CAMPASSO                                   via del Campasso

 

 

 

TARGHE:

via – del – Campasso

San Pier d’Arena – via – del - Campasso

    

angolo con via W.Fillak 

 

                                                                                      

angolo con campetto parrocchiale

 

      

muraglione a lato dell’ex- Mercato dei polli

                                   

QUARTIERE ANTICO: san Martino

  da MVinzoni 1757. In celeste via s.Martino; giallo via Pietra.

 

 

 

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2740   CATEGORIA:  2

  da Pagano/1961

 

 

 

 

 

 

UNITÁ URBANISTICA : 24 - CAMPASSO

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   10480

Da Google Earth 2007. Giallo via W.Fillak; rosso via Vicenza; celeste via Pietra; fucsia salita V.Bersezio.

 

CAP:  16151

PARROCCHIA:  dal  civ.1 al 5 + 2 e 4 = s.G.Bosco  --  dal 9 al 51 e dal 6 al 16 = s.Cuore del Campasso  --  24 e 26 = s.Bartolomeo della Certosa

STORIA:

il rione: ai tempi del Vinzoni, 1757, San Pier d’Arena finiva poco dopo l’abbazia di san Martino, e si saltava passando direttamente all’abbazia di Certosa. Nel 1800, e sino a cento anni fa, il Campasso era una vasta zona di forma rettangolare, avente i lati est-ovest segnati dalla cresta  del Belvedere-torrente Polcevera; i lati sud-nord delimitatidalle: salita Millelire -salita Bersezio con  la Pietra.

Rimaneva quindi compresa tra la zona Palmetta a sud (quest’ultima corrispondeva a  identica parte: dal Belvedere sino al torrente; da via Currò circa, a salita Millelire; con punto focale presso la abbazia parrocchiale quindi in san Martino), ed a nord la zona della Pietra (la quale occupava il territorio tra la salita Bersezio e via Brin,  confine con Rivarolo. Anche la Pietra, era sampierdarenese). 

Dal dizionario dei toponimi, si rileva che il nome, detto pure “o campassu” oppure “il campaccio”,  trae origine da un  “terreno usato solo per colture”,  ma non di prima qualità come nella fascia a mare, perché acquitrinoso stagnante e pantanoso soggetto alle esondazioni dei torrenti che scendono dal Belvedere e l’acqua stagnante nella piana, laterale al Polcevera. Quindi, evidente conseguenza sia con un sottosuolo che non assorbe l’acqua piovana, e sia quella dei torrenti quando straripano.

Mentre la parola ‘campo’ implica l’idea di un terreno pianeggiante e coltivato, il nostro vezzeggiativo è tendenzialmente - e non apparentemente - spregiativo: sta ad indicarne sia l’ampiezza ma soprattutto le qualità declassate. Da Miscosi veniamo a sapere che, oltre a SPd’Arena, un nome simile è a Sestri ed a Borzoli.

Chiaramente fa riferimento ai torrenti che scendono da Belvedere e che non essendo incanalati – escluso qualche tratto ad uso mulini - lasciavano la zona pianeggiante acquitrinosa, fangosa che si prolungava alle terre  altrettanto paludose più a nord laddove il Secca confluisce col Polcevera creando tutta una zona di difficile transito se in tempi piovviginosi.

Sappiamo che ancora sino a metà ed oltre dell’800, molte zone del genovesato erano soggette a malaria (già chiamata “febbre intermittente”, e curata col solfato di china) favorita dalle inondazioni secondarie a straripamenti per ogni piovasco; essi creavano un vasto ambiente malsano per acque putride  e stagnanti capaci di rovinare qualsiasi coltura di grano, vino, legumi, ecc. e di rendere sterile il terreno (valeva questo problema per numerose terre liguri: anche per l’ampia piana di Albenga prima di una bonifica; attorno a Savona con interventi anche del Magistrato di Sanità locale; per Cogoleto) contro le quali non bastava  l’apparente risanamento nei periodi di siccità, mancando allora l’acqua per l’irrigazione, essendo il terreno ripido.

    

esondazioni del torrente da Belvedere-via Pellegrini, prima dei lavori definitivi

 

STORIA Al confine, fu eretta nel 1200 l’abbazia-parrochia di san Martino: così isolata forse per nasconderla ai saraceni e pirati che infestavano la costa; però la chiesa pare mai abbia coagulato attorno a sé un centro abitato vero e proprio.

   Non è da poco rilevare che quando i nobili genovesi iniziarono nel 1500-1600 ad accaparrarsi terreni per costruirvi delle ville, nessuno andò a comperare oltre via Caveri, là dove erano prati brulli e vasti (ma per lunga parte dell’anno acquitrinosi, con più o meno grossi stagni, e senza strade ben strutturate su cui si affacciavano rare casette contornate dal proprio orto a vigneto e frutta (ricordando che quando non c’era la ferrovia,  era tutto aperto sino al Polcevera: qualche vecchio ha decritto l’asinello che, girando la novia*** attingeva l’acqua dai pozzi ancora all’inizio del 1900)); molto gradevoli ed idilliaci forse d’estate, ma  poco invitanti d’inverno quando il tutto era esposto alle bizzarrie della tramontana  che incanala lungo il torrente il vento gelido del nord; del Polcevera stesso  tutt’altro che tranquillo; nonché di quei torrentelli provenienti dal Belvedere capaci perfino di muovere le pale di qualche mulino (come quello nel Chiusone) e allagare la zona (come anche è successo qualche decina di anni fa prima del completo rifacimento dell’incanalamento dei torrenti e delle fognature) tutto si sommava alla scomodità, rispetto le zone più abitate vicino alla marina, alla minor vitalità  e giro di guadagni: le carte planimetriche di San Pier d’Arena del Vinzoni, della seconda metà del 1700, arrivate a descrivere la medievale pieve di san Martino, si fermano e non includono la zona del Campasso, seppur indicando che i terreni a nord appartenevano alla famiglia Cicala

  La vicina e primitiva abbazia  poteva forse creare conforto e privilegio di agglomerato, ma anch’essa già a fine del 1700 venne considerata eccessivamente decentrata rispetto al centro del borgo vissuto, di traffici, degli abitanti e dei viandanti (che però fin dai tempi romani non passavano dal Campasso, ma risalivano in alto  lungo salita Bersezio, o dal centro ma solo per andare nel ponente).

 

 carta fine-settecento: in rosso il vecchi tracciato con in verde le due chiese (san Gaetano e san Martino);  in orizzionatle il progetto del nuovo; a sinistra ‘Aree Cicala’ e ‘molino’

 

   In una carta anch’essa di fine del XVIII secolo, simile a quella stilata dal Brusco, i terreni appaiono in buona estensione di proprietà del un sig. Ponzio (nella zona a mare,  dal ponte ferroviario al fondo della discesa davanti la chiesa); e del principe Santangelo (verso nord, nello spazio tra la precdente e la Pietra. Gli Imperiale erano  “principi di sant’Angelo”). Questo, mentre l’abbazia era già bella e distrutta con la parrocchia trasportata alla Cella.

     Ai primi dell’ottocento (quando gli abitanti del borgo erano in tutto 5345); e dopo, nella prossimità di divenire città (quando allora gli abitanti erano divenuti 13.396), la zona era la meno popolata del borgo, con poche case lungo la strada (cinque o sei), forse qualche osteria-locanda, qualche orto; pressoché ancora abbandonata: genericamente un po' squallida e brulla campagna (anche se  l‘Anonimo’ del 1818 che in viaggio da Novi a Genova descrisse lungo la ‘strada della Polcevera’ dopo Certosa (ma probabilmente già in prossimità del borgo): “…Questa bella strada, l’unica che sia nelle vicinanze per Genova per il sensibile colpo d’occhio che procura e per la bella veduta delle dianzi enunziate colline e palagi di villeggiatura, che dai due lati del fiume vedonsi eretti, congiungersi a pié del ponte di Cornigliano alla strada di Ponente…”)  

         Fu  la nascente industria in espansione dopo il 1850, ricordiamo in zona - nei pressi dell’orto del sig. Emanuele Sasso -, l’ officina meccanica dell’ing. Thomas Robertson, che di più importante produce macchine idrauliche; e poco distante  una fonderia di Bardin & Ballard  (nonché i Wilson&MacLaren,  ed il cordificio) che riempirono la zona di operai provenienti da tutta Italia, quasi tutti analfabeti ed abbisognevoli di case e di misera sistemazione della famiglia, creando un misto di campagna e periferia, con le prime case popolari, dotate di numerazione irregolare (tra due civici - ad esempio 7 ed 8 - nascevano il 7a, 7b,...7e, ecc) ed erette senza un preciso piano regolatore; con alcune trattorie - di cui una divenuta famoso ristorante - ma soprattutto con osterie e relativi ubriachi, risse, grida; con depositi di merce mista,  eretti a fantasia ed a seconda della bisogna; modeste fabbriche artigianali e magazzini;  vissuta da bimbi (i più scalzi) a giocare nei terreni incolti o a rubacchiare la frutta  per sopravvivere.

   Ma pur sempre rimase zona ‘dimenticata’ dalla civica amministrazione, al punto che nel tardo 1800 si formò un comitato mirante a staccarsi da San Pier d’Arena per aggregarsi a Rivarolo; si presume – visto il niente di fatto - che la sortita riuscì forse a far ottenere dei miglioramenti nella viabilità (però non ancora risolti nel 2003, visto che nessun mezzo pubblico percorre la strada, mantenendo quell’atmosfera di ‘località distaccata’, un paese viciniore e  non appartenente alla città.

      Tale rimase, finché la ferrovia non attraversò quei prati e – poi, su progetto di quei Vincenzo Capello ed Enrico Porro ai quali la città ha dedicato una strada - si appropriò nel 1906 circa del grosso appezzamento per farne un parco treni. Questi  tagliò un largo fuso di terreno nel centro del rettangolo, perpendicolarmente al mare,  separando la zona a levante,  quella vissuta, tra il muraglione del parco  e le falde del colle, e che ha conservato l’antico nome di “rione del Campasso”; ed a ponente dei treni, ove ora  via Fillak e Porro sino al torrente ha lasciato una zona  che ora è un po' senza fisionomia toponomastica precisa, perché è sempre Campasso, ma nessuno più la riconosce tale.

in basso la zona del Campasso, vista da Belvedere, nel  1910 circa.ù

in basso a destra, presumo, la villa dei Ricca

 

Nel 1964 nacque il primo Comitato di quartiere, alle cui votazioni, con la partecipazione di oltre 550 persone, fu eletto Nacci Gabriele, seguito da Turbati Piero, e DeMartino Luigi.    Dal censimento 1997 si segnalano: una popolazione di 9029 residenti (contro i 9350 del 1991 = 3,4% in meno); 4134 famiglie con media di 2,18 componenti; una prevalenza delle femmine in percentuale di 100 contro 91,2 maschi ; 4985 nati nel comune, contro 336 nati fuori; età media 45 anni ( 937 ultra75enni);  3957 abitazioni; 2% di laureati, 17,2% diplomati, 9,2% senza titolo di studio, gli altri con licenza elementare o media .

   Nel 2005 la “massiccia invasione di extracomunitari” con differenti abitudini di vita a volta inconciliabili, la presenza di vandali, ladri, ubriachi, fracassoni e TD ha fatto promuovere la nascita di un nuovo Comitato di quartiere supportato da un Comitato Mamme. Per prima cosa, hanno promosso il ripristino dello spazio giochi, del campetto di calcio e dei giardini che salgono a via Baden Powell (ove era franato un muretto)

Attualmente la zona viene chiamata ‘Unità urbanistica Campasso’, che ha una superficie totale di 85,9 ha.; considerata tutta ‘centro abitato’. 

   Il parco ferroviario, detto anche ‘scalo ferroviario’ o ‘parco vagoni’ del Campasso, venne creato tra il 1900-7 da imprese salernitane ed amalfitane, nel programma di decongestionare il porto ed organizzare i treni per il trasporto delle merci verso il nord, distinto dalla circoilazione passeggeri (sino ad allora il traffico era  suddiviso e smaltito da Novi, nel parco di san Bovo).

    

La linea è lunga 2 km. circa; parte da 3 zone portuali, e mediante tre binari e gallerie, confluisce in 2 binari; attraversa la galleria dei Landi e percorre la valletta alle spalle di via Ardoino (terreni una volta di molti proprietari tra cui l’istituto don Bosco, ed a loro espropriati  “per causa di pubblica utilità” da parte dell’ Ispettorato Generale delle Strade Ferrate; la proprietà salesiana rimase tagliata in due parti, che furono dapprima riunite attraverso una passerella metallica poi quella a levante della ferrovia venduta dove ora sono le case di via P.Cristofoli: datato 8 giu.1907, l’area di circa 1000 mq aveva allora un valore riconosciuto di lire 22/mq).

    

foto anno 2008 da sopra il ponte

foto 2011

I convogli arrivano al parco (passando sopra via Campasso):  un’area sopraelevata,  lunga 1200m, larga 180m e capace di ospitare oltre 2000 vagoni, per poi ricongiungersi – strozzando il centro di Certosa - con le linee normali verso i Giovi.

Questa enorme struttura rialzata, costruita nei tempi in cui le ferrovie ed il porto erano in forte espansione (e quindi con caratteri prioritari di ‘ragion di stato’ rispetto anche il piano regolatore del 1879 – aggiornato nel 1887- che programmava tutto diverso per quella zona) condiziona tutta il territorio, tagliando la parte a monte (a cui è rimasto l’antico nome del Campasso), dalla zona a ponente fino al torrente, che cercò nell’industria e nelle case popolari di acquisire una autonoma denominazione senza però più ricongiungersi né riconoscersi nell’antico rione, né raggiungendone uno  nuovo proprio.

La strada =  sino a metà del 1700, la viabilità era dipendente dalle incostanti bizzarrie del tempo; preferibile quindi per chi arrivava dalla Bocchetta, by-passare la zona salendo dalla Pietra a Belvedere; se non addirittura provenire a mezza costa da Begato; o passare decisamente alti da Granarolo.

Fino al tardo 1700 il collegamento con Rivarolo attraverso il Campasso era appena appena un tracciato ad uso locale, poco idoneo anche per le rare carrozze che collegavano Genova con la Lombardia, ed a uso prevalente del commercio tra l’entroterra fino alla spiaggia (dove poi trovava vero sfogo per la città e la riviera). Solo allora nacquero i primi progetti, mirati a decongestionare il centro del borgo cercando di rettificare il tragitto dal Canto a Rivarolo (lungo una direttrice che da san Martino si sovrappone alla via W.Fillak).

Così divenne la via principale che dal nostro borgo arrivasse a Rivarolo.

    Per arrivare più comodamente in carrozza nei propri possedimenti dell’entroterra (in particolare a Cremeno), iniziò in quegli anni l’interesse del doge GB Cambiaso (19 lug.1711--23 dic.1772- discendente di ricca famiglia veronese ascritta  alla nobiltà genovese dal 1731, molto colto, commerciante, finanziatore, protettore del Banco di San Giorgio, doge dal 16 apr.1771. Ancora vivente gli fu eretta una statua nel palazzo Ducale, distrutta poi durante il periodo giacobino). Il 3 gennaio 1772 dichiarò pubblica impresa l’apertura di una strada che avrebbe unito Genova al colle della Bocchetta per Gavi eNovi: tracciandola opportunamente più vicino alle falde del colle piuttosto che nel centro della piana allacciandosi alla strada  che, di provenienza dalla Porta della Lanterna portava all’abbazia. Su alcuni testi si scrive che iniziò a partire dalla zona della Pietra  (si presuppone che in contemporanea abbia fatto migliorare anche la strada che dal borgo arrivava al Campasso, e da esso (la somma delle attuali via Vicenza-via Campasso) alla Pietra; ma nessune parla di questo tratto intermedio).

   Iniziati i lavori l’anno dopo, in tre anni l’impresa fu conclusa sino a Campomorone dove fu allacciata alla vecchia strada per la Bocchetta. ed    Per non incidere sulle casse della Repubblica, i lavori furono finanziati a proprie personali spese (5 milioni circa). Quindi prima di quella data non esisteva una strada che attraversasse  idoneamente il rione e la viabilità era limitata a mulattiere e tracciamenti come possiamo vedere ancor oggi nelle zone di campagna.

   Nel 1818, l’Anonimo descrittore di un viaggio, citato sopra, scrive anche:  «…comincia l’altro grande stradone  alberato sempre lungo la ripa del fiume  il quale protratto negli ultimi anni addita da quel punto l’orizzonte del mare per sua ultima meta».

  È riconosciuta ufficialmente nel regio decreto del 1857, quale “ stradone del Campasso”; in quell’epoca si staccava da via Vittorio Emanuele (via W.Fillak) come oggi, ma non nel punto attuale: essendo un tutt’uno con l’attuale via Vicenza, iniziava nel punto dove ora inizia quest’ultima (e dove c’era ‘l’osteria del Gay’ che faceva da punto di riferimento ufficiale; anche se per comodità e per conoscenza popolare veniva chiamata ‘la via della Gina’, dalla trattoria omonima ).

  Per il Comune, poco prima dell’anno 1900, era ‘via Campasso’.

  All’inizio del 1900 fu aperto il nuovo e largo sbocco  in via Umberto I,  quale è ora;  a questo tratto - fino al sottopasso ferroviario - fu dapprima dato il nome di “ via Nuova del Campasso”.

    Subito dopo, su proposta fatta alla giunta comunale a fine dell’anno 1900 da parte un Commissario straordinario appositamente nominato, nel 1901 divenne “via Giordano Bruno “, riunendo sotto il nome del frate la via ‘nuova’ (da via UmbertoI al sottopasso) con quella ‘vecchia’ (dal sottopasso al mattatoio fino alla salita Pietra); e nominando diversamente ( via Vicenza) il tratto dal sottopasso al vecchio sbocco nella strada principale).

   Quest’ultimo nome rimase praticamente sino all’unione di San Pier d’Arena nella Grande Genova avvenuta ‘per decisione superiore’ con decreto del 14 gen.1926; da allora, per evitare doppioni, la periferia dovette cedere i nomi doppi al centro; ma nell’elenco delle strade comunali pubblicato dal podestà del 1927 la titolazione è ancora invariata.

   Fu appunto per altro decreto del podestà, del 19 ago.1935, che  si preferì tornare al vecchio nome semplificato, l’attuale.

      I TIR : Un lungo terribile ventennio, tra il 1970-90, ricorda questi enormi bestioni. Dove in via Spaventa era una antica fabbrica di ghiaccio, l’edificio venne trasformato in deposito frigorifero per derrate alimentari provenienti dai paesi scandinavi; l’unica via di accesso  a questo deposito era questa del Campasso, con percorrenza giornaliera di grossi camion con rimorchio che, per la ristrettezza del passaggio , per anni crearono non poche difficoltà al traffico, sia nella linea di percorso ma soprattutto nei punti in curva e le macchine in sosta. L’unica novità applicata per favorire lo scorrimento dei mastodontici veicoli, fu la demolizione di un ponte che era stato gettato tra il mercato dei polli e la ferrovia. Nel nov.89 un’ordinanza del sindaco Campart ne aveva sospeso il passaggio; ma un ricorso al Tar la annullò ripristinando il passaggio dopo pochi mesi; questo fino al trasferimento in altra zona del deposito stesso. E’ comunque rimasto un tragitto  tormentoso, anche ora che essi non passano più . 

 

STRUTTURA:   nel primo tratto, da via W.Fillak (da cui inizia) sino all’ex mercato dei polli, è difficoltoso doppio senso viario; poi al momento in cui la strada passa davanti al mercato stesso la viabilità diventa senso unico: A) per proseguire verso Rivarolo occorre passare per via Pellegrini, via Spaventa, rientrare in via Campasso, percorrere la lunga strettoia affiancata alla ferrovia, sino all’incrocio con salita Bersezio. 

B) da Rivarolo l’imbocco della strada è vietato (occorre fare il giro da via Fillak). In questa direzione è senso unico viario, il tratto dall’inizio della strettoia al mercato.

Attualmente appartiene a Sampierdarena sino ai civ. 51a e 16;  a Rivarolo dopo il 53 e dopo il 24 (da dopo la strettoia).

Sotto la bitumatura, appaiono spesso i masselli di pietra che costituirono il primo selciato stradale.

La strada è servita da pochi negozi concentrati nella zona centrale e che nel tempo hanno innumerevoli volte cambiato proprietari ed uso: da molte rivendite di vino, oggi vediamo solo due bar, un panificio, elettrauto, tabacchino, giornalaio, un vetraio.

È servita sia dall’acquedotto Nicolay che il DeFerrari Galliera

CIVICI

Nel 2007=NERI= dispari dal 1 al 51a (compreso 29a)

                              pari dal 2 al 16 (compresi 6a-6b-14a)

                 ROSSI=dispari dal 1 al 147 (compresi 15a-127c-127d-127n-

                                                               mancano 73-77-79-87-89

                              pari dal 2 al 58 (compresi 16a.16b-18a.18b-54a-                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

                                                                        58d.58e.58g.58n.58p

   Verso la fine del secolo XIX, a cavallo tra 1800 e 1900  vi avevano casa di proprietà : al civ. 1 , la marchesa Passalacqua ved.Negrotto Cambiaso ; al 4 , Rocca Luigi; al 3a , Ballestrero e C ; 5 e 7 , Tuo (eredi e Luigi) ; 6 e 7 , marchese Catterina ; 8, Venzano GB ; 9, Rapallino eredi ; 9a, Demarchi eredi ; 10 e 18 , marchese Piuma ; 10a , fornace e fabbrica mattoni Carosio (nel 1912 è descritta dei f.lli L.A.)  ; 11, Sciallero e Carbone ; 12 , Venturini Giovanni ; 13 e 14 , Ricca Tomaso;  14a , cancello di villa Sibilla; 15 e 16, Figari GB;  17 e 19 Degola  Matilde.    

(tre marchesi, con altrettante ville!)

      Nel Pagano/1902 si descrivono le attività commerciali di : Dellepiane Agostino con deposito di birra e fabbrica di acque gassose;---i f.lli Carosio L.A. hanno una fornace di mattoni (a vapore);---

    Nel Pagano/1908’ e /1912°  risultano operanti nella via la fabbrica a vapore di mattoni e laterizi vari dei f.lli Carosio L.A.’° (vedi 1900 al 10a); e la commissionaria di Clavella Attilio’ al civ.5-1 (nel 1912 trasferita in via Varese).

    Il Pagano/40  delimita la strada tra via della Corporazioni e via della Pietra; vi descrive oltre al civ. 2 il macello civico, 4 vinai, 8 commestibili, 4 fruttivendoli ed altrettanti parrucchieri, tre latterie ed eguali carbonai, un bar, una trattoria, merceria, macellaio, tabacchino ecc.

 Di industrie, al civ. 82-85r la SAIF (soc.an.industrie frigorigene; anche in via Spaventa al civ.7; tel 42-250; capitale versato Lire 840mila; nel maggio ‘45 vendeva sei “liste di ghiaccio artificiale a Lire 9 cad.); due di lubrificanti: la Clingoil e la Galtesax Oil Company; la Aracne al civ.37 industria delle calze; la CAICCEA industria delle carni. 

   

Nel dopoguerra,

-il Pagano/1950 segnala la presenza di due bar : al 7r di Cavo M.; al 32Ar di Verrua F.;

-furono costruiti nuovi i civ.37a, 47, 47a. 49 (’49), 12 e 37 (’51) , il 28 ed il 51 (’52), il 41 ed il 16 (’53), il 14 (’56), 14a (’57), 6a e 29a (’61), 24a (’69).

demoliti invece i civv. dal 12 al 20 + 37 e 41(nov.1949), il 41 (1951, sinistrato),  il 47 e 47a (1961), il 37a (2000); 

variati il 51a e 26a (nuove aperture), il 26a (soppresso nel ‘70) ed il 6b (acquisito da un civ.rosso, nel ’72).

 

   Percorrendo la strada attuale da via Fillak, nel palazzo di destra ove è il civ.1, eretto alla fine del 1800 ed i  cui fondi furono inizialmente adibiti a stalle, si vede nell’angolo smusso una grossa (m.1x070) immagine di san Martino, nell’atto classico di tagliare il mantello. Quando fu necessario ristrutturare il palazzo nei primi anni dopo il 1990, l’immagine fu rimossa e se non si interessava la popolazione alla fine dei lavori, probabilmente sarebbe andata... perduta; invece il Gazzettino ed il circolo Nicolò Barabino si fecero portavoce per ricuperarla, malgrado sia definita artisticamente modesta e di scarso valore. Non è scritto se il Circolo ha provveduto a far rifare l’immagine o se quella antica è stata oggetto di restauro: la si intravede ben incorniciata, anche se troppo in alto per gli sguardi fuggenti della popolazione frettolosa.

 

 

   Nell’angolo opposto,  a sinistra, una lapide ricorda il fatto che un gruppo di partigiani - tra cui il diciottenne Edoardo Malacchina - residente a Pegli, comandante di un distaccamento partigiano - il 18 apr.1945 (pochi giorni prima della Liberazione), transitando in tram per via delle Corporazioni (via W.Fillak) con altri compagni, vide due soldati dell’esercito tedesco entrare nell’osteria Beccaria, in via Campasso 4r.; decisero di sorprenderli e provocarli, come si voleva al fine e con l’intento di destabilizzare e rendere insicuri sia i poliziotti che gli arroganti occupanti tedeschi;  per cui scesero ed entrarono nella fiaschetteria intimando la resa: ma ci fu reazione, e nel conflitto il partigiano, a cui si era inceppata l’arma, rimase gravemente ferito: morì in ospedale. Per la sua temerarietà ed atto giudicato eroico seppur compiuto pochi giorni prima della definitiva resa dei soldati tedeschi, avvenuta sette giorni dopo,  fu riconosciuto medaglia di bronzo al V.M.. Una relazione del commissariato di PS della Repubblica di Salò, confermò che rimasero feriti anche un compagno del Malachina - Ferrando Giuseppe - ed il sottufficiale tedesco (maresciallo Hepsadam, colpito al fegato e ad una mano e ricoverato tramite la Croce d’Oro, all’ospedale con prognosi riservata).  

   Prima del ponte ferroviario, in uno slargo della via, c’è  a destra una cappellina dedicata alla Madonna, eretta - come dice la targa - nell’anno mariano del 1954 dai fedeli del Campasso (anche se essa è in territorio di competenza della parrocchia di don Bosco), e restaurata nel 1994. Vi era ospitata una statua della Madonna, antica pare perché proveniente dal distrutto Oratorio di san Martino: è stata trafugata nei primi mesi dell’anno 2000, da ignoti; rapidamente sostituita l’immagine, rimane la rabbia del furto non certo realizzato per fervore religioso ma per volgare lucro di arte antica.  Nel 2005 i Carabinieri arrestarono Marco Ottaggio ricettatore di statue rubate (in casa aveva duecento Madonne, dal XVI secolo in poi, e trecento tele) ma non sappiamo se tra esse c’era la nostra.

 

anno 2008

 

===civ.14r :   di fronte, a sinistra, era l’ingresso dell’ antica trattoria della Gina del Campasso (“Ginn-a  do Campasso”). Sfrattata dalle ferrovie da un locale vicino più antico ed adibito a osteria-cucina casalinga, la Gina (al secolo Caterina Marchese (leggi sotto per la famiglia) già vicina ai settanta, piccoletta tarchiata e robusta, accanita e fortunata giocatrice al lotto) si trasferì  nel 1860 in quei locali, chiamandoli “Trattoria della Gina, (Campasso)”.

  

La ‘reclame’ all’inizio la poneva  - ed ancora nel 1902 - in “via Vittorio Emanuele, loc. S.Martino”; poi in  via Giordano Bruno al 14 e 16 rosso, ricreando  dapprima una trattoria di campagna, facendola  divenire poi via via un ristorante di lusso, un obbligo da visitare: le mense coperte da fini tovaglie ed allietate da fiori e porcellane decorate, ma soprattutto con la fama di  dove si “mangia bene” e si beve del vero Coronata. Le sue specialità erano: antipasti tradizionali; ravioli, lasagne o trenette al pesto; fritto misto (piatto forte del locale, con cervella, carne -di vitello o manzo-, laccetti e filoni, verdure dai cavolfiori ai carciofi, zucchini o melanzane, e latte brusco) o lo stocche in tutti i modi compreso coi bacilli, accompagnati dalla scorsonæa, dai cuculi e crocchin.

Tale lista delle vivande, era nota ‘urbi et orbi’: non solo ai sampierdarenesi, ma a tanti ‘foresti’ (piemontesi toscani e lombardi, perfino cinesi); a  gente famosa come il sindaco Mario  Bettinotti (sindaco di San Pier d’Arena nel 1919 che dalla Gina teneva spesso discorso, agli ospiti del Comune); Lorenzo  Stecchetti (direttore della biblioteca Universitaria); G.D’Annunzio (questi nel 1914 la definì ‘badessa intingola’, titolo aulico, per lei di difficile interpretazione e inizialmente genericamente non gradito... la parola intingolo fu mal interpretata); i congressisti provenienti dalla inconcludente ‘Conferenza della Pace’ (con Trotsky, il più illustre frequentatore); i dirigenti dell’Ansaldo e loro ospiti (tra cui viene ricordato il dr. Federico Giolitti figlio del ministro).  La fama era veramente planetaria : dopo una visita al porto o ai caruggi ed alla cattedrale, per riempirsi lo stomaco a Genova non c’era alternativa: San Pier d’Arena era la patria dell’arte culinaria  (nel 1920, vi esistevano 27 tra ristoranti e trattorie, dei quali una diecina ‘storici’); una tradizionale mèta  di gitanti buongustai (valeva ben mezz’ora di tram da Caricamento!). Marinai appena sbarcati,  cerimonie religiose (comunioni, cresime e matrimoni), frequentatori sportivi della vicina piazza d’Armi  (detti ‘footballers’), i soci delle società di mutuo soccorso, i portatori di Cristi prima della pomeridiana spirituale fatica in processione,  le famigliole in gita o alla spiaggia.  Il nipote Luigi, era il sommeiller dei vini (faceva visitare la cantina  solo agli amici che la descrivevano ’linda e pulita e senza una ragnatela, lucida e brillante, ove erano scaffali ripieni di bottiglie’. Non certo la Gina, ma la trattoria pare sopravvisse sino a dopo l’ultima guerra.

 Due aneddoti ricordano: il pappagallo ammaestrato che vicino all’uscita con divertimento generale avvertiva ‘gh’è gente’ se qualcuno entrava, e chiedeva  per chi usciva:”han pagou?”; mentre per gli invidiosi era sulla bocca uno stornello che suonava “la Gina del Campasso,  con la sue raviolate, fa i soldi a cappellate”.

 

   Vicino, ormai da immemore tempo cancellate e non localizzabili, prima del 1896, c’erano l’osteria “la Primavera” ed  una pista da ballo all’aperto chiamata “Mondo nuovo”, dove la moderna gioventù si ‘bruciava’ in nuovi balli scandalosi, al suono di un organetto; questo divertimento determinò i ‘mugugni’ dei benpensanti per cui fu giocoforza la relativa chiusura da parte della questura; il tavolato della pista del ‘Mondo nuovo’, fu poi mandata a fuoco da sconosciuti teppisti.

===15A : nel 1950 vi aveva sede la ‘Edizioni Musicali’ Vigevani Carlo.

===civ.18r attuale numero - dove era prima la trattoria - occupata a lungo negli anni fine 1900 dall’azienda autotrasporti Cardonetti.

I locali sono  stati più recentemente usati da una organizzazione degli immigrati latino-americani (equadoriani in maggior parte) ma furono chiusi d’autorità negli anni 2009, causa eccessi (ubriachi, chiasso notturno, vetri di bottiglie rotte, ecc.). Nel 2010 apare chiuso.

 

   Il ponte, serve a far passare, sopra, la ferrovia che – proveniente dal porto e passante sotto la galleria dei Landi - conduce al parco del Campasso.

 

   Sotto il ponte ferroviario, un’altra lapide ricorda il 15 genn.1945, quando nel posto furono  fucilati due partigiani, operai dell’Ansaldo, il diciannovenne Giuseppe Spataro (vedi) ed il quarantaduenne Ernesto Jursé (vedi). Questi, catturati alcuni giorni prima e tenuti nella ex sede dell’Universale (il Secolo scrive ‘da Marassi’; ma ritengo difficile che provenissero da là, che era in mano ai tedeschi, i quali non li avrebbero certo lasciati a facinorosi generici italiani ancorché delle brigate nere, che invece la facevano da padroni in periferia. Tanti prigionieri, prima di essere trasferiti a Marassi, ‘soggiornavano’ nelle sedi locali) dopo essere stati picchiati a sangue, furono condotti sotto l’archivolto ed lì uccisi nella notte (col messaggio simbolico -non ben spiegato neppure da chi visse quei giorni, anche se ripetuto più volte, del panino ed una mela in tasca;  si presume, per farli parlare dopo averli allettati con del cibo e con l’idea di un trasferimento in un campo di concentramento. Musitelli spiega che nella seconda metà di gennaio 45 anche a Genova dal IV settore di Marassi, le B.Nere prendevano i prigionieri raccontando libertà e fornendoli di un sacchetto con panino e mela: la colazione del mattino; caricati sui camion di notte, venivano scesi ogni tanto e li fucilavano lascandoli a terra come monito).

Il posto fu appositamente scelto per dare un monito a tutto il quartiere sempre particolarmente  ribelle alle direttive del partito nero.

Nel gennaio 2003, poco prima della cerimonia di commemorazione (promossa dall’Anpi “Martiri del Turchino” e dall’Arci “Giuseppe Spataro”) la lapide ed il muro attorno furono imbrattati da uno spay nero con scritta (“S(ilvio).Parodi” nome di una brigata nera, assunto da un gerarca della Repubblica di Salò) e simboli di svastiche (episodi simili erano avvenuti due mesi prima alla Benedicta ed a RivaTrigoso; qui a San Pier d’Arena, dieci mesi prima alla lapide di piazza Masnata, con ovvio interessamento della Digos. (è legalmente proibita l’apologia del fascismo).

 

   Partito socialista italiano di unità popolare

dipinta sul palazzo dei turaccioli (leggi dopo) è l’unico residuo di una mentalità politica accesa e convinta degli abitanti del Campasso, orientata compatta a sinistra anche nei tempi del fascismo. E  motivo per la fucilazione dei due partigiani, i cui corpi poi lasciati in zona, a inutile minaccia.

 

civv. da 1 a 9 - Dopo il ponte, un lungo muraglione innalza di oltre un piano le già erte scale delle case popolari, costruitevi  alla fine del secolo 1800. 

A monte di esse, doveva passare a scendere la strada della Quota 40, ma non se ne fece nulla perché bloccata per mancanza di spazio di scorrimento a livello della villa Currò; ma forse anche per mancanza di fondi o per non ingorgare ulteriormente la zona,  che prima di sfociare a Rivarolo, era già densamente abitata e la strada era divenuta uno ‘stretto budello’.

===civ. 8  dopo la galleria ed un muraglione che sostiene una casa delle ferrovie, con questo civico anizia la parte abiata a ponente della via. Il cornicione contiene la base di una insegna o di uno scritto fascista.

 

=== un forno fa tornare alla memoria  un fattaccio locale: l’uccisione da parte di un fornaio nella strada – non specificato dov - di un giovane orfano al fine di carpirgli un biglietto, vincente una quartina al lotto; l’omicidio fu scoperto e punito: ed è  da allora che una leggenda sui campassini tramanda che essi, forti giocatori,  non riferiscono mai ed a nessuno le loro vicende di gioco.

===civ.14 : sullo stipite marmoreo, sta inciso “casa Venzano”; un GB abbiamo visto risiedere al civ.8 nell’anno 1900; conosciamo un omonimo cognome titolare di una trattoria negli anni 1919-25 nella strada (allora via G.Bruno al civ. 28; quando  a fianco, al civ.30, c’era anche quella ‘del Lillo’).

 

===civ. 16 negli anni 77 ospitava la ditta DAS sas di F.Bottaro & C distributrice di alimenti (“dall’antipasto al dessert” ovvero pesci  come polpi, calamaretti, seppie, ecc. a piselli, fagiolini, ecc. e cosce di pollo e cotolette, ecc. e pasta e pizze pronte, ecc.)

===civ.20: si chiamava ‘casa Durante’ e vi abitò da prima del febb.1905 ad oltre il 1908 il pittore G.B.Derchi (che morì nel febbraio 1912 (vedi)).Doveva a questa altezza, partire una strada che portava ad orti posti dietro le case -compreso l’attuale civico 14-; cosicché il portone è posizionato non sulla strada principale ma in una rientranza.

===civ.25 :  sul muro del palazzo posto di fronte al portone, c’è una targhetta in marmo che segnala “Zona Militare, m. 250”.La targhetta risale alla guerra 15-18 quando i forti erano zona militare e  pertanto, dopo breve tratto, era zona invalicabile e delimitata da filo spinato; per raggiungerli ovviamente  era necessario l’uso dei muli; e questa rientranza pare fosse l’inizio di una mulattiera che arrivava ai forti soprastanti. Tale targhetta la ritroviamo sulla casa della Nora Torre (in via Pellegrini, 1) e sparsa per la città, come in via alla Porta degli Angeli. 

 

===civ.33  :    dopo il palazzo, in posizione arretrata nel declivio del colle, negli anni 1940  di inizio guerra, fu aperta una galleria, ben visibile per l’impostazione esterna in cemento, che doveva arrivare ai Landi, da usare come rifugio nei bombardamenti. Rimase incompiuta dopo 200 metri di profondità, ed in pratica non fu mai usata. Venne utilizzata come deposito di legname; ma questo, nel 1982 andò a fuoco facendo scoprire potenziale pericolosità per chi si fosse avventurato in profondità, per cui fu chiusa.

 

la galleria, prima del campetto

 

Segue uno dei tre  caseggiati ad uso abitativo, che il libro “un’idea di città” a pag.141 segnala per la  presenza di decorazioni esterne con caratteristiche liberty (ne cita tre, ma non precisa a quali numeri civici corrispondono (uno di essi presumibilmente è il civ. 39); sappiamo che uno fu eretto nel 1906 (proprietà ed architetto , Adriano Cuneo), uno nel 1910 (è il civ. 35: proprietà Cazzullo; architetto geom.Pietro Giacomardo), ed uno nel  1911 (proprietà Riccapenna, arch: A.Petrozzani).

===civ 16  Nel Pagano/1908 e 1925 genericamente in ‘via al Campasso (s.Martino)’ sono descritti un deposito di birra ed una fabbrica di acque gassose di proprietà Dellepiane Agostino.

Nel 1936 fu eretto un edificio ad uso della soc. Ifelc, salumificio ed insaccati vari, di Ghezzi Osvaldo, poi di Dardano Giuseppe.

Nel 1970 fu occupato per breve periodo dalla cooperativa Lacas che fallendo, lasciò lo spazio alla FrizzSoda, sempre di Ghezzi (Il Secolo XIX- 2002 scrive essere di Ettore Ceruti), che riprese il marchio della bibita “Gassosa”, abbandonato negli anni ’60 (Il primo stabilimento della bevanda fu aperto al Campasso –non sappiamo dove-  e fu una delle prime società per azioni interessate al ramo alimentare, nate a Genova. Venduta in centro ed allo stadio, per una decina d’anni  conobbe una impressionante popolarità, divenendo leader dell’industria locale: iprodotta nelle bottiglie con la biglia, nonché acqua in sifoni. Fu anche deposito di birra e lavorazione delle spume).

Rimodernato è divenuto nella parte ad est  affacciata sulla strada, prima magazzino di carne macellata, poi deposito frigo chiamato dapprima  Biemmezeta poi Avicola Zena, di Barellari e Zunino.

===civ. 26r nel 1950 c’era una ‘agenzia giornali’,  di Sanna.

===civ. 39r nel 1950 c’era una trattoria, di Cighè C..

In precedenza esisteva nella via, non precisato dove,  ‘in una casa d’angolo poi distrutta da una bomba’, la trattoria “del Lillo” (non nel Pagano/12; si nel Pagano/19 e /25: in via G.Bruno, 30); gestita da uno dei tanti eredi della famiglia Marchese una volta proprietaria di gran parte dei terreni (anche la Gina era con questo nome - leggi sotto).  Ancora nel 1950, dei f.lli Marchese gestivano al civ.69r un negozio di legna e carbone (in SPd’Arena ce ne erano allora ben 32 di esercizi similari, di cui 3 al  Campasso: civv. 28r e 29r). Vedi al 58r.

===civ.49r  nel 1950 c’era uno spaccio di vendita della soc. an. Azienda Autonoma Annonaria.

 

Lo slargo stradale esistente, esteso alla vicina via A.Pellegrini fu negli anni 20 punto di raduno e partenza di uno dei vari Carosezzo Sampierdarenesi (promossi dai vari rioni – leggi sotto) ovvero ‘corso mascherato’; Casaccia scrive Carossezzo, ma la doppia s non si pronuncia.

Memoria storica racconta che già del XVII secolo la nobiltà invitava dame e cavalieri titolati a feste similari (detto ‘nobile divertimento’; famosa rimane a Genova quella del 1829 nel teatro Carlo Felice ed altre nel palazzo Giustiniani e dove comparvero in modo teatrale i maghi con giochi di prestigio eclatanti).

La moda esplose nel XVIII e XIX secolo (e permase ancora nel secolo dopo,  sino all’avvento del fascismo) coinvolgendo il popolo che riprese – sia il veglione (da noi detto “delle lucciole” perché si protraeva sino alle ore piccole della notte (nei saloni – nel teatro Modena più famosa, ma in tante altre sale -  illuminate solo da candele; mentre la città dapprima non era illuminata, e poi comparvero nelle strade i lampioni a gas,  prima dell’avvento della luce elettrica. Opportunamente mascherati o anche senza costume particolare, uomini e donne ballavano, cantavano, scherzavano in un tripudio gioioso di lancio di coriandoli, stelle filanti, addirittura confetti) e sia  il signorile corso mascherato, allestendo a modo suo i carri con musicanti e le maschere divenute caratteristiche locali (leggile sotto)

Popolari erano diventati – nei primi anni del 1900 - quelli effettuatidei nel pomeriggio del giorno di carnevale (carlevâ), o le domeniche concesse: la popolazione era arrivata ad alcune decine di migliaia di abitanti i quali allestivano una decina e più  di carri allegorici trainati da cavalli tutti opportunamente bardati (a festa e non come erano in utilizzo anche di lavoro); i pianali  venivano variamente addobbati con casette, fiori, uomini mascherati con semplicità, qualche strumento musicale per intonare canti e balli tra lancio di stelle filanti, coriandoli e qualche aranciaImportante era partecipare, seguendo la moda, allora imperante, delle feste e balli mascherati e quindi delle rappresentazioni teatrali ed operistiche. Il carnevale concedeva un breve periodo di sfrenata allegria per tutto il pubblico che assisteva numeroso e partecipava cercando così di dimenticare per quel giorno gli affanni giornalieri.

Alcune maschere sono rimaste nella memoria quale quella ‘del marchese (o marcheise; con parrucca incipriata, calze di seta bianca, marsina ricamata in oro, cappello a due punte)’, del ’paesano (o paisan)’, di Barudda (con cappello napoleonico o a tre punte, faccia da luna piena con folta barba da un orecchio all’altro, rozzo bonaccione ed un po’ balordo di comportamento; fa ridere perché nelle situazioni scabrose reagisce scomposto con urla, gridolii, stridore di denti,  scombussolamento del grasso corpo), di Pipìa (fa da spalla a Barudda, essendo più scaltro, più raffinato ma con grettezza popolare, però veloce nel togliersi, e toglierlo, da situazioni difficili); o  Gepin e a Nena (erano altri due paesani, allegri e spaesati in città; lui col corpetto colorato sotto una giubba di fustagno verde o nocciola, scarponcini, cappello a falda larga o berretto di panno con risvolto, ombrello; lei – diminutivo di Maddalena- con vestuiti sgargianti e mezzero)  oppure di personaggi reali, del Beppe (similare a Gepin, ma vestito da balia, allattava Cinninini, un omuncolo tendenzialmente tonto che vendeva giornali e ruote del lotto); e poi, negli ultimi tempi,  la riproduzione dei comici di allora (Charlot, Ridolini) e maschere conosciute di altre regioni (Arlecchino, Balanzone, Baciccia) o di fantasia propria (viene ricordato o Niain, do Fossou de san Bertumé che si vestiva da etiope perché aveva partecipato alla battaglia di Adua.

   Più d’uno potevano essere i percorsi, a seconda della promozione locale; normalmente i due più importanti erano: il “corso del Centro” che partiva da piazza XX Settembre (del Monastero), scendeva verso piazza Ferrer (Vittorio Veneto) dalla quale risaliva via Vittorio Emanuele (Buranello) fino a piazza Bovio (piazza Barabino) per tornare lungo via C.Colombo (San Pier d’Arena) e ritorno al Baraccone del Sale ov’era la giuria per la premiazione e dove si scioglieva.  Quello invece ”del Campasso” partiva dai macelli, arrivava a piazza Ferrer e: o seguiva lo stesso itinerario del precedente, sommandosi ad esso, o ritornava al Campasso.

 carri in via Fillak presso le case dei ferrovieri

A questo punto la strada di via Campasso ruota a sinistra, mentre continua diritta in via Pellegrini ove sono censite la chiesa ed il suo campetto sportivo.

===civ. *** ha ospitato per anni una cooperativa di soci (la cui sede era in piazza Ghiglione vicino a via Currò); Da essi passò al supermagazzino denominato cooperativa Scasa che cessò la attività traslocando in altra sede verso Teglia, nel 1986. Attualmente è detto che  funge da deposito comunale di materiale per i periodi elettorali (sedie, cabine, urne, riquadri per i manifesti, ecc) ed è gestito dalla coop. Moro trasporti.

 

 

La strada prosegue costeggiando il muraglione del Parco ferroviario. A levante costeggia invece il fianco del mercato

===civ. 58r  a ponente invece, fino ancora nel 1950 erano alcune stalle per  cavalli, di proprietà di quei Marchese (presumo i fr.lli, carbonai nel 1940) padroni di tutti i terreni ad est della strada, estesa  da via Millelire al fondo di via Pellegrini (erano Marchese, sia la Gina che il Lillo; per  ultimi negli anni 1950 erano tre fratelli, conosciutissimi in porto perché trasportatori e magazzinieri, solo citati da Franich tra le ditte che si occupavano di trasporti e che possedevano carri e cavalli (“Marchese F.lli – Sampierdarena”): tutte le mattine presto tre carri trainati da due cavalli partivano per il porto e ritorno, facendo una bella sfilata, finché i motori non soffocarono l’attività. Il Pagano/61 cita  Marchese Luigi autotrasporti, al civ.35-6,  ed al civ.69r Marchese f.lli carbone e legna. Sono ancora dei Marchese le stalle che si aprono in via Spaventa e che ancor ora ospitano dei cavalli, di privati).

MANISCALCHI   Da sempre, l’uomo ha ferrato e custodito cavalli; da sempre quindi erano sparsi sulle vie principali i maniscalchi atti a ferrare l’animale e le ruote dei carri (fucina, mantice, martello, incudine e ferri vari). Decine, e poi centinaia di cavalli; e più cresceva la popolazione ed i lavori connessi, diventavano migliaia. Ed altrettanto numerosi i maniscalchi. Alla fine di via Mercato, ove ora è il civico 50 di via Cantore, la zona era tipicamente detta “le stalle”: erano baracchette basse, col tetto spiovente, ed ospitavano cavalli, forse anche muli, fieno e tutto l’occorrente. Alla Coscia, quello che diventò un deposito dei tram, prima era una grande stalla usa anche per il traino degli Omnibus. Ancora nel 1921, sulle quattro strade principali della città V.Emanuele, C.Colombo, UmbertoI, N.Daste, in 24h transitavano 2904 veicoli trainati (carri, carrozze, diligenze, tranvaietti, tombarelli, fiurgoni, ‘stamanoin’. Tanti dovevano essere allora gli stallieri, i fabbri e ferraioli. Vengono ricordate le imprese di trasporti, dei Carpaneto (quello dei dock), dei fratelli Rossi, i Robba, Bianchetti, Bagnasco, Bruzzone, Meirana, Lanati (con ‘il Domicilio’).

  dalla foto non è possibile collocarli nella strada

 

Tra i tipici –e spesso a conduzione familiare, con i figli che imparavano il mestiere andando a militare come stallieri nelle scuole di cavalleria- vengono ricordati Ferrando Vincenzo, detto ‘Balla’ e poi il figlio Natale che lavoravano prima in piazza Omnibus, punto di passaggio anche per grandi viaggi, in Piemonte, Lombardia ed oltre (poi trasferiti in p.za Cavallotti e poi ancora in via NBarabino) La loro casa era punto di riferimento per i limiti stradali: vedi A pag.79 ; GB Civani detto ‘da o Bocca’, seguito dai figli Luigi e Celestino, con bottega in piazza Tubino e via del Mercato; gli Zuccoli, Dante coi figli; Guarneri Francesco con i figli Armando e Luigi che andarono ad aprire anche in Genova al Carmine.

Solo nel 1937 dovettero unirsi in cooperativa per l’eccessivo sviluppo dei mezzi a motore. 

La parte a ponente della strada, ha il muraglione della ferrovia reso intoccabile perché i primi due binari limitrofi, pare siano da essere sempre liberi riservati dalle FFSS allo Stato per necessità sociali nazionali urgenti (guerre, disastri, ecc).

===89r  c’era una fabbrica di sughero e tappi, di cui rimane la scritta - insegna ancora leggibile sopra le ampie entrate o saracinesche, Il palazzo ha il portone di ingresso in via Spaventa. 

===97r Seguiva l’ingresso della fabbrica di poligrina, lisciva, varechina ed altri materiali per pulizie, di Gallino Severino che poi si trasferì a Rivarolo vicino al campo sportivo Torbella.

===civ. 35 con data 24 gennaio 1910, venne presentata domanda al Sindaco, firmata da Cazzullo Michele (su disegno del geom. P. Giacomardo), divenuto proprietario di un piccolo ‘apezzamento (sic)’ di terreno già di proprietà dei sigg. Scorza e Casanova per erigere lungo via Giordano Bruno una costruzione (=il civ.35) per abitazioni civili (costruiti pare per ospitare gli operai della vicina fabbrica del ghiaccio - che a sua volta era in via Spaventa. La nuova costruzione nella sua parte più a nord era sovrapposta ad un fossato proveniente dal monte a levante). Tra le clausole imposte dalla giunta comunale, c’è che il Cazzullo doveva “…coprire un fosso colatore destinato a ricevere gli scoli della casa in progetto e di quella Parodi (=civ. 37 già presente in quella data, ed eretta su terreno dei Ricca, proprietari della villa soprastante; questo caseggiato appare poi demolito nel 1949 e ricostruito nel 1951); nonché alla sistemazione della strada (mantenuta larga 10 metri) …” : era davanti a questo civico che viene descritta - sino a fine 1900 - l’esistenza di una bassa galleria – scolo fluviale sottopassante il parco ferroviario sino a via Fillak (un tunnel, evidentemente il fossato di cui sopra che raggiungeva il Polcevera e che con la sistemazione della rete fognaria, fu eliminato): nel 2002 la fessura non compare più, ed il muro appare chiuso con  massi eguali agli altri da non rilevarsi nemmeno la traccia di aggiustamento rispetto l’insieme.

La facciata fu decorata con disegni di stile tardo liberty.

=== dopo il civ. 37  una rientranza verso est, lunga cento metri, ospita alcuni stabilimenti (che comprendono anche i civv. 37/39) tra cui il ‘Bon Jour industria dolciaria srl’ che aveva iniziato l’attività nella sovrastante

Belvedere (ove sovrasta l’insegna luminosa ben visibile giungendo in autostrada) e che ora amministrata da Emilio Sacco, con poche decine di dipendenti produce brioches e dolciumi, rifornendo supermercati e coop.

===civ. 39 e 41 : furono costruiti su terreno di proprietà Ricca, facoltosa famiglia locale proprietaria della villa soprastante il civ.49. (vedi foto a “Storia della strada, 1910”). Il primo, possiede delle decorazioni liberty in riquadri sovrapposti alle finestre e sul bordo del tetto, riproducenti rami di palma incrociati.

===civ. 43 cancello. Porta ad una casetta  soprastante il 41 e raggiungibile-sulla cartina- da una apertura a nord del caseggiato (in pratica si passa dal retro della casa, nella rientranza su descritta).

===civ.49 In fondo alla via larga, limitato da un cancello, si apre -prima del restringimento della strada, percorso  fiancheggiato dalla ferrovia- un viottolo che porta ad alcune ville soprastanti. Una, la più in alto e soggiogata dall’incombente ponte autostradale, fu già di proprietà Ricca, poi delle famiglie Carpaneto e Marasso. Fu resa famosa perché usata dalle Brigate Rosse, quando il 19 apr.1974 rapirono il magistrato Mario Sossi, sostituto procuratore della Repubblica, e lì lo ospitarono prigioniero (aveva svolto il ruolo di pubblico accusatore nel processo ad una banda di malviventi , detta “ XXII Ottobre”; fu liberato a Milano il 24 maggio successivo. L’atto, fu il preludio dei  terribili e sanguinosi, definiti “anni di piombo”). Fu rimodernata e resa accessibile dall’alto dalla società Autostrade, ad uso circolo dei dipendenti del tratto Genova-Serravalle-

===civv. 51-51a:   di altre due case, visibili dalla strada sottostante, una appare una casetta  abbandonata di piccole dimensioni; l’altra è un casermone  che è stato espropriato dalla soc. Autostrade, e chiuso. Invece  è stato sfruttato a lungo negli anni 2001 dagli extracomunitari illegalmente ospiti in Italia, specie slavi e di colore: dopo svariato bliz della polizia, è stata murata negli accessi e cintata; però dal budello per raggiungere via della Pietra è ancor ora raggiungibile scavalcando il muro con una scala. Nella mattina del 30 lug. 2009 infatti, alcuni ‘inquilini abusivi’ son riusciti accidentalmente a dare fuoco alle loro masserizie, causando l’intervento della polizia e dei pompieri (che han fatto ‘piovere’ acqua dal ponte soprastante non potendo raggiungere la casa); due poveretti rifugiati sul tetto, furono salvati –mezzo intossicati- dai pompieri del nucleo di soccorso alpino/fluviale (i Saf).

  Dopo la lunga stretta , limitata da due muraglioni che limitano la collina e la ferrovia, le ultime case prima di continuare con via della Pietra, arrivano ai civici 57 e 28.

===civ____la fabbrica di estintori soc.an.Minimax (apparecchi ed impianti contro l’incendio, a mano idrici, a schiuma, a tetra, a polvere a CO2 ), con sede a Genova.  Era già attiva nel 1933 (quando si interessava anche di riscaldamento, combustori a nafta, caldaie per acqua calda, sanitari, banchi di stagno per bar e caffè).

 

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