo tema.

   Ampiamente meritoria appare quindi l’iniziativa delle società sampierdarenesi: Unione Fraterna e Unione Umanitaria, che per prime e dal 1854 - aprirono i ‘gabinetti di lettura’ e promossero le biblioteche circolanti con prestito agli affiliati (Francesco Meronio, Pietro Botto, Carlo Meronio, Luigi Stallo). Solo a fine secolo, saranno favorite le edizioni sia di fogli settimanali  (La Maga, il Corriere Mercantile, Italia e Popolo) e sia di libri (Mazzini, Cattaneo, Gioberti, Saffi; ma anche Dante, Ariosto, Tasso – e poi i più moderni  Foscolo, Monti, Carducci, ecc.).

Ciò malgrado, e se pur con risultati eclatanti, ad inizio 1900 la strada della lotta all’analfabetismo era ancora in salita).

   Mazzini fu il promotore di questi programmi che - se giusti ed ovvi nell’ottica di oggi - erano scandalosamente rivoluzionari e da respingere a quei tempi.  Le sue idee espresse quando  il potere decisionale era ancora appannaggio di troppo pochi, riuscirono a sopravvivere sia per aperta dimostrazione delle loro virtù e bontà, tramite, per esempio, l’ Associazionismo concesso dal nuovo statuto Albertino del 1848, ma sia per maturazione culturale ed intellettuale dei sudditi -stante la necessità storica- obbligati a mantenersi inizialmente nel nascosto, nel ‘carbonaro’, nelle ‘società segrete’, nella massoneria. 

   Storicamente accettato che il primo movimento associazionistico-cooperativo fu nel 1844, inglese (a Rochdale nel Lancashire. Nel periodo storico corrispondente all’ esplodere dell’industria, ed in parallelo alla perdita di potere finanziario della nobiltà ed all’emergere impetuoso del corrispondente potere della borghesia, nasce la ‘coscienza civile’. In Francia, era esplosa con la rivoluzione e – a suo seguire – con il periodo di Napoleone Buonaparte; in Russia da poco la rivoluzione aveva portato al potere il comunismo; in Inghilterra invece la coscienza civile del popolo si svilupperà con il corporativismo e l’associazionismo. Non a caso Mazzini era profugo in Inghilterra, perché propugnasse l’ideologia della solidarietà  (all’inglese: rifiuto della carità e beneficenza e - idea innovativa - ricercare il benessere collettivo con la cooperazione) e perché negasse l’ideologia anarchica (per prima) e socialista (a ruota) che volevano risolvere il conflitto tra le classi sociali attraverso un moto rivoluzionario – al limite, anche armato.

   In Italia il primo fu piemontese, nel 1849 (favorito dallo Statuto di Carlo Alberto – promulgato il 12 ottobre 1848 - che liberalizzava la possibilità dell’associazionismo e del riunirsi tra cittadini).

Ma da porre in un piano diverso da quello genovese, proprio per una diversa visuale, sia rigurdante le modalità (in Piemonte, create dagli stessi padroni o comunque da elementi moderati ligi al governo e mirate a ‘tenere buoni’ gli operai proponendo solo  svolte prevalentemente salariali; quindi la sola assistenza degli operai, che permetteva ampia tolleranza e partecipazione da parte del governo e dei ricchi o benestanti) e sia le finalità (a Genova, tanto da contare prioritariamente avversità da  parte delle autorità locali e torinesi, da poco, il 16marzo1848 i  minolli con i marinai e barcaioli, a San Pier d’Arena avevano violentemente tumultuato; due giorni dopo i facchini applicarono una rumorosa dimostrazione di piazza;  il 23 marzo 1849 erano state erette barricate anti  Savoia con la soppressione eseguita dai bersaglieri di LaMarmora; l’idea repubblicana mazziniana e di indipendenza era fortissima; iniziavano a nascere ‘i rossi’ con tendenze sovversive. Quindi Genova era pericolosissima per l’intendente Generale Antonio Piola: laddove i propositi  di assistenza in realtà nascondevano priorità politica democratica: rivoluzionaria, repubblicana, mazziniana in genere, unitaria e di indipendenza; la stampa  - La Strega, il Balilla, l’Italia Libera, L’Italia - erano veicolo di idee tendenzialmente sovversive).

   In Liguria nacque l’anno dopo, 1850: dapprima a Imperia (prima a Oneglia e subito dopo a Porto Maurizio); ovvio che, come già detto, Genova sia rimasta indietro, essendo nel frattempo avvenuta la rivolta antisabauda del 1849.

Da Londra, Mazzini – affiancato da ASaffi - propose un ‘prestito nazionale italiano’ mirato ad affrettare l’indipendenza e la libertà d’Italia. La cedola del prestito certificava la somma in franchi; in Italia chi fosse stato trovato in possesso di una cedola, poteva essere processato e condannato a morte.

   Sono del 1851 (sempre in Liguria: a Sanremo, PietraLigure e Chiavari; a Genova con la iniziale disapprovazione e sanzioni della Curia, il 9 febbraio nacque la prima associazione di Mutuo Soccorso nell’oratorio de’ ReMagi, presieduta da don Giuseppe Piaggio prevosto di sanDonato, aperta da artigiani (specie dell’Associazione Tipografica Genovese e la Società Filantropica Lavoranti Sarti), da borghesi inseriti nel mondo del lavoro e da aristocratici, con carattere di assistenza generale. Il giorno 24 si inaugurò la seconda, diretta da BartolomeoFrancesco Savi  prevalentemente operaia ma anch’essa molto eterogenea, studenti, fornai, maestri, farmacisti ed altre 50 categorie (due anni dopo si uniranno in Confederazione; rappresentava le varie qualità prevalentemente dell’artigianato: falegnami, muratori, sarti, fabbri, facchini, tipografi, barcaioli).   

Nel genovesato infine =dopo l’associazione voltrese nata a gennaio (la sms ‘Dio e Umanità’;   recenti ricerche la anticiperebbero al 1846!); seconda, creata da soli operai, laica, il 5 ottobre di quello stesso anno vide la luce a San Pier d’Arena (quando il borgo aveva circa 9.079 abitanti, non più servitù di aristocratici in villeggiatura ma, i più, occupati nell’artigianato e nel commercio; poche decine nell’industria, pesca, minolli; pochissimi nel porto perché ancora distante, ed agricoltura) una società di Mutuo Soccorso, che fu battezzata   ’soc.Unione Fraterna (V.Armirotti in una sua relazione letta il 26 sett.1886 in occasione del 35° anno di vita,  pone prima nata nel 1851 la soc. Unione Fraterna; e  seconda -1852- “un’altra associazione” non nominata ma che poi si intuisce essere la Umanitaria.

L’idea fu attuata dal medico Parodi e da un gruppo di operai  (capeggiati da  Francesco Bordin -Tuvo scrive che si  chiamava Ainé Bardin- il quale assieme ad un fratello e ad altri colleghi di origine francese o savoiardi, tutti accomunati dal lavoro in una fonderia ed officina del gas (vedi a ‘Carrozze’), a conoscenza delle esperienze nazionali di associazioni già fiorenti, il giorno di Natale del 1851 seduti ai tavoli della trattoria Cagnarin nella crosa dei Buoi diedero vita a questa Associazione, ben accolta da altri soci italiani, strettamente tutti di fede repubblicana. Ovviamente l’inizio fu stentato ed osteggiato).   Tuvo segnala dei bilanci dell’Unione Fraterna: anno 1858: capitale sociale £.314,80-entrate £. 680,80-uscite £.880,60. Anno 1859: 9,29-730,20-950,86. Anno 1860: 362,72-969,00-606,25. 1861: 1458,15-1594,10-747,00.

Il movimento nasce con enormi difficoltà (non solo la mancanza di soldi – la vita dell’operaio era al limite della sopravvivenza e troppo spesso mancavano i mezzi da distornare per una quota associativa; ma anche ostilità governativa che vi legge la base più dura dell’opposizione rivoluzionaria (sequestri, chiusura e scioglimento, arresti o esilio); e per l’assenza di protezione da parte dei benestanti ancora mentalmente portati a finanziare beneficenza).

   Separatamente, qualche mese dopo nacque nel borgo un’altra associazione: col nome di “S.M.S. dell’ Unione Umanitaria”. La prima sede di riunione  fu  un locale a capannone posto all’inizio a monte della stessa strada di oggi in zona Mercato dove iniziava corso DAlighieri (oggio cso Martinetti) (facente parte delle proprietà della fam.Rolla, la cui  casa-villa privata era alla Fiumara) e gestito da ‘Baciccia di mûin (GB dei mattoni). Primo presidente fu Luigi Casanova -aiutato dal cap. Devoto Francesco  (un lupo di mare, detto o Carubbæ); e dagli operai Testa Angelo (detto û Zuetto), Ferrando Giuseppe (detto û –ma si scrive ‘o’Ratella), Pittaluga GB (detto û Carubba) e Pavese Pietro. Il presidente, sia perché inesperto, e sia perché vessato dall’incomprensione tra le nuove idee (laiche, e con Mazzini che era riconosciuto all’unanimità socio fondatore) e quelle conservatrici (religiosi: la Curia del tempo, rimase stranamente  perplessa,  preoccupata, e concluse per un parere sostanzialmente negativo) promosse delle attività imitanti più le confraternite ed i cerimoniali tradizionali anziché proponenti quello spirito innovativo che diverrà poi la caratteristica forte della Associazione.

  Il seme era stato gettato: il nome stesso se implicava  “operare con umanità e moralità” nel campo del lavoro, implicava il concetto di unione al fine di autoemanciparsi, come poi anche “sovvenire ai soci resi malati ed a quelli che per infermità, vecchiezza, saranno divenuti inabili al lavoro”. É questo il vero miracolo della loro nascita: non aver fatto una rivoluzione o sommossa, ma aver reagito all’inglese da “self made man”: con dignità, acume ed autonomia, in quanto i problemi di fondo della popolazione, gradatamente in aumento  non erano affrontati né conosciuti dal governo centrale torinese: immigrati poveri, ignoranti, impreparati (e quindi soggetti al facile abuso del padrone), pieni di figli (la mortalità infantile era altissima), spesso malati (tubercolosi, malaria, alcoolismo ai più alti livelli nazionali, denutrizione; comunque per i più la prospettiva di vita non superava i 55-60’anni).

I primi bilanci dell’associazione dimostrano un discreto interesse: 1858: capitale 2271,70-entrate lire 1456,19. Anno 1862 capitale 2438,07-entrate lire 1267. 

Come sempre all’inizio, tale iniziative furono appannaggio di pochi; e pochi, inizialmente legati solo da una grande sensibilità; non certo favoriti da cultura, ampiezza di vedute politiche, contatti con altre   associazioni per confronti e produzione di idee (i marinai informavano sulle iniziative anglosassoni dopo vari mesi di navigazione; Parma, Pavia, Milano erano all’estero e con esigenze diverse); rispetto invece la massa che inerte e potenzialmente povera, era vesseggiata nei servizi senza calmieri dei prezzi (e di rimando e molto presumibilmente- soggetta agli usurai), senza igiene né assistenza sanitaria né ospedale, senza scuole né attività ludico sportive per i giovani; Mazzini stesso –allora cinquantenne, era da tempo in esilio e comunicava con lettere non ufficiali (altrimenti soggette a censura) che impiegavano settimane a pervenire e quindi lui stesso non diretto organizzatore ma solo lontano ideologo di una vaga chimera rivoluzionaria che poi ciascuno cercava di realizzare mettendo in pratica ed agendo secondo il proprio buon senso ed iniziativa. 

   Nel 1854 le due associazioni favorirono assieme l’apertura di un terzo centro con chiari scopi politici, chiamato “gabinetto di lettura e di culturaaperto in ‘via dei Banchetti’ (via Goito), in una grande sala che era comunemente chiamata ‘Zane’ dal nome di un marionettista che in vernacolo vi lavorava col suo teatrino, con celato ma ovvio indirizzo politico, ovviamente senza satira né ironia non ancora concesse. Questo centro, sia per la propaganda che per il laicismo, fece scandalo; ciononostante gli operai più colti e vicini alle vicende italiane ed europee, riuscirono a coinvolgere sempre più alto numero di giovani che desideravano uscire dall’ignoranza ed isolamento. Nel 1854-8 fu da loro promossa una coraggiosa propaganda e partecipazione per le imprese di Carlo Pisacane (partecipe con lui fu Carlo Rota, che finirà prigioniero), Nicotera e Rosolino Pilo. 

   Due anni dopo le due società (con 250 soci) iniziarono a palazzo Boccardo (una ex-villa dei Centurione in via del Mercato 11, oggi distrutta, posta all’altezza di via A.Cantore civ.51-angolo di levante di via GBMonti) l’attività delle scuole serali  per operai: enorme era a quei tempi il numero degli analfabeti: si proposero corsi di colturamento anticipando l’apertura di scuole pubbliche, sia con l’ istituzione  di biblioteche che corsi elementari, disegno meccanico ed ornamentale, ma poi anche attività ludico-sportive (ginnastica, scherma e tiro a segno con carabina; la ginnastica darà vita alla Sampierdarenese; le altre due furono curate da Mosto con allievi Galeano, Quirico Moggia, Meronio ed i Canepa,  senza celato scopo di preparare futuri combattenti capaci di imporsi al nemico usando le tecniche delle nuove armi da fuoco. Si posero così le basi per la nascita dei Carabinieri intesi -non come oggi arma militare- ma come esperti nell’uso della carabina, che praticamente tra pochi anni  faranno vincere le battaglie a Garibaldi nella spedizione dei Mille, facendo da lontano vuoti spaventosi nelle truppe borboniche ancora strettamente inquadrate).

   Infatti nel 1857, dei Volontari tentarono di partire verso il meridione, sul piroscafo Cagliari, con Carlo Pisacane. Tra loro Carlo Rota, che poi fu fatto prigioniero e incarcerato a Favignana

   Di nuovo nel 1860 con Garibaldi ed i Mille: ma per disguidi Stefano Lagorara, Lorenzo Castello, Michele Danovaro e altri, non giunsero in tempo all’appuntamento di Quarto cosicché autonomamente raggiunsero poi la Sicilia con Medici, Cosenz, Pianciani e Nicotera. dopo aver raccolto (e nella fonderia Fossati addirittura si fabbricavano) armi e munizioni da portare o inviare per le loro operazioni di guerra. 

   Nel 1861 si  fondò un giornale cittadino intestato ‘l’Operaio’.      

   Dopo nove anni di intensa attività volontariale socio economica, e ad Unificazione avvenuta, nel 1862, aderirono all’ ‘Emancipatrice’ fondata da Garibaldi avente carattere provinciale seppur espansa in tutta la penisola (assieme alla soc. Volontari italiani’).

   Ma il 9 marzo 1862, dalle autorità fu decretato lo scioglimento  forzato  di tutte le società di MS.: la polizia non sempre trovava le prove che andava cercando con perquisizioni massive dei locali (in effetti nell’ambiente giravano sia personaggi che scritti, allora giudicati sovversivi; e –come detto- anche armi, sino a veri e propri arsenali, teoricamente disponibili per i vari patrioti, tipo quelli attivi a Sarnico ed Aspromonte nel 1862; nel Friuli, 1864; in Tirolo, 1866; nell’Agro romano e Montana, 1867). Dovettero tutte seguire  la stessa  sorte, chiudendo.  

    Ma i soci sampierdarenesi delle tre associazioni (Umanitaria, UnioneFraterna, Gabinetto diLettura – fino ad allora tenute separate per illudere la polizia – con i suddetti Devoto Francesco (capitano lupo di mare), Francesco Bardin, Pittaluga, Testa Angelo (o Zuetto), Ferrando Giuseppe (o Carubba)Casanova Luigi, Pavese Pietro assieme a Dellacasa GB, Morando Giovanni, Botto Pietro (partecipò all’impresa dei Mille, come risulta dai dati in Archivio, ma partì con una spedizione successiva, forse con quella di Agostino Bertani (agosto 1860 periodo coincidente con il rilascio del suo passaporto per Sicilia e Napoli del 5 agosto 1860. Sulla tomba alla Castagna, sta inciso «PIETRO BOTTO 1836 -1913 con Mazzini nel pensiero con Garibaldi nell’azione / la famiglia / il Comune /

le associazioni operaie repubblicane»), Romairone Natale, ed altri)  subito convocati il 24 agosto, fusero le tre società (Umanitaria, Unione Fraterna e Gabinetto di Lettura) sino ad allora tenute separate anche per evitare azioni repressive di polizia. e costituirono  una nuova “Associazione Generale democratica di mutuo soccorso ed istruzione degli operai di San Pier d’Arena”, con sede dove era il Gabinetto di Lettura.

   Mentre tanti in quel mese di aprile si adoperavano a mantenere in vita l’associazione, altri convenivano  (mantenendo i contatti con Genova (ove erano i ‘migliori’ di fede mazziniana come Crispi, Bertani, Quadrio, Campanella, Macchi ed altri che consigliavano ed eccitavano la gioventù, e cooperavano al comitato del Partito d'Azione) per curare l’ideologia militaresca che doveva sfociare nella spedizione in Sicilia: Maurizio Quadrio, ch'era come il vice-Mazzini, di Francesco Bartolomeo Savi, Antonio Mosto, Stefano Lagorara, Felice Casaccia. Ed operosissimi si ‘addimostravano e presti a qualunque fatica’ Cesare NattaFrancesco Moro detto Baxaicò, Felice e Giovanni Dagnino, Giovanni Battista Casareto, Garibotto, Abbondanza, Tassara, Michele Danovaro, Giuseppe Oneto, Lorenzo e Gerolamo Castello, Giacomo Canepa. Molti di essi partirono per la Sicilia anche nelle fila dei Carabinieri Genovesi.

Con un gruppo iniziale di 200 soci, praticamente rappresentanti due diverse categorie: più numerosi quelli che lavoravano nelle industrie di quelli con mestieri diversi, come facchini, trasportatori, negozianti, ricamatrici e contadini. Per auto sostenersi organizzarono anche esposizioni d’arte o industriali o manifatturali. 

Tutti ferventi assertori delle idee mazziniane e apertamente seguaci delle sue dottrine (“i diritti non sono altro che il portato dei doveri compiuti: fate sempre il vostro dovere e poi reclamate –non solo, ma vogliate- il vostro diritto”. Queste erano  comunemente al vaglio degli iscritti, supportate  con riunioni, lezioni, discussioni ed anche sottoscrizioni volontarie pro-Mazzini: ufficialmente una associazione di carattere assistenziale, ma con più o meno aperta attività politica a favore  del movimento repubblicano), erano quindi sotto continuo stato di controllo poliziesco per subodorata (ed effettiva) attività antirealista piemontese  ed antitemporale del Papa.

   Quindi, seppur elogiati dagli amministratori pubblici ((quasi sempre a loro volta iscritti all’associazione) per le iniziative a carattere sociale specie per le calamità pubbliche, le malattie individuali, i casi di invalidità (specie da lavoro), per l’educazione dei giovani operai. Tipico il periodo del colera del 1854-5 : in questa occasione, il Municipio della città istituì un comitato cittadino di soccorso ed assistenza presieduto da due iscritti V.Armirotti e N.Barabino, ai quali fu poi riconosciuta una medaglia d’argento al valore civile, che i due vollero estesa a tutti i collaboratori e che il Barabino volle sul petto alla sua morte; sostennero anche economicamente uno sciopero degli operai di Lione; rifiutarono di inviare al governo i dati statistici con i nomi degli iscritti; appoggiarono lo sciopero dei cordai raccogliendo fondi per essi) furono altrettanto ostacolati per l’impegno politico (non espresso apertamente, ma fermamente avverso alla casa reale regnante: i Savoia furono sempre poco sopportati dagli iscritti, se non come unico mezzo per arrivare ad un bene superiore che era l’indipendenza nazionale).

  

   Nel 1866 Garibaldi, aveva da poco fondato - con carattere nazionale - la “Emancipazione” e anche, unendo i vecchi patrioti e le nuove generazioni, la “Società dei Volontari Italiani”. In esse converse la nostra ‘assoc. generale democratica’ ottenendo un nome similare, valido per tutti:  la Società Generale Democratica” nella quale poterono ora operare “apertamente” nella sede del palazzo Boccardo già Centurione. 

   Double face quindi: da un lato li vediamo attivi in tutti i campi sociali,  messi in evidenza dall’enorme massa di operai immigrati (tutti poveri ed analfabeti, presenti in seguito all’esplosione industriale, ed illuminati da personaggi come Rota, Stallo, Armirotti, Meronio, i 4 fratelli Canepa, Roncario, Molinari, Derchi, ecc. da un altro continuare a cospirare (in ordine, prima contro l’invasore straniero, poi contro i Savoia e monarchi regionali, poi - per ultimo e con minore accanimento - contro il potere temporale della Chiesa).

   Così, anche se spesso praticamente “fuori legge” (l’aiuto decisivo ad organizzare la partenza dei Mille; nel raccogliere fondi per propagandare le idee repubblicane in tutto il regno, in appoggio anche ai famosi Saffi, Quadrio, Campanella; nell’adunare uomini e raccogliere armi per le imprese di Sarnico, Aspromonte, Friuli, Mentana, Digione e la Repubblica romana) e perciò strettamente “sotto controllo poliziesco” (nell’organizzare attività sindacali, riunioni, scioperi, ribellioni alle gabelle;  in un  momento sociale di grande trasformazione, con viva esigenza di migliori condizioni di vita sociale, economica, culturale, logistica, per svincolandosi soprattutto dal concetto di ricevere per elemosina e creare invece il concetto di diritto al miglioramento, inizialmente tramite la reciproca organizzazione. Erano tempi in cui l’operaio lavorava 18-20 ore al giorno. Erano in pochi a ribellarsi: non  tutti capivano e partecipavano alla lotta; anzi i più e più spesso erano i rinunciatari sfiduciati, mal guidati dal clero conservatore, spaventati dalle iniziative bellicose e dalle idee allora giudicabili antisociali e rivoluzionarie).

   La lotta all’ignoranza aveva fatto maturare i tempi perché l’Associazione producesse altri servizi utili al popolo, come favorire i primi abbozzi di Cooperative per l’acquisto a prezzi più miti dei beni primari  (erano nate nel 1864 - da questi semi apparentemente utopici - le Cooperative vere e proprie, specie in SPdArena quella di Produzione (vedi via Ulanowki) e di Consumo (vedi in via C.Rolando; con un primo spaccio in via A.Doria):  Sarà destinata a divenire la più importante organizzazione cooperativistica in Liguria; e tra le più importanti – ed esempio - a livello nazionale. Il suo regolamento ebbe appunto risonanza nazionale quale ideale da proporre alle sempre più numerose e neonascenti cooperative; perché si inseriva in modo nuovo ma perfetto nel tessuto sociale urbano, il quale a sua volta stava nascendo nuovo in seguito al richiamo della nuova industria, la quale – a sua volta ancora – dipendente dal nuovo sviluppo della meccanica nel loro funzionamento cantieristico, manifatturiero ed alimentare.

Da esse  nel 1901 l’Alleanza Cooperativa Ligure che – in SPd’A - univa le due più la Consumo fra Lavoratori e la Consumo tra Ferrovieri; e nel 1902 la Federazione delle cooperative comprendente carbonai, elettrici, calzolai, bottai, scalpellini ed i calderai; e nel 1903 l’UnioneRegionaleLigiure di tutte le Assoc.-Mutue-Leghe-Cooperative).

Con esse l’erezione di case popolari sane e munite di impianti igienici ed acqua ancora esistevano le cisterne alla base dei palazzi, per la raccolta dell’acqua piovana e l’uso dei lavatoi e fontanelle esterne¸ specie dopo l’epidemia di  colera; per iniziativa della Ass.Operaia MS Universale, nacque la prima cooperativa per la costruzione delle case popolari per  persone dette ‘meno agiate ‘ - vedi via Masnata -: il primo caseggiato in città venne inaugurato nel 1878 ed nel teatro Modena avvenne l’estrazione dei destinatari; nel 1882 il secondo, nel 1887 il terzo di 30 appartamenti; nel 1906 all’Esposizione internazionale svolta a Milano in occasione dell’apertura della galleria del Sempione, Osimo Augusto incaricato della Cooperativa fece parte della giuria che offrì unpremio in concorso al miglior progetto di case popolari operaie per l’Italia settentrionale: il Comune di San Pier d’Arena – presente con un padiglione proprio sul tema - partecipò con un progetto di casa con 200 appartamenti (700 persone) dotati di gas, elettricità, fogne; il risparmio  costituendo sempre nel 1864 una propria banca, chiamata ‘Banca Popolare di Sampierdarena’, aperta con i contributi della famiglia Gambero (importatori e commercianti all’ingrosso di cereali, con interesse nell’edilizia e cotonifici) nella via Vittorio Emanuele, presso la neonata piazza ancora senza nome ufficiale e quindi popolarmente conosciuta come piazza degli Omnibus: oggi pza Vittorio Veneto; se c’erano a Genova 4 istituti di credito di grosse possibilità di capitale (milioni), molto modesta era la nostra: 50mila lire  nel 1866, portate a 100mila l’anno dopo ed a 250mila nel 1889, con aumenti di capitale sempre modesti pari al 4-5% contro il 15-20% nazionale. Poi nel 1925 confluì in quella di Novara; le attività ludiche (la filodrammatica ed annesso teatro); non ultimo l’aiuto anche nella salute (con l’apertura di farmacie (la Operaia, inizialmente nell’attuale via SPd’Arena nei pressi di via T.Molteni, poi in via Molteni, oggi in via Avio;  e nel 1902  anche la vicina farmacia Popolare Sociale), di una cassa mutua (per i malati) e finanziamenti pro Ospedale come diremo tra poco).

  

Molti furono i volontari attivi nel frattempo: in occasione di Mentana (località vicino a Roma, ove il 3 nov. 1867 i Volontari garibaldini furono sconfitti dalle truppe francopontificie), troviamo che erano a combattere CRota, VArmirotti, CMeronio, LStallo. Ma dopo tale evento, il governo risciolse tutte le associazioni. Nello stesso giorno, i oltre 300 soci si riunirono nei locali della Banca Operaia e ricostituirono il solidalizio al quale, su proposta di Antonino Nicola detto Celle, fu dato il nome provvisorio di Ass.Op.di MS Universale, e la sede – causa chiusura – fu trasferita al quarto piano in via CColombo civ.12, nel palazzo DeLucchi (ovvi locali più piccoli con impossibilità di tenere aperte le scuole elementari e di disegno).

 

   Nel 1868, raggiunta l’unità nazionale, le associazioni poterono riaffermarsi; cessò la spinta  patriottica e tese a prevalere l’attività sociale e politica: l’Associazione partecipò attivamente al 1° congresso delle SMS liguri, sollecitando un congresso nazionale ed aprendo una sottoscrizione volontaria mensile di 5 cent. pro Mazzini (questi ringrazierà per aver ricevuto 47,25 lire).

 

quadro di Federico  Piccone                     foto del 1893 in occasione del raddoppio dei binari, da2a4

 

   Nel 1869-70, 21 maggio, V.Armirotti segretario, ed i consiglieri  -Meronio Carlo, Rota Carlo, Roncallo Angelo, Morando GB, Botto Pietro, Grondona Giovanni, Morasso Nicola- completando la riorganizzazione cambiarono ufficialmente nome anche se similare: “società Operaia Universale di Mutuo Soccorso di San Pier d’Arena”, ed adottando sia lo stesso statuto sociale precedente che le cariche dirigenziali. Questa scelta non venne accettata né dal questore né dal prefetto, ed ovviamente quindi osteggiata ulteriormente.  La sede era sempre in via del Mercato 11, in palazzo Boccardo, con una rappresentativa in via C.Colombo (v San Pier d’Arena, civ.17 - casa Delucchi, a fianco del teatro Ristori, 4° piano). In contemporanea venne inaugurata la fabbrica di pasta alimentare (che nel 1890 vincerà diplomi d’onore, medaglia d’oro e d’argento alle varie Esposizioni nazionali)

I soci effettivi salirono a 500: non molti, per un centro operaio così numeroso, ma pur sempre uno dei sodalizi più forti ed attivi, osteggiato dai benestanti e dal clero per l’atteggiamento progressista ed anticonservatore, e  sempre tenuto d’occhio dalla polizia con perquisizioni per i più banali motivi (ad esempio la lettera di ringraziamento di Mazzini, pur sempre un fuorilegge, trovò in quegli anni l’occasione per ispezionare,  sequestrare materiale, porre i sigilli anche alla biblioteca, controllando i passaggi alla porta della Lanterna e nel teatro Ristori), fino all’ obbligo - decretato dal Ministro G.Lanza e firmato dal Prefetto - di ennesimo scioglimento del gruppo (17 maggio 1870).

   Nel 1871 partecipò economicamente alla ristrutturazione dell’ospedale della villa Masnata,  contribuendo con la grossa cifra di 200 lire; propose una cassa per gli inabili al lavoro, per le vedove e gli orfani dei lavoratori che si realizzerà solo nel 1876; iniziò ad interessarsi anche degli asili, organizzandone l’apertura e l’utilizzo; partecipò in primo piano al XII congresso delle Società operaie (delegato Valentino Armirotti); protestò con manifestazioni, contro gli imprenditori che cercavano maestranze all’estero.

  Nel 1872, alla morte di Mazzini a Pisa (10 marzo), viene decretato lutto per un anno, e viene comperato un ritratto da porre nella sede. Venne aperto finalmente ma tra i primi in Italia, un Circolo Operaio Femminile.

  Nel 1874 si inaugurò una lapide dedicata a Carlo Meronio, socio dirigente  caduto combattendo con i garibaldini in Francia nel 1870. I soci sono mille ed il capitale raggiunge 88.600 lire.

   Nel 1875 nasce la Cooperativa di Costruzione case popolari per i Meno Agiati. Estrazione /ruota) al Modena. 1700 i soci.

   Nel 1876 venne istituita la prima cassa di quiescenza per gli inabili al lavoro, vedove ed orfani. Tutte iniziative che supplivano l’inettitudine del governo, e che anticipavano di molti decenni le assistenze ai lavoratori e suoi familiari .

   Nel 1877 fu votato lo statuto definitivo.

    Nel 1878 i soci erano saliti ad oltre 1500. Nel 1880 si schierò apertamente contro un attentato a Napoli contro re UmbertoI “considerando la sacralità della vita umana, sia del più umile che di un re“.

   Nel 1882 200 soci (in primis i Botto, durante e dopo uno sciopero all’Ansaldo con licenziamenti; essi iniziano la fondazione della prima  Cooperativa di produzione meccanica (soc.an. Cooperativa di Produzione, Officina Meccanica e Costruzioni Navali in San Pier d’Arena) che riuscì a fiorire dando lavoro a questi operai altrimenti disoccupati.

    Nel 1883 ospitò nei locali, per le proprie riunioni, la S.M.S. dei carrettieri e mulattieri (già nata nel 1864). La Coop.Produzione si trasferì in via B.Agnese.

L’Associazione aderì al ‘Fascio della democrazia’.

   Nel 1885  l’associazione si trovò con un forte deposito bancario suddiviso in 80mila lire nella cassa di quiescenza (fondi disponibili) e 10mila nella cassa Vedove ed Orfani. Così, il 20 ottobre, presso il notaio Balbi Luigi, il principe Vittorio Centurione fu Giulio (che l’aveva avuto in divisione ereditaria il 20 giu. 1879)  vendette a particolari condizioni (servitù imposte dalle FFSS) ai rappresentanti della soc. an. Cooperativa di Consumo (Giuseppe Bonzi fu CarloAntonio, Carlo Rota fu Giuseppe, Valentino Armirotti fu Emanuele; essa agì in nome della soc. Operaia Universale di MS la quale, all’atto, era priva di personalità giuridica e quindi impossibilitata a stipulare accordi; i quali così furono presi al suo posto –a nome e per conto- dalla Coop. che in quest’anno ha 1700 soci, 117.000 lire di capitale, un mulino, macchinari per pastificio, nove spacci )  un appezzamento di terreno di mq 1023,5 (secondo planimetria disegnata dall’ing. Salvatore Bruno) al prezzo di 20mila. I confini di detto terreno erano: a EST, da via Mameli; NORD, un fabbricato a cui si accedeva da via Mameli; SUD, ferrovia; OVEST proprietà di Giuseppe Fava (il quale versava £. 4mila per un fondo e per relativa servitù da lui ottenuto).

    1886,  la società prese possesso della sede di via Mameli (via Carzino). Alla cerimonia 26 aprile, furono presenti 82 associazioni consorelle ed il discorso fu pronunciato da Giovanni Bovio (il terreno, ancora a prato era stato acquistato dai soci per 16mila lire; l’edificio non si sa da chi progettato, ed un poco più piccolo dell’attuale, ne costò il doppio nel preventivo ma il quadruplo alla fine. Fu uno sforzo immane, sostenuto praticamente da soli e con l’appoggio della cittadinanza tramite iniziative multiple). Da allora la sede divenne meta domenicale delle famiglie e dei giovani. Fu così che NBarabino, venendo a frequentarlo, lo trovò disadorno e ricordando essere stato da giovane eletto ‘socio onorario’ pensò di sdebitarsi e di donare un ricordo che potesse essere simbolo di tale gratitudine: l’anno dopo donò la testa della Libertà e uno spolvero per l’affresco a Pier Capponi che adornarono il gran salone, assieme ad un quadro a olio di Orgero – raffigurante C.Meronio- e vari busti in gesso (Saffi, Mameli, Mazzini, Garibaldi, Quadrio, Campanella – opere degli scultori Saccomanno, Paernio, Dotto, Toso). Nell’ottobre il socio Valentino Armirotti verrà eletto parlamentare (primo deputato italiano operaio; poi nel 1900 verrà anche P.Chiesa: la loro elezione sottolinea l’acquisizione di un potere degli operai)

 

  

 

Nel 1892, all’esposizione di Genova, ricevette  una medaglia d’oro di merito sociale  (entrate 40.900 lire; uscite 35.000 di cui 7300 lire per medicine e 15.000 lire per sussidi ad ammalati).

   Nel 1898  15 dic., divenne Ente Morale, legalmente riconosciuto poi dal Tribunale in data 29 apr.1899. (nel “titolo I” dello statuto societario è scritto che l’associazione fu disciolta una seconda volta nel 1898: penso sia un errore di data riferendosi al 1870).

   Nel 1899 il 29 aprile, l’Associazione fu legalmente riconosciuta con decreto prefettizio e dal Tribunale di Genova (registrata alla Cancelleria del tribunale il 17 mag.1899 con n.ordine 788, trascrizione n.513, società n.1708,  fascicolo n. 3059). La SMS diede ospitalità al Partito Repubblicano Italiano, ed alla Camera del Lavoro.

   Nel 1905 davanti al notaio Enrico Ottoboni, i rappresentanti della soc. All.Coop.Lig.Avanti e della soc. MS Universale promossero l’erezione del palazzo.

   Nell’anno 1909 (9 novembre) davanti al notaio Pollaiuoli e testimoni, comparvero i rappresentanti (autorizzati dalle rispettive assemblee) della soc.an. Alleanza Cooperativa Ligure ‘Avanti’ (già Cooperativa di Consumo; erano i sigg. Leoni Ricciotti fu Carlo, nativo Aquila, impiegato, presidente della coop; Giacomo Rotondo di Serafino nato Rivarolo, impiegato, direttore dell’Avanti; Domenico Renzetti fu Francesco sampierdarenese, impiegato, segretario) e i rappresentanti della soc. Operaia Universale di MS (lo stesso Domenico Renzetti e Secondino Casalone di Felice nativo a Lu (AL) carbonaio; la società aveva allora 230 soci) al fine di definire il trasferimento dei diritti e voltura della proprietà – e quindi del possesso dei beni – alla soc. operaia avendo essa ottenuto con decreto prefettizio il riconoscimento legale e quello ufficiale di ente Morale

   Nessuna novità sino all’avvento del fascismo, iniziato ufficialmente nel 1922.

   Il PNF: vedi a Fascio (Secondo fascio d’Italia).

   Il maturare e degenerare delle nuove ideologie politiche contrapposte,  determinò che il Commissario prefettizio concesse – obtorto collo o troppo benevolmente - leggi restrittive relegando l’attività sociale di tutte le SMS al minimo vitale ed in poche sale, obbligando l’Universale all’ultimo piano,  diffidandola dallo svolgere attività o iniziative. 

    Forse fu lassù che nacque il Teatro del club ‘Ritrovo sociale inaugurato nel 1924 (si sa solo che fu “un grazioso teatrino” collocato nella sala del vecchio club. L’inaugurazione viene tenuta dalla compagnia dell’attore Riccardo Pittaluga che vi rappresenta la commedia farsesca dialettale di Davide Castelli ‘o testamento do scio Lumetti’).

 Nel maggio 1926 il Duce venne a San Pier d’Arena per visitare sia l’Ansaldo che questa sede del PNF sampierdarenese, qui alloggiatosi dopo essere stato nella vecchia ‘stalla’.

Aumentati di numero e ringalluzziti, come temuto, il 30 novembre di quell’anno le stanze dell’Universale furono occupate dalle squadre nere. Ben presto a livello nazionale furono varate leggi specifiche che legalizzarono il gesto determinando lo scioglimento obbligato  di tutte le associazioni ed organizzazioni,  riunendole in  strutture del partito e cambiando loro nome.

  Impossessati della palazzina e corrispondendo al IV° anno della rivoluzione delle Camicie nere, dopo il discorso del gerarca vice segretario del partito prof. Arturo Marpicati, venne celebrata la distruzione - tramite defenestrazione e rogo - degli incartamenti, arredi generici,  biblioteca, busti di maestri di vita repubblicani, di due arazzi - questi segretamente ricuperati ed ora ospitati nella scuola del Monastero -  e degli stemmi e bandiere conservati nella sede.   

  Un socio, Federico Piccone (1882-1963-vedere Gazz.SPd’A 12/90.8), divenuto - da giovane barbiere - un apprezzato artista e maestro di disegno nella ‘scuola di perfezionamento per i lavoratori’, avendo vissuto quegli anni, riuscì a salvare parte delle  memorie che gli permisero di ricostruire la storia dell’associazione e la biblioteca.

 

 

la casa Littorio                                                   com’è ora 2009  – a destra la torre della Croce d’Oro 

              

   Subito iniziarono gli studi preparatori della ristrutturazione; seguiti dai lavori veri e propri   (su progetto e direzione dell’arch. Raffaele Bruno, la soc. Stura la sopraelevò in cemento armato di due piani e modificò la torre (ebbe la sostanziale sopraelevazione di 8-10m. sino all’apice della torretta, una campana (come in uso per tutte le case Littorio, e da rotonda e merlata divenne quella attuale). Nell’interno, con decorazioni curate dai pittori Antonio Canepa ed Ernesto Massiglio; sul muro della casa fu incisa la frase “nel dodicesimo anno della rivoluzione delle camicie Nere. Chi è col popolo è con il Duce”. Il piazzale davati all’entrata era tornato libero sino al muraglione, per poter ospitare manifestazioni e raduni.

    Fu battezzata il 4 novembre 1933, anniversario della Vittoria, come casa del Partito Nazionale Fascista e sede del “secondo Fascio d’Italia” dedicandola al fratello del Duce, Arnaldo Mussolini.    Ufficialmente la sede venne chiamata  “Casa Littoria” (così diceva la grossa scritta posta tra il 3° e 4° piano all’esterno sulla facciata a mare; e sulla base semicircolare della torre- venne riproposto il motto mussolinianocredere, obbedire, combatterecon al centro, il volto di Arnaldo, opera dello scultore Ruggieri. L’interno (con riscaldamento, illuminazione elettrica e servizi igienici) vedeva a piano terra la casa del custode, il bar-caffè, 5 locali per l’Opera Nazionale Dopolavoro ed infine aperte anche in via Mameli gli uffici con sale d’attesa per le Commissioni Assistenziali. Al primo piano il grande salone preceduto dagli uffici rilasciati alla Società Universale (era previsto nella programmazione iniziale la concessione di questi spazi all’Universale, ma alla inaugurazione evidentemente il progetto era già mutato, relegando i repubblicani tra gli avversari politici). Si scfrive che qui insegnavano musica la famiglia Gasparini (vedi in via Mameli)

Al secondo piano fu demolito il tetto a padiglione dando  più spazio aereo al salone sottostante fatto in ceramica; nelle stanzette dellintermedio furono collocati gli uffici dell’Associazione calcio Sampierdarenese, mentre al secondo piano facente parte della sopraelevazione alloggiarono gli uffici del gruppo Fascista A.Mussolini (del fiduciario, segreteria politica ed amministrativa, fascio femminile, cultura, biblioteca, stampa e sala riunione). Al terzo piano il Fascio Giovanile di combattimento, Artigianato, milizia, madri e vedove dei caduti in guerra, ufficiali in congedo ed associazioni reduci. Nell’interno della torre la scala per accedere ai piano e sulla sommità una campana battezzata ‘Vittoria’ e che aveva inciso la frase “il mio bronzo freme di amor di patria – l’eco possente dei miei rintocchi -. si diffonderà negli spazi lontani per celebrare – le glorie del fascismo . suscitare la solidarietà e la fede – affermare nel nome del duce la potenza invincibile – XXIX ottobre MCMXXXIII . Anno XII era fascista”.

    Non è precisata la data, ma è probabile dopo queste ristrutturazioni, che l’immobile appare vincolato e tutelato dalla Soprintendenza per i beni architettonici della Liguria, come “ex Casa del Popolo ora sede Ass.ne SOMS Mazzini”).

   Hockey - La sera del 24 nov. 1936  nella Casa Littoria, dalla Federazione Ligure di hockey (dipendente dalla nazionale, associtata al Pattinaggio a Rotelle) fu presentato a dei giovani sampierdarenesi un tecnico svizzero di hockey (Kurt Reber, ex giocatore del Zuricher He), determinando la nascita del primo gruppo genovese di detto sport su prato (previsto per le Olimpiadi del 1940, con Roma candidata). Sono ricordati perché molti divenuti nazionali: Franco Adorno, Stefano Baschieri, Alberto e Remo Beltrandi, Cipriano Cuneo, Umberto Dondero, Franco Neumaier, Pier Vittorio Pampuro, Filippo Vado, Giovanni Zanelotti (1910-1993 - Era stato fiduciario della stessa FGC sampierdarenese divenendo campione d'Italia nel 1938, e vincendo col GUF Genova il primo scudetto della storia dell'hockey su prato italiano. Divenne medico a SPdA, descritto ‘fascistissimo’ perché si era fatto -come volontario- la guerra di Spagna a fianco dei falangisti di Franco; nel 1945 ebbe guai di ritorsione, superati sia per la professione, sia per conoscenze, sia per aver saputo far intendere ‘essere sceso dal treno’ nel momento giusto. Negli anni 50-70 era molto noto sia per l’alto numero di mutuati, sia per il carattere brusco ed autoritario, e sia per una non nascosta ‘disinvoltura’ nel fare comparaggio); il Gazzettino Sampierdarenese ricorda l’atleta Sommariva Amleto (deceduto nel nov.1983; già calciatore della sampierdarenese e della Dominante; entrato nell’hokey ne divenne dirigente  federale e commissario unico per le squadre nazionali; esempio di onestà, bontà, educazione e dedizione al lavoro) allenamenti bisettimanali; incontri casalinghi nel campo in terra battuta della Centrale Latte di Teglia  (soprannominato Cajenna come il bagno penale nella Guaiana; terreno che era stato utilizzato anche come aeroporto). In ottobre furono inquadrati nel GUF di Genova (il ‘malocchio’ verso ciò che era della ‘perfida albione’, fu superato sia grazie all'autarchia di Starace per la quale, sui giornali l'hockey divenne «óchei»; eppoi ai programmi del regime: dopo le Olimpiadi di Berlino del '36, era stata proposta Roma quale sede per i Giochi del 1940 (e apposta si realizzò il quartiere dell'EUR), e –di conseguenza- si voleva che l'Italia partecipasse in tutte le discipline sportive; il regime spinse le Federazioni regionali a dare incremento anche all'hockey su prato, che da noi non aveva tradizione, a chiamare dall'estero degli istruttori; così nacquero le prime squadre e i primi campionati. Poi, in realtà, le Olimpiadi vennero assegnate a Tokio, e il sopravvenire della guerra ne impedì l'allestimento e lo svolgimento: ma questa è un'altra storia).

  Alla fine della prima parte del secondo conflitto mondiale 1940-43  (atto di nascita il 1 luglio 1944) con l’avvento della Repubblica Sociale Italiana, i neri mantennero il possesso della palazzina che divenne sede di un comando militare delle “brigate nere” e di un circolo politico fascista (i due corpi politico-militari della RSI erano la GNR e le B.N.).

Da loro, la sede di via Carzino (un’altra, era a Pegli) fu attrezzata anche come carcere per primari interrogatori e detenzione di prigionieri e da essa partivano per fare rastrellamenti, perquisizioni e gratuite e tracotantri violenze sugli inermi: l’abuso di potere, la malvagità, e soprattutto la violenza cresciuta a spirale inarrestabile, resero quelle celle di detenzione tristemente famose perché si arrivò quale estremo di perversione alla tortura fisica e morale.  Alla guida di Franchi e Criscuolo (temuti e crudeli personaggi, si distinsero per ferocia contro i prigionieri specie quelli politici, per carpire informazioni; i due –a fine guerra- furono giudicati, Pastorino P scrive “in sede idonea” ove furono condannati a morte da un tribunale per crimini di guerra, e fucilati).

Controversa (2012) è la sede dove avvenivano gli ‘interrogatori’: nell’interno dell’edificio al primo piano (ove le finestre erano state sigillate – con la scusante dei bombardamenti); oppure in una piccola cantina (che esiste nella prima stanza a sinistra rispetto l’entrata, accessibile attraverso una scala verticale); oppure all’esterno – vicino al muraglione prima dell’inizio di via Orsolino – dove fu costruito un bunker in cemento armato, si dice a rifugio dei camerati durante le incursioni ed accessibile dalla strada tramite una torretta (oggi demolita e forse il bunker interrato).     Gli interrogatori si concludevano con il trasferimento alla sez.IV di Marassi in mano alle SS con destinazione deportazione o fucilazione. Tra i tanti malcapitati portati in questa sede,  ricordiamo Giuseppe Spataro, Ernesto Jursé, Giuseppe Malinverni. Per fortuna, a lenire le loro sofferenze, il capitano medico riconosciuto ufficialmente in quella caserma dalle BB.NN. era il dottor Lambò Giuliano (infiltrato, perché in realtà combattente antifascista, collegato con il PCI e con gli agenti dell’Intelligence Service inglese, chiamato in codice ‘Isacco 313’).

Le B.Nere di Genova, costituitesi anch’esse nel 1944 con 460 iscritti (divenuti in un anno 1018) furono comandate da Livio Faloppa (riuscì a fuggire all’estero); con vice Spiotta Umberto (a Chiavari- fucilato nel 1946); e Benedetto Franchi (39enne comandante la compagnia di Sampierdarena- fucilato il 30 gen.1946). Avevano la titolazione ad un loro martire Silvio Parodi (alto ufficiale delle GNR, morto a Savignone in un agguato nello stesso anno). Portavano la divisa col distintivo del teschio.

Il 23 aprile 1945 furono ritirate verso nord; la colonna fu intercettata, nel decorso lungo la Camionale, a Valenza dai partigiani.    Molti esponenti delle BN, specie anziani, non capirono la gravità della situazione e rimasero in città pensando non essersi gravemente compromessi, ma vennero coinvolti nel ciclo delle vendette (punire i fascisti che potevano sfuggire alle sanzioni dei tribunali) e della guerra civile (che durarono anche fino al 1947).

  Solo  il 24 apr.1945, l’associazione rientrò in possesso dei locali, assumendo il definitivo nome di “Associazione Operaia Universale G.Mazzini, Società di mutuo soccorso e di cultura popolare”, inserendo il nome di Mazzini quale primo socio onorario, e col proposito di proseguirne il sacro apostolato, per il miglioramento dell’Uomo e per l’educazione dell’Umanità (coerentemente in quegli anni di ripresa sociale, fu data ospitalità al PRI, all’APP (assoc.perseguitati politici), all’AR (associazione reduci), al circolo Risorgimento Musicale, al Risveglio (circolo mandolinistico), l’Università Popolare); in contemporanea fu battezzata la nuova bandiera sociale.

Davanti a notaio ed al sig. Frugone, fu riconosciuto diritto di passaggio al civ. 2A lasciando un percorso a fianco del muraglione; costruendo così il recinto che tutt’ora delimita l’aia antistante l’entrata.

 

   Nel 1991 un’altra lapide fu affissa sui muri  a memoria e monito contro la violenza : “140°  ANNIVERSARIO DELLA S.O.M.S. UNIVERSALE  -   SU QUESTI MURI -  VOLUTI DAL POPOLO PER IL POPOLO - TESTIMONANZA DI SOLIDARIETA’ - UNIVERSALE CHE UN REGIME - FOLLE TRASFORMO’ IN PRIGIONE - OGGI CHE ALFINE CROLLANO IN EUROPA - LE FORZE  DELLA TIRANNIA - FISSIAMO QUESTO MARMO -PER RICORDARE QUANTI COMBATTERONO -  E MORIRONO IN NOME DELLA LIBERTA’ -  E PER SALUTARE L’AVVERARSI - DEL VATICINIO DI GIUSEPPE MAZZINI   -   1851 - 1991“. 

   Il 28 gennaio 1998, all’esterno fu posta una targhetta indicante “proprietà SOMS Universale G.Mazzini”;

   Dal 1996 è iscritta al registro regionale delle associazioni che operano in campo della mutualità e della solidarietà sociale, con decreto del Presidente della Giunta regionale. Lo scopo è la realizzazione del fondamentale binomio “Pensiero e Azione”, con iniziative prestanti assistenza ai Soci; si promuovono iniziative culturali, artistiche e sportive sempre cementando e diffondendo l’amore della Patria e dell’Umanità ed attendendo ai problemi dei cittadini.

Si ospitò RS1 (radio Sampierdarena); si trasformò la sala al primo piano in palestra per “Centro Danza Universale” scuola danza classica e moderna, presa d’atto del Ministero Pubblica Istruzione, diretto dalla prof. Emanuela Patrizia Carratù.

 

    Tra gli iscritti di particolare rilievo, ritroviamo  quali soci “ad onorem “ (le persone che per la loro cultura e le loro opere arricchiscono il patrimonio ideale dell’Umanità) sia G.Mazzini che G.Garibaldi, V. Armirotti (primo deputato-operaio al Parlamento italiano), N.Barabino ( dapprima iscritto come socio ordinario, ed allora era ‘o Nicolin’, fu poi eletto a socio onorario quando -17 apr.1861- la sua fama iniziò ad essere di livello nazionale, e divenuto ‘o sciü Nicolin’ ; nel 1887  il pittore,  affidò donandolo alla società (facendolo pervenire per posta da Firenze) lo storico dipinto-allegorico della ‘Libertà’ , rappresentato da un volto femminile cinto di foglie di quercia (notevole fu l’iniziale delusione, alla vista di quella grande testa forse …enorme, con un naso sproporzionato che divenne simbolo nei detti popolari nei confronti di chi aveva l’appendice anche solo un po’ fuori misura)  ; egli stesso volle completarlo e collocarlo nella sala ove  pensava nessuno avrebbe mai più osato spostarlo, essendo  emblema-messaggio dell’ideale dell’associazione, proponente che solo attraverso il rispetto della libertà altrui, si può esigere la propria. L’idea fu disattesa quando  “la allegoria della Libertas” fu  rimossa dal salone  per essere relegata in una stanza più modesta, pur restando simbolo del patrimonio culturale, sociale e spirituale della città di Sampierdarena. Ovviamente dopo la guerra ha ripreso il suo posto nel grande salone, ora adibito a palestra e scuola di danza); e non dimenticando  Carlo Rota, Dante G.Storace, A.Carzino.

                   

 

     

 

Nell’interno, si trovano gli uffici dell’Associazione, un bar, la biblioteca ricca di un migliaio di volumi, e la sede di una radio locale (R.S.1 ovvero Radio Sampierdarena Uno ricevuta sul canale FM-100,450 mghrz. Unici a trasmettere tra loro erano i radioamatori. Quando sul mercato nacquero i CB (citizen band, ricetrasmittenti a basa frequenza; erano vietati, ma la polizia non se ne curò purché non invadessero la loro banda; le radio libere dal dic. 1975 in pochi mesi divennero oltre 2600, occupando le varie frequenze senza regole e senza riverenze), su iniziativa di alcuni giovani (Bellico Mauro, DellaDucata Francesco, Gregianin Enrico, Savio Antonio e Savio Giovanni, più un sesto rimasto anonimo, coordinati da Rino Baselica, Danieli Angelo e Vallebuona Renzo) nacque la nostra, nel lontano 1976 circa, al Morgavi di Belvedere e poi trasferita in via Carzino nel 1978; le trasmissioni ascoltate regolarmente dagli entusiasti 150 ed oltre sostenitori, prevedevano musica (canzoni genovesi; dal jazz alla sinfonica), parlate dialettali (Pingas ovvero il Giuseppe che andava nelle case a leggere i contatori del gas), religione (don Walter), telefonate, dibattiti e dialoghi locali con sapidi “ciaeti”; nel 1987 avvenne una scissione con mantenimento di RS1 (gestita da Olivari, ma che chiuse fallendo nel 1990 circa), e con la nascita di Radio Lanterna City gestita da Rino Baselica, trasferita in via Gioberti sino al 2005, capace di trasmettere da Savona a Nervi usando un vecchio mixer degli anni '70. Veniva chiamata "indipendente" perché nel frattempo e per necessità di automantenersi oltre il volontariato, erano nate le radio private fino alla nascita dei network nazionali che fagocitarono le radio più piccole. Citiamo alcuni nomi conosciuti, di quelli che conducevano i programmi: Marco Terreni, Lucio D’Atri, Alba Olmi, Giannetto D’Oria, “Giuan do Porto”, Giuliana Barzaghi, Mauro Litterini, Paola Conti, Francesca Frixione, Roberta Paita, “zia Milvia”, Felice Girolamo, e -per ultimo- Claudio Gambaro.

   Al primo piano il teatro “salotto Universale”.  Per perseguire il programma educativo,  una attività organizzata iniziò dopo una ristrutturazione eseguita nel 1978, per iniziativa dell’attore Mario De Martini (compagnia teatrale- morì improvvisamente nel 1979 a 53 anni), del regista Mino Ventura, e di Germana Venanzini (gruppo teatro genovese moderno) con rappresentazioni di commedie dialettali, cabaret, musica e teatro popolare; attivissimo negli anni 1980 fu istituito un “Premio Letterario” (comprendente poesia, poesia dialettale, teatro dialettale, narrativa per ragazzi). Attualmente viene utilizzata  come sala di scuola di danza.

   Al piano ancora superiore, nel 2011, in locali riammodernati e molto funzionali, ha preso sede l’ UNITRE,  dapprima “associazione nazionale delle Università della Terza Età” poi allargata ai maggiorenni in genere “Università delle tre età”. È una associazione di volontariato nella quale si organizzano corsi sui più svariati temi della cultura (medica, musicale, culinaria, letterale, fotografica, dialettale, ecc.) a seconda delle disponibilità e cultura dei singoli insegnanti. Ovviamente non rilascia titoli e non richiede una preparazione basale specifica: con l’impegno non obbligatorio di seguire le lezioni, e di pagare una quota di iscrizione di 45 euro.

 

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===civ. 2a:  Primitivamente il portone si apriva direttamente sulla piazzetta antistante l’ingresso dell’Universale, non delimitata e volutamente lasciata libera per adunanze, esercitazioni e raduni del PNF. Così, inizialmente si faceva aprirlo in via Prato.

È detta  ‘casa Frugone’ (Stefano chiamato ‘il Tigre’ e primo  proprietario del vicino cinema Splendor); fu eretta su un terreno che faceva parte dei giardini della soc. Universale e che gli fu ceduto per scambio di possibilità di soprainnalzare anche la casa del fascio. Così, sulla scia, anche la palazzina fu sopralzata - pare abusivamente e grazie a legami di partito tra i proprietari ed il PNF nel 1933 quando l’Universale era occupata dai neri (l’archivolto sottoferroviario corrispondente, venne chiamato col nome del fratello del Duce, Arnaldo Mussolini).

Nel 1941 Stefano Frugone acquistò dall’Universale una striscia del piazzale larga 6,6m, e 7,7 davanti al portone. Terreno usato quale distacco dalla proprietà dell’Universale e diritto di passaggio al portone; e da lui concesso ad uso pubblico anche se di proprietà privata.

Finita la guerra sorse anche una causa legale gestita da De André per riappropriarsi del terreno e del palazzo sopraelevato giudicando averlo concesso illegalmente (il padre del cantautore e vicedirettore dell’Eridania),  fino ad arrivare ad un compromesso.

Concluse tutte queste diatribe legali, nel 1951 si procedette all’erezione del muretto che delimita la proprietà dell’Universale. Determinando in contemporanea che il civ. 2A si apre in via Carzino anche se non direttamente sulla strada, ma nel retro della società Universale.

  Nel 1948 c’era la sede del “Gruppo Anarchico «Era . Malatesta» (Errico Malatesta, 1853-1932 è stato conosciuto politico anarchico; aderente alla Prima Internazionale; collaboratore di Bakunin; fondatore della federaz. Anarchica Italiana; più volte arrestato; esule a Londra; antiinterventista e contrario ai socialisti; fondatore 1919 di un giornale “Era nova”; fu agitatore politico con moti (in Lunigiana, Milano,Sicilia e ‘settimana rossa di Ancona, 1914) sino all’avvento del fascismo).

  Nel 1950 c’era una soc. dipendente dal CONI chiamata ‘l’Edera Sportiva’. E pure una società, al primo piano, “Fronte della Gioventù” di giovani che vivevano l’espierienza del dopo guerra.

  Nel 2002-3 ospita l’Ente di formazione professionale IAL telefono 010 645.73.79 che a fine corso fornisce un attestato di qualificazione  nell’area commeciale:  addetto alle vendite e al magazzino; impiegato di amministrazione (addetto al lavoro di ufficio); turismo-alberghiero.

      Non confermato che nel 2009 in appartamento di 400 mq, vi si era inserito un nuovo ufficio della CNA (confederazione nazionale artigianato e piccola/media impresa) per pratiche fiscali, consulenze di lavoro, contabilità, rapporti con banche, sindacali, ecc.

 Nel 2010, all’int 1 e 2 dove era lo studio del commercialista iacchino Pollicino, c’è lo studio del nipote avv. Ravera. All’interno 3, dove fu il radiologo prof. Massimo Lertora ora c’è la sede della Terza età. All’int. 12 una casa famiglia.

 

===Civ.2Ar: nel Pagano 1950 si segnala la sede del grossista di medicinali Gallareto Pierino—all’interno 12 la “Frugone Ant. (dadi Wuhrer)”.

===Civ 2Br: A piano terra c’è una palestra dove si esercita la ‘thay (=da Tailandia, significa libero) box’, chiamato Tiger Kick Boxing. In origine chiamata Moai Tai (antichissima arte del combattimento a corta distanza, in cui si arriva subito al corpo a corpo; praticabile già dall’età di 4 anni e mezzo. In Italia c’è dal 1988 portata  dal maestro Moïse plurimondiale del karate. La scuola sampierdarenese si è sempre imposta in campo nazionale, europeo ed internazionale, riportando per più anni (1999-00-01) il titolo mondiale.

===civ. 2C r negli anni ’80 aveva sede la ditta Badaracco Alba che riceveva merci di maglieria e merceria

===civ.3: prima della costruzione del palazzo, esisteva un prato dove frequentemente si fermavano i ‘baracconi’. Fu nel 1914 circa, che l’impresa Capello diede inizio alla costruzione del palazzo; ma arrivati a fine del 1915, con l’esterno completato (ricche decorazioni liberty sulla facciata e nel portone protomi femminili, floreali, in un cartiglio sovrastante il portone è inciso l’anno in cui fu  finito: 1920) l’Autorità Militare requisì lo stabile non finito (ancora grezzo, senza porte né finestre, per adibirlo a caserma). Non specificato quando ma si presume appena finita la guerra, fu sgomberato dall’Esercito e poté essere completato negli interni. Sconosciuto il nome dell’architetto. Lo stemma con la scritta F.C.*** rappresenta probabilmente la sigla dell’imprenditore Capello che finanziò la costruzione.

Durante l’ultimo evento bellico, nel piano terra del palazzo, sostavano gli uomini dell’UNPA, con patetici secchielli di sabbia, maschere antigas e lanterne antioscuramento.

===civ. 4:  nel giorno 1 maggio 1930 vi aprì la sede di spedizioniere il 34enne Macor. Inizialmente una piccola azienda, la ‘Placido Macor & C.‘ è divenuta nel tempo una tra le cinque più attive nello scalo genovese.  A conduzione familiare, dai tempi dei carretti trainati da cavalli  ai moderni elaboratori elettronici, sempre con modestia e specializzazione, a dimostrazione di lavoro serio, intenso e professionale. Nel 1980 il titolare fu nominato cavaliere al merito della Repubblica.

   Non mi è chiaro se all’ultimo piano di questo portone o uno successivo, abitava l’insegnante Cianciulli Giuseppe, figlio maggiore di Leonarda (da 14 parti, solo 4 erano viventi), conosciuta come la ’saponificatrice di Correggio’. La madre nel 1946 fu processata (ed ancora nel 1970 a 78 anni) con l’accusa di aver ucciso dal 1940, quattro persone (donne, che vivevano sole, di 27, 55, 59 e 73 anni, tre in casa di cura ed una in casa propria) ed essersi disfatta dei cadaveri saponificandoli con soda caustica, allume di rocca e pece greca uniti a scarti animali (con conseguente pestifero fetore). Nel processo fu coinvolto Luigi perché, maggiorenne, non aveva denunciato il fatto, accusato quindi di complicità ed escluso dall’insegnamento nelle scuole pubbliche. Così lui si trasferì a SPdA assieme alla sorella (insegnante pure lei ed estranea ai fatti) per insegnare al Minerva di via della Cella, ove conobbe la moglie  (o viceversa fu la moglie a inserirlo nella scuola). Luigi era un tipo molto chiuso e anche per questo soggetto a scherzi e lazzi da parte di giovani insensibili al suo dramma (degli screzi all’auto posteggiata in strada, lo costringeva a controllarla stando alla finestra lungo tempo)

===civ.5-1 nel 1950 aveva sede una ditta Cavalli Umberto di materiali metallici

===civ. 7:  all’angolo con via Daste, in piena zona Mercato,  c’era sino al 1920-21  la  casa della Provvidenza, di don Daste: la sua vocazione sacerdotale era iniziata più tardi del solito, ma quella assistenziale delle fanciulle orfane e sole nacque quando nel 1867 madre Angela Massa delle suore Franzoniane, dovendosi trasferire in altra sede, lasciò al prete l’incarico di assistere dodici ragazze che lei aveva sottratto alla strada per fornir loro assistenza ed educazione. Da una sede provvisoria in via san Bartolomeo, trasferita poi  in via Goito (via A.Albini), poi in piazza Bove (via V.Alfieri), finalmente era arrivato in via Mameli (via Carzino).  Con l’assunzione del gravoso incarico, era comune vedere per la città il  prete che girava per raccogliere tutto quello che poteva servire, dalle sedie, alla legna per il fuoco, dal cibo alle elemosine dei più sensibili. 

   Un giorno, il principe Centurione, proprietario dell’immobile, sfidò la Provvidenza -’stampella del prete’- offrendogli a prezzo assai vantaggioso la possibilità di non essere più sfrattato e di poter acquisire per le ragazze una sede stabile. Gradatamente, con l’aiuto della amministrazione comunale (per primi i sindaci Dall’Orso Pietro e Federico Malfettani ai quali il sacerdote si rivolse dal 1887 affinché elargissero un aumento del sussidio (in atto dal 1871) ed eliminassero la spesa obbligatoria del dazio per introdurre i cibi necessari al pio istituto; nonché il pittore Carlo Orgero assessore (che per primo lo chiamò “l’uomo più grande di San Pier d’Arena”) e di privati (di spicco ricordiamo V.Armirotti, allora già deputato, fece incontrare il sacerdote con il re UmbertoI nel 1892 all’esposizione per il centenario colombiano, quando le orfanelle erano arrivate a 87,  facendogli così ricevere un importante contributo dal re stesso; ed il comm.Bombrini, divenuto provvido sostenitore  dell’istituto) il prete poté inaugurare nel 1878 la sua “casa della Providenza”, suscitando l’affetto e l’ammirazione di tutti quelli che lo contattavano, creandosi un’aura di semplicità, benevolenza, mitezza, ma enorme forza d’animo.

   Non potendo gestire da solo il complesso istituzionale, il prete si fece affiancare da alcune suore, che assunsero il nome di “Figlie della piccola casa della divina Provvidenza”. Ovviamente nella casa esisteva un locale adibito a ‘cappella privata, a solo comodo e conforto delle ricoverate’

   Dopo la morte di don Daste avvenuta il  7 feb.1899, fu deciso dall’Amministrazione comunale accettare una lapide che si vede tutt’ora sopra il portone, regalata da un comitato di cittadini (descritta in via G.Mameli).

  Questa casa restò attiva sino al 1920, quando - sia per l’aumento delle ragazze: nel 1925 erano 150 - sia per vantaggiosa offerta - il complesso si trasferì nel palazzo Serra-Doria, in salita Belvedere civ.2, ove tutt’ora sono. L’edificio  - in rappiorto all’assenso cncesso per applicare la lapide  sulla facciata – si presume divenne proprietà delle signore Clotilde Pavan, Apollinia Dellepiane, Maria Dellepiane, Maria Morasso quali comproprietariedello stabile. 

  Della statua della Madonna, posta in una nicchia nell’angolo smussato della casa – angolo Daste-Carzino - non ho notizie; la sua presenza è segnalata  dal Remondini nel 1882: poco si intravede attraverso un vetro ed una grata, per risalire almeno ad una dedica. Sembra una Madonna Addolorata. Si narra sia una statua scolpita per un paese dell’entroterra e da loro rifiutata considerandola mal scolpita: ricuperata dal prete fu posta a protezione della sua casa.

   Il palazzo fu ristrutturato ad appartamenti privati, salvo una parte occupata dal ‘Circolo cattolico G.Borsi(non sono sicuro si tratti di Giosuè Borsi, Livornese 1888-1915, scrittore ed autore di opere narrative  testimonianti una sofferta conversione religiosa, le più pubblicate dopo la sua morte in guerra) che per lungo tempo usò per la propria sede e per un teatrino da recite filodrammatiche domenicali di attori locali.

===civ. 8 fu finanziato a fine 1800 e poi abitato – all’inizio per intero stabile - dal comandante Cipollina Giuseppe nato 1853 (prima stava nel ‘palazzo dell’Orologio’), grande navigatore, uno dei primi a capitanare una nave a vapore (la ‘san Gottardo’) dopo secoli di sola vela. La fortuna economica, raccolta in avventurosi viaggi, passò alle due figlie  e via via si disperse con i nipoti. Oggi ogni famiglia che abita l’edificio, forse nessuno ha rapporti con il comandante (ultima, lontana parente, è stata la signora Cordano Ester, abitante all’ultimo piano fino al 2005 circa).

===civ. 17r i Pittaluga (dapprima “ditta Pittaluga & figli”; poi G.nni & G.ppe Pittaluga era ‘premiata fabbrica pianoforti ed armoniums’(sic) nonché dal 1848 rappresentanti sclusivi di autopiani Kastner – London – Leipzig  depositari delle più rinomate marche tedesche; ancora esercitavano negli anni 1950.

===civ. 19r dal 2000 è l’entrata autonoma dell’albergo Modena. Da tanti anni si accedeva tramite l’affiancato portone civ. 3

===civ.  24r     la farmacia Popolare Sociale. Compare per la prima volta nel Pagano 1919, in via Mameli al civ.8 e col nome “alla Cooperazione” (il nome, e la  vicinanaza dell’US Universale fanno pensare che -come i forni e negozi alimentari, la banca, le case popolari, le sedi sportive-, fosse una dei tanti settori delle cooperative degli operai). Nel 1933 compare sempre eguale, facente da recapito ai medici dott. Gandolfo Peone (poi sindaco socialista negli anni 1908-15), Gandolfo Nicolò, Lanza Sebastiano, Bonanni Carlo (assessore comunale), Roncagliolo Italo, Steneri Giovanni (ginecologo). Solo nel Pagano 1953 (ma mi manca il controllo dei precedenti: probabilmente da dopo la guerra), compare il nome come l’attuale, in via Carzino, 26. Gli ultimi proprietari furono i dottori Roncagliolo; Belletti (o Balletto) Luciano;  dal periodo dopoguerra Rigacci Laura, e dal 1969  l’attuale Prato Giulio dal quale è passata alla figlia.

=== civ. 7-11r*** l’ex cinema Alessandro Volta inaugurato nel 1909 (altri scrive 1914). Molto piccolo, aperto solo alcuni giorni alla settimana (giovedi, sabato e domenica) fu  ospitato in un palazzotto costruito apposta come cinema forse ma molto probabile, nel posto ove ora sta la sala da ballo.  

Pare sia rimasto aperto sino al 1917 quando per volere di Stefano Pittaluga  nato a Campomorone nel 1887, iniziando come noleggiatore divenne pioniere del cinema italiano con –dopo il 1914- stabilimento anche a Torino, allora la prima mecca della nuova arte; fu anche il primo produttore a realizzare nel 1930 il primo film sonoro: La canzone dell’amore, sorse nuovo, nell’area attuale dell’edificio, usando lo spazio a fianco del primitivo (che sino ai primi anni del 1800 era stata proprietà e giardino dei Centurione della villa del Monastero, e che veniva usata come giardino). Il nuovo edificio, che in quegli anni il Pittaluga possedeva in comunione con un certo Molinari, eretto su progetto di A.Spinola, fu caratterizzato da una tipologia architettonica definibile ‘eclettica’ (perché caratterizzata da un post-liberty strano, modificato, ed aggiornato ai tempi della costruzione; aveva pavimento in graniglia alla veneziana).

La sala fu poi ristrutturata, con strutture portanti in cemento armato e tetto calpestabile; ingrandita, migliorata a teatro, e chiamata come la strada che lo ospitava ‘cinema Mameli’ definito grazioso, con un bel vestibolo, senza alcun segno d’arte escluso sulla facciata esterna ove erano ai lati due ‘evanescenti scolpite figure muliebri’; come teatro, ospitò compagnie di rivista famose, quali vengono ricordate anteguerra di Petrolini e Bambi. Tale rimase negli anni del dopoguerra 40-45 , con rappresentazioni di avanspettacolo (personalmente ricordo solo Rascel e Dapporto, ma tanti altri devono aver calcato quelle scene), fino a quando  divenne  nel 1961  il  “cinema Astoria“. Rimodernato del 1974, in cui fu tolto il palcoscenico,  nel 1989 –di proprietà Pozzo e Calcagno, fu gestito da Renzo Calcagno; classificato di seconda categoria; con 740 posti a sedere, dei quali 580 in platea e 160 in galleria; poltroncine in legno e rivestimento in sky; impianto monofonico; aspiratore; proiettore da 35mm.

Infine dal 1990 circa ad ora,  è sede di un supermercato.

 === 13r :  nei fondi del cinema è ospitata una sala che inizialmente venne usata quale ‘accademia di biliardo Diana’; poi fu trasformata nella discoteca ‘Boomerang’ prevalentemente indirizzata ai giovani; dal 1990 col nome ‘il Coccodrillo’ vi viene suonata sempre ad indirizzo giovanile musica che spazia dal reggae ed afro, alla sud americana, al rock. Prima del 2000 la discoteca si chiamava ‘Fabrika’ il cui nome scritto trasgressivo la dice sul fatto che il locale era meta frequente della polizia per risse ed anche accoltellamenti. In quell’anno cambiò gestione divenendo ‘il Tempio’ nome che ha sostituito il precedente anche puntando su balli moderati come il liscio e sulla presenza dei giovanissimi. A luglio 2002 sopra l’ingresso è il nome ‘VIRGO’, che tutto dice sulle intenzioni parrocchiali degli attuali imprenditori.

===33r nel periodo dopoguerra ’45, vi era il negozio “Foto Impero”, tel. 43 321, sviluppo, stampa, ingrandimenti.

 

DEDICATA  al partigiano sampierdarenese nato l’11 ott.1899, anno reso famoso perchè ultima leva di richiamo militare nella grande guerra. Fin da giovanissimo fu iscritto al partito repubblicano e, quando subentrò il fascismo ne divenne immediato acerrimo nemico, iniziando con propaganda e cospirazione (sia quando era operaio alla SIAC (a Campi), che poi quando alla FIAT a Torino, ove faceva parte nel periodo bellico del lug.1943 della commissione interna). Dopo l’8 settembre, scelse far parte delle SAP, divenendo prezioso elemento nell’organizzazione della 4.a brigata Mazzini. Individuato per delazione, dovette  fuggire in montagna, ove divenne attivo col nome di battaglia “Milio”, dapprima nelle Langhe e successivamente nella VI zona, controllata dalla brigata garibaldina Cichero.

Durante un rastrellamento nella Fontanabuona compiuta dalla Wehrmacht e dagli alpini della Monterosa, in località Centonoci, vicino a Favale di Màlvaro (Ge), venne colpito mortalmente il 22 dic.1944 assieme ad altri 5 partigiani, mentre tentò una sortita da un casone dove si erano trovati circondati  (un sesto compagno fu solo ferito).

Gli fu conferita la medaglia di bronzo al V.M., alla memoria.

 

 

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