CANEPA                                       lungomare Giuseppe Canepa

 

 

 

TARGA:

S.Pier d’Arena – lungomare - Giuseppe Canepa – giornalista-politico – 1865-1948

 

Una prima targa, con sopra tutto la scritta San Pier d’Arena; ed un’altra con solo

 “Lungomare Canepa” nell’anno 2010 non ci sono più.

 

 

 

all’altezza di piazzetta dei Minolli

 

all’altezza della deviazione per via T.Molteni

 

 

all’altezza della deviazione per via T.Molteni                                             

 

QUARTIERE ANTICO: Canto  (- Castello) – Coscia

Non riproducibile la carta di M.Vinzoni, essendo il Lungomare sovrapoposto al mare.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:  (non assegnato)

  tratto a ponente sino p.tta Minolli

 a levante sino rampa per autostrada

da Pagano 1967-8

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   11220

UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA

in rosso via San Pier d’Arena; in celeste strada elicoidale. Da Google Earth 2007.

 

CAP:  16149

PARROCCHIA :   dal 2 all8 rossi = s.Maria delle Grazie – il resto, s.Maria della Cella.

STORIA  non ha storia questa strada, se non che prima di essa, c’era il mare. Nacque con il riempimento del litorale, col materiale conseguente alla demolizione del colle di san Benigno (due piccioni con una fava), processo iniziato una volta deciso di fare il porto davanti a San Pier d’Arena. Operazione tanto utile al porto di Genova, quanto deleteria per la città di San Pier d’Arena che perdette il contatto col mare. Prima di formare la strada, a lungo rimase un largo pianoro, di proprietà del Demanio,  utilizzato come scalo merci e sosta autotreni, campo di atterraggio aerei, campo da football. Finché fu recintato e delimitata la strada che appartiene al Demanio ma in usufrutto al Comune per il transito di veicoli.

 

il primo palazzone a destra,  è il retro del civico 4-6 di via SanPierd’Arena; a levante, non c’è ancora il civ.2 palazzina Bertorello; a ponente il palazzo in centro  sarebbe il retro del civ.14  con –al suo immediato ponente- la palazzina del ClubNautico=civ.16 e, dietro, l’ex pretura nella piazza dei Minolli. Il palazzo a sin. sarebbe quindi il civ. 14 di via SPdA. Con dietro il campanile della Cella senza guglia= il ché pone la foto a cavallo tra fine 1800 e primi 1900. Da chiarire la casetta a mare

 

STRUTTURA:

la strada, dirigendosi da Genova verso ovest,

=inizia dalla fine del  viadotto elicoidale dell’Autostrada (Camionale) in corrispondenza del varco di entrata e doganale a ponte Etiopia,

 

                              

 la strada, da fare                                    foto 1976 del Gazzettino Sampierdarenese

e procede in rettilineo a monte della recinzione doganale, fino a che permette

=una prima deviazione a destra, per un breve tratto stradale anonimo ma di pertinenza della via San Pier d’Arena che viene intersecata (alla Topogr è scritto erroneamente ancora ‘in via N. Barabino’) per immettersi in via Molteni per la viabilità degli autoveicoli diretti al centro, o a Rivarolo o a ponente.

=prosegue in rettilineo verso il torrente, passando a mare della zona nuova della Fiumara, fino alla corrispondenza del varco al ponte Libia, ove la strada appare terminare, chiusa  dall’ingresso di alcune imprese private (quest’ultimo tratto, nella Guida del Porto edita da Pagano nel 1954, è scritto chiamarsi “’via al Ponte Carlo Canepa’, dal termine della via Operai alla testata del ponte Carlo Canepa”).

    Tutto il lungo rettilineo, ricalcando il limite spiaggia-mare,  non è proprietà comunale ma è incluso in territorio di proprietà del CAP il quale in forma determinata si è posto al di à del muro di cinzione, ma che anche al di qua mantiene una quota di possesso.

 

È quindi riconosciuta una ‘comproprietà’ (il CAP del terreno ed il Comune dell’uso) - in attesa della realizzazione di un programma preciso riguardante tutta la zona sino al torrente -, che nei fatti

impedisce di gestire il manto stradale ed i  bordi (per esempio allargarla, o abbattere quanto di fatiscente  o utilizzare quanto già libero).

 

antiche presenze “al di là” del muro – 1941 campo da football e da atterraggio

 

    

i docks sampierdarenesi                            1937-foto Pasteris- il muro ancora da erigere

  Il traffico diretto a levante,  proviene da via Pacinotti: può proseguire diritto per via SanPier d’Arena, o con uno slalom inserirsi nel Lungomare   ove - al termine - si biforca (una verso l’autostrada, l’altra costeggiando il porto, passa a mare della Coscia e va verso la caserma dei Pompieri. 

   Quindi è una strada in rettilineo che consente ai veicoli un aumento della velocità con corrispondente rischio di incidenti gravi; ed essendo in prossimità del porto, è soggetta a parcheggi di grossi automezzi con conseguenze più volte mortali. Innumerevoli sono gli articoli che i giornali quotidiani  segnalano in rapporto alla pericolosità della strada; non ultima è una relazione del Comune-Aster-CAP i quali promettono, non appena finita la realizzazione dell’opera fognaria bianca in corso, l’asfaltatura ed una revisione nei pressi di via Molteni. Ancora sul Secolo del 18.4.04 si preannuncia, in previsione del ‘giro ciclistico d’Italia’, per l’indomani, la asfaltatura dall’elicoidale alla rotonda.

  Avrebbe dovuto essere coadiuvata da un prolungamento verso ponente della sopraelevata, già portato avanti ed esistente, e previsto sino circa alla zona dell’ aeroporto, ma poi il progetto venne accantonato.

Sono previsti invece importanti modifiche alla viabilità, non appena pronta la zona Fiumara.

==a lato mare scorre lungo la recinzione doganale; si aprono due varchi per entrare nel porto, chiamati:  di ponte Etiopia a levante e di ponte Libia a ponente.

varco doganale Ponte Etiopia nel 1976

 

CIVICI (non tutti sono segnati esteriormente e quindi non è possibile assegnarli alle singole aperture)

2007 = NERI   = 3, 55, 59 (mancano 1, 5→53, 57)     e 2, 4.

            ROSSI =  9r, 121r, 129r, 149r→155r (mancano 11→119, 123→127, 129→147)               2r→8r, 80r, 82r (mancano da 10→78)

Dei civici, risultano: eretto il civ.20 nel 1953 ; divenuto civ.rosso nel 1961) ; e demolito il civ.22 (’62)

=== il centro san Benigno

===civ.3 un grattacielo della Finanza ospitante il Comando nucleo regionale Polizia Tributaria della Liguria.

Si apre in via delle Fiamme Gialle

Così detto perché specifico e totalmente occupato dalla Prima Legione  della Guardia di Finanza.  Di 15 piani, alto 45m e lungo oltre 50; sorge su area demaniale del CAP  di 1164 mq.,  concessa all’Arma militare e strutturato con i requisiti del “manufatto di importanza militare”, del quale è quindi impossibile avere dettagli perché caratterizzati ”da imprescindibili motivi di sicurezza passiva”). Ha sempre fatto sorridere - nella grandiosità di un grattacielo - l’idea di doverlo salire a piedi: eppure questo è successo nel maggio 2003 assieme al funzionamento dei condizionatori (si scrive  per colpa della riduzione delle spese; ma ricevendo l’onore della cronaca).

Di fronte, sul lato di via P.Chiesa, nel 2000 esistevano ancora tracce dei binari ferroviari che percorrevano la strada.

La Guardia di Finanza comprende:

*4 ‘gruppi di sezioni’ Genova per settori tributari, tutti con gli stessi scopi finanziari, ma con particolari incarichi (I gruppo=giudiziari,contrabbando, ricettazione, ecc), II (verifiche alle aziende.ecc), III ( imprese minori, ecc.), IV (imprese maggiori , ecc.).

*il gruppo investigativo criminalità organizzata ‘Gico’;

*il gruppo operazione antidroga ;

*il gruppo repressione frodi e di sezioni .

*caserma dedicata a T. Testero (vedi in via P.Chiesa), costruita nel 1950 sul sedime di vecchi capannoni della soc. Grendi.

Ha sede nel grattacirelo anche il Circolo sportrivo GF diretto da Paolo Tagliaferri di judo facente parte  della Federazione Italiana Judo-Arti Marziali

===La strada è fiancheggiata da piccoli edifici di imprese artigiane e piccole industrie, in un decoro di simil-abbandono baraccopoli.

il retro, con gioco bocce, del Club dei Carbonai di via P.Chiesa

  

dopo il distributore di benzina, che è a mare della “villa Buranello –civ.2” di via SPdArena, primo capannone è della I.F.N. forniture navali. Il palazzo dietro è il civ. 4-6 di via san Pier d’Arena. Foto marzo 2010.

 

                 

officina aperta di via SPdA tra il civv. 6 e 8                   officina, posta nel retro del civ.8 di

 foto 2010                                                                        via  San Pier d’Arena

 

  

foto 2010                                                           in angolo con piazza dei Minolli capannone

                                                                          già dei “Trasporti Ferrini”  (non ci sono nei                       

                                                                          Pagano); ?-Foggia-Genova-Pescara – Foto 2010

 

 

autotrasporti Ferrini in angolo      a mare del palazzo Municipale Foto 2007     

con piazza dei Minolli

 

a mare del Palazzo del Sale . foto 2010

 

===A livello del Palazzo del Sale, la bocciofila ‘soc. Carlo Bottino’ CPS (il professore fondatore del centro petanque sportivo sampierdarenese)  forte di 300 iscritti; essi hanno ricuperato con lavoro di volontariato ben diciannove campi esterni per il gioco delle bocce e della petanque (questa si differenzia per l’irregolarità del terreno, dimensioni ridotte delle bocce, minore movimento ma maggiori difficoltà), ed otto campi interni (anche se sono in attesa di regolarizzare la sistemazione  all’interno del grosso edificio a cui si appoggiano).

Il Club, fondato nel 1975,  paga al CAP l’affitto del terreno: all’inizio la cifra era simbolica ma dal 1985 è un vero affitto precario. Dai campetti, sono emersi campioni arrivati quarti ai mondiali e secondi in Italia nel 1985.

 

  

 

 

       

   Lungo la strada, dove anche atterravano dei caccia militari,  fu aperto un campo di calcio, in sostituzione di quello chiuso nel retro di villa Scassi; e fu intitolato a Bertorello. Anche questo campo fu eliminato per occupazione del terreno da parte delle attività portuali; e il gioco fu indirizzato a Cornigliano determinando che  San Pier d’Arena rimase senza alcun stadio, fino all’apertura del Morgavi .

    Nello slargo,  negli anni dopoguerra e prima che la TV chiudesse la gente in casa, c’erano due ‘arene’ ovvero due baracche con un palcoscenico e poche sedie o panche, ospitanti due comici locali in concorrenza nell’inventare battute per far ridere soprattutto i bambini: Fagiolino e  Padella (vedi a Pavanello).

1970 circa - verso levante; a sinistra il benzinaio che      stesso punto, verso ponente

 serviva nel punto di raccordo con via Molteni

 

   Nel tratto finale, la strada era costeggiata a monte dalla facciata a mare delle fatiscenti costruzioni dell’Ansaldo,

 

 

tra i quali anche quello chiamato  “proiettificio”. Esso  ora è stato completamente rimodernato; la fonderia aveva una grossa ciminiera prospiciente la strada, e di cui fino al 1999 era rimasta solo la base, in attesa della completa demolizione.  A metà  del 2005 appare in fase finale di ristrutturazione e già parzialmente occupato.

  

 

  

proiettificio con ciminiera                                                                                 residuo 2008

                               

proiettificio, facciata a mare                                                             facciata in via  Fiumara

 

 

 

===civ.151r   Nel 2010, a questa altezza, corrispondente al palazzo col tetto a scala dell’AMGA Energia, la cui ta targhetta al cancello segnalava  CAE (Centrale Amga Energia) di cogenerazione, via Lungomare Canepa. Essa, nel 2010 è diventata soc. Iride.

La strada si biforca. Forse ambedue i rami appartiengono al Lungomare essendo anonimi.

  

muraglione di confine col torrente.Foto 2007

In particolare:

--- il ramo più a monte (aperto definitivamente solo quando nel 2003-4 fu ristrutturata la Fiumara), procede per un centinaio di metri fino ad una aiuola rotonda alla cui destra ci si immette in via P.Mantovani. Procedendo diritti, si costeggiando il fianco del Vaillant Palace (foto c) quando la strada di triforca: la corsia centrale porta ad un terrazzamento dietro il Valliant e finisce in esso; -quella di destra – senso unico - compie un anello verso ovest e ritorna  nella terza corsia. Quest’ultima, prima fiancheggia un’area di proprietà delle Ferrovie che è in fase di ristrutturazione (foto a); poi i residui delle quattro arcate dell’antico ponte che poprtava la ferrovia sotto Coronata.  

 

foto a)  2010 spiazzo, posto dietro il muretto rosso della foto b                           

 

    

foto b                                                              foto c)

---La  corsia a mare, dopo un centinaio di metri nei quali costeggia una doppia linea ferroviaria in disuso (foto b),  a sua volta si divide in due rami:

-quello a  mare va a chiudersi ai cancelli del Terminal dei Messina gestito dai fratelli Gianfranco, Giorgio e Paolo. Così si completa da alcuni anni la strada, arrivando al terminal container; il cui accesso è simile ad un vasto casello autostradale che controlla un traffico di alcune centinaia di camion e treni in entrata ed uscita. Il 21 dic.2000 si segnalava lo storico imbarco del milionesimo container, dall’inizio attività nel 1996.

-quello diritto,

        

 

 

finisce in uno spiazzo che, nel 2010 è ‘privato’ e quindi chiuso alla gente. Ci passano grossi camion della ditta Spinelli che, dopo averla traversata proseguono su un ponte ad una sola corsia, il quale traversa il torrente per arrivare nell’area riservata a questo trasportatore.-Da questa piazzetta ancora nel 2009 (a ponente del muro che delimita la proprietà Messina con il suo ‘casello’), si arrivava  al greto del torrente nei pressi della sua foce; a destra si andava sul greto vero e proprio; a sinistra si percorreva una stradina la quale - senza una targa stradale specifica - corrispondeva alla “via Lungo Argine del Polcevera”: passando sotto le arcate di un ponte ferroviario in disuso del quale una parte fu chiamata “strada del Papa” (vedi via AdPolcevera) -sempre per concessione del CAP- avevano una sede (ed ora sfrattati) i numerosi atleti della società ‘UGES Esperia (dapprima  ospitati in ponte Canepa  e poi trasferiti sulla sponda sinistra del torrente ove in alcune baracche hanno gli spogliatoi, le attrezzature, i gozzi, le jole ed altre barche, ma non una palestra; dapprima con ufficio presso il bar Foglino in via Sampierdarena, ora in via Mamiani, 13r;  nata l’11 nov 1953 attorno ad un tavolino del bar Lino (o Foglino,  ex Monica) al Canto, per volontà di dieci concittadini amanti dello sport del canottaggio, che diedero il via a giovani atleti capaci di vincere innumerevoli trofei tra cui  il Torneo dei Rioni nel ‘54 e ponendosi in posizioni da podio nel Palio di san Pietro (primi alla prima edizione), palio del Levante, e con rappresentanti vogatori nel Palio delle Repubbliche.

Vi aveva sede e spiazzo di attracco anche il Club Nautico Sampierdarena e gli ultimi pescatori , i sopravvissuti di generazioni e generazioni di lavoratori che hanno vissuto sulla nostra spiaggia  facendo il pescatore professionale senza mutua né pensione sociale: partono da qui per arrivare alla diga o nell’interno di essa, alla ricerca di quella microscopica porzione di mare raggiungibile dalla foce del torrente, per amore atavico dell’onda, della salsedine, dell’antica sfida con la natura, circondati da concittadini molti “foresti”, gli unici a loro agio che del mare non hanno  traccia né odore né passione del rumore di risacca. Purtroppo –nel maggio 2005- pare per difetto del depuratore, la foce del torrente è pura fogna, con l’odore e colore conseguente: ovvio per chi mette in mare uno scafo, lo schifo dell’acqua e la preoccupazione anche della “loppa” (scarto finale della lavorazione dell’acciaio, che anni addietro veniva venduta per essere riciclata e che invece ora –pare dalla acciaieria di Cornigliano- venga gettata in mare).

 

   Il rettilineo di Lungomare è la quarta via in orizzontale, che graticcia la città  e permette un parziale ma basilare sollievo al traffico stradale, soprattutto per il transito dei veicoli pesanti.    Tutta la strada alla sera si rianima, ed è ospite di ‘farfalle’, scaricatori abusivi di detriti, malavitosi  in genere, abusivi extracomunitari in cerca di un asilo.

     Come già accennato, la strada diverrà  oggetto di prossime sostanziali trasformazioni, quando a ponente verranno ultimati il quartiere Fiumara e l’incrocio viario con la Valpolcevera, ed a levante verrà realizzato il transito di attraversamento del centro con un ponte o un tunnel.  

   Dopo l’ anno 2000, numerose sono le segnalazioni di dissesto stradale concausa di innumerevoli incidenti anche mortali. Nonostante apparenti accordi (5/02, 10.02.03, 15.4.03) tra tutti gli enti, il bisticcio di competenze appare così ingarbugliato che passano gli anni e  nulla o a singhiozzo viene fatto in pratica (sindaco, assessori, autorità portuale, aster, c.d.c.), con il classico “la situazione non è sopportabile oltre” (asfaltatura, segnaletica, canali di scolo (non ci sono caditoie), posteggi). ‘Strada da terzo mondo’.

   Tutta la strada , nel 2003 è ancora in attesa di realizzazioni a vasto respiro di viabilità.  Il progetto (curato dall’Anas con la collaborazione del Comune, Provincia, regione, CAP, ed approvazione verbale del Ministero delle OOPP che però non ha firmato l’autorizzazione) di trasformare la strada in una struttura di smaltimento veloce del traffico, con accessi al porto ed alle strutture limitrofe, è bloccato dalla carenza dei soldi: nel 1993 di fronte ai previsti 144 miliardi di vecchie lire, era ferma alla cifra di 85.   Finalmente ai fine aprile03 un giudice stabilì che ‘per pubblica incolumità’: il Comune doveva addossarsi la priorità delle spese della strada anche se di proprietà del Cap (e data da esso in gestione al Consorzio san Benigno).  Nel 04.2003 si prevedevano 220mila euro (sic) a carico del Comune e 60mila (sic) a carico del  CAP, ma appena convenuto ci si è accorti che la cifra era già in deficit e quindi, da rifare i conti (per 5,5 km. fino a Multedo, verifiche geologiche, due corsie per senso di marcia, corsia di emergenza; svincoli, riorganizzazione ferroviaria: il Comune ha previsto 500milioni di e., di cui uno stanziato dall’Anas per le prime verifiche).

A fine marzo 03 doveva transitarvi il Giro dell’Appennino, ma un sopralluogo della polizia municipale confermava una situazione per cui ‘le voragini di cui è disseminato l’asfalto non garantiscono le condizioni minime di sicurezza’. Lo stesso a maggio subito dopo, quando programmando una tappa del giro ciclistico d’Italia la polizia municipale negò l’autorizzazione al transito per eccesso di pericolosità.

A settembre 03 l’annuncio: ‘via ai lavori’ con un giro di centinaia di migliaia di eutro, tra Autorità Portuale e Comune.

Ancora nel 2004 si scava per regolarizzare lo scarico delle acque bianche: sui giornali –col titolo ‘la beffa’- della strada si parla solo per segnalare gravi incidenti stradali e per i ‘rattoppi’ al manto stradale che rendono pericolosissimo il percorso ai motocicli specie quando piove e le buche si riempono d’acqua. Lunga la polemica e gli scritti dei cittadini, anche di fronte a due incidenti mortali (magari non legati direttamente alla sola pavimentazione ma anche alla segnaletica, al buio, alle vie laterali di immissione ecc). Duro il rapporto della polizia municipale: ‘strada da chiudere perché carente del minimo  di sicurezza’. Due recenti sentenze hanno dato torto al Comune, dichiarato ‘responsabile della sicurezza stradale, indipendentemente dalla proprietà’. Scrive giusto il giornalista del Secolo: come nelle soap opera della tv, anche se perdi quattro o cinque puntate, cambia nulla.

Nel marzo 2005 si scrive di un muretto limitante un tetto di un edificio ad un piano, parzialmente crollato e lasciato lì, transennato.

      Il nome è stranamente condiviso con  una ‘via’ voltrese***; qui, la via fu così denominata con delibera del consiglio comunale, l’8 apr.1952. 

 

La polemica nasce quando hanno deciso di chiamarlo “lungomare” :  i miei concittadini dovrebbero partecipare alla rabbia di essere presi ulteriormente in giro: aver distrutto la spiaggia con l’erezione del porto quale necessità pubblica per Genova,  non esclude il concetto che per avere un bene,  si abbia il diritto di distruggere ed addirittura snaturare nella sua parte più bella la città di San Pier d’Arena: è sempre stata una città di mare, ed adesso col mare non ha più nulla a che vedere, murata lontana da esso dietro una barriera di cemento e mattoni, e che di lungomare ha solo il nome beffardo. I sampierdarenesi sono diventati come i piemontesi: andare a nuotare in piscina (se funziona); ma se vogliono vedere il mare debbono prendere un pullman, anche loro con quella faccia un po’ così… tra il meridionale ed il colombiano...

 

 

 

STORIA:

   Da sempre, ma in pratica da oltre mille anni, dalla sua nascita di borgo, San Pier d’Arena  visse in funzione della sua spiaggia.

   Sull’arenile avveniva praticamente tutto quello che era vita e sopravvivenza: anche se non perfettamente strutturate, c’era ‘tutto come a Genova’:

la natura (Giustiniani (negli Annali,1535) scrive “chi volesse compiutamente narrare l’opportunità, la magnificenza e la nobiltà di questa villa sarebbe necessario forse un volume. Contiene questa Pieve una spiaggia lunga un grosso miglio tanto comoda al varar delle navi che non potrebbe esser più, e par che la natura l’abbia fabbricata a questo effetto… i forestieri…essendo a Sampierdarena credono di essere a Genova…”; GB Gonfalonieri (1592) scrive che era “una vaghissima contrada rurale, in pianura ed in collina, intersecata da bellissimi giardini…”; Accinelli (1774) : “si passa al borgo di Sampierdarena che si estende longi la riva del mare per un miglio, il più sontuoso borgo di tutta l’Italia.”; Bertolotti Davide (1834) “i palazzi di cui si adorna il borgo di Sampierdarena basterebbero a far rimbellire una metropoli…” ;

lo spettacolo Nel 1097 partì dall’Europa la prima vera crociata; gli eserciti  di Lorena, di Germania e parte di Francia si riunirono anche qui per imbarcarsi verso la Terrasanta assieme a Guglielmo Embriaco.  Il 18 lug.1242,  ben 132 galeazze e tre grosse navi armate (Novella dice “83 galee, 13 torride e 3 onerarie, tutte colorate di bianco colla croce vermiglia”) si schierarono lungo la spiaggia e furono passate in rassegna dal podestà genovese Corrado di Concessio, pronte a partire per vendicare un attacco subito dai pisani.   Penultimo, Napoleone stesso si ritrovò a San Pier d’Arena per far marciare e far fare evoluzioni su questo litorale a 4mila suoi fanti; ultimo lo stadio da foot-ball, ospitato qui per qualche anno, come già scritto sopra. Meno clamorosi, ma pur sempre ludici, Padella e Fagiolino col loro spettacolo di clown. Ed ultimissimo, lo spettacolo che sta dando la nuova etichetta alla città: farfalle, trans, clandestini, spacciatori, malavitosi...sic transit...

le difese (le 7 torri saracene medievali e le guardie che a ronda sorvegliavano il litorale; poco delle autorità locali alla Lanterna; posta proprio al confine territoriale, è più proprietà di Genova. Ancora ben visibili invece le torri cinquecentesche delle ville dell’epoca posteriore ai guelfi-ghibellini);

le calate per carico e scarico di merci (ad iniziare dalla Cella fino al Calandrino della Coscia);

i capitani di navi famosi nel mondo alla pari dei camoglini. Tra essi i Casanova (sottodescriti); Ratto ( da cap. dei Dallorso, acquistò in proprio uno scafo che comandò e chiamò col proprio nome usandolo per trasporto di ale dalla Sardegna);

Quasi tutti  i  capitani erano anche gli armatori – o almeno ne avevano in famiglia-.

--degli armatori e capitani    =Acquarone Giovanni (del brick ‘Queirolo’ e della nave ‘Cristina’); =Tixi B (del ‘F.Tixi’);  =Timossi GB (dello ship ‘Callao’); =DeAndreis T (dello ship ‘Bell’avvenire’);  =Gambaro Angelo (dell’Angelo’); =Bertorello (della ‘Nanan’ portata verso Pensacola); =Casale Bartolomeo;    nonché dei:

=Dallorso Matellin, capostipite della famiglia chiavarese, trafficando in trasporto ardesie e grano, preferì venire ad abitare a San Pier d’Arena. Ebbe cinque figli (il primogenito nato a Chiavari; gli altri 4 nati qui; tutti capitani di navi): Matteo (che divenne energico direttore di una casa granaria marsigliese);  Giacomo (che diresse la casa a Berdiannsck, ove trafficavano in grano ben 40 bastimenti); Sebastiano (che fece il contabile); Pietro (famoso come ‘granatino’ a piazza Banchi); e Salvatore  (ricordato per bontà d’animo ed anche quale animatore –con famosi ‘chatillons’-, nello scagno di piazza sanLuca, palazzo dei Brignole). I loro bastimenti furono costruiti pressoché tutti a sestri.

=dei tre fratelli Casanova, Nicolò (anche lui si dovette trasferire a Sestri);   Guglielmo; più famoso di essi fu Francesco, 1778-1848, abilissimo lavoratore con l’ascia ed il cartabono. Aveva iniziato a navigare da bambino con uno zio ed imparato il mestiere lavorando a Tolone per conto dell’imperatore.  Fu il primo della famiglia  a rendersi autonomo nel costruire sulla nostra spiaggia  bastimenti di mezza e grossa portata, ed anche ad essere  fondatore della famiglia armatoriale.  Era volgarmente chiamato ‘capitan giastemma’ perché –seppur  mite e di bontà estrema-,  non sapeva comporre una frase senza ricorrere –tremendo!- al nome di santi o anche ‘più su’.

il brick ‘Francesco Casanova’ , , ‘Luigi Casanova’. Con cantiere nella ‘zona della Catena’ (vedi via-) , limitrofa alla Coscia, aveva varato i suoi bastimenti che ebbero nome: bombarda ‘San Salvatore’; ship ‘l’Orco’ (affondato in Atlantico, aveva cap. B.Gambaro. vi figuravano vari caratisti).; la polacca ‘Intraprendenza’. A terra, abitava una casa  sulla riva del mare, a livello dell’ex proprietà degli Spinola (pag.143); e  risulta essere stato il primo presidente della soc. Unione Umanitaria. 

Fu  capostipite di famosi comandanti di navi, abili lupi di mare che per la loro audacia e capacità manovriere,  ebbero più volte risonanza internazionale nella stampa marittima: tra essi i figli Guglielmo ( omonimo dello zio?- i cantieri del padre –quando le redini  passarono nelle sue mani-  furono trasferiti a Sestri poiché la spiaggia iniziò ad essere invasa dagli stabilimenti meccanici : arrivato sulla cinquantina,   verso il 1870 impostò a SestriP.  un grande  e veloce veliero, il ‘Luigi Casanova’ di 1700 t., da comandare personalmente per rotte verso l’America del Sud, munito di 16 comode cabine per passeggeri di classe, biblioteca,  pianoforte e distillatore dell’acqua);  LuigiFrancesco (1847-1902, da bambino sulle navi comandate dal padre, studiò nautica a Genova divenendo Capitano di LungoCorso prima ancora dei vent’anni; a 24 anni era già capitano di velieri come il CleliaCasanova, il LuigiCasanova, il Sampierdarena, l’Orco, per 15 anni il BiancaCasanova. Divenne suocero del com. Davide Chiossone), Martino, Salvatore (questi navigò per ltre 47 anni su tutti gli oceani, anche sulla nave ‘Salvatore’ dei Dallorso; comandò lo ship ‘Martino Casanova’ attraversando l’oceano per 5 volte senza mai entrare nel Mediterraneo, tornando a casa dopo sei lunghi anni).

Bastimenti dei figli, molti  varati in San Pier d’Arena  furono:   il veliero ‘Sampierdarena’ (di 1800 t.; partita da Cadice al comando del cap. Lorenzo Canevari,  carica di sale, per Buenos Ayres, scomparve nell’Atlantico); lo ship Sorpresa’ che fu comandata da Francesco figlio in persona (effettuò in pieno Atlantico un difficile salvataggio di una nave inglese guadagnandosi una medaglia d’argento al valore, ed un cronometro d’oro con la sigla imperiale) ed anche da Martino (per viaggi nel Pacifico, sia di passeggeri che mercanzie);  ‘Bianca Casanova’ (ship divenuto famoso per  velocità,  fortuna  -tanto che era leggenda di marinai avesse stretto contratto con gli spiriti abitanti Capo Horn- e   regolarità nelle sue innumerevoli traversate verso il Pacifico. Da S.Francisco di California, portava grano in Inghilterra, ad Amsterdam ed a Genova. Lo comandò a lungo  LuigiFrancesco conquistatore di una specie di record di velocità, con gli elogi della stampa marittima); lo ship ‘Caterina Casanova’ (di 1600 t., che viaggiò verso le Indie al comando di Martino e del cap. Gaggero, pegliese); lo ship ‘Martino Casanova’ di 1200 t.; gli ship ‘Barba Luigi’

‘Ausonia Casanova’ ,’Clelia Casanova’ tutti tra i 1200 e 1400 t..

Navi della loro flotta,  non varate qui, furono: ‘Angelo Casanova’ ex Mana-Loa; ‘Luigi Casanova’ varato a Sestri.

=i fratelli Devoto  furono famiglia che nel periodo risorgimentale, essendo fedeli mazziniani, fecero costruire 4 scafi da 1000 t. coi nomi a chiave: ‘Solo’, ‘Unico’, ‘Scopo’, ‘Giuseppe Mazzini’.  Questa successione non passò inosservata e fu oggetto di denuncia al Consolato del mare che li costrinse a cambiare nome all’ultima: essi la battezzarono ‘Speranza’ che però andò perduta in un viaggio verso la Guinea. La prima fu adibita a viaggi verso Pensacola; la seconda andò perduta in viaggio verso Deal; la terza, comandata da uno di loro Luigi (che già all’età di nove anni era a navigare; ebbe una medaglia per eroici salvataggio di equipaggio norvegese)  Invece Giacomo (fu capitano del brig. ‘Nettuno’ che trafficava col Brasile); Francesco (viaggiatore verso le Indie, accompagnato dalla moglie alla quale aveva insegnato l’uso dei macchinari di calcolo nautico).  Un altro Luigi, probabile figlio di uno dei cinque, divenne un colto avvocato, esperto nel diritto marittimo, con posizione assai onorifica nel Porto genovese. Conoscitore di cinque lingue -latino, franc.ingl,ted,spagn- fu piùvolte arbitro in difficili questioni di diritto internazionale.

Lunghissimo è l’elenco -descritto da Ferrari- dei capitani di velieri, e lunghissimo diverrebbe se aggiungessimo i secondi, i  marinai e macchinisti, in un borgo che viveva sul mare. tra essi ne annotiamo solo alcuni rappresentativi per altri versi: un Mosè Galleano  che potrebbe essere della famiglia che dava toponimo ad una zona vicino alla Cella o al Campasso; Cipollina, che fabbricò ed abitò il civ. 8 di via Carzino; Giacomo Bove, a cui fu intitolata una strada.

le guerre nel 1527 il borgo fu saccheggiato dagli spagnoli sbarcati dal mare; nel 1684 quando i paesani respinsero un tentativo di sbarco dei francesi di Luigi XIV e ne subirono il bombardamento con discreti danni; nel 1797 e nell’assedio del 1800 la spiaggia era punto dei tentativi di forzare il blocco navale inglese;

i cantieri navali (Genova, da medievale a fine del 1800, non avrebbe potuto essere Genova, se anche San Pier d’Arena non le avesse fornito le navi.

--1248, 15 luglio (Regesti di valPolcev. II. Pag.240) in Genova, Oberto di Camilla confessa a Ottolino d’Alamanno d’aver speso nella costruzione della nave chiamata Bonaventura che costrusse presso Sampierdarena –e nel corredo e nelle necessità di esse- all’inizio della costruzione- £ 300 di reali coronati di Marsiglia, sborsate dalla proprie tasche.

--1254, 29 marz (Regesti vP II p.247) Vassallo Basso di Langasco promette a Lanfranco di Campomorone di fare metà dei pennoni di una galea che costruisce maestro Oberto di Giardino, e promette di consegnarli finiti sulla spiaggia di sampierdarena entro la metà di aprile prossimo venturo.

Gatti scrive “dal XV sec... il centro più importante è da tempo SPd’Arena, dove abita la maggioranza delle maestranze e che è il vero cantiere  della capitale sia per le galee private sia per le navi di maggiore dimensione...Varazze è il cantiere più attivo delle Riviere, caratterizzato da una continuità..che lo apparenta solo a S.Pier d’Arena...solo S.Pier d’Arena e Varazze hanno avuto continuità di attività costruttiva capace di sostenere gruppi di maestranze relativamente fissi alle dipendenze di un capo maestro.

Gatti scrive che nel medioevo, “le costruzioni di galee avvengono, si può dire, su qualunque spiaggia disponibile, ma soprattutto a S:Pier d’Arena e nello stesso porto della capitale” (quasi tutte private: il Comune –nella necessità- ricorreva al noleggio).  A pag 38, la stessa Gatti, vagamente accenna negli anni 1670 ad un cantiere? di demolizione a S.Pier d’Arena: una grossa nave ‘nata male’ perché -nel cantiere di varo (Varazze)- era stato usato legname non idoneo (cerro, faggio, pino, pioppo), e che marciva (mentre è più forte il rovere). La fornitura del legname, dapprima era nell’ambito della Repubblica ma ben presto ci si avvide che economicamente il trasporto poteva essere più vantaggioso anche da zone più lontane (val Polcevera, che si esaurisce nel 1650; Voltri  o Rossiglione fino al 1700; Sassello e Corsica nel 1700).

--1405, 16 gennaio: al maestro d’ascia Bertoldo de Casali, un imprenditore di Portovenere ordina per un prezzo di 165 lire una galeotta da costruirsi in 75 giorni e da vararsi a rischio del maestro, sulla nostra spiaggia. La barca è prevista lunga –da ruota a ruota- 25 goe (18,59m) e larga in coperta 11 palmi e ¼ (2,79m) ed al piano fondo 6 palmi (1,49m); avrà tre timoni: uno poppiere (detto baonense) e due latini ai lati di poppa; due banchi,  per quattro rematori a prua e per tre a poppa. Nel contratto si stabilisce che il corpo saràrinforzato da ‘quatuor bonis catenis’ ovvero bagli di ferro; il legname sarà di quercia stagionata escluso la coperta prevista di pino escluso una tavola di quercia che farà da banda presso il trincarino.

--1415,  7 maggio-Leonardo di Campofregoso  dice che al tempo del q Antonio DeGoarcho fece costruire nave in Sancto Petro arene; allo scopo tagliò molti alberi ‘in terra Sexini’ ‘pro constructione et fabricatione dicte navis que arbore valebant libras sexcentas Ianuinorum’, Cipollina Regesti di ValPolcevera;notaio FogliettaPaolo a pag. 256

--1449 18 genn. Sempre sul Regesti (II.279), si legge che Sireto da Vultabio di Genova, vende ai genovesi Barbaba e Oliverio Calvi la carena e la ruota di una nave da lui cominciata sulla spiaggia di SPdA, assieme a tutto il legname che dovrà giungere sul sito pel perfezionamento della medesima.

--Un atto datato 1472, segnala che Benedetto deMarini, cofinanziato da due Spinola (ciascuno 25%)  fa costuire ‘balenierum unum, sive navem unam’ (il baleniero nel medioevo, era una lunga nave a remi, di origine basca)

--1571 riporta O.Grosso che Gerolamo Sambuceti maestro di navi (ebbe due figli, Leonardo e GioMaria, anch’essi intagliatori) e Niccolò di Pelo si occuparono della poppa della Real Galera messa sullo scalo di Sampierdarena per il re di Spagna, a somoglianza di quelle dei Lomellini e degli Spinola

--1599 una galea pubblica, è incaricata di prestare aiuto ad una nave pronta a vararsi, tirandola dal mare verso l’acqua (‘auxilium in deducenda navi confecta in litore Sancti Petri Arene’).

--Nello stesso anno -a marzo- è in via di completamento un galeone -ordinato il 15 novembre di due anni prima- da Cesare Lomellini, pagato 78.800 lire. Il  ‘faber ferrarius’ Battista Ratto (figlio di Defendino, anche lui fabbro ferraio) si impegna a consegnare per settembre elementi in ferro necessari per il timone (‘fulcimenta ferrea que erunt necessaria per fulciendo timone’); la nave sarà battezzata San Francesco da Paola

--nello stesso periodo, 1582 i calafati erano riuniti in associazione, guidata dai maestri  che sceglievono a comandare quattro consoli (2 di Genova, uno di SPd’A, uno di Camogli)

--1627, 19 febbraio: viene ordinata la costruzione di un galeone dagli eredi di Giacomo DeMarini. Poiché dovevano esserci altri scafi in cantiere, questo è precisato essere ‘primus in ordine existens a parte occidentalis, prope (davanti) palatium  m.ci Georgii Grimaldi..

--1632 il magistrato dell’Arsenale propone finanziare otto galeoni da 2000-25500 salme (475-600 t), da poi affittare a privati in cambio di un 5% annuo delle spese sostenute: di essi le due maggiori da far costruire sulla nostra spiaggia.

--negli anni 1675 lavorava ad una nave del cap. Viviano imprenditore, il maestro d’ascia settantenne varazzino Antonio Fava fu PietroGirolamo ( Fava,  fu una famiglia di maestri d’ascia)

--1723: il marchese Antonio M.Montanari fa costruire una fregata -ad uso mercantile-, chiamata Santa Maria e  che sarà comandata da Antonio M.Rolla.

--1729 viene citato il maestro Tixe Michele, che costruisce una nave

--1788 vieve costruita una nave a S.Pier d’Arena, battezzata ‘Santa Maria degli Angeli’: per costruirla erano stati necessario del legname (al prezzo di lire 3 al piede), comprato a SestriP e portato sulla spiaggia per mezzo di carri; il cantiere ne aveva ordinato 1800 piedi per farne altre due, la ‘Pace’ e ‘la Speranza’. Erano capo maestro il sessantenne GB Briasco fu Francesco, ed il trentaduenne maestro d’ascia Francesco Savignone di Giuseppe.

Si segnala che nel 1830 ancora ma unica fu varato una bombarda sulla nostra spiaggia, probabilmente di tonnellaggio di poco inferiore a 100t.

Lungo -e forse sterile- l’elenco dei nomi di sampierdarenesi;  ma  si ricordano quelli dei Coronata; Boccacci; Dapelo; Sambuceti;    

--delle società Torriani;  Wilson Maclaren;  la soc. Ansaldo (praticamente per ultima, prima di trasportare tutti i cantieri a SestriP.); la Coop. di Produz;

i famosi bagni descritti in via San Pier d’Arena e Colombo;

i pescatori  ed  i minolli (descritti ai corrispondenti nomi), gli artigiani (storicamente ricordati gli intagliatori del legno, necessari sia per costruire le navi sia per abbellirle; ed i fabbricanti dei mezzeri) e le piccole industrie.  

 

 la dicitura descrive “ la strada di accesso e la zona da colmare, a ponente del bacino XXVIII  Ottobre”

Il porto.   Da quando Genova era lentamente riuscita a sottomettere tutta la Liguria e creare una Repubblica, di formato regionale ma stabile, una delle prime leggi medioevali -ribadita poi nel 1440- fu la eliminazione di ogni attrezzatura portuale lungo la riviera al fine di costringere le comunità a far entrare o uscire le merci solo dal suo porto, ove pagarvi i dazi (è storia, la lunga controversia con Savona e la sua recriminazione verso ‘l’egoismo genovese’, giustificato solo da prevalenti preoccupazioni militari a carattere difensivo, e non solo per i pirati dal mare quanto dalle mire espansionistiche dei piemontesi e dei francesi)

Già nel 1550 Leandro Alberti scriveva che «egli è tutto il lito de’l mare di questa regione da Monaco infino al principio di Thoscana senza porto, benché ritrovinsi alcuni piccioli luoghi disposti a ricevere li navighevoli legni, non però ivi si possono fermare alle ancore».

   Rincara la dose all’inizio del seicento Andrea Spinola che, nel descrivere gli approdi nella riviera ligure, pur premettendo che «La parola di porto  io qui prendo largamente. Di maniera che ogni seno, o sia cala dove i vascelli hanno riccetto sicuro dalle tempeste, io voglio intender che sia porto». Della nostra San Pier d’Arena neppure un accenno; e per lui ed a quell’epoca, da Genova sino a Savona, il vuoto.(E riconoscere a posteriori che questa politica permise di non costruirne uno a Portofino lasciandocelo abbastanza ‘naturale’, è sufficiente a farci esclamare ‘benomale!’).

   Non è da poco riconoscere che costruire un molo e mantenerlo in funzione, per un piccolo centro come il nostro, era sicuramente una operazione fallimentare. Così, se si sfruttavano appendici naturali per favorire un approdo, sino agli anni 1930 non si può parlare di porto.

   Questo ovviamente favorì altro sfruttamento della marina, modesto perché di minima portata ma più vicino alla alacre imprenditorialità dei cittadini locali (come il commercio dell’olio) e tale per cui tutte le attività nei secoli mai furono nella misura di rubare alla popolazione tutto il percorso litoraneo, ma lasciavano ampi spazi perché essa godesse quella meraviglia che madre natura aveva regalato  e che tutti gli scrittori anche stranieri venuti verso Genova, descrissero con stupore ed invidia.

 Così era nel 1800, quando incrementata la popolazione nacquero più capaci cantieri navali, alternati da sedi di ritiro delle barche dei pescatori (la lunga spiaggia era divisa in ‘territori’ di lavoro, sia per le barche che le reti : alla Coscia i famigli del ‘Caporale’; alla ‘scûggiâela’***-accanto ai cantieri Bertorello-,*** le famiglie Cabella, i famigli di ‘Moetti’, ‘Ballin’, ‘Xinne’ ; alla Giunsella  i Ricci, detti ‘frae Gillo’; al  Comune i Morando della Natalinn-a; alla Creusa di bêu i fratelli Volpino. I veri nomi con cui erano conosciuti, erano in realtà i propri soprannomi : Lasèn, Ostin, Angin u scrolla, Ballon),  e a fine secolo infine dai bagni.

   Quindi, sino ancora l’anno 1928, al posto della strada lambivano le onde del mare sulla spiaggia a ciottoli e sabbia; e nelle sciroccose giornate di mare mosso le ondate arrivavano ad invadere le case erette a monte della via C.Colombo (via San Pier d’Arena).

 

 

 

 

 

 

    In aprile di quell’anno, su progetto già presentato da Coen Cagli nel 1919 e riveduto nel 1926 dall’ing.Albertazzi, riguardante il bacino che avrebbe coperto la spiaggia di San Pier d’Arena sino al Polcevera ( che prese il nome di bacino XXVIII Ottobre) l’ammiraglio Umberto Cagni diede il via al porto facendo  iniziare dapprima la costruzione della diga a difesa, chiamata “ principe Umberto “ e lunga 1850 metri.

   Nel sett.1929 successe alla direzione del porto l’ammiraglio marchese Negrotto Cambiaso; questi proseguì il progetto sino al 1942, facendo costruire i cinque grandi ponti sporgenti obliqui -lunghi 400m, larghi 130m i primi due e 150m gli altri, intervallati dalle calate: da levante,  ponte Etiopia (1928-31,  metri 283 a levante e 391 a ponente ) - calata Massaua (m.160) - ponte Eritrea (1930-9 , m.392)- calata Mogadiscio (m.160)- ponte Somalia (1930-9 , m.397) - calata Tripoli (m.157) - ponte  Libia (completato dopo il conflitto, m.390 ) - calata Bengasi  (m.157) e ponte Carlo Canepa (1930-9 , m.173 a levante, 397 a ponente) - calata  Derna (m.214), sino al molo Ronco (m. 260) sul margine di levante del torrente.  Così in pochi anni si realizzò la distruzione della parte più significativa della  nostra città, enfatizzati dal trionfalismo di chi –di SanPierd’Arena- non gliene importava più di tanto.

   Nello stesso periodo era stata sistemata a terra  la rete ferroviaria, sia in via P.Chiesa e via C.Colombo.

  Durante il conflitto 1940-45, fu ovviamente un obbiettivo dei bombardamenti: ma personalmente non trovo sufficiente spiegazione se non nella logica del terrorismo, nell’impiego di parecchie migliaia di bombe scaricate su Genova e - di esse - le più, indirizzate sulle case dei cittadini piuttosto che su obbiettivi industriali o militari (Ansaldo e ferrovie per esempio, ed il porto stesso); infatti – bene o male - il porto continuava a funzionare.

Secondo grave pericolo fu vicino alla fine del conflitto quando, per ordine di Hitler il porto doveva essere distrutto: furono piazzate mine per lo scopo, che però non furono fatte saltare per intervento di numerosi fattori: in primis le alte gerarchie militari tedesche non più ciecamente disponibili ad obbedire al fuhrer e - sottoposte a pressioni sia dei comandi fascisti, della Chiesa, delle SAP e delle Brigate partigiane (la zona portuale dipendeva dal Comando Piazza Centrale agli ordini del maggiore Mauro Aloni (chiamato ‘Violino’) politicamente indipendente) - usare l’annullamento dell’ordine come merce di scambio per la propria incolumità di fronte alla evidente imminente disfatta.

   Nel 1950, presidente del Consorzio il generale Filiberto Ruffini, fu sistemata con criteri più solidi la recinzione doganale del bacino, con l’erezione del muro con rete, che ha una logica economica, ma a noi  sampierdarenesi ha eliminato definitivamente qualsiasi accesso al mare.  

   I lavoratori sono prevalentemente occupati nelle operazioni da “camallo”: tutto arrivava in sacchi che, attraverso l’uso di un apposito gangio che fieramente ed a simbolo del proprio lavoro portavano appeso alla cintura; con esso agguantavano il sacco per porselo sulle spalle, per il trasloco. Era divenuta consuetudine che alcuni sacchi si rompessero ed era divenuto quasi naturale servirsi del versato. “O loua in to porto” era sinonimo di arrangiarsi, prelevando radio, giradischi, giubbotti, magliette, babane e caffè, e quanto arrivava o partiva. A capo dei camalli, Console della CUMV (Compagnia Unica Merci Varie) era Paride Batini, nostro concittadino perché abitante prima al Fossato, poi in via Ronco. Solo l’uso dei container interruppe l’ “usanza”-.

   Il percorso del ‘lungomare’  è quindi sancito non essere più parte della delegazione, ma è terra demaniale, quindi di proprietà del CAP: il confine di proprietà del Consorzio è tracciato ed inciso su grosse lastre per terra, sul lato a mare di via Sampierdarena.

   Però è soggetta a pubblico e libero transito dei cittadini: diventa così una ‘strada vicinale’ cioè tra città e porto.

 Da qui l’equivoco delle competenze (illuminazione, manto stradale, segnali, controllo posteggi abusivi ecc.) tra il demanio marittimo consortile proprietario, ed il Comune usufruttuario. Complica le responsabilità la ferrovia che ovviamente vanta dei diritti propri poiché sui binari transitano convogli in manovra dal porto all’esterno (e che attraversano obliquamente la strada, laddove –se dovessero persistere- penso basterebbe dirizzarli sul lato mare, liberando la strada da un pericoloso incrocio). 

   La cinta portuale funge da confine a sud, della città di San Pier d’Arena; e la via rappresenta il “fronte del mare”.

   Il piano regolatore del 1997 per questa strada prevedeva sei corsie (3+3) a scorrimento veloce, raccordamento con autostrada,sopraelevata e vie del Polcevera, risanamento da parte del Comune della sfilza di edifici laterali più o meno fatiscenti

   Nel 2003 è ancora tutto fermo; la strada che dovrebbe continuare sino all’aeroporto, prevede un ponte nuovo sul torrente, nuova collocazione dei binari, proseguire dentro l’attuale area dell’Ilva di Cornigliano utilizzando corsie anche sotto gli Erzelli; ma le vicende legali tra Riva – proprietario dell’acciaieria - e gli altri enti, minaccia di far slittare i finanziamenti  (78milioni di e.) per l’opera, già approvati.

   Finalmente a maggio 2005, accordati con Riva - e da lui ceduti a Cornigliano 10mila mq (previo indennizzo di 2,15 milioni di euro che dsaranno pagati dall’Anas)- si darà via ai lavori per  formare i by-pass per i camion in direzione Rivarolo; un nuovo ponte sul Polcevera al posto di quello “del Papa” per approdare sulla banchina di Cornigliano dopo bonifica (nel 2008 hanno distrutto -con un boato da esplosione- il vecchio ponte; Lungomare allargato a otto corsie dopo aver trasferito (espropriandole d’obbligo e respingendo le istanze di ricorso) le trenta aziende ospitate ai lati della strada; la cinta del porto che si sposterà di due metri verso monte (per consentire un riuso ed allungamento della ferrovia nello smistare con quel mezzo i contrainers).

   Tutte belle teorie, nel 2008 molto spesso presentate sui giornali, ma ancora non realizzate, a parte l’abbattimento del ponte.

     Mi rendo conto che il mio pensiero, avverso al cemento invasore, viene espresso con parole nostalgiche che servono a poco o nulla, essendo gli interessi – allora ed ancor oggi - molto alti e necessari (il primo, che tappa la bocca a chi come me ‘mugugna’, è il lavoro). Ma, utilizzando parole di Maggiani,  cerco – e non trovo - altri motivi e  giustificazioni all’esproprio di beni che (non appartengono alla ‘città’ né allo Stato con i suoi dirigenti politici, ma) sono della ‘comunità’,  ed all’installazione di industrie (che si sono sempre dimostrate insensibili alle bisogna ambientali del popolo –ricordate le polveri rosse dell’Italsider e guardate come, crescendo la popolazione- hanno costruito case senza rispetto dei servizi, e quindi poco rispetto della comunità). Le risorse paesaggistiche e quelle naturali in genere, le intrinseche bellezze  che sono le spontanee risorse di una città  (nonché la parte più redditizia e preziosa di sé, rappresentanti una unicità mondiale)  erano da tutelare ed abbellire e non da distruggere in modo non rinnovabile. Ciò che è stato distrutto non è più risarcibile in moneta di natura (il contatto diretto col  mare, per primo) e nessuno riesce neanche a chiedere i danni. Ma quello che più mi infastidisce è quella massa di popolo, a cui in contrapposto competeva la responsabilità di conservazione e di non sottostare alla speculazione, e che invece ha partecipato attivamente alla distruzione, nella più becera servitù del padrone al quale mentre gli leccava le mani dall’altra doveva strappare, con profonde avversità, un bricciolo di benessere.

Propongono il turismo come risorsa produttiva degli anni 2000: ma cosa possono proporre a ponente della Lanterna? Nulla! Ed è forse per questo che per Tursi, Genova finisce alla Lanerna  e quello che c’è dopo è come una latrina: da tenere chiusa la porta e non fare vedere.

 

DEDICATA

al politico socialista - e forse, così si legge, anche massone -, nato a Diano Marina  (IM)  il 15 mar.1865 da famiglia agiata e colta. Laureato in legge all’università di Roma.

   Come giornalista nel 1884 era scrittore sul periodico genovese “l’Era Nuova”, organo del partito socialista di cui fu poi direttore fino al 1888 e con il quale collaborò anche Pietro Chiesa. Fondò ad Oneglia nel 1893 il settimanale “la Lima”;   divenne fondatore (nel 1903) e direttore (fino al 1938 89.476 dice 1922) del quotidiano genovese tutt’ora in edicola “ Il Lavoro”. Riuscì a preservarne l’autonomia anche nel burrascoso periodo fascista, quando la stampa non godeva più di libertà di scrittura.

   Interventista, con l’ideale di partecipare alla “libertà del mondo, pensiero costante col quale nessuno può essere pusillanime”,  partì cinquantenne come tenente volontario di complemento nel 90° fanteria alla prima guerra mondiale e il 15 ott.1915 fu ferito sull’Isonzo (nelle stesse battaglie sul Mezrli, dove aveva perduto la vita l’atleta Dante G.Storace) ricevendone una medaglia d’argento al VM.

   Come politico,  acquisì particolari alti meriti divenendo, per spontaneità, uno dei precursori del socialismo; idea maturata nella consapevolezza del dramma sociale esistente (L’Italia era fatta, ma era stata creata da Mazzini, Cavour, Garibaldi e VEmanuele, senza la partecipazione attiva del popolo, delle masse contadine e operaie le quali se ne sentirono staccate d’interesse anche perché all’unità monanrchiaca si associava ad un non malcelato anticlericalismo profondamente avverso alla base. La plebe era rimasta nella miseria materiale, culturale e morale di prima; anzi, nei primi tempi, la ricerca di stabilità  statale creò maggiori pressioni mal tollerate dal popolo (questa era stata una delle ragioni della sommossa genovese di trentanni prima; ma nulla era cambiato nel frattempo).  

   Sua missione divenne quindi innalzare  il popolo italiano al fine di inserirlo nella madre patria: col riformismo, organizzando gli operai (assieme a P.Chiesa, S.Canzio), tipizzando le idee sul ‘Lavoro’ (i suoi scritti, a fianco di quelli di Salucci, Caveri, Pellegrini  rivelarono la particolare bravura nell’esporre idee chiare e semplificatrici, nel porlo per tre lunghi lustri quale dominatore della vita politica genovese).

Nella pratica fece parte del Consiglio comunale della sua città, e poi di quello provinciale di Porto Maurizio;  si prodigò per superare la crisi economica seguente il terremoto del 1887. Nel 1894 (13 e 14 maggio) organizzò assieme a P.Chiesa ed altri, il primo congresso socialista ligure, tenuto a San Pier d’Arena, in cui lesse una relazione sull’occupazione operaia e contadina.  Candidato al Parlamento,  non rimase eletto per le prime quattro volte tra il 1895 e 1904; divenne poi deputato dal 1909 per 4 legislature, fino al 1926 (ricoprendo incarichi di sottosegretario all’agricoltura e commissario generale per gli approvvigionamenti  e consumi, nel 1917); nel 1911, in occasione della guerra libica, dapprima fu anticolonialista, poi si dichiarò favorevole (il fatto fu definito “revirement di Canepa”).

Partecipò fin dal suo sorgere, al Partito Socialista Riformista (Reggio Emilia 1912) di   cui  fu  solerte  propagandista: alla camera nel febb.1923 lesse una relazione - a nome del Partito Socialista Unitario - di opposizione al corso politico nascente fascista per cui subì poi violenze multiple (casa incendiata e saccheggiata, estromissione dalla vita parlamentare, processi e confino).

Alla fine della seconda guerra, sulla ottantina, aiutò gli amici partigiani andati in montagna; divenne dirigente del movimento “per la difesa delle nazionalità oppresse”;  partecipò all’ Assemblea Costituente nel 1946; fu eletto senatore nel 1948, anno stesso della sua morte, avvenuta a Roma il 22 dicembre, in seguito ad una caduta mentre correva al Senato ove si sarebbero discussi importanti interessi liguri.

A suo nome è stato chiamato anche un ponte nel bacino di San Pier d’Arena largo 150m, inizialmente concesso alla soc. Ansaldo per allestirvi delle navi.

 

 

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