ARTICOLI PUBBLICATI SUL BOLLETTINO DELLA A COMPAGNA

 

N. 2/2003  a pag. 14 :   Soprannomi o nomiägi o sorviannommi      allegato  1

N. 3/2005  a pag.   4 :   Torri medievali in San Pier dArena               “           2

N. 1/2007  a pag.   9 :   San Zorzo     ...........................................          “           3

N. 3/2007  a pag.   5 :   Le Torri delle ville cinquecentesche   ..                     4

N. 3/2008  a pag.  8  :   E antighe stradde pasavan pe  SPd’Ænn-a   “           5    

N. 4/2008  a pag. 13 :   o zibaldon minô de-e riflescioin   ................             6   

N. 1/2009  a pag.   6 :   Onofrio Scassi .........................................         “          7  

N. 2/2009  a pag.   6 :   Vincenzo Gonzaga e PP Rubens a SPdA..     “           8

N. 3/2009  a pag.   2 :   a Fondaçion Labò ......................................                9

N. 3/2010  a pag.  11:   i Griffi – a seu stöia ..................................      “         10

N. 4/2010  a pag.   6 :   o Griffo a Zena .........................................      “         11

N. 1/2011  a pag.   8 :   o Griffo in Compagna .............................       “         12

N. 4/2011  a pag.  4 :   o confaon do 1923 ....................................        “        13   

 

 

 

                                                   

ALLEGATO 1

firmato babacata = da un quartetto (baglini, bampi, capacci, tardito - manca Renzo Cardo,

deceduto poco prima) che aveva iniziato a presentare nelle scuole medie il genovese.

 

ALLEGATO 2  -  TORRI MEDIEVALI in S.P.d’Arena .

Se possedeste dei bellissimi diamanti, li terreste liberamente in bella mostra alla vista e disponibilità di tutti? Non di certo: presumo ben chiusi in cassaforte, goduti dalla vista di pochissimi.  Così  fa la mia San Pier d’Arena; o meglio, fan fare. L’interessante è che ne ha più d’uno di questi gioielli; e quelli che vado a descrivere non sono il primo in bellezza ed importanza -vi lascio nella curiosità-,  ma i secondi. Infatti,  così classificherei le ‘torri saracene’ che più o meno da mille anni stanno erette nella delegazione,  ma nascoste, invisibili e soprattutto sconosciute. Barozzi nel 1977 scrisse (cito a memoria)* “ringraziamo il fato che,   nascondendole,  ha salvato questi lembi di mondo medievale, e  così paradossalmente di averle protette e nascoste all’ingordigia ed insulsità speculativa”.

Però è altrettanto chiaro che lasciandole a sé,  non essendo come i diamanti, vanno incontro a disastroso e colpevole deterioramento. I tempi delle capacità di valorizzazione, oggi -se non sono maturi economicamente e lo saranno mai sotto questo profilo- lo sono sotto quello culturale disinteressato dalle normali bassezze umane e sotto quello legato alla recente esperienza dei ricuperi. Penso che un reperto tale superi gli  interessi locali e coinvolga la cultura nazionale ed internazionale perché ne esistono poche nel mondo: io posso solo evidenziare il problema e sperare che chi competente metta la sua parola e la sua capacità scientifica a sostegno della salvaguardia. 

   A complemento delle prime righe, giudico primo gioiello in assoluto, pezzo unico e più antico della Liguria, la chiesuola di sant’Agostino nella chiesa della Cella, con mille e più anni di storia. Ma questo è un altro tema.

   Nel primo medioevo,  quando la vita  aveva una misura totalmente diversa dalla attuale ed era condizionata dalla natura bizzarra, dalle esigenze egoistiche dei potenti,  nonché dalle malattie, carestie ed invasioni di predoni,  San Pier d’Arena era una borgata di poche centinaia di anime, pescatori e contadini, che per spirito definiamolo ribelle, avevano scelto vivere fuori dalla protezione delle mura della città, usufruendo di quella meravigliosa spiaggia dorata lunga oltre un chilometro, che dal colle –poi chiamato di san Benigno- arrivava al torrente Polcevera.    Quando Magone, fratello di Annibale,  mise a sacco Genova probabilmente gli sparuti abitanti delle spiagge lontane dal borgo poco interessarono i predatori per la scarsezza di bottino  da ricuperare; ma quando nell’anno 935 Genova subì l’assedio,  il saccheggio e la strage dei cittadini per opera dei saraceni, è pensabile che anche le poche centinaia di anime che vivevano già abbastanza ben organizzati il borgo di San Pier d’Arena,  furono direttamente coinvolti ed anch’essi stravolti. Si lavora di fantasia, ma è intuibile che da questo luttuoso evento,   mentre i cittadini genovesi eressero un secondo ampliamento delle mura (anno 956),   gli abitanti del borgo  appresero sulla propria pelle che il mare –oltre che fonte di vita e del naturale pericolo delle tempeste- poteva essere anche fonte di terrore.

   Sui  ‘Libri Iurium’ della Repubblica di Genova, si legge una ordinanza (che si decide farla  risalire al 1139)  per l’assegnazione dei servizi di guardia agli abitanti di alcuni sobborghi e vallate contigue alla città di Genova. Per il borgo, -in latino comprensibile anche a chi non lo ha studiato- sta scritto: “ Homines  Sancti Petri Arene qui soliti sunt facere guardiam, debent eandem guardiam facere  … “.  La guardia era sia di avvistamento diurno del mare: amici o nemici praticamente tutto avveniva per via marittima, o anche di difesa interna in epoca che tra guelfi e ghibellini il sangue scorreva abbondante. Ma l’allineamento alla spiaggia di queste torri,  fa presumere prevalente un meccanismo di difesa dal mare.

   Considerato quelle rimaste, e valutando lo spazio tra esse e la lunghezza della spiaggia, dovevano essere  sette. Ne sono rimaste tre e mezza, abbandonate a se stesse o affidate a privati; seppur dal 1934 tutelate dalla ‘Soprintendenza per i beni Architettonici e per il paesaggio della Liguria’.  

TORRE detta DEL  LABIRINTO  :     La zona resta inclusa tra via Pietro Chiesa e piazza N.Barabino; dalla piazza la torre è a tutti visibile nella sua sommità,  ma di scorcio. Da vicino,  è accessibile solo attraversando un archivolto privato, da via P.Chiesa civ.17. L’ingresso alla torre è sopraelevato e raggiungibile  con una scala esterna ancora ben conservata. Il piano terra ha un soffitto a volta; i piani superiori –accessibili tramite scala interna- sono indipendenti e mirati a salire sino al coronamento.

   Alta una ventina di metri,  subì un grossolano ristrutturamento verso la fine del XVI secolo, per adattarla ad uso abitativo: in particolare furono aperte delle finestrature sui fianchi e fu modificato il terrazzamento apicale;  presumibilmente una campana svolgeva il ruolo di allarme e segnalazione.   Alla fine del ‘700,  una planimetria descrive la lottizzazione dei terreni del borgo, orti con vigne e frutteti ancora appartenenti alla nobiltà albergata nelle ville; ed a  mare, case dei manenti e di nuove forme di reddito, come artigiani e depositi .   Nelle mappe del 1841 la torre è rilevabile nei terreni a levante del rio proveniente da san Bartolomeo,  nella proprietà del marchese GioBatta DeNegri ai limiti con la proprietà dei Balleydier.    Oggi appare esternamente in estremo grado di deterioramento ed essendo chiusa non ci è stato possibile un controllo interno.

Si descrive che l’uso privato non ha ritoccato l’esterno e  che viene usata a magazzino.

  Alla sua base si possono  vedere gli anelli a cui venivano legate le  imbarcazioni  alla rada. Oggi il mare dista oltre mezzo chilometro da essa.

  Tutto attorno, il tessuto assai curioso ma svilito, degradato ed inaccessibile del Labirinto, anche lui meritevole di migliore sorte.

TORRE detta DEI FRATI :  è visibile nel retro del civ. 10 di via Buranello, del civ. 2 di vico Raffetto; ufficialmente accessibile dal civ. 17 di via S.P.d’Arena.     Appare  composta  di mattoni pieni;  un baluardo  quadrato,  parzialmente staccato dal contesto perché hanno appoggiato da due lati le case attorno: la sua faccia a ponente è  stata tappata dalla facciata di un palazzo,  messa in direzione trasversa e che la sovrasta di un piano abitativo. Un secondo lato,  quello a sud, è tappato per metà altezza  da un’altra facciata –anch’essa opposta- che arriva sino al terzo piano di altezza. Il fastigio  in alto è a terrazzo ‘a sbalzo‘, con ben conservati beccatelli in basso;  raggiunge il 5°  piano delle case  che la attorniano e nascondono.

  Anch’essa era nata sul litorale,   e quindi –lambita dalle onde- ai suoi piedi i pescatori ormeggiavano le barche.   Pare possedesse  una campana di allarme. Si descrive un utilizzo antico guerriero;  e, nei tempi, anche di prigione e di clausura.

  Nel 1847 apparirebbe inclusa nei terreni appartenuti agli eredi del capitano Bavastro. Oggi è anch’essa d’uso privato, a me  sconosciuto.

TORRE  detta DEL  CANTO   Oggi  è immersa nella riedificazione del territorio della Fiumara.Visibile da via Bombrini  e –anche da lontano ma per poco perché verrà nascosta dall’ultimo grattacielo che si sta erigendo- da via Pacinotti.

   Col  Rinascimento,  due appaiono le prospettive di successiva appartenenza: una fu la villa Grimaldi Cattaneo, costruita  nel XVI secolo;  ma rispetto essa, la torre è abnormemente all’interno,  ovvero la villa è più a mare della torre. Oppure potrebbe rientrare nei terreni appartenti ad una villa che in un contratto di acquisto dell’Ansaldo effettuato nel 1915 è descritta come  “palazzo di antica costruzione“. Non è specificabile perché l’Ansaldo rase al suolo,  tutto e subito, tranne la torre riutilizzabile industrialmente come montacarichi.

   Appare la più alta di tutte: si staglia per altezza sugli attuali opifici che la attorniano,  eretti così a filo diretto di facciata da  farle perdere l’individualità estetica e funzionale.

   Sono rilevabili i beccatelli che ne reggono il fastigio e la svasatura della sommità: sono le uniche cose che la evidenziano nella facciata generale dell’opificio; la finestra a due terzi del corpo,  è di epoca industriale.

   TORRE detta DEL CASTELLO  Nella marina di fianco alla chiesa della Cella, nella prossimità dell’insenatura che c’era e sede di approdo di triremi e galee, su un naturale basamento roccioso,  fu costruita una torre, presumibilmente eguale alle altre, a mattoni pieni e solidamente quadrata.

   Nel 1852 essa fu parzialmente demolita dall’architetto A.Scaniglia quando realizzò il progetto del palazzo municipale (non inglobata, perché non è stato descritto nessun ritrovamento internamente ai muri).

   Di essa, restano visibili le vestigia che cerchiamo nella base di un fabbricato posto a metà della facciata che si estende a mare: esiste, in avanzato, una muratura  che appare utilizzare e sfruttare per sopraelevarsi un basamento  preesistente, che possiede un cordolo di modanatura a toro, all’altezza di due metri da terra ed ha la base svasata a scarpa.

  Il commento a caldo, è -ovviamente- un lamento:  qualsiasi amministratore civico possedesse reperti di questa misura, farebbe il diavolo a quattro per salvaguardarli e poi soprattutto evidenziarli e menarsene vanto: sono vestigia  medioevali  locali che dovrebbero fare gola, specie nella proiezione della storia di una ‘città della cultura’, ed invece sono state volutamente ignorate. San Pier d’Arena stessa, etnicamente caotizzata dall’immigrazione di secoli, non solo ignora ma  non le avverte come “radici”. Tutto concorda,  perché vada avanti finché dura.

   Considerati i tempi costantemente dominati dalla legge del bilancio, come giustamente scriveva il Barozzi, forse è meglio così : se fossero esposte, troveremmo senz’altro lo speculatore che proporrebbe di abbatterle per fare attorno dei posteggi. Ma, quando ci saranno i soldi? Mai. Vorrei conoscere cognome e nome di un eventuale responsabile.

EBaglini.

Bibliografia  :

==Archivio dell’Ansaldo. Cartella  296 della gestione immobili.

==AA.VV-Le ville del genovesato-Valenti-1986-vol.IV

==AA.VV-Catalogo delle Ville Genovesi-Italia Nostra-1967

==AA.VV.-I castelli della Liguria-Mondani.1974.vol.II-pag.555.559

==Avena+Bonacasa-Tesi di laurea –1999-L’isolato del Labirinto.

==Belgrano LT-il registro della Curia arcivesc.-SocLigStP.1873-vol.II/I

==Barozzi  -La Casana  n°3/77-pag. 40

==Gazzettino Sampierdarenese : 3/76-pag.8  +  1/78-pag. 4  +  9/88-pag. 21 +   5/91-pag.3  +   2/92-pag.3  +  5/01-pag.7 

==Genova –rivista municipale : 4/28-pag.214  +  4/37-pag. 9

==Guide di Genova Sagep : n° 27  +  n° 70

==Il Secolo XIX :  del 3/10.2000

==Libri Iurium della Repubblica Genovese -Soc. Ligure.Storia Patria-Vol.I/1-1992-pag.11

==Novella P.-Sampierdarena- manoscritto.1928 circa -pag.5

==Tuvo T-SPd’A Come eravamo-Mondani-pag.143,147,164,da 168 a 172, da 174 a 177.

==Tuvo T-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag.157,163,172foto

ALLEGATO 3 - SAN ZÒRZO –

pubblicato sul n.1/2007 a pag. 9

Semmo davei in pöchi a avei ancon san Zòrzo, quæ referente in çê.

Tanti son i boy scouts (i esploratoî), tra i quæ tanti de viätri, che avian fæto esperiensa da bagarilli, da figgeu ò da ciù grendi (inti rover, e MASCI). Pe loiatri, diggo ch'o l'é stæto o mìtico ingleise BP (pe chi no l’ha mai sentîo nominâ, o l’é o fondatô de l’associassion internassionale, generale Robert Smith Stephenson Baden Powell, a-o quæ San Pê d’Ænn-a a gh'ha intitolòu 'na stradda) ch'o l'ha vosciûo o santo cavaliere pe protettô e pe indicâ che o scout inte tutte e epoche o deve de longo ese un servitô de Dio e di òmmi, de tutte e rasse e colori, con un stile ben preciso. Òua i tempi son ben ben cangiæ da quande o BP o l'ha dettòu e regole, e noiatri vegetti rantegosi pöco se reconoscemmo inti neuvi zoeni, ch'han un mòddo de vestîse ciù perdibraghe o comme diàscoa voei dîghe (òua no se ciamman ciù ASCI, ma AGESCI perché son 'na comunitæ mista... mascci e figge; a-i mæ tempi...). Però, inte tutto o mondo sempre restan fedeli a-a mæxima Lezze, Promissa e a-o nòstro san Zòrzo.

 Anche into Porto, tutto o palassio da ciassa Caregamento o parla do nòstro Santo, ch'o l’é stæto e o l'aresta o protettô di traffeghi di zeneixi: poei veddilo raffiguròu inte tutte e miage.

 Into Comun, fòscia pe-a coæ de ese laici o ciù poscibile, i neuvi duxi e dirigenti no sentan o beseugno de tegnî pubbliche e tradissioin, comme se a fede a fise un partîo polìtico, e no promeuvan ciù manifestassoin esterne pe ricordâlo a-i neuvi vegnûi e pe dî che San Zòrzo - ch'o piaxe o ch'o no piaxe - o l’é stæto quello che into sò nomme Zena – e perciò tutti noiatri – a l'é vegnûa grande into mondo.

All’Elsag, nomme ch'o veu dî ‘Elettronica san Giorgio’, inte un di urtimi numeri da rivista interna, han scrito a stöia do Santo; e l’artìcolo o finisce pregandolo ch'o ne mande ancon do bon.

Sò che tante associassioin, ordini, attivitæ commerciali han o nomme do Santo, compreiso 'na Banca locale, ma no sò se promeuvan quarche idea ch'a segge collegâ a-o sò nomme. A noiatri da Compagna, no n'han mai dîto ninte.

 O Santo o veu veddine de longo in gamba: quindi a tutte e etæ, sempre ‘avanti, pe San Zòrzo!’. E pe noiatri da Compagna, lettoî do Bolletin, che da bravi zeneixi semmo ätrettanto bravi a mogognâ, saiâ interessante vedde in quanti saiemo presenti a-a cerimonia e a-a Messa promòssa da-a nòstra Associasion, o 23 d'arvî, inta gexa de San Zòrzo.

 

ALLEGATO 4 – Le torri delle ville cinquecentesche di San Pier d’Arena

Alla pari delle più vecchie, tipicamente medievali, anche queste – dopo circa quattrocentosessant’anni - hanno ancora non definita interpretazione funzionale: vedetta o difesa.

Purtroppo, negli ultimi centocinquant’anni il tessuto edilizio urbano, privo di un piano edilizio preciso, ha ‘ingabbiato’ tutte le ville cinquecentesche in modo tale da far perdere loro qualsiasi minima dignità di essere tali, falsando l’identità e funzione. La fame di alloggi causata  dall’immigrazione a sua volta legata all’espandersi dei grossi opifici, mandò fuori senno i dirigenti comunali i quali, se hanno il merito di lungimirante acquisto di molte di esse (quelle private sono state quasi tutte inesorabilmente abbattute), eppure consentirono di creare un alveare di case così  fittamente affiancato o addirittura appoggiato -al punto che laddove erano giardini ed orti definiti ‘di prima categoria’ , ora non c’è più nemmeno un filo d’erba- poiché ogni millimetro è stato rosicchiato da abitazioni e fabbriche, limitanti stradine più  simili a vicoli.  Per un vivere non a misura d’uomo ma in schiavitù dell’industria.   

La prima torre, visibile arrivando da Genova in sopraelevata, è quella della villa  NEGRONE - Moro - vie  Pedemonte, Dottesio -caratterizzata dalla forma ottagonale che la rende unica; era posta nella parte nord del giardino in linea con la strada che portava all’ abbazia di san Bartolomeo. Successive costruzioni abitative ottocentesche l’hanno staccata dall’insieme naturale inglobandola in una entità urbanistica totalmente falsata. Alcuni studiosi contestano che essa sia cinquecentesca come la villa, ma l’interpretazione della sua presenza, per loro, finisce lì. Allora, senz’altro più nobile e sicura è quella posta sul tetto di villa SPINOLA di san Pietro; appare solidamente quadrata, con apice svasato ed una copertura globale del piano a tetto.  Tutta la villa, una delle più belle ed affrescate di Genova, è soffocata dalle costruzioni ad immediato ridosso.  Come la torretta, c’è, ma nessuno la vede.

Decisamente più visibile e bella,  la torre affiancata alla villa DORIA-Franzoniane.

La sua struttura lascia pensare che possa essere preesistente alla villa e quindi  quattrocentesca.  In basso è unita alla costruzione abitativa tramite un breve corpo fatto ad archivolto; nel fondo c’è un bagno, a forma ottagonale, alle cui pareti si aprono pregevoli nicchie a conchiglia; vicino, la cisterna dell’acqua. Nell’interno una bella scala a due rampe, con le volta a crociera , porta nella sua parte apicale  caratterizzata da un coronamento con forte  sbalzo e beccatelli ben conservati.

Altrettanto vale per la torre detta  dell’ OSPEDALE  perché visibile di fronte al nosocomio; massiccia e isolata, essendo stata distrutta la villa che nella carta vinzoniana del 1757 apparteneva al sig. duca Spinola della Molfetta.  Sul suo sedime fu costruita un’altra villa, e dopo essa, un grattacielo.

Altrettanto bella, restaurata ad abitazione nell’anno 1999, la torre di villa  SERRA–Monticelli  visibile da via don Daste, all’angolo con via della Cella decorata dalla famiglia Calvi. L’esterno ha conservato l’antica struttura con mensoloni sporgenti, su cui si appoggia il cornicione di coronamento. Anche questa villa, e fors’anche la torre, appare costruita sul sedime di strutture quattrocentesche.

Ben visibile da piazza Montano, la torre affiancata a villa CENTURIONE-Carpaneto. 

Spicca maestosa sulla costruzione della villa (affrescata  da Bernardo Strozzi), apparendo più antica di essa: meglio visibile da via C.Rolando ove l’intera facciata del palazzo appare stranamente irregolare (per vari motivi, tra i quali la base della torre che essendo lievemente sporgente rispetto al corpo della villa lascia presupporre sia stata anch’essa eretta su una struttura fortificata antecedente).   Dalla torre, tra i beccatelli del coronamento si evidenziano le botole esterne ad uso difesa in caso di assedio. Internamente il pavimento in legno, è ancor ben conservato.  In realtà due erano le torri a corredo di questa villa, esistendone un’altra, più recente ma poi abbattuta, posta all’estremo sud dell’ala di levante; rotonda e con torretta merlata.

Non ultima da ammirare la torre che rimane da sola dopo la demolizione della villa  di Domenico SPINOLA. È  visibile di fronte all’istituto don Bosco. Oggi, inglobata nella costruzione moderna adiacente è notabile solo per i robusti mensoloni che coronano l’apice e per la base allargata a sbalzo, che si snellisce alzandosi.

Invece, le ville IMPERIALE-Scassi, GRIMALDI detta ‘la Fortezza’, LERCARI detta ‘la Semplicità’, CROSA, GRIMALDI di Geraci, GRIMALDI (affrescata da Andrea Ansaldo), CENTURIONE del Monastero, SERRA-Masnata e molte altre erette nel XVI secolo, non  hanno una torre.  Che io sappia, nessuno studioso storico ci ha spiegato né si è chiesto il perché.   

Per la villa Imperiale – esiste una costruzione - posta a ponente a metà giardino e che viene usata come deposito per giardinieri – che potrebbe essere stata la torre: sia per la forma tozza ma massiccia, sia perché - come un bastione - è posta fuori del muro di cinta, sia per l’esistenza di una costruzione al lato opposto, a levante, più adatta allo scopo di magazzino.

In conclusione, interessante quesito si  apre per gli studiosi ed architetti: la reale funzione di queste torri, alcune assenti presso importanti abitazioni del tempo; altre   

massicce ed isolate rispetto la villa, altre collocate sul tetto (queste ultime, condizionarono l’architettura delle case fino ai primi del secolo scorso ritrovando nel tessuto urbano locale numerose case munite di torretta: più evidenti quelle ove hanno sede le mitiche società Universale e Croce d’Oro, un palazzotto di via Gioberti, la Buranello di salita Belvedere; ultimi residui di uno stile soppiantato da ben altre torri svettanti verso il cielo, rappresentate dai grattacieli moderni degli anni attuali).

L’ipotesi che porgo, e che mi appare più logica, è che le  torri, da posizione di avvistamento antisaraceno con carattere comunitario (come le medievali), siano poi state affiancate alle prime case signorili nel XIV-XV secolo sia per avvistamento che difesa a fronte delle lotte civili che insanguinarono la città;  tali però da poter essere abbandonate per cessato bisogno,  nel secolo XVI alla costruzione delle grandi ville. E pertanto, possiamo suffragare l’ipotesi che quelle ville che possiedono una torre a corpo isolato, hanno fondamenta precedenti al secolo delle ville, quando gli abitanti erano impegnati sul fronte delle guerre civili: infatti, per queste diatribe, molto sangue fu versato anche nelle strade del borgo di San Pier d’Arena.

TORRETTA DELLA VILLA  GRIMALDI  (DEI CARABINIERI)   (foto)

Visibile da corso Belvedere

Inglobata in due grossi caseggiati costruiti nell’ottocento a levante della villa .

Conserva il corpo quadrato, con muri assai spessi . Dal basso si vede solo  il fastigio che appare come un grosso terrazzo quadrato (al sommo un semplice parapetto piatto ed un piccolo gocciolatoio , la farebbero facilmente scambiabile con una banale terrazza se non se ne conosce l’esistenza .

Appare mutilata in altezza; sopra hanno posto una potente ed alta antenna radio 

TORRI E TORRETTE  di fine ottocento , primi anni del 1900

TORRE DEI PALLINI    (foto)

Esisteva sino ad alcuni anni fa quando fu decapitata poco prima che compisse i cento anni dopo i quali  sarebbe divenuta monumento intoccabile, ma -si dice- di difficile gestione economica .

Il troncone è visibile solo penetrando nel privato di via P.Reti .

Serviva per far precipitare dall’alto il piombo fuso su un setaccio che formava le ‘gocce’ ; queste raffreddandosi nella caduta e trattenute in ultimo dentro una grossa cisterna d’acqua , divenivano pallini da cartucce, volutamente con forma ovoidale per meglio attraversare l’aria .

TORRETTA  DEL PALAZZO DELLA SOCIETA’UNIVERSALE  (foto)

E’ visibile da piazza Vittorio Veneto- piazza Modena.

Fu eretta assieme alla casa , nei primi anni del 1900 .

Assieme alle prossime , appartiene ad uno stile architettonico sopravissuto solo quale decorativo e ripreso da caratteristiche antiche. Infatti  non hanno storia particolare; e  presumibilmente fanno parte di una mentalità  in estinzione negli stessi anni di erezione del palazzo, a vantaggio di una maggiore praticità sull’estetica.

TORRETTA  DEL PALAZZO DELLA ‘CROCE D’ORO’ AMBULANZE  (foto) 

TORRETTA  DEL CIV. 7 DI VIA GIOBERTI  (foto)

 TORRETTA DEL VILLINO  MEDA-BOCCALATTE  E PALAZZINA GIUNSELLA in salita Belvedere , in ambedue con funzione come belvedere e copertura del vano scala . 

LE TORRI DEL 2000

Sono rappresentate dai grattacieli eretti nella delegazione: da quello in via GB Monti, a quello in via GB.Botteri, quello di via A.Cantore,  tutti quelli del  complesso chiamato di san Benigno ( il WTC, la torre Schipping, la torre Ovest, la torre del CAP, la torre della Finanza*****)

Bibliografia  :

==Archivio dell’Ansaldo. Cartella  296 della gestione immobili.

==AA.VV-Le ville del genovesato-Valenti-1986-vol.IV

==AA:VV-Catalogo delle Ville Genovesi-Italia Nostra-1967

==AA.VV.-I castelli della Liguria-Mondani.1974.vol.II.pag.555.559

==Avena+Bonacasa-Tesi di laurea –1999-isolato del Labirinto

==Belgrano LT-il registro della Curia arcivesc.-SocLigStP.1873-vol.II/I

==La Casana  n°3/77 pag. 40

==Foto della Sovraintendenza beni ambientali della Liguria

==Gazzettino Sampierdarenese : 3/76 pag.8  +  1/78 pag. 4  +  9/88 pag. 21                                  +   5/91 pag.3  +   2/92 pag.3  +  5/01 pag.7  + 

==Genova –rivista municipale : 4/28 pag.214  +  4/37 pag. 9

==Guide di Genova Sagep : n° 27  +  n° 70

==Il Secolo XIX  :  del 3/10.2000

==Libri Iurium della R. G.-Soc.Lig.St.Patria-Vol.I/1-1992-pag.11

==Novella P.-Sampierdarena- manoscritto.1928-pag.5

==Tuvo T-SPd’A Come eravamo-Mondani-pag.143,147,164,da 168 a 172, da 174 a 177.

==Tuvo T-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag.157,163,172foto

 

ALLEGATO 5   E antighe stradde, passavan pe San Pê d'Ænn-a?

Inte l'affrontâ stô tema, devo antiçipâ che son profondamente sconcertòu da-o fæto che, inta pratica, gh'é ben ben di studiosi che no credan che ghe fose 'na stradda romana e quindi dubitan de l'òrigine do borgo inte quell'epoca; inte tutti i libbri ch'o lezuo, nisciun ne parla: comme s'o fose un problema into quæ siaieva megio no impantanâse.

Tutti san che, in Liguria, ancheu, a stradda SS1 a va da-i confin de Spezza a quelli de Vintimiggia; pe questo a risposta a parieva pe lògica "sci". Ma pe l'Aurelia do tempo di Romani e cöse no son coscì ciæe. Da 'n punto de vista stòrico, saieva utile dâ 'na risposta perché a l'agiuttieva a definî quande o l'à avuo origine o borgo de San Pê d'Ænn-a, dæto che ancon ancheu no se ne sa un bello ninte, mentre pe Corniggen, Sestri, Pegi e Pontedeximo ne peu dâ 'na man l'etimologia di nommi. A San Pê d'Ænna, solo 'na stradda ch'a va da-o porto de Zena verso ponente ò verso nord, sciben ch'a passe de d'ato da  Prementon,  a porieva avei favorîo l'insediamento de pastoî  o de un militare in congedo, òppure de gestoî de 'na stassion pe pösâse; no l'é façile acapî perché sci Corniggen (da Cornelius, nomme romano), e no a San Pê d'Ænn-a visto ch'a l'é ciù vixinn-a a Zena, a quelli tempi serâ inte miage de l'epoca e pòsto donde arrivava e partivan e mercansïe. Ma "no gh'én de preuve".

Pe l'Aurelia romana, l'é tutto ciæo, e pe tutti i Storici, o tòcco da Romma a Luni; e che o segge steto in uso primaio militare. Pe quello secondaio do commercio, za gh'én de discordanse dæto che i grosci traffeghi pe via de tæra avegnivan quæxi tûtti a-o de là de l'Appenin mentre a-o de sâ l'ea prevalente l'ûso da navigassion. Nasce coscì - quande se parla de Liguria - unn-a corrente de studiosi ch'a vedde a stradda Aurelia da Luni giâ de d'ato a-i Appenin sensa passâ inta nòstra region... popolo Ligure anche de là; 'n'atra ch'a l'accetta l'idea de 'na via de còsta, a despeto de tutte e difficoltæ che van da-o Bracco a-e ligge da còsta; ma finia in abandon perché a stradda a no l'ea necessaia se non pe-i traffeghi locali.

Pe no cazze in confuxon se deve aregordâ che de "Aurelia romana" ghe n'é stæta ciû de unn-a in epoche diverse, ognidunn-a rifæta de neuvo, e quindi unn-a differente da l'atra, perché o terren o rezzeiva mâ, pe-e frann-e, perché e gente andavan a stâ da 'n'atra parte e via discorrindo. Coscî, s'incomensa a descrivine unn-a adreitûa preromana, ma mitologica e quindi fruto da fantaxîa, a quæ a ne informa che un sentê o gh'ea, ciammòu via Heraclea e legòu a-a leggenda de Ercole, ch'o vegnîva da-e 'Colonne de l'Atlantico' e o l'aiva attraversòu o territöio di Liguri pê andâ a Romma (non se dixe se de sâ o de là de l'Appennin).

Ciù concreta a l'é a seconda che, comme e proscime, de seguo a l'é stæta fæta in scî sentê commerciali che passavan li da vixin. A l'ea stæta determinâ da-e guære romano-galliche, romano-liguri e puniche into II secolo a.C.. A l'é stæta costrûìa into 239 a.C. da Caio Aurelio Cotta; ma dæto che pöi l'é vegnuo meno a necessitæ d'uso, in pöchi anni a natûa a l'à fæto 'scomparî' tutto quanto. Cronologicamente, tra questa stradda e a sucessiva, se ghe mette de mezo a Postumia, inti anni 148 a.C., ch'a l'univa Piaxensa a-o ... mâ. Puntin de sospenscion, perché anche pe questa, existan de differense de valutassion: pöchi a veddan passâ da Acqui finn-a Sann-a e quindi sâtâ Zena (faxendo un tutt'un con quella Julia sucessiva). I ciù numerosi a veddan arrivâ a-a Bocchetta, chinâ a Pontedeximo e proseguî lungo o torrente Ponçevia (a preuva storica a l'é basâ in sciâ  Töa do Ponçevia ch'a çita a 'Postumia' træ vötte). Ma no basta: pe quarchedun, a Roieu a stradda a giava verso ponente (Fegin-Sestri) sâtando San Pê d'Ænn-a e anche Zena perché a l'ea 'na stradda militare. Altri invece a collegan a-o pòrto: e quindi determinante pe-o tema propòsto. Ma, se se basan sorvia i pöchi reperti romani, a fan 'xoâ' da Fegin a San Tomaxo (antiga gexa in ciassa do Prinçipe, òua destruta). Scrivo xoâ, perché inte cartinn-e allegæ a-i libbri, o percorso o l'é segnòu passâ pe S.P.d'Ænn-a; ma inti tèsti, pròprio no se ne parla.

Unn-a tersa Aurelia a l'é do 115 a.C.: a l'é quella clascica, quella che a stöia a a fa dipende da Marco Emilio Scauri. Ma no se sa, pe sto neuvo percorso ascì, se a l'attraversava a Liguria da est a ovest. Quarchedun o l'à misso in discuscion  ch'a segge mai existîa pe 'n davei perché tròppo vaghe en e vestigia visibili; pe lô, i traffeghi vegnivan solo pe nave o deuviando i sentê locali quande gh'ea da stramuâ pöca merçe, e comunque a Zena a no l'é mai vegnua.

De stradde, ne esiste unn-a quarta do 13 a.C. (dita Julia Augusta, ma ch'a l'à interessòu solo a Liguria de ponente, da Vintimiggia a Sann-a e - da li - a Acqui-Tortonn-a); e ancon ben ben de atre, medievali, testimoniæ anche da-a 'carta Peutingeriana' do 335 d.C.: in generale son vegie stradde refæte, ma importanti perché de queste se treuvan, ancon ancheu, tanti reperti (insediamenti, ponti, træti de stradda a-i quæ fan riferimento e stradette ancon ciammæ via Romana de Quinto, de Quarto, de Pegi, ecc.).

Quindi, siben che seggian no goæi segùe, e vestigia romane ean a san Tomaxo (òua destruta) e a Fegin (unn-a fabbrica de ceramiche); into mezo, no n'existan. Alloa, passava a stradda romana pe S.P.d'Ænn-a o gh'ean solo di sentê locali? I Storici veuan preuve; e preuve no ghe n'é; ma pê S.P.d’Ænn-a son cavillosi, pê a grotta dove a Roma se pensa che seggian steti allattæ Romolo e Remo, s’è mosso o scindaco e tutti i assessori. Quindi, negâ tutto me pâ un pö tròppo. Coscì, a rispòsta a-a domanda a l'é basâ solo in sce due posciblitæ: a primma "No se sa, e quindi bezeugna no esprimmise"; oppure accettâ ipotexi ma solo de presunsion, basæ sorvia unn-a "lògica analitica" ch'a fa individuâ duî percorsci: tutti duî, da san Tomaxo, van sciù pe l'attuale montâ di Angei e - in çimma - un:  o va in cresta  verso o Granaieu se o percorso o l'anava a nord; l'atro o proseguiva in còsta (coi nommi d'ancheu saieiva via Porta di Angei e montâ Bersezio; a passava erta in sciâ spiagia, da Prementon e Belvedere) e a chinava a-a 'Prîa', unico toponimo ch'o l'existe ma che nisciun - de quelli che han scrîto da stradda - o l'à piggiòu mai in consciderassion;  pe anâ a attraversâ o torrente Ponçevia a Roieu.

A stöia de unn-a San Pê d'Ænn-a romana a porieiva êse spiegâ solo da quest'urtima prospettiva. Spero che i "Stòrici' (quelli co-a S maiuscola) saccian intervegnî, corezzendo i sbagli e sanando e omiscioin de un semplice 'appascionòu da stöia"

ALLEGATO  6  - o zibaldon minô de-e rigflescioin

COMPUTER Anche noîatri veggetti, se semmo computerisê.  Un bravo figgio simpatizzante, o l’è vegnûo in sede a installâ i programmi (un giorno)e a insegnaghe comme usâli (quaranta votte; e no l’é ancon finîa pê lê). Un dramma: l’è vegnûo fôa che tanti nommi son... trapassé; che i telefoni ed indirissi no corrispondan ciù e i soci no son reperibili (per esempio avertili dê cerimonie o do pranzo sociale); un sacco de gente che da anni riceve o bollettin e a no l’ê in regola con e quote: troppi pê nostre finanze. Tanta gente oua gh’a l’e-mail, ma noiatri no-o savemmo: dilo a-o nostro sito (e ‘ntanto mièlo), che o l’è ......

Aloa se demmo sotta a rifâ o schedaio da cappo. Ma mica poëmmo inventâselo. Dêghe n’a man, perché o computer taggia fôa chi non saiâ in regola, non pê cattiveia ma pê correttezza.

QUOTE  tra ‘n pô saiâ torna o tempo de o rennovo de l’iscrission. Capimmo a seccatua de vegnî in sede, o de anâ a-e poste a fâ a côa. Già se poemmo a tutti i Martedi, a-o Ducale.

O Consolato dovieva decidde e lanciâ de idee: domandâ a-a banca Carige se ghe vegne incontro deburocratizzando un bonifico (perché un bonifico ad atra banca o fan pagâ 4 euro); oppure i nostri soci che gh’an un negozio, poievan mettise a disposizion  per ricevere a quota: saieva una situasion capillare commoda a tanti; oppure pagala con ‘na carta de credito o telefonin o ....

Ma pê questo, ed âtro, ghe vêu quarched’un -esperto in to rammo- che ghe desse ‘na man a organisase. Help! (o fa moderno!).

BIBLIOTECA A proposito de dâ ‘na man, gh’emmo  un socio che o l’ha quesi finîo de mette in ordine a biblioteca: son zà tutti cataloghê i Opuscoli (in quatorze contenitoi, ciaschedun con drento ciù o meno 50 fascicoletti); e i Libbri de Zena e Liguria, son 2300 volumi (ma pê esê una bella biblioteca, i libbri son ben pochi; ghe n’orievan dexemilla. Non si chiede... l’ereditê, ma se ciaschedun sensibile quande o vegne a rinnovâ a quota o regalassse un solo volumme, a biblioteca sajeva ciù ‘pingue’ e seria).

In to computer son riportê pê titolo, nomme d’autôu, editô, anno de edision e mateia.  Poi, ghe saiâ da mette in ordine quelli de terre viçinne, tipo a Provenza, a Lunigianna, o Basso Piemonte e Monaco. Un pitìn pê vôtta. A-a finne saiâ da mette in ordine l’emeroteca ligure: ciù de duçento riviste son zâ tutte divise in singoli contenitoi, unn-a pê unn-a, ma son da registrale in to computer. Anche chi, pê o rifornimento, contemmo su l’agiutto dî soci: a raccolta dî giornali e riviste liguri, a 360°, dai bollettin parrocchiali a queli dê aziende, di paise da riveâ, dê associazion, ecc.

SOCI   Anche numericamente semmo un po’ pochi. Ma domandemmo: non l’avei dî amici da coinvolge o dî figgi o dî nêvi a cui insegâ l’amou pê Zena? A-o pranzo sociale, ben pochi han portô i so figgieu e bevi. Ma, cosa ghe insegnê a-i figgi e nevi? E che rispetto v’aspetæ,  se no ghe tramandê l’amô pê a sô terra, e sô tradizion...a sô famiggia? Bah, i tempi cangian; ma stê a vedde che de segûo a sti figgi gh’ei pagôu o telefonìn. Lascemmoli pure vive o sò secolo; ma, realizæ solo o moderno, fa un pò penn-a.

 

ALLEGATO 7    Onofrio Scassi

A San Pê d’Æenn-a, unn-a dê-e ville patrizie che ancun existe – se dixe ne existesse ciu de cento – a l’è quella da tutti conosciua comme “villa Imperiale-Scassi, a Bellessa”; òua usâ comme schêua pubblica. L’edifiçio o l’è stæto edificou in ti anni 1560-3, comme “villa estiva pê a famiggia de Vincenzo Imperiale”. (1)

Onofrio Scassi, devegnuo celebre mëgo e politico ligure, o l’è visciuo da-o 1768 a-o 1836 (2).  Nasciuo a Cogoêuo, in te-l’anno da-a perdita do possesso zeneize da Corsica, e primmogenito de Agöstin e de Françesca Agnese, tutti dui de famigge non nobili ma  facoltose e con ascendenti tutti lauree; g’han daeto i nommi de Onofrio, Emilio, Maria.

O se dimostrou de ingegno precoce: a sezze anni o lè stæto in graddo de sostegnî –in te ‘na pubblica disputa texi filosofiche e scientifiche con l’önô de-a pubblicazion. O s’è laureò a Zena in scienze mediche e filosofia, a l’etæ de vint’anni (5  lûggio 1788).  (3)

A 24 anni (1792) o l’è vegnuo a Zena pê inscrivise a-o Collegio de Mëxinn-a.

Chi, o l’ha avuo moddo de dimostrâ pê a primma votta a so capacitæ de abile equilibrista politico quande ghe toccou l’önô de pronunziâ o discorso inaugurale pê l’insediamento dî neuvi senatôi, duxe Gioxeppe Maria Doia; ma in t’en consesso deliberante, politicamente diviso. O l’è staeto indefæti molto abile a elögiâ i innovatoi pervaxi de idee rivoluzionaie, ma con a base de a conservazion dî princìpi e tradizioin sempre  ciù  solidi, senza creâ cangiamenti profondi. (4)

Forte de conoscense raccheuggeite all’estero, l’han mandou (1795) in miscion in to ponente ligure, pê ‘na strana epidemia de ‘frevi pûtride-biliose e petecchiali’ diffuse in ta popolazion e in te truppe françeisi. (5)

Questa primma esperienza, risolta in breve, a g’ha frûttou un posto d’insegnante a l’Universitæ (1796). In  te questo consesso, ascì a so capaçitæ, in ciù quella professionale, a l’è stæta quella de gestî eletti incàreghi mantegnindo un contegno molto riservou, dignitoso e tempestivamente indipendente, cioè sensa fàse trascinâ da-o çerne tra e tante correnti politiche de modda. (6)

In ti anni 1799-1803, con a l’acme l’assedio a Massenn-a, o diventa – a 31 anni d’etæ - prescidente

da-a Commiscion sanitaia (7). E in ti urtimi spaximi da Repubblica de Zena, o vegne promosso senatô (1804) e o fa parte da Commiscion mandâ a Milan pê offrî a Napoleon l’annescion a-a França; e quande l’imperatòu o l’arriva a Zena (1805), o discorso uffiziale de ricevimento o l’è toccou a le.

Questi trei fæti poevan ‘macciâ’ a relazion de-a polizia sabauda a-o re torinese, ancon primma  do trattòu de Vienna; a dimostrazion che- za da primma – questo monarca o l’aveiva avùo garanzia de l’annescion e o se preparava a chi poei dâ incareghi. Ma o zà descrîto pareggio politico o ghe consente de mantegnì tutti i precedenti incareghi anche doppo, quande a polizia piemonteise o l’ha classificou ‘pèscimo napoleonista, democratico, libero massacan’ (massone?).

Anzi, a 47 anni comme Decano de-a facoltæ,o l’è staeto introdûto a-a corte sabauda co-o titolo de mêgo onoraio, e gh’han dæto l’incarego de riorganizzâ o comparto sanitaio do regno,  creando successive riforme. Ma da grande dignitoso personaggio comm’o l’éa, in te questo periodo o l’é restou apposta ciuttosto emarginòu in to grosso avvicendase a-a corte, dedicando a so attension a-e problematiche locali zeneizi. (8)

O 26 zenâ 1812, o sposa Angela Saccomanno, da-a quae o 27 mazzo 1815 o l’ha avuo o figgio Agostin.

Intanto, in to 1819 o diventa o secondo direttô da Clinica Medica universitaia zeneise; poi, mêgo Ispettòu di Öspiæ e pê trei anni (1830-3) scindaco de Zena (9).

O 2 lûggio 1830 in azunta de tutti i riconoscimenti za ottegnùi, re Carlo Felice o nomina conte. (10)

In to 1831 o fonda ‘n’associazion assistenziale, ciamâ ‘N.S. da Providensa’ pê a cûa a domicilio dî-i infermi pövei.

Morì in ta notte do 9 agosto 1836, in ta so villa de San Pê d’Ænna, lasciando i so ben a-o figgio (11)

NOTE

1- solo dal 1801 la villa divenne possesso dello Scassi che però non la poté usare perché requisita dalle Autorità militari. Il contratto d’acquisto fu stilato il 19 aprile 1816, per 84.500 lire genovesi (notaio Sigimbosco). In quell’anno la proprietà era dell’erede principe Giulio Imperiale di sant’Angelo, ed in gravissimo stato di abbandono dopo l’ultimo sequestro durante i fatti bellici austro-francesi del 1799-1800.  Lo Scassi la restaurò affrontando ingenti spese, affidando l’incarico architettonico a Carlo Barabino, quello ornamentale a M.Canzio e per le plastiche a G.Centenaro; fece incidere sulla porta “ Onophrius Scassi dirutum rifecit”;   ed andò a  viverla quando fu rifiorita in tutta la sua bellezza, in un paesaggio ancora idilliaco e paesano del borgo, prima che la ferrovia-le industrie-la sovrapopolazione-le nuove strade  e le case attorno ne sconvolgessero il  contesto.

Da allora è più comunemente conosciuta come  “villa Scassi”.  Dagli eredi la proprietà fu venduta nel 1886 al Comune di San Pier d’Arena; dal 1926 è del Comune di Genova.

Oggi, l’edificio “villa” Scassi è nettamente separato sia dai “giardini” omonimi, i più vasti del Municipio; sia dal sovrastante “Ospedale Villa Scassi”; una volta facenti parte di un vasto tutt’uno.

2- anni tormentati, caotici, deprimenti, ma socialmente determinanti; vanno dalle ripercussioni culturali e militari conseguenti alla Rivoluzione francese, alla morte della Repubblica di Genova e di quella Ligure, fino alle premesse del pesante moto genovese popolare anti Savoia.

3- Erano anni in cui, nella cultura medica, fondamentale era solo l’anatomia. Terminati gli studi, come premio andò a perfezionarsi a Pavia e poi in Inghilterra, dove nel 1792, stilò un  lavoro scientifico “De foetu humano”, scritto in latino ed oggi scientificamente errato; ma anche dove Edward Jenner stava sperimentando il metodo di immunizzazione contro il vaiolo. Lontani ancora da Pasteur, che solo dagli anni 1860 iniziò a descrivere l’origine batterica delle malattie infettive. L’igiene era sui generis; la chirurgia –senza anestetici- era ancora solo demolitrice ed abbandonava al destino anche i feriti di guerra; la terapia si appoggiava solo all’erboristeria ed empirismi.

4- a Genova, una parte dei nobili erano filofrancesi, quindi riformatori; la Francia stessa spingeva con minacce più o meno velate per favorire l’allargando delle basi dirigenziali ai borghesi,  soprattutto ai giacobini; mentre Massena occupava Oneglia. Altra parte dei nobili era invece conservatrice, mirata a rimanere legata alle consuetudini e norme immutate dal 1576, quali la neutralità ed autonomia della Repubblica senza aperte alleanze. Genova stava tra le ganasce della Francia da una parte, e dell’Inghilterra-Austria-Piemonte dall’altra.

5- dimostrò che dipendevano dalle inesistenti precauzioni igieniche, e che erano di partenza da località sovraffollate come carceri, ospedali, caserme. 

6- le idee innovative stavano sconvolgendo la mentalità tradizionale dei colleghi più anziani creando un ambiente di forti tensioni, disordine organizzativo negli ospedali, indisciplina gratuita e discordie. Lui si sottrasse alla donazione di  decorazioni ai fautori di Napoleone, ma - sotto la promozione dei cittadini dirigenti la  Repubblica Ligure democratica - presentò nel 1798, primo fra tutti, un piano di ristrutturazione della sanità locale e degli studi medici.

L’alleanza con la Francia, iniziata nel 1797 sotto forma di reciproca collaborazione politica e militare, passerà prima attraverso una umiliante sudditanza, concomitante all’arroganza ed avidità del Direttorio e determinante in tutto il genovesato un’insurrezione contro i francesi malversatori arrivando a chiamare gli austriaci ‘liberatori’; e finire poi -1805- con inglobare la Liguria nell’ impero, ultimo passo prima del trattato di Vienna.

7-  dovette provvedere, imponendo severe regole igieniche - che funzionarono - alla lotta contro “febbri d’ogni indole più maligna”: fuggiaschi dall’entroterra; malati da malnutrizione; infezioni -come anche tifo e peste-; feriti di guerra. Col ritmo di oltre trenta morti al giorno,  per una città di circa centomila abitanti. Come docente, pubblicò lavori sui calcoli biliari e sulla scrofola; e - primo in Liguria e contemporaneo ad altri illuminati, in Italia - favorì l’introduzione del vaccino di Jenner contro il vaiolo.  Il poeta genovese Gioacchino Ponta, gli tessé una lode asserendo “…tu primo, o Scassi, alle materne arene / dalla Senna  recasti il dono e il lume / del Vaccin tesor…”. Nel 1811 a Maria Luigia imperatrice e regina, fu donata una incisione con i ritratti di Jenner inventore della vaccinazione, di LaRochefaucaud Liancourt il primo in Francia, e del sig. dott. Scassi, già Senatore di Genova, cavaliere dell’ordine reale delle due Sicilie, professore e decano della facoltà di medicina all’Accademia Imperiale di Genova, il primo in Italia. Fece  redigere un nuovo ed aggiornato testo di farmacopea;  partecipò alla costituzione della Università e dei relativi corsi ed esami; alla fondazione della “Società medica d’emulazione” antesignana degli attuali congressi medici.

8- Nell’aula magna del DIMI, una targa ricorda l’istituzione nel 1789 della Clinica Medica, che ebbe direttore, dopo il prof. Nicolò Olivari (1790-1819) il nostro Onofrio E Scassi (1819-1824) seguito da Antonio Mongiardino (1824-1836)…”.  Si veniva preparando una nuova generazione, con diverse aspirazioni tra le quali alcune confusamente rivoluzionarie e orientata verso altri ideali. Toccò al Mazzini dare ad essi un indirizzo unitario  più preciso. L’Università fu chiusa nel 1831 per motivi politici rimandando gli studi, per quattro anni, esclusivamente nell’ospedale cittadino.

9- sindaco di seconda classe, non provenendo dalla nobiltà; e, per questo, appoggiato a Francesco Lamba Doria. Erano momenti di gravi tensioni politiche interne e di tesissimi rapporti con Torino per le scarse risorse dedicate alla città. Con questo incarico promosse l’importante rinnovamento edilizio su disegno di Carlo Barabino (tra cui il grande teatro lirico intitolato a Carlo Felice: fu lui a ricevere i sovrani il giorno dell’inaugurazione); un solido ponte sul Bisagno in sostituzione  di quello travolto nel 1822; strade carrozzabili con le riviere; ampliamento del porto; sistemazione di piazza Fontane Marose;  l’inizio lavori del cimitero di Staglieno (portato a termine nel 1836 dopo una grave epidemia di colera); e l’apertura di un ospedale per i malati di mente collocato vicino all’antica porta degli Archi.

10- Il re Carlo Alberto appena eletto al trono, personalmente gli conferì la ‘croce di cavaliere dei santi Maurizio e Lazzaro’. Già era stato insignito del titolo di cavaliere dell’ordine di s.Anna di Russia.

11- l’unico figlio, il ‘giovane conte Agostino Scassi’,  dalla polizia fu sospettato essere autore di  scritti anonimi a sfondo repubblicano e liberaleggiante. Si sposò il 13 agosto 1834 a San Pier d’Arena con Rosa, figlia del marchese Stefano Rivarola; nella villa, nacque il 13 agosto 1836 un figlio a cui fu dato il nome del nonno. Questo nipote, come ufficiale di cavalleria,  il 20 mag.1859 sacrificò la vita combattendo a Montebello ricevendo la medaglia d’argento al Valore Militare; ma con lui così, si estinse la discendenza. Alla coppia era nata anche una figlia poi sposata con un Sauli.

 

ALLEGATO 8Vincenzo Gonzaga e P.P.Rubens,  a San Pê d’Ænn-a

Zena a l’è unn-a gran bella çittæ, o semmo; peccôu che pê fäse bella  spesse votte a l’adeuvie con disinvoltûa anche e cose di  vexinni,  a-o punto che segge necessäio arregordâ ai sô Storici che non solo lê, in ti so palassi, l’ha ospitòu re e reginn-e, nobili e grandi personaggi famosi.

Da-o 12 lûggio 1607, Pasquale Grimaldi e sö  moggé Giulia, han ospitòu  in to so palasso de San Pê d’Ænn-a, dîto ‘a Fortessa’ Vincenso Gonzaga,

dûcca de Mantova e do Monferrou, ciammòu anche Vincenso Primmo (1562-18.2.1612, politico e gueriero, ommo de coltûa e mecenate) accompagnou dä sô corte, tra i quæ ghëa o pittô P.P.Rubens.

Uffizialmente,  pê fâ a-a spïagïa, dî bagni e sabbiatûe à un zenoggio “che o l’aiva offeso da-i catäri”; cioé sofferente de podraga. (gotta -1)

O dûcca, l’anno primm-a o l’aveiva progettou un viaggio a-e terme de Spa in Belgio; invece o l’ha deciso de passâ l’estæ a San Pê d’Æenn-a. Questa scelta a fa presûmme che o l’ea ascî pressòu da o bezêugno de dînæ  ch’o contava de domandâ a-i banchê zeneizi, trovandose sciaccou da-e speize (2)

O  l’è arrivòu  a-o mâ, chinando attraverso i bricchi lungo a Postummia riattivâ pê l’öcaxion; a Pontedeximo gh’ea andato incontro a maggior parte

da nobiltæ zeneize. O l’ea un giorno lûvego “ch’o l’ha bagnòu tutti ben ben”; pê questo l’è stato necessäio fâ de sprescia e ceimonie uffiçiali co-e relative consegne de regalli e omaggi.

O dûcca o l’aiva un seguito de  ben sciûscianta personn-e; poi  suddivise in to borgo, in trei palassi diversci   (3).

In to séguito gh’ea anche un figgio, accolto da-e damm-e riccamente vestie (e co-e figge da maiâ) e con ‘na grandiosa festa prolungâ finn-a a

tarda notte. E o compositou-cantante-poeta Françesco Rasi (1574-1621); insemme a l’artista-pittô Pietro Paolo Rubens (4)

Semmo che o dûcca o l’ea sensibile a-a vitta “ricca de diletti”, oscia - comme riportou da-i cerimoniali – “attendendo a-o zeugo e a dase bon

tempo” specificando che “fu da molti ill.mi ss.ri privatamente invitou” (5).

O pittô Rubens, mentre o se trovava in San Pê d’ænn-a (e non a Zena) profitando do tempo libero – non  impegnou da-i impegni de corte – o l’ha

usou pê aggiornase in architettûa, e copiâ  tante tra e mëgio ville zeneizi in disegni ed incisioni, foscia con l’aggiutto de un o ciù

‘geometri’). Con a cianta e-e struttûe, a Fortessa a l’è stæta riconosciua in   te un de quelli disegni da primma edizion, ciammou ‘Palasso D’,

documentâ con nove töe, ciù de qualsiasi ätra villa zeneise, e con unn-a destaccâ e specifica, a-a töa 71, pe-o bagno: ‘na novitæ pê quelli tempi.

L’è in sce quelli disegni che se vedde l’existensa de un affresco decorativo in ta facciata d’ingresso- attribuîo a-o Perolli – e che in séguito

o l’é spario. O “Palasso C” o corrisponde a-a confinante villa Spinola de San Pê, a quello tempo proprietæ de Paolo Agostino Spinola.

“...E avendo passou quæxi tutto o meize d’Agosto, o se n’é tornòu a-o sô Stato, senza essise mai ciù trattou de visita pubblica”.

NOTE

1-già venuto a Genova nel 1592, era stato alloggiato in piazza Fontane Marose da Francesco Pallavicino dopo sorteggio dal “bussolo”; ora però, giudicò quel palazzo un po' lontano dal mare e quindi scomodo. Ed anche il 25 ottobre 1600, era venuto di ritorno da Firenze dove aveva fatto visita alla cognata, regina di Francia; allora fu ospitato in palazzo Doria.

2- vivere con soldi in prestito era abbastanza d’uso allora, come già facevano i sovrani spagnoli ed il Papa stesso;  allo scopo era già in relazione economica con i Serra, gli Spinola, i Da Passano. Ma - tra tutti -  maggiore fu il rapporto con Nicolò Pallavicino, principale finanziere del Gonzaga. Da quest’ultimo, nel 1602, aveva acquistato il titolo marchionale per il feudo di Mornese; diverrà padrino del terzogenito del Rubens. Intenso risulta il carteggio tra i due, con reciproci scambi di regali, nonché aggiornamenti politici ed informazioni private (notizie di tenore di vita delle corti europee, per rimanere al passo con la moda). Molto in uso gli argenti; per le dame, molto richieste erano le perle (una dama mantovana aveva  visto il ritratto di Veronica Spinola Doria e voleva per sé un eguale ‘giro’, delle quali però non c’era la disponibilità, per cui fu invitata ad accontentarsi ‘quali sono possuti riuscire’; ma subito rimproverato perché la collana era ‘troppa rada’. Si spaziava dal giardinaggio (“alberi citronetti, gelsomini di Napoli, lemoncelli e aranci; siepi di mortella”), all’abbigliamento (con grande arrovellamento di Nicolò, perché ignorava le misure opportune; come guanti, “camixie”, polsi a latuche, collari lavorati in oro ed argento; nonché ‘rocchetti’ di tela di Cambrai, destinati a Ferdinando Gonzaga, figlio di Vincenzo e prossimo cardinale (1607); perfino un ben definito busto da donna che, non trovandolo sul mercato, fu inviato a Mantova ‘prelevandolo’ ad una parente ed inviandolo ‘di buona fattura ma usato’. Molto apprezzati gli animali da allevamento (cavalli di razza tipo ‘i Barbari’; cani mastini inglesi; una volta anche un ‘cammello novello per il bestiario del duca’, tutto accompagnato da descrizioni tecniche di un esperto d’animali; un mulo era arrivato a Genova da Mantova (‘dal collo pienotto ma con un bel portamento’). Vini e cibi (formaggi e dolciumi locali).

3- uno per i duca ed i suoi pochi intimi: il Palazzo della Fortezza di San Pier d’Arena; uno per  “i signori che accompagneranno Sua Altezza” –non specificato quale, ma -per ovvietà- sempre a San Pier d’Arena;  come anche il terzo, per la servitù, mulattieri e guardie. La numerosa famiglia Grimaldi, nel borgo, aveva più d’un possedimento.

4- Rubens (28.6.1577-30.5.1640) dall’anno 1600 era al seguito del duca: si erano incontrati occasionalmente  presso un orefice di Venezia ove il duca era andato per comperare una scimmietta d’oro da regalare a sua figlia Eleonora; scimmietta, che il Rubens incluse nel ritratto della bimba che aveva due anni, e che lei indosserà anche quando diverrà imperatrice d’Austria. L’artista era già stato a Genova nel 1604, quando aveva dipinto - appena trentenne - la tela della ‘Circoncisione’, da affiggere sull’altare maggiore nella chiesa del Gesù, per i fratelli Pallavicino: Giulio, Marcello e Nicolò.

Nel 1606 era a Roma, e pare che assai malvolentieri doveva tornare a Mantova dal suo datore di lavoro: questi era non solo con cronica mancanza di puntualità nel pagare lo stipendio ma anche maldestro nell’affidargli incarichi poco graditi come acquistare tele di altri e rifiutare le sue adducendo essere in bolletta. Ma apparirebbe evidente che il pittore, seppur protetto dal duca, doveva essere una figura ancora poco considerata, di accompagnamento minore e non di fama neanche tra i suoi colleghi: infatti dai numerosi carteggi di questa visita ducale mai emerge il nome del Rubens (sia i ‘cerimoniali’ genovesi, sia quelli mantovani, sia le lettere del Chiabrera ad un altro pittore Bernardo Castello, e quindi interessato). La prima edizione del libro con disegni ed incisioni, intitolato “palazzi di Genova” uscì a spese del pittore nella prima metà di giugno del 1622, con lettera dedicatoria a Carlo Grimaldo, uno dei nipoti della padrona Giulia. Sappiamo che il Rubens a metà settembre era a Roma; quindi non seguì il duca nel ritorno; ma da San Pier d’Arena vi andò da solo, a cavallo.

5- Comunque, ufficialmente, per questa visita “non vuole cerimonie, ne complimenti, professando solo di voler conversatione di Giovani per rispetto del Gioco, e di Dame per recreatione dell’animo, essendo in età d’anni 42 ha seco una bellissima corte di molti Gentilhuomini a se affetionati”. Le conversazioni avvenivano tra cavalieri e membri del numeroso seguito, dame, sacerdoti; il nobile Ansaldo Cebà gli regalò un poema intitolato a suo nome “il Gonzaga”;  il tutto accompagnato da banchetti e musica  (il Rasi è assai probabile abbia proposto l’ascolto dell’opera di Monteverdi accompagnandosi con l’arpa, cercando di stupire i genovesi con le sue “miracolose” capacità di produrre effetti sonori sfruttando la tecnica dell’eco, naturale nella sala della cappella della villa. I musici, secondo l’affresco dell’Ansaldo, erano sistemati sui ballatoi nei pressi del cornicione del salone; ed alla sera, in cappella o nella chiesa vicina, accompagnavano messe cantate, preghiere o cori come una “compieta, eseguita a tre voci accompagnate con tromboni, flauti, corneti ed altri istrumenti”. Una volta un giovane putto cantò il “nunc dimittis” ed un “magnificat”, accompagnato dall’organo e da un basso, “con tanta armonia che pareva una melodia celeste”. Gite (in città a visitare la neo eretta - dai Pallavicino - chiesa di s.Ambrogio o del Gesù, visitata con Nicolò ed accompagnato da un solo paggio; nei dintorni del soggiorno invece la villa Doria-Pavese - ora Franzoniane, o la villa Doria a Pegli. Quindi, con questo spirito, partecipò ‘solo’ a parecchie feste come, il 25 luglio ricorrenza di san Giacomo, grande euforia  per il “barcheggio” (partenza per una gita in barca di tutto il giorno, con mangiare sulle spiagge, tra suoni e canti; otto galee trasportarono il doge, senatori, gentiluomini e dame, da Carignano a Sturla; da lì a Sestri Ponente e ritorno); il Duca pare non partecipò personalmente, ma assistette alla sosta fatta nel pomeriggio presso l’approdo alla marina della villa, dove fu fatta festa e spettacolo con ‘lanci’ di salami e di frutta dalle galee - raccolta dai marinai che la ripescavano per rioffrirla alle dame - e grande accorrere di leudi e di paesani “divertiti ed interessati alle copiose ed abbondanti confettioni che piovessero dalle navi”. Ad una battuta di caccia al cervo nel bosco di Madonna del Monte, gliene portarono al tiro ben tre capi, le cui carni – fatti prosciutti - furono inviati a Mantova. Molto cari al duca erano gli incontri al gioco del ‘rapé’ (d’azzardo e proibito dalle leggi locali; a Pegli, dopo un banchetto, giocò contro il cardinale, vincendo in coppia 1700 scudi d’oro; molti nobili –sapendo questa sua debolezza- lo ‘spennavano’ di ingenti somme, costringendolo a chiedere ‘rifornimenti’ a Mantova, finché non gi giunse una lettera dalla moglie che gli indicava “se il signor duca si volesse sbrigare sarebbe cosa molto utile alla sua borsa ma molto più alla sua reputazione”.  Ma qui stava bene: da buon donnaiolo, aveva lasciato a casa la duchessa, e nei ‘cerimoniali’, ricorrono frequente frasi tipo ‘festini di dame’, ‘moltitudine di dame’, ‘gentil donne all’intorno della puppa (poppa) della galera’. Di tutte questi avvenimenti clamorosi, ne scrisse pure Gabriello Chiabrera il 4 sett.1607, in una lettera indirizzata al pittore Bernardo Castello.

 

 

ALLEGATO 9 - A  FONDAÇION  LABO’

I Labò son stæti dui, un Mario e un Giorgio, poœ e fìggio, ambedui eminenti figûe de intellettuali, i quæ in moddo diverso han fæto tanto pe a nostra çitæ.

Ciù conosciûo l’è o primmo (1884-1961)  a quæ forte personalitæ e vitalitæ han lasciou un ségno evidente e profondo in te a cultûa de a ricerca, aplicaçion e stoia de l’architetûa e pitûa locale, coinvolgendo anche editoi e congressisti de famma internaçionale.

O segòndo merita mençiòn perché in ætê studentesca o l’è stæto coinvolto da î eventi bellici e o l’ha çernûo a stradda de a ribeliòn devenendo artifiçiê de-î GAP (partigièn de citæ, rionî in Grùppi de Açion Patriottica).

Catûò in to frevâ do 1944 doppo tortûa o l’è stæto fuxilou o 17 màrso de quel’ànno. Questa figûa impone a-a Fondaçion un stimolo etico in ciù in to campo de-e scelte da fâ in seno a-a architetûa locale, basâ su un inpegno de rigorosa verifica ed espliçito fin.

In to 1983 bén bén de profescionisti architéti e stoici liguri se son fæti  promotûi de unn-a Fondaçion, a quæ, titolâ a-î doi concitadin, a l’ha coivolto Universitæ, Comùn, Provìnsa e l’Asociaçion Industriali; e a se pròponn-e quæ centro de reçerca suvia e trasformasioin urbane e teritöiali.

Essa dedica a so ativitæ a-un Laboratöio de sperimentaçion suvia a “qualitæ rexidensiale” e a l’esordio profescionale de î ciù prometenti neolaoreòui, permetendo loro de acquistà l’esperiensa de base de-a realtæ urbann-a e regionale; infinn-e promuovê incontri e dibattiti critici pe acquistâ magiô responsabilitæ de tùtti i çitadìnn-i suvia o têma do futûro de-a citæ.

O profesô, arc. Luigi Lagomarsino, prestigioso membro de-o Comitato Esecutivo de-a Fondaçion, o l’é stæto felîçe  relatou à un de i “Martedì de-a Compagna”, promosso da-a nostra console Marcella Rossi Patrone, o 20 Zenâ do 2009.

 

ALLEGATO 10 - I GRIFFI  A seu stöia

Apartègne a-a stöia de l’ommo, da òltre chinzemilla anni e - tipico dî strïgoin - credde l’existensa di esseri misti in sinbiosi: ommo-animâle, animâle-animâle, inta riçèrca de scìnbolezâ  o mistero de debolesse e aspiràçioin de l’ommo.

Emmo megio testimònianza in Egitto, duimilaçinqueçento anni a.C., con Anubi (dio; ommo con a tésta de sciacallo) e-a Sfinge. 

Ciù vaste notìçie da-i Greçi (çito solo Omero do VIII sec. a.C. e Erodoto, 484-426 a.C.; infæti a parolla griffo a l’è de òrigine greca gryps  (genit. gripòs) che a veu dî adunco, artilio, ciötâ; da-i quæ, in italian, graffio, grinfia, graffetta, griffe. Da-i mainæ a naraçion, reportâ poi da-i stöici, pe ezenpio da Medusa do mito de Perseo, e sirenn-e de Ulisse, o Minotauro de Creta; àn riportou ascì l’existensa do pòpolo di Griffi; e a convalida se scrîve che inta credenza de ste rìchezze, Dario o l’à portou unn-a spediçion inta Scizia into 516 a.C.

O mito di griffi (simbiosi animâle-animâle) pâ ch’à l’agge avûo òrigine into IV-III milenìo a.C., inte tære a-o de dato do ‘Mâ Interno’ finn-a Mesopotamia: dî Caldei, Assiri, Persien, Ititi. O adiritûa ancon ciù a est, inta Mongolia (Sciti). O l’é stæto portòu in oçidente da-i caravanê i quæ, a ogni staçion naravan a-i ascoltàtoi rapiti e inpoîè, de êsei mostruosi pe forma e dimensioin; contâvan de animâli da-o bùsto, còllo, tésta, rostro e ali de àquila; sànpe anteriori con longhi artilî; còrpo posteriore e côa de lión; oêgie agùsse equine. E tære abitæ da-i Griffi ean coloché inta Scizia – atoale Roscia meridionale, Armenia – asœ ricca ma inavixinàbile a càoza de lou che l’abitàvan: oltremoddo agrescivi, a-a diféndevan con fêoçia inaudîa, êsendo a custödia de l’”öo do nord” (1).

Ciæo ean animâli posènti, co-o còrpo coscì grosso che inte ‘n conbàtimento vinçevan e amasavan ommi ben armæ. Queste notìçie ean arivæ da di viâgiatoi arivæ a contàtto co-i popoli confinànti dî Griffi: î Arimaspi, abili legendâri cavagêi, abitànti a nordest do Mâ Neigro, insémme a-i Issedoni e Iperborei; a lou vòtta tutti gœerieri non da pöco, giganteschi e co-un’éuggio solo e antropofagi comme i Ciclopi. Ascì Strabon (2) o l’à scrîto di griffi, animâli favolosi e posenti, çérnê da Apollo pe tiâ o so câro solare (apollinei, ma ascì dionisiaci). 

O tèma o l’é stæto ripigiou da-i romani: Plinio o vêgio, Virgilio e Sidonio. Mentre ascì i etruschi

aveïvan inprèso questo mito: nùmerosi son i ezémpi su ceramica consèrvæ a Vetulonia, do IV-I

sécolo a.C. e o vaso de Nikopoli costodîo a Civita Castellann-a. De òrigine etrusca – spécce innte tonbe e lapidi seportuali, comme a goardia de çenie - e poi prosegoîi in êtæ medievale – son i tanti griffi esistenti a Perugia e citæ vixinn-e (3): griffi co-a tèsta d’àquila, protuberanza in scia frónte, oêgie equinn-e, bàrba caprinn-a, crésta in scio còllo, ali tese e sovente sénsa côa.

Into médioevo, a religión crestiànn-a a no riêsce a eliminâ do tutto questi scìnboli pagân; alöa i

repìgia e i trasforma con nêuvi scignificâti; in quante a l’aveiva potente a necescitæ de rapresentâ

o sdòpiamento, aparentemente antitetico, de l’ommo con o còrpo ma ascì co-o spirito, a mateîa e l’ànima, l’animâle e l’ascetico (4); comme a natûa de Gesù divinn-a e umana: «Christus est leo pro regno et fortitudine...aquila propter quod est resurrectinem ad astra remeavit» (5). Trovèmmo un griffo inte’n capitèllo, inte l’àtrio da basilica de s.Ambrêuxo a Milàn. Ascì into ‘divin bestiaio’ de Ghigèrmo o Normanno: dove o griffo esprìmme a dópia natûa de Gesù; e Dante Alighieri o scrîve (6): «Lo spazio dentro a lor quattro contenne / un carro, in su due ruote, trïunfale / ch’al collo d’un grifon tirato venne.(7)». E o griffo o vegne citou da o sommo poeta âtre votte, sempre con l’idea alegòrica de-a dopiezza do Cristo: «a dòggia fêa», «l’animâl binato», «a biforme fêa». 

A rapresentaçion di griffi continoa into Rinascimento inti documenti nobiliari o dogali, ma sensa unn-a incixon  che a segge stæta novitæ o carateristica, esclùxo o stemma da nostra Repùblica. Ciù vixin, ascì Goethe into seu Faust (1773), çita i Arimaspi in lòtta co-i Griffi, pe l’öo de l’oriente.

NOTTE

1 – no specificando se o l’ea vêo öo, amùggiô scavando co-o bécco cùnicoli e galerîe, o âtri beni quæ a sœa o-o gràn.

2 - 63 a.C.-16 d.C.

3 - Cortona, Chiusi, Brolio.

4 - S.Isidou, VII sec.; o griffo, scimbòlo de a capaçitæ de dominâ i bàssi istinti .

5 - Cristo o l’é meité lión, perché o regna e o l’à a fòrsa; e o l’è àquila perché doppo a resureçion  o monta in çê maestoso e dominatô. Opure, i griffi son difensô de l’öo , inteso quælo spirituale

6 - Purgatoio XXIX-108

7 - o câro, rapresenta a Gêxa trainâ da-o griffo (che o lè Gesù).

 

ALLEGATO 11 - o Griffo a Zena

O grìffo a Zêna

A Zêna, o grìffo o l’arîva no sémmo quànde; ma l’é ciù probàbile a-a meitæ-fìn de l’âto medioêvo, da-a vàsta fuxìnn-a de numerôze civiltæ mediterànie; e ànche chi, da noîatri, o pìggia da sùbito un valôre scinbòlico de ’n custöde grintôzo e determinòu;  dominatô de âtri béstie; custöde da salûte soçiâle a-o de sórvia de façiositæ polìtiche.

O trovémmo into Còdice di Annâli do Càfaro; e dòppo a meitæ de l’ànno 1100 cìrca, o vêgne adêuviòu sórvia i sigìlli di àtti diplomàtici (1); di scrivén; di contræti mercantîli (2); e sórvia e monæe (3).

Into çèrne tra êse raprezentæ da Giâno bifrónte (4); ò da-a pòrta de Sànt’Andrîa (5); da ’n gàllo (6); da Sàn Scî ò da ’n bæ; da-o Grìffo (7) ò da ’na crôxe, i zenéixi – a veitæ a l’é sconosciûa – no àn fæto ’na scèlta unìvoca e contìnoa, dato che àn acetòu quæxi inte ’n mòddo pægio e in ténpi divèrsci tùtti quélli scìnboli.

Se sa che do 1222 un Obérto, méistro fonditô do brónzo, o l’à dæto màn a forgiâ ’n grìffo pe l’inségna do Comùn da métte inta Catedrâle (8).

E pöchi ànni dòppo, con l’avénto de Repùbliche marinæ, Venéçia a s’é pigiâ o lión (= a fòrsa); Pîza a vórpe (l’astùçia); e Zêna a l’à çernûo o grìffo (l’aspérta vigilànsa); e quànde l’inperatô Federîgo II (l’àquila), e Pîza ascì, àn comensòu a minaciâ l’indipendénsa, conparìsce scigìlli de céia con “grifi tenentis inter pedes aquilam et vulpem” e con in gîo a scrîta “griphus ut has angit – sic hostes Janua frangit”: tùtto quésto pe fâ acapî  - co-ina lògica tùtta zenéize – e  pròpie intençioìn e disponibilitæ.

Pe nìnte, sàn Scî o l’à çernûo ’n’âtra béstia, o bazilìsco, cómme scìnbolo da vitöia in sce l’erezîa.

Coscì o Grìffo o l’é diventòu rapresentànte specìfico da ferméssa  zenéize, co-ê côe èrte cómme in sàn Zòrzo di Zenéixi a Palèrmo.

In sciâ fìn do Rinasciménto l’é stæto ripigiòu l’ûzo di griffi afrontæ a sostegnî o stémma. L’Accinelli prìmma o l’à scrîto che i doî grìffi êan Frànsa e Inpêro cómme protetoî; pöi o l’à cangiòu con Àostria e Spàgna.

E pöi, co-e  lézze do 1797 tànti són stæti scöpelæ coscì cómme i stémmi nobiliâri perché êan vìsti cómme scìnbolo da çitæ indipendénte; pe ùrtimo, finîa a fùria françéize – i Savöia àn dêuviòu e côe di grìffi pe indicâ a Zêna ch’a dovéiva sotométise (monæa da dêxe södi).

Levòu i numerôzi palàççi che ancón són ornæ co-o grìffo (9), ànche a Sàn Pê d’Ænn-a e a Sestri P. (10), praticaménte inte l’êra modèrna o grìffo o l’é restòu sôlo a sostegnî A Compagna, o stémma do Comùn, da Provìnsa, inta màggia do Genoa e quàrche privòu.

 

NOTE

1 - tratòu de aleànsa tra Zêna e Vintimìggia.

2 - doî ‘grìffi pasànti’, datæ 1216-1222, in tæra françéize.

3 –inti  lìbbri de monæe zenéixi, o grìffo o l’é stæto dêuviòu in mùggio de vòtte da-o 1139 a-o 1814; quartâri, genovìn, grifoìn; do 1677 o talou coniòu pe-i comèrci con l’Oriénte, co-o grìffo rezênte ’na töa co-a scrîtûa àraba; in sciâ fìn do 1814 (monæa da 10 södi da Repùblica de Zêna, con  “immagine remissiva, con la coda fra le gambe e figura accovacciata e stanca”).

4 - òrìgine do nomme; e avertûa a-o comèrcio.

5 - avèrta a chi vêgne in pâxe; serâ a chi pòrta goæra.

6 - ipòtexi asæ discùssa, de l’analìsta Zòrzo Stélla ch’o l’à interpretòu un scigìllo.

7 - o ròllo da flòtta-pòrto-mercòu.

8 – Comiscionòu a-o fonditô, in òcaxón da fèsta de sàn Gioâne, e in memöia da celebraçión do solstìçio d’estæ e do cùlto do sô a-o quæ o grìffo o l’êa de spésso asociòu.

9 - vegnan descrîti, ma no tùtti ancón conservæ: intrâ da staçión de Prìnçipe;  ex albèrgo popolâre in córso M.Quàdrio;  palàsso co-a faciâta in c.sa Cavour (ingrèsso in via F.Turati); palàsso da bibliotêca Bério e de l’Académia; intrâ de l’Archìvio de Stâto (deliberòu  do 1817); intrâ do palàsso de via C.Felice, 12 (stémma nobiliâre, tegnûo da doî grìffi ma co-e quàttro sànpe tutte pæge); làpide da Câza de Colómbo in Pontexéllo; Pâxo (palàsso Ducâle: tréi pòsti divèrsci into salón do Gràn Conséggio: ingonbatûa do sofîto;  into sciànco sin.; sórvia e sêi pòrte; e un afrésco inta scâa a dèstra); staçión Brìgnole; catedrâle de s. Loénso.

10 – rispetivaménte in via A.Cantôre e in via Meràn, 33

 

ALLEGATO 12 -  O GRÌFFO,   IN COMPAGNA

A-a meitæ d’arvî do 1923,  l’é stæto atacòu in çitæ ’n manifèsto, riportòu da-i giornâli,  co-in vistôzo grìffo rósso ch’o l’invitâva i çitadìn a rionîse a Parlaménto, e fâse sòcci do nêuvo solidalìçio. L’adexón a l’é stæta trionfalìstica. 

O 22 d’arvî, Macaggi Giöxéppe, Cervetto Loîgi Aogùsto, Villa Onbérto, Pescio Amedêo, Triulzi Giovànni Goìdido, Camere Françésco, Magnone Gaitàn, Ferrari Rîco, són stæti mìssi a-a goìdda de A Compagna.  Unn-a de prìmme domànde fæte a-i numerôxi sòcci iscrîti a l’é stæta l’adoçión de ’n’identitæ scinbòlica. L’ànno dòppo l’é stæto çernûo o mòtto (1) e són stæte realizæ ’na bandêa (2); ’na tésera sociâle (3); o gonfalón (4) e o distintîvo (5); ma do grìffo, scibén  che gh’êa consénso, pöchi ne savéivan i particolâri.

De consegoénsa bezugnâva savéine de ciù in sciô grìffo. Ma e riçèrche no àn dovûo êse frutôze se, quande l’é stæto fato o primmo statûto do zûgno 1923, no se n’é dîto nìnte.

Inte l’arvî do 1928, l’é comensòu a publicaçión do Boletìn; in sciâ covertìnn-a l’é stæto mìsso ’n grìffo, disegnòu da-o pitô Elio Graffonara (6); ma-a questión a l’é arestâ sénsa soluçión, tànto che inti statûti segoénti (7) se ripòrta e mæxime inségne, ma nìnte do grìffo, levòu de mantegnîlo into distintîvo, e into tìnbro a màn (8), sénsa ufiçialitæ. 

Do 1971 l’é stæto stanpòu da-i mêgio da nòstra memöia, l’armanàcco “Gente di Liguria” con, inta covertìnn-a, o mòtto e o grìffo do Graffonara; a pàgina 7 l’é stæto repigiòu da-o Il Secolo XIX do 10 màzzo do 1925 un vigorôzo artìcolo firmòu da A. Pescio, con têma ‘o Grìffo da Compagna’. Dòppo, sénpre con prescidénte De Martini e inti anni intorno a-o 1974, s’é riadesciòu o têma: into méntre s’é pensòu de fâ un nêuvo gonfalón (9) e ascì, pe-i Cónsoli un medagión co-a riproduçión de ’n nêuvo grìffo, ch’o l’êa da çèrne. L’é coscì comensòu tórna e riçèrche da pàrte di sòcci, con l’arecugéita de dæti iconogràfici e bibliogràfici. N’é ségoîo numerôxi intervénti, con pài da seu existénsa inta preistöia e ascì di sugeriménti: “o doviâ êse miròu a rafigurâ ’na ‘aspèrta vigilànsa’, opùre ‘a rapresentâ a costumànsa zenéize de no acetâ pe öo colòu tùtto quéllo che ghe vêgne propòsto’; comónque vàlida l’idêa de lasciâlo incornixòu inte ’n çèrcio (10).      

No l’é mancòu e crìtiche: un sòccio o l’à ripropòsto quéllo do 1923 perché òrmâi identificòu a prìmma vìsta; un âtro o propónn-e quélo de monæe ò di edìtti da Repùblica ò di âtri scîti çitadìn (11). E no l’é mancòu e pigiâte in gîo (12); un âtro o çèrca de smitizâ i toìn açéixi che poéivan trasformâ o scìnbolo do medagión inte ’n pendalòcco; un âtro a-a fìn o propónn-e quéllo de Goffredo de Crollalanza (13).

In concluxón, tra diségni e scarabòcci, i grìffi propòsti da Elena Pongiglione són stæti definîi i mêgio, e o seu grìffo (14) o l’é quéllo che gh’émmo ànche ancheu.

Sôlo do 2008 o gràn cançelê Maurizio Daccà o l’à pensòu de registrâ o ‘màrco’ pe evitâ inpròprie copiatûe e distorxioìn d’ûzo. 

 

Notte

1 – “dictis facta respondent”

2 – co-o grìffo mìsso inta croxêa de bànde rósse; ma da quæ no n’é arestòu tràccia.

3 – disegnâ da F.Bozzo o 2 arvî do 1923.

4 – o grìffo o l’êa sôlo inta çìmma de l’asta; tratàu a sbàlso metàlico da Angelo Vannones.

5 – co-o grìffo rósso in cànpo giànco, de aotô sconosciûo.

6 – Inti Boletìn segoénti, l’é conpàrso ànche ’n grìffo de M. Oberti (Màia ò Margàita), anche lê criticòu d’êse tròppo di ispiraçión mediterània e no orientâle.

7 – 19.12.54;   27.5.60;   28.5.63;   22.4.72.

8 – in scî tìnbrigh’êa quéllo incìzo da Alberto Boccaleone.

9 – constatòu ch’o l’êa dêuviòu quéllo do 1923, Elena Pongiglione a l’à propòsto tréi bosétti, con mêgio inpostaçión medievâle; quéllo çernûo o l’è ancón ancheu in dêuvia.

10 – ànche se quarchedùn o l’à rimarcòu che “coscì o pâ scìmile a ’n màrco de fàbrica industriâle ò de comèrçio”.

11 – Catedrâle, Pâxo (Palàsso Ducâle), pòrte e làpide pò-u Gandolìn (via Corsica), gonfalón do Comùn e stémma do Genoa.

12 – Gh’é chi l’à ciamòu ‘polanca sciumâ’, ‘trónfio bibìn’, ‘co-a côa da scìmia’, ‘sgràçiou co-e âe a pónta: da ìstrice’. Un féuggio manoscrîto, anònimo e sénsa dæta, o crìtica (probabilménte quéllo do 1923): «tòsso, co-in pâ d’âe asolutaménte inùtili tâli da no poéi arêze mànco ’n polìn e o móstra boriozaménte ’na  fàccia da galìnn-a ... o l’alónga mêza adormîa ’na sànpa artrìtica e-e gànbe de derê ghe fàn pietozaménte  pìllo... pe quànte me cónsta quésto grìffo, ò bibìn, o l’é lontàn da l’arcìgno, minaciôzo, magâra sgréuzzo grìffo medievâle»

13 – inte l’Enciclopedia araldica cavalleresca, 1977

14 – o rispónde a-i requixîti: scìnbolo ch’o métte insémme fòrsa, inzégno, tenàccia e custödia. Piâxiûo a tùtti ànche perché ‘ghignozaménte minaciôzo e fermaménte prónto’.

 

 

ALLEGATO 13 -

   Se tramanda che Umberto Villa o segge stæto o primmo, tra i fondatoî, a voéi ’n labaro pe-a neuva asociaçion; e o s’é dæto da fâ pe çercâ i scinboli necesâi in mòddo da riproponn-e e forme originâli, segondo a mentalitæ de quande se son formæ e Compagne.

I disegni definitivi son stæti afidæ a-o pitô Raggi, e poi riprodûti comme recammo into laboratöio in Canpetto do Giöxèppe Scòtto, ch’o l’à adeuviou tinte legêre  e sperse, adatte pe métte in bella evidensa o stemma centrale.

   L’asta, che òua in çimma a gh’à a testa de Giano scolpîa in legno, a quelli tenpi  a l’ea stæta elaborâ da varri sòcci: o legno o l’ea stæto intagiòu da-o scultô Sarvatô Cuoco, e poi reizo policromo da l’indoòu Genio Lanzi sorvia ’n disegno do pitò Ciccionesi; in sciâ çimma gh’ea inserîo un Grifon de rammo, ch’o l’é anæto perso, travagiòu a sbalso da l’artista Angelo Vannenes.

   A primma sciortîa in publico, a l’é stæta de dexembre do ’23.

   De scrîte e scimboli, descrivemmo:

---inta primma fascia trasversale, in erto, o nomme de A Compagna, co-i caratteri antîghi.

---inta segonda fascia, a-o centro, a testa de Giano (no stemmo a descrîve chi, i numeroxi scignificâti do dio, bifronte pe indicâ de êse stæto o fondatô de Zena, e da lê o nomme da çitæ, e ascì pe rapresentâ a proteçion de pòrte, di comerci e a proteçion in goæra), co-a coronn-a de sette tôri (into 1923 foscia no àn oservòu e norme precize e severe da Consulta araldica; in ciù questo o l’é ’n recammo artistico. Ma l’é giusto aregordâ che a reprezentaçion de’n Comun a gh’à eutto tôri) e, de sotta, ’na conchiggia, scimbolo de tære conquistæ in Oriente.

A-i lati, in mezo a infiorescense damascæ, gh’é e insegne de quattro Compagne: Castello, za Palazzolo, con trei tôri suvia di çerci; Maccagnana, meitæ rosso ò celeste, e gianco; Piazzalunga, banda celeste verticale centrale (dîta palo); Borgo poi Pré, a ciù pali verticali.

---inta tersa fascia, centrale, o scuddo croxòu de Zena, circondòu da ’n çercio riondo d’öfeuggio;  e con – a-i doî lati – ’na ramma co-in frûto de meigranâ ch’o sta a raprezentâ a forsa che gh’àn i picin quande se uniscian insemme.

In basso, ai doî lati, un pentafeugge, ’na sciô co-in pomello into centro e con çinque petali, scimbolo de grande fortunn-a, pe-a seu raritæ.

---inta quarta fascia, e atre quattro Compagne: i rioin de Soziglia, banda trasversale rossa; san Loenso, canpo rosso; Porta, con P in campo rosso ò bleu; Pòrta Nêuva, inquartou gianco e celeste.

      Into mêzo de queste, un vâzo con træ spighe de gran  ch’o l’ea inportòu da-a Sicilia e da l’Oriente: a seu prezensa a scignifica trafeghi maritimi boin e ben ese da popolaçion.

---inte l’urtima fascia in basso, quattro pendalocchi co-i scimboli di megio atribûti da nòstra tæra: o mâ, rapresentòu da ’n drafin e ’n ancoa. In çercio, pægio a-a configuraçion da Liguria e ascì de l’Apenin, co’ inn-a freccia inserîa a indicâ a stradda pe-o Nord. ’N’ascia a raprezenta o coraggio do ligure, tenace e goeriero, ch’o l’afronta e o no cêde a-e dificoltæ; sotolineòu da-a scrîta “adsuetumque malo ligurem”, traduçibile: “...e i Liguri rexistenti a-e sventûe” (frase estræta da-a “lode a l’Italia” inte Georgiche de Virgilio, II-170, quande o poêta o fa l’elòggio da tæra italiann-a che “a l’à generou i Marsci..., e i Sabelli..., e i Liguri rexistenti a-e sventûe, e i Volsci..., e i Decii..., ...”). E infin  ’na colònna ch’a l’arêze ’na coronn-a, a aregòrdo de arti.

---de derê, in sce trei livelli desalineæ, o mòtto “dictis facta respondent”, e a-i lati rispetivamente trei pentafeugge che no son stæti ripreixi in quello fæto dòppo. Ch’o segge da agiustâ, l’é dimostròu da-a föto, ma – se troviemo chi o fâ, ghe voriâ ’n sacco de palanche.

   Ai doî lati, doppia fascia gianca e rossa: in unn-a gh’é o nomme “Zena”e “A Compagna” e inte l’âtra, gh’é “Fondâ (inta parte rossa) 1923 (inta parte gianca)”. E inta fascia destra gh’é atacâ ’na medaggia (datâ ‘5 novembre 1921’) serâ da ’n anello co-a dæta ‘7 giugno 1925’

   Inti anni 1966-8 o prescidente, marcheize G.B. D’Oria, dòppo avei fæto ancon in eneximo  stramûo in via san Benedetto (non se sa se o scito o foîse o seu; oua l’è a sede dî Monagnin), a Compagna a l’à dovûo renovâ o confaon. De fæti, dòppo tùtte e aventue dovûe a l’uzo frequente, a-i stramûi, a l’evento belico, o l’ea tutto lizo, mâ reduto, irecuperàbile. Inte l’ateiza de fâne un neuvo con neuvi scimboli, l’é stæto ordinòu a’n recamatô de fa ’na còpia do vegio: n’é sciortîo feua un, pægio a l’antigo, un pitin ciù picìn, e con solo l’asensa di doî pentafeugge, fòscia perché no ne saivan o scignificato. Se sa che, questo neuvo o l’é stæto acquizio pe mezo de ’n ‘particolare contributo’ da sòccia-consultrice scignôa Emma Poggi, in quell’anno za “conpianta”; ma n’emmo atrovòu nisciunn-a documentaçion in sce de lê e in sce chi o l’à realizòu. Into recto, quest’urtimo o gh’à un panno tutto rosso incarnatto,  co-in griffo doòu, inte ’n ovale, e o pòrta a scrîta ‘1923’.

Ma anche questo, o l’incomensa a segnâ o tempo con fisûe e pericoloxi sgoari.

   Oua, o primmo confaon o troneggia in sede, inta stansia da segreteria, e o l’amîa da-o de d’ato – apeizo a-a miagia – o ciù zuveno de lê, o Gianni Mazzarello, che tutti i giorni sta a scrîve i papê pe-i sòcci. 

   Pe-a stoïa do confaon atoale, se peu consultâ o Boletin de A Compagna, n. 2 do 1976 quande un o l’é stæto preparòu da-a grande Elena Pongiglione, co-o san Zòrzo sensa o serpente (o l’é in sede, ben fasciòu e custodîo). Ma, dòppo quello, no contenti, n’àn fæto fa ’n atro – l’atuale – pêgio – ma con o serpente sott’a-i pê.

 

 

                                                          

ALLEGATO 14 -