AMORETTI                                             vico Pellegrina Amoretti

 

 

TARGA: vico - Pellegrina Amoretti

 

 

 

QUARTIERE ANTICO:   Pieve di San Martino

In celeste la chiesa di San Giovanni Decollato (oggi San Giovanni Bosco) e il limite a mare attuale dell’istituto-oratorio omonimo. Nel circoletto verde ipotetica sede della strada in piena proprietà del magnifico Giò G. Grimaldi.

 

N° IMMATRICOLAZIONE: 2705   CATEGORIA 3

carta dal Pagano/1961. È ancora ‘vico’.

 

UNITÀ URBANISTICA:   25 – SAN GAETANO

CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 01440

 Google Earth 2006.

 

CAP:   16151

PARROCCHIA:  s.G.Bosco

STORIA DELLA STRADA:

il Novella la cita, come “vico, da via Carlo Rota”.

Apparendo improprie altre definizioni relative alla collocazione (tipo nel 1928 quando venne descritta trasversale di via Pastrengo (v.Dattilo) ma in realtà non in linea con essa), si può presumere che esse fecero parte di progetti stradali che poi non si avverarono in mancanza di un piano regolatore ufficiale.

Quando fu ufficialmente proposto il nome, inizialmente come vicolo, fu definita “da via P.Cristofoli e tendente alla via A.Manzoni (via GB.Sasso)“; e questo fu istituzionalizzato nel 1910.

 

STRUTTURA

non è una vera strada, ma un distacco tra due caseggiati,  che si apre in via Cristofoli; è chiusa in fondo.  Doppio senso viario anche se le vetture posteggiate da ambo i lati lasciano agibile una sola stretta carreggiata centrale.   

 

CIVICI

2007=     Civici neri  = solo  1 e 2 .

                            rossi = da 1r al 13r   e da 2r al 14r (compreso 8Ar).

Controllati in ago/07, i civ. rossi finiscono con 11r (e non 13), e quelli pari mancano di 10 e 12. Però la stradina finisce chiusa da un grande cancello centrale a due ante e due più piccoli laterali (di questi ultimi, quello a mare dà adito ad un corridoio lungo e stretto che arriva sino in fondo alla strada, e che -a metà- ha una apertura  che porta a cantine sotto il palazzo e che potrebbe essere il 13r; l’altro cancello (civ. 14r) è ingresso pedonale al piazzale interno. Questa sistemazione appare antica: lascia - dietro al cancello - una area finale larga come la strada stessa, lunga una 10m., destinata  da molti anni ad attività privata di un certo Meirana che lavorava anche nei fondi del lato a sinistra, già ruote per carri (fabbrica dei cerchioni di ferro, con maglio e lavoro di fucina); la proprietà è stata ereditata dai figli (MariaCarla, secondogenito ing. Carlo) i quali smessa l’attività paterna la usano a magazzino. Tra esse, un vasto spazio interno ospita un grossista rivenditore e riparatore di computer ed affini. L’area finisce (a levante) con un muro che appare antico e che la sepera da via GB Sasso la quale scorre trasversalmente, slivellata in alto.

 Il Pagano 1925-33 descrive esserci stato al 6-8r, l’officina e costruttori meccanici Cigala e Delmonte (c’è scritto: ‘vico Pellegrina Amoretti già C.Rota’: questa dizione –sommata a quanto scritto dal Novella- può significare  che quel tratto di strada, dapprima era un  unico con via C.Rota e ne portava il nome; ma che poi, decentrandosi per le costruzioni e proprietà, ne aveva cambiato titolazione).

Nel 1927, ed ancora nel 1933 era di 5.a categoria.

Il Costa/1928 cita lo straccivendolo Romani Idelbrando all’1r--l’officina meccanica di Cigala&Del monte al 6r--il fabbro ferraio Bisio Mario, all’11r

Nel Pagano/33 al 7r del ‘vico’ aveva sede la soc. Ind. Abrasivi Aff. S.I.A.A.; 

Non è strada di negozi (prima del cancello, ancora nel 2003 e 07, in angolo con via P.Cristofoli uno solo vende-affitta videocassette  cinematografiche; le altre saracinesche, sono solo magazzini ed officine).

Nel Pagano 1940 è citata ‘chiusa, da via P.Cristofoli’; aveva numeri rossi na fficina meccanica (Cigala e Delmonte) ed un fabbricante di carri (f.lli Meirana)

 

DEDICATA

alla giovane  studiosa Maria Pellegrina Amoretti, nata ad Oneglia il 2  gen.1756  da Francesco e Maria Pietralata di origini borghesi;  nipote di Carlo Amoretti (abate, prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano). 

   Ricordata dall’amministrazione civica locale, su suggerimento torinese mirato a creare attenzione ai valori nazionali, all’orgoglio unitario, ai soggetti simbolo di pregio. Ella infatti, fu di ingegno precocissimo: appena dodicenne, parlava e scriveva perfettamente in latino; e con gli insegnanti disquisiva di letteratura, di lingua greca e di scienze.  Queste capacità straordinarie, convinsero il padre a non limitarle gli studi come era uso allora; e la propose alla cultura, ovviamente  guidata da un precettore insegnante (padre Gaspare Morardo, professore di filosofia presso le Scuole Pie dei Chierici Regolari). Questi, nell’ agosto 1771, lei appena quindicenne, le fece sostenere pubblicamente in chiesa, un dibattito, durato due giorni, su 75 tesi filosofiche  e metafisiche, procurando una certa eco per l’epoca, avvenimento che catturò l’interessamento anche di Maria Fernanda Borbone, duchessa di Savoia, poi regina di Sardegna.

   Avviata così agli studi, e volendosi addottrinare in particolare nella cultura della giurisprudenza,  dopo essere stata rifiutata dall’ateneo torinese,  solo grazie all’intervento dello zio (altri scrive cugino) Carlo era riuscita ad entrare a Pavia - con dispensa particolare, detta «terziaria» - per i corsi ed esami di maggio 1777. Quindi la prassi non prevedeva necessariamente un liceo, alla base, ma direttamente a discutere la tesi.

Giunta a Pavia a maggio 1777, il 12 giugno superò la prima prova orale, degli esami privati o  interni (orale davanti ai professori di diritto, tra cui il prof. don Cremani Luigi suo promotore, direttore ed ordinario di diritto penale; e scritta, su un tema estratto a sorte); la seconda, lo scritto, le occupò un’ora e mezza;  l’insieme   delle due prove le concesse sottoporsi all’esame finale pubblico (ove i vari professori e dottori di Collegio potevano impugnare le sue risposte).

   Nell’agosto 1777, nella chiesa degli Agostiniani (ex dei Gesuiti, e detta del Gesù), la fanciulla vestita con ‘abito di Corte’, accompagnata da due madrine, dovette rispondere - rispondendo in latino - a cento tesine di diritto (suddivise: 82 civile, 10  penale, ed 8 canonico).

   Un folto pubblico riempiva la chiesa, composto dei più alti personaggi locali e milanesi che la acclamarono calorosamente quando le fu conferita la laurea a pieni voti  in legge (‘in utroque iure’),  a 21 anni, il 25 agosto 1777.

La cerimonia si era svolta nella chiesa causa l’evidente eccezionalità, e visto le molteplici caratteristiche dell’evento: oltre ad una corona di alloro e all’anello  usuali, le fu donata una fascia ricamata in oro ed argento, con lo stemma dell’università e la scritta “ob iuris scient(iam) Acad(emia) Tic(inensi) d(at) l(ibens oppure libenter) m(erito)” (di fronte alla scienza giuridica dell’Accademia Ticinense, viene dato parere favorevole con merito).

   Fu lei la prima donna a Pavia e Liguria ad entrare e concludere un corso universitario. Non la prima, ma una delle primissime  italiane: nella penisola, la prima fu a Padova, Lucrezia Cornaro nel 1678; ed altra a Bologna. La prima donna dottorata genovese fu invece Maria Eugenia Viale, di salita Oregina,  che conseguì con pieni voti e lode la laurea in filosofia, nell’anno 1893.

Considerato che in quegli anni la città di Pavia era governata dall’impero d’Austria, la tesi di laurea fu dedicata all’arciduchessa d’Austria Maria Beatrice (la quale, si dice, in un suo viaggio in riviera, volle poi conoscere personalmente la geniale  giovane). Ad acclamarla, arrivarono anche il cardinale, il governatore della Lombardia (che la invitò a pranzo), e poi nella capitale lombarda l’arciduchessa di Milano.

   Questa caparbia tenacia, nell’imporre la sua cultura e le capacità intellettuali  contro i pregiudizi del costume dell’epoca verso le donne, accese la fantasia di molti intellettuali che lodarono la giovanile spregiudicatezza con i mezzi ed i  costumi  di allora, soprattutto dedicandole poesie (74 di esse -da tutta Italia- vennero poi raccolte e pubblicate in volume;  tra gli autori,  più famoso appare Giuseppe Parini, che le dedicò un’ ode  intitolata   “La laurea”:

 

            «ai detti, al volto, a la grand’alma espressa   -    nè fulgid’occhi tuoi

             ognun ti crederia Temide stessa,   -    che rieda oggi fra noi :

             se non che Oneglia, altrice   -    nel  fertil suolo di palladj ulivi ,

             alza ai trionfi tuoi gridi giulivi;   -    e fortunata dice :

             dopo il gran Doria a cui died’io la culla   -    è il mio secondo Sol questa fanciulla»).

 

   Tornata ad Oneglia, preferì non esercitare la professione, ma dedicarsi alla famiglia (essendo cagionevole di salute, deliberatamente scelse non accasarsi, conducendo vita riservata, schiva e come d’uso a quei tempi, dedicata alla casa) e, limitatamente agli approfondimenti degli studi di giurisprudenza, prestandosi a fornire pareri professionali di diritto.

   In particolare l’unica opera completata,  un trattato di legislatura romana (“De jure dotium apud Romanos”), scritto in latino e  pubblicato post mortem, riguarda anche il diritto femminile all’emancipazione,  separatamente ma in parallelo con le prime antesignane dei movimenti femminista dell’epoca («avendo fin da’ primi miei anni inteso dire aver natura destinate le femmine all’ufficio  principalissimo di recare agli uomini conforto un tempo ed aiuto, io mi son tosto meravigliata in pensare per quale avverso destino ...sembrasse colpa di noi stesse, o per ingiuria di coloro i quali quasi forzatamente ne allontanano dallo studio ...  forse in sulla tema o che noi togliamo ad essi quell’impero ... o che la cultura dell’ingegno femminile recar non possa frutti... io pertanto stimai esser cosa indegna... lo abbassarne lo intero insegnamento... o logorarne l’intero acume della mentre e la vigoria dell’animo in tessere ricami, in cucir vesti e cuffie...».

   A quei tempi invece, tutta questa ragione appariva spregiudicata, creava maldicenza e le impedì di professare pubblicamente (anche la Anguissola, nata ancor prima,  non poté firmare i suoi quadri perché donna, ancorché nobile).

   Per eccesso di stress psicofisico e per sopraggiunta malattia infettiva (“febbre putrida”), in un organismo debole e delicato, la vita le fu troncata appena trentunenne il 15 ott. 1787 nella sua casa di Oneglia.

   Vasta emozione determinò questa morte, nell’ambiente culturale di tutta la nazione.

       

 

 

BIBLIOGRAFIA :

-A Compagna -bollettino per i soci : 1/97.7

-Archivio Storico Comunale di Palazzo Ducale   

-Archivio Storico Comunale -  Toponomastica, scheda 115 

-AA.VV.-annuario archidiocesi- ed.1994.pag.378—ed.2002.pag.416

-AA.VV.Mojon B.-Ritratti ed elogi di Liguri illustri.-Mondani.1975-ritratto

-Baudo E.-Maria Pellegrina Amoretti...-la Casana-1984.n.4-pag.22

-Costa, guida di Genova/1928-da pag. 967

-DeLandolina GC–Sampierdarena-Rinascenza.1923- pag.27

-Enciclopedia Motta

-Enciclopedia Sonzogno 

-Gazzettino Sampierdarenese :   4/89.10   +

-Grillo L.-Elogi di liguri illustri-Ponthenier.1846-vol.III-pag.59

-Lamponi M.-Sampierdarena- LibroPiù, 2002- pag. 128

-Novella Paolo-Le strade di Genova-Manoscritto bibl.Berio-1900-30-p.18

-Piastra &C.-Dizionario biografico dei Liguri-Brigati.1992-pag. 158

-Poleggi E.&C-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.22