BOMBRINI                                           via Bombrini

 

TARGHE: via Bombrini

          

angolo con via San Pier d’Arena                                                         

 

angolo via Pacinotti

                                                    

angolo con via Operai al Palazzo della Salute

QUARTIERE ANTICO: Canto-Fiumara

da Vinzoni-1757. in giallo via Fiumara; rosso, crosa al Ponte; fucsia strada della Marina; celeste viale e villa del mag.co Rainero Grimaldi.

 

N° IMMATRICOLAZIONE:  2730        CATEGORIA : 2

             

da Pagano/1961                                                

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°:   06860

UNITÀ URBANISTICA: 26 - SAMPIERDARENA

 da Google Earth 2007. in fucsia via Operai; rosso, via

                                                                          Gaggini; giallo, via Antica Fiumara

CAP   :   16149

PARROCCHIA   :  s.Maria della Cella

STRUTTURA :   Ancora nel 1910 viene descritta collegare via Cristoforo Colombo (via San Pier d’Arena) con via Operai, con civici sino al 12 e 15.

Una mappa nell’archivio Ansaldo, del 1924, conferma, però – più giustamente - da via Garibaldi a via Operai.  

Prima della rivoluzione urbanistica, tipo anni 1990, era senso unico viario, da via  Operai a via A.Pacinotti.

         

Anno 2000, da un terrazzo di via Molteni: il primo            sbarramento di inizio lavori

in basso è un tetto di via Pacinotti; la seconda fila

era via Bombrini con la torre.

Dal 2006, completati i lavori in zona, appare fatta a T: il ramo verticale, breve, nuovo (non esisteva nell’antico tracciato – vedi foto sotto), è orientato a sud-nord, è senso unico da via Pacinotti (passa a levante dell’ultimo palazzo con torre ottagonale,  e sbuca nel ramo lungo proprio di fronte alla Torre della Fiumara). Il ramo orizzontale è orientato est-ovest, si sovrappone all’antico tracciato, ed è senso unico da via Pacinotti a via Gaggini, mentre ulteriormente, da via Gaggini a ponente, è doppio senso.

visto da via Pacinotti, il tratto nuovo donato alla strada

STORIA: dalla prima carta esistente del 1757, si evidenzia che la strada non esisteva ancora nella sua totalità ma è tracciato il primo tratto a levante che portava al ponte - iniziante dalla strada della Marina (i cui ultimi due palazzi appartengono a levante al mag.co Filippo Centurione, seguito da mag,co Giovannino Mari). Aveva nome di Crosa del Ponte (detta “comunale del ponte“ o anche “vico del Ponte di Cornigliano”; tagliava in diagonale la zona, e collegava la via della Marina (via C.Colombo, ora via San Pier d’Arena) col ponte di Cornigliano: corrispondendo al tracciato della strada in oggetto).  Si può quindi dire sia stato  l’antico nome della via.

A mare esisteva la villa con parco del mag.co Rainero Grimaldi (il quale però era del 1500; quindi - la proprietà - probabilmente era sempre in mano ad un omonimo Grimaldi che ne perpetuava il nome. Questa villa, a mare sulla riva era delimitata dalla “strada comunale della Fiumara“-, ove già si trovava qualche cantiere per costruire e varare vascelli). 

Sempre nella carta del Vinzoni (vedi cartina sopra), a monte invece si intravede un gruppo di case lungo la crosa, per una delle quali si legge solo il nome ‘Andrea’; ed altre case probabile appartenenti a due vaste proprietà adiacenti: – a ponente, del rev.do Giacomo DeNegri; a levante dell’ill.mo Mag.to de Poveri Perpetua a Matteo Castelli (sic). Poi la strada piegava a nord e non seguirebbe più il tracciato moderno.

Nella antica zona sampierdarenese “del Canto”, in una mappa del 1846, esistevano cambiate alcune proprietà: compaiono i fratelli Rolla (tintori), Lorenzo Dufour, Teresa Oliva Pratolongo (casa di villeggiatura), Giuseppe Torre e Francesco Carrena (corderia con 50 operai ,fondata nel 1786), G.Pescetto (fabbrica di amido). Rimane invece storicamente più importante per la zona, la proprietà   della marchesa Maria Oriettina Lamba Doria (erede dell’Ambrogio Doria visibile nella carta vinzoniana), consorte di Fabio Pallavicini, che aveva  una villa padronale e tre case coloniche,  baracche  (poi utilizzate per la fabbrica di sapone di Salvatore Tubino), orti,  canneti e vigneti.   Un pianoro quindi, quello tra il Canto (crosa dei Buoi) ed il torrente, detto  della  Fiumara o  comunemente “Prato dell’ Amore(vedi),  insieme brullo (vicino al torrente) ed idilliaco  (per  gli orti straordinariamente fecondi, ove si producevano  verdure di prima qualità e le miglior del borgo), invano difeso dall’obbligo di vendere tutti i terreni, avendo lo stato piemontese dichiarato di  pubblica utilità la costruzione della ferrovia e poi anche delle fabbriche di Taylor.

  Queste, proprio nell’anno 1846 iniziarono a comprare 33.616 mq a mare rispetto la strada verso il Ponte, ed  eressero i fabbricati; nel 1853 divennero Ansaldo (il quale per allargarsi, ventitre anni dopo acquistò altri 36.723 mq e distrusse la casa padronale (allora Dufour) e quella colonica, spianarono cortile, canneto e vigna, le baracche del saponificio (di Giuseppe Pescetto); seguirono, altri 30.000 nel 1874 che permisero arrivare al mare ed aprire il cantiere navale e varare nel 1877  la prima nave-vedetta  battezzata  “Staffetta” di 87m; poi ancora 42.750 nel 1881 ed altrettanti nel 1884)

   La strada, venne deciso alla fine dell’anno 1900, che fosse dedicata ai Bombrini: nel dicembre 1900 il regio Commissario straordinario propose al Comune questa titolazione che era già in atto ma non ancora ufficiale. Infatti definì la titolazione: “al posto di vico al Ponte di Cornigliano, da via C.Colombo all’ingresso principale dello stabilimento Ansaldo, ed attraversando la via Operai fiancheggiare lo stabilimento suddetto fino sotto il Ponte“; in altro documento si precisa “passando davanti alla cappella Rolla ed alla fabbrica Dufour“. 

Quindi già esisteva nel 1902, come citata dal Pagano di quell’anno.

Dapprima fu distinta in “inferiore” (con varie case tra cui quella dei fratelli Dufour, degli eredi Morasso, ed un emporio), e “superiore” (contenente case private,  l’Ansaldo, la cappelletta e proprietà fratelli Rolla, un emporio di GB.Carpaneto).

Inizia la utilizzazione degli edifici laterali, per opifici sia nel ramo industriale che artigianale. Vedere sotto, a ‘civici’, le varie collocazioni.

Soprattutti venne delimitata  dagli  stabilimenti, prima  Taylor poi Ansaldo, eretti con stile architettonico del fine secolo 1800, con il loro lato più lungo sulla via, (quello più corto era su via Operai), e con successive e continue modifiche strutturali ed ampliamenti che distrussero tutto ed inglobarono -nella costruzione- la più antica  torre, sotto descritta.

1924 aveva, procedendo verso ovest, a mare. Prima le case da abitazione quali ancor ora; poi  il vicolo dedicato allo scultore Gaggini, poi lo ‘stabilimento Dufour’, poi. A monte invece prima case da abitazione, poi lo ‘stabilimento Glucosio’ e, a seguire,  proprietà di vari privati.

Nel 1927 è iscritta nell’elenco comunale nella 4° categoria.

Poi -ed ancora nel 1940- lato mare – dopo vico Gaggini, un lungo edificio, di cui la metà a est è di ‘proprietà Dufour’ e quella a ovest della ‘soc.Ligure Industriale Commerciale’. Viene descritta dal Pagano tra via Pacinotti e via Operai; con civv. neri 2, 3=(con pf Baccaredda A med.chir), 6=(con Dufour Lepetit, estr. tannici), 7=(soc. Lig. Ind. Comm. Fabbr. Glucosio).  E undici civici rossi con, due carbonai, due commestibili, due  osterie e una friggitoria, fruttivendolo, panificio, latteria, stracci.

 

 

anni 1980. Così era il lato monte, verso ovest. Ora arriva alla trattoria e  poi cambia tutto.

 il lato mare verso ovest

 

 

 

         

il lato mare verso est

    

 

La torre medievale non è segnata ed apparirebbe inclusa nel lungo stabilimento dei Dufour.

Un giornalista de Il Lavoro, in un articolo-ricordo del Canto pubblicato nel sett.1979, riferisce di un anziano che ricordava : “dove ora c’è la Standa (via T.Molteni ndr) esisteva un bellissimo viale che partiva da via S.Canzio, la vecchia ‘crosa dei Buoi’ e arrivava fino al greto del Polcevera. Erano tutti villini sul mare dove vivevano le famiglie aristocratiche. Sotto c’era una bellissima spiaggia“.  Difficile valutare i “bei” ricordi di chi  ha vissuto nella zona; però che ci fosse stato un bel viale e dei villini aristocratici lascia perplessi ed un bel po' scettici (a meno che non si tratti della via della Marina) considerato come il terreno fosse stato prima dell’insediamento delle fabbriche (Castronovo, a pag.147 dice “ lo stabilimento si erge in un angolo morto della città ....“ ) ,  e di come fu sfruttata dopo l’intera zona.

La strada fu così percorsa per quasi un secolo, da migliaia di attivi operai, la cui presenza nel borgo determinò lo sconvolgimento edilizio ed urbano, ma anche poi il titolo di ‘città’.

 

         

inizio delle demolizioni anno 2000                                                       ingabbiatura della torre - 2004

 

La villa Grimaldi-Cattaneo

Nella carta del Vinzoni appare come grosso edificio con un vasto giardino sviluppato  a ponente; ambedue paralleli al mare, con probabile entrata secondaria a ponente, verso il borgo; a levante invece, quella principale separata dal giardino da una ampia aia.

Essa sarebbe stata costruita nel XIV secolo, da Ranieri Grimaldi; e risulta nel 1582 essere proprietà di Pasquale Grimaldi. Nel 1771, l’arciprete Borelli descrive una “cappella dei Grimaldi, sacra alla SS.Annunziata, eretta presso la Marina” (ma, considerato che le misure ed il tempo, allora, erano molto labili, Marina potrebbe essere attribuibile a qualche altra villa Grimaldi dell’attuale via NDaste).

Per primo, appare presente nella cartografia del 1708 (la mappa di Volckammer intesta la proprietà al sig. Filippo Cattaneo, primitivo proprietario conosciuto di questa famiglia) e del 1757 del Vinzoni, il quale la reintesta ai Grimaldi in particolare al magnifico RaineroNon chiaro l’intermezzo dei Cattaneo tra due Grimaldi: probabile passaggio di eredità dopo matrimoni tra nobili. É probabile altresì che Rainero sia stato l’ultimo proprietario dei Grimaldi ed omonimo del primo, prima che il ‘vasto lotto di terreni’ fosse venduto).  Nel 1835-8 il Porro indica proprietaria della villa una raffineria da zucchero: tipico e non unico esempio della nascente trasformazione delle ville in fabbriche. Era la raffineria da zucchero di Lorenzo Dufour, che così iniziò la sua attività prima di orientarsi più decisamente nell’industria chimica (vedi via Fiumara).

Si presume sia questo l’edificio, che nel 1888 fu ceduto ad Erasmo Piaggio che vi aprì un’altra raffineria di zucchero chiamata “Raffineria Genovese”, che fu chiusa nel 1905 quando il tutto fu fagocitato dall’Ansaldo e distrutto (escluso la torre).

Il PALAZZO del VENTO:  dovrebbe essere sinonimo della villa su descritta (vedi a ‘Vento’).

Nicolò Corsi, nel suo diario datato 1796, descrive un avvenimento dell’11 settembre: francesi e inglesi-tedeschi erano al limite delle tensioni prebelliche, a stento tenute a bada da un ‘editto di neutralità’ del porto di Genova; ma che tutti si auguravano che esplodessero, come poi avvenne poco dopo, ovvero quando due navi inglesi  (un vascello ed una fregata) arrivate in porto videro una tartana francese carica di munizioni muoversi per raggiungere SPd’Arena ove scaricare, e far arrivare i rifornimenti in Lombardia. Gli inglesi inviarono due lance a catturare la tartana e vi riuscirono: da terra cercarono imperdire l’assalto, in particolare «la prenderono, non ostante cinque pezzi di cannone montato dal Palazzo chiamato del Vento, che avevano detti francesi montato per ovviare all’Inglesi lo sbarco, ma questi cannoni  erano vaccanti, e bisognò che detti Francesi andassero a prendere la polvere nella Chiesa di s.Gio.Batta (Decollato, ndr) la quale è molto discosta, e però diede campo all’Inglesi di condurre via la detta Tartana...».

Il 29 maggio 1817 in neo sindaco Antonio Mongiardino, firmò un documento in cui si legge l’esistenza nel borgo di una “crosa del ‘Palazzo del Vento’ che porta al ponte di Cornigliano”; e subito dopo, anche di una “strada della Marina che dal Palazzo del Vento porta a Cornigliano” (a mio giudizio abbreviativo il raggiungimento del palese vicino, sottintendendo che la strada era la via al Ponte di Cornigliano).

Nel manoscritto de ‘Stato delle anime’, stilato dal parroco della Cella e che rappresenta un vero e proprio censimento degli abitanti del borgo negli anni 1820-50, sono  descritti i componenti delle varie famiglie distribuite nel territorio: così si legge  un «‘Palazzo del Vento’ (foto in Lamponi pag 113), di ritorno dalla Fiumara, abitato da Tommasina Cepollina vedova Barabbino». A complicare le cose, sappiamo che i Dufour acquistarono la casa nel 1830 da due fratelli  Savignone.

Che la zona fosse popolarmente chiamata ‘del vento’, è suffragata da altri testi. Lamponi presuppone giustamente che detto palazzo sia quello dei Dufour (ma -secondo me- sbaglia quando vuole che la villa fosse in precedenza proprietà di Oriettina Doria: dal Vinzoni si rileva chiaramente che i terreni dei Doria erano più a ponente e senza casa da abitazione; il palazzo Dufour era –allora-  di Rainero Grimaldi.  Il Vinzoni – che fa testo - non mette nella zona un’altra villa che fosse dei Doria, e che poi divenisse della marchesa Oriettina Lamba Doria in Pallavicini; ma ella fu colei che quasi cento anni dopo - nel 1847 - dovette cedere il terreno per la costruzione delle fabbriche del futuro Ansaldo (per obbligo di legge vincolante l’industria del Taylor come di vitale importanza per  lo Stato e di ‘pubblico interesse’). Se quindi villa non c’era, si può arguire che ella non abitava la zona ma ne era solo l’ultima proprietaria e faceva curare i terreni a orto da manenti e teneva in affitto case coloniche o sedi di attività artigianali (Nella carta suddetta –cento anni prima- detti terreni dei Doria erano affiancati: a ponente di Ambrogio –ascendente della suddetta- e ad oriente di Giuseppe); e sempre presuppone che nella foresteria -ubicata nel giardino della villa- sia nata dapprima la raffineria dello zucchero, poi trasformata in laboratorio chimico per gli estratti dal tannino ed infine trasformata in appartamenti ed utilizzata quale ‘casùn’ per abitazione di persone in attesa di una sistemazione popolare da parte del Comune. 

Rimane non spiegato a quale villa si appoggiasse la torre che comunemente viene chiamata Torre della Fiumara: una delle sette, dette anche ‘saracene’ (come tramandato oralmente, forse erano sette; tutte allineate sulla spiaggia, distanziate di circa trecento metri una dall’altra, e tutte con la funzione di posti di osservazione contro le scorrerie di ‘malintenzionati’ e fors’anche di posizione militare di difesa posta come deterrente e punto di contrattacco nei confronti di un aggressore. Ne residuano solo tre e mezza in tutto, essendo ancora visibile questa  -assieme a quella del Labirinto e quella dei Frati-;  una quarta sicura era nel ‘castello’ ovvero nel palazzotto del Comune prima della sua ristrutturazione, unica non allineata sulla marina perché eretta su uno scoglio proteso sul mare -che delimitava quell’insenatura da cui il nome Cella. Nate nei punti ove quotidianamente si svolgevano i turni di guardia descritti dal Vinzoni. Delle tre mancanti, una dovrebbe trovare posizione nel centro del rione del Canto, la cosiddetta Torre del Canto – a livello dello sbocco al mare di via S.Canzio - dove nei  fondi del civ. 107 sono stati descritti interessanti residui di precedenti costruzioni; una sesta viene segnalata in prossimità della villa Gardini (vedi)).

 

    

ieri                                                                       oggi

                        

anni 1980                                                                           anno 2008

 

 

                              

l’antica torre era liscia. L’uso nel tempo ha lasciato                      interno, durante i lavori di restauro

segni impropri che hanno pensato giusto conservare                     nel 2004

Questa della Fiumara appare la più alta di tutte (forse proprio perché aveva lo scopo di sorvegliare il mare dal lato più aperto e più lontano dall’insediamento urbano in quell’ epoca in cui le incursioni di pirati, saraceni od invasori  erano improvvisamente temibili soprattutto dal mare), si staglia sugli opifici (ex raffineria zuccheri, e poi Ansaldo, usata come tromba di un  montacarico ad uso industriale) eretti a diretto contatto di continuità ed a filo di facciata, facendole perdere individualità estetica e funzionale, rilevabile solo dalla svasatura alla sommità e dai beccatelli che ne reggono il fastigio. Nei tempi della trasformazione edilizia di tutta la zona, viva apprensione aveva creato la possibilità di una dichiarazione di ‘pericolosità’ che avrebbe consentito di abbatterla impunemente malgrado il promettente interessamento di tutela offerto da Italia Nostra e dalla Sovrintendenza per i beni ambientali ed architettonici.

 

CIVICI 

2007 =  NERI    =  115 (escluso 7→ 9);                  216 (esclusi 6, 10, 14)

              ROSSI = 3r51r (aggiungi 3A; escluso 1, 29→33, 39)

                              4438r (esclusi 2, 28, 32, 36)

Essendo ambiente popolare e frequentatissimo dagli operai, sia per abitazione che di passaggio, numerosi dovevano essere esercizi commerciali necessari (osterie, friggitorie, fornai, ecc), non tutti segnalati dal Pagano. Non bar né trattorie.

Nel Pagano/1902 compaiono : al 7 i f.lli Dufour°¨ tel. 812 con ‘lavor.di legni di tinta’ e fabbr. prodotti chimici;---al 7 abit. dello scultore Tosi Onorato;---15 l’Ansaldo Gio e C.° stabilimenti di metallurgia e costruttori meccanici, tel.905;--- al 24r Demarchi Gerolamo fu Antonio che fabbrica candele di sego;---29r Allgeyer e C. hanno una lavanderia a vapore della lana

       Il Pagano/1908 segnala esserci stato: al civ. 7 la ‘fabbrica prodotti chimici e lavor. di Legni di tinta f.lli Dufour’ (telef.n.812); --e sempre al 7 lo scultore Tosi Onorato;-- al 24r la fabbrica di sego di Demarchi Gerolamo fu Antonio;--  al 29r la lavanderia lana di Allgeyer e C (a vapore).

   Il Pagano 1912 cita nella via: 13r commestibili di Dagnino Davide –ancora nel 1925;-

   Nel 1921 si aprivano nella strada la soc. fratelli Dufour, prodotti chimici; e la soc.an. Nitrium, fabbrica di glucosio; i depositi di una soc.Ligure e Industria e Commercio Merci.

    Nel Pagano 1925 al civ.7 dal 1912, i f.lli Dufour (tel. 41183);--- civ.10 avevano sede i magazzini per depositi (“raccordati esteri e nazionali”) della ditta Benasso Marini & C., tel. 41-020 (uffici a Genova);--- civ.13 Dagnino dal 1912;---  civ. NP la soc.an. Nitrium, Scerno Gismondi e C. tel.42037;---  l’Ansaldo (s.a. stabilimento per la costruzione di locomotive) SanPierd’Arena, e (stabilimento meccanico di macchine marine, turbine e caldaie));

     Al civico 192 r c’era nel 1932 una sede dell’azienda autonoma Annonaria per la vendita a prezzi minimi dei generi alimentari giudicati di prima necessità (altre erano in via Saffi, UmbertoI e Carducci).

   Pagano/40 descritto sopra

   Il Pagano 1950 descrive esserci due osterie: al 25r (di Dellepiane V.); 18.20r le ‘cantine Persano’ di Noce A..

 

attuale 2010, verso levante

 

===Al civ. 1 sulla facciata, si ammira una effige alta circa un metro, della Madonna della Misericordia (confermato dalla dicitura scolpita sul basamento: Mater Misericordiae,  il cui culto  trova antichissime origini in un santuario omonimo sopra Savona, precedenti la stessa Madonna della Guardia), in un ovale incassato a circa 4 metri da terra nel muro esterno del palazzo, corniciato da un marmo lavorato. Chiamata “a madonnetta di pescôei“ di origini ignote perché fu da loro trovata sulla riva negli anni a cavallo tra 1800 e 1900 (quando la spiaggia era ancora ‘proprietà’ dei pescatori, e non invasa dalla cantieristica e poi da porto); e da loro issata nella marmorea nicchia sul palazzo, allora prospiciente il mare. Sulla volontà comune di persone semplici e devote, la riverenza si arricchì del rito di tappa obbligata nell’annuale processione del Corpus Domini: da un piccolo altare improvvisato dai pescatori, il sacerdote impartiva la benedizione a tutti ed al borgo; scomparsi i pescatori, anche questa tradizione andò a smorzarsi sino a scomparire  e la statua andò incontro ad un lungo periodo di abbandono. Finché, nel luglio 1980 fu restaurata  dall’insulto dello smog (tramite una raccolta di fondi promossa da Radio Sampierdarena 1; coordinatore Luigi Cambiaso; ritoccatore il pittore Lippi;  con l’aiuto di varie ditte per i ponteggi, muratura, ritocco dell’inferriata; benedetta infine da don Berto Ferrari, parroco della Cella).

Al civ. 1/5 abitò un ragazzo Guido Galliano, che viveva con la mamma vedova cucitrice allo jutificio sacchi, rapito dalle onde mentre giocava sulla spiaggia nel genn 1910, suscitando commozione intensa nella cittadinanza.

 

In questo edificio, l’amico Orsi Elio, da buon geologo, fa porre attenzione a un particolare e lo fa risalire ad un evento di cronaca. Il palazzone è costruito nel severo stile ‘per operai’, senza troppi fronzoli e teso allo sfruttamento massimo dello spazio disponibile, uniche concessioni: un accennato bugnato da terra sino al primo piano, e numerosi balconi in aggetto, con pavimento in lastre di pietra e ringhiera in ferro battuto alternativamente distribuiti su entrambe le facciate. È indubbiamente composto da molti appartamenti.

Ha una curiosa forma a fetta di torta: un diedro, si dice in geometria, con le facciate (e rispettivo portone) in via Bombrini ed in via Pacinotti che convergono nello spigolo: questo, in geometria pura, è a punta e quindi senza larghezza, ma nel nostro caso è largo circa cinque metri –la dimensione di una stanza- nella quale, al piano terra, è ospitato un negozio di prodotti del Sud. Sulle due  facciate, perfettamente eguali, appare strana la distribuzione dei poggioli; mentre sulla colonna presso la punta, dove - come detto - è possibile una sola stanza,  al sesto, quarto e secondo piano, invece che una finestra c’è una porta-finestra, e in corrispondenza di esse non c’è alcun poggiolo.

via Bombrini - angolo con via Pacinotti

 

Perché metterci una porta-finestra? La curiosità a questo punto ci spinge ad esaminare più da vicino i poggioli delle due facciate: la lastra in pietra della pavimentazione in aggetto è sostenuta –dal di sotto- da quattro mensole in muratura, due presso gli estremi laterali, con accenno di motivo artistico ad ingentilirne la funzione statica, ma, all’interno della piuttosto ampia “luce” lasciata libera dalle due mensole più interne, ci sono altre due mensole in putrella di ferro, evidentemente estranee allo stile del caseggiato ed evidentemente aggiunte dopo, in rinforzo a quelle originarie. Questa stranezza ha una sua ragion d’essere e porta al dramma ivi verificatosi le sera del 30 maggio1952. In quel tempo, con le famiglie in casa, le lastre della pavimentazione del balcone del sesto piano –già sopravvissute indenni ai cinque anni di bombardamenti della guerra- improvvisamente si sono rotte sotto il peso dell’inquilina cinquantunenne, e sono precipitate sul balcone del quarto piano, e sul balcone del secondo piano, sfondandoli e facendo precipitare anch’essi. Al quarto piano, il ragazzo di 13 anni, e la sorella di 20, al frastuono che ritenevano provenire dalla strada, si sono precipitati sul balcone, così come sempre avevano fatto per osservare il mondo da quel loro palchetto di teatro privilegiato, ma hanno trovato il vuoto e –senza che i genitori nulla potessero fare- sono precipitati anch’essi sulle macerie del crollo, morendo sul colpo assieme alla prima signora. Enorme impressione suscitò la tragedia in tutta San Pier d’Arena, per la beffa del destino che li aveva risparmiato dalla guerra per farli poi morire in quel modo assurdo.

 

===civ. 2 Appena superato il portone, in fondo ad un corridoio l’ascensore; ma subito un vano scale caratteristico (vedi foto↓).

 

                                                           

civ. 2                                                                               civ. 5 

                                                           

===civ. 5 il portone possiede una decorazione molto semplice↑; ma importante tenuto conto che l’edificio era a destinazione operaia e quindi eretto al risparmio (senza terrazzi per esempio).

===civ 6,  ancora nel 1950 vi aveva sede la Dufour-Lepetit, di estratti tannici (mentre la ditta f.lli Dufour già  era a Borzoli).

===civ.7 nel 1950 si faceva presenza una ‘soc.an. Ligure Industriale Commerciale’ (fabbrica di glucosio, amido, ecc); e nel 1912 ci abitava lo scultore Tosi Onorato (vedi cimitero).

===civ.11 fu dato ad una nuova costruzione nel 1956, demolita nel lug.2000 assieme al civ. 7

===civ. 12 Nel giu 2008 vi è stato inaugurato dal sindaco Vincenzi un nuovo asilo nido chiamato “la fabbrica dei sogni”, realizzatpo da Coop7, gestito da peresonale del Comune e capace di ospitare 30 bambini. Si sviluppa su due piani; ha un terrazzo attrezzato a giochi; un cortile esterno.

===al civ.15 nel 1908 si apriva l’ Ansaldo Gio. e C., con telefono n. 905. iscritto nel Pagano 1908 alla voce ‘mettallurgia (Stabil di)’(sic)

===al civ. 28-29r. nel 1933 vi aveva sede la soc. Corale “Orfeonica, fondata  il 28 agosto 1908. Presidente era Mascellani Domenico. 

Nella stessa sede era  annesso il ‘Sindacato corale nazionale fascista corale’, sezione di Sampiedarena con segretario Tubino Attilio e D. Mascellani consigliere, che aveva lo scopo di fornire elementi corali lirici per i teatri del ponente, da San Pier d’Arena a Voltri e Pontedecimo, in special modo quindi, sia al Modena che al Politeama Sampierdarenese (nonché alle delegazioni vicine).

Al civ.29r, nel 1911 e 12, c’era una delle prime lavanderie a vapore della lana, di Allgeyer e C..

===procedendo verso ovest , dopo cento metri di strada tra case abitative e dopo l’incrocio con via Gaggini, c’era il fianco lungo, del rettangolo del  Meccanico (33.616 mq  prima che si espandesse), delimitante i laminatoi, i forni, le fucine, la vecchia torre, l’officina di modellatura e per ultimi gli uffici amministrativi che si aprivano in via Operai (Pagano/1908).

===civ.__*** ha sede l’ARPAL  (agenzia regionale per l’ambiente***

Tanti, e forse troppi, si riempiono la bocca parlando di ambiente e di salute. Pochi, troppo pochi sanno che qui da noi, a San Pier d’Arena, la Regione Liguria ha occupato un intero palazzo adibendolo a tutte le varie  “facce” del problema.

L’istituzione si apre in via Bombrini alla Fiumara e, nei vari piani possiede tutte le strutture, dirigenziali (regionali e provinciali), di laboratorio regionale (attrezzato alle più sofisticate analisi chimiche di ricerca: fumi, rumori, insetti, ecc.), di aggiornamento e cultura. Tutto relativo all’ambiente (comprendendovi inquinamento; sicurezza domestica; alimenti; storia naturalistica con parchi; animali domestici; clima; acqua nei suoi molteplici aspetti: potabilità, mare e balneazione, fiumi e laghi; fauna;  alimenti; stile di vita e scelte di consumo relative). Tra essi, anche il “Centro Cultura”   rivolto ai cittadini, con programmi che nell’anno passato, intitolandolo “R-estate Informati”,  hanno coinvolto circa 800 persone con conferenze, libri, manuali, riviste, documentari.

Nel prossimi tempi, ristrette le concessioni economiche, tali incontri saranno settimanali (il mercoledì), ma sempre improntate al trattamento dei vari temi, sempre legati alla salute ambientale.

 

    

posizione  primitiva della ciminiera                                  attuale, nell’atrio d’ingresso

 

DEDICATA a tutta la famiglia Bombrini, le cui origini genovesi  risalgono agli inizi del 1700.

DeLandolina la dedica solo a Carlo (è possibile, poiché era tipico, allora, dedicare le strade col semplice cognome: tipo via Garibaldi, via Cavour, ecc.). Il re Vittorio Emanuele III, con decreto “motu proprio”, nel 1932  offrì a CarloEmanuele Bombrini il titolo di marchese perché “per tre generazioni, essi erano riusciti a completare innumerevoli iniziative di interesse locale e nazionale, a vantaggio pubblico e del regno”. Però mi sembra chiaro che quando una targa non porta il nome ma solo il cognome, la dedica è a tutti i componenti della famiglia.

Dal 1747, l’Austria –succeduta alla Spagna nei diritti imperiali-, spadroneggia a Genova e dissangua le ultime risorse del Banco di s.Giorgio che tanta fortuna aveva portato alla città. Nel 1816, con l’annessione nel regno sabaudo, il Banco viene messo in liquidazione e muore. Con la retaurazione lo stato sabaudo si trovò privo di materie prime, e quindi nell’impossibilità di sviluppare iniziative industriali; le misure protezionistiche detrminarono un peggioramento bloccando le iniziative: sopratutti la Liguria che viveva di importazione ed esportazioni. Fortuna volle che Cavour se ne accorse, e poco alla volta mise in movimento la borghesia ravvedendo in essa il motore economico del futuro. La Banca di Genova nascerà nel 1843 sulla spinta di nobili personaggi, ma anche di borghesi arricchiti seppur privi di titoli nobiliari (ufficialmente sarà approvata il 16marzo1844 dopo 27 anni di  prove su nuovi sistemi internazionali di ‘sconti, crediti, conti correnti’, in particolare con la circolazione di un biglietto –un pagherò- rappresentativo del denaro). Su questo nuovo istituto, fondato da march. Raffaele DeFerrari duca di Galliera, march. Francesco Pallavicino, bar. Giuliano Cataldi, cav. Bartolomeo Parodi, Pellegro Rocca, Luigi Ricci, Lorenzo Berlingeri, Antonio Quartara, Carlo Alberti, viene posto a dirigerlo il giovane Carlo Bombrini –proveniente dal Banco Parodi- che per primo atto va in Francia per accordarsi sulla fabbricazione dei nuovi biglietti internazionali. Per lungo tempo sarà l’unica istituzione di credito esistente nello stato sabaudo e solo dopo 4 anni sarà in grado di  aiutare il Governo con un prestito di venti milioni di lire a superarele difficoltà in cui si trovò in seguito a guerre ed assestamento; ed obbligare Torino a creare la ‘Banca Nazionale Sarda’ fondendo la nostra con la meno rappresentata di Torino. Il nuovo istituto, con sede centrale a Genova, avrà come presidente Giacomo Oneto e come direttore generale il Bombrini ed entrerà in attività il 1 genn. 1850.

 

CARLO :    

   Nato a Davagna il 3 ott.1804 (Il padre, di nome Giovanni – o Gio Bartolomeo - era stato ufficiale della Repubblica Ligure e, dopo il 1815 dei regi Carabinieri sardi). Frequentò da giovane la casa di Mazzini (vantandosi di essere stato il più antico ed autentico mazziniano d’Italia);  si laureò in legge. 

   Di fronte alle continue e sempre più pressanti necessità popolari, in una Italia ancora incerta, appena nata ed incompleta (e con Genova coinvolta nei fermenti inquieti del periodo di fine-Napoleone, restaurazione, perdita della libertà repubblicana ed invisa  annessione al Piemonte; quindi espandersi ed esasperarsi delle idee mazziniane e di  ribellione ai Savoia), sostenne vivamente l’utilità di evitare soluzioni rivoluzionarie o comunque estreme contro la monarchia, e di favorire invece l’occupazione e la produzione: queste idee ottennero l’elogio pubblico di Cavour, con cui rimase sempre in intimi rapporti di lavoro (migliorati quando concretamente aiutò finanziariamente il governo, pagando parte delle spese per la guerra di Crimea, la quale al Cavour ed al regno permise ‘il salto di qualità’) e di amicizia ottenendo il suo bendisposto appoggio.

Si sposò con Carlotta Avanzini, di antica e ricca famiglia bogliaschina, avendo sette figli (Elena, Giulia, CarloMarcello, Anna, Giovanni, Candida, Raffaele)

   Si determinò così una rapida ascesa di carriera del giovane nell’ambito bancario, dove aveva iniziato dal nulla nella ditta bancaria genovese Bartolomeo Parodi & F..

 

  

A 40 anni, già era entrato nella sfera dirigenziale - facendo parte di un gruppo  che sarebbe divenuto il perno dell’economia cittadina e nazionale, la prima generazione imprenditoriale genovese (per ricordare: Rubattino, Penco, GB Lavarello, Antonio Oneto e Balduino) - è chiamato a dirigere la neonata Banca di Genova

Il glorioso Banco di s.Giorgio che da secoli ‘sponsorizzava’ la Repubblica, nel 1816 era stato liquidato dopo un lungo periodo di decadenza legata al dissanguamento degli occupanti stranieri. Nel 1834 nacque la necessità di sostituirlo con un sistema altrettanto efficiente e più moderno: a Genova idearono il primo organo finanziario italiano: la Banca di Genova, con 4milioni di capitale, nel palazzo Sauli di piazza Scuole Pie (fondatori il march. Raffaele DeFerrari, marc. Francesco Pallavicini, bar. Giuliano Cataldi, cav Bartolomeo Parodi, Pellegro Rocca, Luigi Ricci, Lorenzo Berlingeri, Antonio Quartara, Carlo Alberti) alla cui dirigenza fu insignito il giovane Carlo Bombrini. 

Nel 1859, in programma delle ingenti spese belliche che avrebbero dovuto essere spese dal governo torinese, promosse – e se ne assunse l’onere offrendo – diciamo illegalmente di sua iniziativa, nel senso della ovvia bancarotta in caso di sconfitta - tutta la riserva metallica che la Banca Nazionale aveva a disposizione: un grosso prestito (venti milioni di lire) a Cavour, salvandolo per gli eventi bellici contro l’Austria. Infatti si commenta che quando Vittorio Emanuele II pronunciò la famosa frase “non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi...” , non avrebbe potuto dirla, se non sapeva di avere le spalle finanziariamente coperte dal totale impegno finanziario (e per totale significava tutte le riserve auree della banca: se perdeva la guerra, sarebbe stato per Bombrini fallimento e reato di bancarotta totale). Ma ci fu Magenta il 4 giugno, la vittoria; e con essa non ci fu bisogno di toccare una lira della riserva aurea della banca; ma che rischio!

  La banca di Genova (sua caratteristica era il rapporto  tra l’imprenditore-padrone e tutta la gerarchia occupata, con interessamento e rapporto diretto tra essi. la cui carica direttoriale il Bombrini mantenne sino alla morte fondendo i capitali liguri con quelli piemontesi e lombardi, ed impegnandosi progressivamente nella finanza internazionale) si unì con la “Banca di Torino” e nel 1849 si chiamerà «Nazionale del Regno di Sardegna» con sede centrale a Genova e succursale a Torino; e poi infine «Banca d’Italia»; e per iniziative del direttore avrà interessi ed azioni di molte imprese industriali e commerciali, come l’ Ansaldo, fornendo a Penco, Rubattino ed Ansaldo, i mezzi per rilevare l’azienda metallurgica Taylor-Prandi (leggi sotto)Cassa del Commercio e dell’Industria, compagnia Transatlantica di navigazione, due società di assicurazione: Compagnia nuova generale e Compagnia Nazionale; della società per la costruzione della ferrovia Ge-Voltri (per questa ferrovia fu costituita il 2 ottobre 1852 – approvata il 27 novembre e concessa il 29 gennaio successivi - una società anonima a cui si concedeva costruirla e gestirla); nonché finanziando le prime guerre d’Indipendenza  contribuando a modo suo all’Unità della Nazione; e poi delle manifatture cotoniere di Cuorgné (1872); e tra i primi assicuratori con la Compagnia fondiaria di assicurazioni (1879)

    Dieci anni dopo, il 24 aprile 1856, con atto notarile, acquistò dalla march. Luisa Sauli  la villa genovese in zona s.Francesco d’Albaro detta ‘Paradiso’, per la somma di lire 50mila (comprensiva di “...piazza, villa vignativa, seminativa, fruttiva, olivata, piantata di moroni, con casa da colono e cantina fornita di vasi vinari ed altri attrezzi...”. Sicuramente la più bella della Liguria.).

   Assieme al Balduino affrontò con ammirevole destrezza i primi tentativi di credito bancario produttivo a livello nazionale, divenendo responsabile delle decisioni e della sorte di iniziative in un difficile -ed a volte “mortale”- rapporto tra finanziatori (in tutto il regno, solo una ventina), e la nascente industria; necessaria questa, ma incapace di dare garanzie solide e reali, di produzione e reintegro dei capitali impegnati.

     La funzione di collante, tra il mondo finanziario europeo e l’Italia in affanno pre e post unificazione, fu svolto dalle capacità imprenditoriali e finanziarie dei genovesi, dal duca di Galliera  e dal Domenico Balduino a Carlo Bombrini

   Alla fine, dai 4 milioni di capitale della banca di Genova nel 1844, il Bombrini aveva portato la Banca d’Italia ad avere 200 milioni di capitale e 31 di riserva.

   Sopratutto, per noi, dell’ Ansaldo: senza lui l’impresa sarebbe fallita miseramente come quella dei predecessori; intuì che dietro al programma finanziario, l’Italia aveva bisogno di uno sfogo ed autonomia in campo industriale, ricordando noi come i committenti scartavano a priori le ordinazioni in Italia e – per loro - era doveroso rivolgersi all’estero, sia in Inghilterra per le locomotive e navi da guerra, sia perfino in Svizzera per vapori per il lago di Garda  (il rilevamento degli impianti preesistenti della Filippo Taylor-Fortunato Prandi, venduti per insolvenza economica - in un periodo politico (la destra storica) in cui erano in programma interessi impiegati nella produzione agraria piuttosto che in quella dell’industria meccanica - e quindi ridivenuti proprietà dello Stato,  fu compiuto soprattutto con la garanzia dei capitali della banca  e poi mantenuto nel tempo con donazioni bancarie e la non richiesta degli interessi di vari milioni non corrisposti; l’azienda fu conservata praticamente da lui solo: Penco era morto nel 1854, Rubattino ricevuto l’indennizzo per il sequestro dei due piroscafi da parte dei Mille, si ritirò dal mestiere di armatore, Ansaldo era morto giovanissimo nel 1859.

Anche con ‘donazioni’ personali: risultano anticipati non dall’azienda ma attinti dal proprio patrimonio, ben 2milioni e 700mila lire che non furono restituiti- quando lo stipendio annuale di un professore era sulle 1500 lire.  Al momento della sua morte lo stabilimento navigava con l’enorme passivo di quasi 16 milioni, molto del quale investito in nuove attrezzature ed ampliamento: l’Ansaldo doveva in lire, al banchiere 2.708mila, a terzi 2.096mila, alla ‘banca Nazionale’ solo 7.484mila più 3.471.783 di interessi).

   Fu nominato senatore (15 nov.1871), e grande ufficiale dei ss. Maurizio e Lazzaro e della Corona d’ Italia. 

   Morì a Roma il 15 mar.1882, quando ancora ricopriva la carica di direttore della Banca Nazionale del regno.

   La sua salma -trasportata a Genova- fu tumulata nel Pantheon o Famedio a Staglieno dei genovesi illustri. Sulla lapide è scritto “ Carlo Bombrini / 1804-1882 // del genio costruttore della stirpe / fu rappresentante insigne // in tempi oscuri / intraprese fra i primi / il riscatto delle energie nazionali / fondando imprese finanziarie e metallurgiche / che furono baluardo / contro gli stranieri //  amò la Patria / tanto da offrire al suo ascendere / le proprie sostanze / esempio a un popolo destinato / a rinnovare l’impero”.

    Complesso ed articolato sarà un preciso giudizio su quest’uomo, che io non posso dare per motivi di cultura: valuto che fu bravissimo, coraggioso ed intraprendente quando diede sostegno  politico ed economico-bancario a Genova, a Cavour ed all’Italia; sostenendo le  ferrovie, i commerci e l’industria.  Può darsi che come tante persone ricche e geniali forse fosse anche un presuntuoso, egoista ed arrogante; comunque l’uomo giusto, nel punto giusto e nel momento giusto.

Ai miei occhi, meno felice appare la sua immagine quando, per fare quello che fece, per primo accettò quello che fu fatto a San Pier d’Arena: distruggere una storia millenaria ed un ambiente ancora a misura d’uomo. Permise che il borgo si trasformasse vorticosamente in una città, ma con la peggiore qualità ambientale pensabile, la “Manchester italiana”!: titolo regalato come se fosse un dono quando invece fu una delle più gravi fregature si potesse dare ad una località rivierasca. E poi a ruota Cornigliano, Sestri e Rivarolo. Il progresso,... visto da lui…Perché non lo iniziò sotto casa sua, in Albaro?…   

A negativo anche, aver lasciato ai  tre figli maschi che gli succedettero l’onere di riportare in attivo l’azienda Ansaldo lasciata in bilancio disastrato; ma fortunatamente per loro, a segno di postumo omaggio, la banca annullò il debito degli interessi  -in memoria di tutte le benemerenze che Carlo Bombrini aveva accreditato nella sua vita (mentre il capitale fu restituito per intero)-. Ottenuta la rinuncia degli eredi Rubattino e rilevate le quote delle famiglie Penco ed Ansaldo, furono i figli a gestire e trarre profitto dall’azienda,  coinvolti ma capaci nelle fluttuanti congiunture economiche dei tempi.

Carlo                 Giovanni

 

GIOVANNI  nato il 31 dic.1838 (la rivista Genova scrive il 21 dic);   fu dei tre figli maschi del sen Carlo, quello più intraprendente ed impegnato, e che ebbe maggior responsabilità nel proseguire la traccia paterna. A 18 anni si iscrisse alla scuola militare divenendo ufficiale di artiglieria: poté partecipare come ufficiale alle campagne d’Italia del 1860 e del 1866. Favorito da innata capacità imprenditoriale, sfruttando i tempi (maturi per numerose  e sostanziali innovazioni: navi costruite in ferro e non più in legno, con motori a vapore che faranno scomparire le vele; acquedotti; la marina militare in rinnovamento totale della flotta;   ferrovie in continua espansione con necessità di locomotive prodotte in patria e non comprate all’estero (violenta fu la reazione di V.Armirotti (1883) contro queste operazioni bancarie: dietro l’invito e le concessioni del governo per far maturare l’industria italiana a livello di mercato competitivo, in realtà le banche usufruivano dei capitali e  benefici per se stesse, continuando ad ordinare all’estero il materiale;… i banchieri, che dicono oggi una cosa e domani tutto il contrario e provano che 2+2 fa 5.. non sono persone a cui manca la scienza ma la coscienza… per essi la patria è la borsa, dio è l’oro e credono in quel bambino che uscendo dal grembo materno chiese ‘quanto per cento?’)), delle sue prime imprese ricordiamo la ‘Bombrini-Parodi-Delfino’ e la Ligure-Lombarda  (industria saccarifera, che sarà continuata da altro lungimirante Emilio Bruzzone). Con i suoi mezzi, garantì e finanziò la spedizione di Crimea.

Nel 1882  prese le redini delle imprese paterne, soprattutto la banca Nazionale e l’Ansaldo. In quest’ultimo, favorito da un condono di 16 milioni e mezzo di lire che erano a debito con la Banca Nazionale, e da un cambiamento della politica nazionale (adesso attenta allo sviluppo delle industrie meccaniche: erano state varate misure protezionistiche apposite, sgravando dazi doganali e ponendoli protezionistici, fornendo sovvenzioni e commissioni), comprò ed aprì la cantieristica navale a san Rocco (Livorno) ed acquistò (1886) il cantiere Cadenaccio a Sestri Ponente chiudendo definitivamente quelli di SPd’Arena (divenendo i più attivi concorrenti degli inglesi; ne ebbero beneficio i giapponesi che avevano fatto costruire due navi per la loro flotta e che poi impegnarono vittoriosamente nella guerra contro la Russia); portò gli stabilimenti siderurgici a   Campi con la creazione dello stabilimento Delta; suddivise  il  complesso  in  sette distinte attività (meccanico-cantieristico-metallurgico-fonderie, acciaierie-elettrotecnico-allestimento navale- officina riparazioni; a SPd’Arena rimase il «meccanico», con mille operai e 150 impiegati, tutti dediti alla produzione –in dieci anni- di 290 locomotive ed altri grandi macchinari); rafforzò stabilmente il mercato con l’estero; raddoppiò quasi il terreno occupato, creando un vero colosso industriale di importanza europea, il più vasto ed importante stabilimento meccanico del regno (con conseguente aumento massiccio di mano d’opera, e di conseguenza di indotto -tra cui le case). In sostanza fece dell’Ansaldo la prima officina in Europa, e le officine sampierdarenesi dedite all’esclusiva lavorazione delle costruzioni meccaniche (Ansaldo Meccanico).

Ovviamente aveva le redini di altre imprese; tra esse nel 1885 era fondatore e presidente di un’altra –non specificata- ‘società metallurgica’ che prosperò per soli 7 anni.

La costituzione di grandi società non più gestite dal singolo ma da complessi impieghi di capitale, sommato all’aumento della massa operaia portarono ad un distacco emotivo tra dirigenti ed operai, rapporto non più percepito come ‘famiglia propria’ ma divenuto di fredda utilizzazione reciproca.

   In giovane età, aveva sposato la marchesa Giovanna Carrega dalla quale ebbe il figlio Carlo.

   Nel dic.1890 il ministro della Marina, B.Brin propose il conferimento del laticlavio; il 27 luglio fu eletto a Tursi come consigliere comunale (ove coprì l’incarico sino al 1895); e poco dopo fu accolto tra i primi, nel neonato Ordine dei Cavalieri del Lavoro. Ebbe infine anche la Legion d’Onore ed il titolo di senatore del regno.

   Nel 1903, con i fratelli, lasciò la direzione dell’Ansaldo, dedicandosi ai lavori dell’Acquedotto Pugliese (opera di grande portata, in una terra sino ad allora detta ‘della sete’) e ferrovie salentine nel sud Italia; di una fabbrica di esplosivi (che divenne utilissima nel conflitto mondiale); e ad imprese agricole, industrializzandone alcune (tra cui fu amministratore della soc. Ligure Lombarda).

   Acquistò il quotidiano locale “il Secolo XIX”.

   Suo merito fu quindi aver portato l’industria navale e meccanica italiana al maggiore grado di efficienza, emancipazione ed indipendenza.

   Morì ad Arbora -frazione di Isola del Cantone- il 13 feb.1924 (la rivista Genova scrive che morì a villa Paradiso in Albaro, alla età di 86 anni).

 

  

CARLO MARCELLO, il secondogenito di Carlo, nato nel 1835, laureato in giurisprudenza. Aiutò Giovanni nella direzione amministrativa dell’Ansaldo; partecipò pure nel 1888alle elezioni amministrative locali.  Di carattere forte, integrità morale altissima, era garanzia  di serietà  e tenacia. Sposò Maria Ageno, nobile genovese.

Il progressivo deterioramento dei rapporti col fratello maggiore, favorì nel 1904 il suo ritiro dalla azienda, il mutamento in Ansaldo-Armstrong e conseguentemente l’ascesa - nell’amministrazione dell’Ansaldo - di Ferdinando M. Perrone, suo caro e fraterno amico.

Morì, dopo lungo e lento declino, nella tarda sera del 16 lug. 1909  nel palazzo Bombrini in san Francesco d’Albaro.

 

RAFFAELE, (Genova,21 genn.1842-29 marzo 1926)

Terzogenito (dei maschi; ultimo dei sette figli di Carlo e di Carlotta Avanzini).

Sposo di Carina Gamba, al suo matrimonio ricevette dal padre una somma – eguale a quella degli altri fratelli – di 300mila lire in rendita del 5% (normale patrimonio per un agiato borghese), più 1/18 dell’Ansaldo e la bella villa a Bogliasco (appartenuta al bisnonno materno Carlo Avanzini).

Nel 1902 preferì  cedere al Perrone un terzo dei titoli di proprietà dell’Ansaldo (mentre l’azienda diventava Ansaldo-Armstrong ed esordiva sui mercati del Sudamerica; se pur lui rimanendo ancora socio dell’azienda per un certo periodo); e porre attenzione sia ai suoi possedimenti agricoli. Subì un pesante crack economico notevole quando nel 1904 investì i milioni ricevuti dalla cessione Ansaldo in una ‘soc.Ligure Ramifera’ (miniere, fonderie e fabbriche di tubi) che fallì nel 1907 e liquidata nel 1911.  

Nel 1895 partecipò alle elezioni amministrative comunale nelle liste di un Comitato Liberale, quale consigliere ed assessore comunale; candidandosi nel collegio di Sampierdarena. Divenne eletto deputato al Parlamento nelle legislazioni 1895 e 1897 (quest’ultima elezione, a scapito di V.Armirotti).  

Proficuamente presente a Bogliasco nel primo decennio del secolo (per l’asilo, e per l’acquedotto).   Fu oggetto di particolari ringraziamenti da parte di don Daste per una lauta offerta alla casa della Divina Provvidenza. Fu nominato pure commendatore della corona.    Morì a Bogliasco.

Fu nonno materno dell’aviatrice Carina Massone in Negrone, marchesa, pioniera del volo (e, prima, anche nella guida di motocicli), avendo conseguito il brevetto di pilota nel 1933 a 22  anni e divenuta più volte primatista mondiale.

 

 

CARLO RAFFAELE  (21 ott.1885-29 mar.1959),  fu figlio di Giovanni. Titolato marchese, si laureò in legge; partecipò come soldato semplice di artiglieria alla prima guerra mondiale distinguendosi con una medaglia d’argento al VM, e fu congedato tenente.

Dedicandosi alle industrie paterne, impresse nuovo impulso, elevando ulteriormente il prestigio dell’ Ansaldo;  divenne anche direttore di varie altre imprese (soc. Bari Locorotondo; fondò la soc. Libel, concessionaria di importanti lavori di bonifica nelle terre del sud), curando soprattutto il settore ferroviario del sud Italia (diresse le  Ferrovie Salentine  e nel 1932 riunì le ferrovie nel forte gruppo detto di Sud-Est). Fu due volte eletto deputato per la Liguria al parlamento nazionale fascista (1922); ricevette una medaglia d’oro di benemerenza (per una grossa raccolta comprendente oltre 1200 pietre e minerali raccolti in tutto il mondo, nonché 200 fossili; nel 1924 essa venne donata alla scuola elementare Anton Giulio Brignole Sale, in Albaro. Il materiale, iniziato a raccolta da Marcello Durazzo che visse nella seconda metà del 1700, pervenne ai Bombrini quando -dopo vari passaggi di proprietà- divennero padroni della sua villa corniglianese. Il museo fu intitolato al padre, sen. Giovanni);  la “Commenda delle Corona d’Italia”; divenne marchese per nomina diretta e “motu proprio” del re;  fu eletto podestà di Genova per due quadrienni, dal 7 set.1933 al 20 mar.1941, avendo aderito al fascismo (furono gli anni di apertura di via A.Cantore e via F.Avio).  Nell’assumere l’impegno l’11 novembre 1933, fece affiggere un manifesto «Genovesi! Nell’assumere l’ufficio che S.E. il Capo del Governo ha voluto affidarmi, erivolgo a tutta la cittadinanza il mio fervido saluto di genovese e di fascista... Il tempo e il costume fascista dissentono dalla vuota eloquenza. Esigono silenzioso fervore di opere; severa tutela del pubblico erario; serena giustizia per tutti coloro che intendono rettamente – di fronte allo Stato o al Comune – il necessario equilibrio del (sic) diritti e dei doveri. A questi principi impronterò la mia opera di Podestà, sicuro di poter contare sul consenso e sulla disciplina di Genova, a nessuno seconda nel «credere, obbedire, combattere»: agli ordini di Sua Maestà il Re, del Duce, per l’Italia fascista.» e nel giro cittadino svolto per deporre una corona ai ‘martiri fascisti’ venne a SPdArena per Egidio Mazzucco (sulla rivista Genova chiamato Massucco).

 

CARLO

A metà gennaio 2002 morì a solo 47 anni il marchese Carlo Bombrini, penultimo esponente della nota famiglia (era direttore generale delle ferrovie  e residente a Roma); le ceneri sono stata tumulate in Staglieno nella tomba di famiglia.

 

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