CANTORE via Antonio Cantore
TARGHE:
S.Pier d’Arena-via-Antonio Cantore-Generale Alpino-Medaglia d’oro al V.M.-1860-1915
via - Antonio Cantore – generale alpino – medaglia d’oro al V.M. – 1860-1915
angolo con via s.Bartolomeo del Fossato (?)
angolo con via Pittaluga
facciata del civ. 31A.
angolo con rientranza ‘dalla sbarra’ presso Calderoni
a fine strada, angolo con via G.B.Monti
QUARTIERE ANTICO: Mercato-Comune e Coscia
Ipotetico tracciato di via A.Cantore. Da MVinzoni, 1757. rosso via CRolando; giallo, via NDaste; celeste via LDottesio; fucsia via sBdFossato.
N° IMMATRICOLAZIONE: 2742 CATEGORIA: 1
CODICE INFORMATICO DI STRADA - n°: 11640
UNITÀ URBANISTICA: 25 – SAN GAETANO
26 - SAMPIERDARENA
27 – BELVEDERE
28 – s.BARTOLOMEO
in giallo via P.Reti; rosso lato levante di piazza N.Montano; fucsia inizio via A.Cantore a Genova. Da Google Earth 2007
CAP: in territorio sampierdarenese 16149
PARROCCHIA: dal 7 al 17 + dall’8E al 24 = s.Maria delle Grazie
--dal 15 al 35 + dal 26 al 62 = s.Maria della Cella
--dal 37 al 51 = NS del ss.Sacramento.
STORIA: dai vari piani regolatori dell’inizio secolo 1900, era prevista l’apertura di una nuova strada che collegasse Genova al ponente ed alleggerisse il traffico, sopportato solo da via C.Colombo (via San Pier d’Arena) e da via Vittorio Emanuele (via G.Buranello). Si prospettava o una nuova galleria, o lo sbancamento del colle di san Benigno; la prima idea appariva la più logica e più facilmente adottabile con i mezzi di allora, perché il colle stesso era già stato ripetutamente traforato per le vie ferroviarie e tranviarie.
Riemerse il progetto nel 1920, sia quando si progettò che la strada doveva essere “molto larga e fiancheggiata da costruendi palazzi ‘signorili’ con portici - salvo ovviamente quelli preesistenti -; e sia in concomitante progetto di un elemento nuovo entrato in fase esecutiva: il riempimento portuale; questo fece decidere definitivamente per lo sbancamento.
Malgrado le evidenze, soprattutto legate all’aumento vertiginoso della popolazione e del traffico, un vero piano regolatore stentava a decollare: ancora nel 1924 si discuteva tra una grande arteria centrale larga 24m (con una quota di strada in salita - nel taglio di san Benigno - per superare di almeno 11 m. le gallerie sottostanti del treno) o una circonvallazione a 40m slm.; nell’aprile 1925 il piano regolatore generale studiato dall’ing. Pietro Sirtori venne approvato (con in più un’altra grossa arteria a mare), ma l’assorbimento nella Grande Genova del 1926 fermò ogni iniziativa e rese ancora tutto vano; l’ing. Luigi Connio, trasferito da SPd’A a Genova, seguì le fasi evolutive del P.Regolatore, mentre l’assolutismo fascista ribadiva chiaramente, a scapito della nostra piccola città, l’idea dominante di una Grande Genova ed un grande porto, ma con priorità del centro rispetto la periferia destinata all’industria pesante e quindi all’ovvio degrado (quest’ultimo fece scomparire il nostro arenile, coperto da 2 milioni di roccia, sbancati dalla collina per poter aprire il diaframma che per secoli era stato il preciso confine tra le due città).
Così, solo nel 1930 si riprese il progetto, vedendo interessati per la grande importanza dei terreni attraversati, oltre all’amministrazione civica, anche quella portuale, ferroviaria, militare e privata: foto di quell’epoca dimostra i lavori di ‘gettata’ della strada con il pietrame basale, percorsa solo da un carretto mentre nella piazzetta retrostante la villa Scassi, alcuni ragazzi eseguivano esercizi di ginnastica scolastica.
Finalmente approvato, il progetto verrà reso operativo nel 1934 anche se nel frattempo erano già stati realizzati alcuni tratti della nuova strada centrale, alcuni anonimi come titolazione, di cui il primo fu alle spalle poco sopra e sotto della villa Scassi, chiamato via G.Carducci e, con palazzi ai lati, però non muniti dei portici previsti approfittando del piano regolatore non vincolante perché non ancora approvato. Il primo tratto, iniziante in san Teodoro da via Milano (con varianti, demolizioni e nuova costruzione dell’angolo a levante) fino all’incrocio con via Chiesa delle Grazie fu realizzato d’urgenza dal Comune appunto sfruttando l’antica cava della Chiappella e con ulteriore sbancamento del colle; e fu inaugurato nei suoi 1000 metri nel 1935; questo, passando davanti al novello piazzale della camionale (finanziato dallo Stato), fu allacciato al tratto già pronto che arrivava sino all’incrocio con via Masnata (villa Serra-Doria-Masnata) lungo 350m.: nell’ottobre 1935 gli abitanti di questa via ricevettero l’ingiunzione di sfratto da effettuarsi in quindici giorni perché il palazzo, detto ‘gemello’, il civ.2 era “compreso fra quelli da demolirsi”; i due tratti uniti mantennero il nome di via Giosuè Carducci. Quindi, nel 1935, su 1750 m. complessivi, ne furono aperti ed ultimati 1530 m., essendone già pronti altri 180 m. ancora più a ponente).
Il 19 agosto 1935 il podestà deliberò che la strada si chiamasse “via Antonio Cantore”.
Alla fine del 1936 (anno XV dell’E.F.) rimanevano ancora due interruzioni - dovute alla presenza lungo il tracciato di edifici e terreni da espropriare e demolire: uno di circa 80 metri, costituito dalla proprietà Ronco e dalla ‘casa rossa’ (al quale seguiva verso ponente un tratto di 100 m già pronto dall’anno prima). La seconda interruzione era di 140 metri costituita dall’Oratorio della Morte e Orazione (rilevanti difficoltà furono trovate dovendo abbattere l’Oratorio per la sua natura e le speciali leggi che lo proteggevano e vincolavano; richiese pratiche più complesse per i vincoli della Chiesa e relativi Patti firmati da poco) e da alcune vecchie case vicine poste ai due lati dell’erigenda strada (Gli ultimi 80 metri, davanti alla villa Carpaneto erano già stati liberati e pronti, conservando alcune piante ornamentali nelle aiuole divenute spartitraffico; e con l’augurio che le Ferrovie dello Stato rifacessero la stazione - come da noto progetto - e portassero a livello stradale l’entrata, ed eliminando così la rampa d’accesso).
Tutto, venne completato l’anno dopo: il 15 mag.1938 la strada fu inaugurata ufficialmente con, nel pomeriggio, una grande sfilata militare in occasione della visita di Benito Mussolini alla città: in contemporanea fu completata l’illuminazione delle strade.
La decisione finale venne ratificata il 23 giugno 1939 quando fu delimitata definitivamente tutta la nuova strada, da via Milano-di Francia a piazza N.Montano (denominando: via Milano il primo pezzo di strada da DiNegro, che anch’esso inizialmente aveva avuto il nome unico di via A.Cantore; dopo la guerra si procedette anche alla distruzione delle case nell’incrocio a levante con via Milano, guadagnando per entrambi le strade un allargamento).
Il lavoro (costruzione della sede stradale, impianto di fognature, marciapiedi comunali, pavimentazione a massicciata e coperta da bitume, diversa dalla laterali coperte in masselli di granito) fu eseguito dall’impresa Torriani e diretto dall’ing. cav. GianLuigi Connio; comportò, solo nell’anno XIV, la spesa di 850mila lire.
Divenne così la strada principale della delegazione, scalzando dal ruolo la lunga e tradizionale via N.Daste. Per la sua realizzazione sono stati sacrificati orti e giardini vari: la testata del colle di san Benigno; via san Bartolomeo del Fossato; giardino di villa Spinola; taglio dell’accesso alla villa DeAndreis-Menotti (l’attuale via alla Chiesa delle Grazie); di via Imperiale e giardino della villa Scassi; giardino-orto di villa Doria Franzoniane; taglio di salita s.Rosa; giardino villa DoriaMasnata; viale accesso a villa Ronco; palazzo gemello di via Masnata; giardino di palazzo Bonanni (a me sconosciuto); taglio di corso dei Colli; giardini di villa Serra-Doria-donDaste; Oratorio dei Morti e Orazione; case delle vie NBixio, Mercato e piazza capitan Bove; giardino di villa Centurione-Carpaneto.
Via Cantore è stata per anni (1970-2000 circa), mèta naturale delle ‘vasche’, ritrovo mondano dei giovani basato sull’andare e venire sotto i portici, a ‘cicaleggiare’ o ‘tallonare’ ed imparare i nuovi gerghi ed usanze.
Ma è anche la strada più ‘trafficata’ di tutte: nell’ottobre 69 e nelle ore diurne ( h.7-21) diede passaggio a 31.300 veicoli al giorno. Il 2001, nell’occasione dell’incontro politico internazionale denominato G8, insieme alle diatribe ideologiche, portò dei soldi che permisero la riqualificazione della strada: con la spesa di 1,555 milioni, e quattro mesi di lavori, furono rifatti l’impianto di illuminazione (136 bracci con lampada ad alto rendimento), il manto stradale, le aiole spartitraffico (con annaffiamento automatico e nuove sempreverdi). In quell’anno oltre settanta commercianti diedero vita ad una idea di ‘centro integrato’, detto CIV (facendo nascere un consorzio chiamato ‘via Cantore e dintorni’; ossia iniziative atte ad accompagnare sotto i portici le distrazioni (musica, sport, banchetti, dei passanti).
STRUTTURA :
Iniziando da est, da via di Francia e da via Milano, appartiene a san Teodoro sino ai civ.neri 3 ed 8a; non esistono il 5 e l’8b). Entra in territorio sampierdarenese, in corrispondenza dell’ex fianco di ponente della collina di san Benigno: dall’ 8c al 62 e dal 7 al 51, fino a piazza Nicolò Montano.
In tutto è lunga 1652m, larga da 21 a 24m; raggiunge una pendenza del 4%.
Appare servita sia dall’acquedotto De Ferrari Galliera che Nicolay.
Disegnata a sei carreggiate, con aiuole spartitraffico munite di cespugli ornamentali ed antiabbaglianti, conta otto interruzioni al traffico veloce tramite altrettanti semafori non sincronizzati. Inizialmente fu disegnata anche una corsia preferenziale per i mezzi pubblici, con parcheggi a limiti orari ma continuamente disattesi dalle auto in sosta. Le periodiche e necessarie possibilità di svolta laterale, fanno sì che le corsie non hanno linearità continua, ed obbligando i mezzi a zig-zagare o strombazzare per pericolosi cambi o per errore di corsia, rallentando la marcia (che, in contrapposto, se tutta diritta, potrebbe divenire troppo veloce e causa di più incidenti mortali di quanti già avvengono, con tanto di mazzi di fiori finti attaccati ai piloni centrali o ai palazzi).
CIVICI
2007=UU25* (solo lato monte, dall’angolo di corso LMartinetti all’angolo con via GBMonti)
NERI = da 41 a 51 (escluso 49)
ROSSI = da 153 a 277 (compreso 219ab, 265a, 267a)
=UU26 (solo lato mare)
NERI = da 26 a 50 (compresi 30ABC, 32A, 62???)
ROSSI = da 92r→274r (mancano 128r→132r, e 152r→162r. Compresi 134ABr; 182Gr e 200Ar)
=UU27 (solo lato monte)
NERI = da 17 a 39 (mancano 25, 27. Compresi 29ABDF e 31A)
ROSSI = da 69r a 151r (compresi 75Ar→Lr, 87Ar, 109Br, 133ABCFGr, 135 Ar→Gr)
=UU28 NERI = da 7 a 15 (manca 9. Compreso 11A)
da 8C a 24 (compresi 8EFGH)
ROSSI = da 9r a 67r (manca 11r e 33r. Compresi 29Ar→Gr, 31Ar→Er, 33Ar→Fr, 67Ar→Dr)
da 26r a 90r (manca 30r, 32r. Compresi 34Ar→Or, 44Ar→Qr, 46Ar, 52Ar, 82Br).
(RIASSUMENDO:
NERI dispari da civ. 7→15=uu28; 17→39=uu27; 41→ 51=uu25.
pari da civ . 8C→24=uu28; 26→50=uu26.
ROSSI dispari da civ 9r→67r=uu28; 69r→151r=uu27; 153r→277r=uu25
pari da 26r→90r=uu28; 92r→274r =uu26)
Dai dati sopra rilevati, come costruzioni, San Pier d’Arena inizia a levante, con civv. neri 7 e 8C; e rossi, 9 e 26.
Dal Pagano 40 si rileva: ‘da via Milano a via Martiri Fascisti’; civici neri a privati e, al civ. 16, la chiesa evangelica Valdese; 31, asilo infantile M.Mazzini e la r. scuola di avv. N.Barabino; 32, Banca d’Italia; 34, assoc.naz.Combattenti; 42/4 ist. Palazzi scuola privata; civici rossi sino ai civv.226r e 277r (in particolare al 51 farmacia Saglietto; 165, Gragnani torref caffè; 210 casa d’Aste e Galleria; tra tutti 10 commestibili, 8 parrucchieri, 7 vinai, 5 fruttivendoli, 4 macellai e latterie, 3 bar, 2 trattorie, ecc.
Nel Pagano 1950 vengono segnalati cinque bar: 44r di Quasco M.; 72r di Appino C.; 76-80r bar Miro; 124r di Fochi F.; 180-182r di Ricci D.; un chiosco, di Brusasca Giuseppina. Nessuna osteria né trattoria.
La nuova denominazione di strade laterali come via G.Pittaluga, portò nel 1954 alcune variazioni numeriche nei civv., con scomparsa dei 11a e 11b; di via LaSpezia nello stesso anno, dei civv. 25, 25a, 27; di via N.Ronco nel 1966, con scomparsa dei 33 e 35 abcd; (via G.Pedemonte nel 1973 non apportò modifiche numeriche); acquisizione del 31a dalla eliminazione (1960) di via Masnata .
Furono assegnati a palazzi nuovi : l’ 8e (1953) ; 8gh (1970) ; 11 (1953) ; 29a (1951) ; la scala A del 30 (1955); 30b (1972) ; 30c (1988) ; 31 (1995) e 31b (1964) ; 35 (1968) ; 50 (1954) ; furono invece demoliti il 9a (1954) ; il 35 (1964) ; dal 50 al 58 (1954) ; 60 (1961).
Percorrendola dal piazzale della Camionale, troviamo:
VIA A. CANTORE – CIVICI A MARE (civici pari)
VIA A. CANTORE – CIVICI A MONTE (civici dispari)
DEDICATA al generale alpino sampierdarenese.
Nato alle ore 24 del 4 ago.1860, da Felice (fu GB, era casellante -o più preciso definito nell’atto di nascita ‘portiere alle vie ferrate’ nelle ferrovie locali- All’epoca i caselli erano posto a distanza di 1 o 1,5 km dovendo essere controllato a piedi il tratto di competenza; l’abitazione era delle più semplici con vano unico a due piani: di sotto servizi; nel sottoscala la latrina; di sopra camera da letto -anche per il figlio- riscaldata in inverno dal camino della cucina sottostante) e da Ferri Mariana (fu Giuseppe, ‘lavoratrice di casa’, di modesta levatura sociale), abitanti in una casetta-casello di proprietà delle ferrovie: (potrebbe essere quella presso vico Cibeo (inizialmente una antichissima chiesetta della famiglia Cibo, abbandonata all’erezione del viadotto della strada ferrata, e trasformata in casello con abitazione. Se è lei la ‘via Ferrata’ citata da alcuni biografi, corrisponde a quello stretto passaggio che subito dopo il sottopasso porta alla casetta, ed ora chiuso perché privato delle ferrovie. Il nome della strada ovviamente non è ufficiale ma solo popolarmente indicativo; al civ. 8 abitava la famiglia Cantore). Fu battezzato il giorno dopo dal curato don Giovanni Ferrari nella parrocchia di san Martino della Cella con i nomi Antonio Tomaso (documento conservato nell’archivio della chiesa; padrini al battesimo Antonio Landro e Teresa Frei). Scolaro diligente, maturò conoscendo il significato di dovere e fatica, dapprima frequentando l’Istituto tecnico poi avviandosi alla carriera militare: pare che fu scartato nella leva di marina perché miope, frequentò i corsi della scuola militare di Modena, da cadetto alla prima nomina di sottotenente ottenuta a vent’anni; e poi lentamente sino ai gradi di capitano di fanteria.
Dopo alcuni corsi speciali di guerra, divenne tenente (1880), maggiore (nel luglio 1898, e destinato agli alpini (da cui poi uno dei vari nomignoli: ‘alpino di mare’. Il corpo degli Alpini era nato nel 1872 dietro proposta del cap. GD Perrucchetti, nel desiderio di avere un corpo di fanteria specializzato nella guerra di montagna. Attualmente è composto da quattro brigate –Cadore, Julia, Taurinense, Tridentina facenti parte del 4° corpo d’Armata)) e poi finalmente il grado di colonnello (dell’88° reggimento fanteria della brigata Friuli).
Con questo grado, nel 1909 costituì –e l’ 1 ottobre ne prese il comando- l’8° Reggimento alpini (genericamente detto “reggimento Cantore”, composto dai battaglioni Susa, Vestone, Feltre e Tolmezzo), con l’incarico di addestrarlo per compiti diversi dalla montagna. Infatti, mentre era previsione degli alti comandi riprendere la campagna coloniale (interrottasi nel 1896 con la sconfitta di Adua) dapprima gli alpini furono impegnati nella guerra italo-turca (1911.12, alla fine della quale ricevette una decorazione); e poi, partiti da Napoli col suo reggimento furono inviati il 28.9.1912 in Tripolitania (Libia), con lo speciale incarico di combattere le bande di ribelli: nelle battaglie di Assaba e Tebedut (vengono citate località tipo Ettangi ed El Mduar), riuscì col battaglione Tolmezzo a battere il Senusso usando le armi dell’astuzia (grande mobilità e rapidità: dopo marce forzate di centinaia di chilometri in pochi giorni, sorprendeva e spiazzava l’avversario apparendo da parti diverse), e del coraggio (due volte consecutive appiedato dal cavallo colpito, ogni volta ribalzava in piedi continuando ad incitare i suoi alpini e creando il mito della sua invulnerabilità). Così si distinse e seppe assicurare il controllo della colonia, compreso l’interno della Tripolitania e Cirenaica; per cui meritò la croce di Cavaliere, e quella di Ufficiale dell’ordine militare di Savoia.
Quando le sue truppe furono fatte rientrare in patria, volle consegnare a ciascuno un atto di elogio e di saluto; lui restò in Cirenaica ove nel 1914 divenne Maggiore Generale per merito di guerra, continuando ad impegnare il Gran Senusso con ardimentosi raids sulle colline di Braksada, con l’occupazione di Gebadia, con le battaglie di Merg e Tecniz sempre con tattiche capaci di frenare l’ardimento del nemico.
Via via assunse il comando della brigata Pinerolo, poi del 3° Alpini, e poi della Mantova. Appassionato e facente parte della Società Geologica Italiana, procurò ad essa preziosi rilievi topografici e geologici delle montagne, riconosciuti veri documenti scientifici.
All’approssimarsi dello scoppio della guerra del 1915, fu richiamato in patria, ottenendo il comando della III brigata Alpina: il giorno stesso della dichiarazione di guerra, 24 maggio, dopo personale ispezione della zona, con le sue truppe si lanciò fulmineamente in val Lagarina mirando verso Trento, travolgendo le ancora disorganizzate difese nemiche; il giorno dopo era già oltre il monte Baldo ed il 26 occupò l’ Altissimo. Il 27, partendo da Peri conquistò Ala, e il 29 mattino arrivò sul monte Coni Zugna -strappandolo alla resistenza austriaca- (quest’ultimo, caposaldo nemico, era particolarmente munito di difese). Dopo due giorni, aveva già occupato la Biaièna, una montagna difficilissima e dominante.
Per queste capacità, fu spostato da questo settore – per merito suo divenuto meno importante nell’ottica complessiva della guerra – e promosso generale di divisione per merito di guerra gli fu affidato il comando in Trentino nella zona di Cortina d’Ampezzo, della gloriosa II divisione della IV armata (‘val Boite-Cadore’), a sostituire il gen. Savero Nasalli Rocca accusato di essere troppo prudente e lento. Vi arrivò con la fama di collerico, impulsivo, caparbio sino anche violento, ma in compenso generoso, ardimentoso, intelligente ed altruista: lui non mandava la truppa in avanti, ma la precedeva condividendo rischi e pericoli e con l’aureola dell’invincibile e immortale. Appena arrivò, migliorò la linea delle postazioni essendo mutate le condizioni di guerra in alta montagna e tendendo ad instaurarsi la ‘guerra di posizione’.
L’intera zona era chiamata dagli italiani ‘settore val Costeana’; il giorno stesso dell’inizio ostilità, una pattuglia di alpini entrò nel settore, trovandolo sgombro da austriaci che arretrati fortificavano la linea dello spartiacque dell’alta valle Travenanzes con il Castelletto, annidandosi nelle rocce della Forcella Fontananegra (m.2580), a nord della Tofana di Rozes e su due avamposti allo sperone TreDita e la Spalla della Tofana di Dentro che vanificavano agli alpini poter occupare la bassa val Travenanzes. Gli italiani occupavano le cime delle altre Tofan (di Mezzo e di Dentro) e accerchiavano la forcella di Fontananegra attraverso la quale speravano discendere in val Travenanzes. Ma, alla fine, con gli austriaci a quota 1800 e gli italiani a quota 1300, per un distanza di circa 500 m., ogni assalto era un massacro.
“Con Cantore, non si dorme!”; ma dando sempre l’esempio, costante nella presenza e responsabilità, aveva conquistato la devozione di tutti i soldati, innalzando alle stelle il senso di fiducia; per lui non doveva esistere una guerra di posizione ma di movimento, e l’unico modo era studiare bene la zona per vedere come e dove attaccare. Così ideò e maturò con sopralluoghi, un colpo di mano sulle Tofane, necessario per tagliare al nemico la via di rifornimento di Dobbiaco: propose di iniziare l’attacco dallo sbocco della val Travenanzes per sopraffare le difese poste a nord della terza Tofana e così prendere alle spalle le difese di Fontana Negra, del col di Boise e di Falzarego: dopo un esordio favorevole, le truppe scelte dell’Alpen Corps ben appostate su punti dominanti dei monti, lo obbligarono a ritirarsi e rivedere il piano d’azione; così sempre con il suo tenace disprezzo del pericolo, convinto che la pallottola che l’avrebbe ucciso non fosse ancora stata fusa, il 20 lug.1915, uscito dall’hotel Posta dove alloggiava in Cortina, salì a Vervei sulle Tofane (i cacciatori di aneddoti sottolineano gli eventi più utili per dimostrare le loro tesi: volendo raccontare l’astio crescente nei confronti del nuovo generale, vengono descritti due avvenimenti: l’incontro con un ufficiale della brigata Como che aveva conquistato Cortina, e avendolo trovato lontano dal suo reggimento, punito severamente (nervosismo); arrivato a Vervei, ai soldati esclama “domani sarete tutti lassù”... sulle vette occupare dagli austriaci o in cielo? (scaramantico); alle ore 19, dopo aver conversato con gli ufficiali, volendosi rendere conto personalmente delle difficoltà che si frapponevano andò con quattro alpini a studiare le postazioni in un osservatorio avanzato dove era la 9.a compagnia in località Forcella di Fontana Negra e da dove pensava poter riiniziare l’attacco. Arrivato al ghiaione che porta alla forcella, zona chiamata dai soldati ‘contagocce della morte’ perché chi poco si sporgeva era ucciso, perché gli austriaci erano a 200 metri di distanza, in alto. Mentre tentò di guardare col binocolo, venne mirato alla testa da un cecchino il cui primo colpo lo sfiorò; il secondo colpo gli perforò la visiera, facendolo cadere a terra all’indietro due metri più in basso senza poter pronunciare una parola avendolo lasciato fulminato.
Una relazione rilasciata da un fante presente assieme ad altri 12 soldati del 45° fanteria e quattro alpini del ‘Belluno’, riferì che appena arrivato si era messo a colloquio con i due ufficiali superiori (il magg. Ottina, del 3° batt.-45° fanteria; ed il cap. Comucci della 12° compagnia del 23° fanteria) con i quali studiare come conquistare il rifugio Tofane posto ad appena trecento metri di distanza. Dopo il colloquio si portò a controllare la zona esponendosi al cecchino e rimanendovi testardamente anche dopo che un primo colpo lo aveva fallito per poco.
La sua salma, portata a valle con non poche difficoltà (solo Lamponi, dice che due alpini perdettero la vita nell’operazione), ebbe un solenne funerale per le vie di Cortina e fu tumulata dapprima in un cimiterino locale sulla strada del Falzarego e poi, quando eretto, nel vicino sacrario di Pocol (intitolato a lui) assieme alle migliaia dei suoi soldati che come lui perdettero la vita su quelle alpi.
Fu insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria (in ordine cronologico dalla sua istituzione, sesto tra i liguri); la motivazione riconosce “esempio costante e fulgido d’indomito ardimento alle sue truppe, le condusse attraverso regioni difficilissime ove il nemico si era annidato riuscendo a sloggiarlo. Cadde colpito da palla nemica sull’osservatorio dal quale esplorava e preparava nuovi ardimenti. Forcella di Fontana Negra, 20 luglio 1915” .
Sul luogo, fu eretto un piccolo cippo con una lapide “ a Cantore . m. 20-VII-1915 . Assoc.Nazion.Alpini . 5-IX-1921 “.
Il 09.10.2010 gli Alpini di San Pier d’Arena hanno scoperto una lapide in suo onore nel muraglione della stazione ferroviaria di via di Francia: con piccola ma sentita cerimonia : «Gruppo A.N.A...
Nei pressi di questo sito / in vico Cibeo / il 4 agosto 1860 / nacque il generale Antonio Cantore / medaglia d’oro al valore militare / caduto sulle Tofane / il 20 luglio 1915 / nel 150 anniversario della nascita / l’Associazione Nazionale Alpini, sezione di Genova – Municipio Centro Ovest / posero».
monumento a Cortina d’Ampezzo - foto Tardito 9 ottobre 2010
Di lui nacquero leggende, racconti, memorie; di uomo eccezionale, la penna nera per eccellenza: per lui morto tra i primi dell’alto comando, ed i suoi soldati falciati in enorme numero, fu ideato un apposito ideale reggimento detto delle ‘penne mozze’ (nel quale prestano ‘servizio permanente’ tutti gli alpini morti in guerra, fedeli all’impegno preso di lottare per la Patria, aleggianti in un particolare paradiso, idealizzato nel monumento in bronzo eretto a Cortina).
I numerosissimi ricordi dei particolari sulla sua vita si sovrappongono quando vanno a descrivere il generoso entusiasmo patriottico, misto al senso di abnegazione, alla rude schiettezza, all’istintiva capacità di capire le necessità dei più umili e semplici soldati (che lo chiamavano “Toni”, per dire che era uno di loro), alla fermezza nell’indicare lo scopo e le motivazioni del sacrificio. Per i fedelissimi invece, era “il colonnel” oppure “il vecio Toni”: quello della Cirenaica, è tutto un sottolineare le capacità tecniche, l’intuizioni vincenti , decisioni pronte di scelta -in una vasta sfera di possibilità d’azione-sintomatica di una visione superiore e completa dei problemi da affrontare.
E’ dimostrato dalla storia che l’uomo, dai tempi degli Assiri ad oggi, è capace di immensi sacrifici, se ne ha un motivo per farli. Sempre la storia insegna che elemento fondamentale di ogni uomo è quello di cercare sempre di imporsi una mèta per avere uno ‘scopo’, possibilmente più nobile del vil denaro e della semplice sopravvivenza: la ‘famiglia’ per la religione, l’’onore’ per i cavalieri, il ‘Ché’ per alcuni giovani d’oggi, il ‘dovere’ per i tempi di Cantore: ai suoi tempi, l’amor di patria, il nemico invasore, l’unità d’Italia da completare, ma –come detto sopra- soprattutto il ‘senso del dovere’, erano gli stimoli che spingevano un fante all’attacco sul Carso, quando già in partenza sapeva che aveva pochissime –a volta nulle- possibilità di sopravvivenza; non era certo l’enocordial sufficiente a creargli quella ‘temerarietà’, se alla base non aveva questi supporti morali. Toccava quindi al superiore in grado non solo comandare ma soprattutto dimostrare che quei valori esistevano. Cantore fu l’emblema di questo modo di comandare: non si limitava a dire (quello che poi irrisoriamente fu stigmatizzato nella famosa frase ‘armiamoci e partite’), ma lo faceva -anche se diverso-, ma uguale e se possibile di più a quello che doveva fare il fante: per questo è divenuto un mito.
Questo identico ‘senso del dovere’, è quello che l’Alpino di oggi vuol conservare; nella vita associativa, nei raduni, ma soprattutto nel soccorso del prossimo in qualsiasi circostanza se ne abbisogni.
Ed è per questo che occorre conservare e valorizzare i miti che abbiano saputo ‘dare l’esempio’, uguale ed a rappresentanza delle migliaia e migliaia di ignoti che altrettanto come lui hanno dato la vita –a volte anche in forma più gloriosa di lui- ma sempre per un ideale ben preciso e voluto.
Per queste capacità e carattere, fu più volte paragonato a Nino Bixio.
Gli fu intitolato anche un cacciatorpediniere; sono più di cento i centri abitati italiani che hanno una strada intestata ad A.Cantore.
D’Annunzio lo citò nella “preghiera del combattente”: «il valor rise come il fiore sboccia – Ala, una città presa per amore! – E l’eroe d’Ala avea nome Cantore – e il suo canto è scolpito nella roccia».
L’Associazione Nazionale Alpini è in via Cantore al civ.34***
Un tiratore scelto degli alpenjäger, tale Attilio Berlanda di Susa, a lungo si vantò essere stato il cecchino determinante, mostrando una medaglia d’oro ricevuta dall’imperatore in persona; cercando di dimostrare che quel giorno era lui a controllare la zona della Forcella; ma poi risultò essere un millantatore perché in quella data era assegnato in territorio molto lontano da quella zona e la medaglia si riferiva ad un evento militare accaduto in Galizia. Come rileva Tardito, frequenti erano gli avvicendamenti delle truppe nelle zone di guerra e quindi è possibile che nei giorni appresso alla fatidica fucilata, il tiratore sia stato spostato di zona; ma il silenzio del nemico, avvalora che il cecchino non si era accorto di aver colpito un alto ufficiale, e che quindi il colpo sparato fu uno dei tanti che tentava, spesso senza neanche sapere contro chi e se aveva successo o no. Così mai fu possibile identificare il nome del fatale tiratore.
Dai verbali, nessuno dopo il fattaccio ha interogato i quattro alpini che lo avevano accompagnato.
Altrettanti sconcertanti ed insolubili problemi, scatenarono altre ipotesi contrastanti la versione ufficiale della sua morte; con rivelazioni da studiare perché troppo spesso inattendibili: il foro del berretto, più consono al calibro di un fucile in dotazione italiana (diametro 6,5mm) che non a quello in dotazione tedesca (diametro 8mm); voci di scontento tra i suoi alpini – addirittura odio per alcuni - perché lui rappresentava assalti al nemico e per essi - troppo spesso - la morte: ammirato e temuto. Voci che il cecchino fu uno dei nostri, un italiano ampezzano o in genere un trentino: senza considerare che molti di essi da sempre erano più affezionati all’Austria, e considerando l’italiano un invasore militavano in divisa austriaca: Cesare Battisti e F.Filzi ne sono l’esempio opposto, e furono impiccati quali disertori, per questa scelta.
LE POLEMICHE
Molte considerazioni sottocitate, vengono da approfondito studio su Antonio Cantore condotto da Carlo Tardito e per ora non pubblicato.
La morte del Generale, aprì una serie di illazioni che, ancor oggi a novant’anni di distanza, ogni tanto vengono riproposte come se non avessero mai avuto una chiarificazione. “La calunnia è un venticello...” rimasta lì a covare come il fuoco sotto la cenere: è riemersa nell’occasione di una mostra sulla Grande Guerra tenuta a Cortina nel 1998, durante la quale il giornalista Massimo Scampani scrisse sul Corriere della Sera un articolo sottoforma di ‘giallo’ riaprendo così vetuste ‘verità’ evidentemente non mai ben chiarite.
Facciamola noi, adesso una verifica ai dubbi più rilevanti, constatando che per nessuna di queste polemiche esiste una prova materiale matematica. Ai dubbi e ipotesi quindi, contrapponiamo altrettanto due ipotesi teoriche, ma che nell’impossibilità della certezza, valgono come valutazioni ponderate sul piano delle probabilità e dell’intelligenza. Sappiamo che la verità dei fatti, il più spesso, è la più semplice.
Il primo di essi chiede se fu un cecchino austriaco ad ucciderlo, od un fante italiano esasperato, reattivo ed al limite delle condizioni emotive (visto che vivere in quel distaccamento avanzato doveva essere tutt’altro che rilassante, non per nulla veniva chiamato ‘contagocce della morte’. Ad essi si accosta il libro - edito nel 1974 del prof Viazzi, titolato “i diavoli delle Tofane”, nel quale a pag. 47 nota 2 riporta lo scritto del prof. Fabbiani - che dell’argomento cita delle ‘voci’ paesane e lo scritto di due sacerdoti locali che qui è impossibile, per spazio riprodurre per intero: alpini che gioirono e che si ubricarono; alpini che già si comportavano fuori dalla legge militare e civile; alpini che – sicuramente furono loro! - lo uccisero e poi inscenarono la faccenda del cecchino). =L’analisi si fraziona in più parti
=Da parte nemica si scatenò la corsa per acquisire il merito di aver colpito un alto ufficiale solo molto tempo dopo il fatto, tardi nel tempo, quasi solo quando la guerra era già finita.
= Solo al funerale solenne la notizia divenne palese conoscenza del nemico, al di là delle prime ‘chiacchiere di paese’ riportate dai sacerdoti riguardanti il comportamento di alcuni alpini: questo avvalora l’ipotesi che anche il cecchino stesso non si era reso conto della grossa preda e della reale fine di essa.
=Caduto all’indietro il generale andò fuori della visuale del tiratore che al momento non potè mai sapere se aveva colpito o no, né chi, anche se i gradi nel berretto avrebbero potuto dirgli qualcosa rispetto l’impegno di mirare – e velocemente premere il grilletto - nel momento che inquadrava quel poco che sporgeva dalla roccia.
=É accertato, che il giorno dopo l’evento, la terza compagnia dei territoriali Landsturm n° 165, della quale faceva parte uno dei candidati cecchini, venne avvicendata da un plotone di Jäger bavaresi. Tra altri, un tiratore scelto degli alpenjägher, tal Attilio Berlanda di Susa a lungo menò vanto di essere stato presente quel giorno sulle Tofane e quindi essere l’autore dell’evento; ma accertamenti successivi appurarono che in quella data era molto lontano dalle Dolomiti e non poteva rientrare nel numero di quelli avvicendati. Comunque il tiratore, allontanato e destinato altrove, evidentemente seppe dell’evento poi molto tempo dopo, e nella presunzione di essere lui l’eroe fortunato, come faceva a ricordare diligentemente tutti i particolari che poi per lui erano rappresentati da una porzione di testa, forse coperta anche da un binocolo e scomparsa dopo il tiro; si presume che se si fosse reso conto di aver colpito un alto ufficiale sicuramente oltre ai commilitoni ne avrebbe fatto relazione ai suoi superiori scatenando una quantomeno vivave reazione in campo nemico.
=Questo silenzio può stare a suffragare varie ipotesi: pare che Cantore, appena arrivato esprimesse l’idea di vincere rapidamente (a scapito degli altri), di far evacuare Cortina (con grave rancore degli abitanti) e di attaccare subito (con rancore dei soldati di dover andare a morire). Pare altresì che tra i soldati italiani ce ne fossero tanti ‘sbravazzati’: sicuramente ci saranno stati militari, moltissimi analfabeti, non degni della divisa e dell’onore di essere alpini – ma questa idea non ci appare degna di considerazione sia perché il Generale era arrivato a Cortina due giorni prima e non poteva essere responsabile - anche agli occhi di un eventuale abbruttito - degli immensi sacrifici che sopportavano; ma soprattutto perché quel giorno fatale, nella ridotta avanzata, c’erano 16 soldati, di fanteria e alpini, guidati da un maggiore Ottina, del 45° fanteria, e da un capitano Comucci del 23° fanteria: che per ordini superiori tutti abbiano taciuto un così grave omicidio di uno di loro è abbastanza impensabile; che non sia seguito alcun processo all’omicida è assurdo; che nulla sia trapelato quantomeno anche dopo il conflitto quando – almeno i soldati - non più erano vincolati da ordini di superiori, rende l’ipotesi poco valida.
=Che il franco tiratore potesse essere un ampezzano è giusto, ma sicuramente in divisa austriaca: la grande vallata vedeva gli italiani incalzare da sud, ma per molti abitanti essi erano invasori, essendo lo spirito, la tradizione, la lingua e l’educazione fedeli agli Asburgo. Cortina, da 400 anni era sotto l’Austria; per tutti, il clima internazionale era amichevole e tollerante; la lingua tedesca ma con insegnamenta a scuola dell’italano; ma altrettanto, per molti abitanti le truppe italiane non erano liberatori ma invasori. Non facile la scelta di quei trentini; presumo che molti si siano arruolati nell’esercito austriaco, se non altro per non venire classificati e puniti come traditori vedi Cesare Battisti e Fabio Filzi). =Infatti sappiamo che tra i Landsturm molti erano ampezzani austriacanti.
=Ed altrettanto, ma con aggravante, vale per i due sacerdoti: non è chiaro se imparziali relatori o anche loro ‘austriacanti’; e per necessità di adattamento, con i piedi in due scarpe: ancora oggi, a settanta anni dalla guerra, in quelle terre la santa messa domenicale viene detta in tedesco e non in italiano.
=E poi, perché il parroco, don Pietro Alverà, scrisse questi fatti sul bollettino-diatrio parrocchiale, e non segnalarli all’Alto Comando – come si compete a persona di cultura - essendo il fatto giudicabile di estrema gravità?
=il basso livello culturale generale nelle nostre truppe - tantissimi gli analfabeti - sicuramente trovò terreno fertile per far attecchire ogni ‘voce’ specialmente se rivolta contro gli ufficiali, e riportate poi da persone sì di cultura, ma o vili o addirittura fuori legge, militare e civile.
=Per ultimo, e non ultimo, la serietà delle valutazioni dell’Alto Comando: l’obbedienza cieca era determinante durante la guerra, ma che tutti abbiano mentito anche col nobile scopo di non demoralizzare la truppa, non è solo offensivo ma sarebbe stato da punire; e comunque e soprattutto, fuori della mentalità di un vero Alpino.
Il secondo è il calibro del fucile valutato sul foro della visiera: 6,5mm per i nostri, 8mm per i tedeschi; il foro nel berretto appare 6,5.
Certamente meriterebbe una perizia balistica. Oggi più facile di allora, per i mezzi tecnici a disposizione. Ma inutile: solo per dare soddisfazione a qualche detrattore con le caratteristiche sopra descritte per i sacerdoti? Una pallottola in arrivo non fa un buco netto, ma slabbrato, quindi apparentemente più piccolo; il cuoio nel tempo si può restringere; oppure si trattò di un fante austriaco che usava un fucile italiano? visto che chi spara si sente a proprio agio non con tutte le carabine.
Occorre accettare che ognuno, nella libertà di espressione, dica la sua, purché essa non sia a scopo di seminare zizzania o discredito: di fonti simili non mancano mai, ed oggi più di prima considerato essere di moda essere ‘controcorrente’ e revisionisti; come ultimi, alcuni commenti sul valore globale delle truppe italiane in quella guerra, scritte (ottebre/04) su un giornale tedesco.
L’intelligenza media di una persona normale rifiuta dar credito a questo tipo di polemica. Consideriamo il tutto: CHIUSO, anche se il vero possa avere avuto risvolti diversi. La figura del generale, nell’insieme, cambia di nulla.
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