2008      PUBBLICATI

 

n.1  - gennaio   - pag.  10  L’infiammazione del nervo .......  ..  allegato 25

                                      16  indovinello .................................    ...allegato 26

n. 2 – febbraio – pag.   9  Il ciarlatano ...........................          ..allegato 24

                                      13  come eravamo  .......il Brillè....       ..allegato 23

n 3 – marzo      - pag.   5   bilinguismo ...................................   .allegato 22

                                      11  come eravamo la Coscia.............     allegato 20

                                      12  tirannia e TD .............................      allegato 21

n. 4 – aprile     -  pag.    1  la festa del SS.Salvatore

                                       9  come eravamo via Buranello......      allegato 19  

                                       14  pillole ed effetti collaterali .............allegato 18                                     

                                       16  la nostra identità smarrita ...............allegato 17

n. 5 – maggio   - pag.     1  SPdA due mesi di cronaca

                                        9  come eravamo la Crociera ............   allegato 15

                                       13 Noi del Gazzettino e loro ................   allegato 16

n. 6 – giugno     - pag    2   giocare con la lingua .......................  allegato 27

                                       2    scoutismo e liberazione ..................... allegato 13

9        Come eravamo Lungom.Canepa.....allegato 14

16    Andrea

n. 6bis speciale ESTATE  – pag.1  Da buon pensionato ............  allegato 12

                                         7 estate e quarta età ....................               idem

                                        12 la salute dell’anziano .........................     idem

                                        13  gelato al cioccolato  ................                idem  

                                        15  i raggi del sole ....................................     idem        

n. 7 – luglio        - pag.   2  quante parole al vento-opinionisti ....... allegato 11

                                        2  a settembre la festa di Cosma e D

                                         7  come eravamo villa SerraD.Masnata...allegato 10

                                        10  tumore al seno .............................          allegato 12

n. 8 – settembre- pag    6  operazione riuscita, ma...    .................     allegato 6

                                       9  come eravamo i bagni         ..................... allegato 5

                                       9   come eravamo il bassorilievo misterioso..allegato 8                                   

n. 9 – ottobre -   pag.    9  come eravamo cinematografi  ............    allegato 7

                                       15 la revedere romania

                                       18  la malattia mentale quale fonte di ....    allegato 9

n. 10 – novembre  - pag.18  brevetto inventore; menatore di naso   allegato 4

                                         19  Berveglieri ............................................ allegato 30

n. 10bis  speciale su Bolzan   -pag 5  il torrente polcevera ..........    allegato 29

         -       10  da castello a ospedale

         -       14  Paganini e san Biagio

n. 11 – dicembre – pag.  6  le tradizioni di Natale............................ allegato 2

                                         6  la cerimonia del Confuoco .................... allegato 1

                                          9 tu scendi dalle stelle .............................  allegato 3

 

 

 

 

1 - CONFUOCO

La mente umana è, per natura, ripetitiva; quindi si è normali ad esserlo; ed i latini confermano col loro ‘repetita juvant’.  Quando avvengono fatti di rilievo, i ‘repetita’ vengono riproposti periodicamente, con lo scopo di dare segnale forte di memoria. Così nasce una tradizione. Con altre parole, la tradizione è in genere una microfetta di storia, che viene ripetuta al fine di sottolinearla come qualcosa da non dimenticare ed anzi, da rivivere.

E così, per Genova, è il Confuoco (quest’anno il 20 dicembre, ore 10, al Ducale; gratuita).

La cerimonia, con la manifestazione folkloristica che la precede e che la segue, di per sé è esteriorità: l’alloro che verrà bruciato, il popolo proveniente da tutta Genova (anche se in prevalenza, è stata tradizione mantenuta dai val bisagnini), sono solo atti di festa. La vera essenza di questa tradizione è altra, ben più forte.

Rivivere annualmente il Confuoco vuole sottolineare la qualità di rapporto che dovrebbe essere sempre tra chi comanda e chi è suddito, alla pari. Infatti il capopopolo (ai tempi, l’Abate del popolo; non un frate, ma il capo delle Compagne, associazioni di popolo, scelto come ambasciatore e portatore di doni) richiama l’attenzione del Sindaco (ai tempi, era ‘Duce’) sulle richieste del popolo; ed al Duce (che ricambiava con un titolo del Banco di san Giorgio) si fa promettere provvedimenti mirati a soddisfare le primarie necessità dei sudditi.

É l’unico momento in cui la gente chiama il Sindaco fuori del suo ‘scagno’, ed è autorizzato a parlargli, alla pari dicevamo. E con parole semplici ma ferme, avere promesse davanti al popolo.  L’anno dopo, dare strigliate - sempre ‘coram populo’ - se la parola data non è stata mantenuta.

Questa cerimonia era uno degli atti di vera democrazia  della Repubblica di Genova, nella quale, per settecento anni, non ci fu mai una rivolta di popolo contro le autorità.

2 - TRADIZIONI NATALIZIE (tradizioin de denâ)

Ogni anno su questo tema ci ritroviamo a scrivere le stesse cose; ma essendo soggetti di tradizione, e indispensabile sempre ripercorrerne la traccia.

Cerchiamo di essere succinti distinguendo in primis quello che si conserva come cento, mille anni fa: il Natale è una festa religiosa: celebra la nascita di Gesù. Con tutto quello che consegue: dai Vangeli, alla nostra civiltà e cultura occidentale, alle celebrazioni sacerdotali. Tutta roba non da poco e che, nel bene e nel male, come sempre per tutte le cose umane, ha già riempito libri e libri; e sulla quale – solo in virtù delle suddette civiltà e cultura – abbiamo libertà di pensiero.

Quello che si conserva invece con le variazioni di ammodernamento, sono le cerimonie.

Nei giorni prima, al centro restano  il presepio,  l’albero ed il Confuoco. Per favore, evitate i soliti bischeri i quali irrompono pensando agli ‘altri che si offendono’, e nella loro tanardaggine si credono ‘sensibili’, e non capiscono che – a parte la necessità di conservare libertà dei messaggi -  nessuno si deve offendere, perché queste rappresentazioni  sono e debbono essere un modo come altri per dire ‘pace ed amiamoci’; usando ognuno il linguaggio suo (e non il C4, come troppo spesso fanno ‘gli offesi’).

I doni sono diventati una ossessione, da quando il mercato si è accorto di guadagnarci sopra. Non più le reste de nisseue o libbri, ma trenini elettrici, telefonini con TV, parabole...fino al ‘ditelo con i brillanti’ (e per fortuna che il salone della nautica è giù passato). Da dono-pensiero, fatto al fine di partecipare la gioia della nascita di Gesù, siamo scivolati nel consumismo infrenabile e – pensiamoci bene – assurdo. Una regolata mista ad un poco di umiltà, non ci starebbe male.

Il pranzo è il fulcro del giorno. Si usa sempre dire “Natale coi tuoi...” perché nella festa è ancora tradizione che la Famiglia si aggreghi, superi le discordiette umane (citate dai proverbi fratelli=coltelli; parenti=serpenti) e nel contesto tutti ci si proponga di essere più buoni (ex letterina di Natale). Nell’antico, preceduti dai maccaroin in broddo, erano  i raviêu con-o tôcco de carne la rarità che li faceva rappresentare da soli l’essenza del pranzo. Poi, a seguire, o cappon boggìo ed  o rosto . A finire,  o læte dôce frïto,  oppure o bonetto e, in trionfo, il pan dôçe genovese (quello non lievitato; non il panettone, venuto dopo) con a rametta  de öfêuggio (pianta natalizia tradizionale nostra, ligure-italiana).

I bambini sono al centro della festa. Un po’ perché si celebra un bambino; un po’ perché sono essi ancora suggestionabili sia dal messaggio subliminale che vuole anteposti il bene,  l’amore e la gioia di vivere certe situazioni, non ultima essere in una famiglia; e sia dalle rappresentazioni esteriori (l’albero, il presepio, babbo natale, i doni, ecc.).  Ma  non à male ricordare che il vero centro della festa debbono essere gli adulti, specie quelli dalla fede un po’ sbiadita e che si credono ‘superiori a certe cose’. Ah, che bello e vero Natale sarebbe, se costoro – me compreso - ne approfittassero per guardare dentro se stessi, nel loro bambino...e ci ponzassero un poco sù.

Tradizione vuole che siano inclusi nella festa i bisognosi, i sofferenti, i soli. Ricordiamoli, e diamo anche a loro una parte del nostro e della nostra gioia, sia direttamente e sia attraverso coloro che si dedicano ad essi. 

3 - TU SCENDI DALLE STELLE

É il ‘nostro’ canto natalizio, tutto italiano non importato dai paesi del nord, e quindi da interpretare come ‘nazionale’ anche se tale definizione è un po’ fuori luogo per una musica ma non per le parole. Va considerata tale, essendo, l’autore, un avvocato napoletano, nato da famiglia nobile a Marianella nel  1696 e vissuto fino al 1787; divenuto santo non certo per la musica ma per le sue scelte di vita: Alfonso Maria de’ Liguori.

Quando divenuto giovane avvocato, dopo aver iniziato l’attività forense, decise lasciare la toga per la tonaca, intendendo dedicarsi ai poveri ed in particolare ai bambini di strada. Così, appena ordinato sacerdote ventisettenne, iniziò la sua missione mescolandosi con la gente più emarginata, umile e misera di Napoli, non solo insegnando il catechismo e trascinandola a messa  ma soprattutto cercando di alleviare le sofferenze materiali di coloro che possedevano nulla. Allo scopo di sopperire a questa sua missione, non solo vendette tutti i beni di famiglia, ma a se stesso impose una regola di vita severissima, sia nell’abito, che nella alimentazione e nell’abitazione.

Fu caratteristica sua, questa doppia veste:  di severo teologo e predicatore (fondatore della congregazione dei Redentoristi, dedicati al ss.Redentore; tenace moralista verso se stesso e nei suoi scritti, tra cui una “Theologia moralis” e contro il malcostume specialmente nella vita sacerdotale. E, in apparente contrapposto, di aperto probabilista,  altruista, caritatevole con gli altri: sia verso i bambini soli, raccolti dalla strada ed avviati ai vari istituti da lui appoggiati, perché fossero assistiti ed educati, in epoca in cui l’analfabetismo era imperante; e sia verso i poveri ai quali offriva la zuppa calda, un vestito pulito, un letto con lenzuola lavate, una stanza per ospitarli.  Tutte cose che oggi forse appartengono all’ovvio; ma che allora erano ‘stravaganti’ iniziative di alcuni, non certo appoggiate né sovvenzionate dalle autorità.

E tutto ciò acquistò maggiore evidenza, appena -da papa Benedetto XIV- fu eletto vescovo di s.Agata dei Goti.  Iniziò una crociata moralizzante, sia ‘ripulendo’ le strutture ecclesiali da dove bandì commedianti, malafemmine, concubini e bestemmiatori  (ciò va interpretato inserendosi nella sua epoca storica:  nascevano movimenti materialisti volteriani, secondari alla rivoluzione francese, insidiatori della fede e della Chiesa; e la società locale, sotto i Borboni, che faceva prevalere la frivolezza, lassismo e corruzione, sia estetiche ma soprattutto sociali) e sia -nello stesso tempo- aprendo le stesse a tutti gli emarginati, con la possibilità di assistenza e ricupero.

La sua vita proba, lo fece poi, nel 1871, eleggere santo dottore della Chiesa cattolica (2 agosto).

Nelle serate trascorse con quei poveretti e con i bambini, insegnava – oltre a pregare -anche a  cantare, componendo lui stesso canzoncine semplici ed orecchiabili.

Quella adottata dai bambini, e poi dagli zampognari davanti ai presepi, e poi cantata in tutte le chiese nazionali, è la quella del nostro titolo, che va ad equilibrare lo spazio musicale delle tante canzoni natalizie, sia americane, in primis White Christmas; sia l’austro tedesca Stille Nacht (delle quali abbiamo scritto nel numero natalizio dell’anno scorso) e sia la solenne inglese The first Nowell

4 - brevetto di inventore: “menatore di naso”

chi di noi non ha amaramente sorriso sulla prosperante moda di certe espressioni italiane che han trasformato gli spazzini in ‘operatori ecologici’, i ciechi in ‘non vedenti’,  i deformati in ‘diversamente abili’, ecc. Amaramente perché, a parte il cambiare nome, null’altro è per loro cambiato in meglio. Solo illusi.

Ma nell’inizio di questa Babele di nomi, qualcuno furbetto ha trovato terreno fertile per invertire, con le parole, anche il senso delle parole: così sono  i ladri - non più i derubati - che diventano dei poverini essendo solo dei ‘diversi moralmente’; e i drogati, diventati ‘emarginati della società’, e la droga stessa non un veleno ma una ‘innocua canna’.  Siamo già arrivati senza scomporci più di tanto ad accettare che  il Cristo è ‘simbolo che offende’; che i morti di Nassiriya siano ‘uno, cento, mille’. Arriveremo, tra poco, che noi cattolici saremo ‘gli infedeli’. E così via in avanti; frasi nuove, insinuantesi così viscidamente, che la gente – che poi dovrebbe rappresentare la vera saggezza politica di una nazione – non trova il verso di reagire; subisce, e si adatta.

Siamo arrivati ad una maggioranza affetta da placida rassegnazione, sempre più rinunciataria, convinta del “non c’è più nulla da fare...tanto non cambia nulla...” dentro la quale sta penetrando il verme che farà marcire tutto. Mi correggo, non marcirà; ma cambierà tutto. Se in meglio o peggio lo vivranno i nostri nipoti.

E questo perché non è una trovata di oggi, ed ha radici lontane. Tutta la popolazione italiana per millenni è stata soggetta ad invasioni e soggezioni; e così ha dovuto imparare ad adottare la capacità di mediare per sopravvivere, adattarsi per convivere, fare lo gnorri per vivere (noi genovesi abbiamo subito prima i francesi con l’albero della libertà e poi i Savoia che ci hanno perfino bombardati; ma anche i lombardo-veneti con gli austriaci; i napoletani con i borboni; e i siculi, poverini e peggio di tutti, con...dai cartaginesi ai piemontesi). 

Chi comanda, dai tempi romani del “Panem et circenses”,  ha capito come trattare i comandati: dare un contentino ed illuderli. Da allora, nulla è cambiato. Basta poco: cambiare le parole; come nel gioco delle tre carte. É vero, bisogna essere abili; ma dopo un po’ si impara.

Infatti, a tutti gli amministratori politici, dovendo sempre apparire che accontentano le fasce deboli, in carenza cronica di soldi (ma quando mai li avrebbero avuti? mai controllano come li spendono) rimane, da un lato riempirsene la bocca, e sul pratico dare un contentino. Basta leggere la storia recente: gli operai  hanno fame? titoliamo loro una strada (e voilà ecco, non l’aumento, ma via Operai);  San Pier d’Arena muore nello smog? chiamiamola Manchester così si sentirà inorgoglita ...di che? ma sciocchino, di avere smog e cancro e stare zitti, magari con la claque di chi dovrebbe proteggerla; portano lontano il mare dalla città? poco male, chiamiamo lungomare la strada di confine e così si illudono d’averlo.  E così via. E a riprova che nulla è cambiato rimane che chi comanda fa quello che vuole e che la gente, che indolentemente dice che si fida, tace (e qualcuno osanna).

Il triste è che il preso in giro, non solo si fida e  tace, e fa anche finta di accontentarsi, ma, peggio ancora, si autoimpedisce di ragionare e segue indifeso e belante la claque, osannante queste nuove identità provenienti dall’alto.

Quindi, non più popolo, ma dei ‘diversamente conviventi’;  non più uomini volitivi, ma ‘drogati non pensanti’.

Nessuno  si è posto il problema di chi è -o chi sono- questi geniali trasformisti che hanno scoperto il famoso ‘cambiamo tutto per lasciare tutto come era’, a proprio vantaggio, naturalmente. Probabilmente, io dico sicuramente, sono dei tizi che fanno il mestiere vicino al mio, lo psicologo; impegnati non in medicina, ma in politica.

Infatti il gioco è uguale, sia in politica che in medicina, ma anche nello sport e nelle reclame e un po’ dovunque: individuare il punto debole dell’avversario ed adottare il sistema per guadagnarci, o quantomeno per restare sulla poltrona. Alla faccia dei veri ‘più deboli’, che non hanno bisogno di cambiare, e restano con quel nome.

5 - I BAGNI A SAN PIER D’ARENA

D’agosto, guardando  in TV le spiagge di Rimini, Sardegna o Bahamas; oppure salutando tanti amici che vanno a Vesima o a  Bogliasco per buttarsi in mare, non possiamo non avere un moto di nostalgia: perché anche noi sampierdarenesi avevamo –al posto di lungomare Canepa- una delle più belle spiagge del mondo.  Inimmaginabile dai giovani, perché oggi tutto è stato irrecuperabilmente cancellato per allargare il porto. 

Lo sfruttare la spiaggia, per fare i bagni in modo organizzato e confortevole, iniziò alla fine del 1800. Inizialmente, una staccionata separava opportunamente la zona destinata dei maschi da quella delle femmine. Il benessere economico della borghesia; l’emulazione della vacanza degli inglesi in riviera; la scoperta del mangiare ligure; il giovamento del sole sul rachitismo e dello iodio nel gozzo, malattie endemiche nella ‘padania’ assieme al pallore delle giovanette, furono la molla della moda che funzionò fino agli anni 1925-30.

Dal Piemonte, Val d’Aosta e Lombardia, d’estate, calavano le famiglie dei ‘foresti’ per venire a godere i ciottoli e la sabbia del nostro litorale,  il quale concedeva pochi metri agli incapaci a nuotare perché rapidamente sprofondava in basso (come a dire: ‘o t‘impari o neghi’) ma per secoli sfruttato dai cantieri navali, anch’essi poi sfrattati in epoca mussoliniana per creare il porto. 

Dalla riva alla boa, prudenti bagnini lasciavano una grossa corda alla quale potevano attaccarsi i paurosi, i quali, per ore, rimanevano attaccati alla fune per almeno poter godere l’onda; per i più provetti, oltre la boa c’era la carretta con la pedana  per poter andare a fare i tuffi dove ‘non si tocca’.

Per primi, alla Coscia, con ingresso in Largo Lanterna vicino al tunnel del tram, c’erano i bagni Margherita; primi anche a nascere. Seguirono, verso ponente,  i Liguria posti all’altezza della palazzina Bertorello oggi sede del Sert.  Poi, a levante della attuale piazzetta dei Minolli, i bagni Roma; ed, a ponente di essa, i bagni  Savoia, affiancati dal Giunsella, del quale persiste l’entrata liberty  (in via SPd’A, al  118r)  e che -con una veranda di legno sollevata sulla rena, anch’essa in stile liberty - rendeva caratteristico il paesaggio. A mare del Palazzo del Sale c’erano i Colombo, i più belli, curati e pretenziosi; ai quali, seguivano, in corrispondenza della Crosa dei Buoi, i bagni Genova  -o Bozzano, dal loro proprietario-;  seguiti dai Vittoria dei quali rimane ancora la palazzina, già sede delle docce pubbliche ed oggi di un supermercato (civ. 42 di via SPdA). Ultimi, in corrispondenza di via Molteni, ed allora separati dai precedenti dalla presenza del cantiere navale dell’ing. Torriani (che aveva l’officina dove ora, in via P.Reti, è il deposito dell’AMT), i bagni Del bello (soprannome del proprietario Gerolamo Pittaluga).

Tra tutti, nel trentennio dei bagni, la famiglia Bertorello fu quella che maggiormente si impegnò in questo lavoro. Altri nomi, sia per cambiamento dei proprietari o non localizzabili, fanno conoscere i bagni Stella, i Derchi, i signora Borana, i Balilla, i Lanterna ed i Dellepiane.

Alla Fiumara, la spiaggia era già diventata preda dell’Ansaldo, che per erigere i suoi capannoni, via via aveva divorato prati (uno, detto “dell’Amore”), orti, fabbriche minori, ville seicentesche, strade, case popolari e naturalmente tutta la spiaggia sino al Torrente, per il suo primo cantiere, che poi fu spostato a Sestri. 

6 - OPERAZIONE RIUSCITA, ma...

Il paziente è stato operato, e come scrivevamo nel numero scorso, sta visibilmente meglio. Ma...gli operatori si sono dimenticati pinza e garze nella pancia! Ritengo che non sia giusto. Aspettiamo delle giustificazioni ed il riparo allo sconcio.

Da fuori, da via Cantore, non si vede, ed è lo spettacolo che dà lustro alla strada. Ma dentro, c’è rimasto il lavoro incompleto e la rumenta. Dalla finestra del nostro Gazzettino e dalle finestre dei bagni della scuola, è ben visibile; mirabile insegnamento agli studenti del pressapochismo e menefreghismo... Chissà perché? Forse la pulizia del piazzale non rientrava nelle mansioni del progetto (chi è l’architetto che lo ha firmato? Chi deve provvedere a questa mansione?); al quale è stato tirato il conto all’osso, al ribasso, e quindi da limitarsi all’esteriorità. 

Chissà perché per una ditta appaltatrice deve essere accettato fregarsene del proprio decoro nell’ambito del lavoro; un chirurgo non deve lasciare dentro pinze e garze; anche il calzolaio, quando ripara una scarpa, le restituisce lucidate.

La foto evidenzia in maniera chiara lo squallore che è stato lasciato nella ‘pancia’ della villa, nel piazzale interno: a parte le erbacce – per fortuna nessuno di noi è allergico alla parietaria;  tra le quali sbucano barattoli, legni, snodi di impalcatura e

squallida rumenta varia - appaiono nascosti ammassati nel sottoscala alcuni sacchi neri, da spazzatura, contenenti anche  –e questo lo supponiamo noi, avendoli visti abbandonati poco prima della fine dei lavori-  barattoli vuoti di vernice.

Ma non può essere che non fossero compresi la verniciatura  -non data-  tra le colonnine della finestra e su alcune pareti dell’edificio; tubi inutili lasciati sospesi e forse pericolosi, ringhiera arrugginita, .........

Insomma, per l’architetto responsabile e per la ditta dei lavori, una ‘bella’ vergogna, nascosta dentro la pancia dell’istituto ma visibile da tutti gli studenti, che imparano.

7 - I CINEMATOGRAFI A SAN PIER D’ARENA 

Con l’avvento del cinema, la ricca borghesia sampierdarenese agli inizi del 1900 favorì l’apertura di numerosi locali dediti alla nuova invenzione (1895) dei fratelli Lumière.  Si proiettavano film muti, col pianista alla base dello schermo, al Sempione, in via San PdArena; all’Ideal nei pressi di via Mamiani; all’Eden in zona san Martino del Campasso; al Centrale all’incrocio tra via della Cella e via N.Daste,  al ‘vecchio’ Splendor sul lato mare di piazza V.Veneto. Sono i nomi dei locali che morirono nella decade tra 1910 e 1920 incapaci di modernizzare le macchine da proiezione col sonoro (1918).  Ma insieme se ne aprirono altri, ed altri cambiarono nome cambiando proprietari per modernizzarsi. Così numerosi e belli, che nell’arco del ventennio successivo, prima della grande guerra – assieme ai bar - fecero guadagnare a piazza V.Veneto, il titolo di Broadway italiana.

Scrivendo ora dei cinematografi dell’epoca della mia gioventù, ovviamente faccio riferimento al dopoguerra.  Di essi, ricordo solo che erano frequentatissimi, rappresentando l’unico svago sociale a relativo poco prezzo. Gradatamente, ma in pochi anni, più o meno tutti subirono la trasformazione: dalla prevalente  funzione di teatro-cinema;  a solo cinema; a cinema con intervallo di TV (lo spettacolo di  Mike, “Lascia o raddoppia”, si godeva tra i due tempi del film);  agonizzanti cinema a luci rosse; chiusura.

Dal Don Bosco, ci andavo poco perché, se pur frequentando l’Oratorio, avevo prevalenti impegni ed interessi verso i monti e la vita all’aperto. Personalmente ricordo come dramma vissuto, allo Splendor, la pellicola “Il cucciolo”, perché  vista in piedi, in una calca appiccicosa e soffocante che  occupava anche il corridoio centrale con relativa rabbia degli spettatori seduti perché così vedevano solo metà schermo, con bisticci, parole e... fumo; anzi, quest’ultimo mi affascinava ed incuriosiva a tratti più della pellicola perché faceva strane volute nel fascio della luce ma non lasciava traccia sullo schermo. Il Modena, un po’ perché costava troppo e poi, dato che dai palchetti - si diceva - potavano cadere pantaloni e cose più intime, a me era vietato dai genitori. All’Excelsior di piazza V.Veneto, per poco di biglietto, addirittura due film; dei quali uno western di cow boys o -come dicevamo allora- cavalli e pûa (polvere): chi non ricorda almeno il nome di Tom Mix!.

C’erano anche il Mameli (già chiamato A.Volta, e poi Astoria) dove, con i miei, avevo visto una sola rivista – ballerine incluse - di Rascel. Al Sampierdarenese (già Politeama) di piazza V.Veneto –frequentavo le medie- il primo di 007, “dalla Russia con amore”.  Ed anche il Massimo di via Fillak (prima chiamato Verdi) dove proiettavano pellicole a puntate. E l’Odeon (prima chiamato Dante, e dopo Eldorado). Meno qualificati, ma frequentati a fine settimana, erano la Cella, il Ferroviario.e l’Arcobaleno  di via GB Monti. Oltre dieci locali in tutto: non pochi per una delegazione.   

Ognuno di essi ha una storia a sé che meriterebbe essere citata; e ciascuno di noi ha memorie personali che sarebbero molto più interessanti dell’elenco che ho fatto io. Spero che il mio lavoro serva ad aprire il cassetto dei ricordi e che i lettori vogliano collaborare a particolarizzare, sul tema, la storia della nostra città. Infatti, se i cinematografi sono praticamente morti, al contrario la cinematografia - come l’Opera lirica  che l’ha preceduta - sono più vive che mai; e la Tv, che le ha soppiantate, si pasce di esse; tutti e tre  oggi  -a parte lo sport - si dividono la totalità di spettatori; per merito dei quali possiamo concludere che queste arti  rappresentano i pilastri fondamentali del divertimento degli ultimi centocinquant’anni.

Attualmente ci sono solo due sale adibite alla cinematografia: il Don Bosco, con riuscite pretese culturali essendo i film seguiti da discussione; e l’Eldorado con volute quaquarelle sessuofili adatte ai malinconici che non possiedono nel privato una TV con lettore DVD o DVX: se il locale rimane aperto è perché ci sono ancora abbastanza spettatori per viverci sopra.

L’articolo ha avuto -nel numero dopo- un correzione da parte di un lettore circa il cinema di via GBMonti

 

8 - RISPOSTA A LETTERA

Il libri annuari editi da Pagano, sono momentaneamente gli unici a cui posso far riferimento per rispondere alla domanda, mancandomi i documenti ufficiali di concessione della apertura delle farmacie (possiedo solo quella della farmacia Gioberti, ritrovato dai volenterosi titolari attuali, i fratelli Ghio; gli altri titolari hanno... snobbato le mie ricerche).

Sul Pagano la farmacia Bassano, compare nel 1902 (quindi, fu aperta prima di quell’anno, ma imprecisabile, mancando in biblioteca i volumi degli anni precedenti; ed appartenendo l’amico titolare attuale alla categoria interessata, ma senza la noia della ricerca tra i suoi documenti).

In quell’anno, la ‘farmacia Bassano GB Diovuole’ è segnalata in ‘via DeMarini angolo con via Marina (oggi via L.Dottesio angolo via GD Cassini)’.

Quindi, centosei anni fa, la farmacia era nell’angolo (o vicino, considerato che allora l’informazione stradale era tutta “all’incirca”); ed erano gli anni in cui furoreggiava lo stile Liberty. Facile ed ovvio quindi –ma non documentato- attribuire l’insegna d’angolo alla farmacia stessa (faccio presente che allora le farmacie non erano come sono oggi; nessun titolare era laureato, e chiunque poteva aprirne una, quale erborista). Meno facile è l’attribuzione: nel sett/2003 il Gazzettino  riportò una intervista in base alla quale l’attribuzione era, con pochi dubbi, data allo scultore Bassano GB Salvatore, detto Mastro Ave (1874-1851). Ma il Pagano stesso, edizione 1912 e 1919 (anni del post Liberty, che maggiormente domina in San Pier d’Arena), scrive che in via Manin  (titolazione precedente a Cassini)  abitava lo scultore Bassano Luigi. La cosa fa nascere qualche dubbio, e mi occorre del tempo ed aiuto degli Storici per  approfondirla.

9 - MEDICINA La  malattia mentale quale fonte di equivocil

Per capirci, occorre partire da due presupposti che siano condivisi da tutti.

Primo. Internazionalmente nessuno ha ancora definito in maniera accettata, cosa è una ‘malattia della mente’ (visto che anatomicamente il cervello appare intatto, è probabile che scatenanti siano vari fattori chimici: infatti i sintomi sono contrastati dalla chimica; e creabili con altre sostanze chimiche. Ma chi, dove e come, è ancora mistero). Nella diatriba si va da chi nega che esiste una malattia e ne vede una violenza su soggetti deboli, fino a catalogare ogni comportamento anche minimamente  anomalo, e classificarlo con tanti sottotitoli nelle nevrosi o psicosi, eguale a cinquant’anni fa. Come medico, sono stato quindici anni in ‘quell’ambiente’, e qualcosa ho imparato avendo vissuto le responsabilità dirette, anche se ero un semplice ‘volontario non retribuito’: Da allora, l’evoluzione è stata in positivo, ma troppo lentamente.

Secondo. Se un comportamento-scelta-legge nel suo esito presenta imperfezioni, è perché da qualche parte del suo svolgersi, ha un errore.  Ovviamente in primis occorrerebbe riconoscere e correggere l’errore.

Il caso del poliziotto ucciso da un insano di mente, è un errore. Dopo le condoglianze -dovute e di rito-, lo strazio dei parenti e dei colleghi, la mestizia nel cuore in tutti coloro che hanno fiducia in quei ragazzi, tutto resterà come prima?

Sul piano medico esistono tre problematiche di errore: una, come scritto sopra, è legata ad una classificazione non accettata da tutti. Secondo, forse è la psichiatria che per prima dovrebbe definire i disturbi comportamentali ‘pericolosi’ (già li sa; ma la struttura sanitaria procede come se non si sapessero). Ovviamente nei limiti culturali di oggi - e quindi passibili di modifiche. Terzo,  è legata ai farmaci: enormi passi in avanti nel tempo, ma ancor oggi solo ‘tapulli’. Dapprima nacquero farmaci che ‘scremano’ la malattia nella testa del folle e decisamente allontanano le idee deliranti. Poi vennero gli stessi commercializzati in forma depot il cui lento assorbimento permette l’efficacia in media per due-tre decadi di tempo. Non è poco, visto che hanno permesso di chiudere l’ospedale psichiatrico. Altro passo in avanti, quando si è dimostrato che essi sono innocui nei confronti degli altri organi (cuore, reni, polmoni, ecc.) anche nell’uso per anni, e che quindi i vantaggi superano in modo deciso eventuali inconvenienti.

In parallelo, però la parte legislativa da anni è rimasta ferma. Primo perché il medico non ha facoltà di polizia, quindi non può imporre nulla, né la visita né la cura, salvo solo proporre un trattamento coatto in ospedale nei casi eclatanti, troppo spesso dopo un fattaccio. La polizia interviene solo se c’è reato, quindi anch’essa, dopo. Il politico offre i servizi ma si tiene fuori dalla gestione della persona. I parenti, in prima fase se ne assumono la responsabilità, ma poi non sono capaci di gestirla, urtando contro il volere del malato che –a suo, ed oggi insindacabile parere- “non sono mica matto”oppure”curati tu”. Alla fine, se il malato di sua sponte decide non andare ai Servizi predisposti a farsi seguire e non assume le cure, non è reato; è un libero cittadino che liberamente decide. Ma, attenti, decide in conseguenza di un cervello riconosciuto incapace di decidere; ovvero - non liberamente da coatto dalla malattia -.  Questo permette il secondo   e decisivo equivoco: nessuno fra tanti coinvolti è direttamente responsabile con poteri decisionali. Anzi, no: l’unico responsabile paradossalmente rimane la persona malata che però, in quanto tale, è dai medici riconosciuto imprevedibile ed irresponsabile.

Quindi occorre una legge che disponga chi è responsabile; e che, se non è reato essere malati, è reato non curarsi – almeno per quelli diagnosticati affetti da ‘quella’ malattia, che i medici conoscono bene. Sicuramente non è cosa facile; forse lede altri diritti che non conosco: tutti diritti comunque che non conosceva neanche il povero poliziotto accoltellato (anzi, qualcuno ipotizza che sia colpa sua, essendosi comportato da “sprovveduto” e “fuori da certi insegnamenti impartiti”) e neanche li sapevano tutti gli altri, morti per ‘follia di un folle’. Altrimenti sia chiaro per tutti che prendersi una coltellata nel petto “fa parte dei rischi del vivere in questa società evoluta” nella quale è parità per tutti. Uno ammalato di AIDS non ha doveri verso gli altri? Un malato mentale, è veramente pari ad un sano? Un drogato è uguale ad uno no?  Guarda caso, nessun politico propone un referendum. Ma non definire chiari questi concetti corrisponde ad accettare che una coltellata in più o in meno, sia un rischio da accettare, visto i tempi per i quali il folle non è tale ma è un ‘eticamente instabile’ ed il morto ‘uno sprovveduto che faceva meglio a non essere lì in quel momento’. Giudicate voi, lettori, dov’è la follia?. 

 

 

10 - Villa SERRA – DORIA – MASNATA – COMUNE DI SAN PIER D’ARENA

La sua storia inizia  nel 1613, eretta dall’arch. Bartolomeo Bianco, a monte dell’asse stradale  (unico allora; l’attuale via N.Daste) ed a ponente del sentiero che sale a Promontorio; in posizione lievemente dominante per sfruttare le fondamenta di una precedente costruzione, forse grossa eguale. Ordinatario fu il nobile Paolo Serra che volle un palazzo di magnificenza, facile da raggiungere, agibile come villeggiatura e come ‘fuga dallo stress’ cittadino. Fu decorato dalla famiglia Calvi.  In una carta del 1708 appare senza le ali laterali; nella successiva del 1757  c’è solo la terrazza di ponente; poi nel restauro comunale fu eretta quella a levante.

Non si sa quando, divenne proprietà dei Doria, casata molto rappresentata  a San Pierd’Arena (loro, le attuali  Franzoniane, la ex Monticelli  e l’Istituto don Daste).

   Fu durante la proprietà di  Carlo Doria, che nel 1746 vi soggiornò - non certo ospite, ma da superbo dominatore -  il marchese  Botta Adorno, generale degli Austriaci. Invasa la città con le truppe, si attestò - col suo quartier generale - in questa villa ove impose le condizioni di resa, tra cui : l’andare il Doge a chiedere supplica e perdono ed implorare la cesarea clemenza;  il versamento di  tre milioni di genuini d’oro; quattro membri del senato ostaggi; spese di guerra, come viveri, cannoni e mortai.  Nella villa fu depositata - quale rateo - una parte dell’imposta all’Austria. Questo, sino al fatidico trasloco del mortaio ed il famoso ‘che l’inse’ del Balilla: gli Austriaci furono messi in fuga. Il Botta, bilioso ed arrogante, tentò trattare nelle sale della villa con i diplomatici della Repubblica, ma – alla fine – dovette fuggire roso dalla rabbia, rubando il più possibile.  I Doria, per ancora tre generazioni (un Ambrogio, un Carlo, un altro Ambrogio) la mantennero, fino ai primi del 1800.

Non si sa come, al Doria subentrò il nobile Giuseppe Masnata, il quale però, non  abitandola, accettò l’idea del sindaco cav. Nicolò Montano. Praticamente la regalò,  per farne il primo ospedale cittadino.  La neonata città  si era finalmente  accorta di avere teatri, industrie, un sano bilancio in pareggio, una bassa percentuale di analfabeti (l’8%), le banche, i pompieri, la biblioteca, ma non ancora l’ospedale.   La scelta fu dovuta soprattutto alle quotidiane necessità subentrate all’immigrazione, all’industria in sviluppo crescente con i suoi quotidiani incidenti, ed infine all’eccessiva lontananza da Pammatone persistendo il promontorio di san Benigno. Fu necessaria però una energica opera di ristrutturazione: il P.Soccorso fu aperto nella sede che poi sarà la prima del Gazzettino, in salita S.Rosa. Tre i medici (dei quali sono famosi Paolo Ambrosini, perché per primo in Liguria applicò una trasfusione di sangue; e G.B.Botteri al quale è dedicata una strada);  tre uomini e due donne i primi infermieri; i servizi gestiti da 7 suore prima quelle di sant’Anna poi le Figlie della Carità); la farmacia esterna, dal dr. Angelo Raffetto in via della Cella. Le cure erano gratuite per i cittadini locali se poveri; per benestanti e Comuni vicini, la retta era di 1,25 £/dì; il Comune pagava l’Amministrazione in unica sovvenzione annua, e l’ospedale si manteneva con donazioni, lasciti e qualsiasi iniziativa cittadina (spettacoli, balli, lotterie).

   Il 26 gen.1873, un regio decreto elesse l’opera ad Ente Morale; anno in cui una nuova epidemia di colera provocò 21 morti. Nel 1934 le Belle Arti posero vincolo e tutela sull’immobile.

Ma nel 1890 mentre si pensava di ampliare la villa, si decise costruire un nuovo ospedale: nel 1911 iniziarono i lavori all’apice della villa Scassi,  terminati nel 1915.

Il trasferimento dei malati fu completato il 14 mar.1916; l’edificio fu poi usato sia per ricoverare i reduci della grande guerra; sia poi dal 1919 al 1926 per ospitare un cronicario ed un collegio femminile delle suore cappellone.

   Nel 1929 vennero segnalati esistenti in una sala, 5 medaglioni affrescati dai Calvi  raffiguranti le ‘fatiche di Ercole‘; e in altra sala, altri con riprodotti episodi dell’ ‘Orlando Furioso’. Questi dipinti -evidentemente deteriorati - furono coperti quando nelle stanze dal 1933 fu collocato, con vanto perché unico nelle delegazioni, il regio Liceo classico intitolato a G.Mazzini, lasciando solo alcuni vani per la Biblioteca comunale. Per questa  destinazione  furono necessari ulteriori rimaneggiamenti. La biblioteca fu trasferita sei anni dopo, ed il liceo così occupò interamente lo stabile.

Nel 1957, l’amministrazione ospedaliera cedette il palazzo al Comune per £.50milioni.    In seguito, oltre che sede del Liceo classico fu anche sede di un asilo; e quando il Liceo traslocò in via P.Reti per l’anno scolastico 1967, divenne sede di una succursale della Scuola Media statale N.Barabino.

L’edificio, esternamente ebbe le variazioni già descritte. Davanti esso, aveva un giardino che si apriva in via sant’Antonio (via N.Daste). La realizzazione di via Cantore - 1930-5 – comportò sia l’espropriazione della striscia del terreno (così, il rimanente, fu venduto per costruzioni: a ponente sorse il palazzo ex banca d’Italia);  sia che il fronte principale della villa si affacciasse direttamente sulla neonata strada; e sia che rimanendo l’ingresso molto più alto rispetto l’asse viario - fu necessità munire la facciata di due scalinate divergenti  e riattare i fondi divenuti piano terra.  Queste variazioni hanno trasformato le proporzioni estetiche, da uno sviluppo orizzontale ad uno più cubizzato, per fortuna snellito dalle due costruzioni laterali.

    Nel retro: un minuscolo appezzamento, a stretto contatto con quello che resta del soprastante giardino della villa Ronco, fu dapprima forse giardino, poi occupato da una costruzione adibita a camera mortuaria del vecchio ospedale; e poi -dal 1977 dalla palestra

   Il 4 giu.1944, l’edificio subì anche l’insulto di un bombardamento che per fortuna danneggiò solo la superficie del tetto.

   L’atrio, di circa m. 8x6, era stato abbellito con statue e busti marmorei di medici e benefattori cittadini; nella trasformazione a scuola, essi furono immagazzinati. Riscoperti nel 1984, sono tornati nel dimenticatoio escluso le statue del donatore Masnata e della munifica Scaniglia Tubino e quattro medaglioni di altri benefattori.

11 - PAROLE AL VENTO - OPINIONISTI

Opinionisti si diventa. Chiamati dalla Rai, scrivendo al redattore di un giornale, frequentando un club o un bar.

Fornire un parere su un argomento, è cosa saggia e socialmente utile. Il così detto ‘punto di vista’.

Ma, – come sostengo da anni, essendo tutto il vissuto una gradazione progressiva di grigio, che va dal bianco (che non esiste) al nero (che non esiste) - anche questa utile espressione ha subito un questi anni uno spostamento... verso il nero. Complice l’eccessiva concorrenza – e quindi la necessità di emergere su tutti, costi quel che costi -, e l’allentamento dei sentimenti morali, tra i quali l’umiltà (che cos’è?), il non prevaricare il prossimo (che cos’è?), la morale sociale tipo l’educazione (che cos’è?).

Il Papa è infallibile, ma solo quando parla ‘ex cathedra’ su argomenti di fede e di costumi. I pareri di quell’uomo hanno un limite, quindi.

Invece,  in TV specialmente, abbiamo giornalmente visione di gente che pontifica anche se sa limitatamente dell’argomento, solo per apparire, viene detto per fare spettacolo (spazzatura). Nella sfumatura di cui sopra, vanno da quello calmo, pacato e sicuro di sé, allo scalmanato che urla, prevarica, insulta. Così guardatevi un po’ alcune trasmissioni sul calcio: sono piene di gente che solo loro sanno, e lo debbono comunicare urlando per non essere sopraffatti dagli altri che si dichiarano sicuri di sapere più di loro, comunque d’accordo solo che tutti gli altri sono incompetenti (questo termine è stato scelto come gentilezza di cronista, in realtà si dicono cose ben peggiori). E lo spettacolo, secondo quei meschini, giustifica il loro ben poco essere. Ma ben più meschino, è chi li sceglie da guardare con continuità.

Molti, di questi opinionisti d’attacco, poi finiscono in politica. Ovvio, perché essa è un altro trogolo nel quale ci si può crogiolare con  semplicità, e guadagnare. La politica, ahi! Apriti cielo! In genere, tutti sappiamo le cose  giuste da fare per prime, seconde e terze; e come farle. Basta leggere le ‘lettere al direttore’ di qualsiasi quotidiano: angolo aperto a tutti quelli che nel loro piccolo sembrano dei dittatori: indirettamente (perché esporsi può far male) esprimono che su quell’argomento si deve fare come dicono loro; e se il politico non lo fa è perché capisce nulla. Comunque, novelli Cassandre, un “l’avevo detto!” non si nega a nessuno.

Non scriviamo poi di quei politici che solo parlano male dell’avversario: ma non delle sue idee, ma di come si comporta o fa quando ‘fuori scena’.

Opinionisti li troviamo a pontificare in medicina, in legislatura, in architettura, nella musica. Più soft; ma velenosi ovunque; specie quando nelle vesti dell’unico che ha ragione. Far tornare tutti gli opinionisti nel loro giusto ‘carruggio’? Sarebbe una bella cosa, che poi è molto semplice per quelli in TV: basta adoperare con saggezza il telecomando.

12 - IL TUMORE AL SENO

Tanta informazione, generalmente a senso unico nel solo indicare la pericolosità della malattia, genera una ansia - certamente non voluta, ma conseguenza inevitabile - in chi già ansiosa è, sia ella un po’ patofobica (paura delle malattie), sia che ella avverta - con il tatto – ‘qualcosa’ di diverso.

Questa ansia è stato motivo di allarme per il Ministero, perché  – da buon politico ed alla luce degli esami richiesti - ha notato che, per le eccessive richieste incongrue fatte ai medici curanti, la spesa mirata a solo soddisfare la paura, è enorme. Ad una inchiesta, non sono poche le persone che hanno risposto “ne ho sentito parlare come determinante per sopravvivere”. E se poi i tempi di attesa sono dilatati, l’ansia diventa panico, con reazione a volte clamorosa; e ciò, in una spirale perversa, peggiora ulteriormente i tempi di attesa.

Prevenire è la parola giusta, da conservare ed attuare; ma, da essa, andare a ruota libera... è divenuto necessità darsi un po’ di regole. Poiché il problema è universale, sono state studiate, da specialisti che godono la fiducia degli Stati interessati, delle linee guida internazionali.

Alla base di tutto c’è che il ‘sospetto’ deve essere verificato da persona competente.

=La autopalpazione. Il fai-da-te è il primo passo indispensabile. Ovvio conoscersi.  Occorre poi farsi insegnare, per sapere cosa cercare e come.

=La visita da uno specialista, ginecologo e/o oncologo, per ogni sospetto (molti ospedali hanno ‘canali preferenziali velocizzati’ per questo tipo di indagine; ma spesso - come primo consulente – viene fornito un chirurgo, con tutta la sua tendenza decisionale al ‘taglio’, favorito in questo dalla paura della diagnosi, senza coinvolgimento dell’oncologo. A mio avviso, l’intervento è ‘proprietà’ del chirurgo, ma l’indirizzo chirurgico deve essere riservato all’oncologo).

=L’ecografia, è di per sé innocua, e quindi praticabile in ogni momento, ripetutamente e senza presenza di sintomi; ma è esame solo di approfondimento (mammelle dense e comunque difficili a leggere) e non di prevenzione; e quindi non sostitutivo della RxMamm.

=La biopsia guidata. Viene scelta dall’oncologo. Non è prevista nelle linee guida.

=La mammografia. Ha come presupposto che è l’esame determinante e fondamentale  per la diagnosi precoce, perché permette di individuare l’’ospite’ nella sua fase iniziale, anche quando palpatoriamente non è percepibile. Le linee guida suggeriscono: prima dei 40 anni, la malattia è rara, e quindi in assenza di sintomi non sono indicati esami. Comunque sono ‘fortemente raccomandati’, specie se c’è familiarità, una visita da un genetista oncologo e/o una visita ai centri oncologici.  Tra i 40-49 anni, fare la RxMamm. ogni 12-18 mesi. Tra i 50 e 69 anni, ogni 2 anni. Sopra questa età, ogni ASL ha un programma screening proprio. 

Chi propone la diffusione di queste linee guida è un politico, l’assessore alla salute, in genere preoccupato soprattutto della spesa e dei tempi di attesa. Ma, in questo settore, ha ragione: 1) calma. La fretta fa troppo spesso fare scelte sbagliate; 2) consultare la persona giusta, in primis il medico curante di base o il ginecologo; 3) affidarsi alla persona giusta, l’oncologo; 4) calma. La persona giusta, è uno psicologo, checché ne dica Garattini.                                                        

12 - SFRUTTIAMO I RAGGI DEL SOLE

visto che “il sole va ai belli”, cioè a noi, sfruttiamolo con gioia. Inno al sole! E senza lamentarsi, visto che ci stiamo avvicinando al periodo del ‘solleone’.

L’uomo è omeoterma, ovvero anche esponendosi a temperatura ambientale di 40°C, il corpo rimane a 36°C;  il calore non raggiunge cuore ed i grossi vasi sanguigni interni; approfondendosi per pochissimo sotto l’epidermide, crea una vasodilatazione superficiale risentita solo dai già stanchi, da chi soffre di varici e dagli ipotesi che possono collassarsi; ma ininfluente sulla pressione arteriosa che resta invariata. E quindi, sciocca la misura di ridurre i farmaci ipotensivi per chi ne abbisogna: meglio è fare controlli, ma in genere la cura non va interrotta né dimezzata.  La sensibilità ai raggi solari, non è uguale per tutti: alcuni stanno bene al sole come le lucertole, e lui ricambia con benefici  di salute, specie sul metabolismo osseo (nei bambini previene il rachitismo) e su certe infiammazioni delle fasce articolari e della pelle.

L’effetto più gradito da tanti è quello estetico, l’abbronzatura, sinonimo indiretto di messaggio mirato a far invidia agli altri, tipo: io godo la libertà, ovvero non relegato in un ufficio. Alcuni altri si scottano.

Gli esperti mettono in guardia contro l’abuso: le ustioni da esposizione senza una prevenzione né progressività; certi tumori della pelle fotosensibili; l’effetto riflessione (conosciuto dai fotografi) sulla retina. L’abuso dei raggi solari, è paragonabile ad un microtrauma, dannoso se ripetuto: una discreta disidratazione, misconosciuta se è concomitante una bella arietta; una lenta riduzione dell’elasticità della pelle che nel suo piccolo favorisce l’immagine di   invecchiamento.

Ma dannatamente pericolose sono le ondate di calore con alto grado di umidità. Loro mettono in allarme i Pronto Soccorso ed anche la Protezione Civile: entrano  genericamente in pericolo tutti gli anziani della quarta età, ed i malati di cardiopatie (coronarie, coagulazione, ipertesi),  di respirazione (enfisema, bronchiti croniche), neurologici (epilessia, paralitici, tossicodipendenti) e renali.

Il MMG (medico di fiducia) consiglierà singolarmente i limiti dei rischi.

VACANZE

Non c’è nulla da fare, la nostra parola italiana è più magica delle altre, supera i sinonimi di ferie, stacco,   .  Nelle mie invocazioni, ho sempre fatto riferimento a santa Marta, sperandola meno impegnata degli altri continuamente invocati da tutti. Da Lei mi sentivo imporre “fuggi in vacanza!’; e non era un avviso da poco. Proprio per indicarmi il non potermi fermare altrimenti il rischio dell’arresto ... del cervello, vicino al tilt della fusione. Sorrido al ricordo: “mi faccio un mese di vacanza!” tuonai dopo una decade d’anni senza farne, io medico alle prime armi, dedito in quei mesi a sostituire i colleghi per guadagnare qualcosa. Ma ben presto mi accorsi che, ritemprato da trenta giorni con la famiglia, non reggevo undici mesi ancora; così, “due da quindici!”. Però poi, a  “quattro da sette”, fermarmi, accorgendomi che non bastavano a ricuperare.

Allora veniva da chiedersi: perché non vinco mai alla Sisal? (forse perché non ci gioco). I parenti ricchi, dove sono andati a finire? (non ne ho mai avuto). Nessuno perde il portafogli pieno? (l’unica volta che trovai un borsello, pieno di ben di Dio, lo portai dai Carabinieri). 

Eh ma allora, se sono cresciuto povero ed abelinato... mi rimase solo il campeggio sotto tenda. Ma quella era si, finalmente, una vera vacanza che ricordo con nostalgiaf.

ESTATE E QUARTA ETA’

Chi non ha la doppia fortuna di avere nipotini da portare al mare o in montagna –e siamo tanti – ce ne restiamo in città. Così, chiusi in casa o seduti su una panchina,  non possiamo non accorgerci che mentre la società moderna è riuscita ad allungare la vita, la qualità della vita stessa è del tutto discutibile, specie per chi si addentra nella quarta età e per i suoi familiari.  Non scrivo di chi abbisogna di strutture da ricovero, perché sarebbe un pianto inconsolabile. A livello alto dell’Amministrazione, si è convenuto sulla necessità di un migliore sostegno, specie per far trascorrere l’estate dignitosamente e con meno disagi possibile, a tutti i ‘nonnini’ esistenti in città. Così, sono stati realizzati studi che vorrebbero sostituire quel certo abbandono ed apparente disinteresse - quale è ora – e invece coinvolgere le persone vecchie in un programma di utilizzo delle loro risorse disponibili  residue, stimolando ruoli nuovi, rieducando alla stima di sé,  contrastando il naturale decadere del senso dell’esistenza utilizzando i propri ricordi ed esperienze. Di conseguenza, sono già stati individuati regole e comportamenti degli operatori  addetti alla realizzazione di tale programma. 

Ma, realizzare ciò ha un costo; e ... come al solito, mancano i soldi. Però, il volontariato già molto ha fatto in questa direzione: chiamate l’AUSER, sarete ascoltati e vi sarà spiegato, gratuitamente. 

LA SALUTE DELL’ANZIANO  É il titolo di un opuscoletto distribuito dal Ministero della Salute L.Turco tramite i Medici di medicina generale. Sono nozioni ovvie e facili, ma appunto per questo troppo spesso disattese, con gravi conseguenze.  L’aver cura di se stessi è alla base del guadagnare salute: mangiar sano è il capitolo uno (salvo diete obbligate: una volta al giorno la pasta o riso; alternare carne o pesci con legumi; un frutto; assumere fibre; preferire olio d’oliva; moderare sale, dolci, caffè, superalcolici). Fare movimento, al limite solo camminando. Curare interessi e relazioni è il punto tre (comprende anche curare la sicurezza in casa: contro eventuali cadute, l’uso del bagno, le chiavi d’ingresso,  i pericoli sparsi -dalle ciabatte e suppellettili, all’impianto elettrico o a gas-; avere una persona di fiducia con cui relazionarsi). Aggiungiamo noi: non barrare la porta e mai far entrare estranei in casa. Attenzione al grande caldo (non uscire nelle ore di centro; bere poco ma spesso; pasti leggeri, con colazione e merenda; abbassare serrande ed evitare correnti dirette –tipo ventilatori-; abiti leggeri  non aderenti; lavarsi frequente almeno le parti raggiungibili). Consultare sempre e prima il ‘medico di famiglia’ conservando reperibile la tesserina ed ordinata la  documentazione sanitaria (di allergie, diabete, pacemaker, farmaci).   In caso di necessità, cercare al telefono il numero 112 (Carabinieri), 113 (Polizia), 118 (Pronto Soccorso). Non è mai tardi, per organizzarsi al meglio.

CACAO, che meraviglia D’estate nulla di meglio di un buon gelato, magari al cioccolato o nutella, o stracciatella…con quei pezzettini marroncini del cacao, e che già appetiscono al solo vederli. E ben venga un po’ di cioccolato, visto che anche i dietologi lo consigliano: un pezzettino al giorno, come elemento benefico sul tono dell’umore e del corpo, sulla pressione bassa e quindi sulla fatica, perfino sul diabete. Il cacao, materia prima per avere il cioccolato, è di per sé amaro; proviene dal Messico, dove era usato come moneta e, considerato i molteplici effetti popolarmente riconosciuti dopo aver imparato a tostarla, definita ‘bevanda degli dei’. Contiene svariate sostanze che interferiscono nel nostro metabolismo. In positivo, la presenza del triptofano, precursore della serotonina sostanza ben conosciuta dagli ansiosi e depressi perché a loro carente; della caffeina e teobromina, noti alcaloidi tonificanti della psiche e cardiocircolatorio seppur nocive ai cani; dei polifenoli, sostanze antiossidanti, le quali, è stato ufficialmente riconosciuto sono le naturali difese contro i radicali liberi, imputati del logoramento degli organi e del loro invecchiamento.   Come tutte le medaglie, ha la controfaccia, non tanto per il cacao di per sé ma per quello che ci aggiungono, ipercalorici: soprattutto lo zucchero ed i grassi: se si ha diabete (da usare quello amaro) o si è in iperlipemia, o in sovrappeso e quindi a dieta (cento grammi del tipo al latte portano oltre 500 calorie); o infine se si ha l’apparato digerente in disordine; o se si è allergici: possibili reazioni di comune orticaria a chi non tollera o i neonati che non hanno tutte le difese. Contiene anche l’acido ossalico, non indicato in chi soffre di calcoli renali; ed il glutine (i celiachi cerchino in commercio quello privo).  Come in tutte le cose della vita, tutto dipende dalla quantità.

13 -SCOUTISMO E LIBERAZIONE

Gli studi storici,  relativi al biennio 1943-45 strettamente legato alla Liberazione dal nazi-fascismo e fino ad oggi limitati alla Resistenza partigiana armata -attiva in città ed in montagna-, permettono mettere in rilievo che sono esistite altre forme di lotta  -condotte da persone avverse a quel regime - meno clamorose  ma altrettanto rischiose ed, alla fine, feconde nella disponibilità –come la brace per il fuoco- al confronto finale.

Tra queste forme di ribellione ci fu quella degli scouts, movimento educativo internazionale. L’Associazione, a San Pier d’Arena, nacque nel 1916 e fu soppressa dal regime fascista che mirava a fornire ai giovani una qualità di educazione basata sull’inquadramento di massa. In tutta Italia, nella clandestinità, avvennero multiformi tentativi di sopravvivenza, dal semplice rinnovo della Promessa nel giorno di san Giorgio, alla lotta armata. 

In particolare, a noi sampierdarenesi,  interessa il muoversi degli scouts locali che  convertirono la loro sede in quella assistenziale della san Vincenzo. Adottando precauzioni basate sulla reciproca fiducia, studiarono di  ancora riunirsi sotto le vesti di una associazione dedita al servizio dei bisognosi. Particolarmente forte il legame -persistito anche nel dopoguerra- con l’orfanatrofio di salita al forte Crocetta.

Nella relazione, e successivo dibattito del 9 giugno scorso, proposto da Massimo Bisca, vice presidente dell’Anpi genovese e dalla concittadina  parlamentare Roberta Pinotti, presso la libreria Don Bosco di via C.Rolando, è emerso il bisogno di allargare la cultura della Resistenza anche a queste forme non marginali di lotta, e di farle conoscere ai giovani di oggi per renderli non solo democraticamente liberi da pregiudizi, ma convergenti contro ogni manipolazione dell’individualità, intesa quale violenza non solo contro il corpo ma anche la psiche e l’etica di ciascuno.

Una apertura non da poco, a favore della verità e della Libertà.

Grazie, ai due relatori, da parte della cittadinanza.    EBaglini

14 - LUNGOMARE CANEPA

Per il nostro borgo, è stata la “strada” ...primordialmente più antica, quella che percorrevano le canoe e zattere degli aborigeni locali o le barche dei greci e fenici centinaia d’anni prima di Cristo. Scherzo; perché sino al 1926, dove oggi scorre la strada, era il mare.

I ricordi storici sono solo nostalgici e forse inutili. Però vale la spesa immaginare che sul vicino arenile, avveniva praticamente tutto quello che era vita e sopravvivenza: nel nostro piccolo, c’era ‘tutto, come a Genova’.

Per nulla Giustiniani (1535) scrisse “...contiene questa Pieve una spiaggia lunga un grosso miglio tanto comoda al varar delle navi che non potrebbe esser più, e par che la natura l’abbia fabbricata a questo effetto… i forestieri, essendo a Sampierdarena credono di essere a Genova…”; ed  Accinelli (1774) : “si passa al borgo di Sampierdarena che si estende longi la riva del mare per un miglio, il più sontuoso borgo di tutta l’Italia.”.

Di epoca medievale, ancora esistono -anche se maltrattate-  3 torri (in origine 7), per le guardie che a ronda sorvegliavano il litorale contro i pirati o nelle lotte tra guelfi e ghibellini. Nella stessa epoca, le calate portuali meglio strutturate erano davanti alla chiesa della Cella ed alla Coscia (detta Calandrino). Da epoca lontana la vita della spiaggia, oltre ai pescatori aveva creato le categorie tipiche dei minolli e dei maestri intagliatori del legno necessari per fare ed abbellire le imbarcazioni  (due strade, sono dedicate a Pittaluga e Ciurlo); i cantieri navali (Genova, dall’età medievale a fine del 1800, non avrebbe potuto essere la Superba, se San Pier d’Arena non le avesse fornito le navi. Era il più grande cantiere di galee, in genere private e affittate alla Repubblica,  e per le sempre maggiori dimensioni e qualità. In Liguria, solo Varazze e noi, abbiamo avuto continuità di attività costruttiva capace di sostenere gruppi di maestranze fisse. Tra tutti gli armatori, ricordo i fratelli Devoto  fedeli repubblicani, che fecero costruire 4 grossi scafi  coi nomi a chiave: ‘Solo’, ‘Unico’, ‘Scopo’, ‘Giuseppe Mazzini’.  Questa successione non passò inosservata e fu oggetto di denuncia della regia polizia che li costrinse a cambiare nome all’ultima.

A cavallo tra il 1800, sino al 1925 la spiaggia fu sede di famosi bagni. Dal Piemonte e Lombardia venivano per salute e svago; lo Yacht Club e la Sampierdarenese vantavano nel settore sportivo marino (vela, nuoto, pallanuoto, canottaggio) campioni nazionali ed olimpionici ed organizzazione di gare internazionali.

Da quest’ultima data, sua eccellenza Mussolini - in meno di un lustro - spese un sacco di soldi per sbancare san Benigno e riempire tutto il bacino. Allontanò il mare dal borgo con opera, molto superba per Genova, assai meno per noi.  Nell’attesa del completo funzionamento, sulla spianata fu aperto un campo di calcio, in sostituzione di quello chiuso nel retro di villa Scassi; e fu intitolato all’atleta  Bertorello.

Alla fine, fu eretto il muro, per separare il porto; come a  Berlino, ma questo è ancora lì, a limitare beffardamente il  “Lungomare”.

Attualmente è un rettilineo è la quinta via in parallelo al mare, che graticcia la città  e permette un parziale ma basilare sollievo al traffico stradale interno, soprattutto per il transito dei veicoli pesanti.  Consente ai mezzi motorizzati un aumento della velocità con aumentata incidenza di  incidenti gravi, più volte mortali.

Se negli anni 30 il riempimento fu fatto in pochi anni, sono decenni che si parla di questa strada (uno solo di Marta). Spesso, i tempi lunghi fanno sì che -a progetto approvato- i soldi previsti sono divenuti insufficienti. Se scorre su terreno doganale ed è comunale per l’uso,  sono anche coinvolti -accavallati ed intrecciati tra loro- anche Anas, Ministero delle OOPP, Autorità Portuale, Provincia, Regione,  Ferrovie). Questa comproprietà ha sino ad oggi rallentato la definitiva funzionalità; compreso l’uso per il Giro ciclistico d’Italia.

 I veicoli la percorrono per quattro quinti in quanto a ponente non è ancora completato il deflusso verso Cornigliano. L’altro quinto porta al torrente, ove risiedono il Terminal Messina , ed un residuo di ‘via Argine del Polcevera’ (nel quale risiedono la soc. Esperia, il Club Nautico locale ed alcuni pescatori).

Sul lato mare esistono i varchi  portuali di ponte Etiopia a levante, e di ponte Libia.

Sotto terra esiste una grossa fognatura –forse completata- che, come un pettine. raccoglie tutti i reflussi degli scarichi della delegazione e li convoglia verso il depuratore che però non funziona a pieno, con giustificata rabbia degli abitanti locali.

Sulla strada, solo a lato monte sono ospitati: il grattacielo e caserma della Finanza;  imprese artigiane ed industriali; bocciofila Bottino’; Centrale Amga Energia.

Le  polemiche sono due: il nome  “lungomare”: aver distrutto la spiaggia per l’ampliamento del porto fu necessità pubblica per Genova; ma San Pier d’Arena è sempre stata una città di mare, ed adesso col mare non ha più nulla a che vedere, murata lontana da esso dietro un muraglione di cemento e mattoni, e che di lungomare ha solo il nome da presa in giro mortificante. Per i sampierdarenesi andare a nuotare significa andare in piscina (se funziona); ma se vogliono vedere il mare debbono prendere un pullman, anche loro “con quella faccia un po’ così…”.

L’altra e la concessione della strada alla prostituzione  e degrado. Alla sera si rianima diversa: si accendono fuochi, si ospitano ‘farfalle’, si scaricano detriti abusivi, si alloggiano poveri  in cerca di un tetto e malavitosi  in genere. É un problema nazionale,  ma qui ci dà l’etichetta: in nostro municipio nell’ambito cittadino è divenuto l’emblema del malaffare e della delinquenza.

15 - LA  CROCIERA

Largo Ernesto Jursé sarà soggetto a profonda trasformazione, essendo previsto l’innalzamento del ponte ferroviario della linea verso Voltri, con eliminazione del pilone centrale e formazione di una rotonda che snellisca l’ingorgo del traffico proveniente da via Degola, e via Pacinotti verso ponente.

Storicamente, lo slargo non era così; ovviamente. Il ponte era già lì da prima del 1200, eretto dai Corniglianesi,  i quali giustamente se ne attribuiscono il nome.

La strada per arrivarci, da oltre mille anni era tutta diritta e stretta, ad uso carretti:  proveniva dalla zona Lanterna, con un nome solo per tutto il tragitto: Strada Interna (oggi frazionata in: via DeMarini, taglio Francia, Dottesio, Daste, taglio Cantore-inizio Rolando, Scaniglia, taglio Reti, Degola, Jursé, Pieragostini).

Fino all’inizio del 1800, tutto il lato nord di questa strada, fino al torrente, era terreno degli Spinola, alloggiati nelle ville che ancor oggi sono erette in via C.Rolando.

Cinquant’anni dopo, via s.Cristoforo (v. Degola) era stretta, quanto lo sono ancor oggi via Scaniglia e Daste, ché ne erano un tratto in centro; via Pacinotti era ancora nei progetti, i quali prevedevano dalla marina arrivare al Campasso ricalcando un sentiero (Pacinotti-Spataro) usato per arrivare alla parrocchia di san Martino al Campasso; nella zona Fiumara l’Ansaldo era appena nato, e lo spazio –chiamato “prato dell’Amore”- era ancora  orti, frutteti e prati, con qualche casa colonica e fabbrica artigianale.

Quando dopo quella data arrivò la ferrovia, essa sconvolse tutta la città: eressero le linee verso Voltri e da una stazione secondaria, che ancor oggi sovrastano l’incrocio; grosse fabbriche ebbero il sopravvento sui prati: su tutti i Molini Alta Italia e l’Eridania; una villa del 1600 posta quasi nell’angolo con la piazza fu abbattuta; via Pacinotti creò ‘la Crociera”, slargo che fu punto di arrivo e partenza delle diligenze provenienti dal ponente e dalla Bocchetta (ovvero da Milano e Torino); per questo, popolarmente chiamata ‘piazza delle Carrozze’.

Nel secolo scorso, l’aumento del traffico, impose una operazione pesante: l’abbattimento di due grossi caseggiati popolari, posti tra la ferrovia ed i giardinetti della fermata del bus davanti a via Alberto di Bozzolo. La piazza divenne così di più ampio respiro.

I nomi delle strade confluenti, hanno cambiato nome tante volte; lo slargo non ne ha mai avuto uno ufficiale, escluso il popolare “Crociera”. Sino a dopo la seconda guerra mondiale, quando il 24 apr.1946 gli fu dato un nome suo: Largo Ernesto Jursé, un “foresto” proveniente da Pola per lavorare all’Ansaldo.  Antifascista, nel 1943 assunse il nome di battaglia “Angelo” per organizzare le GAP (gruppi di azione patriottica)  e poi  le SAP  (squadre di AP), mirate a studiare ed attuazione sabotaggi, ricupero armi, appoggio ai partigiani di montagna, scioperi e iniziali forme di terrorismo rivolte a destabilizzare le forze nazifasciste che li chiamarono ‘briganti’. Catturato nel gennaio 45, fu portato alla casa del Fascio di via Carzino (sottratta di forza alla soc.Universale) ove il trattamento per carpire informazioni era “stringente”. Aleggiava la pena di morte; ma prima ancora di un processo (per quello che poteva avere di regolare), alcuni membri delle Brigate Nere lo portarono assieme ad un altro prigioniero, Giuseppe Spataro, sotto il voltino ferroviario che inizia via del Campasso e li assassinarono nella notte, lasciandoli a terra con un panino ed una mela in tasca (si dice che davano questo cibo per tranquillizzare le vittime durante i trasferimenti).

16 - NOI DEL GAZZETTINO

Noi del gazzettino e loro della SES. Sembra un qui pro quo, visto che il Gazzettino è della SES.

Ma non è così, perché sono come le due gambe di una persona: un tutt’uno, ma ognuna per sé.

La redazione del giornale è composta tutta da volontari –alcuni in pensione ed alcuni impegnati in tutt’altra attività lavorativa- i quali si adoperano - ciascuno per la propria attitudine, con passione ed amore per il territorio - a scrivere quello che il redattore capo, Stefano D’Oria, incolonnerà sul giornale. Quest’ultimo, ahinoi, ha un prezzo (carta, stampa, distribuzione, amministrazione, ecc.) e spese vive che non sempre vengono totalmente coperte, né dagli abbonamenti né dalle réclame. E non far aumentare la spesa al lettore, è lotta quotidiana.

La SES è invece la società editrice; quella che stampa dei libri. É sempre lavoro di Stefano che sceglie il formato, la carta, la grafica; però la gestione è dei soci della società. Quindi è l’altra gamba che, assieme al Gazzettino, sorreggono il corpo il quale –nell’esempio specifico- rappresenta la Cultura della nostra città.

É recente la chiusura della fiera del libro a Torino e - anche se i tempi evolvono verso la comunicazione elettronica - il successo ottenuto è la testimonianza internazionale della esigenza del libro quale espressione tangibile della ‘cultura’ di una nazione, come sottolineato anche dal nostro Presidente e come proposto ai giovani  quale misura delle proprie capacità; essendo il più pratico stimolo a fare le scelte giuste della vita.

Quindi una società che stampa libri, dovrebbe essere considerata industria di eccellenza per una città. Dalla Nazione alle Regioni, ed a scendere alle Provincia ed infine ai Municipi,  è invece tendenzialmente negletta; una Cenerentola. Ed i cittadini, inconsciamente, la vivono come tale.

La SES, piccola ma efficiente editrice artigianale locale, vuole essere una realtà d’élite, il vanto per l’Amministrazione municipale e per la valutazione dell’identità locale, essendo prevalentemente mirata alla salvaguardia del territorio. Segue la foto della copertina di tutti i libri stampati sino ad oggi. Il tema della Fiera del Libro di Torino è stato “Ci salverà la Bellezza”. Impegnativo, e controcorrente  il messaggio di questo titolo, alla cui comprensione si arriva per graduale ragionamento che inizia con un assioma:  la vita è tutto un dover scegliere. Così, le necessità dal superfluo; il conveniente dal non; la pace dalla violenza; i buoni maestri dai cattivi (la differenza è ridotta ad un esile filo distintivo, basandosi sulla valorizzazione dell’interiore a scapito del superficiale e del gridato, del sacrificio a scapito del tutto facile); il bello dal brutto  (la cultura a scapito della ‘spazzatura-veline-reality’; l’estetica-l’etica-il bello a scapito dell’arroganza-prepotenza-odio). Tutto dipende da una scelta.

Chi insegna a scegliere ai giovani? Ovviamente i genitori, la scuola, l’esperienza diretta. Ma, quando essi sono da soli,  soprattutto debbono essere i libri e la loro lettura, non la TV o la play-station.  A questo punto...sembrerebbe che ci sia poco da scegliere... 

17 – LA NOSTRA IDENTITA’Da più parti della cittadinanza, e dalla stampa locale, salgono lamenti sulla perdita - inesorabilmente progressiva - dell’identità della nostra San Pier d’Arena. Ma, cos’è l’identità?  Recita il vocabolario: «complesso dei dati caratteristici e fondamentali, che consentono l’individuazione o garantiscono l’autenticità».

Complessi e molteplici, sono i ‘dati’ di una città; specie come la nostra che ha mille anni di storia alle spalle. In primis però ce ne sono due, uno antico ed uno moderno: le antiche vestigia (torri saracene, s.Agostino, le ville del 500, alcune chiese, le tradizioni locali,...) e la vivibilità attuale.

A custodire e promuovere ambedue i fattori, debbono partecipare: la civica Amministrazione ed il cittadino.

Le attenzioni che deve l’Amministrazione sono molteplici e determinanti, ma se disattende a questi due cardini, a mio avviso ed indipendentemente dal colore, deve essere eliminata per incapacità.

Faccio alcuni esempi del passato: poco poté essere fatto nell’anno 1926 quando – per volere fascista - perdemmo sia il mare che l’essere un Comune autonomo. Ma un po’ di più poteva essere fatto nel dopoguerra, quando sia l’autostrada che i poteri locali decisero, nel gaudio della scemenza più genuina, che ci chiamassimo Centro Ovest: una orribile decapitazione d’identità come non avere più il nome ma un numero o una sigla.  Altri  esempi relativi all’Amministrazione. I nostri beni, deprezzati e sviliti, costantemente soggetti al “non ci sono soldi”; salita Millelire;  l’abbandono del dialetto, maltrattato anche dall’Arcivescovo. E per la vivibilità, il degrado del biscione ferroviario; non c’è un fiore in tutta la città; la posizione geografica che ci esclude dal Centro e dalla val Polcevera; i giovani ammucchiati alla Fiumara e nessun centro culturale.

Colpe pesanti ne abbiamo anche noi cittadini: dalla spazzatura buttata lì: cicche e cartacce fuori dei contenitori e che il vento imprigiona delle stitiche siepi; alle antiche madonnine sui portoni, scomparse per “restauro” nell’indifferenza dei condomini; alle sirene delle ambulanze e forze dell’ordine, non sempre con giustificata urgenza di passare col semaforo rosso, tanto che anche i pedoni attraversano comunemente col rosso; al disinteresse dell’estetica e del decoro sociale; al menefreghismo....

 

Il Gazzettino si ripropone fare una rubrica a parte, curata non da noi redattori,  ma dai Lettori, dai politici e dai parroci, dai pensionati, studenti, mamme con carrozzella e scolari, dal professionista e commerciante, ecc. Chiunque che ci segnalerà i fatti positivi e negativi, sarà  attivamente partecipe della microstoria locale.

18 - PILLOLE ed effetti collaterali

Le medicine sono invenzione dell’uomo. In quanto tali, come tutte le cose in possesso dell’uomo, sono imperfette, ovvero con un lato positivo ed uno negativo, con dei pro e dei contro; in sostanza, da usare con intelligenza, per gli effetti collaterali sempre presenti e non sempre considerati.

Così gli antibiotici: uccidono i germi cattivi (azione voluta e positiva) ma anche quelli buoni (la flora intestinale; non voluto e negativo; si deve correggere aggiungendo vitamine e fermenti lattici). Più eclatante in psichiatria,  quattro pillole per una: usiamo un farmaco per le gravi malattie psicotiche che mentre toglie deliri ed allucinazioni (fattore curativo voluto, una pillola al dì perché l’effetto dura 24 ore), fa venire il tremito (fattore non voluto.Occorre togliere quest’ultimo con altro farmaco, del quale però ne occorrono tre al giorno perché agisce solo per otto ore). Ma quest’ultimo può ridurre la saliva ed asciugare la bocca, allora, per...si consiglia tenere in bocca un reganisso altrimenti non si finirebbe più. In ambedue gli esempi, è primaria e  decisamente superiore importanza la gravità della prima diagnosi. 

Un famoso antidepressivo (azione voluta e positiva contro la malinconia) ha, come effetto collaterale, che riduce l’appetito. ovvio l’interesse -con  uso et abuso- di tanti dietologi i quali però non sempre controllano la psiche del/della cliente, e così a volte si inguaiano con la Legge per le complicazioni legate agli effetti indesiderati.

Che dire di certi farmaci, usati dagli specialisti con molta cautela nelle gravi anemie, e che sono stati usati con troppa disinvoltura negli atleti –specie ciclisti- per aumentare il numero dei globuli nel sangue e quindi ossigenare meglio i muscoli sottoposti allo sforzo. É pericoloso perché –aggravato dalla sudorazione- rendono il sangue ‘spesso’ al punto da favorire i trombi e dare la morte. Per fortuna, nello sport, questo uso collaterale è stato dichiarato doping.

La ‘pillola blu’ ha dimostrato  essere capace di  resuscitare “i  moribondi”, ma si può sfruttare questa sua azione vasodilatatrice in altri casi di ipotensione vascolare, specie -perché più sensibile, in ordine, dopo il “pisello”- nel polmone. Nel femminile, la Ru strizza l’utero e così può fermare le emorragie; ma, così può anche far abortire: et voilà

scoperto come fare soldi.

Dicevo all’inizio che nulla, dell’uomo, è senza controindicazioni, dall’acqua al fuoco, dal nucleare alla diossina della spazzatura. Per fortuna l’uomo ha due doti: l’intelligenza e la sagacia, che permettono a chi sa, di scegliere e di educare gli altri (nei farmaci, il foglietto illustrativo, vulgo bugiardino) all’uso delle cose: in funzione della necessità più grave.

I guai nascono quando chi è mandato ad educare, queste doti non ce l’ha.

19 - VIA BURANELLO

Per leggere l’inizio della storia di questa strada, occorre un volo di fantasia: sotto terra, per metri e metri c’è il milionario rigetto –fatto dalle delle onde marine- di quello che scaricava il Polcevera: ciottoli, sabbia e terra fertile. Sulla superficie, tutta la strada e palazzi intorno, allora non c’erano: dalle ville (poste quasi tutte nell’attuale via NDaste), si estendano -come denti di pettine sino al mare- un insieme di giardini (con siepi, fiori e piante ornamentali),  ed orti (con pozzi, vigneti e frutteti); ciascuno separati dai rigagnoli provenienti dalle alture. Lavoro duro, dei servi delle più famose famiglie genovesi Grimaldi, Centurione, Spinola, Doria, Serra, Cibo, Pallavicini, ecc.

Questo idilliaco paesaggio, un giorno del 1846 fu disturbato da ingegneri dello Stato sabaudo che, in virtù di una legge, obbligarono tutti i proprietari a vendere –perché di ‘pubblica necessità’- una larga striscia di terra parallela al mare per farvi passare una ‘strada ferrata’. Non c’erano i Verdi allora, e in meno di  5 anni fu eretto il lungo viadotto, ed  avvenne l’inaugurazione il 18 dicembre 1853 con il passaggio del primo treno trainato da locomotive inglesi e proveniente da Torino con il re e la regina,  diretto a piazza Caricamento, stipata di folla.

Per i lavori del viadotto, aprirono –a mare di esso e sempre a spese degli orti- una strada carrettabile che dapprima fu chiamata  ‘Strada Reale da Genova a Torino’ e che il popolino invece chiamò ‘stradda nêuva’. Più lunga della attuale perché iniziava dalla Lanterna. Pochi anni dopo, fu ufficialmente nominata ‘via Vittorio Emanuele II’, comprendendola tutta con quel nome sino a Rivarolo. La ferrovia è il simbolo del progresso e della distruzione; in centosessant’anni è stato stravolto un ambiente che la natura -in qualche decina di migliaia di anni- aveva creato idilliaco (per i ricchi).

Gli orti, deprezzati e sviliti  furono utilizzati da speculatori e neoarricchiti per erigere palazzi, senza alcun piano regolatore: uno addossato all’altro  a misura di veicoli trainati a mano, al massimo qualche carrozza o cavallerizzo. Nel retro del civico 10, è visibile ancora la torre saracena detta ‘dei frati’ che era sulla spiaggia;  i primi negozi conservano le insegne marmoree tipiche dei primi anni del 1900. Famosi sono: l’emporio della Società di Produzione condotta da Carlo Rota;  la sede di grosse industrie (Pearson saponi e disinfettanti, Forni legnami, Diana e Galoppini conserve, Silvestro Nasturzo conserve e benefattore dell’ospedale); un cinema (Dante nel 1910, poi Odeon  oggi Eldorado); la farmacia Popolare Della Ferrera; la sede delle suore di s.Marta, quelle delle punture a domicilio; un vespasiano (c’è ancora, rimodernato per fortuna, ma senza insegna); la ditta Robba vetturai; il primo negozio dei Parodi & Parodi ferramenta; il bar Teatro poi Brillé.

Durante il ventennio fascista, una statistica scrive che  in 24h  passassero 1030 tram elettrici, 1549 vetture a motore, 141 carri a trazione animale. Pensarono giusto eliminare la titolazione al re, ma intitolarla “via Secondo Fascio d’Italia”; furono eretti palazzi di pregio (in particolare due con i portici e quello DeFranchi in stile tardo liberty con cariatidi sul portone). 

Con la fine della seconda guerra mondiale, dal maggio 1945, la strada –decapitata nel tratto da  piazza Barabino alla Lanterna - fu dedicata al partigiano Giacomo Buranello, già abitante in via Leone Pancaldo.

Per tutto il dopoguerra è stata -ancora per una quarantina d’anni- una strada importante e modello, con negozi di pregio ...impossibile citarli tutti (i giocattoli di Barezzi, le ceramiche dei Passerini, la farmacia Moderna, il Centro Civico con Biblioteca).

Nel frattempo però l’incuria umana ha fatto strage: oggi é il viadotto a fare schifo e declassare tutto il percorso: sottopassi fatiscenti; saracinesche chiuse, semichiuse o murate di ex negozi abbandonati e annegati nelle infiltrazioni d’acqua;  solo qualche garagista o coraggioso negoziante paga un affitto –speriamo adeguato- a chi ne è responsabile. Il traffico intenso, col suo smog e l’indisciplina,  hanno ucciso il passeggio.  Il nostro Roncagliolo, negli ani 70 scriveva  «questo viadotto ferroviario, o-u diggo sensa malinconia, pe piaxei v’o-u portê via?».  Ma il ‘piacere’ non ce lo farà mai nessuno, sia perché, indovinate, non ci sono soldi , è il ritornello da nausea; sia perché i dirigenti si autoassolvono autoautorizzandosi a proseguire tutto uguale;  sia perché ormai San Pê d’Aenn-a non è né San Pier d’Arena né Sampierdarena ma la figlia di nessuno, la vecchia ‘figlia di NN’ di triste memoria, una cenerentola svilita anche nel nome di Centro Ovest, o Medio Cesso II, o giù di lì accettata con tale dicitura da capipopolo senza dignità;  tanto, che importanza hanno mille anni di storia?

Finché noi sampierdarenesi accetteremo passivi, supini e ciechi, tutto OK!

Nel malumore manifestato con le ultime elezioni, c’è anche quanto sopra.

-20 - LA COSCIA

All’età di sedicenne, avevo un amico che abitava in Largo Lanterna, proprio nel fulcro della vasta zona da secoli denominata Coscia;  quindi - andando spesso a casa sua - ho abbastanza nitida  la memoria del posto. Eravamo nella decade dal  1950 al 1960; anni nei quali la mia preoccupazione era, all’inizio, arrivare dall’amico; ed alla fine invece, andare a visitare i miei primi in assoluto clienti della mutua. Allora certo non guardavo l’ambiente di per sé,  che - nel mio immaginario - non si sarebbe mai trasformato, e invece...

La Coscia è una vasta zona che comprende piazza Barabino, via di Francia, via Chiusa, via Balleydier, i Gardino, l’oleificio Costa, il Labirinto, l’elicoidale, ecc. Ma il centro del quartiere erano e sono via De Marini fino alla Lanterna.

Via De Marini  inizia appena traversata via di Francia; ma, allora, essa, fino al sottopasso dell’elicoidale autostradale, era stretta, limitata da alti palazzi popolari (senza terrazzi, né ascensori e col gabinetto in cucina) nei quali, a metà era ospitata la mitica trattoria del Toro, e di fronte una chiesuola (che nei miei anni spesso era chiusa) affiancata da una villa seicentesca. Quest’ultima, nell’origine era della famiglia De Franchi, con un giardino che arrivava quasi sino al mare; poi dopo il 1850 esso fu tagliato dalla ferrovia e da via Vittorio Emanuele. La villa e l’Oratorio, comprati dai Costa dell’oleificio, furono conservati; la  casa restaurata fu usata come edificio scolastico; nel giardino fu eretto l’oleificio che ogni tanto lasciava un odore tipico di rancido che ammorbava mezza città. Con l’acquisto del tutto da parte della società san Benigno, dei grattacieli, fu tutto raso al suolo senza rispetto. A chi specula, che gliene frega di  San Pier d’Arena?

Sottopassato il viadotto ed attraversata via Balleydier, via DeMarini continua verso il mare per ancora trecento metri, allora fiancheggiata a levante da case più piccole e da un muraglione di pietroni, sovrastato dal vecchio edificio della vecchia Darsena; ed a ponente da più grossi caseggiati sempre popolari; così fino a Largo Lanterna. Esso, in quegli anni era un fatiscente slargo stradale, in buona parte ancora in terra battuta, chiuso nella sua prosecuzione naturale verso la Lanterna perché, entrava dentro il porto; a levante -eliminata la barriera del colle e quindi l’entrata della galleria del tram- il rialzo della Darsena già detto;  a ponente –conservata per una cento metri come un lungo terrazzo erboso troncato di netto all’altezza di via Balleydier - l’inizio di via Vittorio Emanuele. Ancora conservati nel sottosuolo due binari ferroviari  provenienti dal ponte che sovrastava via di Francia e che finivano dentro il porto, uno a calata Sanità e l’altro a raccordi con le calate più a nord. Nel Largo, caratteristico era il palazzo d’angolo che al primo piano aveva un terrazzino simile alla prua di una nave, e sul muro sotto, le due targhe stradali di “Largo Lanterna” e “via Vittorio Emanuele”, più una terza lapide complessa, con lo stemma di Genova e che – ho solo vaga memoria- limitava il traffico dei carri a trazione animale in direzione della città.

Ma quella che ho vissuto io non era già più la classica Coscia. Le avevano già tolto il mare e - con la formazione del porto e riempimento del mare - già negli anni miei era cemento, camion,  chiusa, con tutto l’ambiente idilliaco stravolto. Infatti, in origine e fino al 1925 ca,  quell’angolo di borgo nasceva sul fianco a strapiombo del colle di san Benigno (sulla cui punta è la Lanterna e sul cui fianco fu aperta una strada scolpita nella roccia, la quale a sua volta aveva custodito l’immagine sacra del SS Salvatore, protettore di San Pier d’Arena ed ora conservato nel terzo altare sinistro della chiesa della Cella). La strada alla Lanterna finiva nello slargo suddetto dove negli anni d’inizio 1900 erano i primi bagni.

 Con l’ultimo palazzo demolito all’inizio di marzo scorso, è scomparso l’ultimo residuo della vecchia Coscia.  Speriamo che le autorità municipali non lascino morire anche il nome conservato indegnamente solo in una strada di trenta metri, lontana dal vero posto e nella quale si affacciano quei locali che con frequenza saltuaria vengono chiusi. Tutto l’impero economico, cerca di chiamare la zona San Benigno: c’era anche lui, il colle, ma era in territorio di Genova, dentro le mura. In territorio sampierdarenese, si chiamava Coscia e così da molto prima del santo del promontorio. Non curare le tradizioni, è uccidere l’identità,  cosicché l’Amministrazione non passerà alla storia come madre di una nuova città, ma come assassina della precedente.

21 - TIRANNIA E TOSSICODIPENDENZA

La TD ha permesso di capire un briciolo di più di come funziona il nostro cervello.

Prima però debbo precisare che volendo rivolgere queste nozioni a lettori di cultura normale e non specifica, debbo spiegarmi con parole facili e senza termini scientifici. Quindi,  i soloni sono pregati di interrompere qui la lettura.

Per gli altri, spieghiamo con una premessa: cento e più milioni di anni di presenza dell’uomo sulla terra, hanno determinato una selezione e scelta tra i tanti imperativi che ci propone la vita sulla terra. Essi sono stati chiamati “stimoli primari o vitali”; perché è indispensabile soddisfare il loro bisogno. E sono, per esempio, l’acqua, il cibo, il sesso, la protezione della prole, la sicurezza, e poche altre cose. Nel nostro cervello si è creato di conseguenza  come un trono, sul quale va a regnare uno dei suddetti bisogni primari: esso si impone, impellente, creando il desiderio di essere soddisfatto. Ma, appena realizzata questa esigenza, democraticamente lascia il posto di comando, e lo cede ad un altro, favorendo un turnover ed equilibrio mentale, che a loro volta permettono di ben sopravivere. Sul trono siedono anche altri bisogni, detti ”secondari, o voluttuari o novità o emozioni”, che per un certo lasso di tempo possono a loro volta comandare chiedendo soddisfazione. Quello che conta è la concessione del trono, per tutti, ed a cicli  (detti circadiani).

Lo scranno è posizionato in una zona centrale cerebrale chiamata sistema limbico, e lì  nasce il desiderio, più o meno impellente di essere soddisfatto. I meccanismi di neurotrasmissione che collegano il trono con i visceri periferici sono ancora sconosciuti.

Quando una persona inizia a far uso di una droga, sa che essa possiede la capacità di sedersi sul trono, ma non che da esso non se ne va più. Non permette in nessun modo alcuna rotazione. Crea il  bisogno impellente di essere continuamente soddisfatta, ma solo lei. Non lascia intervalli agli altri stimoli, i quali così non sono democraticamente liberi, ma relegati a dopo fantomatico ed in forma marginale, donando al fisico quel tipico aspetto trascurato, malaticcio e disfatto. Per primo, viene stravolta  la gratificazione che proviene dal ricambio di molteplici stimolazioni. Poi, poco alla volta il soggetto perde l’equilibrio morale, etico e sentimentale; non c’é affetto per genitori moglie o figli, per fame sete o sesso, per intelligenza e cognizione dello stato quo se prima non ha soddisfatto l’esigenza della droga.

Schiavo di un fascista. La tristezza è constatare due cose: la prima è che le droghe più in uso, sono sostanze che esistono in natura, dalla cannabis (o spinello) all’oppio e relativa eroina., dalla cocaina all’alcool; da ciò l’equivoco nell’immaginazione di tanti che ritengono salubre solo ciò che è naturale.  Secondo, è nel vedere tutta una gioventù –e sono tanti, troppi, ma veramente troppi,  i nostri giovani, figli e nipoti,  che usano con iniziale disinvoltura dette sostanze, e che esteriormente se la prendono con gli avversari politici chiamandoli fascisti  non accorgendosi di essere cascati alle dipendenze di uno spietato dittatore, più fascista di Mussolini.  Si credono liberi, sono invece schiavi al servizio di chi sta seduto sul trono nel proprio cervello.

22 - INTEGRAZIONE-bilinguismo

Se ne parla molto, a tutti i livelli istituzionali. Ma solo pochi fanno, e come d’uso nostro, lavorano in silenzio e con grande efficacia pratica. Così però ignorati dai ‘parlatori’ e dalla gente divenuta sensibile solo alle clamorosità.

Mi riferisco alla iniziativa nata dagli insegnanti delle nostre scuole elementare e media N.Barabino, visto le gravi difficoltà che dall’inizio dell’anno scolastico incontrano giornalmente nel cercare di integrare i bambini extracomunitari,. Anche se i bambini sono veloci ad apprendere, però sono tanti: oltre il 60% degli iscritti, quando dieci anni fa non raggiungevano il 5%. Appaiono evidenti e non dilazionabili i rallentamenti culturali generali, sia di ‘loro’ che -in casa e nella comunità- parlano spagnolo e l’italiano solo nelle ore scolastiche; sia dei ‘nostri’ che viaggiano con un ritardo programmatico. Tutti legati a questo piccolo ma non banale problema, non affrontato ‘in pratica’ dai ‘parlatori’ di cui sopra.

Gli insegnanti vogliono fare: hanno programmato un impegno in più, che esula dai doveri diretti dell’essere insegnanti e che –a mio avviso- dovrebbe essere affrontato da altri. Hanno contattando -in un incontro generale- le famiglie degli immigrati latino americani cercando di renderli corresponsabili  dell’educazione dei loro bambini nel settore linguistico

La risposta è stata massiccia, quasi totale; a significato di una  loro sensibilizzazione e buona volontà all’inserimento nonché alla responsabilizzazione di fronte al problema di non far crescere una generazione con  gravi lacune culturali.

Quindi i fronti d’azione da cui parte l’iniziativa appaiono essere quattro: i maestri (che hanno già fatto partire una operazione pratica); le istituzioni (che per ora latitano e che debbono invece fornire i mezzi –anche economici- per attuare il progetto); i genitori italiani (che per ora latitano pure loro, non avvertendo il problema nella sua gravità se non nel concetto di fastidiosa  ‘palla al piede’ per i loro figli); i genitori ecuadoriani (che hanno partecipato e propongono di partecipare attivamente –se occorresse anche economicamente!- all’iniziativa).

Molte sono state le proposte partite da tutti questi fronti: parlarsi ancora e cercare soluzioni sono il programma dei prossimi incontri. 

Nel programma viene coinvolto il Gazzettino Sampierdarenese. Si propone affinché un settore delle sue pagine venga offerto alla collaborazione di persone latino americane che desiderino entrare nella redazione.

 

23 - Brillé

La fotografia mostra, è facile da capire, piazza Modena, angolo via G.Buranello.

L’immagine può risalire agli anni 1920 circa.

Partendo da sinistra dell’inquadratura, campeggia il cartello pubblicitario “Parodi-Parodi” nome tipicamente genovese che tanti riconosceranno perché venditori di ferramenta. Prima che chiudessero definitivamente erano però in altra sede, vicina ma non visibile nella foto: nell’angolo tra piazza Modena e piazza Vittorio Veneto. Era un punto di riferimento cittadino,  in...concorrenza col teatro, che spunta all’estrema destra del rettangolo con visibile a fianco l’ingresso, non ancora chiuso, del mercato ortofrutticolo.

Dietro all’edicola dei giornali, spicca la vetrata – tutt’ora esistente – del ristorante Brillé, con terrazzo sopra, ed ingresso – come oggi – in via G.Buranello. Questa strada allora si chiamava via Vittorio Emanuele (quello secondo; quello che troneggia a cavallo in piazza Corvetto, eretto da servi baciapile pochi anni dopo che sua maestà  ci aveva  insultato chiamandoci in francese “vil razza infetta”; quello che aveva autorizzato La Marmora a bombardare la popolazione inerme e far fare saccheggio dai suoi soldati solo perché aveva manifestato contro l’incapacità del governo Savoia a gestire la città ridotta alla fame; e quello che aveva fatto in modo che poi i libri di storia ignorassero l’ignobile gesto – e continuano a farlo, leggendo recenti testi).

Il Brillé divenne un famoso ristorante alla pari della Gina del Campasso e del Giunsella. Non in concorrenza tra loro, tanta era la gente che arrivava giornalmente anche da Genova e confini, in carrozza, con i primi tramway o le prime rare auto. In origine era nato come osteria: il piemontese Rivaro Brillé l’aprì per vendere il vino delle sue terre ai carrettieri del mercato ed ai clienti che frequentavano la zona della Cella e della marina, allora la più viva e vissuta parte della città.  Da lì, il passo fu breve a preparare qualche piatto caldo, tra cui lo ‘stocche coi bacilli’ (fu questo cibo, che lo rese famoso; non è un piatto difficile, ma si diceva che ‘buono come dal Brillè nessuno sapeva servire’); e altrettanto lo fu trasformarsi in un vero e proprio ristorante divenendo famoso e segnando un’orma ben precisa ed indimenticabile nell’arte culinaria locale. Cessò l’attività il primo di novembre del 1929.

Via V.Emanuele era nata ex novo negli ultimi anni del 1840, necessaria per la erezione dell’affiancato viadotto della ferrovia, passando con esso a tagliare tutta una serie di orti, e giardini privati delle ville di via N.Daste.  Al suo nascere fu dapprima chiamata “via Nuova”;  poi “via Reale a Torino”.  Nel 1899 circa,  il Comune di SPd’Arena –per legge nazionale- fu obbligato a  titolare le strade più importanti; allora, per questa ed ufficialmente, decise darle il nome del re, dalla Lanterna a Rivarolo. Negli anni del fascismo venne chiamata “via II Fascio d’Italia” e, dopo l’ultima guerra, via Giacomo Buranello.

Come si vede dalla foto, un angolo di città cambiato in superficie ma ...rimasto uguale nella sostanza. Senza palme.

24 - IL  CIARLATANO, nevrotico mestiere che non muore mai

Se Pontremoli andrà nella storia come paese dei librai, Cerreto – vicino a Spoleto – va famosa per essere stata madre dei primi venditori ambulanti di pozioni farmaceutiche, spezie e ricette medicamentose varie che già dal medio evo si spandevano per le piazze e mercati delle città umbre e toscane. All’inizio, fu un gran merito aver portato a conoscenza e dato in uso comune certe erbe che ancor oggi aiutano l’organismo umano a combattere tante malattie. Ed allora, all’inizio, vendere per strada droghe e miscugli, quali panacea sempre più specifica ed unica efficace,  era divenuta un’arte professionale riconosciuta in tutta l’Europa: il cerretano iniziò quale serio conoscitore e ricercatore, in relazione alla cultura di  quei tempi:  studioso della natura, studioso delle malattie, studioso delle reazioni psicologiche dei sofferenti, studioso del modo di stupire gli sprovveduti,  studioso della teatralità  (palcoscenico, finti guariti, richiami con animali esotici o giocolieri saltimbanco, ecc.; al punto che nel settecento diverrà pezzo forte, sia del teatro: tutti conoscono le opere di Molière e Goldoni, che dei salotti della nobiltà confortata da cicisbei, ove  venivano applicati alla fatue nobildonne salutari clisteri e salassi, sottoposti alla approvazione di numerosi presenti ammirati).

Tutti sappiamo come va il mondo: inizia bene, poi c’è sempre chi  - facile alla comunicazione - rovina tutto, sia amplificando le ‘ciaccere’ o sia vendendo acqua colorata. Fu così che il merito dei cerretani  fu poi frustrato divenendo termine spregiativo,  dalla somma con ‘ciarle’; dai quali: ciarlatano. Quest’ultima definizione vale per un furbo imbonitore di qualsiasi paccottiglia sia atta a menar per il naso i saccenti che si credono furbi e che invece tanti...tutti, ma specie i più furbi, non sono.

É un gioco psicologico, fine, frequentissimo ancor oggi, quando questo comportamento lo crediamo superato perché ci sentiamo più colti  e superiori a certe futili  ‘inciviltà’. Ma in realtà – essendo bisogno dell’uomo sentirsi confortato con sistemi personalizzati – il ciarlatano, come i virus, è furbescamente mutato ed  ha cambiato veste. Così mentre permangono dei ‘cerretani’ seri, quello professionali, ampiamente comprovati dalla scienza moderna (quali l’erborista, ma anche l’agopuntore, il fisioterapista), altrettanto si è inserito il nuovo imbonitore che, una volta capito quale è un bisogno della gente, ha assunto nuove vesti e nuovi nomi: in TV il grande fratello (che presa in giro...!), i maghi o fattucchieri (che giro di affari!), non ultimi i politici tutti (che giro di prese in giro...!  Venghino signori, venghino alle urne, primarie secondarie e terziarie, tanto poi ...)

La realtà è che nella vita, me compreso ovvio, ognuno sa – ma fa finta perché è comodo darsela di non saperlo - che c’è sempre qualcuno, “il nuovo ciarlatano”,  realmente più furbo; che agli altri (a noialtri)  fa applicare la legge del.... per cui adesso ci invita dicendo:  Menghino signori, menghino...E noi, pecoroni, a fare beeh

25 - La Nevrite

In medicina, ciò che termina in –ite significa infiammazione acuta. La nevrite esprime quindi uno stato di sofferenza acuta del filamento nervoso.

Tre sono i tipi di filamento: quello motorio (dal cervello va a comandare i movimenti e la postura); quello sensitivo (dalla periferia informa i centri midollari o cerebrali); quello vegetativo (nervo vago) fa funzionare in sintonia i vari visceri senza la partecipazione del primo. Chi determina la sensazione del dolore, è in genere il secondo, irritato in sede del suo nascere (es. un trauma) o lungo il suo decorso (come nella sciatica,  cefalee, mal di denti, tumori). Ma molte altre possono essere le cause che determinano dolore nevritico, non ultime quelle metaboliche (diabete) o virali (herpes zooster).

La sciatica è in genere determinata da una compressione, visibile -con una risonanza - nell’interno della colonna dove spazi vuoti non ce ne sono:  la rottura  dell’involucro di un disco intervertebrale determina fuoriuscita dal foro (ernia) di una goccia del contenuto che si infiamma e gonfia; così che - essendo assai gelatinoso - non solo schiaccia il nervo (sia motorio che sensitivo, affiancati), ma comunica loro l’infiammazione, con innesto del meccanismo doloroso.  Due le caratteristiche: terminato il male, una seconda risonanza spesso evidenzia che l’ernia è sempre lì: quindi il dolore proveniva più dall’infiammazione che dall’erniato (e per questo che giova il cortisone); secondo, è che la gelatina fuoriuscita, nel tempo tende a ‘seccare’ e quindi a rimpicciolire e quasi fare da collante del buco (ernia). Una ‘bella’ sciatica può durare due-tre mesi, e se non curata bene può permanere un deficit funzionale irrecuperabile.

La cefalea è più complessa, sia nella matrice che nella espressione periferica; ed è così frequente, che in pratica tutti gli ospedali muniti di reparto di neurologia hanno un ambulatorio apposito per essa. Nulla mai di assoluto, ma innanzi tutto specificare che di quanto  è contenuto dentro la scatola ossea, praticamente solo le meningi sono dolorifiche; pertanto le cefalee provengono di più dal cuoio capelluto (le comuni nevralgie, che passano con prodotti da banco tipo Optalidon, Saridon, Ipobrufen, ecc) o dal foro osseo (il nervo –nasce dentro la scatola; per uscire all’esterno passa attraverso forellini dell’osso, circondato da una gelatina che fa da ammortizzatore, ma che se si infiamma genera la nevrite, e – gonfiando - schiaccia e paralizza).

L’herpes è invece dovuto ad un virus che, sulla pelle si evidenzia con le classiche vescicole, ma che lui personalmente si localizza nella guaina di un nervo (come la guaina di un filo elettrico) distruggendola e lasciando il filamento vero e proprio ‘allo scoperto’. La cura mira ad uccidere il virus e togliere l’infiammazione – e quindi più presto si inizia, e meglio è - tocca poi aspettare che mamma Natura ripristini la guaina (per la quale occorrono a volte anche uno e più anni).

La cura è a base di antinfiammatori (in genere, poco efficaci i FAN) dei quali specifico è il cortisone, con le sue conosciute limitazioni, ma sempre minori che tenersi il male e le lunghe conseguenze); di antidolorifici (paracetamolo) e di nutrienti del nervo (vitamina B1 e B12 ad alte dosi, levocarnitina e derivati del gaba). Per le cefalee occorre distinguere tra le tante forme (centinaia) ognuna sensibile a differenti composizioni chimiche sintetiche.

26 - Indovinello

In regalo un libro edizione S.E.S. al primo che scopre dove, in San Pier d’Arena, è questa  antica insegna. Non farsi illudere dalla manina che indica: “in basso, qua sotto”. Ovviamente l’insegna dirà il vero ma a noi non risulta che lì sotto ci fosse una mescita di vino...anzi, acqua a scorrere....

EBaglini           

27 - GIOCARE CON LA LINGUA ITALIANA

Lingua italiana intendo; la quale, non sempre ce ne rendiamo conto, è un meccanismo precisissimo: ogni inflessione di suono, qualità e modalità della vita di ogni giorno, ha un suo nome preciso.

Per esempio, potrei dire ‘rumore’, e forse dire tutto; la nostra lingua invece distingue esistere, con significati diversi: vocio, tramestio, tonfo, baccano, balbettio, botto, cagnara, clamore, colpo, rantolo, ronco, scalpitio, tramestio, stormire, bailamme, bisbiglio, cigolio, crepitio, frastuono, chiasso, gorgoglio, ronzio, rumorio, sparo, borbottio...e, sicuramente, ne ho dimenticato altrettanto. Sfumature, ma sufficienti per sottolineare che - per chi parla o scrive, e nella vita di relazione - è necessario stare attenti a come ci si esprime, perché cambia  -con la parola - il concetto.

Mi riferisco a due parole sulle quali si gioca troppo spesso – ovvero si gioca o si equivoca - e con gravi danni: amicizia ed amore.

Per la prima parola, l‘italiano suggerisce come sinonimi compagnia, vicinanza, partecipazione, fratellanza, simpatia, affetto, familiarità, benevolenza, attrazione,…   Tutti sappiamo che esiste l’amicizia e l’Amicizia, e che tra una e l’altra c’è una più o meno grande sfumatura, molto personale, di comportamenti.

Potrei personalmente suggerire che la differenza sta nella quantità della disponibilità a sacrificare qualcosa di proprio. Ci sono dei beni forti che – tutti d’accordo  - possono essere posti davanti all’Amicizia con il beneplacito di tutti: la vita, la famiglia, l’onore, lo Stato ed altro da valutare individualmente. Altri beni, possono essere controversi come il denaro, le regole sociali, certi interessi personali. Allora, scendendo al pratico, se un soggetto conosciuto è in difficoltà e chiede aiuto, quando inizia l’Amicia?  Ognuno risponda a se stesso; perché va, dal famoso “te l’avevo detto!” a quello che ho scritto sopra. Nel mezzo, cosa si è disponibili a sacrificare?: l’andare a giocare a carte con altri ‘amici’, o l’andare in villeggiatura o a teatro, o lo starsene alla TV e limitarsi a suggerire cosa fare e … buona notte?

L’amore è ancora più complesso. Come sopra, sappiamo che esiste amore ed Amore. Anche qui, l’italiano suggerisce alternative che stanno nella sfumatura di mezzo, come infatuazione, passione, attrazione, cotta, simpatia, stare assieme; fino al pratico ‘fare sesso’.  Per me, la differenza è nella disponibilità a dare. Anzi, Amore con la A maiuscola, è dare; anche senza ricevere. Le coppie che si separano, prima di sposarsi hanno ‘giocato’ sul termine; perché un conto è l’empatia, altro è Amore.

Ma poiché la colpa, come sempre, è degli altri, in questo caso specifico è degli insegnanti che, a scuola, non hanno insegnato l’italiano.

28 - . COSMA&DAMIANO   Ricco programma alla Cella, per il 27 pomeriggio e 28 settembre prossimi, in occasione della festa dei santi Cosma e Damiano. Il pomeriggio di sabato, vedrà e...udrà  sfilare per le strade cittadine le majorettes seguite dalla banda musicale, di Voltri. Domenica, la s.Messa solenne alle ore 10,00; nel pomeriggio, dopo il Vespro delle h. 16.00 ci sarà  la Processione lungo tutto il quartiere imbandierato – come in antico -, con la statua dei due Santi portata a spalla dai fedeli della Assoc. Pugliesi (via SPdA, pzza Barabino, v.Buranello (lato mare), pzza VVeneto, v.Dondero, v.Molteni, v.Avio, pzza VVeneto, via Buranello, v.Gioberti, v.SPdA, Chiesa – per la s.Messa finale cantata dal coro Shalom). La sagra sarà arricchita dalla presenza del mercatino di merci varie, dalla assistenza della Croce d’Oro, da Radio Azzurra, da una mostra di quadri e da dizione di Poesie. In via Buranello verrà staccata la linea elettrica dei filobus (dalle h. 16 alle ore 20) per evitare incidenti.

29  - IL TORRENTE POLCEVERA per speciale

L’alveo del torrente si stabilì circa 50 milioni di anni fa, sui limiti infossati di due motivi tettonici  venuti allo scontro: scisti argillose da una parte, e calcare dolomitico dall’altra. Nel tempo, i fianchi andarono ricoperti da boschi,  ricchi di varie specie di legname pregiato spontaneo; ma poi in gran parte spogliati dall’ uomo. Nasce da una corona di monti dell’Appennino, tra i quali i più alti -sopra i 1050 m.- sono l’Orditano, le Figne, il Lecco. Accoglie le acque da un bacino largo 159 km²  formato principalmente da 3 gioghi appenninici: la valle Verde, la valle del Secca e quella del Riccò. È lungo circa 20 km.; il corso d’acqua è classificato torrente, ovvero che in estate può andare in secca; ed il letto è in tale pendenza che in caso di pioggia intensa o nubifragio diventa rapidamente irruente e quindi improvvisamente pericoloso per piena e straripamento. Viene alimentato da numerosi rami influenti, dei quali il principale si chiama Riccò; altri sono il Verde, il Secca, il Sardorella ed il Romairone.

Lentamente nei millenni, i detriti trasportati alla foce, sedimentati e plasmati dall’onda del mare, in quantità maggiori man mano che cresceva il disboscamento e l’agricoltura, hanno formato il litorale di San Pier d’Arena. La sovrapposizione di ciotoli e sabbia, dai carrottaggi fatti per erigere i grattacieli della Fiumara, va oltre i 40 m. di profondità.

Il Polcevera anticamente fu chiamato Purcifera, Porcifera, Pulcifera, Porçevola, Porcevera, Porcobera o Procobera; tutti nomi antichissimi, di origine osco-etrusca e con significato di “Portatore di verità”; confermati dai romani nella sentenza dei fratelli Minuci (agrimensori romani che  nell’anno 117 a.C. -tra la prima e seconda guerra punica- incisero la decisione su lastra di bronzo detta oggi ‘Tavola di Polcevera’ chiudendo una vertenza sui pascoli, sorta tra gli abitanti della valle, Genuati e  Langensi Viturii (Langasco). La sentenza, fu favorevole ai primi, ed è considerata quindi testimonianza di ‘antico possesso’ dei genovesi sul territorio interno.  Sulla Tavola, il ‘flovio Procobera’ rappresenta l’alto corso del torrente e l’attuale Riccò; mentre la valle è definita “Edem” ovvero ‘valle verde’ per la lussureggiante vegetazione con boschi secolari) e negli scritti di Plinio (primo secolo dC) lo chiamò Porcifera, e di Antonino Pio (secondo secolo dC) Porsena).

 

Sono noti alcuni eventi del torrente Polcevera,  conseguenti a improvvisi temporali:  

---il 14 maggio 1507 quando re Luigi XII decise tornarsene in Francia, il fiume quel giorno straripò allagando i dintorni e travolgendo alcune persone del seguito e numerose cavalcature

---nell’anno 1555,  il figlio del doge Benedetto Gentile Pevere perdette la vita nelle tumultuose acque del torrente, nello sprovveduto e giovanile tentativo di attraversarlo a cavallo: il padre fece erigere un ponte, onde risparmiare ad altri così luttuosa sventura  

--- nel 1637 si descrivono essere stati costruiti sull’argine alcuni moli, a protezione di edifici importanti (esempio, del Boschetto a Cornigliano)

---il  6 sett.1746 alcuni reggimenti austriaci, si erano accampati sul greto e nella così detta piazza d’Armi quando alle acque scroscianti conseguì una piena improvvisa che trascinò a mare centinaia tra soldati, ufficiali e famigli, nonché animali e bagagli, determinando la morte di numerosi di essi. 

---1777, ed ancora sino al 1816, l’ufficio dell’Intendente Generale, riscontrava che l’alveo si era alzato  di 2,5m in vent’anni per successivi alluvionamenti; il che, non solo rallentava la pendenza ma in alcuni tratti lo faceva scorrere sopraelevato rispetto la campagna attorno. Propose lavori di inalveamento e costruzione di argini di contenimento

---nel 1831 e 1834  risulta che il corso, impedito da frequenti canneti, travalicò gli argini in più punti; ed altrettanto 5 anni dopo alla Palmetta.

---Nell’ottobre 1970 la piena allagò la città, ma fece poca storia e memoria perché più gravi le conseguenze a Genova per il Bisagno, ed a Voltri

---Nel 21.7.1987, nel sett./1992  e 24.9.1993, nubifragi con decesso di persone trascinate via dal fango.

Dalla Tavola di Polcevera, sappiamo che la valle -ancora in epoca avanti Cristo- fu abitata da due popoli già distinti tra loro. Tutti poveri, con vita di stenti e miserrrima, ma pur sempre lontana dalle scorrerie che dovevano sopportare le popolazioni vicine al mare. Sino al secolo X, erano ancora anonimi pastori-contadini, governati da un capifamiglia –un certo Ido-. In quel secolo, questa prima famiglia ‘importante’ venne chiamata viscontile, ovvero nobile ‘per stirpe’. Alla fine dello stesso secolo, le famiglie risultano essere divenute tre, e vengono comunemente chiamate col nome della località ove sorgeva la fortificazione che possedevano: i Cremeno (o Carmandino); i Manesseno;  e gli Isola.

 

30 – necrologio Berveglieri

Ho imparato a conoscerlo tardi, ma c’è stato subito feeling attirato dal modo signorile ed apparentemente distaccato con cui mi parlava di tutto, compreso della sua malattia. Così, accomunati dalla stessa passione per la natura e la storia, eccoci ripetutamente a fare sopralluoghi per cercare i laghetti di villa Scassi (laghi della Liguria – sui quali ha scritto anche un libro)  Inizialmente mi lasciò perplesso il reale stato del suo cuore bizzarro, vedendolo sempre proiettato verso nuove iniziative, dalle gite, a proiezioni, a conferenze, a responsabilità dirigenziali.  Poi riuscii a scorgere in lui altre affascinanti caratteristiche: l’alto senso di responsabilità, l’altruismo e la dignità.  Così, la semplice conoscenza divenne – almeno da parte mia - ammirata amicizia.

Non quindi roba di vecchia data, ma impossibile non sentirsi attratti dalla estrema semplicità e modestia di uomo colto e buono. Ed è questo che di lui terrò nel mio cuore: la sua capacità di essere amico, inteso quello che è pronto a fornire quello che serve all’altro, dalla foto alla notizia, dal parere alla risposta all’indovinello, senza – cosa non comune - classifiche culturali e gelosie di informazioni.

Spero che la famiglia sappia sfruttare il materiale di ricerca e di collezione che sicuramente possiede: in mani culturalmente valide, ma soprattutto altrettanto appassionate, può contribuire alla continuità della  sua esistenza tra noi.

EBaglini24.11.08