ANSALDO                                    via Giovanni Ansaldo

 

 

 1) STORIA della strada    vedi a 2) la storia della persona, ed a 3) quella  dello stabilimento Ansaldo

   La strada non è più a San Pier d’Arena,  ma  attualmente  a  Cornigliano  ove    corrisponde al tratto posto tra il ponte e piazza Massena (già via Cornigliano).

   A San Pier d’Arena, nel dicembre dell’anno 1900, un regio Commissario straordinario, propose alla Giunta comunale il nome di “via Giovanni Ansaldo” per la strada  che “dalla via Operai, va al ponte di Cornigliano”: così, in buona parte il tracciato si sovrapponeva all’ultimo tratto della antica ‘via al ponte di Cornigliano’ (vedi; detta anche “Crosa comunale del Ponte, detta crosa del Ponte”). Quest’ultima, nel primo tratto dal mare, aveva già subìto il cambio nome con ‘via Bombrini’ tra gli anni 1884 e 1897. La via Operai ne aveva tagliato a metà il percorso e permise che la parte a levante rimasse via Bombrini; la parte ad ovest, quella finale in direzione centripeta, divenisse via G.Ansaldo Finché poi, anche via Ansaldo, infine scomparve inglobata nella grossa industria.

   Quindi, ancora nel 1910 la vediamo ufficialmente descritta andare da via Operai a via Argine Polcevera, ed avere numerose case ai lati (sino al 16 i civici pari, e 17 i dispari corrispondenti ad otto caseggiati da un lato e nove dall’altro, poi distrutti).

A febbraio di questo stesso anno, dovette chiudere l’attività il produttore di candele e sapone Gerolamo DeMarchi e vendere tutta la proprietà (posta nell’angolo col Ponte,  tra l’argine del torrente e l’ultimo tratto della nostra strada, in una area racchiusa tra ferrovia e via s.Cristoforo) all’Ansaldo in fase di espansione nella prevista produzione bellica  (i fabbricati vennero abbattuti per erigere una cabina elettrica ed un palazzotto a più piani,  dapprima magazzino poi officina ‘piccole artiglierie’: nel 1925 sul Pagano, in grassetto, alla voce ‘Artiglierie” si reclamizza l’ “Ansaldo S.A. (stabilimento per la costruzione di artiglierie) Sampierdarena”).

  L’11 luglio 1911 parimenti l’Ansaldo (guidato dai Perrone) acquista un altro terreno (posizionato sopra la ferrovia e sotto il DeMarchi) di proprietà Augusto Schöeller questi vi aveva impiantato una piccola industria –chiamata “ditta Allgeyer &C., lavatoio di  lane”- di lavaggio a vapore della lana; al suo posto si prolungò un edificio già eretto che arrivava alla ‘via Provinciale’ (oggi  via Pieragostini) ed un altro capannone trapezoidale per ‘magli e forge’.  Ultima sarà l’area a ponente dei due sopra, di proprietà dei Molini AltaItalia posizionati a levante del ‘palazzaccio’, ove ore sono i “Giardini Ansaldo Meccanico”: nell’angolo tra via Pacinotti-via Pieragostini-Ferrovia

   Nel  1915, la strada appare confinare a nord (sino alla ferrovia) con terreni di proprietà a mare di Ferrando Vittorio e, sopra, di GB Bagnasco (ambedue confinanti con via Operai. Rispettivamente A e C del disegno. Ambedue segnalati come fabbri-stallieri, possessori di officina di mascalcia e stalle per cavalli) e - proseguendo verso ponente - del comm. Carlo Pastorino, possessore sia della villa settecentesca rimasta eretta in via Garibaldi (via A.Pacinotti) ed ancor oggi presente, sia di altra villa già proprietà (negli anni anteriori al 1853) della vedova Pratolongo (quest’ultima affacciata sulla nostra strada allora detta Crosa del Ponte).   Questo terreno (vedi cartina- una losanga racchiusa tra la strada, la ferrovia e via Operai) inizia la trafila degli acquisti da parte della società; era in possesso -fino al novembre 1863-  dei due fratelli Pratolongo fu Vincenzo: il canonico rev GB ed il negoziante in SPd’A Luigi. Era un terreno di 1100 cannelle pari a 9900 mq con  un palazzo a tre piani, con 24 vani, che nel 1883 venne definito ‘di antica costruzione’ (e forse la antica torre della Fiumara appartiene a questa villa, anche se negli atti di compravendita non si parla di torri);  con corte ed accesso sulla ‘strada del Ponte’ civ. 12, con un piano terra a magazzino, piano nobile e piano a mezz’aria; più un baraccone stalla e fienile; un tetto per letame e casetta con piazzetta annessa, e prospiciente l’orto; confinante a mezzodì con la ferrovia a cavalli già Antico stradone (via Pacinotti), e colla ‘strada al Ponte’, a levante con la ‘Nuova Strada via Operai’, a nord con la ferrovia ed il signor Molinari. A quella data lo vendono a  Giacomo Calvi fu Quirico negoziante in SPd’A. Forse fu durante il possesso di Giacomo che sorse la villa tutt’ora esistente e che prospetta in via Garibaldi (ora Pacinotti) perché essa compare nell’atto di vendita come ‘palazzina di tre piani compreso il piano terra, recente, posta al civ. 15 della ‘via  Garibaldi già via Nuova’, con magazzini e 26 vani. Risulta anche che il Calvi possedeva un palco loggia (il n°2 prima fila) nel teatro Modena “in strada Nazionale ora Vittorio Emanuele mediante piazza”) e lo vendette ad un altro negoziante locale Gherardi Carlo fu Andrea. Non ci è dato sapere se è imparentato con l’omonimo, marchese, che possedeva l’appartamento al piano nobile della ‘Banca d’Italia’ di via Cantore.  

Il Calvi, il 18 luglio 1883 per debiti fu costretto a vendere; l’acquisì Giacomo Pastorino fu cav. Pasquale (il quale della antica villa posta ora al civ. 7 ne fece una ‘casa civile di 26 vani’; più a fianco al civ. 5  un magazzino con, nei 4+4 vani del 1°  e 2° piano per  5280 mq, la ‘Fabbrica d’olio’. Aveva inoltre una officina e baraccone di legno per deposito delle botti, ed un magazzino per cereali). Quando morì il 7.4.1887, lasciò l’ eredità al fratello comm. Carlo che abitava in via Garibaldi 20 (che gestisse pure la parte che competeva alla madre Barabino Carlotta deceduta poi nel 1999 e quello che lui donava alle tonnare che possedeva in Sicilia, all’ospedale di Pammatone ed all’asilo di Bolzaneto). Nel 1915 Carlo Pastorino dovette vendere tutto all’Ansaldo che demolì tutto (non ho letto specificatamente che ‘dovette’; ma fogli a parte, generici e riferiti a leggi  datate 1916, e messi in atto anche nel 1936, intestati a re Vittorio Emanuele III,  classificano la necessità di ampliamento dello Stabilimento Meccanico per ”necessità dello stato e per utilità pubblica”).

      Il Novella egualmente descrive la strada distaccarsi da via Cesare Battisti (attuale R.Pieragostini+E.Degola=vedi); posizione confermata nel  1933 quando era di 5.a categoria, con solo due civici (sino al 4), ma chiusa perché nell’evoluzione territoriale dell’Ansaldo, la strada fu nel 1916 inglobata nell’interno dello stabilimento, acquistata e privatizzata; e prima di scomparire all’uso pubblico, terminava al muro di cinta della società.

In virtù delle disposizioni di legge, leggiamo una lunga serie contemporanea, dal 1917, di atti di vendita all’Ansaldo da parte di tutti i proprietari  degli immobili che erano nati nella seconda metà del 1800. Tutti, appena evacuati, furono demoliti: così il civ.11 (proprietari Pareto, Zunino, Vinelli); il civ. 13 dove i fratelli Vinelli avevano tutti gli appartamenti escluso 4 di proprietà del colonnello Botto; ed il civ. 15 posto tra l’Ansaldo e la soc. Molini Alta Italia;  dovettero vendere sia i 2 fratelli Rivaro (6 appartamenti. Erano con la madre Assunta Storace ricchi possidenti di case e negozi,  poste nella piazza XX Settembre angolo via CColombo a levante; ed in via Arnaldo da Brescia presso la piazza del Teatro e magazzini con appartamento soprastante  in via Mazzini al civ. 3 e 5); Pareto Ferdinando (3 appartamenti); Roccatagliata Agostina in Nanni (3 appartamenti).

      Nel 1921 una pesante  tassa comunale raggiunge l’Ansaldo, aperto nella nostra strada con le componenti ‘Meccanico’ ed ‘Artiglieria’ .

   Per la verità rimase solo il pezzo finale, una ventina di metri, che dal gabbiotto del guardiano all’ingresso dello stabilimento sfociava in via Pieragostini: questo tratto, nel 1927 compare nell’elenco delle strade genovesi, di 5° categoria.

   Dal 14 nov.1946, il tratto finale verso il ponte cambiò momentaneamente nome,  assumendo quello di ‘via Enrico Melen’, confermato ovviamente ‘chiuso’. Finché anche esso fu tolto (il nome trasferito pure lui a Cornigliano negli anni  dopo il 1961)  ed il tratto rimase anonimo.    Ancora nell’annuario del 1961, viene confermata l’esistenza di una via E.Melen da via R.Pieragostini, con civici fino al 9, chiusa. Ma in realtà nessuna targa la evidenziava.

   Nel 1999, la totale ristrutturazione della zona, portò alla cancellazione totale di qualsiasi eventuale antica vestigia.

 

2) DEDICATA

all’imprenditore Giovanni Ansaldo che, assieme a Carlo Bombrini (vedi alla via omonima), Giacomo Filippo Penco e Raffaele Rubattino, nell’agosto 1852 rilevarono gli impianti di Taylor & Prandi  (tramite le Ferrovie dello Stato-ovvero sotto tutela dello Stato- le quali però per numerosi anni continuarono a comperare le locomotive in Inghilterra), facendo nascere una nuova “Società in accomandita semplice,  Giovanni Ansaldo & C.”, che come stabilimento meccanico acquisterà poi spazi internazionali  e determinerà in maniera primaria la sconvolgente trasformazione di San Pier d’Arena  - con Cornigliano e Sestri -: delegazioni che diverranno  centri nazionali dell’industria pesante (ma irriconoscibili come ambiente rispetto al passato,  anche se proiettati nel futuro dapprima col titolo di città (1865), seguito per noi dallo stupido sinonimo di Manchester Italiana (ritengo stupido il farsi vanto di una fregatura: basta guardare le foto di quella povera città inglese avvolta di smog. Anche Cevini, involontariamente certamente, cade – a mio avviso - nell’errore di definire così SPd’Arena, visto la «disponibilità di terreni e la vicinanza con Genova ... ragioni che confermavano, del resto, la “vocazione industriale”, in generale, del Ponente genovese...». Lo dice lui, ma non è vero: sono gli uomini –che abitavano a Genova centro-est o a Torino- che decisero questa vocazione, e non quelli di  ‘SPd’Arena, Sestri ed il Ponente tutto’,  che invece si ribellarono sia alla ferrovia nel bel mezzo delle strade, sia all’industria pesante di cui ne avrebbero fatto volentieri a meno alla pari di tutte le terre del levante genovese. Tutte belle cose per chi ci si è arricchito e per chi ne ha tratto lustro col potere. Molto meno, per gli operai che han dovuto ammucchiarsi qui e che per anni, solo lavorando sodo ed all’inizio con turni mostruosi, scioperando – senza stipendio quindi -, facendosi deportare, hanno maturato la lunga e soffertissima evoluzione del sociale; molto lentamente hanno imposto - fino a far divenire spontanea ed ovvia - la dignità del lavoratore; ma per i molti  che ci sono morti dentro e fuori, o  incidentati, intossicati ed avvelenati dai fumi, e per San Pier d’Arena intesa come territorio raffrontabile ad altri centri della riviera: che disastro! altro che vantarsi di essere come Manchester! Neanche gli inglesi lo fanno)

   La nomina dell’ing. Ansaldo a dirigere l’azienda fallita dell’inglese, non fu casuale, anche se a tutt’oggi non conosciuta nei suoi intimi particolari: lui era infatti partecipe al capitale societario per solo 1/8; ciò malgrado fu scelto quale socio dirigente. Tale nomina fu prima sottoposta per approvazione al primo ufficiale e ‘sottosegretario’ per le Strade Ferrate del regno - il magistrato Bona, e la ottenne; dato il suo alto prestigio, detta scelta fu garanzia anche per il governo.

   Nato nel 1818, primo di tre fratelli (uno divenne magistrato, l’altro un medico chirurgo), da Giovanni Battista segretario del marchese Lomellini, ed il cui nonno era lanaiolo e possedeva un laboratorio di tappezzerie) fu educato severamente dalla madre, un tipo energico, pieno di iniziative e capace di tirare su i figli pressoché da sola educandoli al senso del dovere. Era alto, biondo, di bell’aspetto, gioviale, idolatrato. Spontaneamente preferiva il disegno, con vaghe idee di fare il pittore; i genitori, il cognato medico e padre Badano (un luminare delle discipline matematiche) influenzarono la scelta vocativa facendolo iscrivere all’università ad una facoltà tecnica, non umanistica.

Così il giovane, appena 22enne già si laureava in ingegneria civile, e l’anno dopo (1841) in ingegneria idraulica.

   I primi guadagni provennero da attività di architetto in alcune ville di nobili genovesi e rivieraschi, nonché restaurando alcune chiese e badìe; abbandonò questa avvincente prospettiva quando fu chiamato, a 24 anni, a divenire docente supplente alla cattedra universitaria di calcolo infinitesimale (rimasta vacante alla morte del suo maestro), con lo stipendio annuale di 1.500 lire.

   Aiutato dal cognato (Emanuele Ramorino, che aveva sposato la sorella Rosa; medico, divenne poi direttore dell’ospedale di Pammatone. Ebbe un figlio, Giovanni Ramorino, nato a Ge 28 marzo 1841, laureato in Scienze Naturali; fondatore nel 1866 della “Società di letture scientifiche”; cattedratico a Buenos Ayres, per i suoi studi;  ricco di diplomi e medaglie –sulla febbre gialla-, onorificenze ed incarichi. Ammalatosi, tornò a Genova ma dopo pochi giorni  morì 35enne di meningite il 14 apr. 1876) a mantenere la famiglia essendo rimasti orfani, poté nel 1845 aggiungere il titolo di dottore in matematica.

    Il matrimonio con Giuditta Muratori, oltre alla cospicua dote essendo figlia di un grosso imprenditore locale venuto su dal nulla, avendo iniziato quale operaio tessile nella fabbrica di mezzeri di Cornigliano, gli aprì le porte all’ambiente economico genovese; così, già nel 1846 era membro della Società economica di Manifatture e Commercio.

   Nel 1847 divenne libero docente incaricato di insegnare geometria descrittiva e, nel 1850  superando difficili esami e concorrenti assai preparati, docente effettivo nella cattedra di cui era supplente, di analisi infinitesimale.

   Fu pure insegnante di ‘meccanica applicata alle arti’ (uno dei due corsi più importanti assieme al chimico, mirati a sfornare provetti operai specializzati capaci di elevare la qualità del prodotto) nella scuola tecnica serale per adulti, una delle prime nello stato sabaudo, istituita (26 nov. 1847) dalla neonata (nov. 1846) Camera di Commercio di Genova, da cui i governanti molto si attendevano sull’evidenza di esperienze eguali prodotte in Inghilterra con successo: ottenne una patente di nomina, firmata da Carlo Alberto, in cui si fa riferimento alle sue estese cognizioni, ed il suo interesse verso l’innovazione dell’industria nazionale (continuò l’insegnamento sino al 1854 quando fu costretto abbandonare per gli eccessivi impegni dello stabilimento di San Pier d’Arena; la rinuncia lo amareggiò molto perché il corso era frequentato anche da molti suoi operai).  In tale sede, e dai banchi del Consiglio comunale, si batté per ampliare le scuole professionali, anche navali.

   Nel 1851 fu inviato a Londra  alla prima Esposizione Universale, quale esponente del governo piemontese ed a capo di un gruppo di operai inviati a scopo istruttivo.

   Fu più volte chiamato a collaborare con l’amministrazione civica locale per problemi di urbanistica e di comunicazioni, in particolare ebbe l’incarico dei lavori preparatori all’allestimento della stazione ferroviaria di Principe e di sue infrastrutture quale nodo di svicolo e collegamento tra porto ed entroterra;  animatore di diverse Associazioni miranti a promuovere lo sviluppo economico; nonché consigliere comunale: divenne personaggio noto e stimato negli ambienti finanziari genovesi, pioniere di idee e progetti  che non sfuggirono all’attenzione del Cavour per i propri programmi  industriali, specie marittimi e ferroviari.

   Divenne membro del ‘Circolo Nazionale’ (nato nel 1847, vi si riunivano i patrizi più illuminati assieme ai borghesi in affari, per aprire dibattiti sulle possibilità di una evoluzione economica progressiva, sulla base delle promesse, politiche ed istituzionali, dell’amnistia di Pio IX (1847), dell’istituzione della Guardia Civica, della libertà di stampa, dell’allontanamento dei Gesuiti, delle libere elezioni per la formazione dei Consigli comunali,  della guerra all’Austria, delle prime consultazioni politiche – avvenute poi nell’aprile 1848 - alle quali partecipò solo l’1% della popolazione e vinse il partito di Cavour). Fu qui che conobbe i soci, con i quali poi costituì l’Ansaldo società.

  I rapporti tra imprenditori d’alta finanza genovesi ed i politici torinesi erano tesi, dopo i moti antisabaudi (avvenuti nel marzo-aprile 1849 all’indomani della sconfitta di Novara e della abdicazione di Carlo Alberto; repressi con violenza dai bersaglieri di Lamarmora); Cavour mirava anche a stemperare gli animi fornendo nuove fonti di lavoro e favorendo la ‘febbre industriale’; Genova poteva diventare la principale componente dello stato sabaudo nel campo industriale e finanziario; i tempi apparivano maturi per promuovere la metallurgia nazionale, e furono l’arma vincente per lo stabilimento (la coesistenza di eventi concatenati, come una miccia, un barilotto di polvere e dei fiammiferi, che separatamente non avrebbero così intenso significato, fu protagonista del botto iniziale ed evolutivo dello stabilimento: la gente giusta nel momento giusto).

  Il tempo libero era dedicato all’arte ed alla storia: nel 1850  fu nominato socio dell’Accademia Ligustica di belle arti; nel 1855 divenne membro del Consiglio dell’Ateneo; fece pubblicare e scrisse la prefazione degli ‘Annali’  del Caffaro, conservati a Parigi; assieme al fratello Francesco stava preparando un lavoro sui più antichi statuti genovesi.

    A trentaquattro anni era così divenuto il migliore esponente della borghesia professionale, politicamente simpatizzante dei liberali moderati (che avevano il capo in Cavour), un esperto interlocutore  tra Torino (impegnato in una politica agraria importante) e Genova (in fase di apertura ad una politica industriale emergente).

   Ricevette nel 1854 la nomina a cavaliere dell’ordine dei santi Maurizio e Lazzaro (ordine cavalleresco nato con approvazione papale dalla fusione dei due ordini separati, il 13.11.1572; ebbe come primo gran maestro, Emanuele Filiberto di Savoia. Dalla originale funzione di assistenza ai lebbrosi e dai pirati, alla generica assistenza ospedaliera fino a che, con l’avvento del regno (1868) fu scelto come titolo solo onorifico del regno stesso).

   Morì a soli 44 anni il 27 aprile del 1859, per una infiammazione cerebrale (lo stesso giorno in cui iniziarono a sbarcare a Genova le truppe francesi che si uniranno alle piemontesi per le lotte del Risorgimento); lasciò la moglie (che morì trentaseienne nel 1862) e quattro figli in tenera età (due maschi: G.Battista lavorò poi all’Ansaldo mentre Francesco Gerolamo divenne capitano di mare; e due femmine Anna ed Antonia). Pensiero comune fu che «il signor ingegniere la malattia se l’era presa per certi collaudi di macchine, sulla linea dei Giovi, dove dovevano passare i treni carichi di soldati».

   Malgrado la breve dirigenza, lo stabilimento continuò la sua attività con lo stesso nome (i primi dirigenti a succedergli furono Luigi Orlando, 1859-1866 e Wehrli, 1866-82)  migliorandosi, ingrandendosi e divenendo il più grosso e - per un meccanismo di identificazione - amato complesso  industriale della nostra città.

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3)                                        Lo stabilimento

Lo zoccolo del fenomeno fu la staticità di una élite imprenditoriale, per cui dai soldi dei grossi ma limitati negozianti ed artigiani (di olio, sapone, biacca, tessuti, ecc.; limitazione intesa come panorama di investimenti, al di là del locale), si passa a quelli di nuovi più dinamici imprenditori –prima stranieri (arricchiti con soldi delle regie tasche; che forti di soldi e del bagaglio di esperienze acquisite in GranBretagna, poi sul campo in Crimea, e con l’aver già impiantato una similare officina a Marsiglia; ma inusate nel regno sardo - di per sé in crisi finanziaria dopo i rovesci militari -), e poi nostrani (per quello che nazione poteva essere allora) - che si possono permettere con facilità e padronanza occupare spazi utili per investire ed aumentare le loro ricchezze e potere.

Se il loro fu un contributo o una dannazione, è pura e teorica filosofia; perché coesistono ambedue i risvolti dei punti di vista. Abbiamo perduto la spiaggia, la vocazione marinara, la serenità ambientale (come quella di Nervi, Sturla o Quinto, ..); abbiamo conquistato la massa di immigrati con le loro differenze sociali, ed anche lo smog (la Manchester... cancerogena) col cancro e la classifica di suburbio (i risvolti positivi sono appannaggio di Genova: città industriale dirigenziale;  mentre SPd’A sarà spregiativamente  periferia industriale operaia,...).

 

Fatto è che nacque così, su un’area iniziale di 6.850 mq acquistata nel 1846  da Philip Taylor un edificio che fu innalzato su un suo progetto, e da lui chiamato “il Meccanico”. Appaltato all’impresa Nicolò Scaniglia l’8 luglio 1847, fu aperto nello stesso anno cointestato al cav. Fortunato Prandi (uomo d’affari piemontese, con tanti anni di lavoro in GranBretagna, esperto in questioni ferroviarie, che divenne il firmatario del prestito di 500mila lire senza interessi concesso da parte dello Stato nell’ottica di finanziamenti per le strade ferrate da restituire entro il 31.12.1859. La cifra doveva essere così distribuita: 200mila per il terreno e gli edifici; 140mila per i macchinari, 60mila per le materie prime con cui iniziare, 100mila come capitale circolante). Il progetto, scritto – guarda caso, sua maestà non conosceva l’italiano - in francese era “plan general pour les Ateliers de construction de M.M. Taylor et Prandi à Gênes». Nella carta, il cantiere iniziava dalla spiaggia e salendo verso nord vedeva per primo un lungo “vieux magasins et logements” con al suo ponente il “chantier per le construction des coques en fer”. Sopra essi, 6 capannoni messi due a due affiancati, sovrapposti, orientati est-ovest con in asse al centro una “environ...ment du chemin de fer”: nel primo a levante il n.4  “modelage et charpenterie”; a ponente il n.3 “montage et ajustage ou reparation des Locomotives”; sopra il n.1 “fonderie” con a ponente il n. 2 “forge”; ancora sopra il n.6 “construcrion et riparation locomotives” col n.7 “magasins  bureau”.

Il capannone n.5, all’estremo levante al confine della ‘route vicinale’ la quale raggira tutta l’area chiudendola anche a nord, è separato dal 4 da una area “chantier pour chaudieres a vapeur”, orientato nord-sud, ad uso “tolerie”. A nord del 5, “depot de charbon. Fonte cre (sic)...”. (vedi foto allegata).


1847- regie Lettere Patenti di concessione a Taylor-Prandi

 

 

 

 

 

 

 

   Il fine, era una officina per riparazione e costruzione di macchinari necessari alle ferrovie del regno (la prima ordinazione fu l’anno dopo, di 10 serbatoi; la decisione di costruire una ferrovia tra Torino e Genova era nata nel febb. 1845, e l’idea di aprire uno stabilimento capace di fabbricare e riparare materiale ferroviario, arrivò al momento giusto).


   Nei terreni di proprietà della moglie del marchese Fabio Pallavicini espropriati quali ‘oggetto di pubblica utilità’ (corrisponde alla tecnica dell’esproprio coatto: questa scusante sarà applicata in futuro più volte dall’Ansaldo, rivelando una sempre più tolleranza delle autorità e sempre poco giustificata aggressività del forte a  danno del più debole), furono eretti - usando pietre appaltate dalla cava della Chiappella - due lunghi edifici rettangolari (m.50x140) affiancati e paralleli al mare ed alla via al Ponte di Cornigliano; ad alta navata e grandi spazi, che prendevano luce da finestroni e da abbaini posti sul tetto tipicamente spiovente (capannoni); l’entrata fu aperta su una nuova strada creata appositamente sfruttando parte della vecchia crosa al Ponte, e poi chiamata via Operai.

   Le difficoltà fecero chiedere due altri prestiti, di 250mila e poi di 60. Ma il 18 ago. 1852, i due dovettero rinunciare all’impresa, e per saldare il debito totale  di 810mila lire di allora contratto con lo Stato, restituirono alla pari lo stabilimento al governo torinese.

   Il tutto venne rilevato - con l’aiuto di un prestito statale di 812mila lire - dal gruppo genovese comprendente Giovanni Ansaldo (intervenuto con l’investimento personale di 40mila lire, unico dei quattro ad avere delle competenze in materia e quindi in grado di assumere la gestione dell’impresa), Carlo Bombrini (allora presidente della banca Nazionale Sarda che poi divenne la Banca del Regno d’Italia; senatore; vedi alla via omonima; partecipò con 80 mila lire), Raffaele Rubattino (mazziniano fornì le navi a Pisacane e Garibaldi, armatore ed assicuratore marittimo, fornì all’Italia la prima base coloniale in Africa; con 80 mila lire) e Giacomo Filippo Penco (Partecipò con 120mila lire. Fu un classico esponente della alta borghesia genovese di metà800 con interessi in agricoltura ed edilizia; fu tra gli artefici dell’espansione urbana di Genova in quel periodo; nonché finanziere nell’armamento, nell’industria mineraria e nelle saline sarde; ricoprì pure cariche politiche essendo stato deputato nel biennio 1848-49 e poi consigliere comunale e vicesindaco. Morì nel 1854. Le quote della famiglia – come di quella di Ansaldo - saranno rilevate dai figli di Carlo Bombrini, Giovanni e CarloMarcello, nel 1882, alla morte del padre.).

                     

Tutti personaggi i quattro, non solo dotati di ampi mezzi economici, ma soprattutto ben visti alla corte torinese per i loro precedenti di mediatori (facendo parte dal sett.1847, del “Circolo Nazionale” - una creazione di Giorgio Doria, detta pure Società dell’Ordine perché, dopo la rivolta del 1849, ebbe obbiettivo di ottenere dal governo alcune riforme mirate ad attenuare le spinte popolari.  Vi si riunivano  i patrizi ‘illuminati’ e la borghesia professionale e degli affari più in vista (e quindi Penso, Bombrini, e Rubattino; ma anche Tito Orsini, Paolo Farina, FrancescoPallavicini, Orso Serra, Sebastiano Balduino). Il Circolo era nato in conseguenza dello scioglimento della “Società Economica di Manifatture e Commercio", e favoriva un ambiente liberal- costituzionale, ovvero propugnatore di riforme graduali, scevre di pericoli sociali e quindi accettabile dai ceti più bassi e in grado di assicurare assieme al rinnovamento delle istituzioni pubbliche, una migliore prosperità e sviluppo) tra la casa regnante e l’ideologia mazziniana repubblicana dominante in Genova; tutti appartenenti alla stessa generazione di persone colte, nate in periodo napoleonico (quindi animati da spirito di rinnovamento e libertà) ma aderenti alla realtà politica del momento (la monarchia genericamente invisa e la necessità di realizzare iniziative produttrici in un momento in cui la stessa monarchia era in forte fase di trasformazione e deficit per le guerre, sostenute e previste).

   Questo gruppo, il 15 sett. 1852 (notificata in Tribunale nel gennaio 1853 in concomitanza della presa di possesso del materiale esistente)  formò la “società in accomandita semplice Gio.Ansaldo & C.”, con previsto principale  incarico di lavoro (forse unico) ordinato dalle ferrovie (inizialmente le ordinazioni pervennero col contagocce, preferendo il prodotto estero sia per diffidenza verso i genovesi, che per convenienza di alleanze belliche necessarie per la progettata guerra all’Austria (1859)); però la sua attività ufficiale iniziò il 26 gennaio dell’anno dopo, solo dopo la firma del Parlamento e di re Vittorio Emanuele sulla cessione  della precedente gestione, il 19 giu.1853).

1853 – In quest’anno fu inaugurata, la nuova linea ferroviaria Torino-Genova con la presenza del re e di Cavour sia alla cerimonia che nella fabbrica. Le officine Ansaldo furono le prime ad essere collegate con quella linea (tramite rotaie che collegavano i vari capannoni sia col porto che con la stazione locale, a mezzo traino dei vagoni  con cavalli).

 Il conto degli assunti al lavoro vede una alta percentuale (36,7%) di sampierdarenesi, che salirà al 47,5% nel 1860;  ed al 73% quando le statistiche  valutano globalmente anche i residenti nel genovesato. In genere tutti operai di bassa qualifica, spesso analfabeti; quando per essere responsabilizzato capo officina, agli inizi, per l’azienda  era necessario assumere personale straniero (inglese e tedesco), più capace ma poco fantasioso nel saper sfruttare le macchine e le loro riparazioni.

 Tutta questa produzione, la sua suddivisione ed infine il trasporto  andavano sempre più richiedendo nuovi lavoratori e nuovi spazi imponendo senza rispetto dell’ambiente e della città una occupazione progressiva che inorgogliva i politici per la fama in acquisto, offriva lavoro a masse di povera gente, arricchiva alcuni azionisti,  ma come un cancro, distruggeva rosicchiando il naturale tessuto ambientale.

In quest’anno venne ratificato il contratto dell’Ansaldo dal Parlamento con legge 19 giu.1853 n.1561. I relativi progetti di legge erano stati presentati da Cavour (ministro delle finanze) alla Camera dei deputati il 25 febbraio; e poi al Senato il 28 aprile. La legge fu approvata il 28 aprile 1853 alla Camera e l’ 11 giugno al Senato.

 

   La produzione di locomotive iniziò subito, e la prima di esse, chiamata “Sampierdarena”, fu consegnata nel 1855 per essere messa in azione nella tratta iniziale Torino-Rivoli (chiaro che in tempi così ristretti, mancò la possibilità di essere competitivi con eguali prodotti stranieri; né il ministro – prima Paleocapa poi Bona - poteva  giustificare lo spendere di più solo perché il prodotto era nazionale. In previsione di una guerra all’Austria nemmeno si poteva inimicarsi gli alleati smettendo di tenere aperto il loro mercato. Questa locomotiva a vapore, sino al 1909 era ancora in servizio; e nel 1953 era in mostra nella stazione ferroviaria di Savona).

La seconda ordinazione fu di due locomotori, per la tratta Torino-Novara.

Dopo tre anni già venti locomotori erano attivi sulla rete nazionale.

  In contemporanea, nel 1857 si costruì la complessa macchina idropneumatica inventata da Sommeiller (vedi) per essere usata per il traforo del Cenisio

   Nel 1859, alla morte di Ansaldo, l’azienda già forte di 480 operai, fu affidata per sette anni all’ingegnere navale  Luigi Orlando (fino al 1865. Siculo, fu favorevole all’impresa dei Mille accettando si formasse nella fabbrica l’arsenale garibaldino); mentre faceva produrre la tettoia per la neoerigenda stazione di Principe, allargò il campo d’azione alla meccanica navale e cantieristica: nel 1860 furono costruite due cannoniere, le prime navi da guerra del regno. Questo positivo indirizzo  obbligò i dirigenti dell’azienda ad allargare lo stabilimento verso il mare invadendo i terreni in quella direzione ed obbligando chi c’era (esempio le corderie) a cercarsi spazio altrove: nel 1882 l’area occupata era divenuta di 12mila mq, il doppio di quando nati 25 anni prima. All’esposizione industriale torinese del 1858, fu assegnata una medaglia d’oro a riconoscimento dell’attività svolta nel primo quinquennio della sua vita.

   Mentre altre società, come l’officina Robertson dovette chiudere, i Balleydier entrarono in crisi, la Westerman di Sestri obbligata a fondersi con la Odero, l’Ansaldo riuscì a svilupparsi ed estendersi, divenendo il più grosso stabilimento del regno e superando le ovvie perplessità ed addirittura cattivi presagi e disistima espressi inizialmente dal Cavour sull’impresa iniziata (tanto è vero che per lungo tempo, le grosse ordinazioni sia di locomotive che di altro materiale ferroso, erano state ancora fatte all’estero, giudicandolo più capace; in quegli anni (1858) prendeva contatti con il banchiere De LaRue che gli presentava un progetto per subentrare nella costruzione del complesso industriale-marittimo scrivendogli in francese “non si spendono 2 milioni per schiacciare un così magro rivale quale A… ma bisogna rassicurare gli imbecilli, che costituiscono la maggioranza degli amministratori quanto anche degli amministrati...”.     

In parallelo, abbiamo una immissione di manodopera proveniente da tutta Italia, con introduzione di diversità di cultura, tradizioni, la stessa lingua e necessità; anche la ferrovia importa maestranze per i cantieri dotati di pochi mezzi meccanici e molta mano d’opera per scavi, muri, gallerie; ovunque si costruisce –dentro l’Ansaldo e la città- ed occorrono materiali nuovi come calce, cemento, esplosivi, attrezzi, legname, prodotti alimentari. Le merci girano, e con loro i soldi: come al solito non distribuiti equamente).

   Produzione importante furono nel 1858 i cannoni di ghisa di nuova invenzione: alla vigilia delle ostilità con l’Austria (1859), il Cavour ordinò la fabbricazione di cannoni in bronzo da 6, 8 e16 mm, fece modificare e rigare i cannoni navali e cerchiare quelli fatti in ghisa svedese, fece fabbricare proiettili adeguati; ed in contemporanea  le macchine per 4 cannoniere per una flotta sul Garda costituenti le prime navi da guerra a vapore italiane ovvero la “regia flottiglia interna” (utilizzate anche da Garibaldi nella campagna del 1866;  anche se in contemporanea il Cavour aveva ordinato due navi da guerra a cantieri francesi giudicati più efficienti, e prima di concedere fiducia alla costruzione della prima nave a vapore in ferro italiana (1866)).

   Nel 1865, lavorano mille operai. L’anno dopo si costruì il motore per la ‘regio Avviso Vedetta’ (da 661 cavalli, primo per nave italiana a vapore ed in ferro) e per la corazzata Conte Verde.

   Se all’inizio erano due, nel 1869 lo stabilimento aveva sette tettoie ed occupava quasi 27mila mq. ove 1100 operai (con salario medio di lire 3,5; variabile da 2 a 12). Si utilizzano sei macchine a vapore della forza di 65 cavalli, 5 forni fusori, un forno a riverbero, altri 15 forni minori e 100 fucine; fabbrica direttamente del gaz (sic). Aveva inoltre ‘uno scalo capace di ricevere una fregata di primo ordine’; è unito al porto con binari di ferrovia a cavalli che favorisce imbarco e sbarco delle materie prime necessarie e trasporto del prodotto: ovvero 46 locomotive a cilindri interni sistema Stephenson e 12 a cilindri esterni per viaggiatori a grande velocità; 42 caldaie per grosse macchine marine; un cavafango di 40m. capace di pescare a 11,5 m. di profondità.

Nello stesso anno, scioperano gli operai del Meccanico, per 25 giorni. Saranno seguiti l’anno dopo dagli operai della Carena e Torre. Grossa tensione politica che preoccupa le autorità: esse accusano L’Associazione Generale di MS quale fomentatrice e sovversiva, e la chiudono; rinascerà subito come Associazione Universale. Non esistono ancora i sindacati né Camere del Lavoro –verranno a fine secolo, 1895- e la difesa del lavoratore sarà fino ad allora affidata alle Associazioni e Cooperative.

Nacque malgrado tutto –nel 1872-3, come per sfida- la prima nave costruita completamente dall’Ansaldo. Dopo aver costruito il primo macchinario a vapore di costruzione interamente italiano, necessario per la corazzata Palestro varata poi a LaSpezia, fu aperto un cantiere navale apposito sulla spiaggia cittadina accanto allo stabilimento; e quattro anni dopo fu varata la ‘Regio Avviso Staffetta’, di 1800 t. (iscritta nel Naviglio Militare nel 1887, dopo tre anni fu messa a disposizione della regina; nel 1882 andò in missione speciale a Londra; nel 1883 ospitò in crociera i principi del Portogallo. Dal 1898 iniziò l’uso a scopo idrografico comandata dal cav. E. Salazar, sia in Somalia –corno d’Africa e fiume Giuba-, in Tripolitania, Massaua, oceano Indiano, Benadir. Fu radiata nel luglio 1914. Nel 1950 una corvetta canadese di 1400 t. fu acquistata e - ribattezzata Staffetta -, con 140 marinai adibita al servizio idrografico dal 1953 al ’71 e che rilevò il punto più profondo del Mediterraneo: m. 4925, a sud   di capo Matapan).

 Seguirono altri motori (per l’”Avviso Marcantonio Colonna”, per gli incrociatori “Amerigo Vespucci” e “Savoia” – navi costruite in altri cantieri -) o parti di navi (pezzi per la corazzata Lepanto, Duilio, Dandolo) divenendo il più vasto ed importante stabilimento meccanico del regno. 

Nel 1881 morì Rubattino; l’anno dopo Carlo Bombrini.

Il consiglio comunale di SPd’A  propone una legge per limitare l’impiego di manodopera minorile ed alza il limite dell’età minima lavorativa da 9 a 12 anni

Nel 1883 la Commissione (presidente l’on Brin), poté esclamare che l’Ansaldo  era in grado di costruire ottime macchine motrici, per navi di qualsiasi grandezza.

La direzione guidata dai due figli di Bombrini, – proprietari e conduttori -  Giovanni e CarloMarcello, abbandonò San Pier d’Arena ed andò a Genova.   

Intanto, anche in virtù dell’opificio, l’ ampliamento in Sampierdarena (il censimento del 1881 contò 21.777 abitanti contro i 14.008 del 1861) fu progressivo ed inesorabile.

Le prime regole scritte, prevedono una giornata lavorativa che dura 10 ore; l’Azienda si preoccupa solamente di trovare il lavoro e non della qualità di vita dei lavoratori; questi hanno diritto a far festa la domenica e con 6 giorni all’anno –non retribuiti- di permessi; obbligatorie eventuali ore straordinarie, massimo 4 al giorno. Molti i licenziamenti secondari ad inosservanza di questo regolamento.

Nel 1884 il varo non completamente riuscito del ‘SanGottardo’ di 3600t perché il grave peso determinò l’incagliamento sul basso fondale con ovvia figuraccia di fronte alle altre imprese, successivi due mesi di lavoro per liberarlo ed inizio di un programma di spostamento a Sestri dove il fondale vicino a riva era più scosceso. Il cantiere rimase comunque in attività per effettuare varie costruzioni di minore pescaggio ma soprattutto per la produzione degli apparati motori – sempre più potenti ed all’avanguardia - con trasporto via chiatta della produzione locale da utilizzarsi nel cantieri sestresi (e, dal 1904 fino al 1911 della guerra italo-turca, nei cantieri di Costantinopoli).

1885, dall’occupazione di un’area di 42.750 mq (di cui 7mila di spiaggia) si arriverà ben presto a raddoppiare il terreno occupato a 75mila mq.; --la  costruzione  di  locomotive (in quindici anni  ne erano state prodotte 389; diverranno mille nel 1912); --acquisto nel 1885 dei terreni di Felice Rolla (uno posto a sud ovest e l’altro a nord della ferrovia ove verrà eretto un nuovo capannone parallelo al torrente), della Carena e Torre, dei fabbricati aperti su via Giovanni Ansaldo, e nel 1886 di parte di via Fiumara ceduta dal Comune; --spostamento del cantiere navale a Sestri (assorbendo il cantiere Cadenaccio)  ove il fondale è più alto; si evitò che le navi -sempre più grosse- si incagliassero, minacciando di far perdere le importanti commesse che il ministro della marina Benedetto Brin stava affidando alle industrie italiane;  --vendita dell’incrociatore Garibaldi all’Argentina (1895); --allargamento in zona Campi (1898 assorbendo il Metallurgico Delta) per nuove fonderie ed acciaierie, lasciando a San Pier d’Arena il solo settore meccanico (non da poco il problema della ‘qualità’ della mano d’opera operaia: iniziato il tutto con persone non qualificate, si passò allo specializzato, per arrivare alla riserva di mano d’opera capace da mantenere nel lavoro anche nei periodi di recessione).

 Tra alti e bassi: periodo di fulgore negli anni tra il 1883 ed il 1890 corrispondenti alla applicazione di una legge sui premi per le costruzioni navali e protezione nazionale dell’industria meccanica in genere: ne derivò contemporanea richiesta di commesse, non offerte più all’estero; iniziò per l’azienda quella dipendenza dalle ordinazioni statali che condizionerà per  un secolo successivo tutta  la storia cittadina in cui si produssero 168 locomotive con relativi tenders; si avviò una proficua attività di riparazione del materiale rotabile; si vararono a Sestri 8 torpediniere, 1 trasporto, 2 cannoniere, 2 rimorchiatori, 1 pontone, 22 barche trasporto; si  fabbricarono 9 grossi motori  – i più potenti del mondo - per navi da guerra (il primo, per la corazzata Sicilia) nonché lastre di blindaggio, pezzi forgiati per corazzare le navi, speroni e timoni; si era allargata  la superficie occupata, espandendosi con un secondo stabilimento a Sestri  (viene segnalato a parte ma esistente uno ‘stabilimento GB Gillette in San Pier d’Arena -non specificato dove-,  che nell’anno 1886 ricevette ordinazioni di arpioni ferroviari, aumentando così il personale occupato. Dal 1883 era in attività (nell’attuale via Ulanowsky) anche la soc.Cooperativa di Produzione formatasi con operai licenziati dall’Ansaldo in quell’anno. Ricevette commissioni,  dal 1889, pure la soc.meccanica ‘Storace Frioli’ divenuta poi ‘Roncallo, Storace e C. (v.via P.Reti)); periodi di crisi nel 1853-60; 1861-77; 1890-5 (quando tra i direttori compare un ingegnere tedesco nell’iniziale tentativo germanico di allargare il proprio dominio in campo mondiale invadendo i concorrenti, e per smaltire i suoi prodotti industriali; fu da Genova che partì il corpo militare inviato dalla Germania per reprimere la rivolta dei Boxers) e gli operai calarono da 4200 (2700 del meccanico e 1500 del cantiere) a 1350 (rispettivamente 900 e 450). Non per snobbare la manifestazione, ma per chiare difficoltà economiche, alla grande festa dell’Esposizione colombiana a Genova (mentre nella grossa galleria dedicata alle macchine, molte furono tenute in moto per sollevare -nei più non abituati a quel tipo di frastuono- grida di stupore) l’azienda fu presente solo con disegni, modelli di lavori già eseguiti e le prime foto di macchine marine o locomotive.

 

E risalite dopo il 1895, in rapporto all’aumentata produzione di locomotive (in sette anni, ben 270); all’acquisto  all’asta, a metà prezzo dopo 8 incanti, della soc.Italiana Delta di Cornigliano; all’acquisto (1903) della Armstrong inglese (fabbrica di cannoni a Pozzuoli), divenendo soc.an. italiana Gio. Ansaldo-Armstrong Whitworth & C. Ltd. – atto notaio Bonini di Genova del 3 dic.1903, poi omologato a Roma – divenendo proprietaria di stabilimenti di artiglieria a Pozzuoli con una capacità di impiego di 16 mila operai e con afflusso di nuovo capitale (anche dai Bombrini, per 9 milioni e da FerdinandoMaria Perrone). Nell’anno 1903 l’Ansaldo era particolarmente specializzato nel campo delle costruzioni e riparazioni navali (in concorrenza con i cantieri Odero e Orlando) e malgrado  comprendesse attività produttive a  Sampierdarena (lo stabilimento Meccanico), a Cornigliano (le Fonderie e Acciaierie, l’Officina Elettrotecnica e lo Stabilimento Metallurgico ex-Delta), a Sestri Ponente (il Cantiere navale), ed a Genova (l’Officina Allestimento Navi al Molo Giano e l’Officina Riparazioni al Molo Vecchio), rischiò rimaqnere fuori del mercato, scalzato dal trust delle grandi aziende metalmeccaniche. Allo scopo concluse l’accordo con l’azienda inglese onde potersi assicurare la fornitura dei materiali necessari a resistere alla pressione del trust medesimo. In questo modo ebbe solo un relativo calo  nel settore  cantieristico e del suo indotto nel 1904-6, e riuscì a svincolandosi dalla dipendenza dei gruppi siderurgici. L’accordo con la Armstrong dopo aver trovato una nuova soluzione al proprio problema si interruppe nel 1912.

 Ma, fino ad allora soprattutto positivo all’economia aziendale fu l’allargamento produttivo alla fabbricazione di armi di qualsiasi tipo (cannoni, proiettili e corazze)

Nell'ago/09 fu ritrovato un relitto, e dapprima attribuita ad altra corazzata (ReginaMargherita) affondata da una mina nella stessa zona, e mai localizzata. Fu poi chiarito trattarsi dell'incrociatore Garibaldi progettato (assieme ai gemelli FrancescoFerruccio e Varese) per essere 'da battaglia, o corazzati' ovvero più armati e più protetti degli altri della stessa categoria.

Dopo l'inserimento dell'Italia nella Triplice, era ovvia la possibilità di uno scontro con le potenti squadre inglesi e francesi; e pertanto il Ministro della Marina nel 1893 commissionò la Garibaldi a Sestri (le altre, rispettivamente a Venezia e Livorno). Il nostro, fu varato nel 1899; e infine consegnato il 23.02.1902 con solenne cerimonia nella quale venne letta per la prima volta la preghiera del Marinaio di Antonio Fogazzaro (e viene letta ogni giorno sulle navi da guerra all'alza ed ammaina bandiera).

Aveva sperone a prora; cannone da 254mm, due da 203, 14 da 152, dieci da 76, sei da 47; due mitragliere e 4 tubi lanciasiluri. La fiancata aveva spessore di 150mm; la plancia di 40 circa; dislocava 8.100 t.;  lunga 111,76, larga 18,20; 24 caldaie per due motori alternativi e con relativa elica .

Il primo contatto bellico fu nella guerra italo-turca, bombardando nel 1912 Beirut (ed ancor oggi, ogni disservizio in città viene stigmatizzato come 'colpa degli italiani'; ed affondando la cannoniera turca 'Aunillah' . Scoppiata la guerra del 1915, fu mandata a difesa dell'esercito serbo sbaragliato dalle forze dell'impero (=300mila fuggiaschi e sbandati)

Nella notte tra 17 e 18 luglio 1915 la nave fu silurata al largo di Dubrovnik da un sottomarino austriaco (un U4) precipitando a 122 metri di profondità

Negli anni anteguerra, soprattutto nel 1912, lo stabilimento fu in grado di produrre in un anno due armamenti completi per grandi navi da guerra. Malgrado rapporti politici con la Triplice, ampi e stretti interessi economico-commerciale coinvolgono l’Ansaldo con del capitale francese ed inglese per la fabbricazione di cannoni, l’acquisto di miniere (di ferro di Cogne in primis, per la materia prima) ed esplosivi.

Arrivano intanto la guerra di Libia (Tripolitania e Cirenaica), e quella turca (1911 l’occupazione di Rodi e Dodecanneso; essa comporta però la perdita del programma iniziato pochi anni prima con il governo di Ankara che aveva affidato all’Ansaldo sia la costruzione di alcune navi da guerra che la manutenzione dell’intera propria flotta con invio di 800 nostri tecnici ed operai a lavorare a Costantinopoli).

 

   I Perrone (subentrati ai Bombrini nel 1903; FM ne diviene direttore e rappresentante generale all’estero; alla sua morte nel 1908 sarà succeduto fino al 1921 dai figli Mario e Pio), fiutata la tempesta che stava calando sull’Europa, diedero l’avvio ad un lavoro non pulito né onorevole (produzione i armi), ma molto apprezzato viste le commissioni di altri Stati.  Non rappresenta una novità che il bisogno non fa guardare tanto per il sottile e quasi sempre mette a tacere coscienza ed etica (pecunia non olet).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

Il capitale sociale, a dicembre 1903, ammonta a 3milioni; sarà elevato a 23milioni dopo un mese  (19 genn 1904); nell’ott. 1916 sarà di 30milioni; nel magg.1917 di 45milioni; sett.1917 di 50milioni; il 26 giu.1918 da 100milioni sarà elevato a 500milioni.

Non si interrompe la produzione cantieristica. Da Sestri in 10 anni si consegnarono 10 cacciatorpediniere per la Marina italiana (più 11 torpediniere per la Turchia e 2 incrociatori per il Giapppone). Mentre il Meccanico costruì il primo motore Diesel e consegnò la millesima locomotiva.

 

 


1904 si modifica lo Statuto dopo assemblea gen. straordin degli Azionisti; i colletti bianchi sono 127; raddoppieranno nel 1014. A significato di un approccio più serio all’organizzazione della produzione. L’Ansaldo è divenuta “la più grossa officina del regno”, un colosso industriale di primario peso 

1906 Agli operai dello Stabilimento Meccanico Ansaldo di Sampierdarena si imponeva di lavorare fino a 14 ore al giorno e si minacciavano di licenziamento coloro che protestavano, ciò che provocò il seguente commento da parte del corrispondente sampiardarenese de Il Lavoro: «O lavorare quattordici ore al giorno e logorare l’organismo nell’ergastolo industriale, rinunziare alle cure della famiglia e diventare macchine semoventi, e abbruttirsi poi alla domenica nelle orgie (sic), sole apparenti consolatrici di una settimana di fatiche ininterrotte, o volersi mantenere, altrimenti, uomini e padri e cittadini e preparare così a breve scadenza la miseria e la fame alle proprie creature: ecco il crudele dilemma che la sapienza dei dirigenti lo Stabilimento G. Ansaldo pone dinanzi ai lavoratori che lor danno, ora, a milioni i guadagni. Essi devono volere, fortemente volere che la stolta ingiunzione delle quattordici ore, non solo non debba più mai essere imposta, ma nemmeno pensata; devono saper ripetere tutti, dieci, cento volte, l’esempio dato l’altra sera da un loro compagno, che seppe dignitosamente rispondere un bel no all’ultimo testardo e minaccioso comando del capo di fermarsi al lavoro dopo le 20 […] con tale energica resistenza gli operai dello Stabilimento Ansaldo contribuiranno efficacemente a tener lontana da Sampierdarena nostra la possibilità di una nuova crisi metallurgica, che ricacci la popolazione, a poca distanza da quella assai triste del 1903, in un nuovo periodo di inazione, di strazi, di miserie […] dare due ore di più tutti i giorni, oltre le dieci di lavoro già compiute, e lavorare tutte le domeniche per mesi e mesi, senza riposi, e subire punizioni quando, costrettivi talvolta, si prendono, è concessione già soverchia […]».

1908 Da corrispondenze reciproche, apprendiamo che Ferdinando Maria Perrone non era  insensibile all’uso dello ‘spionaggio industriale’. Un ingegnere (Guido Luzzati) fu ‘sponsorizzato’ per farsi  assumere da  grande industria francese al fine di conoscere l’evoluzione degli studi dei concorrenti transalpini sui dirigibili, neonascente possibile potente mezzo di trasporto e di capacità militari, e quindi degno di cospicui  investimenti economici. Curiosa una relazione dell’ingegnere che mentre comunica che i francesi hanno in mano tutti i progetti italiani in merito, e che i costi ed i pericoli di questo mezzo non sono per ora compensati dai risultati e utilizzazione,  sposta l’attenzione dell’industriale sul nuovo mezzo che vola pur essendo più pesante dell’aria, e che si sta sperimentando con tanto interesse, dopo i primi riusciti tentativi dei fratelli Wright negli USA.  

A  giugno, muore per complicanze diabetiche FerdinandoMaria Perrone.

Il 25 mar.1912 l’assemblea gen.straord. degli azionisti  mutò la ragione sociale in soc.an.ital.Gio.Ansaldo & C., con varianti allo statuto
1915  Ripresa di massima espansione fu in occasione della prima guerra mondiale: grandi commissioni di materiale bellico, lautamente pagato rappresentarono un salto di qualità, quantità e potere anche se ovviamente in maniera congestionante  (dopo i primi 5 anni di attività, era a 480 operai; nel 1915 arrivò a 75mila dipendenti sparsi in decine di stabilimenti – molte donne (saranno il 40% nel 1917, nel proiettificio) ma quasi tutti ‘immigrati’, cioè italiani non del regno- che contribuirono in maniera decisiva a fornire il materiale bellico: prima erano in produzione solo incrociatori (Garibaldi e Giulio Cesare), cannoni - anche da 381- e corazze (per la Marcantonio Colonna e la Cristoforo Colombo); allora (Pio Perrone e fratelli) iniziarono una produzione di proiettili alla quale furono dedicati interi capannoni e nuovi edifici distolti da altre attività (reparto Artiglieria). Quando arrivarono i momenti di imminente disastro, Caporetto avrebbe significato la disfatta totale se anche dagli operai dell’Ansaldo non partiva la volontà di essere uniti – pure i socialisti, contrari alla guerra - di sacrificarsi, di lavorare quasi con furore; specie per i fucili, costruiti sulla base dei migliori esistenti in atto, senza averne ricevuto alcuna commessa precorrendo quindi le successive urgenti ordinazioni dell’esercito, il tutto fu fatto trovare pronto per bloccare il nemico e salvare l’Italia (ufficialmente riconosciuto e scritto da Luigi Einaudi sul Corriere della Sera dell’1/1/22; Cadorna stesso sottolineò che senza l’apporto del materiale dell’Ansaldo, la riscossa del Piave sarebbe stata impossibile; Pio Perrone fu definito “il coraggioso presidente della Gio Ansaldo & C. è il personaggio più degno di essere emulato”. E non meno fu l’impegno di molte industrie minori di indotto

   Alla fine del 1916 il complesso industriale comprendeva già ben 22 stabilimenti, dei quali 5 in città:
1 Stabilimento meccanico;  2 Stabilimento per la costruzione di locomotive; 3 Stabilimento per la costruzione di artiglieria;  4 Stabilimento per munizioni da guerra; 5 Stabilimento per motivi da aviazione.

Al fine del 1916 il complesso industriale comprendeva già ben 22 stabilimenti sparsi nella zona tra SPdA (5), Cornigliano (9), SestriP (2), Borzoli (1 aeronautico+ 2 a Bolzaneto l’anno dopo). 
1 Stabilimento meccanico Sampierdarena

2 Stabilimento per la costruzione di locomotive Sampierdarena

3 Stabilimento per la costruzione di artiglieria Sampierdarena

4 Stabilimento per munizioni da guerra Sampierdarena

5 Stabilimento per motivi da aviazione Sampierdarena

 

Nel 1917 la costruzione del primo aereo societario; si arrivò a produrne 12 al giorno negli ultimi mesi del conflitto (il 20% degli occupati, erano donne), compresi i Savoia-Verduzio-Ansaldo che permisero a D’Annunzio e Palli il volo su Vienna il 9/8/1918; altri aerei, chiamati SVA nel 1919 sorvolarono per primi le Ande, due parteciparono al raid Roma-Tokio.

Un capannone fu adibito alla costruzione delle automobili utilitarie.

  Ancora una volta a far rialzare la testa all’azienda fu la produzione sporca ed il mercato della morte; la produzione iniziata a San Pier d’Arena finisce sulla Marna o sulle Alpi; ed il conto finale è lo stesso: milioni di morti salvano l’Ansaldo.    In questi anni, la società possedeva 80mila dipendenti negli stabilimenti diffusi in tutto il regno, e pure miniere in val d’Aosta, Sardegna ed in Spagna.  

I f.lli Perrone avevano creato un sistema industriale definito ‘verticale’ ossia dal minerale (Cogne in particolare), al prodotto finito: a San Pier d’Arena (il ‘meccanico’ per l’industria omonima: apparecchi motori marini (è del giu./1916 la domanda al CAP per ampliamento dello stabilimento sulla spiaggia della Fiumara), turbìne, caldaie, locomotive (nell’ex proiettificio), utensili i più vari come anche macchine agricole); a Cornigliano (tubi, trafilati, stabilimento Delta (rame, zinco, leghe), industrie elettromeccaniche (stab. elettrotecnico,grande stab. della Vittoria, azienda telefonica, cantiere navale Savoia)); a Sestri  ( i cantieri grandi navi da guerra e mercantili, la fonderia di Multedo e lo stab. Fossati); a Bolzaneto le industrie aeronautiche.

   Ennesima ed ovvia crisi nel dopoguerra: commesse inadeguate di fronte alle acquistate capacità produttive; capitali immobilizzati; debiti col sistema bancario, costringono a dimezzare il personale occupato, licenziando. Ciò valse  per il Meccanico (che ebbe sino ad allora un crescendo graduale: dal 1905=1872 lavoratori; 1908=2293; 1911=2775; 1914=4482; 1915=4055 calo dovuto ai richiamati; 1916=5090; 1917=6180; fino al brusco calo del 50% nel 1918=3099; per il Proiettificio della Fiumara da 1915=573 occupati; 1916=3741; 1917=3880;  1918=1159; e per le artiglierie (prodotte anche a Cornigliano, dal 1915=2325; 1916=4320; 1917=5674; 1918=2527) .

   Diverrà necessaria una nuova veste direttiva senza i Perrone ed un intervento di salvataggio dello Stato.

   Nel 1922, avvenne la costituzione della “Nuova Ansaldo”, 10 stabilimenti e 10mila dipendenti; fu programmata la riconversione a produzione di pace. La riorganizzazione si orientò prevalentemente su impianti termoelettrici alternatori e generatori elettrici, sempre migliori locomotive, carri ferroviari, filobus, automobile, pur conservando tutte le attività riguardanti carpenteria, impianti industriali, ecc.: (e, nei cantieri di Sestri costruzione di navi e di motori per esse; avvenne il varo del “Duilio”, “Giulio Cesare”,  “Roma” , “Augustus” (quest’ultimo,1926, di 32.500 tsl, allora la più grande del mondo);  del transatlantico “Rex” (1 ago 1931, di 51mila tsl., lungo 268m, la più grande nave italiana di tutti i tempi,  con turbo motore e velocità di 28 nodi).

Ancora nel 1924 una carta dell’archivio Ansaldo riguardante la Fiumara mostra la parte a mare del territorio: ancora a nord di via Bombrini non di proprietà dell’Ansaldo.

Nell’ambito militare produsse (1928-40) il più potente cannone dell’epoca (da 203/53 ad elementi separabili), cannoni antiaereo, carri armati, corazze, autoblindo, navi corazzate (cacciatorpediniere ed incrociatori ).

   In prossimità dello stabilimento sorsero e prolificarono altre piccole imprese complementari, di guisa che ogni spazio venne occupato da opifici con ciminiere in attività e case per ospitare i lavoratori, dando prestigio a Genova, divenuta nota non solo per il suo porto ma anche per le sue industrie. Nel 1933 entrò a far parte dell’ IRI e nel 1936 acquisì l’ OARN (officine allestimento e riparazioni navi).

Nel 1939 (XVII) una cartina di Fiumara  fa capire - da mare a monte -: A) il palazzotto Rolla e due case erano stati da poco demoliti;  B) nella via Fiumara esistevano i civv. abitati 3-5-7-9. Nell’area sino alla ferrovia c’erano C-a), a ponente, le Officine del Gas del Comune di Genova, occupanti un’area di 23.120 mq, del valore di 4.624.000 lire, con due gasometri che vennero giudicati pericolosi da scoppio perché troppo vicini ai forni di produzione dell’Ansaldo e quindi da trasferire (allettante l’idea di  cedere l’area all’Ansaldo in permuta con altra che esso possedava a Cornigliano. I due gasometri e tubature varie, furono disfatti solo quando furono ricostruiti i nuovi nella delegazione vicina; l’area venne ceduta all’Ansaldo nel 1940 per 344.000 lire. Nell’attesa c’era stata una proposta di portare in quell’area la Volpara del ponente. C-b) a levante, separata dalla precedente da una linea ferroviaria chiamato popolarmente “binario sommergibile” perché posato in luogo troppo spesso soggetto a inondazione, di proprietà dellAnsaldo, c’era l’Ansaldo bisognoso di spazi perché aveva in programma nuove officine mirate all’allestimento navi (allo scopo c’era la R.N.Littorio ormeggiata) ed al montaggio di torri corazzate sulle costruende navi da guerra. D) sopra la linea ferroviaria, tutta area Ansaldo.

 

 

    Dal 1940, il secondo periodo bellico mondiale fu caratterizzato da alcuni avvenimenti e stranezze:

--ovvio l’aumento della produzione bellica con corazzate (Impero e Italia, di 35mila t.), arm di tutti i tipi, e mezzi militari;

--a causa dei selvaggi bombardamenti abbiamo perso monumenti mitici artistici come l’abbazia di san Bartolomeo, la chiesa di san Gaetano, l’oratorio di san Martino, alcune ville cinquecentesche: stranamente invece quello che più poteva interessare da distruggere da parte del nemico, l’opificio si salvò, quasi indenne;

--nella lotta partigiana cittadina (SAP), molti esponenti della lotta erano dipendenti del grosso stabilimento, e in quell’ambito trovarono più facili proseliti e rischiose possibilità di instaurare scioperi o sabotaggi, molto pericolosi perché la controparte giudicandoli ‘disfattismo’, li mise alla pari di un atto di guerra al punto stremo da reagire con la deportazione di circa mille operai, avvenuta  nel 1944, prelevati per rappresaglia e spediti in Germania senza alternative;

--causa lo sconquasso militare e sociale, l’ambiente industriale divenne terreno fertile per il proselitismo del modello politico economico sociale del comunismo stalinista (in minoranza alle elezioni generali, non si riuscì ad imporlo come nei paesi limitrofi alla Russia).

 

Nel 1945 Dopo la guerra riprese l’attività pacifica, sempre inseriti nelle aziende a partecipazione statale ad indirizzo produttivo navale con 19.400 dipendenti (contro i 30mila del periodo precedente) spesso coinvolti o promotori di pesanti agitazioni sindacali. Seppur la maggioranza degli italiani scelse appartenere alla Nato ed all’occidente, non dico la totaltà ma la maggioranza degli ansaldini mantenne invece fortissimi legami con l’ideologia che partiva da Mosca.

L’operaio era stato l’attore principale del salvataggio dalla distruzione, e quindi identificato come rappresentante unico dello stabilimento stesso; e quindi l’operaio tipico dell’idea filosofica marxista; Genova divenne sede e fonte elettiva della politica della ‘sinistra’ in tutti i governi della Repubblica. E nei decenni dopo, seppur criticate e nettamente rifiutate alcune scelte e molti dirigenti del Cremlino, permane il nucleo forte dei partiti di sinistra.

 Nel 1948 il complesso venne inserito nella Finmeccanica e nel 1959 nella Fincantieri; nel frattempo avvenne il  varo dell’”Andrea Doria (1952)”, a cui seguirono il “Cristoforo Colombo”, la “Michelangelo” ed una grossa motocisterna di 25mila t. (1953). Mentre in quell’anno il Meccanico realizza centrali termoelettriche di alta potenza, nel 1966  costituisce l’ AMN (Ansaldo meccanico nucleare: iniziale gruppo di lavoro su questo tipo di energia (negli anni ottanta il gruppo genovese era il colosso nazionale dell’energia – in generale, compresa quella nucleare -, con grandi speranze di sviluppo e conseguente crescita di tutta la città, anche se politicamente e sui cartelli stradali si dichiarava  ‘città denuclearizzata’. Furono Chernobyl nel 1987 ed uno specifico referendum che bloccarono questa strada di  espansione aziendale e quindi il rilancio di qualità. P.Rugafiori, commenta un saggio di Marco Doria che pone questa data, corrispondente alla fine dell’attività cantieristica, come fine di una storia aziendale; riconosce che dopo la dirigenza di Agostino Rocca, negli anni cinquanta venne applicata da parte del gruppo dirigente una politica aziendaria rinunciataria, subalterna a quella privata, dipendente da insicure e nebulose scelte politiche al vertice, definendo la situazione con l’assioma «passaggio da una impresa che usa la politica, ad un uso politico dell’impresa». Si rispecchiano - nella situazione dell’Ansaldo - quelli che sono i problemi dell’Italia industrializzata: mancanza cronica di capitali, dipendenza dall’estero per materie prime e brevetti, stallo organizzativo e miopia municipalista.

   Riassumendo, le annotazioni storiche riguardanti lo stabilimento, vedono: oltre il primo grande sciopero del 1869: attuato dai 400 operai, mirato ad ottenere dei miglioramenti nel regolamento di lavoro, durato di 25 giorni. L’azienda è in prima linea nelle rivendicazioni sindacali al punto che SanPier d’Arena venne classificata ‘città sovversiva’;  il che permise maggiori interventi repressivi della polizia – specie sulle associazioni operaie - al fine di scoraggiamento ed il trasferimento direzionale a Genova (1883) in piazza Carignano;  innumerevoli operazioni di alta finanza (con passaggi e ristrutturazioni, partecipazioni ed aggregazioni, acquisizioni e cessioni, posizioni capofila di raggruppamenti  o diverse ragioni sociali sotto controllo di strutture statali: tutti voli lontano da SanPierd’Arena, internazionali e tutti  difficili da seguire senza conoscere le motivazioni finanziarie politiche e storiche internazionali dei vari periodi, in un mondo perennemente in cambiamento o in crisi sia per l’acciaio, sia per l’energia od il petrolio, sia -finalmente- per l’ecologia (depurazione di fiumi, mari, ecc). 

Ricordiamo anche le tappe dell’Ansaldo san Giorgio ASGEN (fuso in una Società generale elettromeccanica nel 1974) - l’Ansaldo costruzioni meccaniche CMI - l’Ansaldo progettazioni PMN; il Raggruppamento Ansaldo nel 1977-80 (comprendente 10 società); dopo il 1982 nascono l’Ansaldo trasporti, l’Ansaldo componenti, l’Ansaldo sistemi industriali, l’Ansaldo ricerche.

   Nel 1987 a San Pier dìArena si costituisce una nuova società - a calata Derna - con attività nell’area della carpenteria, montaggio e componenti del ciclo termico. Come già scritto sopra, il voto degli italiani al referendum sull’energia nucleare, diede il colpo mortale all’azienda che mirava a quel settore per il suo mantenimento.

  Nel 1991 ‘azienda propose tre aree di lavoro, così suddivise: l’Ansaldo Energia (A.Componenti e A.Impianti- turbine e caldaie-stabilimento a Cornigliano); l’Ansaldo Trasporti (con Breda; treni, metropolitana, elettronica; a Genova i “cervelli”, a Napoli la fabbrica)   e l’Ansaldo Industria (specie controllo impianti- fu eliminata nel 1999). Tutte queste trasformazioni furono rese necessarie presumo, per l’adeguamento - sia alle finanze - che alle oscillazioni del mercato sempre più competitivo; ma già a fine anno si scriveva “L’Ansaldo chiude!”; in effetti venne siglato l’accordo per la  chiusura di due dei cinque stabilimenti, trasferimento a Campi delle ‘lavorazioni meccaniche’, prepensionamenti, esodi incentivati, cassa integrazioni, ecc;  dei due chiusi uno era quello nostro, in pratica però già dismesso da due o tre anni, e di cui era in atto la cessione dei terreni ad aziende nuove come la Ccrt (produttrice di cavi) ed altre come la Simpro srl, e poi l’Anit, l’Eurosolar, la Cic srl, la Sagem tutte con compartecipazione Ansaldo.

   Nel 2004, facente parte del Gruppo Finmeccanica, vediamo esistere un “Ansaldo Segnalamento Ferroviario spa”; la sede secondaria dell’“Ansaldo Trasporti spa”; l’“Ansaldo Breda spa”, tutti e tre siti a Genova in via dei Pescatori 35. A Campi l’ “Ansaldo Energia”, residuo della più antica tradizione dell’azienda, come – ma gestiti da privati - l’”ASI Robicom; l’A.Reggiane srl; A.Superconduttori spa; l’A.Montaggi spa; l’ A.Acque. Solo in via DeMarini 1,  l’“Ansaldo Sistemi Industriali”  ma in liquidazione

   Questa conclusione mette in rilievo che per tutto quanto sopra, da molti anni l’Ansaldo non era più a Sampierdarena, salvo il cosiddetto ’Palazzaccio’ alla Fiumara (dove è previsto alla fine dei lavori di ristrutturazione della zona, rioccupi i nuovi ansaldini).

Siamo stati fortunati a scrollarci di dosso le fonderie e le acciaierie: un passato sotto tanti aspetti glorioso, ma altrettanto tanto teso a non passare mai, con tutte le turpi conseguenze di inquinamento locale; mentre in tutta Europa le aree una volta simbolo di grandezza sono state risanate e  trasformate in giardini o servizi o tecnologia pulita: eravamo rimasti come l’India l’unica nazione ad avere un impianto siderurgico in piena città.

   Appartiene alla nostalgica retorica affermare che ‘Ansaldo vuol dire Sampierdarena’ o peculiarmente che ‘Sampierdarena è la città madre dell’Ansaldo’; è stato trasferito altrove, sia come stabilimento che dirigenza, e tutta l’area di origine è stata vuotata e per lungo tempo abbandonata con altro e totalmente diverso destino.

    Così, dopo centocinquant’anni densi di storia, l’industria di maggior vanto, che più di mille altre è vissuta un secolo e mezzo, ha abbandonato il terreno cittadino; l’incubo della favola della Manchester è finito; i grossi industriali imperversano ancora a Cornigliano; mentre a noi adesso – più fortunati dei vicini - tocca rappezzare il  recuperabile, risanato e  risfruttabile tra polemiche, lotte politiche e disarmonie; con un bel po' sia di rabbia che di nostalgia, ma alla fine con un bel sospirone di sollievo.

   Sopraggiunge la nuova generazione che – non avendo conosciuto il vicino passato e neanche imparandolo a scuola - non ha  alcuna attenzione se non politiche, e non  prova particolari emozioni né per l’idilliaca San Pier d’Arena di una volta, con spiaggia ed orti, né per la attivissima e viva Sampierdarena di ieri rappresentata dal serpentone di operai che giornalmente al suono delle sirene entravano  e poi uscivano dai grossi stabilimenti.     L’area dei capannoni Taylor e Prandi è stata oggetto dall’anno 2000 a grandi investimenti e trasformazioni affidati dal Comune alla Coopsette; inizialmente si dovevano salvare i muri, ma alcuni sono stati abbattuti per instabilità,  in difesa del dovere della sicurezza ma ad ulteriore ennesimo spregio di ciò che è storico: è una mentalità dei tempi moderni, tesi –con la scusante del risparmio- a svalutare quello che nell’immediato non rende economicamente.

Così, con enormi ricchezze prodotte, continuiamo a mendicare sovvenzioni dello Stato, e sussidi europei, lasciando erede Cornigliano di un “passato che non vuole passare” ed il futuro “che non vuol essere realizzato”.

 

anni 1910-15 circa

A=terreno Ansaldo (dove la lettera A terreni di Ferrando fino al 1917 e Bagnasco 1919; dove scritto Ansaldo, a sin. ex-area Rolla 1885; a dx ex-area Pallavicino, prato dell’Amore; a mare i Molini Liguri e la Carena e Torre; rotondi, il Gaz);

B= ancora nel 1910, affaccitati sulla strada s. Cristoforo, dai confini col ponte verso est: DeMarchi Gerolamo; a ovest della stradina il Palazzaccio; a destra i Molini Alta Italia. Nell’interno a ponente della biforcazione di via G.Ansaldo, la ditta Allgeyer di Schoeller, trasformata nel 1914 in officina magli e forge dell’Ansaldo. Dove la scritta ‘Ansaldo’ era la villa Pallavicino (poi Pratolongo) con a est delle case popolari e -a mare della strada- la torre della Fiumara-.

C= villa di Carlo Pastorino, ancora fino 1915;

D=sopra la scritta ‘via Fiumara’ al posto della villa sorgerà il Proiettificio

           

                        progetto area, di Taylor

  

    ingresso stabilimento

                   anno 1911

 

visione dal mare dello stabilimento, anno 1911 – di F.Volpe – collez.Wolfson fondaz.Colombo

stabilimento di Cornigliano

 

 

      

Giovanni Filippo Penco                  Carlo Bombrini               Raffaele Rubattino

 

la prima motonave, il regio Avviso ‘Staffetta’ varato nel cantiere di San Pier d’Arena nel 1876.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

modello Sampierdarena del 1854                                              francobollo del Paraguay

 

la prima locomotiva

    1888, locomotiva RA2842

 

 

 

 

 

 

 

1918 fabbrica di locomotive

 

opuscolo del 1928  

 

  1915-stab.grandi artiglierie                                        

Ponte sul Polcevera 1928

 

 

1916 proiettificioTorneria

 

 

 

 

1917 ‘Cannonissimo’ da 200/100

 

1970 Ampliamento Meccanico  

 

 

 Stabilimento Meccanico 1911

 

1925 - turbina per transatlantico Roma     

                                

1926

 1930 barenatrici 

 

1962 ingresso da via A.Pacinotti          

 

 1970 turbina per Italsider di Taranto 

 

 

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