Era un vasto appezzamento all’estremo ponente del borgo di San Pier d’Arena, vasto circa 33,6mila mq., racchiuso tra la spiaggia, il torrente (alla scîummæ-a) e la ‘via al Ponte’; allora fuori del nucleo abitato, quando era un piccolo centro di una o due al massimo migliaia di abitanti.
Appunto perché vicino, ma fuori del normale andirivieni popolare, vi era stato costruito sulla spiaggia, ai tempi delle epidemie passate, un lazzaretto: può essere che il nome Amore derivi dall’assistenza fatta da volontari e religiosi ai sofferenti e moribondi di tali infezioni (dal tifo, al colera, alla peste le principali).
Una lettera, -spedita al Senato genovese il 14 apr.1741 da parte di “supplicanti della Congregazione di san Giuseppe” (della chiesa della Cella, ed in considerazione che era stato vietato insegnare la dottrina cattolica senza autorizzazione centrale), al fine di poter svolgere adunanze e poter pregare-, con richiesta di costruire un oratorio in un terreno donato dai fratelli Crosa “dirimpetto ai loro beni e posto nel prato volgarmente detto dell’Amore” (Nella cata del Vinzoni, i Crosa sono proprietari di una casa che sia affaccia – affiancata ad altre – sulla via del Ponte (oggi R.Pieragostini: non è improbabile che in realtà non si tratti dell’oratorio in questione)
Tuvo riporta una relazione comunale, datata 17 maggio 1837 nella quale appare scritto: «In Consiglio comunale viene esaminata la pretesa che tale Bartolomeo Savignone vorrebbe avanzare su un terreno denominato PRATO DELL’AMORE esistente da moltissimo tempo ad uso di piazza pubblica davanti alla fabbrica del signor Lorenzo Dufour, e che forma uno dei punti più belli del Paese, e che, conoscendo come il signor Savignone, abbandonata che ebbe la progettata occupazione di detto PRATO, se riuscisse al Comune d’ acquistare e cedere allo stesso un tratto di terreno arenile che sta dirimpetto al PRATO DELL’AMORE, onde stabilirvi un cantiere per costruirvi dei bastimenti, il Consiglio comunale delibera di dimandare all’Ammiragliato il tratto di terreno arenile designato, previo pagamento del canone dovuto»
Questo nome non ufficiale, era stato adottato dall’ uso popolare per indicare il terreno che fu scelto nel maggio 1846 da Taylor per costruirvi i suoi impianti, ceduti poi all’ Ansaldo dopo soli 7 anni di attività.
Quando andò ad ispezionarlo, c’era (vedi a fianco certificato di procura di utilizzo “per pubblica utilità”: una casa padronale, tre case coloniche ed una piazzetta chiusa, circondata da canneti, vigna ed orti (all’atto della vendita, gli orti erano definiti di “prima qualità col pregio massimo di un’abbondanza d’acque perenni, e che non vi sono in quel paese altri orti che li pareggino“; tutto di proprietà della marchesa Maria Oriettina Lamba Doria, moglie del marchese Fabio Pallavicini (ambasciatore del Regno Sardo in Baviera). Di tutto questo, della villa in particolare, è rimasta la torre di avvistamento inglobata nella facciata dello stabilimento (vedi via Bombrini; in questa zona, unica villa ricordata su “Le ville del genovesato” è quella Cattaneo-Grimaldi alla quale viene attribuita la torre oggi detta ‘della Fiumara’; la stessa, divenne sede della Raffineria di zucchero (vedi via Fiumara Antica) prima di essere inglobata dall’Ansaldo: mancando una precisa cronologia di proprietà, si può presumere che all’atto della distruzione, fosse divenuta della marchesa).
Confinava con la corderia dei Carena e Torre; a nord-est con la fabbrica di amido di Pescetto ed i baracconi ad uso saponeria di un Pallavicino; ed a nord-ovest fino al torrente con la proprietà Rolla, fratelli proprietari di una tintoria. Tutti inutilmente opposero ricorso.
Il terreno era allibrato al Catasto comunale di Sampierdarena ai numeri 176 e 178, ove è scritto che la regione veniva detta “al Canto” o “alla Fiumara” (scrivendo a mano, qualcuno ha mal compreso, scrivendo anche “spiumara”) o “del Lazzaretto e Prato dell’Amore”.
Come possiamo ricostruire oggi, il Consiglio di Stato di Torino giudicò perdente il ricorso dei proprietari, dichiarando la proposta di Philip Taylor di “pubblica utilità pel servizio della nostra marina”; ed accettò valido il controricorso dell’inglese il quale prometteva che “come a Londra, a Parigi ed a Manchester vi fossero fabbriche anche nella città e come nell’ultima, seppur sempre ravvolta di fumo, si fabbricassero le migliori telerie del mondo”.
Fu così che la sorte portò a Genova questo inglese di Norwick, figlio di Giovanni negoziante, che fu favorito da una serie di circostanze concatenate: quando Cavour si trovò nella necessità di possedere una flotta capace di esercitare un certo potere anche in mare, trovò difficile attuazione nella carenza di cantieri e di personale specializzato, soprattutto di moderne navi da guerra in ferro. Nel 1835 quando entrò in servizio la prima nave da guerra a vapore del regno perché funzionasse furono assoldate poche ma scelte persone-tecnici inglesi (con stipendi per allora enormi, ma perché unici capaci di far funzionare i nuovi macchinari); e furono loro a portare le prime navi alla guerra di Crimea. Questi inglesi, dopo la guerra trovarono il modo di sfruttare al meglio quello di cui erano esperti e le proprie sterline investendole in Italia - già da allora favoriti dal cambio - nel settore in cui il Regno intendeva investire: i cantieri navali e le ferrovie. Divennero i primi che - per interessi propri e del governo di Torino (regnante Carlo Alberto), e favoriti dalla concomitanza di terreno piatto racchiuso tra mare e ferrovia - attivarono i loro ingegni con imprese molto valide, con scelta per loro urbanisticamente felice, e solo per noi deleteria. Iniziarono così a rovinare il borgo, allora di meno di 10 mila abitanti, avviandolo all’industrializzazione pesante, a scapito delle piccole ma meno inquinanti piccole imprese. Così dopo i Balleydier (i primi, già arrivati nel 1829) ecco questo Philip Taylor, e alla fine degli anni 1850 anche Tomas Robertson ed i Wilson-Maclaren.
A giusta punizione, furono tutti poco fortunati nella loro singola impresa locale e personalmente spero crogiolino all’inferno.
BIBLIOGRAFIA
-AA.VV.-Le ville del genovesato-Valenti.1984-pag.100
-Ciliento b:-Gli scozzesi in piazza d’Armi-DeFerrari.1995-pag.23
-Gazzo E.-I cento anni dell’Ansaldo-Ansaldo.1953-pag.78
-Remondini A&M.-Parrocchie dell’archidiocesi-1897-vol.11-pag.281
-Tuvo T.-memorie storiche di sanPierd’Arena-dattiloscr.inedito-pag.147
-Tuvo.Campagnol-Storia di Sampierdarena-D’Amore.1975-pag. 198