CAMIONALE                               piazzale della Camionale

 

                                              

TARGA : piazzale – della - Camionale                                       

   

                                               

QUARTIERE ANTICO: Coscia

 da MVinzoni, 1757. Ipotetica zona del piazzale, con in fucsia tracciato di via A.Cantore; gialla, villa Spinola

 

N°  IMMATRICOLAZIONE:   2738

  

da Pagano/1961                                           Da Google Earth.2007

                                                                     in rosso via A.Cantore; giallo via s.B.d.Fossato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°  :   10300

UNITÀ  URBANISTICA: 28 – s.BARTOLOMEO

CAP:  16149

PARROCCHIA:   s.Maria delle Grazie

STRUTTURA:    da via A.Cantore, all’ingresso dell’ autostrada Genova-Milano (inizialmente chiamata Genova-valle del Po).

   Nel 1975 furono erette alcune nuove costruzioni che ebbero i civv. 3, 6 e 7. Nella sistemazione numerica, venne assegnato il 4 e poi, nel 1990, anche l’1.

   È servito dall’acquedotto Nicolay

CIVICI

2007=neri   = da 1 a 7 (manca 5)

                       da 2 a 6

===Civ. 2  :  la sede della Direzione del 1° tronco dell’azienda Autostrade

                     area militare (della Polizia  di Stato-Autostrade).

STORIA:

Oggi si chiama A7, Milano - Genova.

Nacque nell’ambito sia di una necessità internazionale di aumentare le reti stradali  (nel 1931 era avvenuto a Monaco  il “VII congresso internazionale della Strada”, dove l’Azienda Autonoma Statale della Strada italiana , nella sua relazione vantava 20mila km di strade nazionali e la realizzazione, per primi in campo internazionale, di costruzione di una autostrada ideata dall’ing Puricelli nel tratto Milano-Laghi); sia dei  grossi giochi di interessi tra ministeri statali e finanziatori in cui erano di fronte la amministrazione ferroviaria (che vantava arrivare sempre in perfetto orario! ed essere vastamente rappresentata sul territorio ed a tariffe fissate dal governo; ma non offriva la capillarità del servizio); e sia di una fiorente e sempre più in sviluppo industria di autoveicoli, con la FIAT in prima linea (apparentemente sempre più competitiva delle ferrovie sia per la capillarità che per il prezzo specie da quando la scoperta del diesel  permise un notevole risparmio nell’uso del  combustibile). 

   Fu fatta la scelta a favore del trasporto su strada, concependo  l’idea di potenziare la rete stradale. Sino allora,  per la Liguria il traffico su autoveicoli a quei tempi  usufruiva solo, e con non poche difficoltà, della strada statale dei Giovi  iniziata da Napoleone  nel 1810 ed aperta al traffico nel 1821. È statistica dell’ anno ‘33, il passaggio giornaliero per il passo dei Giovi (posto a 472 m.slm.; a quei tempi con dislivelli del 9% , larghezza 6 m., curve con raggio 14 m., ma soprattutto con metà percorso praticamente all’interno di abitati), di   570 autocarri (367 con rimorchio), 582 autovetture e 90 motocicli  (nel ‘28 erano stati  rispettivamente 105 (42), 204 e 35).

   Era storia antica, aver già cercato dal febbraio 1900, e poi in altre occasioni attraverso le vie parlamentari, di aprire il cosiddetto “quarto varco” (dopo le due tratte ferroviarie e la strada dei Giovi), sempre naufragato per inerzia, per guerra, per problemi economici, impatto ambientale, usanze (soprattutto la ancora, vastamente in atto, trazione animale; al massimo l’esistenza della linea ferroviaria ma valida solo per le lunghe distanze). Così, negli anni ’20, l’ing. Puricelli Piero aveva studiato una specifica strada per veicoli (perciò battezzata ‘auto-camionale’).

Negli anni immediatamente a seguire, il regime aprirà altre autostrade (e non tutte completamente finanziate dallo Stato; ricordiamo la Milano-Laghi nel 1925, e la Milano-Bergamo nel 1927, e subito dopo la Milano-Torino, la Firenze-Viareggio, la Roma-Ostia,  la Napoli-Pompei tutte ad uso prevalente automobilistico.

     Sul SecoloXIX, Dossena precisa che il Duce aveva scritto il 10.2.32 al prefetto di Genova, esprimendo il suo parere - considerando che qualsiasi sua riflessione ‘doveva immancabilmente coincidere con quanto riflettevano gli italiani’ - (ma forse era vero la richiesta del contrario!), circa la opportunità di preferire una autostrada ad una direttissima ferroviaria; chiudendo la lettera con un ‘mi riferisca’. Alla lettera seguì la presentazione di una decina di progetti ed immediata la scelta.

   Così, col beneplacito di Mussolini si diede il via nel febb.1932 al progetto di una autocamionale da Genova a Serravalle, totalmente finanziato dallo Stato: 175milioni di lire, pari a 3,5 milioni/km (quando altre in pianura erano costate 1,1=Mi-Bg; e 2 la Napoli-Pompei (il duce Mussolini, aveva inizialmente voluto chiamare ‘autocamionabile’ l’autostrada Genova-Milano, per sottolineare il fine a cui era particolarmente destinata; il decreto di questi lavori dichiarati di pubblica utilità, firmato a san Rossore il 18 giugno 1932 (anno X), fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del regno il  4 luglio; ‘a spese dei Lavori Pubblici salvo contributi della città di Genova’. Per il progetto fu istituito uno speciale ufficio del Genio Civile, supportato dalle migliori forze intellettuali: era in moda la corrente culturale del futurismo, e la velocità acquisiva il ruolo determinante e tangibile della volontà di progredire in senso economico e sociale).

   Caratteristica innovativa fu che essa era la prima strada che attraversava gli appennini in gallerie, rompendo l’isolamento di Genova. Ma anche a livello internazionale, perché dovevano essere: 50 km di strada a carreggiata nei due sensi, senza  interruzioni con le arterie stradali comuni; in forma continua e col tracciato più breve compatibile col terreno; con uscita ed entrata presso alcuni paesi; spartitraffico continuo (solo in alcuni punti diritti, poteva esistere una terza corsia centrale unica per il sorpasso, ma per ambedue i sensi);  pendenza non superiore al 4%; curve con raggio non inferiore a 100 m.; larghezza 10 m di cui 9 pavimentati per tre piste di cui una centrale per il sorpasso; limiti di velocità idonei allo scorrere veloce dei veicoli; rettifili pari a 29km sui 50 in totale; massima altezza quota 413 slm; 11 gallerie (la più lunga era quella dei ‘Giovi’, in uso ancora attuale nell’andare verso Milano (progettata di 892m. fu allora chiamata ‘Littorio’; la seconda, di Campora, allora chiamata XXVIII ottobre, di 507m); oggi è di 902 m. di lunghezza e 9 di altezza; fu aperta a minore altezza (59m. essendo a quota 413m. slm) rispetto il passo omonimo della strada statale), 28 viadotti (il Montanesi è lungo 273m ed alto 46), 12 cavalcavia; 112 sottopassaggi compreso le rampe di accesso.

Tutto, oltreché funzionale, doveva essere anche bello ed esteticamente di rilievo, un’opera che doveva dare lustro al regime: l’ingresso delle gallerie, i muri bugnati con squadratura esagonale,decorazioni a suon di fasci littori realizzati in marmo verde di Pietralavezzara; le pietre venivano lavate prima di essere posizionate.   

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   Storia. Il 21 apr.1932 (natale di Roma) il ministro dei LL.PP. e funzionari regionali studiarono i preliminari e appaltarono i  progetti diretti dall’ing. Giovanni Pini (compresi gli espropri dettati obbligatori per pubblica utilità; i capitolati d’appalto e bandire la gara); il 18 giugno venne la regia autorizzazione previo decreto n° 757; nel settembre viene approvato il progetto definitivo, e - con una rapidità senza precedenti -  il 6 ottobre si diede il via ai lavori, con un primo stanziamento di 110 milioni. 

Con epicentro a Busalla, furono reclutati 26.882 operai (scalpellini, muratori, carpentieri, minatori, genieri, ecc. ;  per le 550mila giornate lavorative necessarie, furono accasati in quindici diverse ‘cascine’; costavano 4,50 lire cadauno di vitto ‘sano ed abbondante’ più £ 1,42 all’ora per un manovale=a £.12,75 essendo la giornata lavorativa di nove ore; di essi 10500 genovesi, 3631 alessandrini, 2189 bellunesi, 784 udinesi, 1725 carraresi, 1533 bresciani, 2184 bergamaschi, 620 trevigiani, 240 vicentini, 197 lucchesi, 3279 da altre provenienze;  non utilizzati tutti assieme in continuità, ma a gruppi secondo i vari settori).   Il serpentone, fu diviso in 22 lotti, con un massimo d’insieme di 8264 uomini; e fu dato in  appalto a 28 imprese –delle quali 16 per i lavori stradali e 12 per illuminazioni ed impianti.  Furono usati 124.800 kg di dinamite. A fine, furono adottate come ‘case cantoniere’ cinque edifici, tinti del caratteristico ‘rosso pompeiano’ tanto caro all’ideologia dell’epoca.

I primi due cantieri, iniziarono nel secondo semestre del ‘32; furono  per il tratto da Busalla a Genova e da Pietrabissara a Serravalle, per poter spostare la mano d’opera man mano che la strada si completava.

Il tutto comportò un notevole beneficio economico e demografico per tutti i paesi del percorso. Fu vanto anche essere riusciti a traccialo, intrecciandosi ripetutamente con la ferrovia e la statale, attraversando aree abitate e torrenti. Fu chiamata “autocamionale Genova-Valle del Po” o “camionale dei Giovi”,  per l’indicazione ed indirizzo prevalente al traffico pesante  e di merci, tramite camion da trasporto a nafta, atti a fornire un più rapido smaltimento delle  derrate da e per l’entroterra lombardo-piemontese ove poter raggiungere mète sempre più capillari.

   Una migliorata funzione del porto in genere e l’apertura di nuovi accosti nel ponente, assunsero particolare rilievo nel decidere l’apertura del tracciato.

il primo tracciato,  nell’aprile del 1937

                      

  Piazzale.   Una volta deciso l’incremento del trasporto su gomma, nacque la necessità di organizzare aree e viabilità idonee a raccogliere e smistare le merci verso questo nuovo canale; e questa esigenza si sommò al progettato sbancamento del colle per aprire la comunicazione tra Genova ed il ponente : divenne unico interesse realizzare un vasto splateamento del colle (già iniziato nel 1927), ed aprire la strada ed il piazzale d’ingresso.

 

1933

 

 

Questo, all’inizio, si apriva solo verso nord al viadotto iniziato,  ed a mare con un tratto in discesa che lo collegava con via Milano, ed a cui fu dato il nome di via Carducci.  Vasto oltre 5 ettari (440x117 m),  fu inizialmente destinato agli uffici ed al parcheggio e servizi dei mezzi pesanti; per realizzarlo dovettero prima demolire le grandi caserme che coronavano il colle in quel tratto (che aveva anche il pregio di essere molto panoramico) e poi  eliminare  la naturale barriera del colle, che fu aggredita con una cava sia sul versante San Pier d’Arena che Genova dopo averle messe dapprima in comunicazione con una galleria di 196 m., poi scomparsa con la progressiva caduta del diaframma (ad occidente il colle era formato da schisti a contatto con calcari, mescolati, sconvolti e degradati nella zona di impatto orogenetico; e quindi di più facile scavo con gli escavator. Dall’altra parte la roccia era di calcari alberesi compatti, che richiesero l’uso di mine giganti, fino a 2300 kg di dinamite).

 

   La scarpata a monte e sovrastante il piazzale, nella parte del terreno schistoso, è alta 70m ed è sostenuta da uno spesso muro  di cemento armato lungo 150 m. a larghe maglie (l’8 maggio 2003 venne inaugurata dall’assessore comunale alle politiche culturali Bruno Gabrielli, una serie di pitture ‘acrobatiche’ dipinte tra le rocce nell’interno dei vari riquadri, opere di Mario Nebiolo, sponsorizzato dal Comune e dalla soc. Unimar. Questi, arrampicatosi sulla parete ed utilizzando  rilievi e scanalature naturali delle rocce dipinse figure umane nell’atto dell’arrampicata a significato di ascesa e desiderio di superamento dell’ingabbiatura di cemento. Nel 2010 le figure sono ancora intravisibili.

   L’abbattimento di 1.100mila mc di roccia in gran parte calcarea, fu usato  per riempire le acque del porto nascente,  utilizzando una apposita ferrovia a 2 binari soprapassante le strade Carducci e Milano, e sottopassante i binari delle linee ferroviarie normali;  di questi, solo 50mila mc. furono utilizzati per riempire ed allargare la parte ovest del piazzale, rivolta verso via san Bartolomeo.

   Fabbricati   Fu, allora, preventivato su disegno dell’ing. Calza Bini anche una stazione, lunga 60m e larga 11 m , adatta ad albergo (anche diurno, lavanderia,  servizi (bar, giornali, pronto soccorso, posta, rifornimento), 16 camere a due letti; nel 1950 era di quarta categoria e gestito da Gatti Maria), ristorante (che nel 1950 era gestito da Vasco Tabolini) e bar (nel 1950, gestito da di Nosco Alessio).   La spesa fu di 15 milioni e 400mila lire.

Nell’area del piazzale, ha sede il centro operativo della Polizia Stradale (Polstrada), con oltre 50  telecamere poste lungo il tragitto nei punti più significativi e delicati, capaci di ingrandire le immagini di guasti, code, incidenti (e rilevare se ci sono feriti: nei primi dieci mesi del  1997 ci furono 41 incidenti mortali e 1547 feriti),  fino allo zoom per il ghiaccio o oggetti perduti sull’asfalto.

Dal Piazzale al mare:  l’Elicoidale.  Fu demolita ampia parte della facciata a ponente del colle di san Benigno (a ragione quindi è limite di confine attuale) e fu innalzato dal CAP un ponte in cemento armato, in elicoidale, che scavalcasse in unica campata alta 13m e con  40m di luce la nuova via di Francia, e sui pilastri laterali la strada, su lesene di pietra rosa di Finalmarina, fu posto come ornamento un gruppo di tre fasci littori:  prosegue verso il mare con curvatura di 50m di raggio, a doppia rampa d’accesso-deflusso larghe 18m., utilizzando 5000 mq di  area di proprietà del Consorzio (2800 coperta e 2200 scoperta) a cui di dovette un attivo contributo in idee,  progetti e finanziamenti.

 

 

 

 

 

 

anno 1935

 

                             

anni 1938                                                    1950

 

La spesa fu di 10milioni di lire, circa di allora. 

   Scomparso san Benigno a tagliare il territorio da monte a mare, questa costruzione ebbe peso determinante nel ricreare uno stacco all’assetto della nostra città: ecco questo piccolo mostro contorto che nuovamente ripropone un rilievo, distaccato dal contesto cittadino, separante tutta la zona della Coscia: iniziò così quel processo mentale di ‘non appartenenza’, che poi in seguito si ritorcerà  permettendone lo spianamento  nell’indifferenza di tutti.

Nella carta allegata al Pagano1940 si rileva che da levante, l’accesso all’elicoidale non avveniva da via di Francia ma dall’attuale via Albertazzi.

Infatti nello stradario il piazzale è raggiungibile da via Milano tramite una apposita strada chiamata “strada accesso Camionale” cha andava “dal Porto (Passonuovo) al piazzale”

 Pagano 1940

   La parte a levante dell’elicoidale viene considerata il confine nuovo ideale tra Sampierdarena e Genova, corrispondente alla antica ‘facciata’ del colle di san Benigno. Dal 2000, si parla addirittura di abbatterlo col consenso del CAP proprietario dell’area, per aprire a nuove prospettive d’insediamento la zona dell’antica Coscia: i progetti ci sono, ma dal dire al fare…ci sono di mezzo gli euro. (vedi a Passo di Francia). Nel 2000 si parlava aprire nell’area il nuovo mercato del pesce: “lavori urgenti di adeguamento”...”decisa accelerazione”... “entro due anni”; e di nuovo tre anni dopo con lo stesso fine, è stato presentato nuovo progetto da realizzarsi entro il 2005, che prevede anche la eliminazione del ponte sopra via di Francia.

           

anno 2010 visioni dall’elicoidale: verso ovest                    e verso nord

 

Ma a fine  2004, è tutto fermo come prima, escluso le baracche interne all’elicoidale, centrali all’area, incluse come in un grosso anfiteatro in parte sfruttato nelle strutture sottostanti la strada; tutte, nel 2009 appaiono evacuate anche se restano però in piedi lo stesso.

Nell’anfiteatro, per terra, sono incluse delle rotaie rotonde a largo raggio, come se fossero per far girare qualche gigantsca gru, ma della quale non riusciamo a capirne dimensioni ed uso (vedi foto sotto,  a destra del piazzale) .

panoramica interno dell’elicoidale anno 2008

 

 

Dal Piazzale a monte, il tracciato della camionale scelse il fianco di ponente della valletta di san Bartolomeo: un posto chiamato comunemente “taerapin” dai sovrapposti ripiani a scala, molto favorevoli alle scampagnate domenicali o festivi (25 aprile, 1 maggio, Lunedi di Pasqua, ecc.).

  Il primo colpo di piccone  d’inizio lavori per la strada, fu dato senza alcuna cerimonia formale, anzi sotto forma prettamente simbolica: a ponente del rio e poco sopra l’abbazia, il mattino del 6 ottobre del 1932 (X dell’era fascista) ad opera del ministro Araldo di  Crollalanza si  iniziò lo scavo di un solco che diede il via ai lavori, divisi in vari lotti appaltati.

   Richiesero tre anni di lavoro, svolto da 30mila operai (dei quali ben 26 morirono in incidenti vari). L’assunzione di così elevato numero di maestranza, fornì al regime anche l’arma politica propagandistica dell’assorbimento della mano d’opera operaia, esclusa da altri settori dell’economia (l’Italia  possedeva allora ben 1.129mila disoccupati; una percentuale di analfabeti del 40% ; un calo del consumo annuo procapite di carne e di zucchero). Gli operai, distribuiti in 22  lotti  del tracciato, con mezzi meccanici molto rudimentali rispetto gli attuali (perforatrici, scavatrici, martelli pneumatici), costruirono la strada, compresi 11 gallerie e 30 ponti-viadotti.

Dovendomi recare giornalmente ad Alessandria ove svolgevo servizio militare, nel 1964 sino a  Serravalle, la strada non era stata ancora duplicata ed era ad unica corsia perm senso di marcia, una in salita ed una in discesa affiancate; ricordo lo sconcerto se, a livello di Bolzaneto avevo davanti un camion con rimorchio: era impossibile sorpassarlo fino oltre la galleria dei Giovi.

   Moderna è la barriera anti inquinamento sonoro, posta sulla rampa di accesso nel 1994, costata 3 miliardi e mezzo, costituita di pannelli fono assorbenti ed altri suppletivi  inclinati  od orizzontali, sempre con identico scopo.

    

anno 2008

Cerimonia di inaugurazione. Il percorso fu aperto al traffico il 28 ottobre 1935 praticamente in contemporanea  con via A.Cantore  (la data fu scelta appositamente per corrispondere all’ “alba del XIV anno dell’era fascista”: ognuno era impegnato a salutare l’evento. Così, frenetica fu l’attività per essere in tempo a tutta una serie di inaugurazioni nazionali; grandi come a Firenze ove si inaugurava la stazione ferroviaria di s.M.Novella ed a Roma la città universitaria; più piccole, a Pegli, il raddoppio del binario ferroviario per Voltaggio la passeggiata alle acque solfuree ed una nuova ringhiera di  ferro): ad inaugurarlo fu il re Vittorio Emanuele III, arrivato a Serravalle in treno da San Rossore. Partì da Serravalle Scrivia alle ore 8,45 su un’auto scoperta.  Con  tutto il corteo reale (il cerimoniere fu il conte di sant’Elia), ed i gerarchi fascisti, rappresentanti del contemporaneo governo (il ministro del LL.PP Cobolli Gigli e dal prefetto di Genova s.e.Albini): ad accoglierlo erano le massime autorità militari (il maresciallo Caviglia in alta uniforme comprendente il collare della SS.Annunziata e le insegne dell’ordine militare di Savoia; con i generali Fara, Montuori, Poggi, Bruzzo, Piva, Saibante, Porro, Ragazzoni, e l’ammiraglio Rizzo),  civili ( i senatori Reggio, Celesia, Moresco, Pozzo, Bonardi, Cattaneo della Volta, Cogliolo; nonché il primo presidente della Corte d’Appello Bindo Galli, il presidente del tribunale ed l procuratore del re),  politiche (il direttorio della federazione fascista al completo, il segretario del GUF dott.Catto, il centurione Carioti capo della segreteria politica, il comandante della milizia DICAT il console Raggio, ed il seniore Passalacqua quale vice segretario federale) e religiose (l’arcivescovo di Genova s.e. Carlo Dalmazio Minoretti, con  mons Sanguineti del capitolo metropolitano,  mons. Marchesani segretario e mons Incisa cerimoniere). Non mancavano i  consoli di  tutti i paesi rappresentati a Genova: Argentina,  Belgio, Brasile,  Cina,  Egitto, Francia, Germania, Grecia, Guatemala, Inghilterra, Lettonia, Norvegia,  Olanda,  Stati Uniti,  Svizzera, Uruguai.

   Arrivati alle 11,05 al suono di fanfara, ed al grido “viva il re”, al suono delle sirene delle navi e degli stabilimenti, delle campane e del vocio di migliaia di presenti,  Vittorio Emanuele III passò in rivista i fanti del 43° e salutò la bandiera; poi - in un silenzio profondo - da un palco  toccò un tasto elettrico che scoprì dal tricolore la lapide con i nomi dei 26 operai morti sul lavoro, benedetta poi dall’arcivescovo, alla quale  seguì  “l’appello”: l’on. Morigi, vice segretario del PNF, chiamò uno ad uno il nome dei caduti, e la folla all’unisono che rispondeva “presente!” (scolpita da Antonio Morera;  i morti furono 14 nel 1933, 7 nel 1934, 5 nel 1935; di tutta Italia:  Brescia, Como, Bergamo (i più tanti), Belluno, Rovigo, Treviso, Vicenza, Udine, Genova, La Spezia, Milano e Firenze. La lapide, posta su una stele marmorea  (leggi sotto) posta all’ingresso della ‘strada autocamionale’.

Si racconta (ma la prima foto sotto, smentisce questa successione dei fatti) che venne rimossa dopo l’ultima guerra nel corso di lavori di ristrutturazione della zona e rimase abbandonata tra i detriti in un angolo del cantiere; e che nel 1993 su iniziativa di un consigliere, fu promesso dalla società Autostrade la rimessa in atto del cippo con lapide. Questo però avvenne subito e, quando fu fatta, in gran silenzio fu posta alla base dello strapiombo, nel fondo del piazzale, fuori vista da tutti forse perché appare contornata dai fasci littorio ed inizia con la scritta “ i lavoratori ai camerati caduti sul lavoro” ed ultimata con la  scritta “presente”, ripetuta tre volte.

Nessuno ha mai segnalato l’elenco dei feriti e degli invalidati; si sa che chi  lavorò per i tre anni, ebbe la possibilità di  guadagnare 10 milioni all’anno dei quali la metà poteva essere inviata alla famiglia lontana).

                  

saluto al Duce; era già a ridosso del muro             anno 2008 ; solo spezzata la lama dei fasci

Seguì la visita all’edificio progettato dall’arch. on. Calza Bini,  tra l’applauso della folla stipata sul piazzale e sui tetti vicini.

Dopo un discorso di s.e. Cobolli Gigli « Sire, tre anni or sono il Duce ideava l’autocamionale Genova -Valle del Po. Tre anni fa iniziavano i lavori che dovevano rapidamente dotare la Grande Genova, ricca di glorie marinare e fervida di attività commerciali di una nuova arteria che la congiungesse ai principali centri del Piemonte e della lombardia. Nel clima dell’Italia fascista, oggi, gli esecutori hanno la gioia di aver collaborato ad un’opera che unisce al miracolo della rapidità quello della perfezione tecnica . Ed è con sentimento d’orgoglio e di profonda riconoscenza alla Maestà vostra che le maestranze ed i dirigenti hanno avuto la grande soddisfazione di salutare con vivo entusiasmo il Re di Vittorio Veneto sulla nuova via aperta al traffico. L’opera è degna dei tempi nuovi, di quelli di oggi e di quelli che verranno perché essa, come disse il Duce è di “stile romano”. Sia la moderna strada non solo anello indissolubile tra la Grande Genova e l’alta pianura padana, ma tramite per sempre maggiori traffici e più gloriose sorti per questa bella terra ligure che scrisse per l’Italia marinara pagine di gloria e di vittoria. Sire, i dirigenti, le maestranze, il popolo tutto oggi presente, saluta la Maestà Vostra con profondo sentimento di riconoscenza e devozione; Camerati, saluto al Re!»), il re si recò a scoprire la stele posta all’ingresso del piazzale (ancora era lì nel 1975, con la scritta Autostrada in verticale ma alla quale erano cadute delle lettere per cui rimaneva solo: S RAD.

 

anteguerra

    

anno 1950 circa                                                       anno 1976

 

Inizialmente alla stele era applicato il monumento eretto per commemorare i lavoratori morti incidentalmente nel lavoro; questa commemorazione fu moncata  spezzando la parte più alta e togliendo la lapide  perché significative di una mentalità sconfitta) e quindi, il re fu portato in auto verso il porto tramite l’elicoidale e poi al palazzo reale di via Balbi, sempre  attraverso due ali ininterrotte di folla applaudente e sventolante bandiere e fazzoletti.

Il giorno appresso avrebbe visitato ed inaugurato le nuove costruzioni in Genova (il palazzo della Questura con la copertura del torrente, corso Italia, le piscine d’Albaro, il padiglione sanatorio Maragliano a san Martino, la casa dello studente).  Attraverso corso Giulio Cesare (corso Gastaldi, aperto nel 1933), dalla stazione Brignole  rientrò a San Rossore, portandosi in omaggio un bronzo del san Giorgio, riproduzione in piccolo di quello presente della cripta del monumento ai Caduti, ed un album contenente disegni della pittrice Pina Villanis, che illustravano i punti più pittoreschi del percorso svolto (per tale opera, la pittrice fu l’unica donna ammessa ai vari cantieri dall’inizio dei lavori).

   Dal Ministero della Cultura Popolare, gli organi di informazione venivano opportunamente invitati a definire l’opera  come “... una geniale anticipazione della nostra potenza creatrice, degna dei figli dell’antica Roma !”.

   Mussolini era assente, ufficialmente sia perché molto occupato in quanto il 3 ottobre aveva dato il via  alla conquista dell’impero invadendo l’Etiopia  ed anche per cercare di difendersi dalle ventilate  “inique sanzioni”, decretate poi ufficialmente il 18 novembre dalla Società delle Nazioni, per l’aggressione. A voce, si mormorava che non gradiva apparire col re.

Il casello

   Il giorno dopo, aperta al traffico normale, la camionale costava come pedaggio anticipato, dalle 4 lire per le vetture, sino a 35 per i grossi veicoli con rimorchio. Tassa che certamente non permetteva coprire le ingenti spese fatte, ma potevano servire per la manutenzione.

Nel dopoguerra fu allargato a più riprese erodendo i fianchi della collina e proteggendo con muraglioni (rifatti) la faciltà di sfaldamento (è la stessa roccia del cimiero sovrastante, che continua a slittare).

 

anno 1977

 

   Conclusione dei lavori. Solo con il prolungamento sino a Milano e contemporaneo raddoppio della carreggiata, conclusi nel 1966, si chiamò “autostrada”. Fu data in gestione alla AA.SS (Azienda Autonoma Statale della Strada;  che poi diverrà ANAS) sino al 1962. Poi fu data in concessione alla Società Autostrade, con contratto fino all’anno  2018.  Oggi, è chiamata “A 7”.

Per il raddoppio  si dovette aspettare sino al 1962: iniziarono da Serravalle verso Milano; e tre anni dopo verso Genova, collegandola con la sopraelevata (1965) e la A10 tramite il ponte Morandi sul Polcevera (nato nel 1967).

 

arrivo a San Pier d’Arena anni 1990

 

   Per allacciarsi all’autostrada dei Fiori, caratteristico fu costruito il  viadotto sul Polcevera, iniziato il 1 lug.1961 ed inaugurato il 4 sett.1967 alla presenza del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.  Progettato come opera semplice ma stilisticamente e strutturalmente perfetta, tenendo conto dei forti venti e della difficile posizione orografica, dell’impatto ambientale, della ferrovia sottostante, dsu progetto dell’ing. arch. Riccardo Morandi, romano, autore in tutto il mondo di grosse realizzazioni ingegneristiche;  ha in Europa il primato nelle realizzazioni in cemento precompresso (secondo al mondo, dopo il ponte sulla laguna di Maracaibo in Venezuela, progettato dallo stesso ingegnere).  

 

1964                                                      inverno – dal Campasso

 

  

                                                                      1975

                             

 

Alto sino a 45 m. dal terreno sottostante (mentre i pilastri si ergono sino a 90 m.); lungo 1102m; largo 18m.,  a 4 carreggiate; ha tre campate diverse: di 207,88m (la più grande d’Europa), 202,5m, 142,65m.. Nel 1980 furono corrette le prime imperfezioni messe in rilievo dall’architetto progettatore stesso, e  fu riverniciato con apposite sostanze atte a proteggere la struttura dai vari insulti; tutto il ponte, compresi i tre enormi doppi tiranti in cemento detti tralli, corrosi dal salino e dall’usura, sono stati negli anni ‘93-7 soggetti a delicato lavoro di ripristino strutturale, coordinato dall’ing. Pisani.

Nel 2003 sono in piena bagarre innumerevoli flash personalizzati: la Soprintendenza presume ci siano i presupposti per dichiarare il ponte manumento nazionale; la Sociatà Autostrade ha classificato il ponte elemento il più pericoloso del paese (il cemento usato, che allora era dato per ‘eterno’, ha dimodstrato non reggere il peso del traffico moderno, con ‘malattie’ che lo rendono in perenne manutenzione; i pompieri giudicano assurdo non aver previsto la corsia di emergenza; il Comune pensa al sottostante territorio da sgomberare per innalzarne un altro cento metri più a nord; si inizia anche a parlare ufficialmente di “gronda”  che non interessa direttamente il ponte ma ne coinvolge la circolazione complicando gli interventi: l’Unione europea bacchetta per i soldi; la soc. Autostrade dovrà rifare le gare; rogne per tutti gli svincoli e snodi necessari; Mignanego rifiuta un viadotto; la nuova bretella autostradale da Voltri a s.Benigno, prevede (non più passare sotto il torrente)  la eliminazione dell’attuale viadotto a favore di un nuovo ponte, largo 43m., a sei corsie (più altre due per emergenze), posto da 50 a 150m più a nord dell’attuale,  demolizione di –da 2 a 5- palazzi, con la A10 divenuta tangenziale urbana; sulle ceneri del ponte e di altri 4 palazzi (in totale 6-8 case, per oltre 220 alloggi, con trasferimento in zona ‘vantaggiosa’ come valore di mercato), nascerebbero giardini e campi di pallone.

   Dal 2004 in poi diventa impossibile seguire i progetti, i controprogetti, le dichiarazione e le controdichiarazioni. Resta accertato che nel 2008 è ancora tutto come prima.

   Dopo attraversato il ponte procedendo verso levante, alla fine, e cento metri prima di immettersi nella Mi-Ge, c’è una curva a largo raggio ma pur sempre difficoltosa; allo scopo hanno posto un limite di velcità a 40 km/h.

Dalla stupidità di chi affronta questa curva (segnalata!) a cento all’ora, parallela stupidità di chi la pone a 40 che, se potrà essere giusta per i tir che andranno verso Busalla (curva più stretta), non lo è per le auto. È ovvio che chi segue questa assurda indicazione, si becca gli improperi di chi viene dietro: ligio, ma insultato; oppure giusto, ma multato.

 

 

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