BRUNO vico Nicolò Bruno
TARGHE: vico - Nicolò Bruno – già vico G.B.Perasso
da via SPd’Arena
particolare
da via Prasio
particolare
QUARTIERE ANTICO: Coscia
Non facilmente riscontrabile sulla carta vinzoniana
N° IMMATRICOLAZIONE: 2735
Dal Pagano/61
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 08420
UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA
Da Google Earth, 2007
CAP: 16149
PARROCCHIA: s.Maria della Cella (sul Pagano/61 era di NS delle Grazie)
STORIA:
Il primo nome a titolare la strada, fu vico F.D.Guerrazzi, probabilmente –come gli altri per primi- proprio nell’anno 1900.
Volendo poi onorare il Balilla, il Comune di San Pier d’Arena accettò lo scambio attribuendo il nome del Guerrazzi alla scalinata di via dei Landi e sostituendolo nella stradina con vico G.B.Perasso (ora a Sturla).
Ma nel 1926, si impose una nuova scelta, successiva all’unificazione e mirata a non avere nomi doppi a titolare le strade della ‘Grande Genova’. Si giudicò lasciare il Perasso a Sturla, ed titolare questo vicolo a Nicolò Bruno, spostandolo di dedica poiché sino allora era in via della Cella superiore, chiuso; e dove però ancora nel 1927 compariva, nell’elenco delle strade cittadine, di 5ª categoria.
Infatti, ufficialmente quest’ultimo passaggio fu ratificato solo con una delibera del podestà di Genova il 19 ago.1935; a scapito di Pontedecimo ove anche là gli era stata precedentemente dedicata una via.
Nel Pagano/40 è solo citata da via NBarabino a via Palazzo della Fortezza, con un solo civico nero 4/2 di una levatrice
STRUTTURA :
strada comunale pedonale, senza marciapiedi; collega via San Pier d’Arena con via A.Prasio, piegata a 90°, lunga 39,24 metri e larga 2,70.
Poco frequentata, è facile al deterioramento e precarietà; non ha bocchette di scarico dell’acqua piovana.
CIVICI
2007 = NERI = 1→ 5 e 4 (manca 2)
ROSSI = non ce ne sono
DEDICATA
all’ingegnere, architetto sampierdarenese, nato il 1 lug.1833 e morto sessantacinquenne per pleurite il 8 febb.1899 (Il Gazzettino precisa che si chiamò Niccolò). Figlio di Maddalena Casanova e di Giovanni (commerciante, che per 26 mila lire acquistò il 5 apr.1856, dal principe Giulio Centurione il terreno per l’erigendo teatro), fu fratello maggiore di Salvatore (anch’egli ingegnere, progettista del teatro Sociale di Camogli); e zio di Raffaele (progettista delle ristrutturazioni dello stesso teatro).
Studiò a Genova ma si laureò al Politecnico torinese nel 1855 appena ventiduenne, “con precocità significante”. Iniziò il lavoro come capo dell’ Ufficio Tecnico di Tortona, creandosi esperienza nell’edilizia ed opere pubbliche.
Realizzò molte opere pubbliche nella nostra città: il teatro Modena fu la sua prima opera in assoluto (del 1856 perché preparata come tesi di laurea: vedi a “piazza G.Modena” i dettagli in proposito); assieme ad Angelo Scaniglia, la facciata della chiesa della Cella, un progetto definito “nuovo piano di ornato” elaborato nel 1865-7. In Genova, sua è la progettazione per la ricostruzione del Politeama Genovese Nel 1868; i fratelli Giacomo e Giovanni Chiarella misero a disposizione un’area in salita dei Cappuccini a Genova, abbastanza vasta -che comprendeva un precedente “Teatro Diurno”, un anfiteatro costruito nel 1832 ove si svolgevano manifestazioni equestri e circensi all’aperto- la quale, sommata ad altra area regalata dal Comune di Genova permise inaugurare il 4 giu.1870 il nuovo teatro (il 4 giugno inaugurato con un “solenne Petrelliano spettacolo” –come lo descrisse lo scrittore DeMarzi-). Apparve quale grandioso edificio neoclassico rotondo, capace di mille posti, ma inizialmente scoperto, come il precedente perciò mal confacente a spettacoli invernali, notturni o in caso di pioggia. Così, dopo soli quattro anni, 1874, fu modificato dal Bruno, con copertura mobile metallica (un centro mobile, che attraverso complicati ed ingegnosi meccanismi, si spostava in avanti o indietro; realizzato dalle Officine Cravero, della Foce), poi, nel 1895, dallo stesso Bruno tolta, resa stabile, finestrata per l’aereazione, coperta da lastre di rame sovrapposte a feltro per smorzare il rumore della pioggia quando erano appena arrivati l’illuminazione elettrica a sostituire quella a gas, il riscaldamento a tubi di stufa ed un nuovo edificio a due piani eretto a fianco. In contemporanea sappiamo che le colonne e le ringhiere delle gallerie erano state fuse dai f.lli Balleydier
Erano anni del cosidetto ‘rinnovamento edilizio’ con formazione di nuovo piano regolatore e nuove idee di estetica delle costruzioni, e quindi di apertura di nuove strade più larghe e funzionali; così furono suoi i progetti di edificazione di molti palazzi di via Assarotti (allineandoli e decorandoli in modo da formare la seriosa ed imponente arteria centrale che vediamo ancor oggi); la ristrutturazione del politeama regina Margherita; progetti di alcune altre strade (tra cui una circonvallazione genovese nella quale previde come decorazione l’uso di pregiati marmi provenienti dalla demolizione (1866) di una terrazza eretta nel 1844 da Ignazio Gardella; ed un rettilineo -non realizzato- tra l’attuale piazza DeFerrari, allora Carlo Felice- e via Balbi).
Acquedotto DeFerrari-Galliera Più imponente fu il progetto degli sbarramenti per formare tre laghi artificiali nell’appennino ligure sopra Campomorone, a quota 700 m. circa, alimentati dal torrente Gorzente, sfruttando la situazione di alta piovosità locale, impermeabilità del terreno e vicinanza alla valle Polcevera, e con lo scopo di avere il complesso di tre enormi serbatoi d’acqua per l’approvvigionamento della città in rapidissima crescita di popolazione. (Per inciso vale di ricordare che l’impianto del Gorzente fu il primo a funzionare anche come idroelettrico nel 1889: per la produzione di energia elettrica, fu dapprima usato il sistema Thury a corrente continua che poi non ebbe fortuna. Questo valse perché Genova non fu tra le prime città a fornirsi di illuminazione elettrica -iniziata a NewYork (T.A.Edison) e seguita da Milano (natale/1883), Torino, Lucera, Nicastro, Treviso, Avellino ed altre). A Genova, a parte qualche prova in galleria Mazzini -1884- e nel Carlo Felice -1887-, solo nel 1888 fu dato l’appalto alla ditta Preve per l’illuminazione di parte della città: la centrale fu posta al Carmine ed entrò in funzione l’anno seguente)
Prima di allora la parte di città di levante, era alimentata dall’acquedotto civico eretto nel 1200 alimentato dal Bisagno, o da acqua estratta dagli innumerevoli pozzi privati che rendono come ‘groviera’ tutta la città.
Sampierdarena ancora peggio: assieme alla Genova di ponente, dovette aspettare la ferrovia perché l’acquedotto della soc. Nicolay -costruito nel 1853 (quando a San Pier d’Arena da 4000 abitanti del primo 1800, erano divenuti 14mila nel censimento del 1861, per arrivare poi a 22mila nel 1881, 35mila all’inizio del 1900)- potesse appropriarsi di parte dell’acqua del Polcevera e dello Scrivia tramite il traforo dei Giovi. Fu sospettata di facile inquinamento ed infettività, colera e tifo in particolare, per la scarsa separazione dagli scarichi sia nei fiumi d’origine (specie lo Scrivia il cui letto sia a destra che sinistra è ‘abbracciato’ da una galleria drenante posta a 6 m di profondità e lunga 576m) che della ferrovia, a cui scorre affiancata per 3250 metri). A Montanesi, dove arriva esistono gli impianti di filtrazione e clorurazione.
Avvalendosi della collaborazione del fratello Salvatore e dell’ing. Stefano Grillo, constatò sui monti sovrastanti Campomorone l’idoneità idrogeologica ottimale (piovosità, impermeabilità e tenuta del terreno, relativa vicinanza di accesso e tubature verso la città da servire) per formare degli invasi d’acqua di raccolta dal torrente Gorzente a quota 700 circa slm.(affluente dell’Orba, del bacino del Po). Presentato il progetto al regio governo il 26 giungo 1871, fu approvato il 21 dicembre del 1873; si dovette aspettare febbraio 1880 perché nascesse la finanziatrice dei lavori, la soc.an. DeFerrari-Galliera. Nell’estate dello stesso anno iniziò il lavoro di 600 operai per erigere la barriera necessaria per formare il primo lago; nato con una diga di 30 metri -poi innalzata nel 1906 ed ancora nel 1926-, fu battezzato lago Lavezze, di 2.264.000 mc.; ma, dal Nostro, viene detto anche “lago Bruno”.
Causa insicurezza della perfezione, -riscontrata alla fine dei lavori alla luce di alcuni trasudamenti nelle prove di piena, che dapprima apparvero assai intensi, poi si ridussero, ma pur sempre presenti; e nell’impossibilità di eseguire ulteriori opere di rafforzamento nonché nella necessità di mantenere la fornitura iniziata-, fu decisa la costruzione di un’altra diga -alta 40 m.- a monte, con la nascita di un altro bacino chiamato lago Lungo di 4.696.250 mc di capacità: sulla roccia a fianco della diga, c’è una lapide a ricordo dell’ingegnere ideatore ed esecutore, con la sua effige e lo scritto “Nicolò Bruno ideò e diresse queste opere”. Inizialmente i due laghi vanno ad alimentare una centrale idroelettrica detta di anch’essa “Lavezze” (stabilendo il primato cronologico nella storia della produzione idro-elettrica ad uso industriale), poi l’acqua venne convogliata verso la città tramite una galleria lunga 2350 metri sotto i monti appenninici, alla cui fine sul versante tirrenico si allaccia con una condotta forzata del diametro di 750 mm, lunga 1340 metri che con un salto di 350 metri alimentava una centrale elettrica ad Isoverde prima di essere potabilizzata ed infine distribuita (il sistema di filtrazione, essendo l’acqua fortemente argillosa, prevede l’uso di filtri rapidi detti Jewel con precedente coagulazione mediante solfato di allumina, 10-20 gr/m3 in vasche rotonde di cemento di diametro 6,4m ed alte 1,8 consentendo una filtrazione di 120-140 mc di acqua/ mq di superficie/24h, pari a 80-90mila m3 al di. L’acquedotto si avvale di un ulteriore apporto proveniente da una falda freatica di Cornigliano-Pegli che dai 2 pozzi, mediante elettropompe possono integrare il servizio nei periodi di maggiore siccità (dati del 1955) Essendo il Gorzente un affluente del torrente Piota, che alla fine confluisce nel fiume alessandrino Orba, si crearono diatribe tra le due regioni, compensate con la costruzione di un altro lago nella zona di Tornese, distante 13,5 km dal Gorzente, usando una diga alta 37 metri; questo lago però fu troppo rapidamente riempito dai detriti erosi dai fianchi fragili del lago per cui dopo la prima guerra mondiale fu necessario aprire un nuovo lago detto di Lavagnina inferiore del volume di 2,73 milioni di m3.
L’intero lavoro fu ultimato nel 1883 (Tuvo, a pag.102 erroneamente dice 1873).
I due laghi rappresentano ancora l’attuale rifornimento idrico, anche se dopo la morte del Bruno l’opera fu ristrutturata nel ‘900, ampliata (1906-12) con una nuova diga alta 50 metri sul torrente Badana affluente del Gorzente, creando un terzo invaso chiamato lago Badana di 4.689.670 mc. In un complesso distribuito a quota variante slm da 646 a 717 m. con un bacino imbrifero di 20.797 mq di superficie. Solo nel 1958 fu ultimato -e nel 1970 ammodernato- un impianto di potabilizzazione a Voltri. L’intera opera, forniva in quegli anni alla Grande Genova acqua per circa 55 milioni di m3 all’anno. Nel 1999 un nuovo ammodernamento: l’acqua dei tre laghi artificiali confluisce sempre ad Isoverde ove con la spesa di 11 miliardi di lire in tre anni, hanno creato un impianto (diretto, ma anche indiretto tramite una galleria lunga 2,3 km. che porta l’acqua a delle turbine capaci così di produrre elettricità per 30milioni di Kwh all’anno) idoneo ed informatizzato per depurare e potabilizzare, e quindi capace rifornire -in regola con gli standard europei-, tramite l’acquedotto DeFerrari Galliera, 24 ore su 24, i rubinetti di 120 mila famiglie genovesi, trattando 900 litri d’acqua al secondo per un totale di 60mila m3 al giorno. Tutto il nuovo impianto è stato dedicato alla memoria di GBParodi, per lunghi anni amministratore dell’azienda.
Nicolò Bruno lavorò anche, Sanremo (palazzo Pallavicino), Trieste (il teatro ‘Rossetti’, poeta locale, inaugurato nel 1876 -altri dice nel 78; il Gazzettino precisa 27 aprile 1878 con il balletto ‘Pietro Micca’-. A quel tempo la città faceva ancora parte dell’Impero austriaco: il sovrano volle premiare personalmente l’architetto per l’opera realizzata, però il Bruno rifiutò l’onorificenza) e per Tortona (1880- la facciata neoclassicheggiante del Duomo, eretto su antica chiesa di s.Quirino del 1574) .
Come ingegnere, fu il primo ad introdurre in Italia una scoperta francese legata alla dinamo del Pacinotti, atta ad utilizzare la forza motrice nata mediante elettricità.
Divenne dal 1879 ‘professore’, in quanto docente di architettura presso l’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova e nominato Accademico di Merito; successivamente venne riconosciuto ‘benemerito’ del Collegio degli ingegneri ed architetti, e ‘commendatore’; divenendo una delle personalità più note e di spicco, tra i professionisti genovesi.
Morì sessantacinquenne l’ 8 febbraio 1899; e fu sepolto nel cimitero della Castagna.
monumento nel cimitero della Castagna
BIBLIOGRAFIA
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-Tuvo&Campagnol-Storia di SPd’Arena-D’Amore.1975-pag.106
-non citato sulle Enciclopedie Motta e Sonzogno