ANGELI via sotto le Mura degli Angeli
TARGA: via – sotto le Mura degli Angeli.
sbocco in via san Bartolomeo del Fossato
QUARTIERE ANTICO: Promontorio
N°IMMATRICOLAZIONE: 2812 CATEGORIA: 3 (elencata a “mura”)
da Pagano/1961
UNITÀ URBANISTICA: 28 – S:BARTOLOMEO
CODICE INFORMATICO DELLA STRADA - n°: 41640
immagine satellitare da Google Earth, 2006
CAP: 16127
PARROCCHIA: s.Bartolomeo del Fossato
STORIA della strada:
Nell’elenco delle strade del 1927 delle strade genovesi approvate dal podestà, non compare.
Nell’annuario Pagano/33, esiste una “via Aurelia” (vedi) che viene descritta passare presso le “baracche poste sotto le mura, dal versante di Sampierdarena; a via di Francia” (quest’ultima, inaugurata nel 1929); di 6.a categoria, e con 4 n.i civici. Se questo viottolo è effettivamente riconosciuto come diramazione della antichissima via Aurelia, chiaro che arrivava sino alla sottostante abbazia, e da qui alla via DeMarini: motivo per crederlo è che han dato un nome ufficiale, a questo in realtà viottolo, poco più di una mulattiera, e non una strada anche se oggi asfaltata e percorribile da auto.
STRUTTURA della strada:
É come un sentiero di campagna: uscendo da Genova passando sotto la porta degli Angeli - ed attraversata “via alla Porta degli Angeli”, quasi di fronte c’è un viottolo, ora asfaltato, che scende il ripido fianco della collina inclinato verso mare. Costeggia, procedendo in discesa, la base delle mura da cui è separata da una fila ininterrotta di orti e qualche casetta. In fondo al percorso, si allaccia sia verso il basso con la salita ai Bastioni, e sia l’alto -tramite piccola scalinata- con le “Mura degli Angeli” (proprio di fronte allo sbocco in quest’ultima di via Pescio). Infine, dopo altrettanto breve scalinata sfocia in un tornante di via S.B.del Fossato. Come scrive il Pagano, prima dell’apertura di quest’ultima strada, proseguiva verso il mare
All’inizio in alto, un cartello indica esistervi la AIAD Genova “la Superba”, una scuola di addestramento cani doberman.
Teoricamente (perché senza targa stradale ma storicamente funzionale) una stradina carrettabile, non asfaltata, prosegue anche verso il nord sul versante opposto appena usciti dalla Porta, (come a continuare la nostra, procede sterrata verso le mura del Tenaglia; nella carta del Vinzoni esiste una strada che dalla principale allora anonima (via Aurelia), sale fino ai bastioni ma è più lontana dalla Porta, localizzabile praticamente ove ora è il Cimitero). Salendo questo sentiero, sempre costeggiando orticelli per 2-300 metri, si arriva ad uno spiazzo -recintato da alto muro a mattoni e con due ampi cancelli-, di proprietà dell’Acquedotto DeFerrari Galliera (dicono che sotto il prato c’è una stazione di pompaggio dell’acqua), che a sua volta -a nord- confina con il cimitero. Qui la stradina, piena di rovi, pare interrompersi. Forse questo spiazzo voleva essere raggiungibile dalla strada principale sottostante, ove in corrispondenza ci sono due vistosi pilastri per un grosso cancello, dietro il quale però non cè più alcuna strada.
CIVICI:
2007= da 1 a 9 (compreso 1B) e da 2 a 6 (compreso 6A)
===civ.1 : fu variato nel 1960 per sistemazione della numerazione, ed assegnato a via san Bartolomeo del Fossato con il nuovo numero 101A .
===civ 6a : fu assegnato ad una porta allora senza numero, nel 1948
===civ. 9 : idem nel 1952
STORIA delle mura:
Nell’evoluzione delle varie cinte murarie, la penultima e sesta, del 1537, iniziava dalla porta san Tomaso (a Principe), e saliva come parallela alla collina degli Angeli (la quale, come barriera naturale era sicuramente migliore, ma in quell’anno non fu giudicato utile coinvolgerla nelle mura perché troppo lontana ad occidente, troppo vasta e difficile da proteggere con i pochi fanti armati per un così lungo percorso).
Un secolo dopo però, l’assai rapida evoluzione delle tecniche di guerra e soprattutto delle armi da fuoco, nonché la grave instabilità politico-economica proposero urgentemente la necessità di un ulteriore ampliamento delle mura (in particolare l’aggressione, - guidata dal duca di Savoia Carlo Emanuele I – il quale dopo inquietanti vittorie sulle truppe della Repubblica fu fermato, quando ormai era prossimo all’assedio, il 10 maggio 1625 in una battaglia presso il monte Pertuso e sant’Andrea di Montanesi***. Fatto d’armi che ogni anno ancora viene celebrato solennemente al santuario di N.Signora della Vittoria, eretto apposta dal Senato); e non dimentichiamo la congiura del Vachero del 1628).
Anche se con avvio molto lento, essendo i primi progetti datati 1625, la collina degli Angeli fu inclusa, trovando così in essa il primo baluardo dalla parte della “Ponsevera”: dal mare fino a Granarolo, e poi oltre.
Tra i vari progetti, quello stilato da Borri e Conti (“la cinta deve iniziare dalla Lanterna, dirigersi vero la casa del signor Pallavicino, ascendere fino alla villa del magnifico Centurione sotto il monte degli Angeli, da dove ... “ ) fu quello approvato.
Così, nell’ott.1626, fu posta la prima pietra nella zona della Lanterna (sul cubo di marmo, di 40cm per lato circa, fu -scelta tra tanti ed incisa da Antonio Bosio- la frase dettata da Gio Vincenzo Imperiale (signore della attuale villa Scassi): “DIVISQUE IO- BAPTISTAE, GEORGIO - LAURENTIO ET BERNARDO TUTELARIBUS - PROFLICATO BELLO - AD HOSTIUM TERROREM CIVIUM SECURITATEM LIBERTATIS PROPUGNACOLUM - HIC UNDEQUAQUE MOENIA MONTIBUS ABTANDA - SE SUAQUE DICABAT - URES GENUA - RELIGIOSA UNANIMIS INCONCUSSA - ANNO SALUTIS MDCXXVI - VII DECEMBRIS “ = a Dio, alla sua Madre, ai protettori Battista, Giorgio, Lorenzo e Bernardo, terminata la guerra, a terrore dei nemici e sicurezza dei cittadini e della libertà, qui ed ovunque erette le mura sui monti, la città di Genova -religiosa ed incrollabile dedicava unanime se stessa e le proprie cose . Anno del Signore 1626, 7 dicembre).
La pietra fu completata con una medaglia d’argento (da un lato l’immagine di Gesù e della Madonna, circondati da san Giovanni Battista, san Giorgio, san Lorenzo, san Bernardo; dall’altra faccia l’insegna della Repubblica con la scritta “ Dux et Gubertatores, 1626.
Una seconda lapide fu posta presso la porta della Lanterna, a mura già ultimate; l’iscrizione diceva : “NE MUNIMENTA NATURAE - HOSTIS - VERTERET IN PERICULA - TERTIUM SIBIORUM AMBITUM - PER ORA MARIS ET JUGA MONTIUM - PERICOLOSISSIMUS TEMPORIBUS - LIBERTAS TRIENNIO - FESTINANBAT ERECTUM ANNO SAL. MDCXXXIII” = affinché le difese naturali non diventino pericolo in mano nemica, un terzo giro di mura lungo il lido del mare ed i gioghi dei monti, in tempi pericolosissimi, il popolo libero in un triennio si affrettava ad erigere dall’anno del Salvatore 1633.
Ovviamente la realizzazione del progetto determinava una serie di invasioni di territori privati che generarono accese proteste dei proprietari, i quali furono per legge espropriati e rimborsati.
Intanto ancora non s’era deciso se il Tenaglia dovesse restare dentro le mura (progetto di don Geri dell’Arena), o fuori ( progetto di Fiorenzuola).
Assai gravosi furono i problemi da risolvere da parte del “Magistrato delle nuove mura”: tra essi i materiali (acqua, sabbia, calce, legname, corde, attrezzi), gli animali da soma, gli operai e la loro incolumità, gli abusi ed inadempienze, gli espropri (nel nostro settore furono sacrificate una villa dei Giustiniani ed una dei Centurione in Promontorio -ricordando che i diritti di questa abbazia arrivavano sino a Granarolo-) e mille altri similari non ultimo il ricupero delle pietre, la loro minuziosa scalpellinatura ed il trasposrto sino alla messa in atto.
Il lotto a ponente fu assegnato ad un gruppo di imprenditori: Bernardo Cantone ed Andrea Origone, dalla Lanterna a san Benigno, con una porta presso capo Faro, nei terreni del marchese Serra; Pietro Francesco Cantone dalla villa Fieschi a villa Airolo tramite la “villa” degli Angeli, con apertura di un portello per la comodità della Valpolcevera, purché “né dal mare né da terra potrà essere veduto”, secondo concetti di “sicurezza, comodità, magnificenza”.
Nella carta del Vinzoni del 1757, non ci sono più le proprietà dei Serra né dei Fieschi, mentre esiste ancora la casa del sig.Giacomo Airolo posizionata nelle case della Coscia (vedi carta sotto); da essa fino alla abbazia (i terreni appaiono essere, prima di Giulio Pallavicini (proprietario della villa nella zona di vico Cibeo, ora demolita), e poi del visconte deNegri); dopo il monastero, sino alla via Aurelia, tutto di Domenico Rizzo con casa nell’attuale salita D.Conte).
La strada dalla porta san Tomaso alla Lanterna, e da essa verso San Pier d’Arena, fu aperta nel 1632.
Nel 1633, ad opera conclusa, i governanti inviarono al papa Urbano VIII ed all’Imperatore due tele dipinte da Andrea Ansaldo, raffiguranti un simbolo della città, circondato dalla piantina delle nuove mura.
In quel tempo, l’economia dell’Europa gravitava attorno alle due nazioni di maggiore potenza militare ed economica, Francia e Spagna, entrambi rette da monarchia. Genova, piccola repubblica, cercava di mantenere la più prudente neutralità. Ma se la cosa riusciva più facile con gli spagnoli, meno gradita era questa autonomia al re francese Luigi XIV che non nascondeva aspirazioni di conquiste territoriali importanti e facili.
Così, nel 1672, per una nave olandese che depredò tutto il naviglio francese che trovò fuori del porto, perché il suo paese era in guerra con la Francia, la responsabilità fu attribuita a Genova. Gli screzi continuarono con rappresaglie ai navigli genovesi nei porti francesi, con sequestri ingiustificati di navi e carichi, con scambi di artiglierie tra i comandanti più focosi, con freddezza nei rapporti di cortesia. In conclusiva, non trovando più scuse valide, quella usata come determinante fu di aver sorvolato di ordinare ai comandanti del porto e delle navi della Repubblica di salutare una nave del re francese. Ma in realtà, tutto questo prurito era per motivi economici: il re francese aveva bisogno di soldi, e nella sua ottica Genova ne aveva, ma lavorando e trafficando prevalentemente con l’oro spagnolo; i genovesi un po’ ambiguamente pur di compiere commerci, avevano sì favorito il governo francese ma anche i loro avversari spagnoli, non assumendo volutamente una precisa scelta politica di parte.
Malgrado gli intensi rapporti tra ambasciatori e la mediazione del Papa, nel 1679, in piena ostilità ed acredine, una flotta navale francese comandata dal Signore di Mans, essendo uscita dal porto senza ricevere i saluti di ossequio, bombardò con tremila proiettili il borgo di San Pier d’Arena, provocando panico nella popolazione svegliata dall’inaspettato attacco, che colpì le ville, distrusse case e mieté vittime tra gli sventurati in fuga disordinata.
L’erezione delle mura era stato oggetto di preciso spionaggio da parte dei francesi, per valutarne bene e minuziosamente i possibili punti deboli: il re di Francia aveva inviato il suo ingegnere maggiore Sebastien Le Piestre, marchese di Vauban, in segreto e sotto falso nome, che fece relazione dei punti più favorevoli per un attacco e di quelli da evitare. Nella conclusione, egli mise in evidenza che con l’erezione delle nuove mura, il punto più debole e vulnerabile diventava il mare, essendo la parte meno difesa, essendo la flotta genovese sparsa nel mondo.
E difatti un’altra flotta dello stesso re, il 17 maggio 1684, con 160 navi al comando dell’amm.marchese Abraham DuQuesne, posto agli ordini del segretario del re per gli affari marittimi, il marchese di Segnalay, arrivò a sera a ribombardare la città di Genova. Da quella sera fino al giorno 22, piovvero sulla città più di 13mila bombe esplosive (moltissime inesplose per fortuna) ma sufficienti per avere effetti devastanti essendo la prima volta che veniva affrontato una guerra eguale; fu compiuto anche uno sbarco di 3500 fanti, sulla spiaggia del nostro borgo, ma le milizie urbane - comandate da Ippolito Centurione, seppur lui stesso filofrancese - prima che il nemico potesse iniziare ad avvicinarsi alle mura, attaccarono i francesi, costringendoli alla fuga ed al reimbarco.
Nel sett.1746, benché sulle mura fossero disposti 55 pezzi di artiglieria, la cinta muraria non servì alla difesa perché il governo genovese, abbandonato dagli alleati franco spagnoli, lasciò entrare gli austriaci senza poter tentare difesa o resistenza. Dopo l’insurrezione e la liberazione promossa dal Balilla (5 dic.1746), nel febbraio successivo 1747, le truppe austriache partendo da Novi, ricalarono verso la città, forti di 20mila uomini, dimostrando - dopo solo un secolo - l’ inutilità di siffatte mura di fronte a nuove tecniche belliche specie alle nuove armi da fuoco (anche se erano state ordinate opere di restauro e di rafforzamento, affidate a Stefano Lomellino. Seppur chiamate “mura nuove”, l’abbandono decennale aveva determinato un serio degrado e deterioramento, nonché favorito il furto di materiali -pietre e legnami- per costruzioni private). Per fortuna la pace di Acquisgrana (1748) salvò Genova da una nuova insidia.
Nell’anno 1800, il generale francese Massena si trovò arroccato in città, bloccato dal mare dalla flotta inglese e da terra dalle truppe austro russe scese dalla Bocchetta e dal Melogno, ed attendate per il ponente sul Polcevera, Cornigliano, Bolzaneto. Si ritrovò a difendere 120mila cittadini (più di 30mila erano profughi) dentro il perimetro delle mura, senza approvvigionamenti e notizie sulle mosse di Napoleone, con l’obbligo di resistere. In questa occasione, tutta la cintura fortificata -compresi i forti più lontani- ebbero l’occasione di entrare in gioco reale nel tentativo di impedire al nemico di avvicinarsi alle mura proprie della città (che, dagli austriaci venivano bombardate da Coronata). Così, il nostro borgo visse personalmente la storia: il 23 aprile quando fu tentato di assalire la Porta della Lanterna; ed il 30 successivo quando si procedette ad un tentativo di alleggerimento della morsa, attaccando vittoriosamente i forti dei Due Fratelli (vedi via V.Alfieri) e rispondendo alle cannonate provenienti da Coronata e dalla flotta; e pochi giorni dopo quando fallì un tentativo di attaccare anche verso Coronata e Bolzaneto.
Massena dovette infine arrendersi, ottenendo l’onore delle armi ed il ritiro ordinato delle sue truppe, ignaro che dieci giorni dopo i suoi soldati sarebbero rientrati in città abbandonata dalle truppe austriache battute da Napoleone a Marengo (vantaggiato dall’assenza, in campo nemico, delle truppe trattenute davanti a Genova). Ne seguì un 25ennio di dominazione francese, con tutto il bene e tutto il male che politicamente portò dopo.
Dopo allora, le mura sono divenute solo monumento inutilizzato - a parte nell’ultimo conflitto mondiale, per l’uso di appostamenti di batterie antiaeree -. Tanta spesa e tanta fatica, poco sono servite nel pratico a difendere la città di Genova, soprattutto da assedi come si possono immaginare dei tempi dei crociati; però un decisivo freno all’irruenza dei numerosissimi attaccanti e dalle loro conseguenti razzie e distruzioni: dai lontanissimi tempi di novecento anni fa con l’espansione genovese - limitata poi alla Liguria ed alle terre corse o dell’oriente -, praticamente la città è stata perennemente soggetta ad uno “stato continuo difensivo”, in quanto Repubblica libera e ricca, non aggressiva se non commercialmente, ma al contrario circondata da monarchie bellicose e golose.
all’inizio, in alto casette e orti sotto i bastioni inizio da via s.B.d.Fossato
BIBLIOGRAFIA
-Archivio S.Comunale Toponomastica scheda 2995
-AA.VV.-Annuario-guida archidiocesi-ed./94-pag.422—ed./02-pag.459
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-Pastorino.Vigliero-Dizionario delle strade di Ge.-Tolozzi.85-vol.I-pag.51
-Poleggi E. &C.-Atlante di Genova-Marsilio.1995-tav.24
-Stradario del Comune di Genova del 1953-pag.121
Nel Novella non c’è.18