BRUNO                                                via Giordano Bruno

 

 

   Attualmente non più a Sampierdarena,  ma solo in Albaro.

   È la titolazione che fu data a via del Campasso.

  La strada, come percorso, è ultra secolare e sicuramente antecedente alla erezione della abbazia di san Martino quando serviva da collegamento con la abbazia della Certosa:  si cercava di attraversare la zona –troppo spesso acquitrinosa e stagnante- con un percorso non troppo vicino all’argine - bizzarro nelle sue esondazioni - e non troppo in alto cioè in costa o anche mezza costa. L’erezione del parco ferroviario del Campasso la ‘marcò’ definitivamente, separando la zona abitata dall’ampia sponda del torrente.

   Il nominativo del filosofo, sull’onda governativa di rivalutazione dei valori nazionali a svantaggio di quelli locali, fu dato nel 1906, sostituendo il precedente nome di ‘strada del Campasso’ (così chiamata dal consiglio comunale di San Pier d’Arena in delibera del 17 giu.1867; andava dal locale sottopasso ferroviario a oltre il mattatoio fino all’incontro con salita Pietra). Erano invece“via Nuova del Campasso” (il tratto tra via UmbertoI ed il sottovia ferroviario); e “via Vecchia del Campasso” il tratto poi divenuto via Vicenza (tra il sottopasso e “l’osteria del Gay”) .

   Allora aveva già civici sino al 34 e 55 (numerazione poi cambiata, e quindi non corrispondente all’attuale).

     Nel 1910 nella parte terminale della via vennero eretti gli attuali civv. 35 e 37; in questa epoca il tratto di strada dopo i macelli (allora si chiamava ‘nuovo mattatoio pubblico’) vedeva a ponente il muro del parco ferroviario (parco vagoni del Campasso) – come oggi -; ed a destra un libero terreno a prato -già di proprietà Casanova e Scorza- lungo 1-200 metri (separato da un fossato proveniente dal colle di Belvedere  che proseguiva sotto il parco ferroviario) dalla proprietà Ricca (vedi via Campasso)): nel gennaio di quell’anno il nuovo proprietario Cazzullo Domenico fece domanda per la costruzione, nell’estremo a nord del terreno, di un caseggiato ad uso  abitazioni civili.

(i segno dopo il nome indica la presenza dell’esercizio nel Pagano di quell’anno: 1912; 1919; 1920;1921; 1925; 1933)

 

Così, nel Pagano/1912 compaiono: al civ. 2 la levatrice Gualla Carolina, presente nel 1921, non più nel 1925); civ.16 la trattoria della Gina ancora presente nel 1933; tel.57-21, era il ristorante della famosa ‘Gina del Campasso’);  e ben cinque forni per il pane: al 15r di Dari Maria – ancora nel 1925; allo stesso civico 28r due diversi: Petrazzi Giuseppe, ancora nel 25, ed Ubertini Stefano (non più nel 1919);  al 36r di Parodi Giulia, ancora nel ‘25; al 50r di Rivara Giuseppe  (non più nel 21)).

 

Due fatture, una datata 7 genn1914 ed una 28 marzo1923 dimostrano l’esistenza al civico 93-96 della «fabbrica turaccioli» poi «stabilimento industriale per la lavorazione del sughero Rossi Francesco e figlio».

                                                                                     

    Il Pagano/19.20.21 ricordano tre trattorie affiancate: al 16 la Gina;---al civ. 28 la Venzano  ed al civ. 30 quella  del Lillo

   Nel 1921, una delibera del comune, mirata ad aumentare le tasse ad alcuni esercizi pubblici , nella via elenca solo la ditta Lagorara e C. (la stessa di trasporti localizzata in via C.Battisti, e qui con un ‘dock emporio merci nel locale Ammazzatoio’).

    Nel Pagano/25 all’8r Calvi Cesare era interessato ad imprecisati articoli tecnici;--- al 16 la trattoria della Gina--- 16n la ditta Roletto Luigi ancora nel ’33, laboratorio modellisti con lavorazione meccanica del legno;--- al 24 l’officina di Micchi Mario ancora nel 33, con fonderia in bronzo;---  al 24r l’officina meccanica di Campanini Adriano, anche nel 33;--- 28 un forno per la produzione di pane, dei soci Bottaro Giuseppe-Cadenasso Mario (al 28r vedi 1912);--- al 95r Finocchi Bruno, ancora nel 33, ha una fabbrica di lisciva;--- 121r Cinti Antonio era uno dei nove fabbricanti casse di legno.

Senza civico la trattoria di Marchese Caterina

                                                         

    Nel 1927 compaiono in un elenco comunale, una via omonima  di 2ª categoria in Centro, di 4ª a S.P.d’Arena ed una piazza a Sestri.

   Nel 1933 era classificata di 4ª categoria; vi si aprivano la fabbrica di legname (casse) di Cinti Antonio; al 20n l’impresa trasporti Marchese Luigi;

   Il 19 ago.1935, per delibera del podestà,  fu deciso di ripristinare l’antico nome, semplificandolo a ‘via del Campasso’.

   Di famoso c’erano la trattoria della Gina, e tanti orti e stagni che ne caratterizzavano il nome.

 

DEDICATA al frate domenicano (monaci il cui nome proviene dal latino ‘Domini canes’ = i cani del Signore), teologo e filosofo.  Nato nel 1548 a Nola,

   aveva soggiornato da giovane in Liguria; e già frate, a Genova in fuga dall’Inquisizione, ospite nel convento di Santa Maria di Castello (1576).

In questa occasione, fu presente alla rappresentazione sacra andata perduta, del ‘bascio de-a coa’ ovvero ‘il bacio della coda’: allora, i genovesi veneravano una reliquia della coda dell’asino che portò Gesù da monte Oliveto a Gerusalemme; ed il bacio faceva parte di una sacra rappresentazione nella domenica delle Palme, ricostruendo l’entrata di Gesù in Gerusalemme (nel mondo antico l’asino era simbolo di saggezza, conoscenza e fedeltà: in molte raffigurazioni sacre, l’asino è presente accanto alle figure sacre quale prova di fede). In una scena della commedia scritta dal Bruno “il Candelaio”, fa giurare un personaggio ‘sulla benedetta coda dell’asino che adoravano i genovesi’

Divenuto sacerdote, fu incaricato delle letture di teologia: nell’esposizione critica di esse, espresse più volte opinioni che furono sospettate di eresia; allorché sorsero più profondi dubbi sulle sue posizioni eterodosse, gli fu intentato nel 1576 un processo. Per sottrarsi al giudizio, preferì deporre l’abito talare e lasciare l’ordine, nonché fuggire da Roma per recarsi a Ginevra (passando e brevemente soggiornando anche a Savona).

   Iniziò un lungo giro europeo, pervaso da una inquietudine sia speculativa che freligiosa, che lo vide ospite a Parigi, Oxford  e Londra (nel biennio 1584-5, ed ove scrisse le celebri “La cena delle ceneri” ed il “Degli eroici furori”), Praga, Francoforte, Zurigo, nelle cui università tenne lezioni di religione e morale, le cui tesi si avvicinavano alle teorie calviniste. Dai suoi scritti, oltre trenta pubblicazioni, lo possiamo includere tra i filosofi più illuminati e premonitore di strabilianti e rivoluzionarie intuizioni  (come Galilei, anche matematico ed astronomo).       

   Imprudentemente rientrato in Italia, a Venezia fu denunciato al santo Uffizio dal nobile Giovanni Mocenigo allora doge di Venezia (e che lo aveva invitato): nel 1592 fu arrestato dall’Inquisizione della Serenissima e trasferito a Roma. Qui fu giudicato dallo stesso Sant’Uffizio per eresia. Dopo un processo durato più di otto anni,  essendo papa Clemente VIII, fu condannato a morte da parte dell’Inquisizione (riunita in un palazzo di piazza Navona. Oggi rappresentano i fanatici, ovvero coloro che vogliono imporre agli altri il loro credo quale fosse l’unica verità, sia religiosa, politica o comunque di vita) essendosi rifiutato di abiurare la proprie teorie che volevano l’autonomia delle riflessioni filosofiche: in particolare la risposta all’inquisitore “non sono tenuto ad abiurare, né lo farò. Non ho nulla da abiurare, e non so cosa dovrei abiurare”.

   In realtà sapeva benissimo di aver affermato cose oggi ovvie ma allora ritenute eretiche: l’infinità del cosmo (se Dio è infinito, anche ciò che ha creato è tale; l’infinità dell’universo è uno dei caratteri di Dio: un modo di intendere panteistico Dio-mondo che però si scontrava con la dottrina della Chiesa); la terra gira attorno al sole (Copernico); nel cosmo esistono altre terre su cui vivono creature di Dio.

   Pare che in un guizzo di amor proprio, tirandosi in piedi da ginocchioni come aveva dovuto ascoltare la sentenza, esclamò: “forse avete più paura voi nell’infliggermi questa sentenza che io nell’accoglierla"

  All’alba di sabato 19 (altri scrivono il 17) febbraio 1600,  dal carcere di Tor di Nona (la “prigione del papa” da dove si usciva solo per andare a morire: forca, decapitazione, rogo)  fu portato a Campo dei Fiori in Roma su una carretta (circondato da confratelli incappucciati della Misericordia, tesi e salmodianti nella speranza che all’ultimo si pentisse anche se –per evitare che dicesse ad alta voce la sua innocenza, o comunicasse con la folla- era stato  bloccato in bocca dalla ‘mordacchia’,  un morso di ferro che, con un lungo chiodo trasversale, trafiggeva la lingua e gli si conficcava nel palato)  per esservi bruciato vivo essendo stato sentenziato che, ad maiorem gloriam Dei ‘doveva essere punito con la massima clemenza possibile ma senza spargimento di sangue‘.

    Aveva scritto varie altre opere in latino ed in volgare per spiegare le sue idee. Il tempo e l’evoluzione filosofica più tardi gli diedero ragione. Oggi, la libertà di pensiero è una conquista che appare ovvia, e - dai più superficiali -  scontata. Ma non occorre risalire a quattro secoli fa, quando ancor oggi in buona parte della terra, inibire la libertà individuale fa parte di un bagaglio culturale politico e religioso non rimosso: infatti molti ancor oggi sono soggetti a persecuzione o tortura, ed assassinati perché propugnano e difendono le proprie idee contrarie al regime in cui vivono.

   Seppur alcune riflessioni permangono di matrice anticristiana, e quindi ancor oggi condannabili dalla dottrina, il suo torto più grave fu di aver portato il concetto della libertà di pensiero in anticipo per i tempi, e quindi non comprensibile, anzi facilmente travisato come fu per il contemporaneo Galileo Galilei che però, meno superbo e più adattabile, riuscì ad evitare la morte.    Era un secolo in cui si apriva la cultura, e con essa fiorivano tante idee individuali delle quali molte anche  francamente eretiche (per esempio quelle di Giovanni Keplero e di Calvino); e non era come oggi – tutto discutibile e più o meno condivisibile - quando sul piano pratico questi contrasti filosofici erano capaci di mobilitare eserciti internazionali e provocare guerre pro Vaticano e contro, dove la fede era solo una scusa per giustificare  meri interessi di parte dei potenti.

  Lo storico, che dvrebbe non essere di parte, ma narrare i fatti; alla fine può tirare delle conclusioni non però come studioso ma come uomo pensante; io chiamerei fanatici sia quelli che lo uccisero (leggiamoci le “inventioni” di Paolo Pallavicino per capire come – a quei tempi - non era la religione ad essere disumana, ma l’uomo e la sua cultura, non solo a Roma ma ovunque: per andare alla morte – a Genova già larga di idee - bastava essere sodomiti o aver dichiarato il falso), e sia quelli che in veste più o meno esplicita di laici anticlericali, lo sublimano.

   Nel febbraio 2000, nell’ambito di celebrazioni bruniane aperte in tutto il mondo, la posizione della chiesa precisa non ritenere necessario parlare di perdono né riabilitazione, ma di dover usare la vicenda del frate per rafforzare la lotta contro qualsiasi tipo di violenza e coercizione  (soprattutto la condanna a morte)  perché contrari alla verità evangelica.     Permane integro il messaggio che ha lasciato al mondo: difendere, ad ogni costo, la libertà di pensiero e di critica. Alcuni strumentalizzando la sua filosofia basata sull’uso della ragione, aggiungono anche libertà e diritti di tutte le ideologie diverse: qui si accendono le attuali tesi a favore e contro, tutte in nome del filosofo che sicuramente non allargava così tanto il suo pensiero.

    Una statua troneggia in Campo de’ Fiori a Roma, eretta nel 1889 per volontà dei massoni, in aperta sfida alla Chiesa e nel momento della scelta politica futura: non la conquista del potere ma del controllo sul potere. Nell’anno 2000, lo Stato italiano ha emesso un francobollo a commemorazione.

 

BIBLIOGRAFIA

-Archivio Storico Comunale

-Archivio Storico Comunale Toponomastica, scheda 597

-DeLandolina GC- Sampierdarena-  Rinascenza .1922-pag.33

-Festa C.-Guida del porto di Genova-Luzzatti.1922-pag. 152

-Giardelli P.-Le tradizioni popolari dei Liguri-Sagep.1991-pag.161

-Il Giornale-quotidiano di giovedi 17 febbraio 2000-pag.34

-Il Secolo XIX del 17/2/2000. pag. 28

-Novella P.-Strade di Genova-manoscritto bibl.Berio.1900-30-pag.17

-Pastorino&Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.1985-p.236

-Pescio A.-I nomi delle strade di Genova-Forni.1986-pag.161

-Reston J.-Galileo-Piemme.2001-pag89

-Tuvo T.-SPd’Arena come eravamo-Mondani.1983-pag.67foto