BOSCO                                          via san Giovanni Bosco

 

 

TARGHE: via San Giovani Bosco,   già via G.Bosco

 

 

 

in angolo con via C.Rolando

                                                          

 

in angolo con via P.Cristofoli

 dalla carta di M.Vinzoni del 1757. In celeste la chiesa di s.Giovanni Decollato dei Teatini (oggi san Gaetano-don Bosco); in rosso villa Spinola con la torre (ancor oggi eretta); in giallo la villa Pallavicini, detta ‘dei Salesiani’ da loro demolita  (allora proprietà dell’ ecc.mo GB Grimaldi).

 

N° IMMATRICOLAZIONE:   2731   CATEGORIA: 3

 

 

 

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 07440

UNITÀ URBANISTICA: 25 - SAN GAETANO

 

CAP: 16151

PARROCCHIA:   san Gaetano-san G.Bosco

 

STORIA

dalla carta vinzoniana del 1757, la proprietà dei Teatini, confinava a mare tramite il fossato di un torrentello con quella di GioBatta Grimaldi e questa, a sua volta, confinava a mare con la proprietà di GioGiacomo Grimaldi: il viottolo che  separava questi due ultimi possedimenti, diverrà la strada in oggetto.        

Quando don Bosco acquistò (chiesa, convento e terreno) la proprietà dei Teatini, nel 1872, essa ancora confinava a lato mare con la proprietà che era divenuta Grimaldi-Pallavicini (con palazzo detto “villa Bianca”, giardino, e viale d’ingresso aperto in via san Martino (via C.Rolando)); e questa a sua volta -confinante verso mare con altre  proprietà divenute private ma non più Grimaldi- era separata da esse da un sentiero divenuto di servizio in quanto necessario per raggiungere  altre proprietà  a ridosso della collina di Belvedere (dei  Durazzo Pallavicini e dei Montano Negrotto): questo sentiero, iniziava da via san Martino (questa poi divenuta via A.Saffi, poi via E.Mazzucco ed oggi via C.Rolando), e rivolto verso nord-est arrivava in collina. 

Comprati dai salesiani anche i confinanti villa-terreno Grimaldi Pallavicini (1889), il sentiero -divenuto  proprietà comunale- si trovò ad essere delimitante il complesso dell’istituto don Bosco, con la proprietà posta a lato mare (già di GioGiacomo Grimaldi) divenuta di Enrichetta Rebora in Cristofoli.

  Nel 1903, per accordi e reciproci scambi di appezzamenti con i salesiani, il Comune fece allargare il viottolo a 10 m. –creando così la strada (attuale via san G.Bosco)-.  Fu allora deciso di  dedicarla a Benedetto Cairoli; ma la proposta non si concluse perché nel 1906 -nell’ambito di una revisione dei nomi stradali con alcune titolazioni nuove ed altre cambiate- fu preferito dedicarla al salesiano (forse facendo parte degli scambi), lui ancora vivente (quindi via Giovanni Bosco).

 

in primo piano, nell’angolo destro, la villa  di GioGiacomo Grimaldi; al centro, a sinistra della strada, la villa Bianca dei Salesiani; a sin. in basso la zona dell’Oratorio; nella metà fotografia in alto tutte case scomparse e sostituite

  Nel 1910 univa -già come oggi- via A.Saffi (via C.Rolando) con via P.Cristofoli -posta di traverso-, e non aveva ancora numeri civici; e nel 1927 compare nell’elenco delle strade comunali, senza il ‘san’ e di 5° categoria.

   Giovedì 17 dic.1931 fu inaugurato un refettorio del XIII centro assistenziale dell’OMNI (opera nazionale maternità ed infanzia): viene riferito che era in “uno splendido ed antico palazzo di via Bosco messo a disposizione del proprietario sig. Capello il quale oltre a questa concessione si è sottoscritto a versare annualmente 8mila lire per il sostentamento del centro. Il palazzo ha un grande scalone marmoreo ed è ricco di vasti ariosi saloni affrescati e decorati con sobrietà e buon gusto”.  É facile intuire di quale villa si tratti: quella seicentesca, posta all’angolo-monte della proprietà di Gio.Giacomo Grimaldi (vedi Vinzoni) divenuta nel frattempo dei fratelli Nicola e Filippo Copello  (i quali subito dopo la guerra la fecero abbattere spianandola).

 Nel 1933   la strada  univa  via  A.Saffi   con via  C.Cattaneo (via N.Ardoino), aveva un solo civico nero, e comprendeva un tratto omonimo ma “privato” che portava all’istituto (chiamato “stabilimento”).

Solo alla santificazione del salesiano (1 apr.1934), la  strada divenne via “san” Giovanni Bosco.

 

 

 

 

 

STRUTTURA :

 

Senso unico viario per tutto il percorso, da via P.Cristofoli a via C.Rolando. Tale è rimasta anche dopo la ristrutturazione di quest’ultima –in parte pedonalizzata-. 

È servita dall’acquedotto DeFerrari Galliera.

 

CIVICI

2007= neri  = da 1 a 5                              e  4 (manca 2)

           rossi =  da 1r a 25r                        e da 6r a 16r  (in più 8ab r)

===civ. 1 era la villa; fu demolita nel 1955 e ricostruito dal Copello F. un palazzo nel giu.1956. Anche i civici 3 e 5 furono eretti da F.Copello negli anni a seguire.

===civ. 2 fu  eretto nuovo nel 1978

===civ. 4 fu demolito nel 1995 e ristrutturato nel mar.1997

===civ. 14r si entra nell’Oratorio. All’inizio dell’attività salesiana a San Pier d’Arena, era relegato nel piazzalino -molto limitato- davanti all’ingresso della chiesa; solo festivo, ed  utilizzato unicamente dai ragazzi raccolti nell’istituto,  detti “interni” (nel 1884 erano già più di 300).

 

Nel Pagano/1940 la strada va “da via s.G.Bosco allo stabilimento” ma, nella cartina allegata è da via Mazzucco sbuca in via Cristofoli. Ha solo civici neri: all’ 1= l’ONMI-casa della madre; all’8/6 Palli P. tessuti; 8/7 dr Basso L.; al 5 un pretore.

 

   Solo nel 1890 con l’acquisto della proprietà dei marchesi Durazzo         

 Teresa Durazzo Pallavicini  - 1829-1914

                                                         

Pallavicini, posizionata di fianco a mare rispetto la chiesa (e dalla quale ancora nel 1925 era separata da alto muro –vedi foto Miscio pg.194), finalmente l’opera salesiana  ebbe un vasto terreno autonomo e vitale, dando giustificato spazio al vero oratorio come voluto dal fondatore, apribile tutti i giorni per un servizio morale, e libero; dove tutti i ragazzi della delegazione -ancor oggi- possano impegnare il tempo di svago in maniera autonoma o in attività costruttive programmate.

 

antica foto dei primi anni del 1900 riproducente lo spiazzo delle Fornaci: in alto la villetta del Giunsella; a destra si impone la villa Bianca; al centro in rosso la villa del collegio Dogliani con dietro la villa Pinelli-Grimaldi(?) di via GBMonti. A sinistra ed in basso del collegio, la vaccheria. Gli alti palazzi del quadrante supero-sinistra furono abbattuti e ricostruiti nel 1904. In primo piano le esercitazioni della Croce d’Oro.

Sino al 1909, la figura specifica di un direttore dell’Oratorio non era stata ancora stabilita, ed ogni sacerdote con un poco di tempo libero era ‘distaccato’ a sorvegliare l’area addetta. Cominciò don A.Rebagliati, poi d.A.Arcioni, d.G.Pastorino, d.R.Balbiano, d.E.Camesasca, d.E.Cavallo, d.G.Peri, d.T.Leonatti, d.G.Ristagnino (1932-7), d.W.Masieri, d.F.Dagna, d.G. Moroncelli, d.E.Briano (1946), d.G.Baldan (1946-9), d.G.Barberis, d.F.Dagna? (1950-3), don M.Agosta (1953-8),  d.A.Mosconi (fino al 1960), d.V.Fabbian

  Il Circolo don Bosco, l’Azione cattolica, il don Bosco calcio, gli scouts (che erano del Riparto Sampierdarena 1°, nato primo in Liguria nel 1916, per opera di Pasteris, assieme ad altri quattro di Genova), ed altri, furono tutti chiusi il 2 giugno 1931 quando per legge fascista tutte le associazioni furono sciolte e divennero monopolio del fascio; inizialmente anche all’Oratorio stesso fu imposto di chiudere il cancello; ingiunzione rimossa dopo poco, concedendo solo l’attività religiosa, previo accordo tra Stato e Santa Sede.

    L’oratorio dovrebbe essere il fiore all’occhiello dell’attività salesiana. È però stato succube dall’origine e negli anni dopo, di un equivoco  forse incompreso e tacitamente sopportato: due modi diversi di vedere l’utilizzo dell’area, delle finalità e delle responsabilità direttive: per i direttori dell’ ‘istituto’ era quello previsto da don Bosco quale elemento di logico sfogo per i ragazzi – studenti ed artigiani - inseriti nell’Ospizio; per la ‘parrocchia’ (ricordiamo, non prevista né voluta da don Bosco) costituiva un elemento di indispensabile centro raccolta di tutti i ragazzi, e quindi fonte di iniziative e vitalità che esulavano dall’istituto e che avrebbero voluto un direttore avulso dall’istituto stesso (e che invece da esso tutto dipendeva, anche il parroco). Se poi queste due aree furono fisicamente separate (Oratorio vero e proprio e ‘2 cortili degli interni’), come diceva don Baldan quella destinata alla parrocchia era lontana e distaccata dalla chiesa, quindi non funzionale. Ne è conseguito per innumerevole tempo che il fiore all’occhiello in realtà restasse la cenerentola, soprattutto come destinazione di sacerdoti responsabili, il cui fugace incarico da un lato impediva di creare opere stabili e dall’altro fomentava l’equivoco di cui sopra, con deleterie relazioni con quelle associazioni mirate non all’uso interno (come i chierichetti, i cantori, filodrammatica ecc) ma all’attività prevalente esterna come gli scouts –con i quali avvenne irreparabile frattura proprio per l’equivocato uso della sede e delle attività prevalenti all’aperto e non nell’ambito parrocchiale.

     Fin dai primi anni, nella parte più alta (rispetto la via principale CRolando) dell’ appezzamento appena acquistato, troneggiava la vecchia villa Bianca (descritta in via san Martino), che ancora negli anni postbellici ospitava le sedi direzionali di alcune società oratoriali. Aveva l’ingresso principale con portale bugnato –semplice ma solenne- decentrato rispetto la facciata, ed un altro ingresso secondario, proprio davanti al quale prima degli anni 1960 esisteva una giostra (miscio, pag437), e poi una vasca con la sabbia per il salto; e davanti a tutto, l’enorme –per noi ragazzini-  campo da foot-ball.     Dell’Oratorio, ovviamente ciascuno ricorda i suoi tempi, i suoi preti, le usanze, gli impegni. 

Fravega ricoda la gestione prebellica di don Pastorino: «al piano terra erano la sala della banda musicale, il guardaroba e altre salette fra cui quella del catechismo; al primo piano gli uffici e una cappella, al secondo varie stanze da lavoro. Di fronte alla villa un campetto per il gioco del calcio altalene e una giostra che girava a spintoni e un baraccone-teatrino dove ogni tanto venivano proiettate pellicole di Ridolini, Charlot, Fatty e di altri comici del tempo. Era un piccolo ritrovo assolutamente maschile..su quel campetto..i primi calci giocatori dell’AC Sampierdarenesa come Bodrato, Carzino, Derchi e ragazzi dall’avvenire artistico come Natalino Otto. L’ingresso dell’oratorio una piccola porticina in via Giovanni Bosco, non ancora santo, dove di guardia era il Carlin. Chi entrava prima delle ore 16 non poteva più uscire se non dopo le aq7 a lezione di catechismo finita. Chiunque poteva giocare al pallone: chi non ne aveva ne ottenevauno in prestito lasciando a pegno il berretto».

Personalmente invece ricordo gli anni 1950: L’entrata nell’Oratorio avveniva da via s.G.Bosco tramite ampio cancello e da una porticina laterale che dava adito ad una stanzetta ove stazionavano quelli che facevano pagare il biglietto quando c’era il torneo. Nella villa, non ricordo esistesse una cappella perché per ogni funzione andavamo nella chiesa grande già completata. Davanti al portone era una vasca con la sabbia per i salti (specie nell’evento della prima Olimpiade, quando gli scouts, sotto la nazione Venezuela, vinsero la coppa nazionale, essendo risultati primi in molte attività ginniche; questa vittoria di un gruppo, ‘bruciò’ agli altri dirigenti che per le successive olimpiadi proibirono costituire le nazioni con membri di una unica associazione).

    Appena entrato negli scouts (1954), mentre i Lupetti guidati da Orlandi Umberto erano a piano terra (a sinistra dopo entrati), i grandi –salito lo scalone che inbiziava a destra dell’ingresso- avevamo la sede al primo piano: un vasto salone con pavimento di legno di pic-pine a liste di 10 cm dove si annidava la polvere in eterno e, se scopavi cento volte, ogni volta ne raccoglievi. Gli ampi finestroni –quello sopra il portone ed a fianco verso l’esterno- permettevano di -appoggiando un tavolo  al davanzale e seduti sopra sulle seggiole- godere dall’alto le accesissime partite del torneo Marchisotti: i bei tigli posti davanti erano ancora piccoli e non ostacolavano la vista più di tanto. Erano i tempi del sig. Brusasco (un laico con ampi poteri nell’oratorio; si assunse l’incarico di far nascere gli Escursionisti quando se ne andarono gli scouts; morì ucciso in –credo- Argentina), di don Baldan e di don Mario Agosta come direttori dell’Oratorio e poi parroci; vice parroco dominava la figura di don Minasso che, organizzatore onnipresente, ammanigliato in politica, ricordo fungeva da filtro per le assunzioni all’Italsider. Ad una certa ora del pomeriggio, veniva suonato un campanaccio, sbatacchiato a mano, per ricordare una sospensione di preghiera e che costituiva un piccolo ‘fuggi fuggi’ per quelli che non sentivano quel banale obbligo. Nell’istituto, quasi tutti gli insegnanti erano salesiani, tra essi primeggiavano alcuni (don Raddi –che io ricordi- su tutti).

La villa fu abbattuta e sostituita con una palazzina più funzionale nel 1965 ed ancora esistente; il campo da pallone davanti (ha vissuto la gioia di giocare di migliaia di ragazzi sampierdarenesi -tra le innumerevoli attività ricordo le famose “olimpiadi” iniziate negli anni a finire il 1950-60, nella prima delle quali mi onoro essere stato il vincitore finale con la squadra del Venezuela, pressoché tutta composta dagli scouts locali dell’ ASCI, quando essi erano componente forte delle associazioni giovanili dell’oratorio e prima che i rapporti si deteriorassero per diversità di interessi finalistici: per l’uno l’Oratorio in primis, per l’altro la vita all’aperto sui monti; interessi personali e di parte favorirono la creazione degli ‘escursionisti’, con programmi e divisa sovrapponibili agli scouts ma maggiore dipendenza alle attività oratoriali. I successivi tentativi di rifusione andarono falliti per circostanze anche avventurose avvenute ai tempi di don Baldan e di don Minasso, e da allora le due associazioni progredirono separatamente in ambienti diversi- e l’acceso, sempre infuocato e talora smodato tifo degli adulti -nelle competizioni del torneo Rottigni Marchisotti-),  era separato dalla casa da un filare di tigli e dall’Istituto da una lunga costruzione ad un piano ideata per le numerose attività artigianali dell’istituto.

   Nel 1952 nella zona dell’ingresso in una targa in marmo, Don Bosco ricorda i Figli caduti per la patria: gli otto oratoriani morti nella guerra del 15-18: (G.Alberelli, B.Bianchini, A.Buscaroli, A.Carpaneto, A.Danovaro, G.Molinari, R.Spotti, F.Torrello, G.Traverso) ed i sedici della successiva guerra mondiale (C.Bussola, L.Bellino, V.Bonci, A.Cambiaso, A.Cucchi, F.Col otto, F.Dachà, R.Gatti, M.Orsoline, L.Porcella, N.Paparella, A.Panizza, L.Rigamonti, D.Schweitzer, N.Saba, I.Travagli).

  Como già detto sopra, chi ha vissuto l’Oratorio, non può non ricordare il campanello suonato da don Mario e dai suoi successori, che chiamavano ad interrompere il gioco per una breve preghiera da recitarsi sul posto, e che era motivo di fuga da parte di quei pochi che non gradivano o si sentivano furbi a non sottomettersi, ma che potevano rientrare subito dopo, trovando la porta sempre aperta. In tempi più recenti, abbattuto un piccolo edificio prospiciente la strada ed adibito a cinema, si allargò il campo a 60 metri di lunghezza, ideale per i tornei a sette giocatori, sempre in terra battuta con polvere, fango e sassi.  E -successivamente- fu cintato per ordine della Commissione di vigilanza. Fu definitivamente demolito nel 1992

 

Oggi chiamato “Opera don Bosco” o “Centro Sportivo PalaDonBosco”  comprende tutta una larga serie di servizi religiosi, sociali, educativi e ricreativi per i giovani. Su progetto degli architetti Vittorugo Marconi e Giovanni Pellegrino; per una spesa che superò i 2miliardi di lire; con lo scopo di aumentare le superfici coperte per  giochi in tutte le stagioni, ed eliminare  le ampie aree poco sfruttabili per le attività dei ragazzi  (l’attività educativa dell’oratorio è strettamente legata al gioco specie collettivo); con un nuovo accesso (che sostituisce il vecchio cancello con a fianco la porticina), sono in attività: 3 campi di calcio, palazzetto da 600 posti, 3 palestre, 2 campi di minibasket; ai quali vanno aggiunti i servizi del PalaGym che offre centri di fitness con vari centri subordinato (corsi, spinning, test, preparazione atletica, ecc) e del Crocera Stadium con tre piscine, basket, volley e due palestre.     

 anno 2000

Innumerevoli sono le attività promozionali dell’oratorio, tra cui abbiamo visto recentemente sottolineare il successo a tutta l’”Opera don Bosco”, dal 1999 la “Scuola Estiva di Sport”; il M.G.S.(movimento giovanile salesiano, telefono 010.6419.398).

Centro di educazione motoria per bambini con Giardino e Scuola dell’infanzia.

Nell’Annuario 2008 leggiamo di una sezione ciclismo con presidente Luca Verardo (ma sede in via CRolando 14r); La palestra di Taekwondo, arte marziale coreana e sport olimpico di combattimento a pieno contatto con calci e corazze protettive; la c.s.volley .

        -la sede per l’anziana e gloriosa US donBosco Calcio (propugnata da don Nervi, fu fondata nel 1945; iscritta alla FIGC, con colore sociale il granata, partecipa al campionato di prima categoria –girone B-. Dal allora ha vinto ben 23 coppe disciplina. Mitici i nomi di Emilio Torazza, Marchisotti, V.Buffa. Costretta a giocare le partite in perenne trasferta nel campo di gioco Ferrando a Cornigliano. Nel 2005 la squadra, guidata da Raggi e Franciois, dalla PrimaCategoria –gironeB-, ad onorare i sessant’anni dalla fondazione e dopo 25 anni, è tornata promossa in Promozione) 

-         la PGS (polisportive giovanili salesiane)don Bosco Basket

-         il PGS don Bosco 88  comprende il Basket, nuoto e pallanuoto, mountain-bike, sci alpinismo, free climbing

-          l’Atletica don Bosco Universale (nel nov.03 ha ospitato la Coppa Italia di lotta stile libero)

-         la don Bosco Volley

-         un centro Arti marziali don Bosco con  «tae-kwon-do e karate e ju-iitsu»

-         il Baseball e softball “A.Crotti”  ***.

-         il primo italiano Liceo Scientifico Sportivo titolato a Pierre de Coubertin, corso di studi innovativo ed all’avanguardia mirato a far coniugare agli iscritti l’attività sportiva a quella scolastica

-         Vengono reclamizzati un «centro di aerobica», di «ginnastica per adulti», «ballo, liscio, danza. ballo latino americano», «pattinaggio», «ginnastica vertebrale, corso di  educazione motoria e ginnastica over ’60)». 

   Come complesso edilizio domina il PalaDonBosco, progettato da Pellegrino, singolare struttura a travature metalliche reticolari, poggiata su piedritti in acciaio, su un’area di 1750 mq ha una palestra di 30 mq., capace di ospitare 4-500 spettatori anche per campionati nazionali (il don Bosco Basket credo abbia militato, unica genovese, in C1) e di molte discipline (anche per disabili); con tutti i requisiti necessari ( pronto soccorso, vani per gli arbitri, sala massaggi, magazzini,  portineria autonoma ; è posto praticamente nel terreno che era al fianco-mare dell’antica villa Bianca); lo completano all’aperto, i campi di calcio posti ad un’unica quota ed in manto sintetico di sportflex; due campi da pallavolo o basket;  una pista di pattinaggio ed alcune palestre.

    Questo complesso per i giovani ha visto la luce l’11 ott.1997, con cerimonia inaugurale presieduta dall’arcivescovo Tettamanzi Dionigi, dopo quattro anni di lavori, con completo sbancamento dei vecchi campetti dell’istituto e dell’oratorio (prima, erano tre aree di cui due ad un livello unico,  quella dell’oratorio e metà di quella destinata all’istituto; questi aveva un’altra metà  di spazio a livello sottostante), per sviluppare un complesso di box per auto, interrato in due piani: uno con 138 box e 60 posti moto, l’altro con 150 box e 65 posti per uso dell’istituto  -la cui vendita ha finanziato l’operazione-; ed il cui tetto, a piano terra, adibito ad impianti sportivi.

   Si sono evidenziati così sia il messaggio di don Bosco, che è stato ammodernato adeguandosi ai tempi, e sia il carattere dei salesiani, che vuol essere  dinamico, pratico, attivo, d’avanguardia.

   Unica nota -a mio avviso assai dolente di fronte a questa meraviglia-, è la scelta di non ripristinare il  campo da pallone “a 7”, e quindi l’impossibilità dal 1993 di far proseguire nell’ambiente oratoriano il torneo di calcio Rottigni Marchisotti, che tanto lustro ha dato all’opera salesiana, alla squadra di calcio ed a tutta la delegazione.

   Dal 2002-7 ospita la succursale dell’Ente di formazione professionale Cnos-Fap  di Liguria e Toscana, che prepara –ed alla fine conferma con un attestato- nel campo elettrico-elettronico a livello industriale. Questo centro di formazione, nel 2004 ha aperto una ottantina di corsi e nel 2005 ha istituito corsi gratuiti di inglese ed informatica indirizzati a persone in cerca di occupazione (in preparazione ad esami di patente europea di computer) ed un corso per 12 elettricisti-impiantisti di bordo indirizzato anche ad extracomunitari

Notizie anche di un STC Point (sport training center) centro medico sportivo, professionale di preparazione atletica.

===civ. 4 era un ingresso alla villa Bianca, della quale si accenna in via C.Rolando e via san Martino

===civ.1-19 r, nel 1960 era ospitata la UPIM. Dal 2002 c’è un Fai-da-te con ingresso principale in via C.Rolando.

 

DEDICATA al fondatore dell’ordine dei Padri Salesiani.

Nato a Castelnuovo nell’astigiano il 16 agosto 1815 da umili contadini.

Entrato come esterno, ventenne, in seminario dovette lavoraree per mantenersi. Fu ordinato sacerdote a 26 anni e dedicò la sua vita al ricupero ed inserimento sociale e morale, dei giovani poveri ed abbandonati: fin dall’inizio a loro dedicava la domenica, fondando la ‘società dell’allegria’, preludio dei futuri ‘oratori’ ed andando in carcere a visitare i più giovani dedicandosi al loro recupero ed a evitare che dalla strada finissero in galera. Anche lui sempre senza soldi, ma con una fede immensa, diede l’avvio ad una delle più grandiose opere per la gioventù, mescolandosi ed adattandosi a loro nella vita condotta ai limiti della allora decenza come comunità rumorosa, allegra, gioconda. Così l’8 dicembre 1841 diede avvio al primo tentativo di ‘oratorio’, chiamato ‘parrocchia, dei giovani senza parrocchia’, dove al gioco aggregò l’idea del lavoro sotto forma di laboratorio artigianale, via via sempre più allargato e completato a scuola professionale, sino al bisogno di regolarizzarlo con un metodo e regolamento, e sino alla differenziazione in una Congregazione religiosa che, in nome di san Fancesco di Sales venne definita ‘salesiana’(Francesco, 1567-1622 nacque nel castello di Sales nella Savoia, da famiglia cattolica. Di carattere mite e sereno, serioso e gioioso, a 16 anni già sentiva  che avrebbe sfuggito l’inferno solo amando Dio con tutte le proprie forze: si orientò quindi al sacerdozio, inteso come missione; divenenne vescovo nel 1602 destinato a Ginevra (dove però la maggioranza protestante, lo obbligò a risiedere  formalmente ad Annecy), entrò in stretto e prolifico contatto epistolare e culturale con Vincenzo de’ Paoli e tante altre persone caratterizzate da forte personalità trovando con loro immediato afflato favorito dalla sua mitezza e bontà. Morì a Lione. Suoi interventi giudicati miracolosi determinarono che dopo solo 33 anni fu dichiarato santo (protettore dei giornalisti e scrittori; invocato anche dai sordomuti); la diffusione dei suoi scritti (in particolare l’opera titolata ‘Filotea’ che tanto influì sulla fede di altri), gli meritò il titolo di ‘dottore della Chiesa’. Commemorato il 24 gennaio).

All’inizio quindi le cose non furono facili: quando don Bosco iniziò a raccogliere i ragazzi,  il sindaco di Torino -padre del famoso Camillo conte di Cavour lo invitò a chiudere l’ospizio, ritenendo l’unione di quei ragazzi pericolosa perché vagabondi. Anche nel clero stesso, le contrarietà non furono poche, con la maggior parte dei preti tendenzialmente conservatori (considerate anche le recenti amare esperienze francesi) e pochi i  liberali; per fortuna trovò appoggio dei propri arcivescovi (prima Fransoni nominato nel 1832, poi Alimonda nel 1883.    Per i grattacapi e rugginosi attriti col vescovo torinese, si raccontava in giro che quest’ultimo si svegliasse spesso di notte chiedendosi: ma chi è il vescovo di Torino, io o don Bosco?. Con quello di Genova, mons. Magnasco, che restò in carica dal 1871 al 1892);  in alcuni altri come lui promotori di iniziative similari (i genovesi don Montebruno, don Frassinetti e don Sturla); e nell’amicizia stretta con alcuni nobili patrizi, il cui apporto economico fu fondamentale per lui ed i suoi successori per poter contare su sostegni sostanziosi e frequenti (la fam.Dufour, i marchesi DurazzoPallavicini, la fam. Castaldi, i marchesi Ghiglini, i Doria, gli Spinola, i Centurione, i Negretto, i DeFerrari e tanti altri che ricompensava procurando loro onorificenze).

   L’instancabile e battagliero sacerdote, ebbe ben presto proseliti, benefattori di alto lignaggio e successo: alla fine, nel 1873 dalla Santa Sede (Pio IX)  fu approvata la sua opera e le sue regole sia nel settore maschile che femminile (questa affidata alle suore, dette Figlie di Maria Ausiliatrice)

 le suore nel retro della villa

 e nella pia Unione dei Cooperatori (tre voti: povertà, obbedienza, castità; regole che per essere messe in atto occorre prima forgiare la volontà e la fede per far risaltare la dignità e la forza necessarie a mantenere simile promessa). L’idea si espanse in Italia e poi anche nel mondo: da Torino (1853) a San Pier d’Arena (1872), a San Benigno Canadese; all’estero i missionari iniziarono  in Argentina nel 1875, si allargarono in 98 nazioni: Nizza (1875), BuenosAyres (1877), Marsiglia (1879), Roma (1887 ove inaugurò la basilica del sacro Cuore costruita per volere del papa Pio IX), e via via, Barcellona, RioDeJaneiro, SanPaulo ovunque portando la famosa frase salesiana: ”non dargli i pesci, ma insegnagli a pescare”. Non un pedagogo o teorico dell’educazione, ma un pratico che basa sul buon senso e sulla prevenzione (‘…non mi indurre in tentazione...’) il suo sistema educativo.

     Nel 1877 pubblicò il suo “Regolamento per le case della società di san Francesco di Sales”  con precisati i ruoli di ciascuna carica: il catechista, il maestro di laboratorio col suo assistente, i chierici; il tutto col fine di accogliere, allevare, educare (nella religione, intelletto e professione). I laboratori non debbono avere scopo di lucro ma solo di scuola di arte e mestiere, curando che la produzione permetta e diventi compatibile col mantenimento dell’istituto, in parallelo con la legislazione professionale e scolastica.

      Di carattere viene descritto “caparbio”, “testone”,  “animato dallo Spirito e dalla fretta” (intesa come ansia di aiutare i ragazzi; di cercarli ed istruirli); e tale da far a volte anticipare questo sentimento alle leggi, alle riverenze; “una montagna difficile da spostare”. E’ scritto fosse una “mente calma, sicura”, ma dai fatti aggiungerei paradossalmente… come quella di un vulcano in continua produzione! “E’ lo sguardo che vede avanti la meta. E ad essa va, con decisione, rompendo gli ostacoli, aggirandoli, chiamando in aiuto molti altri a superarli”. Infatti se possiamo considerarlo povero perché col borsellino sempre vuoto, aveva però curato un ricco elenco di benefattori, aveva una leva fortissima su cui far forza perché lo (i ragazzi) aiutassero pinguemente ed aveva una tenace e trapanante capacità di insistere, da far saltare i nervi ai meno saldi. Però realizzava: e questa tangibilità lo rendeva forte come un bisonte, maestoso come un’aquila e -per la mentalità pratica dei genovesi- un uomo vero.

   Oggi le case salesiane nel mondo sono 1641 (e 1534 quelle delle suore missionarie)

   La San Pier d’Arena degli anni 1870, quando don Bosco decise di insediarsi a Genova,  era in una particolare situazione sociale ed economica: con l’industrializzazione si aveva un accrescimento rapido e costante, ma con un troppo alto livello di povertà ed ignoranza. Terreno ideale quindi per creare ambienti di ricupero della fasce più deboli soprattutto dei giovani -orfani o comunque soli- ai quali necessitavano non solo i primitivi elementi di sopravvivenza, ma anche quelli morali. La ferrovia -come pure per i numerosi stabilimenti- ebbe una importanza di base, concentrando in Sampierdarena tutti quelli che cercavano un lavoro o comunque un punto di riferimento sia materiale che morale.

    Lui arrivò a Sampierdarena con trenta lire in tasca, e solo un improvviso e munifico benefattore avvallò la spesa di trentamila lire, il prezzo di acquisto della prima casa, per ospitare i primi quaranta ragazzi (vedi via C.Rolando). Dal 1857 al 1886, ben 51 volte era venuto a Genova fermandosi a lungo. L’ultima volta che sostò a San Pier d’Arena fu il 23 aprile 1886.

    Morì a Torino il 31 gen.1888 (giorno in cui viene commemorato anche sul calendario). La salma fu tumulata nella chiesa di Maria Ausiliatrice.

   Fu beatificato il 19 mar.1929 e santificato da Pio XI il 1 apr.1934 (giorno di Pasqua).

     Un cappello di don Bosco, è custodito nella casa di Diego Bagnara a Sestri, perché l’ava -benefattrice del Sacerdote- comperandogliene uno nuovo era riuscita non senza difficoltà  a trattenere per sé quello vecchio.

     L’urna dorata, col corpo del Santo, tornò a Sampierdarena il 14 mag.1959, ospitata nell’istituto, e portata nella riedificata chiesa (di san Gaetano,  poi distrutta dalle bombe; ed oggi intestata anche al suo nome).

 

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