BIXIO                                                via Nino Bixio

 

 

Questa strada non è più a Sampierdarena, facendo ora parte di quelle di Portoria.

Come tracciato, già esisteva da secoli perché corrisponde all’ultimo tratto - verso monte - dell’antica “crosa dei Buoi“. Questa ultima, dalla marina finiva - costeggiando a levante la proprietà della villa patrizia dei Centurione  - in via Mercato (oggi piazza Montano-via C.Rolando). Come oggi, era già allora una strada di alta frequentazione: di carri, carrozze, biciclette, e pedoni, oggi auto, pedoni e bus.

Nacque quando nel 1850 la linea ferroviaria tagliò in due la ‘Crosa dei buoi’, senza però farle cambiare nome per altro mezzo secolo. Quando fu imposto da Torino dare dei nomi alle strade. La titolazione a Bizio fu quindi subito proposta, ma per una strada - ancora anonima - posta tra via Galata (via P.Chiesa) e via DeMarini lungo gli stabilimenti Firpo e Savio: non fu accettata appunto perché periferica e di non alta categoria); pertanto nei primi mesi dell’anno 1900 la Giunta comunale decise dare il nome dell’eroe alla metà a monte della antica Crosa dei Buoi (dal ponte ferroviario a via Mercato), in una collocazione centrale e d’onore.

Cosicché già nel 1901 l’impresa Barabino-Calvi-Rebora poté apporre la targa in marmo a quel tratto di strada:  dalla via Vittorio Emanuele (la quale al suo nascere, andava dalla Lanterna a Rivarolo; nel 1901 – con la morte del re Umberto I- il percorso dal voltino ferroviario a Rivarolo divenne titolata al re assassinato)  a  via Mercato.

Quindi via N.Bixio aveva a ponente i giardini della villa ed a levante una serie di case e casupole riccamente abitate e con tanti piccoli negozi che determinavano un ambiente di grande vivacità.

   Il Pagano/1902 vi segnala (e sono ripetuti nei Pagano successivi contradistinti con i segni:=1908;  1912; 1925; 1933): al civ. 9 il negozio di commestibili e di ‘panattiere’, di Battilana Davide-presente dal 1912 al 1933 (nel ’25 è chiamato fornaio Dattilana Davide, e - vendendo pane di pasta dura - era chiamato “pan a muretti”);---- sempre al civ. 9 Grosso Brunone - gestiva un ristorante in “via Nino Bixio, in fondo salita Stazione”;---- civ. 9 osteria di Raffo Francesco (succ.);---- 9-10 Guano Antonio armaiuolo (nel 1912 successori; nel ’33 sono al civ. 19, come “Ditta Guano Antonio, Romolo Parodi”);---- al 12 la fabbrica di carri di Cesarani Paolo- ancora nel 1925;----14 impresa trasporti di Carpaneto Giuseppe con attività esistente ancora nel 1933.---

   Nel 1908 il Pagano segnala esserci stati  con civ. non precisato: il sarto Bozzano Michele- ancora nel 1925 (per uomini; ricordato perché esercitando al primo piano, lasciava ...  il portone aperto!

 

     

                                                                          fila di case ove ora sono i portici

               

Cambiati alcuni nomi stradali, nel 1910 si collegava presso la ferrovia con via Umberto I e a monte con via N.Daste; ed aveva civici fino al 4 e 9. Dev’essere di questi tempi (ma non citata dal Pagano) la presenza della trattoria ‘Gaia’, famosa per i menù casalinghi e locali.

Banfo, del Gazzettino Sampierdarenese ricordadi questi anni e non citati dal Pagano un “caffé del capitano” con sul retro giochi da bocce coperti da un rampicante; e l’oreficeria Zunino vicino all’archivolto che dava accesso al grande piazzale sede di deposito di carri e stalle di cavalli; un marinaio venditore di stoffe che reclamizzava ‘autentiche inglesi’ per cui veniva soprannominato “o very nice”; la confetteria Odino che serviva frappé; Puppo detto “o Grixio” che vendeva olio e sapone; un fotografo (di quelli col treppiede e la macchina a soffietto). Sul lalo dei giardini invece subito dopo la torretta, un negozio di abbigliamento,  un parrucchiere per uomini, e poi Salvemini.

      Nel Pagano 1912 (oltre a quelli segnati negli anni precedenti c’è in più): non precisato dove era il civ.12, la fabbrica carrozze dei fratelli Cesarani – presenti ancora nel 1933).

 

     

                                              foto Pasteris , aprile 1936                        sfilata Croce d’Oro anni ‘50;

                                                                                                                strada con palazzi con portici

 

    Nel Pagano/25 (si aggiungono): al civ.1-6 uno dei primi uffici di consulenza tributaria, gestito dal cav. Pastoris Federico;--- civ.4 (ingresso della villa Centurione-Carpaneto, abitava l’ing.comm. Eugenio Broccardi, deputato al Parlamento Nazionale, sindaco di Genova, tel.41086;--- civ.9r la bottiglieria di Azilli Maria;---  civ. 10r il forno di Battilana Davide (che ne ha un altro in via C.Colombo al 249r);---  civ. 14 una trattoria, di Carpaneto Giuseppe;--- 23r Scorza GB si interessa di frutta secca ed agrumi;--- civ NP fabbr.oreficeria Salvemini Raffaele (con vetrina piena di orologi da taschino, con la catena d’oro da portare sul gilet facendo passare la catena nell’asola più alta come se si trattasse di un festone. Aveva anche un orologio grosso, infisso nel muro, da insegna e punto di riferimento per tutti i passanti);--- il sarto Longo Giovanni

   Nel 1927 compare nell’elenco comunale delle strade della Grande Genova, è di 3° categoria (ne esistevano una anche in ‘centro’ e una ‘passeggiata’ a Sestri).

   Nel 1933 era ancora in Sampierdarena, di 3.a categoria,   e collegava in senso unico viario da mare a monte, dal sottopasso ferroviario (a fianco di piazza Cavallotti (ora Settembrini)) fino a via N.Daste: scorrendo al lato est dell’attuale piazza Montano. Era sempre affiancata  da una fila di casupole popolari poi sostituite con i palazzi attuali con i portici; con numerosi negozi di commercianti (idem 1912): al 2r una merceria di Mordaci Mario; le caffetterie (del Capitano, con gioco bocce nel retro; e  la  Odino); al 14 l’impresa trasporti Carpaneto Giuseppe; al 27r orefice Gasparino Domenico (altri scrive Zunino). Non precisato il civico, l’albergo ‘Buon Pensiero’; una pollivendola; un idraulico con forniture per il gas ed elettricità (Dentella Vittorio); ed altri che rendevano la strada un luogo dove vivere e non solo transitarci).    

   Fravega sul Secolo XIX, nella riubrica ‘Amarcord’ propone altri ricordi di negozi in questa strada ma molto probabilmente sono posteriori alla data del cambio del nome (cita il panificio Battilana, ma aggiunge un bar Fogliati, la trattoria Masini -poi trasferito sotto i portici nel ristorante Torre del Mangia-, un negozio di uccelli, la ditta trasporti Piffaretti; e ricorda gli innumerevoli uccelletti che cinguettavano sugli alberi, sostituiti dai piccioni) .

   Alla fine della via, sul lato a levante e passando sotto un archivolto, si arrivava ad una area popolarmente chiamata Le Stalle (che corrispondeva al retro dei negozi su descritti) ospitante un grosso deposito  di carrozze e

 

le stalle                                                                   le case a destra sono il retro di via Nino Bixio

                  

abbattimento delle case con dietro i giardini Carpaneto

stalle per cavalli, del su citato Carpaneto Giuseppe; mentre a ponente esistevano ancora pochi resti dei giardini della villa Carpaneto (non è lo stesso di prima, ma solo un omonimo, forse parente), più vasti degli attuali, che terminavano al nobile negozio dei Salvemini, ed al di là dei quali correvano parallele via Milite Ignoto (ora via P.Reti) e la salita alla Stazione ferroviaria.

  Alla ennesima distruzione dei residui giardini, la strada, come già in programma dal 1926, fu inglobata il 19 agosto 1935 per delibera del podestà genovese, nella piazza N.Montano, e cancellata nella toponomastica per evitare doppioni con il centro.

 

DEDICATA allo straordinario generale garibaldino,   

   Ottavogenito del direttore orafo della Zecca (Quinto scrive che nacque a Chiavari, ma della cittadina rivierasca sono solo le origini della famiflia), nacque a Genova il 2 ottobre 1821 (l’anno del tentativo di Santorre Santarosa), da Bixio Tommaso e da Caffarelli Colomba – i quali si erano sposati giovanissimi il 17 aprile 1798: lui 22 e lei 15 anni -. La madre morì nel 1830, ed il padre si risposò; la Buono scrive che Nino rimase orfano di ambedue, in tenera età ma pare errato se ebbe quattro fratellastri: uno Alessandro; altro Giuseppe; una sorella Paolina; uno non conosciuto). Fu battezzato Gerolamo (Giêumo, in dialetto).

   Dovette così fin da piccolo avventurosamente affrontare le dure difficoltà della vita per sopravvivere, senza particolari affetti; e tante furono gli avvenimenti che per scrivere di lui e delle sue imprese, non basterebbe un libro.

   Di carattere impetuoso, turbolento e rissoso (un vero ‘battuso’), fu allontanato da scuola per aver reagito - a parer suo ad una ingiustizia subita - scagliando un calamaio contro il maestro. Piuttosto che cedere preferì imbarcarsi; ragazzino formatosi rapidamente uomo, impiegato come mozzo sul brigantino a vela ‘Oreste e Pilade’ comandato dal cap. Caffarena con carico di vino e che non lesinava punizioni corporali all’indisciplinato mozzo. Con altri imbarchi, arrivò in porti più lontani, anche in America; alcune volte fu addirittura fuggiasco, ma sempre  ripreso; crebbe così marinaio, viaggiando nel mondo fino all’età di quindici anni (1836).

   Ma quando dopo tanto girare tornò a Genova, i familiari gli negarono -per volere del padre severissimo e della matrigna - qualsiasi affetto, limitandosi a sfamarlo senza accoglierlo: bussando a casa, dalla porta ne uscì del cibo, ma  richiudendosi subito lasciandolo a dormire fuori. Non ravvedendo un sostanziale cambiamento, all’ennesimo scontro da angiporto, il padre decise accordarsi con la polizia: a sedici anni fu arrestato al fine di imbarcarlo nella marina militare, sperando nella sua severità (ed al posto del fratello Giuseppe che aveva preso i voti religiosi come gesuita; così veniva arruolato... per forza, come volontario di quarta classe). Salì sulla corvetta militare ‘Aquila’ della regia marina sarda, comandata dal capitano Millelire. Egli riuscì a capire il ragazzo ed entrò in sintonia con lui, offrendogli adeguata responsabilità e lentamente capovolgendo quel carattere ribelle ed ostile ad ogni forma di obbedienza. Servì così la regia marina per cinque anni, dimostrando uno spiccato istinto per il mare; riuscì a studiare fino a divenire allievo pilota (altri scrive, ufficiale di marina -ma mi sembra troppo).

   Dimesso dalla marina militare, dopo essere stato imbarcato per  Sumatra su nave americana (dove, disertore e fuggiasco, fu catturato dagli indigeni e rivenduto al capitano) lo sappiamo sbarcato a New York nel 1845 (come scrivano, a bordo dell’Indomito, brigantino comandato dal cap.Ginocchio. Quando a Rio de Janeiro la nave fu venduta ad armatori inglesi, essi proposero all’equipaggio di rimanere in servizio; ma quando si seppe che lo scafo sarebbe stato adibito a trasporto di schiavi, tutti i liguri preferirono sdegnosamente lo sbarco). Tornato in Francia (ospite di un fratello) vi conobbe Mazzini. Rientrato a Genova  formò in amicizia con Mosto, Mameli, Campanella ed altri che evidentemente riuscirono a coinvolgerlo nei loro ideali, e già con vaghi impegni politici.

   Del 1847, si raccontano di quell’anno vari aneddoti di carattere politico esendo già iscritto alla Giovine Italia: fu segnalato perché scoperto a spezzare le gomene che mandò alla deriva il bastimento che ospitava il capo della polizia borbonica;  il 4 nov. dello stesso anno fermò re Carlo Alberto - a cavallo in piazza dell’Annunziata - per esclamargli:”Sire, passate il Ticino, e saremo tutti con voi!”, chiedendo anche che applicasse la costituzione (il gesto non piacque al re, che impallidito rimase muto; non tutti sono d’accordo sulla veridicità del fatto); arrampicatosi sulla facciata del Duomo, appese un vessillo con la scritta “a Dio, per la vittoria del popolo”.

   Nel gennaio del 1848 assieme agli altri gridò pubblicamente l’avversione verso i Gesuiti (rei di favorire il conservatorismo politico ed ostacolare il processo di combattere l’Austria) fomentando un movimento che li costrinse a momentaneamente abbandonare  le sedi di s.Ambrogio e Tursi (che furono saccheggiate).

   Divenne definitivamente temerario guerriero quando conobbe Garibaldi, di cui fu intrepido subalterno e amico, avvertendo in lui gli stessi ideali ed impeti, e riconoscendogli il carisma del capo. Sempre si distinse per l’eroismo, il carattere  energico, rude e deciso, la fedeltà, le capacità:  conquistando sul campo i gradi sino a generale di divisione (a Palermo dopo essersi tolto con le dita una palla di fucile che l’aveva colpito al petto, ad un attendente che gli riferiva che il comandante Elia era stato ferito in bocca  rispose ‘ebbene, la sputi!’).  Fu  presente, volontario, a tutti gli avvenimenti bellici che portarono l’Italia a divenire una ed unita: dalle 5 giornate di Milano (19-23 marzo 1848),  alla prima guerra di Indipendenza dello stesso anno; battaglie di Santa Lucia, Goito, Governolo, Vicenza-Treviso, fino a Custoza – e l’armistizio di Salasco. Ai moti genovesi arrivò tardi per potervi partecipare (10 aprile 1849 repressi dai bersaglieri del gen Lamarmora: era lontano e si diede da fare per accorrere appena saputo); ma alla difesa di Roma con Mameli e Manara (30 aprile 1849, ove venne promosso sul campo tenente per merito di guerra e dove il 3 giugno) fu gravemente ferito dai francesi all’inguine.

Badinelli scrive che “sul campo di Mentana, fu fatto prigioniero catturato da un battaglione transalpino, ma riuscì a fuggire e ricevette dal re Vittorio Emanuele II una medaglia d’oro al valor militare”. Ma la battaglia di Mentana è del 1867.

   Tornato a Genova, nel 1850 conseguì il diploma di capitano di lungo corso e si riavviò sul mare: nel 1852 era nelle rade americane di Buenos Ayres, Montevideo e Valparaiso sulla nave “il Ligure” (altri dice ‘il Popolano’ del capitano Pessarello. Qui, altro episodio lo descrive abbandonare clamorosamente la tavola di ospiti perché la padrona aveva schiaffeggiato un servo di colore per un errore da lui commesso).

   Di nuovo in Italia, a Livorno, il 12 gennaio 1855 si sposò con Adelaide Parodi (era sua nipote, in quanto figlia della sorella Paolina; con la quale avrà quattro figli Giuseppina, Riccarda, Garibaldi e Camillo). Altro aneddoto: al termine della cerimonia, passò qualche ora in prigione reo di aver parlato male del Granduca di Toscana.  In quest’anno, da sempre desideroso di un suo bastimento, fece impostare a Sestri da una s.p.a in cui aveva azioni anche il fratello Alessandro uno ship da 500 t. Per sei anni quindi, sarà ancora sul mare, al comando di un suo bastimento battezzato ‘Goffredo Mameli’. Con esso arrivò in estate in Australia divenendo il primo capitano italiano ad attraccare a Melbourne; da lì in oriente, a Sumatra e Giava fino ai possedimenti olandesi; dalle Filippine tornò carico in Inghiliterra e -pieno di carbone- riapprodò a Genova a natale del 1857.                                   il Goffredo Mameli

L’anno dopo  salvò -grazie al suo energico intervento- tutti i passeggeri della goletta “Pio IX”, che si era arenata e distrutta al Banco Chico, della Plata.

    Tornato nel 1859, fece impostare in cantiere uno ship battezzato ‘Marco Polo’; ma quando lo scafo era già varato e solo da rifinire, preferì mettersi di nuovo al servizio di Garibaldi (abbandonata la ideologia Mazziniana, si avvicinò al movimento della destra storica influenzata dal Cavour. Ma alla politica preferì l’azione: fondò con Garibaldi il corpo paramilitare dei Cacciatori delle Alpi, al cui comando –da protagonisti in Valtellina- fu posto in occasione della seconda guerra di Indipendenza: gli vennero conferiti i gradi di maggiore, comandante del 2° battaglione del 2° reggimento guidato dal colonnello Medici. Il trattato di Villafranca interruppe il proposito di sconfinare in Austria per tagliare la ritirata al nemico). Al termine della battaglia di Varese, gli fu conferita una ennesima medaglia, la “Croce Militare dei Savoia”.

   A questo punto, il nome di Bixio era già una leggenda; fu promosso tenente colonnello. Dopo la breve e sfortunata parentesi del governo provvisorio emiliano,    fu di nuovo a Genova.

   Nel 1860 con la nomina di vice comandante, si adoperò per organizzare   la spedizione dei Mille (lui personalmente ebbe l’incarico di ‘catturare piratescamente’ i due piroscafi necessari Lombardo e Piemonte; in navigazione comandò il primo di essi (un episodio riferisce che sulla nave, i soldati volontari erano alimentati con pane e formaggio; uno di essi di nome Plona aveva protestato perché agli ufficiali veniva dato anche del riso. Bixio dapprima offrì il suo piatto, ma allo sdegnoso rifiuto ‘non voglio i vostri avanzi’ glielo scagliò in faccia. Il Plona, diverrà poi maggiore nel regio esercito, e rimarrà in buoni rapporti col Nostro.  Altro episodio riguarderebbe le famose ‘camicie rosse’: pare fossero una ordinazione di camiciotti per macellai, e da lui conservata come bottino dalla guerra in Uruguay nel 1843. Infine, poiché il vapore arrivo primo a Marsala, sommato il sua carismo sulla truppa ed eroismo, a lui fu attribuito il titolo di “primo dei Mille”

È risaputo che la campagna militare non fu senza note dolenti da ambo i lati: ci furono gravi  violenze – descritte anche dall’Abba - ma poi taciute opportunamente: omicidi di giovani seminaristi; gente sgozzata sulle vie; case incendiate con gli abitanti dentro; a Bronte (Catania) la tensione prese la mano a Bixio stesso quando ordinò la repressione di una rivolta di contadini locali (numerose sono le spiegazioni di questo ordine che sedò nel sangue la ribellione di impari d’armi;  a posteriori si è cercato spiegazione di questo delitto: la più valida appare la differenza in numero con il timore che la rivolta prendesse sopravvento e sconvolgesse il precario equilibrio della vittoria e per dare un esempio nel momento che Garibaldi si era promosso dittatore proprio col fine che non sfuggisse di mano l’ordine di un governo regolare. Comunque sono conosciuti altri reciproci atti abominevoli compiuti dai due eserciti contendenti ‘da cavarsi gli occhi per l’orrore’; e – da questa parte - costrinsero il Bixio a scrivere ad un sindaco recriminando l’orrido uso del delitto (uccidere, incendiare, rubare) per offrire poi ‘la Sicilia in libertà’.

   A Calatafimi decise la vittoria (quando Garibaldi esclamò a Nino -pare in dialetto genovese-“qui si fa l’Italia o si muore!”); a Palermo – dove fu ferito da una schioppettata al dorso che però non arrestò il suo attacco a porta Termini - venne nominato colonnello comandante di brigata.

   Occupò Catanzaro e Cosenza; a Maddaloni (nella battaglia del Volturno, 1 ottobre 1860) fermò i reparti borbonici considerati tra i  migliori d’Europa - decidendo le sorti dell’intera campagna (ma fratturandosi una gamba); a Volturno si fratturò di nuovo una gamba cadendo col cavallo colpito. Approfittò della convalescenza per organizzare il plebiscito che sancì l’annessione dell’Italia centro-meridionale (Lazio escluso) al regno di Sardegna.

   Rientrato a Genova, venne eletto nelle elezioni generali del 1861, nel secondo Collegio genovese, deputato nelle fila di destra al primo Parlamento italiano; da quei scranni poté esprimere il suo rude furore per tutto ciò che non gli quadrava, al punto da essere soprannominato l’’antropofago’; ricordata, per gli applausi ricevuti, la diatriba sullo scioglimento delle truppe garibaldine; tanto che ne ottenne la reammissione nell’esercito regolare, ed a lui il comando di una divisione col grado di tenente generale.  Era stimato anche per la competenza in tuitte le questioni di carattere militare e marittima.

   Nel 1866 toccò la terza guerra di Indipendenza; seppur distinguendosi da essere proposto come Capo di Stato Maggiore, subì l’infelice battaglia di Custoza (24 giugno; quando però alla fine l’Austria dovette cedere il Veneto).

   Ora che “l’Italia era fatta”, divenne un personaggio militarmente scomodo; infatti nel 1870 si preferì cercare di renderlo sedentario nominandolo senatore (6 febb.); ma tant’è partecipò a scontri a fuoco a Civitavecchia (a capo dell’esercito sardo quale Comandante generale della 2° divisione) ed all’organizzazione della definitiva ‘Presa di Roma’ della quale neppure gli toccò  l’onore della conquista (20 sett) perché gli fu ordinato sciogliere la sua divisione e collocarsi a riposo (13giu.1871; lui cinquantenne).   

   Insignito di cariche sociali e di alti ordini cavallereschi e d’onore, coerente ai suoi ideali,  preferì dar corso all’amore per gli spazi liberi e la passione del mare, scegliendo ritornare a navigare, anziché fare il politico.  Allestì a Liverpool un bastimento (Quinto scrive che partì da New Castle), di 3000 t. da lui battezzato ” Maddaloni” (a ricordo della sua vittoria e del suo sangue versato per la patria-, di 3mila tonn., rivestito di ferro laminato e galvanizzato, misto vela e vapore (una novità assoluta per allora) e nel 1873 fece rotta verso Batavia alla ricerca del caucciù, molto necessario in Europa (da noi, anche alla neonata Pirelli).    Traversò Suez (aperto nel 1869), nel mar Rosso passò per Assab (base comprata dalla Compagnia di Navigazione Rubattino), e si avventurò nell’oceano Indiano.    A Sumatra, causa una ribellione del sultano Actim e dei suoi  indigeni contro gli olandesi, accettò usare la nave per trasportare truppe coloniali inviate a sedare la rivolta.

   Mentre eseguiva trasporto di merci per conto del governo olandese, fu il colera asiatico (febbre gialla), esploso a bordo in navigazione, che il 16 (altri dicono il 6, altri il 15) dic.1873 spezzò l’intrepida fibra che mille battaglie non avevano scalfito. La salma fu sepolta dall’equipaggio in una isoletta non lontano da Sumatra (qualcuno scrive isola di Atchin ma intesa come governata da Actin o Atchin, comunque nell’arcipelago di Pao-Jan (Sumatra)) ritenuta deserta. Ma la tomba fu profanata dagli indigeni, curiosi o  credendo trovarvi oggetti preziosi.

 30 settembre 1877 – solenne rientro delle spoglie

   Nel 1877 la nave da guerra Cristoforo Colombo al comando del cap. Napoleone  Canevaro ricuperò i resti (forse tramite l’intervento attivo degli olandesi) riponendoli in una cassa di ferro - o cassa d’acqua, in uso sui velieri, ora conservata all’Istituto Mazziniano - e li affidò al vapore Batavia per riportarli a Genova (Quinto scrive che le ossa furono cremate a Singapore ed a Genova arrivarono il 29 sett. le ceneri in una urna di vetro).

   Qui, furono inumati ed immortalati nel Pantheon di Staglieno (t.IV).

 

   Dolcino, ci riferisce una fonte che assicura Bixio affiliato alla massoneria genovese, risultando iscritto nella loggia Trionfo Ligure del Grande Oriente d’Italia. Nel Pantheon di Staglieno sulla lapide è scritto “Nino Bixio / 1821-1873 // il secondo dei Mille / soldato di tutte le guerre / marinaio di tutti i mari / sulla propa del “Lombardo” / sugli spalti di Roma / dalle Alpi alla Sicilia / campione sempre fierissimo / della sua razza // cantato dai poeti ma degno di un poema / dall’adolescenza di mozzo / alla morte incontrata negli oceani / per aprire all’ Italia / le vie dell’oriente”.

    I quasi tutti i centri liguri, esiste una via o una piazza dedicata a Gerolamo Bixio, detto Nino.

  Il monumento a Genova, posto nella via omonima, fu eseguito dallo scultore fiorentino  Pazzi nel 1890, fondendo alcuni cannoni.  Nell’ultimo conflitto mondiale la statua subì gravi danni (per fortuna, perché si dice fosse brutta) e dovette essere sostituita nel 1952 da un altro monumento opera di Guido Galletti.

 

 BIBLIOGRAFIA

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